MALYKE il suo angelo

di nuvole_e_popcorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I Malyke ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Sommario:
Malyke:

Non era altro che un'orfana che viveva nei Bassi Fondi di una piccola città su una Luna di un pianeta mediocre che ruotava attorno a una Stella per niente speciale, con un cuore buono, ma pieno di rancore verso una madre che l'ha abbandonata ancora in fasce. Almeno fino a quando non viene imprigionata su una Stazione Spaziale a centinaia di anni luce da casa propria con l'unico crimine di assomigliare all'amore perduto della Mano del Presidente. Con la ribellione alla porte Malyke sa esattamente da che parte stare. Lo ha sempre saputo. La situazione prende una piega interessante quando Malyke, allo stremo delle forze, impugna un'arma di Stella fusa per difendere se stessa e coloro che ama. Chi è davvero Malyke? Perchè sulla sua schiena si è formato un tatuaggio bianco che rappresenta lo stemma dell'Ordine Sacro dei Guardiani della Notte? Quando si troverà davanti alla scelta l'amore sarà dalla sua parte?
Jace:
Adrenalina e Testosterone. La sua vita come pilota sulla Star Black Jack è stata solo questo: un'avventura dietro l'altra. Figlio bastardo di uno dei Luogotenenti Jace è stato cresciuto dai piloti e dai macchinisti della Star Black Jack. La ribellione è solo un fatto lontano per quanto lo riguarda. Fino a che una ragazzina con più testosterone di lui, e decisamente più fegato, non entra nella sua vita armata di una pistola scarica e Jace sa esattamente in cosa si sta cacciando, no? È solo un'altra avventura adrenalinica no? Ma sarà capace di decidere davvero cosa sia meglio per lui? Cosa sceglierà la famiglia di una vita, per quanto strana e variegata o l'amore?

Dal testo:
«Hey bambolina!» la voce giunse disturbata agli altoparlanti, ma tutti i tecnici tirarono un sospiro di sollievo e Malyke non potè che fare altrettanto senza neanche preoccuparsi di nascondere il sorriso che le increspò le labbra. Tutti la guardavano, imbarazzati. Era stata lei in fondo a essere nominata, nessuno di loro poteva rispondere per lei e poi comunque era lei il capo, no?
«Cerca di non farti ammazzare Capitano» ordinò sorridendo, parlando al microfono della Sala di Controllo.
«Non ci penso neanche Bambolina! Passo e chiudo!» Malyke vide distintamente due ingegneri scambiarsi del denaro. Scommesse. Su tutto ciò su cui dovevano scommetere proprio su quello dovevano giocare? Malyke scosse le spalle e sorrise. Per ora c'erano. Poi si sarebbe visto.

 

Prologo

MALYKE

L'oscurità era quasi una benedizione. Luce significava lui, luce significava tortura. Non fisica, certo, una società così (sotto)sviluppata non si sarebbe mai sporcata le mani con tortura fisica. Mentale. Vedere quell'uomo, fantasma di ciò che forse un tempo era stato sfilarsi le mille maschere che indossava come Luogotente e Mano del Presidente, crudele carenefice di migliaia di bambini innocenti, era una tortura mentale che mai avrebbe pensato di subire. Vedere quell'essere sfigurato e dimentico di qualsiasi umanità improvvisamente perdersi nel vuoto dietro ricordi di un tempo passo e lasciato a marcire nei più oscuri recessi della sua mente, era una tortura tale che a volte Malyke pregava che l'oscurità l'avvolgesse e non la lasciasse più andare. Aveva sempre temuto la gabbia, rimanere lì, seduta su quel letto improvvisato in una stazione spaziale a centinaia di anni luce da dove era nata, sennon migliaia; senza neanche avere la forza di provare a scappare da quella prigione. Dov'era finita la ragazzina che correva per i vicoli dei Bassi Fondi della Capitale di Luna il satellite più piccolo di un pianeta mediocre che ruotava intorno a una Stella per nulla speciale, senza temere nulla? Era cresciuta. Ed era stata imprigionata. Ecco cosa le era successo. E ora sperava solo che la luce se ne andasse presto, che il prima possibile quel mostro che le sedeva davanti con quell'espressione vacua si svegliasse dal suo torpore e alzandosi di scatto se ne andasse senza una parola. Lo faceva sempre . Era quasi ironico come avrebbe preferito che lui parlasse piuttosto che stare lì seduto, muto come senza parola perso dietro chissà quali pensieri.

Stava seduto di fronte a lei, le mani poggiate sui braccioli della sedia bianca sul quale sedeva ogni volta. I suoi occhiali da pilota, che portava sempre indosso erano poggiati sulle sue gambe, e i suoi occhi ciechi guardavano fissi nel vuoto. Rimaneva immobile come in contemplazione. O in meditazione. Sapeva, da quel poco della storia che aveva imparato dalla Maestra del Basso Fondo, che era stato allenato per un periodo dall'Ordine, e che, nonostante potesse impugnare un'arma di Stella fusa, non aveva mai completato il proprio addestramento. Il Pugnale di Stella Fusa anche, giaceva sulle sue gambe quasi dimenticato, sempre all'interno della sua guaina. Eventualmente le sue dita si stringevano così tanto al bracciolo da diventare bianche, quando un ricordo probabilmente si faceva troppo pesante per lui. Era strano come era arrivata a provare pietà per il proprio carnefice. Ma era un uomo distrutto, spezzato. Sul suo polso sinistro una piccola cicatrice carminia. Aveva sentito dire che lui stesso se la infliggeva per impedire al nome di sparire. Coloro che avevano le capacità di appartenere all'Ordine avevano sul proprio polso sinistro scritto il nome della loro anima gemella, della persona che avrebbero protetto anche a costo della propria vita. Quell'unica persona che sarebbe sempre venuta prima anche dell'Ordine e della sua Sacra Missione. Quando quella persona moriva il nome diventava una cicatrice e col tempo svaniva. Ma quella era carminia. L'uomo continuava a infliggersela per non dimenticare la donna che aveva amato e che aveva fallito di proteggere. Non era mai riuscita a leggere il nome completo. Ogni volta che i suoi occhi si soffermavano sulle prime lettere “So” l'uomo, quasi rendendosi conto di ciò che accadeva si alzava di scatto e nascondeva il polso alla vista. Nessuno sapeva chi lei fosse, ma sapeva che era la sua maledizione e la sua benedizione insieme.

«Le somigli così tanto» ripeteva spesso con voce rauca e stanca, fermandosi a fissare i suoi capelli castani con occhi ciechi alla realtà, ma come se la vedesse. Subiva quella tortura tutti i giorni perchè assomigliava alla donna che lui aveva perduto, ma era ancora viva per la stessa ragione, quindi, chiunque questa “So” fosse le era grata e ingrata allo stesso tempo, poteva stare più attenta e non farsi uccidere! Forse quest'uomo sarebbe stato felice e lei non imprigionata! Ma non sapeva niente di lei e forse sarebbe dovuta rimanere in silenzio, sperando di non scoprire mai quale atroce destino aveva impedito a un uomo così potente come Lui di non riuscire a proteggere la donna che amava.

Fu riscossa di colpo quando lui si alzò di scatto e uscì senza dire una parola mentre la sua sedia bianca veniva risucchiata dal vortice e la cella tornava nell'oscurità; fu allora che, scattata in piedi com'era anche lei un laccio dei suoi anfibi si incastrò nel vortice, impedendo che si chiudesse del tutto. Una piccola luce si intravedeva da quel piccolo esagono che restava aperto, bloccato dal laccio della sua scarpa e mentalmente lei esultò. Non aveva mai davvero pensato a come fuggire dalle celle della Stazione Spaziale, sapeva che era quasi impossibile, ma forse la fortuna era dalla sua parte. Estraendo delle pinzette dalla propria coda spettinata riuscì ad estrarre il laccio senza far chiudere l'esagono, poi inginocchiatasi per terra infilò due dita dentro l'esagono e cominciò a tirare sperando di dargli il comando di aprirsi. La tecnologia era così, vero bisognava dargli il comando, ma se si iniziava la trazione dell'oggetto che si doveva muovere quello avrebbe continuato lo scorrimento per inerzia. Finalmente il vortice si riaprì, inonandano la camera di luce bianca e lei sorrise orgogliosa di sé. Per poi con un salto entrare nel vortice, e scendere come lungo uno scivolo. Attorno a lei pareti illuminate da led bianchi e un tunnel che sembrava non finire mai.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo I Malyke ***


Capitolo I

MALYKE

 

Per la prima volta nella sua vita, ringraziò gli Dei per la sua infanzia, passata nei Bassi Fondi. Aveva sviluppato, essendo abituata a vivere in strada, in una nazione in cui gli orfani di strada vengono spesso uccisi senza ragione dalle Cappe Nere, dalla polizia; un ottimo senso dell'orientamento e sapeva muoversi felpata come un felino senza farsi notare.

Non conosceva bene la Stazione Spaziale, ma, arrivata al fondo del Tunnel si era trovata nelle condutture dell'aria.. lì dentro si moriva di caldo e spesso folate di aria bollenti la colpivano in pieno togliendole il respiro. Era riuscita a uscire dalle condutture e ora si trovava in un corridoio semideserto, al fondo due cadetti si parlavano concitatamente e non si erano accorti della sua presenza, tenevano in mano delle pistole da allenamento, ovvero senza colpi -notò- e sorrise tra sé avvicinandosi silenziosa come uno Spettro.

Colpì il primo alla nuca, stendendolo a terra con un solo colpo, il secondo, ancora troppo stupito da quello che era successo non riuscì a reagire prima che lei prendesse i propri anfibi (che si era tolta per strisciare lungo la conduttura) e lo colpisse col carrarmato degli stessi sul mento, per poi afferrarlo per i capelli e avvicinare la testa al suo ginocchio pronto. Un sonoro crack le dimostrò che doveva avergli rotto il naso e a giudicare dalla posa strana, doveva avergli dislocato anche la mandibola. Quello cadde a terra con un tonfo e Malyke si impadronì di una delle loro pistole, anche se era scarica avrebbe fatto la sua figura... almeno sperava. Poi li addocchiò. Trascinò il più minuto lungo il corridoio verso un angolo buio e gli sfilò la divisa bianca, indossandola lei, recuperò il suo cappello e vi mise dentro i propri lunghi capelli castani, dovette annodare la cinghia di cuoio nero all'estremo per non permettere ai pantaloni di cadere, poi raddrizzò la schiena e cominciò a camminare con passo deciso lungo i corridoi, facendo un cenno con la testa a qualsiasi altro cadetto che passava senza degnarla più di tanto di un'occhiata.

Fu allora che l'altoparlante parlò:

«In partenza la Eagle 21 dal deck 15 in venti minuti... In partenza la Eagle 21 dal deck 15 in venti minuti direzione Platinum City» Platinum City, Malyke ragionò con quel poco di geografia che conosceva... Platinum City si trovava su un Piantea orbitante intorno a una delle Stelle sorelle Kalla e Irune, non sapeva esattamente quale delle due, laggiù il mercato nero degli Schiavi attirava contrabbandieri e ribelli da ogni angolo della Galassia; era la destinazione perfetta per svanire nel nulla! Il problema era imbucarsi clandestina su quella maledetta navicella.

«Hey Jace spicciati o la tua Nave parte senza di te!?» sentì qualcuno urlare, allora sentì qualcuno sbattere contro la sua schiena con prepotenza e per poco non cadde in avanti, se non fosse stato che lo sconosciuto l'aveva afferrata per la vita trattenendole la caduta e posando le proprie mani sul suo seno! Malyke scattò in piedi e si voltò di colpo, caricando un pugno verso lo sconosciuto pervertito, ma lui lo fermò con il proprio palmo aperto, come se se lo aspettasse.

«Cos'abbiamo qui, hmm? - domandò sornione, ghignando – una ragazzina travestita da cadetto» Malyke si rese conto di essere nei guai così estrasse la pistola (scarica) e gliela punto al petto, nascondendola tra i loro corpi.

«Senti un po', biondino – gli intimò sussurrando – sei tu il Capitano della Eagle 21?»

«L'unico e solo, bambolina»

«Devo arrivare a Platinum City»

«E...? Cosa mi viene in tasca a me, imbucandoti clandestina sulla mia tratta?»

«Non ti uccido? Non una ricompensa sufficiente, per te?»

«Tesoro, anche se la tua fosse una vera pistola, carica – le fece notare lui -non potresti uccidermi qua, dal momento che è un corridoio con una ronda ogni quindici minuti e ne sono passati dodici dall'ultimo giro di guardie»

«Cosa vuoi in cambio?» domandò allora lei, senza però allontanare la pistola dal suo petto, inarcando un sopracciglio e fissandolo con i propri occhi castani. Lui ghignò.

«Diciamo che mi dovrai un favore. E potrò riscuoterlo quando meglio mi aggrada. Ora, la domanda è, Bambolina, quanto sei disposta a mettere in gioco per raggiungere Platinum City?» le si allontanò impercettibilmente.

«Okay» disse infine, allontanando la pistola dal suo petto.

«È un piacere fare affari con te, Bambolina – ghignò lui – prego, Signora, la sua Navicella la attende» disse, facendole un buffo inchino e facendole segno di cominciare a camminare.

«Qui Comando, Eagle 21» Malyke stava in piedi dietro il pannello dei Comandi, il ragazzo che l'aveva aiutata a salire sulla Eagle 21 stava seduto lì, alla sua destra un uomo di mezza età, con le labbra cucite, un Fratello del Silenzio la osservava di sottecchi con i suoi occhi giallo-verdi.

«Qui Jace Trypol – disse il biondino – Eagle 21 richiede il permesso di partire»

«Molto bene, Eagle 21 – risposero dal Comando – quando vuoi» le porte della Stazione spaziale si aprirono e per la prima volta in vita sua Malyke vide il cielo stellato davanti a sé. Non aveva mai abbandonato i Bassi Fondi e non era pronta allo spettacolo.

«È una meraviglia, vero, Bambolina?» lo ignorò bellamente, e nel momento in cui la Eagle 21 fu fuori dalla NaveMadre Jace, questo era il suo nome, tirò fuori una manopola rossa dai comandi superiori e la tirò prima in basso e poi in avanti, aprendo un tunnel spaziotemporale e infilandocisi.

«Tieniti forte Bambolina, possono esserci turbolenze!».

«Allora Bambolina, ora vuoi dirmi il tuo nome?» stavano viaggiando stabilmente da tre ore e lui l'aveva condotta nella Seconda Cabina e le aveva dato dei vestiti più adatti a lei, un pantalone di cuoio color mogano, una giacca di pelle dello stesso colore forse anche troppo grande per lei e una camicia di lino rosso fuoco, il tutto accompagnato da anfibi da combattimento marroni un po' consumati, ma ancora buoni. Malyke si era tolta il capello e si era sciolta la massa di capelli castani e ora se li stava pettinando con le mani.

«Mi chiamo Maly – disse lei – vengo da Luna di Vera nel Sistema delle Vette Alte» finito di pettinarsi i capelli, che ormai dopo tutto il tempo passato in cella erano annodatissimi, finalmente riconoscendo i suoi lunghi capelli castanodorati lisci li raccolse in una treccia incorporata sul lato. Si era lavata e finalmente cominciava a sentirsi come se stessa.

«Io sono Jace, benvenuta a bordo della Eagle 21»

«Quanto ci vorrà per raggiungere Platinum City?» domandò, andando dritta al dunque.

«Tre giorni... È dall'altra parte della Galassia, Bambolina. - le disse ammicando – sei costretta con me, per tutto quel tempo».


È un po' corto lo so, ma comunque fatemi sapere che ne pensate! Un bacio, alla prossima!

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