Faccia d'angelo

di ADelacroix
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 5 Marzo 1965 ***
Capitolo 2: *** Il testimone ***
Capitolo 3: *** Un'indagine difficile ***
Capitolo 4: *** L'altra matricola ***
Capitolo 5: *** La retata ***
Capitolo 6: *** I soldi nel cruscotto ***
Capitolo 7: *** Un caso irrisolto e una birra ***
Capitolo 8: *** Il racconto di Kenny ***
Capitolo 9: *** Al Jolly Blue ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** L'agente Walsh ***
Capitolo 12: *** Incontro con Olivia ***
Capitolo 13: *** L'omicidio Whitaker ***
Capitolo 14: *** La telefonata ***
Capitolo 15: *** Doppio interrogatorio ***
Capitolo 16: *** The end ***



Capitolo 1
*** 5 Marzo 1965 ***


[I can’t help myself – The four tops]
 
La tensione lo stava uccidendo, se fosse rimasto ancora un minuto seduto su quella sedia sarebbe potuto impazzire. Perché nessuno era ancora venuto a dirgli qualcosa? A spiegargli cosa avrebbero dovuto fare?
Kenny Williamson si alzò dalla sedia e iniziò a misurare a grandi passi il corridoio. Camminò dalla sua sedia fino alle finestre che davano sul parcheggio davanti all’edificio di mattoni rossi che era il dodicesimo distretto della Polizia di Filadelfia e guardò distrattamente fuori, ma l’unica cosa che vide, riflessa sui vetri leggermente opachi, era il suo riflesso: l’immagine di un ragazzo giovane, dai capelli biondicci corti ben pettinati che incorniciavano un viso affilato dai piccoli occhi castano chiaro che lo guardavano pieni di tensione. Lo sguardo scorse inevitabilmente verso il basso e non poté fare a meno di sorridere leggermente alla vista della divisa della polizia che indossava: la camicia grigia, il distintivo appuntato sul petto, la fondina vuota appoggiata al fianco. Stava indossando il sogno di una vita. Il desiderio più grande che aveva mai avuto si stava finalmente realizzando. 
Kenny si girò indietro e ripercorse a ritroso il corridoio tentando di scacciare la tensione. Alle sue spalle trovò, ancora seduto nella stessa posizione in cui l’aveva visto pochi secondi prima, Theodore Turner, l’altro agente appena uscito dall’accademia che quel giorno avrebbe preso servizio con lui al distretto.
Theodore, che però tutti chiamavano solo Ted, era un ragazzo nerboruto, alto almeno una spanna in più rispetto a Kenny, con le spalle larghe da giocatore di football e le gambe muscolose tipiche dei running back. Il volto severo, dai lineamenti un po’ rozzi, contribuiva a dargli un’aria da duro soprattutto grazie alla mascella squadrata, gli occhi scuri quasi neri e i capelli dello stesso colore. In quel momento, però, Theodore, aveva perso ogni traccia dell’aria scontrosa che normalmente aveva e sembrava ancor più nervoso di Kenny.
«secondo te quanto ci faranno ancora aspettare?» chiese Ted rompendo finalmente il silenzio.
«non lo so» rispose semplicemente Kenny alzando impercettibilmente le spalle al cielo «ma penso che tra poco ci chiameranno»
Il silenzio cadde di nuovo tra i due che in quel momento non riuscivano a trovare un altro valido argomento di conversazione per ingannare l’attesa.
«sono il primo della mia famiglia nella polizia» continuò Ted dopo alcuni minuti «ma il padre di un mio amico lo era»
Kenny annuì senza aggiungere nulla, all’improvviso gli sembrava che la gola gli fosse diventata così secca che non avrebbe potuto dire più nemmeno una parola.
«il padre del mio amico diceva che i primi tempi sono i più belli ma anche i più difficili: tutto è nuovo, sconosciuto, entusiasmante, ma è anche facile sbagliare e combinare dei disastri e poi … sai … i colleghi tendono a non prenderti molto sul serio inizialmente, ci mettono un po’ prima di accettarti nella squadra»
«che vuol dire?» chiese allarmato Kenny.
«bhe, che quando sei nuovo ti usano come galoppino per i lavori che nessuno vuole: scrivere i rapporti, le perquisizioni agli ubriachi, le retate nei posti peggiori, ecco: cose del genere»
«speriamo che qui non sia così» rispose con un filo di voce Kenny «o almeno che duri giusto un paio di settimane»
«comunque avremo a che fare con il peggio della feccia: siamo nel ghetto dei negri. Praticamente ogni settimana qui c’è un morto ammazzato, una sparatoria o una rapina»
«ma di sicuro non ci manderanno in pattuglia da soli la prima settimana» disse Kenny più per convincere se stesso che confortare Ted.
Finalmente un altro agente, un ragazzo poco più anziano di loro, ma che dimostrava più anni di quanti ne avesse realmente, alto e allampanato, dall’aria emaciata e con il volto  secco reso ancora più magro dai capelli castani rasati quasi a zero che nascondevano a malapena le tempie, si avvicinò ai due nuovi colleghi. Sulla divisa c’era scritto Walsh, il suo cognome.
«venite, il sergente vi sta aspettando nel suo ufficio» dopo si girò e, senza aspettare che i due si alzassero per seguirlo, si incamminò nella direzione opposta rispetto a quella da cui era venuto fino all’ufficio del suo capo, tre porte più in là.
L’ufficio del sergente era un luogo anonimo, del tutto simile agli altri uffici dentro quella stazione: i pavimenti in legno scolorito rigati dalle sedie strisciate per terra, le pareti bianco sporco a cui erano addossati numerosi schedari chiusi a chiave stracolmi di fascicoli, una finestra sulla destra da cui filtrava poca luce per via delle veneziane abbassate quasi completamente e al centro una scrivania coperta da faldoni su cui spiccava la targa in ottone con la scritta sergente.
Quando l’agente Walsh aprì la porta dell’ufficio una nuvola di fumo di sigaretta investì i due ragazzi. Dentro, tre uomini addossati alla scrivania, stavano fumando e parlando in modo concitato, almeno finché la loro conversazione non venne interrotta dal drappello di nuovi arrivati.
«ah, questi devono essere i nostri due nuovi rinforzi» disse l’uomo al centro, il più vecchio dei tre «grazie Walsh, può andare» ordinò il sergente e l’agente eseguì subito chiudendosi alle spalle la porta «agenti Turner e Williamson, giusto?»
I due ragazzi annuirono senza dire nulla.
«bene, bene … venite avanti» aggiunse poi staccandosi dalla scrivania e indicandogli con un gesto della mano che potevano spostarsi dalla soglia della porta.
Gli altri due agenti nella stanza, oltre al sergente e ai due nuovi arrivati, erano poco più vecchi di Kenny e Theodore. Il primo, che da poco aveva superato i trenta anni, sorrideva gentilmente ai due ragazzi: era un uomo dall’aspetto abbastanza comune, aveva il volto glabro e spigoloso, con grandi occhi marroni e capelli castano rossicci discretamente cotonati. L’altro, invece, benché avesse solo un paio di anni in più rispetto al primo, aveva un’aria cupa e stanca: era alto poco meno di Theodore, anche se meno muscoloso. Come il ragazzo aveva folti capelli neri che disegnavano al centro della spaziosa fronte una sorta di V, ma ciò che rendeva il suo aspetto così fosco era il piglio accigliato degli occhi che scrutavano torvi i nuovi arrivati senza che le sue labbra pallide e tirate potessero anche solo accennare un timido sorriso. 
«i vostri istruttori dell’accademia dicono grandi cose di voi, ma bisogna mettere subito in chiaro che qui non è l’accademia: il quartiere è pieno di negri e topi di fogna che venderebbero anche la madre per fare un po’ di soldi. Gli unici bianchi che vedrete qui in giro o sono poliziotti o sono criminali, quindi per ora ho deciso che farete coppia con gli agenti Montgomery e Mitchell» iniziò a spiegare ai due giovani agenti «vi guarderanno le spalle e faranno in modo che non vi cacciate in nessun guaio. Voi dovete eseguire ogni loro ordine alla lettera perché, se vengo a sapere che fate qualcosa di testa vostra, vi spedisco dietro una scrivania e potete dire addio a una qualsiasi forma di carriera. Montgomery e Mitchell hanno fatto coppia su queste strade per molto tempo e sanno cosa bisogna fare, quindi, se non volete finire in ospedale o peggio, è meglio che gli stiate attaccati come due sanguisughe»
I due ragazzi annuirono di nuovo sempre senza aggiungere nemmeno una parola.
«molto bene» esclamò compiaciuto il sergente «Turner, tu starai con l’agente Ray Montgomery» e indicò l’agente che sorrideva «Williamson invece con John Mitchell» e fece un cenno all’altro poliziotto «potete andare»
I quattro uscirono dall’ufficio, ma appena la porta venne chiusa alle spalle dell’agente Turner i due ragazzi si fermarono per ricevere le prime istruzioni.
«voi due» disse burbero Mitchell «tra dieci minuti giù nel parcheggio che iniziate con il vostro primo giro di pattuglia per il quartiere»
I due annuirono e affrettarono il passo per andare a recuperare negli armadietti degli spogliatoi le pistole.
«hai sentito? Se gli staremo attaccati non ci succederà nulla» parlò per primo Kenny mentre controllava che la sua pistola avesse la sicura inserita.
«speriamo» fu l’unica risposta di Ted mentre sistemava l’arma d’ordinanza nella fondina.
«fidati: andrà tutto bene» rispose Kenny chiudendo con una manata l’armadietto e avviandosi verso l’uscita senza aspettare il collega.
Sei mesi più tardi al dodicesimo distretto arrivò una chiamata: sotto il ponte del 65th strada, quello che scavalcava la ferrovia, c’era un corpo massacrato di botte, il cadavere di un giovane poliziotto dai capelli biondicci corti. Chi lo avesse ridotto così male non riuscirono a scoprirlo e il caso non venne chiuso. 

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Capitolo 2
*** Il testimone ***


«potete accodarvi qui» disse un’infermiera alle detective Rush e Miller indicando due poltrone nella sala d’attesa fuori dal reparto di terapia intensiva «vado subito a chiamare Padre Gaines» poi scomparve dietro alle porte rompi fuoco che permettevano l’accesso al reparto di rianimazione.
«perché siamo qui?» chiese Kat
«non lo so nemmeno io, ma questo padre Gaines ha chiesto che venissimo perché potrebbe avere delle informazioni su un caso del ‘65» rispose Lilly concentrandosi poi su un quadretto dai colori sbiaditi appeso alla parete di fronte a lei.
«Scotty mi ha detto che Cristina si è ripresa la bambina» iniziò cauta Kat approfittando del momento di calma «tu come stai?»
Lilly la guardò nemmeno troppo stupita. Evidentemente Scotty avesse deciso di spiegare anche agli altri perché ultimamente era diventata così strana, più silenziosa e pensosa del solito. Comunque, pensò Lilly, era meglio così, tanto prima o poi lo avrebbe scoperto lo stesso.
«è strano, ma va tutto bene» rispose Lilly senza troppa enfasi.
Le porte della terapia intensiva si aprirono, ma ne uscì solamente un infermiere che andò dritto senza degnare di uno sguardo né Lilly né Kat.
«ok, se hai bisogno comunque …» Kat, però, non poté finire la frase.
Le porte della terapia intensiva si aprirono di nuovo, ma questa volta ne uscì un corpulento uomo di colore che dimostrava circa una settantina d’anni, con radi capelli bianchi, il viso glabro, un paio di occhialetti rotondi dalla montatura d’orata sul naso e completamente vestito di nero con il collarino bianco da prete al collo.
«sono Padre Gaines della chiesa di St. Martin a Cobbs Creek» si presentò l’uomo stringendo la mano alle due poliziotte «vi sono molto grato per essere venute subito»
«al telefono ha detto di avere delle informazioni su un caso del 1965 … » ma Lilly venne subito interrotta.
«non sono io che posso aiutarvi. Vi ho chiamato perché un mio parrocchiano ha qualcosa da confessarvi riguardo ad un omicidio avvenuto nel settembre del ‘65» iniziò tranquillo il padre.
«ha ucciso un uomo?» chiese Kat.
«no, ma sta per morire e non vuole che ciò che ha visto scompaia con lui. Ha delle informazioni sull’omicidio di un poliziotto»
«possiamo parlare con lui?» continuò Lilly.
«certamente è per questo che vi ho chiesto di fare in fretta: non sappiamo per quanto tempo sarà ancora cosciente. Devo però avvertirvi che è molto malato, quindi non potrete rimanere dentro a lungo» detto questo Padre Gaines aprì la porta di metallo e fece strada alle due detective.
Oltre la soglia si estendeva un lungo corridoio con porte su entrambi i lati: alcune chiuse, altre invece erano aperte e lasciavano intravedere all’interno persone attaccate a respiratori e altri macchinari. Lilly e Kat seguirono a passo svelto Padre Gaines senza prestare troppa attenzione ai degenti ed entrarono in una stanza a circa metà del corridoio. All’interno, un altro uomo di colore sulla sessantina, sonnecchiava rannicchiato mentre attorno a lui un paio di persone vegliavano.
«potreste lasciarci soli un momento?» chiese Padre Gaines ai famigliari che subito lasciarono la stanza e, quando anche l’ultimo se ne fu andato, chiuse la porta e si avvicinò all’uomo steso nel letto. Era un uomo piccolo, dal volto segnato da rughe profonde e dall’aspetto emaciato di chi è da troppo tempo in ospedale con una condanna a morte che gli pende sul capo.
«Malcolm, sono arrivate queste due detective per te» disse dolcemente scuotendolo per la spalla finché l’altro non aprì gli occhi.
Malcolm, aiutato da padre Gaines, che gli sistemò i cuscini dietro la schiena, si mise a sedere per poter vedere bene in faccia Lilly e Kat, ma solo quel minimo sforzo bastò per mozzargli il fiato.
«sono Malcolm … » tentò questo di presentarsi ma un eccesso di tosse gli impedì di continuare.
«Malcolm è meglio se gli racconti subito quello che hai detto a me ieri» intervenne Padre Gaines pacatamente dandogli qualche colpo leggero sulla schiena.
«va bene» Malcolm respirò profondamente, poi riprese a parlare «nel settembre del 1965 io ero solo un ragazzino, avevo dodici anni. All’epoca abitavo a Cobbs Creek vicino alla ferrovia e a volte succedeva che di notte uscissi di nascosto per non farmi trovare da mio padre quando tornava a casa ubriaco» si fermò ancora per poter riprendere fiato «uscivo e camminavo lungo i binari, a volte arrivavo fino a  Connel Park. Quella sera avevo deciso di spingermi oltre, almeno fino alla 67 strada, ma poi era diventato troppo buio e in giro c’era gente poco raccomandabile così mi decisi a tornare indietro. Mentre tornavo verso casa, però, sotto il ponte della 65 strada l’ho visto … » si fermò di nuovo per la tosse.
«il poliziotto ucciso?» chiese Lilly e l’uomo annuì.
«all’inizio non l’avevo nemmeno notato, era buio e lui era per terra nascosto nell’ombra tra le sterpaglie, ma sentii qualcuno rantolare e allora mi accorsi della sua presenza. Mi avvicinai, era ancora vivo, completamente coperto di sangue, ma ancora vivo. Gli chiesi cosa fosse accaduto, ma sembrava che non mi capisse, continuava a ripetere le stesse parole, come se pregasse, una sorta di litania, ma era difficile capire cosa dicesse: boccheggiava e sputava sangue, ma lui continuava a ripetere solo quelle due parole continuamente: Jolly Blue»
«Jolly Blue?» chiese Kat come per essere sicura di aver capito bene. L’uomo annuì.
«poi però non disse più nulla. Morì di fronte a me»
«non si ricorda nient’altro che potrebbe aiutarci?» chiese invece Lilly.
«sì» disse con enorme fatica Malcolm «prima che mi avvicinassi al ponte vidi da lontano un uomo, un bianco, correre per la scarpata che saliva verso la strada e scomparire dentro un auto verde scuro guidata da qualcun altro» a questo punto Malcolm riprese a tossire in modo più intenso di prima senza riuscire a respirare.
«è meglio se andate» disse Padre Gaines aiutando l’uomo a stendersi nuovamente.
Kat e Lilly lasciarono la stanza e uscirono dalla terapia intensiva senza dire una parola.
«secondo te cosa volevano dire quelle due parole?» chiese Kat rompendo finalmente il silenzio.
«non lo so» ripose pacata Lilly «ma dobbiamo scoprirlo»
 
 

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Capitolo 3
*** Un'indagine difficile ***


«un nuovo caso?» chiese Nick vedendo Lilly seguita da Kat entrare in ufficio portando con sé una scatola bianca delle prove sul cui fronte c’era scritto Kenny Williamson, settembre 1965.
«sì» annunciò Lilly appoggiando la scatola sulla sua scrivania «l’omicidio irrisolto di un poliziotto».
«di chi si tratta?» chiese il tenente Stillman avvicinandosi alla detective.
«dell’agente Williamson: era appena uscito dall’accademia ed era stato da poco assegnato al dodicesimo distretto quando venne trovato morto»
Lilly aprì la scatola ed iniziò ad ispezionare le prove che erano contenute lì dentro.
«fu un caso di cui si parlò molto» iniziò a ricordare il tenente «quando fui assegnato anch’io al dodicesimo se ne discuteva ancora: non c’erano indizi né testimoni e tutti quelli che furono interrogati o non sapevano nulla o fingevano di non sapere»
«una bella gatta da pelare» intervenne Scotty che nel frattempo si era avvicinato assieme a Will.
«già, quello era un quartiere difficile: nessuno voleva collaborare, men che meno per l’omicidio di un poliziotto»
«però qualcuno telefonò al distretto perché venisse ritrovato il corpo» fece notare Nick.
«sì, ma fu una telefonata anonima» precisò il tenente.
«ci furono dei sospettati?» chiese pragmatico Will.
«molti, per lo più i pregiudicati che bazzicavano quella zona, ma non riuscirono ad inchiodare nessuno: credevano che fosse stato ucciso da qualche delinquente che era stato beccato in flagrante, ma non si trovò alcuna prova»
Lilly iniziò a sfogliare il fascicolo dai fogli ingialliti che era contenuto nella scatola e in cui erano state raccolte tutte le deposizioni degli interrogati e velocemente lesse alcuni passaggi di quegli interrogatori guardando anche alcune delle foto segnaletiche inserite tra le pagine.
«furono indagate solo persone di colore» fece notare Lilly mostrando anche agli altri le foto contenute nel plico tra le quali non ce n’era nemmeno il volto di una persona bianca.
«non c’è niente di stupefacente» osservò Will «erano gli anni sessanta e quello era un ghetto abitato prevalentemente da neri»
«il nostro testimone, però, sostiene di aver visto un uomo bianco scappare dalla scena del crimine» li informò Kat.
«ha saputo dire altro?» chiese Scotty.
«sì, dice che Williamson prima di morire continuava a ripetere le parole Jolly Blue»
«Jolly Blue?» chiese sorpreso il capo.
«sì» confermò anche Kat «perché? Vi dice qualcosa?»
«il Jolly Blue era un locale malfamato della zona» iniziò a spiegare Will.
«il genere di posto in cui potevi facilmente trovare un gran numero di delinquenti, certamente non il luogo più indicato per un poliziotto alle prime armi» continuò il tenente.
«esiste ancora il locale?» chiese Lilly.
«no, è stato chiuso molti anni fa dopo l’ennesima retata, ma credo che il proprietario non sia ancora morto» rispose Will.
«e allora da che parte cominciamo?» chiese Nick.
«potremmo partire dai suoi ex colleghi, magari sanno dirci qualcosa sul perché Williamson abbia nominato il Jolly Blue prima di morire» propose Scotty.
«l’agente Mitchell era il partner di Williamson, ma è stato ucciso nel 1968 mentre era in servizio» li informò il tenente «ma si potrebbe iniziare dal detective Turner, che arrivò al distretto assieme alla vittima: magari Williamson gli raccontò qualcosa che allora non ha avuto il coraggio di rivelare per non rovinare la reputazione del collega»
«dovremmo parlare anche con Montgomery, l’agente che allora faceva coppia con Turner, anche se ormai è in pensione da anni» aggiunse Will «è quello che ha passato più tempo su quelle strade»
«si potrebbe anche portare gli abiti della vittima al laboratorio» propose Lilly estraendo dalla scatola la busta trasparente contenente la divisa insanguinata che al momento dell’omicidio l’agente Williamson indossava «Williamson è stato picchiato a morte: magari l’assassino colpendolo si è ferito e potremmo trovare ancora delle tracce di DNA»
«sì, possiamo provare» acconsentì il tenente «nel frattempo Scotty e Will andrete da Turner»

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Capitolo 4
*** L'altra matricola ***


Scotty e Will trovarono il detective Turner seduto alla sua scrivania intento a compilare un modulo. Non era più il ragazzone nerboruto di un tempo: era ancora molto alto, ma il fisico da sportivo aveva lasciato da tempo il posto ad una pancia prominente tipica di chi beve troppa birra senza fare abbastanza movimento. Solo l’aspetto severo era rimasto immutato durante tutti quegli anni: lo stesso sguardo truce dei primi giorni di servizio scrutava torvo le carte che giacevano sulla scrivania mentre il viso dai lineamenti duri si contorceva in una smorfia di insofferenza a tutte quelle scartoffie. Giusto i capelli, ormai bianchi, e i baffi, che aveva fatto crescere nel frattempo ed ingialliti a causa del fumo, gli conferivano un aria un po’ meno cupa.
«detective Turner?» chiese Will per attirare la sua attenzione.
L’uomo distolse lo sguardo dalle pratiche che stava compilando per squadrare dall’alto in basso i due detective fermi di fronte a lui.
Dai tempi del dodicesimo distretto molte cose erano cambiate: era riuscito a fare abbastanza carriera per poter prima lasciare quei quartieri malfamati e poi diventare detective, infine era riuscito anche ad ottenere una scrivania alla buon costume: un incarico sicuro e privo di rischi.
«siete i detective che hanno riaperto il caso di Kenny, vero?» chiese con tono burbero.
«sì» rispose Scotty «e vorremmo sapere qualcosa in più sul suo collega»
«sì, certo» rispose, invitando con un gesto rude della mano Will e Scotty a sedersi sulle sedie davanti alla scrivania «che nuovi elementi ci sono?»
«un testimone dice di aver visto scappare dalla scena del crimine un uomo bianco su un auto verde scuro» rispose Scotty.
Per un istante il viso di Theodore sembrò sconvolto da una sorta di sentimento di stupore, come se quella notizia lo cogliesse completamente alla sprovvista, ma fu solo l’impressione di un attimo perché il suo sguardo tornò immediatamente quello fosco di sempre.
«un uomo bianco?» chiese come se quell’eventualità fosse qualcosa di completamente folle.
«sì» confermò Scotty «qualche idea su chi potesse essere?»
«è difficile da dire. Nel quartiere non giravano molti bianchi e quei pochi non ci amavano particolarmente»
«non è mai accaduto che uno di questi se la fosse presa con l’agente Williamson? Magari qualcuno che frequentava il Jolly Blue?» chiese Will.
«tutti i farabutti della zona andavano in quel postaccio. Comunque no, non credo … però …» e si fermò un attimo a riflettere su un episodio sepolto nella memoria «nella nostra prima settimana al distretto ci fu uno che non prese molto bene l’intervento di Kenny»
 
[My Girl - The temptations]
 
«ti stai ambientando?» chiese l’agente Montgomery a Theodore mentre girando in auto perlustravano le strade del dodicesimo distretto.
«sì, signore» rispose pronto il ragazzo continuando a scrutare le stradine che si diramavano tra i palazzi.
«non è necessario che continui a chiamarmi signore» continuò ridacchiando l’altro «puoi anche semplicemente chiamarmi Ray»
Ma prima che Turner potesse rispondere, Montgomery dovette inchiodare l’auto per non investire un uomo che, sbucato fuori dal nulla, stava correndo a perdifiato in mezzo alla strada inseguito dall’agente Williamson.
«ma che diavolo … » Montgomery accese subito la sirena e,  invertita la marcia, si lanciò anch’egli al inseguimento dell’uomo, ma prima ancora che potesse anche solo raggiungerlo l’uomo era già stato bloccato a terra da Kenny.
«vediamo cosa sta combinando» propose Ray saltando giù dall’autopattuglia subito seguito da Ted «Williamson che sta succedendo?» chiese con fare autoritario l’agente.
«signore l’ho trovato nel vicolo qua dietro a vendere roba sospetta» spiegò velocemente il ragazzo ancora accosciato al suolo mentre tentava di immobilizzare l’uomo steso a terra «credo che sia tutta merce rubata»
Kenny riuscì finalmente ad ammanettare l’uomo e lo tirò in piedi con un violento strattone. Era un ragazzo giovane, sulla ventina, dalla corporatura abbastanza tozza, con folti capelli scuri leggermente mossi e il viso largo sporco di sangue sotto il labbro spaccato. 
«dove è l’agente Mitchell?» continuò Montgomery guardandosi attorno.
«non lo so, stavamo pattugliando la zona est a piedi quando ci siamo divisi»
«e non ti ha detto dove andava?»
«no, ha detto solo che doveva fare un lavoro prima di tornare al distretto»
«che diamine vuoi fare, staccarmi il braccio?» li interruppe l’uomo ammanettato che Kenny stava ancora saldamente trattenendo stringendogli una mano attorno al braccio destro e premendogli l’altra dietro alla nuca.
«che cosa ne facciamo di lui?» continuò l’agente Williamson.
«io e Turner lo portiamo in centrale con noi e lo arrestiamo per detenzione di materiale illegale. Tu torna dove l’hai trovato e sequestragli la roba» rispose Ray.
«non c’era niente di illegale schifoso piedipiatti» rispose arrogante l’uomo ammanettato sputando in faccia a Kenny.
L’agente Williamson gli diede un altro strattone spingendolo rabbiosamente contro la fiancata dell’autopattuglia prima di pulirsi il volto con il dorso della mano.
«fallo un'altra volta e ti spacco la faccia» gli rispose iroso il ragazzo.
«ah sì?!? Credi che abbia paura di te?!?» replicò canzonatorio l’altro «stai attento che appena mi tolgono queste manette vengo a cercarti per gonfiarti di cazzotti quel bel visino d’angelo»
«vorrà dire che ti aspetterò» gli rispose altrettanto beffardo Kenny.
«adesso basta» si intromise in maniera decisa l’agente Montgomery  «caricalo in macchina e che sia finita»
Senza troppa delicatezza Kenny prese di nuovo per il braccio l’uomo che aveva appena arrestato e
senza troppe cerimonie lo spinse dentro l’auto prima di chiudere lo sportello.
«non è finita qui» urlò da dentro l’auto l’uomo «te la farò pagare»
 
«ha un nome quest’uomo?» chiese Scotty.
«non me lo ricordo, era solo un ladruncolo della zona, ma sono certo che se guardate tra i verbali firmati da Kenny lo troverete: fu il suo primo arresto» Theodore si allungò sullo schienale della sedia: era evidente che non aveva nient’altro da dire.
«bene» intervenne Will «vorrà dire che se avremo ancora bisogno di lei la verremo a cercare»
«sì, certo … anzi vorrei che mi teneste aggiornato sugli sviluppi delle indagini. Io e Kenny non ci conoscevamo bene, ma è pur sempre stato un mio collega ed è stato uno shock quando lo hanno trovato morto»

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Capitolo 5
*** La retata ***


Era stato facile scoprire che l’uomo arrestato da Kenny si chiamava Oliver Constant, più difficile fu scoprire dove si trovasse dopo cinquant’anni da quell’arresto: per anni aveva continuato ad entrare ed uscire dalla prigione per piccoli reati che lo tenevano dentro per non più di un paio di mesi, ma ormai da una decina di anni era scomparso del tutto dai registri della polizia. Aveva smesso di rubare ed era diventato troppo vecchio per continuare a fare il ricettatore così si era arreso a vivere come un vagabondo, girando senza meta per la città in cerca di qualche spicciolo per potersi comprare da mangiare o frequentando di tanto in tanto i rifugi per i senzatetto.
In uno di questi rifugi lo trovarono Scotty e Lilly: era diventato un omino magro dal viso solcato da profonde rughe che si confondevano nella crespa barba incolta che gli copriva di grigio gran parte del volto. Se ne stava seduto in un angolo infagottato in due cappotti sgualciti con un berretto di lana calcato sugli occhi contando gli ultimi dollari che gli erano rimasti in tasca.
«Oliver Costant?» chiese Lilly per attirare l’attenzione dell’uomo «Polizia di Filadelfia»
«Sì, sono io» rispose rauco l’uomo aguzzando la vista verso i distintivi dei due detective «Ci fossero state certe poliziotte alla mia epoca mi sarei fatto beccare più spesso» continuò beffardo.
«Ti ricordi dell’agente Williamson?» continuò imperturbabile Lilly mostrandogli una foto del poliziotto.
«Può darsi»
«Nel ’65 hai minacciato di gonfiarlo di botte e pochi mesi dopo è stato picchiato a morte» gli rammentò Scotty.
«Un attimo» disse allarmato Oliver «Io non c’entro niente con quello che gli è successo»
«Ma lo hai minacciato» continuò il detective.
«Sì, è vero, ma non l’ho mai toccato. Era solo un novellino che non sapeva come girava il mondo: mi ha arrestato ma nel frattempo la mia roba era già scomparsa e così è stato costretto a rilasciarmi subito con tanto di scuse per il labbro rotto»
«Ed è finito tutto lì?» chiese Lilly.
«Certo» rispose lui esasperato «Io non sono mai stato uno stinco di santo, ma nemmeno quelli là ci andavano giù leggeri e quell’agente aveva problemi ben più grossi di me»
«Cosa intendi?» chiese ancora Scotty.
«Intendo dire che in un’irruzioni combinò un bel casino»
 
[California Dreamin- Mamas & Papas]
 
Oliver, seduto al bancone, fece segno al ragazzino che quella sera serviva di versargli un altro whisky.
«Dov’è l’altro?» chiese Oliver riferendosi al ragazzo che tutte le altre sere gli dava da bere e si girò indietro a guardare tra gli altri avventori, per vedere se riusciva a trovare tra i clienti il volto scuro del ragazzo.
«È dietro a fare un lavoro» rispose timoroso il ragazzino dietro al bancone.
Quel nuovo barista non era abituato a stare al banco e tutte le volte che versava da bere gli tremava la mano facendo uscire dal bicchiere parte del liquido. Di solito, infatti, passava le sue giornate nel retrobottega e più che come barista, lavorava come facchino del proprietario.
«Stai più attento Alec» tuonò il proprietario del locale che era appena apparso sulla soglia della porta che collegava quella stanza con il retrobottega «Vai dietro a recuperare uno straccio per pulire» e il ragazzino scomparve immediatamente oltre la porta che aveva appena varcato l’uomo.
Il proprietario, un uomo di colore di media statura con i capelli neri corti pettinati e brillantinati indietro e un paio di baffetti appuntiti, versò da bere un altro bicchiere di whisky ad Oliver ma prima che questi potesse avvicinarlo anche solo alle labbra, la porta del locale si spalancò violentemente e un gruppo formato da una decina di uomini in divisa irruppe dentro.
«Fermi tutti polizia!» urlò il primo agente del contingente.
Alcuni tentarono di alzarsi dai tavoli dove stavano bevendo per scappare via, ma l’uscita era sbarrata dai poliziotti che si sparpagliarono velocemente per il bar sbattendo gli avventori sulle sedie o contro i tavoli  e incominciando a perquisire persone a casaccio.
«Che cosa state cercando?» chiese freddamente il proprietario ormai abituato a quelle retate improvvise.
«Abbiamo avuto una soffiata su della merce rubata» gli rispose un poliziotto «Sono tutte qua le persone nel locale?»
Il proprietario lo guardò imperturbabile e non rispose, ma quasi inavvertitamente guardò verso la porta che conduceva nel retrobottega e uno dei poliziotti, l’agente Mitchell, si staccò dai suoi colleghi e andò nel retro a controllare.
Oliver si alzò lentamente dal suo sgabello e silenziosamente scivolò verso la parete destra del locale per potersi avvicinare all’ingresso il più possibile e poter così cogliere la prima occasione per fuggire fuori perché, se era merce rubata quella che stavano cercando, sicuramente lo avrebbero tirato in mezzo.
Dal retrobottega si sentì la voce del poliziotto che intimava a qualcuno di fermarsi. Alcuni poliziotti lasciarono perdere per un momento le persone che stavano perquisendo e si mossero verso il bancone e uno di loro, l’agente Williamson, corse verso il retro scomparendo anche lui oltre la porta. Appena svanì dalla vista di Oliver si sentì un forte rumore, come di uno scaffale che cade al suolo con tutto il suo carico di bottiglie che si infrangono, seguito subito dopo dal fragore di uno sparo.
Oliver, approfittando dello scompiglio seguito al colpo di pistola, si guadagnò l’uscita e corse fuori dal locale. Senza fermarsi corse verso un vicolo che costeggiava il lato del locale e lo imboccò, ma dopo pochi metri fu costretto a fermarsi: su quella stessa viuzza si affacciava infatti l’uscita secondaria del bar e lì fuori, accanto alla porta spalancata, steso a terra in una pozza di sangue, c’era il ragazzo che tutte le sere gli serviva da bere con un foro nel mezzo della schiena.
Oliver lo guardò pietrificato: il volto inespressivo girato di lato, le gambe molli, le braccia abbandonate lungo i fianchi, la maglia macchiata di sangue sulla schiena. Quella vista lo colse talmente all’improvviso che non si rese nemmeno conto del giovane poliziotto accosciato vicino al ragazzo morto.
L’agente Williamson impietrito guardava anche lui con occhi sbarrati il cadavere del giovane farfugliando parole che Oliver non riusciva a sentire.
«Cosa è successo?» chiese un altro agente affacciatosi dalla porta secondaria appena vide quello spettacolo «Dov’è Mitchell?»
«Non lo so» balbettò Kenny disperato portandosi una mano alla bocca.
L’agente sulla porta vide Oliver nascosto nella penombra del vicolo e subito gli si avvicinò con fare imperioso.
«Sparisci immediatamente se non vuoi che ti sbatta in galera» ringhiò addosso al ladruncolo che non si fece ripetere due volte quell’avvertimento prima di scappare via.
 
«Fu l’agente Williamson ad uccidere il ragazzo?» chiese Scotty.
«Questo non lo so, ma se fossi stato in lui me la sarei data a gambe immediatamente: quel ragazzo era Michael Whitaker il figlio di un personaggio losco della zona. Certo, il padre era morto già da un paio di anni, ma non mi stupirebbe se la sorella del ragazzo avesse chiesto a qualche vecchio amico del padre di fare giustizia. Anzi, mi sorprenderebbe il contrario: era un tipetto niente male quella ragazza»
«Dove avvenne la retata?» chiese infine Lilly.
«Al Jolly Blue» rispose Oliver.
Lilly e Scotty, a quella risposta, si scambiarono uno sguardo d’intesa: quel bar era certamente la chiave di tutto il caso.

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Capitolo 6
*** I soldi nel cruscotto ***


Kat e Will attraversarono la strada diretti verso una palazzina quadrata di mattoni grigi dall’aria un po’ trascurata e colorata da numerosi graffiti. Anche la targa in ottone vicino alla porta a vetri dell’ingresso,  sulla quale si sarebbe dovuto leggere “Centro Karen Walton per giovani di strada”, era stata imbrattata. 
I due detective entrarono dentro e immediatamente si trovarono circondati da un gran numero di ragazzini vocianti che correvano da una parte all’altra della sala rincorrendosi e giocando tra di loro. Una donna minuta dalla vaporosa acconciatura di capelli bianchi, un paio di occhiali dalla montatura spessa e le lenti rotonde che le ingrandivano gli occhi, si fece largo tra tutte quelle persone e venne incontro a Kat e Will appena i due varcarono la soglia.
«Vi posso aiutare?» chiese con voce squillante lei sorridendo ai detective.
«Stiamo cercando Olivia Whitaker» rispose Will.
«Allora l’avete trovata, cosa posso fare per voi?»
«Siamo detective della polizia di Filadelfia e vorremmo parlare con lei della morta di suo fratello» continuò Will. Il sorriso sul volto della donna si spense un po’ al suono di quelle parole.
«Vorrà dire il suo omicidio» puntualizzò lei senza scomporsi «Seguitemi da questa parte» aggiunse poi guidando Kat e il collega in una stanza deserta al primo piano dell’edificio.
«Come mai volete parlarne ora dopo così tanto tempo?» chiese lei appena ebbe chiuso la porta alle spalle dei detective.
«Crediamo che la morte di suo fratello possa essere collegata all’omicidio di questo agente» spiegò Kat mostrando alla signora la foto di Kenny in divisa «Lo riconosce?»
«Sì, era uno di quei poliziotti che fecero la retata al Jolly Blue, ma cosa c’entra Michael con la sua morte?»
«Un nuovo testimone ci ha detto che lei non avrebbe esitato a chiedere aiuto a qualche vecchio amico di suo padre per fare giustizia per suo fratello» disse ancora Will.
«Allora quel testimone parlava a vanvera: mio padre se n’è andato molti anni prima della morte di Michael e quando è scomparso dalla nostra vita abbandonandoci, noi non ne abbiamo più voluto sapere nulla di lui. Certamente non sarei mai andata a cercare uno dei suoi scavezza collo, men che meno per far uccidere qualcuno» rispose Olivia con fermezza «E poi quell’agente doveva guardarsi più dai suoi colleghi che da me»
«Dai suoi colleghi?» chiese Kat.
«Sì. Una sera poche settimane dopo il funerale di mio fratello l’ho rivisto  assieme al suo compagno di pattuglia e tra i due c’era molta tensione»
 
[Papa’s got a brand new bag-James Brown]
 
Olivia camminava veloce rasente i muri tenendo basso lo sguardo: in tutte quelle settimane erano state tante le persone che erano venute a farle le condoglianze e a portarle un po’ di conforto, ma ora l’unica cosa che desiderava era  un po’ di solitudine. Non voleva più vedere nessuno e soprattutto non voleva più sentire nessuno ripeterle ancora una volta quelle vuote parole di inutile consolazione. Suo fratello era morto, lei era restata sola al mondo e tutti quei discorsi di commiserazione non sarebbero serviti a riportarlo in vita. Soprattutto non le avrebbero fatto capire perché era stato ammazzato.
La ragazza svoltò l’angolo e all’improvviso le apparve davanti. Dalla’altra parte della strada, parcheggiata proprio sotto alla luce arancione di un lampione, c’era una volante della polizia e dentro due poliziotti che lei sapeva per certo essere stati presenti al Jolly Blue il giorno dell’omicidio: gli agenti Mitchell e Williamson. Olivia si fermò di botto e quasi come se fosse in uno stato di trans, senza nemmeno rendersene conto, fece qualche passo indietro e andò a nascondersi nel buio del vicolo da cui era sbucata per poterli spiare senza essere vista.  
Dall’altra parte i due agenti seduti nella volante stavano discutendo animatamente a voce alta e Olivia, dal suo nascondiglio, poteva udire distintamente le loro voci che uscivano dai finestrini aperti diffondendosi per tutta la strada dove non c’era anima viva.
«… era l’unica cosa da fare» Olivia sentì dire a Mitchell.
«che cosa vuol dire, io non voglio nascondermi» gli rispose Williamson agitando freneticamente le mani.
Olivia osservò i due uomini: mentre John, seduto al posto di guida, era in divisa, probabilmente ancora in servizio, il ragazzo, seduto al posto accanto al guidatore, era in abiti civili e da come gesticolava in maniera forsennata sembrava molto agitato.
«è solo una cosa momentanea, appena si calmano le acque torni come effettivo e nessuno si domanderà mai cosa è successo»
«no, non hai capito. Non voglio sottrarmi alle indagini, voglio parlare con quelli degli affari interni»
«sei pazzo!» sbraitò Mitchell «abbiamo messo in piedi tutto questo per tenere fuori il tuo nome dalle indagini e tu ci vuoi andare volontariamente?»
«devo farlo»
«cosa te ne frega di quello lì, rischi di buttare via tutta la tua carriera per uno stupido negro. E poi non capisci che esporresti anche tutti noi: rischiamo di essere sospesi se qualcuno scopre che ti abbiamo coperto»
«ma non vi ho mai chiesto di farlo» tentò di giustificarsi Kenny.
«e noi lo abbiamo fatto lo stesso perché è così che si agisce tra compagni: ci si copre le spalle a vicenda e dovresti impararlo in fretta anche tu» tentò di calmarlo l’altro agente usando però sempre un tono molto glaciale «e poi cosa vorresti andare a raccontargli?»
«che c’ero anch’io»
«e poi?»
«e poi …» ma non riuscì a terminare la frase.
«allora resta al tuo posto» gli rispose risoluto l’agente più anziano.
«e la famiglia del ragazzo, non merita di sapere?»
L’agente Mitchell afferrò Kenny per il braccio costringendo il ragazzo a voltarsi verso sinistra in modo che i loro due volti fossero a pochi centimetri di distanza.
«ora ascoltami bene» iniziò a dirgli a denti stretti Mitchell «tu fai quello che ti dico di fare: te ne stai zitto e calmo ancora per un paio di settimane finché è passato abbastanza tempo per poter chiudere le indagini senza destare sospetti. Poi te ne torni di pattuglia come se non fosse mai accaduto nulla e ci reggi il gioco, capito?!»
Williamson guardò il collega impietrito senza riuscire nemmeno a fare un cenno con il capo: non aveva mai visto Mitchell così arrabbiato e sentirlo parlare in quella maniera lo rendeva inquieto.
«ho già preso la mia decisione: non posso» rispose flebile il ragazzo deglutendo vistosamente.
«va bene, ho capito» rispose l’altro astioso mollando il braccio di Kenny che stava ancora stringendo.
Olivia, poi, lo vide piegarsi verso il basso, cercare qualcosa nel vano del cruscotto per poi rialzarsi tenendo in mano una busta bianca.
«vediamo se questa ti convince di più» disse John porgendo all’altro la busta.
Kenny aprì con circospezione la busta e ci guardò dentro per poi ritrarsi inorridito come se dentro ci fosse qualcosa di orripilante.
«da dove diavolo arrivano tutti questi soldi?» chiese il ragazzo stupefatto.
«che c’è non ti bastano?» chiese stizzito Mitchell.
«non li voglio» rispose Kenny uscendo di scatto dall’auto pattuglia lanciando verso l’altro la busta aperta dalla quale caddero fuori gran parte delle banconote che conteneva.
«torna indietro» gli urlò Mitchell, ma ormai l’altro agente si era già allontanato correndo via.
 
«non ricordo precisamente quante fossero, ma lì dentro c’erano molte banconote, troppe banconote per un onesto poliziotto» continuò Olivia saputa pulendosi gli occhiali nel gilet di maglia.
«crede che l’agente Mitchell fosse corrotto?» chiese Will.
«io non ne ho idea, ma quante volte le è capitato di girare per un quartiere come Cobbs Creek con una busta piena di soldi?»
«e Williamson?» chiese ancora Kat.
«non credo. Sembrava un ragazzo perbene, uno ancora incorrotto e pieno di  ideali: quando ha visto quelle mazzette aveva l’aria sconvolta. L’altro agente, invece, non ha affatto gradito la sua reazione: era furioso»
«furioso perché non aveva preso i soldi?»
«no, perché non voleva starsene zitto»
 
 
 

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Capitolo 7
*** Un caso irrisolto e una birra ***


«che cosa state leggendo?» chiese Nick avvicinandosi a Lilly, Will e Kat che assieme stavano analizzando un vecchio fascicolo dalle pagine ingiallite.
«i verbali sull’omicidio di Michael Whitaker» rispose Lilly.
«vogliamo capire perché Mitchell volesse tenere lontano Kenny da quelli degli affari interni tanto da arrivare ad offrirgli dei soldi» continuò Will.
«e avete trovato qualcosa?» chiese ancora il detective.
«non ancora» disse Kat «però ascoltate, questa è la deposizione di Mitchell, il primo che entrò nel retrobottega: “… Ho rincorso il sospettato lungo tutto il magazzino e lui, per bloccarmi, ha tentato di farmi cadere addosso un mobile pieno di bottiglie. Mi sono dovuto fermare altrimenti sarei rimasto schiacciato sotto e così l’ho perso di vista. Sono dovuto tornare indietro, ma prima che riuscissi a ritrovarlo ho sentito uno sparo …”»
«dice da dove provenisse lo sparo?» chiese Will.
«sì, più avanti aggiunge “… hanno sparato da fuori. Ero solo lì dentro …”»
«sentite quest’altra dichiarazione di un altro agente» intervenne Lilly «“… Non ho visto chi ha sparato, ma uscendo fuori nel vicolo ho visto un uomo scappare …”, ma Constant non ci ha parlato di nessun altro uomo»
«forse è scappato prima che lui arrivasse» ipotizzò Nick.
«cosa dice Williamson a riguardo?» chiese Will.
«niente, qui non c’è la sua deposizione» rispose Lilly passando velocemente le pagine dei verbali.
«e non è indicato nemmeno tra gli agenti presenti alla retata» osservò Kat scorrendo con lo sguardo l’elenco dei nomi e leggendo i nominativi degli agenti presenti al Jolly Blue.
«si sono dimenticati di interrogarlo?» chiese poco convinta Kat.
«oppure non c’era nessun altro uomo nel vicolo e hanno voluto insabbiare la faccenda per farla passare liscia a Williamson» rispose mordace Nick.
«se così fosse ci sono riusciti bene: non è mai stato arrestato nessuno per questo omicidio» concluse Will.
«cosa facciamo ora?» chiese Kat.
«forse questo ci può aiutare» esclamò Scotty entrato proprio in quel momento reggendo in mano una grossa busta gialla sigillata «tra i reperti trovati sulla scena dell’omicidio non c’era il bossolo della pistola che sparò, ma sono riusciti ad estrarre il proiettile dal corpo di Michael. Durante le vecchie indagini questo però non servì a molto, ma forse se lo mandiamo alla balistica ci possono dare delle informazioni che allora non si potevano ricavare»
Gli altri detective furono immediatamente d’accordo con lui.
«e nel frattempo?» continuò Nick.
«credo che dovremmo andare a parlare anche con Montgomery. Mi sembra chiaro che le indagini siano state insabbiate e magari lui può dirci perchè» continuò Will.
«mi sembra una buona idea» intervenne il tenente che si era avvicinato agli altri detective solo in quel momento «domani andrò io stesso a parlare con l’agente Montgomery: è uno della vecchia scuola, se vogliamo che parli con noi, bisognerà prenderlo nel modo giusto e poi ci ho già avuto a che fare quando ero al dodicesimo»
I detective a quel punto si guardarono, non c’era più molto che potessero fare lì a quell’ora. Ormai era sera inoltrata e soltanto loro erano rimasti in quell’ufficio, tutti gli altri, chi prima chi dopo, avevano lasciato il distretto per tornare a casa dalle loro famiglie e solo pochi agenti di guardia era rimasto in giro.
«Andiamo a bere qualcosa giù al bar?» propose Nick mettendosi addosso il cappotto.
«Questa volta passo» rispose Will seguito da un cenno di Stillman.
«Anch’io» aggiunse Lilly.
«Io devo passare dalla balistica e poi vado a casa» disse Scotty.
«Devo tornare a casa da Veronica» si giustificò Kat.
«Allora vorrà dire che farò un giro da solo» rispose per nulla affranto il detective Vera.
I detective lasciarono tutti insieme la stazione di polizia e Nick, da solo, si diresse dall’altro lato della strada per entrare nel bar dove normalmente lui e i suoi colleghi andavano a festeggiare i casi chiusi con successo. Quello era un posto dall’aspetto piuttosto comune: aveva qualche tavolino rotondo sparso per la sala e un lungo bancone ricoperto di legno lucido e graffiato dai bicchieri strisciati. La sua peculiarità, però, era il fatto di essere frequentato quasi esclusivamente da poliziotti. Il detective si avvicinò al bancone andandosi ad accomodare su uno dei tanti sgabelli e con un gesto della mano richiamò l’attenzione del cameriere dall’altra parte del bancone, ma questi, prima di arrivare da lui, si fermò davanti alla donna che era seduta sullo sgabello accanto a quello di Nick.
«Ha superato il tetto della carta» disse il cameriere alla donna porgendole una carta di credito «con questa non ci può fare niente»
«Non è possibile!» esclamò lei incredula.
«È così. Deve pagare con un’altra»
La donna iniziò a cercare dentro la borsa il portafoglio, ma nella luce soffusa che regnava in quel locale trovare qualcosa sembrava impossibile, e prima che potesse estrarre qualsiasi cosa, la borsa le cadde di mano e tutto il suo contenuto si riversò sul pavimento.
«Accidenti!» esclamò lei «non è possibile»
Nick, che nel frattempo, perso nelle sue elucubrazioni, non si era accorto di nulla, si girò e vedendo la donna accosciata a terra nel tentativo di ricacciare dentro la borsa tutto quello che era caduto, si chinò accanto a lei per aiutarla.
«Grazie mille» lo ringraziò lei appena si rialzò dopo aver raccattato tutto quello che era a terra «Questa dovrebbe andare» aggiunse poi porgendo al cameriere un’altra carta di credito.
Nick, che fino a quel momento era riuscito a scorgere solo la massa di capelli fulvi della donna e le sue mani ben curate che si muovevano frenetiche sul pavimento, poté finalmente vederla per intero.
Era una donna sulla trentina dai folti capelli ricci lasciati sciolti sulle spalle e la fisionomia del volto tipica delle donne centramericane. Era vestita elegantemente, con un completo gessato grigio, che forse sarebbe stato più appropriato ad un meeting di economia che non per un posto come quello, e con una raffinata camicia bianca che però aveva una vistosa macchia nel mezzo. La donna si rese conto che Nick aveva notato la macchia e quasi istintivamente si chiuse la giacca del tailleur.
«È stata una giornata pessima» disse come se si dovesse scusare per qualcosa.
«Già» aggiunse solamente Nick tornando a sedersi e chiamando per la seconda volta il cameriere, ma anche questo volta, il ragazzo aldilà del bancone, si fermò prima dalla donna.
«Mi spiace ma nemmeno questa funziona» le annunciò.
«È uno scherzo vero?» rispose più che mai esasperata, ma il cameriere fece cenno di no con la testa per poi alzare le spalle al cielo come per dire che quello non era un problema suo.
«Senti metti tutto sul mio conto e portami una birra» intervenne Nick «Va bene?» chiese poi rivolgendosi alla donna aspettandosi una qualche forma di riconoscenza, ma la donna gli rispose con uno sguardo sdegnato.
«Non era necessario. Posso benissimo fare da sola» disse caustica.
«Ha detto di aver avuto una giornata pessima, volevo essere solo gentile» rispose sulla difensiva Nick.
La donna guardò prima Nick poi il cameriere che era rimasto lì fermo impalato in attesa per tutto quel tempo che qualcuno si decidesse a dirgli se poteva procedere o no.
«Va bene» si arrese lei alla fine «Posso almeno sapere chi è il mio benefattore?»
«Detective Nick Vera, squadra omicidi, anche se sarebbe più giusto delitti irrisolti»
«Delitti irrisolti?»
«sì, riapriamo vecchi casi e proviamo a risolverli ogni volta che si presenta una nuova prova»
«Vecchi quanto?» chiese incuriosita.
«Dipende, adesso abbiamo riaperto le indagini sull’omicidio di un poliziotto avvenuto nel ‘65»
«E dopo tutto questo tempo riuscite a trovare nuove piste?»
«A volte sì. È stupefacente vedere come a distanza di anni le persone possono confidare cose che prima non avrebbero mai raccontato neanche a costo di morire, perché si vergognavano o avevano paura»
«Per esempio?» continuò lei sempre più curiosa.
«Per esempio oggi una testimone ci ha parlato di alcuni poliziotti poco puliti che giravano indisturbati per certi quartieri della città»
«Davvero?!» disse lei colpita come se solo in quel momento si fosse resa conto davvero di chi ci fosse seduto lì accanto a lei.
«Davvero!» confermò Nick quasi contento di aver trovato qualcuno che trovasse così interessante il suo lavoro. Poi finalmente arrivò la birra che aveva ordinato e davanti a quel boccale riprese a parlare del suo lavoro con quella donna appena conosciuta.

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Capitolo 8
*** Il racconto di Kenny ***


Il tenente Stillman si guardò in torno e vide in lontananza, seduto su una panchina al lato del sentiero che tagliava tutto il parco, un uomo anziano dalla folta capigliatura bianca e la postura un po’ ingobbita che guardava divertito un cane che correva avanti e indietro dal suo padrone alla pallina da tennis che gli veniva lanciata. Quell’uomo, Ray Montgomery, era lì seduto da più di un quarto d’ora a guardare quella scena quando John gli si sedette accanto. Il vecchio agente si girò a guardare Stillman riconoscendolo al primo sguardo nonostante fossero passati molti anni dall’ultima volta che si erano incontrati: allora Ray vestiva ancora la divisa della polizia di Filadelfia e pattugliava con il suo compagno Mitchell le strade del dodicesimo distretto. L’uomo, ormai, era in pensione già da più di una decina d’anni e dal momento in cui aveva lasciato la polizia aveva iniziato a trascorrere le sue giornate tra il parco sottocasa e il circolo dei veterani della polizia passando gran parte del suo tempo ricordando i tempi andati.
«John Stillman» disse Ray sorridendo leggermente all’ex collega e stringendogli calorosamente la mano «Come mai sei venuto a cercare questo vecchio compagno d’armi?» continuò affabile.
«L’omicidio dell’agente Kenny Williamson» rispose il tenente risistemandosi con un gesto istintivo gli occhiale all’attaccatura del naso come se quella che stava per intraprendere fosse una chiacchierata di piacere tra vecchi colleghi «Abbiamo riaperto le indagini»
Ray si girò a guardare di nuovo il cane che ancora giocava pochi metri davanti a lui e sospirò pensieroso a quella notizia che gli fece tornare alla mente tanti ricordi.
«Brutta storia quella … era un bravo ragazzo» iniziò a ricordare «E come mai avete riaperto le indagini?»
«Sono venuti alla luce nuovi elementi, una nuova pista che non venne contemplata allora»
«Una nuova pista?» chiese incredulo Montgomery «Dopo tutti questi anni?»
«Sì, crediamo che Williamson fosse implicato nell’omicidio di Michael Whitaker ma che le indagini fatte allora lo abbiano volutamente lasciato fuori perché non parlasse con quelli degli affari interni»
«Stillman che cosa vorresti dire?» chiese dubbioso Ray senza però mai abbandonare il suo cordiale modo di fare e guardando dritto negli occhi Stillman «Che qualcuno al dodicesimo abbiamo volutamente insabbiato le indagini?»
«È quello che vogliamo scoprire» continuò pacato il capo per nulla intimorito dal terreno insidioso verso sui si stava muovendo la conversazione «Le indagini vennero chiuse in maniera sbrigativa senza che quelli degli interni interrogassero Williamson e sappiamo anche che Mitchell offrì dei soldi al ragazzo perché tenesse la bocca chiusa»
Montgomery distolse lo sguardo dal tenente e in silenzio rimuginò per un paio di secondi su quello che gli era stato appena detto e soprattutto su quello che avrebbe dovuto dire. Ormai erano passati molti anni, la sua carriera nella polizia era finita e qualsiasi cosa avesse raccontato non ci sarebbero più state ripercussioni sul suo stato di servizio: tanto valeva dire a John ciò che aveva bisogno di conoscere.
«Che cosa vuoi sapere Stillman?» chiese infine remissivo Ray.
«Quanto erano compromessi gli agenti Williamson e Mitchell con quella morte e l’insabbiamento?»
«Tanto, ma non nel modo che tu pensi»
 
 [Go Now!-The moody blues]
 
Montgomery entrò nello spogliatoio: anche quel lungo turno di pattugliamento era terminato e non vedeva l’ora di togliersi di dosso la divisa e tornarsene a casa per sedersi sulla poltrona del salotto a guardare in pace la televisione senza più nessuno che potesse chiamarlo per un intervento improvviso.
Si avviò a passo deciso verso il suo armadietto per riporci dentro l’arma d’ordinanza e recuperare i vestiti da civile, ma solo nel momento in cui chiuse l’anta dell’armadietto si rese conto di non essere solo lì dentro.
Pochi metri più in là, seduto su una panca nella penombra, c’era qualcuno che se ne stava immobile e in silenzio con lo sguardo fisso davanti a sé. Ray si bloccò a guardarlo da lontano e, se non fosse stato per gli occhi aperti, avrebbe quasi pensato che l’altro agente stesse dormendo.
«Kenny?» lo chiamò ad alta voce Ray.
Il ragazzo si girò e lo guardò distrattamente come se non lo stesse vedendo veramente, quasi che Montgomery fosse trasparente.
«Ma non hai smontato due ore fa?» continuò l’altro senza però ricevere alcuna risposta «Mi stai ascoltando?»
Montgomery iniziò a cambiarsi incurante del collega. Probabilmente, pensava Ray, il ragazzo aveva avuto una giornata pesante ed era troppo stanco per voler parlare.
«Sì» rispose dopo una lunga pausa Williamson con voce flebile.
«Sì cosa?» chiese ancora Ray avvicinandosi con circospezione al collega, ma quando gli fu davanti si fermò di botto alla vista delle condizioni in cui versava Kenny: la divisa del ragazzo era completamente ricoperta di sangue raggrumato ed anche le sue mani erano coperte della stessa sostanza scura ormai diventata violacea.
«Cos’è successo?» urlò quasi Ray a metà tra lo sconcertato e lo spaventato «Sei ferito?»
Il ragazzo, continuando a guardare un punto indefinito sulla parete di fronte a lui, scosse la testa per dire di no.
«Non è mio» aggiunse poi guardando finalmente in faccia Montgomery «È del ragazzo morto oggi»
«Ma di che stai parlando?»
«Del ragazzo morto al Jolly Blue» aggiunse con candida ovvietà come se Ray fosse l’unico essere vivente al mondo a non sapere quella novità.
«Dici durante la retata?»
Ancora una volta Kenny scosse la testa, ma questa volta per dire di sì.
«Ho visto il ragazzo aprire dall’altro lato del retrobottega la porta che dava sul vicolo laterale e ho iniziato a correre verso di lui per fermarlo, ma appena l’ha aperta ho sentito la deflagrazione e l’ho visto cadere a terra»
«C’eri anche tu lì dentro?» chiese stupefatto Ray.
«Sono corso verso di lui ed era ancora vivo»
«Ti ha detto qualcosa?» chiese con insistenza Montgomery.
«Respirava ancora, ma gli usciva così tanto sangue e io non sapevo come fermarlo»
«Hai visto qualcosa? Qualcuno scappare?» continuò incurante delle parole di Kenny interessato solamente a scoprire cosa sapeva il collega.
«Lui mi guardava agonizzante e io riuscivo a vedere solo tutto quel rosso, ho tentato di bloccarlo mettendogli le mani sopra ma non è servito a niente» concluse guardandosi le mani ancora sporche.
«Kenny ascoltami» riprese l’altro, tentando di ricollegare il ragazzo alla realtà «Hai visto chi ha sparato?»
Williamson lo guardò con gli occhi smarriti e il labbro che tremava.
«Che cosa faccio adesso?»
Ray lasciò perdere tutte le sue domande, Kenny era troppo scosso per potergli dare delle risposte.
«Adesso ci leviamo questa roba e poi te ne vai a casa, d’accordo?»
«D’accordo» rispose sommesso.
 
«Se quelli degli affari interni avessero saputo che c’era anche lui nel magazzino, avrebbero pensato proprio come voi che c’entrava qualcosa. Quei sorci che abitavano il quartiere aspettavano solo un nostro passo falso, come la morte di quel ragazzo, per scatenare una guerriglia e ai piani alti non importava nulla di sacrificarci per la “pace” del quartiere» disse sottolineando con disprezzo l’ultima frase «Quale spiegazione migliore se non un novellino a cui è partito per sbaglio un colpo di pistola per riportare la calma in quella polveriera che era il dodicesimo? Era una situazione complicata: nessuno nel quartiere credeva alla nostra versione dei fatti e ci davano addosso continuamente come se lo avessimo ammazzato noi Whitaker. Pensavano tutti che la storia dell’uomo appostato nel vicolo fosse solo una balla e se avessero scoperto che Kenny era nel magazzino, lo avrebbero fatto fuori certamente»
«E chi decise di occultare il rapporto?» chiese ancora Stillman.
«Fui io a chiedere a Mitchell e agli altri di lasciarlo fuori dalle indagini. Non volevo che perdesse il posto o che finisse addirittura peggio. Tutti quanti eravamo d’accordo: nessuno andò mai a dire a quelli degli interni che c’era con noi anche Kenny. Tanto che differenza avrebbe potuto fare? Lui non ne sapeva niente, non aveva visto proprio nulla»
«Ma ancora non riesco a capire: perché Mitchell ha tentato di far stare zitto Williamson con quei soldi?»
«Penso che tu l’abbia interpretata nel modo sbagliato: probabilmente il ragazzo era preoccupato di perdere il lavoro e Mitchell gli avrà dato qualcosa per tirare avanti, un po’ di soldi per non doversi preoccupare dei conti da pagare»
«Sarà, ma questo non spiega ancora da dove ha tirato fuori tutti quei soldi: si trattava di numerose mazzette»
«Stillman che cosa vorresti insinuare?» chiese brusco Ray cambiando completamente atteggiamento e ritirandosi precipitosamente sulla difensiva «Che il mio partner era una mela marcia?»
«Rispondi alla mia domanda, dove ha preso quei soldi?»
«Forse non hai capito, non ti aiuterò ad infangare il nome di Mitchell» scattò su rabbioso Ray alzandosi dalla panchina di soprassalto «John è morto per questa città, non dimenticartelo prima di andare in giro a dire certe cose!»
Detto questo si allontanò dal tenente lasciano Stillman da solo.

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Capitolo 9
*** Al Jolly Blue ***


Will era riuscito nell’impresa di rintracciare il vecchio proprietario del Jolly Blue, infatti l’uomo, alcuni anni dopo la morte dell’agente Williamson, aveva lasciato Filadelfia per trasferirsi a San Francisco e aprire lì un nuovo locale, però, ormai da una decina d’anni era tornato in città e abitava in un quartiere fatiscente della periferia sud, fatto di palazzoni decadenti pieni di lunghi corridoi marroni su cui si affacciavano, per ogni piano, almeno una ventina di appartamenti tutti ugualmente identici e fatiscenti. In uno di quegli appartamenti, più precisamente il numero 56, abitava Marcus Peek, l’ex proprietario del bar dove era stato ucciso il giovane Whitaker.
I detective Miller e Jeffries si avviarono per il corridoio semibuio dalla moquette polverosa fino all’ultima porta in fondo al corridoio dove sopra era stato avvitato il numero 56 di metallo.
«Polizia di Filadelfia, stiamo cercando Marcus Peek» disse ad alta voce Will bussando pesantemente sulla porta.
Dall’altra parte si sentirono dei rumori e quasi subito qualcuno arrivò ad aprire la porta che però si dischiuse giusto uno spiraglio, quel tanto che la catenella tirata permetteva. Oltre l’uscio, una giovane ragazza, scrutò torva il distintivo del detective prima di decidersi ad aprire del tutto la porta.
«Che cosa volete da mio nonno?» chiese lei brusca.
«Vogliamo solo fargli delle domande» rispose calmo Will guardando l’ingresso buio e ingombro di giacche, vecchi giornali e borse.
Sul corridoio interno, che correva parallelo al corridoio del piano, si affacciavano tutte le altre stanze dell’appartamento chiuse da porte di compensato bianco, solo di una stanza si riusciva ad intuire l’interno fatto di ombre ondulate oltre la doppia porta a vetri smerigliati.
«Lasciali entrare» qualcuno, che pareva parlasse dall’oltretomba, aveva parlato oltre la porta a vetri.
La ragazza, sebbene riluttante, fece entrare  i due detective e li introdusse nella stanza oltre alla porta a vetri in quello che doveva essere il salotto: una piccola stanza fortemente illuminata dalla luce del giorno e dalle pareti bianchissime, occupata per la maggior parte dello spazio da un vecchio divano marrone di finta pelle opaca vicino al quale un uomo in sedia a rotelle guardava con aria diffidente Will e Kat.
Marcus Peek aveva il volto deformato dalla vecchiaia e dalla malattia e dei bei tratti fini che da giovane l’avevano reso un bel ragazzo non rimaneva nemmeno l’ombra: non aveva più né i capelli né i baffetti e al loro posto era comparsa una cannula per l’ossigeno.
«Che cosa vuole ancora da me la polizia?» chiese con sfrontatezza.
Nonostante tutto non aveva ancora perso la grinta di una volta.
«Vorremmo farle delle domande sull’omicidio di questo poliziotto» spiegò Kat mostrando all’uomo la foto di Kenny in divisa.
Marcus prese la fotografia e la scrutò per un momento poi, rivolgendosi a sua nipote, disse «Vai a prendere qualcosa per i detective» per allontanarla dalla stanza.
«Che cosa volete sapere su Faccia d’Angelo?» chiese Marcus.
«Faccia d’Angelo?» chiese Kat incuriosita.
«Sì, per via dei capelli biondi, la sua aria da bravo ragazzo … è così che lo chiamavano tutti quanti al Jolly Blue»
«Williamson frequentava il suo locale?» chiese stupito Will.
«Non proprio, ma più di una volta venne a fare domande»
«Che genere di domande?» continuò Kat.
«Domande del genere di quelle che non si dovrebbero fare»
«Sull’omicidio di Michael Whitaker?»
«Anche, ma non solo» continuò con una certa reticenza.
«Anche su certi soldi che giravano al distretto?» colpì nel segno il detective.
«Sì, anche su quelli» rispose pacatamente l’uomo preso in contropiede dal fatto che anche i detective ne fossero a conoscenza.
«E c’era qualcuno a cui davano particolarmente fastidio?» continuò Miller.
«A molti, quello non era un posto per un poliziotto bianco alle prime armi soprattutto se ficcava il naso in affari non suoi, ma più che altro erano i suoi colleghi ad esserne infastiditi»
 
[Trouble in mind-Aretha Franklin]
 
Era una serata tranquilla: nel locale c’erano pochi avventori e qui pochi seduti ai tavoli, per una sera, non avevano stranamente voglia di ubriacarsi. Marcus, con un panno in mano, asciugava con fare annoiato i bicchieri di vetro prima di riporli sul bancone pronti per essere riempiti ancora una volta, quando la porta del Jolly Blue si aprì.
Il barista alzò lo sguardo aspettandosi uno dei soliti frequentatori, ma si stupì di vedere entrare un ragazzo giovane dal viso gentile e i tratti aggraziati che non gli sembrava di aver mai servito. Era sicuro di averlo già incontrato prima, ma non riusciva proprio a ricordare dove lo avesse già visto, certamente non seduto al suo bancone, perché un avventore così fuori dal comune rispetto ai loschi figuri a cui normalmente versava da bere non lo avrebbe certamente dimenticato.
Poi, all’improvviso, l’illuminazione: senza la divisa addosso non era stato facile ricollegarlo al distretto di polizia, ma nel momento in cui si era avvicinato al bancone lo aveva riconosciuto subito come uno dei giovani agenti appena arrivati al dodicesimo.
«Cosa le posso servire?» chiese con noncurante gentilezza cercando di mascherare il suo stupore nel vedere quel giovane agente in borghese in un posto come quello a quell’ora.
«Un brandy» rispose sicuro il ragazzo mettendosi a sedere su uno degli alti sgabelli.
Marcus lo servì celermente prima di tornare al suo ripetitivo lavoro di lucidatura dei bicchieri senza però mai togliere lo sguardo dal giovane. Gli altri clienti, come se si fossero svegliati solo in quel momento, iniziarono a guardare verso il bancone irrequieti alla vista del poliziotto: anche loro lo avevano riconosciuto quasi subito. Alcuni uscirono velocemente dal locale abbandonando i loro bicchieri ancora pieni sul tavolo, altri, invece, si alzarono pronti ad attaccar briga con quel novellino che aveva, in maniera così sprovveduta, invaso il loro territorio da solo e con il buio.
«Sarebbe meglio se finisse in fretta il suo brandy» suggerì a mezza voce Marcus a Kenny «Questo non è un posto adatto a te»
«Non ho fretta» rispose con ostentata durezza il ragazzo, ma ad un occhiata del barista verso la sala, il ragazzo si girò a guardare alle sue spalle: tutti quanti, anche se facevano finta di niente, erano pronti a mettergli le mani addosso appena si fosse presentata l’occasione «Va bene, ma prima mi deve dare delle risposte»
«Credi?!»
«Sì, il ragazzo ucciso il mese scorso, tu lo sai perché lo hanno ammazzato, non è vero?» chiese a bassa voce perchè nessuno, all’infuori del barista, potesse sentirlo.
«Io non so niente. Dovresti chiedere ai tuoi colleghi: loro erano nel retrobottega, non io»
«Non sono un idiota, tu lo sai e sai anche da dove vengono tutti i soldi che l’agente Mitchell ha sempre nel cruscotto della volante» continuò mantenendo a fatica il tono della voce basso.
Il tono arrogante del barista gli dava ai nervi, ma lui era lì per delle risposte quindi non poteva permettersi di perdere le staffe con l’unico che forse avrebbe potuto dirgli la verità.
«Te lo ripeto, io non so niente e faresti bene a girarti dall’altra parte anche tu»
Kenny buttò giù tutto in una volta il liquido ambrato che c’era nel bicchiere, ma non sembrava ancora intenzionato ad andarsene.
«Non mi interessano i tuoi consigli. Io voglio la verità e se sarò costretto a tornare qui per avere delle risposte allora …» ma non riuscì a finire la frase.
La porta del locale si aprì ancora una volta e questa volta entrò nel locale un ragazzo nerboruto che sia Kenny che Marcus riconobbero immediatamente essere l’agente Turner nonostante il fatto che anche lui, come il collega che l’aveva preceduto, era in borghese. Ted si avvicinò a passi svelti al bancone e si impose con la sua massa su Kenny ancora seduto.
«Che diavolo ci fai tu qui?» chiese Theodore quasi sibilando tra i denti.
«Potrei farti la stessa domanda» rispose piccato Kenny.
«Faceva domande sull’omicidio del mese scorso» intervenne un cliente seduto poco lontano da loro che evidentemente aveva ascoltato tutta la conversazione ma era troppo brillo per tenere la bocca chiusa.
«È uno scherzo, vero?»
«Non sono affari tuoi Ted»
«Sì che sono affari miei, che diavolo ti salta in mente di venire qui? E poi per chi, quel negro?»
«Ted, te lo ripeto, non ti immischiare»
«Te la devi dimenticare quella storia, hai capito?» continuò con tono minaccioso Turner.
«Se vuoi fallo tu. Non sei il capo, quindi smettila di darmi ordini»
«Vattene immediatamente e non tornare mai più» gli intimò Ted afferrandolo per un braccio.
«Non ti azzardare» rispose Kenny saltando in piedi e liberandosi dalla presa del collega.
«La devi smettere di fare tutte queste domande se non vuoi fare una brutta fine, perché prima o poi qualcuno ti farà chiudere quella boccaccia» continuò Turner con fare allusivo.
«E chi mi farà tacere per sempre, forse tu?» chiese in tono di sfida Kenny «Io tornerò qui dentro quando mi pare e piace»
 
«Kenny lo fece, tornò al locale?» chiese Kat.
«Sì, certo: era un ragazzo testardo e non gli importava di mettersi nei guai, ma alla fine si arrese e dopo un po’ di tentativi non lo rividi più»
«Ottenne le risposte che voleva?» chiese poi Will.
«No, io non gli dissi mai nulla,  ma se era intelligente come sembrava capì tutto da solo»
«Che cosa intende?»
«Intendo che solo uno stupido non si sarebbe reso conto che in quel distretto giravano più mazzette che poliziotti onesti: all’inizio di ogni mese preparavo una bella busta piena di soldi che Turner o uno degli altri veniva a prendersi e loro, in cambio, mi dicevano quando avrebbero fatto le retate Loro si intascavano un bel bonus e io potevo gestire i miei affari tranquillamente senza che nessuno si facesse male da entrambe le parti. Per questo credo che Turner non lo volesse lì intorno, rischiava di fargli saltare il giro»
«E allora come mai Whitaker venne ucciso?»
«Non ne ho idea. Non so cosa successe, ma quella volta non venne nessuno ad avvertirmi: era una retata in piena regola, l’irruzione mi prese completamente alla sprovvista e poi, come dissi anche a Faccia D’angelo, io non ero nel retrobottega, quindi come potrei sapere chi gli ha sparato o perché?»
«Ma avrà sicuramente sentito qualcosa a riguardo, no?» chiese ancora Will.
«Certo, giravano molte storie su quello che accadde o su chi forse era appostato nel vicolo, ma erano solo voci»
«Che cosa intende con quel forse? L’agente Montgomery sostiene che ci fosse appostato qualcuno fuori dal suo locale» intervenne Kat.
«È curioso che ve lo abbia riferito proprio lui: non era nemmeno presente alla retata come potrebbe saperlo? E comunque può dire quello che gli pare, io non so niente»
Il silenzio calò sulla stanza per un minuto che sembrò durare in eterno.
«Ora dovreste andare» li invitò ad uscire Peek senza fare troppi complimenti.

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***


Scotty entrò in ufficio e immediatamente si rese conto che c’era qualcosa che non andava: Lilly e Will, nell’ufficio del capo, insieme allo stesso Stillman, stavano parlando con un uomo sulla cinquantina dall’aria molto arrabbiata che agitava in faccia ai detective un giornale, gesticolando forsennatamente e parlando ad alta voce. Nel frattempo Kat e Nick osservavano la scena da fuori con un espressione preoccupata.
«Che succede?» chiese Valens avvicinandosi ai due colleghi.
«Questo» rispose Nick porgendogli una copia del Philadelphia Echo di quella mattina dove capeggiava, in prima pagina in vistoso grassetto rosso, un titolo che non poteva passare inosservato: Corruzione e insabbiamenti della Polizia di Filadelfia: riaperte le indagini su due omicidi del 1965.
«Parlano di noi?» chiese stupito Scotty.
«Già … e l’articolo che segue è un vero elogio sul degrado e l’immoralità della polizia. Devono aver ricevuto una bella soffiata sul caso e hanno scritto un articolo al vetriolo sul razzismo e la corruzione che percorreva il dodicesimo distretto» continuò Nick.
«Ma come hanno fatto a scoprire delle indagini?»
«Nessuno lo sa, ma ai piani alti sono su tutte le furie e il capo ha già ricevuto un gran numero di telefonate» intervenne Kat «E quello lì dentro è Dan Mitchell, il figlio dell’agente Mitchell. Si è presentato qui questa mattina come una furia chiedendoci spiegazioni per l’articolo. Il capo ha tentato di calmarlo, ma è lì dentro da almeno venti minuti urlando che abbiamo screditato il nome di suo padre conducendo le indagini con superficialità e leggerezza permettendoci di far trapelare così facilmente i nomi degli agenti del dodicesimo coinvolti nel caso Whitaker»
«Ci sono anche i nomi degli agenti nell’articolo?»
«Sì, tutti quelli presenti alla retata al Jolly Blue» rispose Nick.
Scotty si mise in ascolto tentando di capire cosa stesse urlando Dan Mitchell, ma il brusio della centrale rendeva l’operazione tutt’altro che facile. Riuscì solamente a captare qualche parola, ma erano troppe poche per poter capire il senso del discorso.
«Sto cercando la detective Rush» alle spalle dei detective, un tecnico della scientifica, stava aspettando da chissà quanto tempo di poter riferire i risultati dei suoi test a uno dei detective.
«Può benissimo dire a noi» intervenne Nick «Ha scoperto qualcosa di utile?»
«Sì e no» rispose il ragazzo restituendo ai detective i sacchetti contenenti le prove «Sulla divisa dell’agente Williamson c’erano delle tracce di DNA, ma sono troppo rovinate per poterne estrapolare un profilo completo: so dirvi con assoluta certezza che gli aggressori furono due, anche se non sono in grado di identificarli»
«Per il proiettile, invece, è riuscito a scoprire qualcosa di nuovo rispetto al ’65?» continuò Scotty.
«Non molto: era molto rovinato, quindi anche questo non può essere usato per un confronto con la pistola che sparò, ma ho scoperto una cosa molto interessante che all’epoca non potevano nemmeno sospettare»
Il tecnico si avvicinò alla scrivania di Lilly e usò il suo computer per mostrare ai detective una foto ingrandita del proiettile accartocciato che era stato esploso contro Michael.
«Vedete questa irregolarità sulla superficie?» chiese indicando ai detective una solco nero lungo tutta la sezione del proiettile «È dovuta ad un difetto di produzione nella canna della pistola che ha sparato il proiettile. Questo è un difetto molto specifico che interessò un numero piuttosto ristretto di pistole prodotte nei primi mesi del ’65 perché dopo alcuni mesi dall’inizio della produzione del lotto di cui faceva parte anche la nostra pistola, la casa madre si rese conto dell’irregolarità e intervenne cambiando i macchinari per la fabbricazione. Il problema è, vista anche la vostra attuale situazione» e indicò con il pollice l’ufficio di Stillman con fare allusivo «Che non vi farà affatto piacere scoprire chi ha comprate quelle pistole difettate»
«Cioè?» chiese Kat impaziente di ottenere una risposta.
«L’intero lotto venne venduto alla polizia di Filadelfia e gran parte di quelle pistole vennero date agli agenti del dodicesimo distretto per sostituire quelle precedentemente detenute dagli agenti ormai divenute troppo obsolete»
I tre detective si guardarono tra di loro allibiti: quel caso ad ogni nuova scoperta a cui giungevano si faceva sempre più intricato e problematico. Era chiaro che qualcuno aveva mentito durante le indagini degli affari interni sull’omicidio di Whitaker, ma arrivati a quel punto era sempre più lampante che quella menzogna portata avanti per così tanto tempo serviva a salvaguardare qualcosa di ben più grave della carriera di un giovane collega alle prime armi: gli agenti del dodicesimo avevano insabbiato volontariamente il caso per coprire uno di loro che aveva compiuto un omicidio.
«Se vogliamo scoprire chi ha ucciso Williamson dobbiamo scoprire cosa aveva scoperto Kenny riguardo all’omicidio di Whitaker» disse Kat esplicitando il pensiero che stava attraversando la mente di tutti e tre i poliziotti.
Scotty avrebbe voluto aggiungere ancora qualcosa, ma d’improvviso il telefono sulla scrivania di Lilly iniziò a suonare. Lei, ancora bloccata nell’ufficio di Stillman, non avrebbe potuto rispondere così la telefonata venne presa da Scotty.
«Detective Valens» rispose alla cornetta Scotty, ma appena sentì la voce di chi si trovava all’altro capo della cornetta impallidì e la sua espressione si fece tesa «No, Lilly ora non può rispondere ma se vuoi puoi dire a me»
Kat e Nick guardarono interrogativi il collega, persino loro si erano resi conto di come Scotty si era fatto serio ascoltando quello che la persona gli stava riferendo.
«Sì, certo, le riferirò tutto» disse ancora Scotty «Fa finta che vada tutto bene, ma non ti preoccupare, ci sarò sempre per darle una mano. Comunque adesso devo andare»
«Chi era?» chiese immediatamente Kat quando il collega riattaccò la cornetta.
«Cristina» rispose lapidario Scotty.

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Capitolo 11
*** L'agente Walsh ***


«Credi che sarà disposto ad aiutarci dopo tutto questo tempo?» chiese Lilly a Scotty mentre insieme andavano verso il bar accanto al distretto dove sapevano avrebbero potuto incontrare il detective Turner.
«Dopo l’articolo non credo, ma è uno dei pochi agenti presenti al Jolly Blue ad essere ancora vivo» le rispose Scotty,però, prima di entrare nel locale, la fermò «ti devo dire una cosa: prima, mentre eri impegnata con Dan Mitchell, ha chiamato tua sorella »
«Cristina? Cosa voleva?» chiese Lilly stupita «la bambina sta bene, vero?!» aggiunse poi con una vena di ansia nella voce.
«Sì, tranquilla, voleva solamente che sapessi che si è trasferita nella casa nuova e che quando vuoi puoi inviarle le ultime cose della bambina che sono rimaste qui a Filadelfia»
«Ah, ok» disse solamente Lilly quasi delusa,  ma prima che potesse aprire la porta del bar Scotty la fermò nuovamente.
«Non è solo questo. Mi ha detto anche che da quando si è trasferita a New York non l’hai ancora chiamata: era molto preoccupata e lo sono anch’io»
«Non ce né bisogno Scotty, sono soltanto stata molto impegnata con il caso, ma appena avrò un momento libero lo farò»
«Sul serio?! Lilly, lo sappiamo bene entrambi che quando si tratta di tua nipote il lavoro va in secondo piano. Non hai mai mancato una volta di correre da lei quando ne aveva bisogno, anche se eravamo alle prese con casi più difficili, o forse non vuoi telefonare per colpa di tua sorella?»
«Scotty, è complicato e questo non mi pare che sia il momento giusto per parlarne, ok? Ora dobbiamo andare lì dentro a parlare con Turner»
«E allora quando sarà?»
«Quando sarà cosa?»
«Lo sai, quando ti deciderai ad affrontare il fatto che le cose sono cambiate? O credi di poter andare avanti per sempre con questa guerra fredda con Cristina?»
«Non sto affatto facendo la guerra a Cristina» rispose un po’ risentita Lilly a quell’ultima domanda.
«Allora perché non l’hai ancora chiamata? »
«Perché è difficile accettare che si sia ripresa la bambina» rispose ammettendo finalmente ciò che da giorni la stava tormentando «Tutte le sere torno a casa e non c’è più nessuno di cui debba prendermi cura: entro nella sua stanza, guardo quelle poche cose che sono rimaste e mi rendo conto che la bambina oramai non ha più bisogno di me, ma allo stesso tempo non posso smettere di preoccuparmi per lei: Cristina sarà una buona madre? Saprà prendersi cura di lei?»
«Lilly, la bambina avrà sempre bisogno di te e anche tua sorella ha bisogno di te, ma non sarà certo evitando di chiamarla che aiuterai Cristina ad essere una buona madre»
Detto questo Scotty la superò ed entrò a passo deciso dentro il locale: Theodore era seduto in un angolo buio del locale con in mano una bottiglia di birra mentre parlava con un paio di altri colleghi.
«Detective Turner, vorremmo parlare ancora con lei» disse Scotty avvicinandosi al tavolo dove era seduto.
«Potete andare anche al diavolo» fu l’unica risposta che Turner si degnò di dargli.
«Vogliamo parlare con lei di Michael Whitaker» intervenne Lilly.
«Forse non avete capito, ma io non ho la minima intenzione di parlare con voi» continuò Ted quasi digrignando i denti e senza nemmeno guardare in faccia i due detective come se non esistessero «Avete già fatto abbastanza per rovinarmi la carriera con quel bell’articolo»
«È meglio andare» disse a denti stretti Scotty conscio del fatto che Turner era troppo risentito per rispondere alle loro domande.
I due Detective uscirono dal locale ma non fecero in tempo ad allontanarsi perchè qualcuno, uscito di corsa dal bar subito dopo di loro, lì chiamò per fermarli.
«Non stavo origliando, ma ho sentito che nominavate Michael Whitaker» disse l’uomo, un settantenne allampanato dal viso scavato da cui sporgevano gli zigomi e le tempie ossute a malapena coperte da uno strato di radi capelli bianchi «Siete i detective che stanno indagando sulla morte dell’agente Williamson, vero?»
«Sì, ma lei chi è?» chiese Lilly.
«Agente Walsh, ho lavorato con Williamson al dodicesimo distretto nel ‘65»
«E sa qualcosa che potrebbe aiutarci nelle indagini sull’omicidio di Whitaker o del suo collega?» continuò Scotty.
«Non proprio, ma se credete che Whitaker c’entri qualcosa, dovreste sapere questo»
 
«Va bene signora Ross, manderò qualcuno a controllare quel palazzo. Ora può andare» l’agente Walsh accompagnò fino all’ingresso del distretto l’anziana signora Ross, un’attempata donna che quasi tutti i giorni si presentava al dodicesimo per denunciare alla polizia qualcosa o qualcuno che le era apparso sospetto o che, a suo avviso, doveva essere assolutamente controllato dagli agenti.
Quella mattina si era presentata ancora prima del solito ed era rimasta per oltre un’ora in attesa che qualcuno le desse retta, almeno finché Walsh, preso da compassione, aveva deciso di andare a sentire quale nuova stranezza avrebbe segnalato quel giorno. Aveva raccolto la sua deposizione sugli strani individui che bazzicavano un palazzo abbandonato a pochi isolati da casa sua e, prima di accompagnarla all’uscita, le aveva promesso per l’ennesima volta che sarebbe andato il prima possibile a controllare.
Walsh restò sulla porta d’ingresso a guardare la signora Ross allontanarsi con la sua camminata un po’ traballante e, dopo un paio di minuti, decise che sarebbe andato a controllare quel palazzo nonostante sapesse già che sarebbe stato l’ennesimo buco nel vuoto.
«Hey, Williamson! Vuoi venire a controllare una segnalazione della signora Ross?» chiese Walsh a Kenny nel momento in cui lo intercettò mentre rientrava in caserma.
«Io dovrei staccare tra dieci minuti»
«Ma dai, sarà una cosa veloce. Facciamo un salto tanto per vedere che come al solito non c’è niente di sospetto e torniamo subito»
«Va bene, ma tra dieci minuti voglio essere di nuovo qui» si arrese il ragazzo.
I due agenti si diressero assieme verso l’autorimessa parlando tra di loro del più e del meno improvvisamente, però, Kenny si bloccò. Walsh volse lo sguardo verso il punto dove guardava anche il collega per capire cosa avesse rapito la sua attenzione, ma l’unica cosa che vide dall’altra parte della recinzione che delimitava il perimetro della caserma era una giovane donna di colore che se ne stava immobile ad osservare con insistenza Williamson con uno sguardo duro.
«Walsh, puoi aspettare un momento?» chiese Kenny allontanandosi dal collega senza nemmeno aspettare la sua risposta.
Il giovane poliziotto camminò veloce oltre il cancello e raggiunse la donna che lo stava ancora aspettando ferma immobile anche se, appena lui le fu quasi accanto, lei fece alcuni passi per allontanarsi dalla recinzione in modo da essere sicura che nessuno, all’infuori di Kenny, potesse ascoltare le sue parole. Williamson la raggiunse e con fare circospetto i due iniziarono a parlottare a voce bassa. L’agente Walsh, senza togliere loro lo sguardo di dosso nemmeno per un istante, tentò di capire cosa stessero dicendo, ma parlavano a voce troppo bassa perché lui potesse capire anche solo una parola.
Kenny gli dava le spalle, ma Walsh poteva benissimo vedere il volto corrucciato della donna e i suoi occhi carichi di sdegno che saettavano da un punto all’altro del volto di Kenny mentre a denti stretti gli sibilava qualcosa che non preannunciava nulla di buono.
«Chi era?» chiese curioso Walsh a Kenny appena quest’ultimo tornò da lui con l’aria turbata di chi ha appena ricevuto una notizia per niente buona.
«Ti ricordi il caso Whitaker?» chiese Williamson «Quella era la sorella del ragazzo morto»
«E che voleva da te?»
«Dirmi delle cose, niente di importante» tentò di minimizzare Kenny sorridendo falsamente al collega per rassicurarlo.
«Che genere di cose?» continuò Walsh per niente rincuorato.
«Te l’ho detto non è niente» continuò sempre nel tentativo di ridimensionare la preoccupazione dell’altro «Allora andiamo o no?» aggiunse poi salendo su una delle volanti lì parcheggiate.
 
«L’agente Williamson non le disse mai di cosa parlò con Olivia Whitaker?» chiese Lilly.
«No, non aggiunse più nulla, ma dopo aver parlato con lei era inquieto, pensieroso, come se quello che gli era stato detto lo preoccupasse molto»
«Quando accadde questo?» continuò Scotty.
«Credo un paio di giorni prima della morte di Kenny» rispose l’agente «Spero che vi possa aiutare a trovare chi l’ha ammazzato: era un bravo ragazzo, non se lo meritava di morire così» aggiunse infine prima di congedarsi.
«Olivia non ha mai detto di essersi incontrata faccia a faccia con Williamson, cosa credi che gli abbia detto?» si interrogò Scotty.
«Non lo so, ma credo che ci stia nascondendo qualcosa di grosso e dobbiamo capire cos’è questo qualcosa che non vuole che scopriamo se vogliamo trovare chi ha ucciso Kenny» gli rispose la detective.

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Capitolo 12
*** Incontro con Olivia ***


«Olivia Whitaker è in sala interrogatori uno» annunciò Nick.
«Ok, allora andiamo subito ad interrogarla» disse Kat avviandosi verso la sala interrogatori seguita da Will.
I due detective entrarono nella saletta dove la donna li stava già aspettando da alcuni minuti seduta di fronte al vetro a specchio con l’aria tranquilla di chi è certo che più nulla lo possa sorprendere.
«Signora Whitaker, quante volte ha incontrato l’agente Williamson?» esordì Will sedendosi di fronte ad Olivia che a quella domanda non si scompose di un millimetro e continuò a fissare serenamente il volto del detective.
«Nessuna»
«Eppure l’altra volta ci ha detto che era un bravo agente, non ancora corrotto. Come poteva dire queste cose se non l’ha mai neppure incontrato?» continuò Jeffries.
«Sono brava a giudicare le persone, anche senza bisogno di parlarci assieme»
«Abbiamo parlato con un collega di Williamson» intervenne Kat ferma in piedi alle spalle di Will «Dice di averla vista al distretto poco tempo prima dell’omicidio» continuò la detective mettendole di fronte la dichiarazione dell’agente Walsh «Vi ha visto parlare assieme e sostiene che dopo Kenny era molto turbato»
«Sì, forse l’ho incontrato, ma questo non vuol dire nulla»
«Gli chiese forse se era stato lui ad uccidere Michael, ma Kenny negò?» andò avanti la detective.
«No» rispose secca Olivia che iniziava a perdere la sicurezza che aveva ostentato fino a poco prima «Non c’era bisogno che lui dicesse nulla, bastava guardarlo in faccia per capire che non era stato lui»
«Magari, invece, ha ragione chi dice che era ancora in contatto con qualche vecchio e poco raccomandabile amico di famiglia» continuò il detective «Andò lì per minacciarlo? Per dirgli che se non avesse denunciato l’assassino di suo fratello gliela avrebbe fatta pagare?»
«Assolutamente no» rispose piccata la donna «Ve lo ripeto: io non ho mai avuto a che fare con i giri di mio padre»
«Allora perché ci ha mentito?» chiese ancora Will «Perché non ci ha detto prima di aver parlato con l’agente Williamson?»
«Perché ci sono cose che non avrei dovuto dire allora, ma che raccontai a quel ragazzino» replicò esasperata «E se è morto è solamente colpa della sua testardaggine: voleva dare giustizia a mio fratello ad ogni costo, ma non aveva idea del genere di cose in cui si stava invischiando»
 
Olivia si incamminò cautamente verso la stazione di polizia stando attenta che nessuno la notasse: doveva parlare assolutamente con quel poliziotto prima che si presentasse un’altra volta a casa sua, ma doveva farlo senza che nessuno dei suoi colleghi la vedessero.
La ragazza si fermò a poca distanza dall’ingresso dal distretto e, nascosta dietro le scale di un vecchio edificio, iniziò a guardarsi attorno cercando, tra tutti quegli uomini in divisa che entravano e uscivano dall’edificio di mattoni rossi, il volto giovane di Kenny.
Olivia non era neppure certa che Williamson quel giorno fosse in servizio, ma quello era l’unico modo che le era venuto in mente per poter trovare velocemente l’agente e scongiurarlo di lasciar perdere il caso di suo fratello. Quella mattina, però, la fortunata sembrava essere dalla sua parte: dopo un paio di minuti riuscì a scorgerlo in compagnia di un altro agente che non conosceva mentre si allontanavano verso la rimessa delle autopattuglie.
La ragazza scattò in piedi e, dopo essersi guardata intorno per essere sicura che non ci fosse nessun altro poliziotto nei paraggi, si incamminò cautamente nella stessa direzione di Kenny: avrebbe preferito incontrarlo da solo, ma quell’altro agente non sembrava essere uno di quelli da cui bisognava nascondersi. Camminò rapida rasente ai muri, attraversò la strada e si fermò davanti alla recinzione che delimitava la rimessa fissando le mosse dei due poliziotti indecisa se chiamare Kenny o aspettare che lui si rendesse conto della sua presenza, ma ancora una volta la fortuna l’assistette: Williamson alzò casualmente lo sguardo verso di lei e la vide al di là della rete capendo immediatamente che la ragazza era lì per parlare proprio con lui.
«Allora ti sei decisa ad aiutarmi?» le chiese sorridente Kenny appena l’ebbe raggiunta.
Olivia lanciò un’occhiata preoccupata verso l’altro agente che da lontano li stava tenendo d’occhio e automaticamente fece alcuni passi indietro per sottrarsi allo sguardo del collega di Kenny pentita di aver scelto un luogo così affollato come il distretto.
«No» esordì in maniera risoluta la ragazza «E anche tu devi lasciar perdere se non vuoi che ti facciano fuori»
Kenny la guardò sbigottito: già la sera prima Olivia gli aveva chiuso la porta in faccia quando si era presentato a casa sua per farle delle domande, ma vederla quella mattina lì gli aveva fatto credere che forse avesse cambiato idea ed era disposta a dargli una mano.
«Ma non vuoi sapere chi ha ucciso tuo fratello? Fargli giustizia?» chiese Kenny confuso.
«Certo che vorrei giustizia per lui, ma tanto qui non la otterrò mai» continuò fissando con uno sguardo deciso il volto del ragazzo «E se continui così ti faranno fare la stessa fine di Michael o la faranno fare a me»
«Non devi avere paura. Se qualcuno ti minaccia ti posso aiutare, la polizia ti può proteggere»
Olivia scosse la testa sconcertata di fronte all’innocenza di quel poliziotto alle prime armi che, la ragazza se ne rese conto solo in quel momento, non aveva ancora capito come le cose funzionassero al dodicesimo distretto.
«Ma chi credi che lo abbia ucciso mio fratello?» continuò lei con tono canzonatorio «Credi veramente che ci fosse qualcuno appostato nel vicolo per far fuori un poveraccio come Michael?»
Kenny la guardò perplesso incapace di capire che cosa volesse dire con quelle parole.
«È stato ucciso da uno dei tuoi colleghi» gli disse infine Olivia sprezzante come se gli stesse spiegando una cosa ovvia.
«È impossibile: per quale motivo l’avrebbero fatto?» rispose scioccato Kenny.
«Perché Michael per mesi ha rubato una parte dei soldi che Peek consegnava ai tuoi colleghi. Poca roba, giusto un paio di banconote per volta, ma quando i tuoi amici poliziotti se ne sono resi conto hanno deciso di inscenare un’irruzione per mettere in chiaro a tutti come vanno le cose da queste parti»
Il ragazzo rimase in silenzio troppo sconvolto da ciò che Olivia gli aveva detto per poter replicare. Non poteva credere che i suoi colleghi fossero capaci di una macchinazione del genere, gli sembrava pazzesco anche solo il pensiero che avessero potuto uccidere a sangue freddo un ragazzino per soldi, ma allo stesso tempo non poteva nemmeno ignorare la busta che aveva visto nel cruscotto di Mitchell.
«Chi è stato?» chiese infine con il tono gelido di chi ha appena scoperto di essere stato tradito.
«Io non lo so» rispose Olivia scuotendo la testa rammaricata «Ma anche se lo sapessi non te lo direi. Devi lasciar perdere o credi che indossare quella divisa ti possa proteggere da loro?» aggiunse poi con fermezza decisa a bloccare le ricerche di Williamson.
Kenny rimase di nuovo in silenzio perso a rimuginare su chissà quali pensieri mentre Olivia lo guardava con apprensione: gli occhi con cui il ragazzo guardava per terra erano attraversati dal disincanto di chi ha appena visto il suo mondo crollare scoprendo così che tutto ciò in cui credeva non esiste più o non è mai neppure esistito.
«No» disse con voce appena udibile.
«No, cosa?» chiese perplessa Olivia.
Kenny alzò finalmente gli occhi da terrà e li fisso con decisione negli occhi di Olivia.
«Non ho intenzione di mollare»
 
«Era un bravo ragazzo, ma dannatamente ostinato: non voleva capire che così facendo si stava mettendo in una situazione pericolosa, che non avrebbero esitato a far fuori anche lui se si fosse messo di traverso ai loro traffici»
«Kenny scoprì chi uccise suo fratello?» chiese Will.
«Non lo so: quella fu veramente l’ultima volta che lo incontrai»
«Prima ha detto, riferendosi all’assassino di suo fratello, “Io non lo so”» fece notare Kat «Perché c’è qualcun altro che invece lo sa, non è vero?»
Olivia abbassò lo sguardo verso il tavolo chiudendosi nel silenzio reticente di chi ha paura di dire troppo.
«Olivia sono passati tanti anni, nessuno le può più fare del male» continuò la detective tentando di convincerla a collaborare «Ci aiuti a scoprire chi è l’assassino. Lo faccia per Kenny e per suo fratello, per dare giustizia ad entrambi»
Olivia rimase in silenzio ancora per qualche momento, ma le parole di Kat l’avevano convinta che ormai non aveva più alcun senso nascondere la verità.
«Al Jolly Blue assieme a Michael lavorava anche un altro ragazzo. Il giorno dell’omicidio c’era anche lui nel retrobottega quando mio fratello venne ucciso: vide tutto quanto»
«Kenny sapeva di questo ragazzo?» chiese ancora Will.
«Sì, mi sfuggì il suo nome»
«Di chi si tratta?» continuo Kat.
«Si chiama Alec Gaines» rispose Olivia «Non so che fine abbia fatto, non lo vedo da tanto tempo  ma un paio di anni faceva il pastore di una chiesa a Cobbs Creek»
Kat si girò di scatto verso il vetro a specchio: era certa che da dietro quel vetro Lilly avesse assistito a tutto l’interrogatorio e certamente anche l’altra detective aveva capito che Alec Gaines in realtà non era altri che Padre Gaines.

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Capitolo 13
*** L'omicidio Whitaker ***


Lilly e Kat entrarono nella piccola chiesa di St. Martin a Cobbs Creek, un edificio moderno con grandi vetrate colorate sulla facciata rappresentanti le più importanti vicende del nuovo testamento e un portale di metallo rialzato rispetto al piano della strada da una scalinata di cemento. Dentro, l’unica navata della chiesa, era fortemente illuminata dalla luce colorata che filtrava dalle vetrate e che pitturava di mille riflessi le impassibili statue dei santi nella nicchie laterali e l’altare principale posto proprio di fronte all’ingresso.
Le panche, divise metà a destra e metà a sinistra del corridoio che portava all’altare, erano completamente vuote se non fosse stato per la prima a destra, quella attaccata all’altare, dove Padre Gaines stava inginocchiato assorto in preghiera. Le due detective gli si avvicinarono facendo più piano possibile e si misero a sedere nella panca dietro alla sua. Padre Gaines appena le vide con la coda dell’occhio si fece il segno della croce e si mise a sua volta a sedere.
«Sapevo che prima o poi sareste venute di nuovo da me» disse con voce pacata dando ancora le spalle alle due poliziotte «Quando Malcolm mi ha confessato quello che aveva visto non ho capito subito che c’entrava con la morte di Michael. Solo dopo ho realizzato chi era quel giovane agente»
«Perché non ce ne ha parlato subito?» chiese Lilly.
«Per tanti motivi» Padre Gaines si voltò e le due donne poterono vedere finalmente il suo volto afflitto «Ho passato tutta la mia vita tentando di dimenticare quello che vidi al Jolly Blue, facendo finta che non fosse mai accaduto nulla: era più facile e certamente più sicuro. Nessuno, tranne Olivia, seppe mai che mi trovavo anch’io lì e questo mi ha protetto per tanti anni. Ora, però, non posso più nascondere la testa sotto la sabbia»
«Che cosa successe al Jolly Blue?» chiese Kat.
Padre Gaines si tolse gli occhialetti d’oro e si stropicciò con un gesto istintivo della mano gli occhi tentando di prendere tempo e riordinare i ricordi prima di raccontare quello che aveva taciuto per così tanto tempo.
 
«Vai dietro a recuperare uno straccio per pulire» tuonò alle spalle di Alec il signor Peek.
Il ragazzino lasciò immediatamente sul bancone la bottiglia e corse nel retrobottega, uno spazio angusto pieno di scaffali polverosi caricati all’inverosimile di fusti di birra e bottiglie di liquori in cui l’unica luce che rischiarava debolmente il locale proveniva dalla porta che collegava quella stanza con il bar vero e proprio.
«Come te la stai cavando?» chiese Michael nascosto nella penombra facendo spaventare Alec che non lo aveva nemmeno notato «Tranquillo, sono solo io» lo tranquillizzò il ragazzo alzandosi dalla cassetta di metallo su cui era seduto.
«Devo prendere uno straccio per pulire» gli rispose il ragazzino con voce sommessa «Perché non puoi servire tu questa sera?»
«Marcus vuole che stia qua dietro a fare questo lavoraccio» rispose Michael con una punta di insofferenza nella voce indicando i pezzi di stoffa imbevuti d’acqua e aceto che stava usando per lucidare alcuni bicchieri di vetro «Preferisci fare cambio?» chiese poi ironicamente sorridendo all’amico.
Alec, però, non ebbe nemmeno il tempo per rispondere: i due ragazzi sentirono la porta d’ingresso del Jolly Blue sbattere pesantemente contro il muro e qualcuno dalla voce roca urlare «Fermi tutti polizia!»
Dal volto di Michael scomparve immediatamente il sorriso: perché nessuno lo aveva avvertito di quella retata?
«Nasconditi là infondo» disse frettolosamente Whitaker spingendo Alec in un angolo del retrobottega pieno di vecchie casse di legno presagendo che quella visita non prometteva nulla di buono. Il ragazzino si nascose immediatamente dietro gli imballaggi mentre il suo amico si avvicinò all’ingresso per poter origliare meglio quello che stava accadendo dall’altra parte quando all’improvviso comparve sulla soglia la figura possente dell’agente Mitchell.
«Proprio te stavo cercando» sibilò John avvicinandosi minacciosamente a Michael puntandogli addosso la pistola.
Michael senza aspettare un secondo di più si voltò di scatto e iniziò a correre lungo uno dei tanti corridoi che dividevano uno scaffale da un altro.
«Fermati!» urlò il poliziotto iniziando ad inseguirlo ma Michael, senza nemmeno fermarsi o voltarsi indietro, si aggrappò ad uno dei tanti scaffali del retrobottega facendolo cadere a terra nella speranza di colpire Mitchell o almeno di rallentarlo. La sua azione ebbe successo: infatti John dovette fermarsi per non rischiare di essere colpito da uno dei tanti cocci di vetro che schizzarono per la stanza quando lo scaffale toccò terra.
Whitaker arrivò fino al fondo del retrobottega, a poca distanza dal nascondiglio di Alec, dove c’era un’uscita che dava sul retro del locale. Il ragazzino lo vide sfrecciare verso la porta, ma appena la aprì un rumore assordante rimbombò per tutto il vicolo e per tutto il retrobottega riempiendo per alcuni interminabili secondi le orecchie di Alec.
Michael crollò a terra di schianto come una marionetta a cui sono stati recisi simultaneamente tutti i fili.
Alec si ritrasse indietro inorridito trattenendo a stento un urlo di terrore: il suo amico era lì a pochi passi da lui che boccheggiava e tremava mentre un enorme pozza di sangue si allargava sotto di lui, ma lo shock di vederlo inerme a terra colpito a morte non gli permetteva di muovere nemmeno un muscolo.
Il ragazzino, invece, alzò lo sguardo verso la porta ancora spalancata sul vicolo dove l’uomo che aveva esploso quel colpo di pistola si trovava ancora fermo con il braccio destro steso verso il corpo di Michael e la pistola in pugno: era un uomo dall’aspetto comune che come molti altri portava i capelli discretamente cotonati e il volto completamente sbarbato, ma quello che colpì Alec fu che sotto un pesante giubbotto di pelle nera indossava la divisa della polizia.
Alec vide l’assassino solo per pochi istanti prima che questi fuggisse lungo il vicolo, ma quello sguardo fugace gli bastò per riconoscere in quell’uomo dalla aspetto comune l’agente Ray Montgomery.
 
«Avevano inscenato quella retata solamente per spingere Michael fuori dal locale e ucciderlo nel vicolo, così da poter fingere che fosse stato qualcun altro» ricominciò a parlare padre Gaines dopo una lunga pausa «Io rimasi nascosto dietro a quelle casse come minimo per tre ore, almeno finché se ne furono andati tutti i poliziotti»
«Raccontò mai a nessuno quello che vide al Jolly Blue?» chiese Lilly.
«No, assolutamente no»
«Nemmeno all’agente Kenny Williamson?» continuò Kat.
«No, l’unica volta che lo vidi fu quando uccisero Michael: lui arrivò subito dopo lo sparo, ma non l’ho mai incontrato di persona e men che meno non gli ho mai parlato faccia a faccia»
«Ne è sicuro? Sappiamo che Kenny la stava cercando per sapere cosa aveva visto» insistette Lilly.
«Anche se mi avesse cercato, non sarei mai stato tanto folle da farmi trovare e sicuramente non avrei parlato con lui: dovevo mantenere un profilo basso se volevo continuare a respirare»
«Perché?» continuò Kat.
Padre Gaines sospirò e abbassò di nuovo lo sguardo prima di rispondere alla detective.
«Quando Michael venne ucciso io smisi di lavorare al Jolly Blue, ma ogni tanto mi capitava di fare ancora qualche lavoretto per Peek, giusto per guadagnare qualcosa, e una sera che mi trovavo lì sentii Marcus parlare al telefono con qualcuno riguardo all’agente Williamson»
«Che cosa si dissero?» lo incalzò Lilly.
«Marcus si stava lamentando: quell’agente si presentava nel suo locale quasi ogni sera e da quando aveva incominciato a vessarlo i suoi affari stavano andando a rotoli, il locale era quasi sempre deserto e quindi non voleva più pagare le bustarelle. Prima di riattaccare, però, chiese anche a chi era dall’alto capo del telefono di sistemare l’agente Williamson»
«Sistemarlo in che senso?»
«Disse: “O lo fermate voi, o sarò costretto ad intervenire io per sistemarlo una volta per tutte”»

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Capitolo 14
*** La telefonata ***


«Che succede di là?» chiese Stillman a Vera e Valens indicando la giovane donna di colore che da alcuni minuti strepitava e urlava fuori dal loro ufficio contro un paio di agenti che a fatica riuscivano a trattenerla.
«È la nipote di Marcus Peek» iniziò a spiegare Scotty.
«Will e Kat sono andati ad interrogarlo ora, ma la ragazza non ha gradito il trattamento che abbiamo riservato al nonnino» concluse con un pizzico di sarcasmo Nick.
Nel frattempo i detective Jeffries e Miller entrarono nella sala interrogatori per poter ascoltare nuovamente il proprietario del Jolly Blue.
«Che volete ancora da me. L’ultima volta vi ho detto tutto quello che volevate sapere» disse l’uomo abbastanza scontroso appena i due poliziotti entrarono nella stanza.
«Ma non ci ha detto tutta la verità: abbiamo parlato con Alec Gaines, il suo vecchio dipendente» iniziò Will molto pacatamente osservando la reazione di Peek che sembrava insensibile a quella notizia «Ci ha raccontato che lei era molto scontento di tutte le visite che l’agente Williamson le faceva»
«Sì, mi rovinava gli affari e con ciò?! Vi sembra un buon motivo per trascinarmi fino a qua?»
«Gaines ci ha anche parlato della telefonata che fece ai colleghi di Williamson in cui minacciava di “fermarlo per sempre” se non se fossero occupati loro» continuò Kat «E pochi giorni dopo il ragazzo è stato ucciso»
«Sì, forse l’ho detto, ma non c’entro nulla con la sua morte. Io lo avrei solamente spaventato un po’ per farlo girare a largo dal locale. Il suo omicidio a riempito il quartiere di poliziotti che hanno peggiorato ancora di più i miei affari!»
«Allora ci dica cosa è successo se vuole che le crediamo» continuò la detective.
«Crede di spaventarmi?!» chiese sarcasticamente l’uomo a Kat «Oramai ho un piede nella fossa! Anche se mi accusate di omicidio pensa veramente che passerò anche un solo giorno in prigione?»
«No, ma può decidere se aiutarci e passare il resto dei suoi giorni da uomo libero assieme a sua nipote, oppure continuare a tacere e trascorrere il tempo che le resta passando da un’aula di tribunale ad un’altra aspettando la decisione di un giudice» intervenne deciso Will.
Marcus rimase un attimo in silenzio a soppesare le due possibilità che il detective Jeffries gli aveva messo di fronte rimuginando sul fatto che in entrambi i casi oramai la sua vita era quasi giunta al capolinea: poteva solamente scegliere di passarla nella maniera più tranquilla possibile.
«Io non l’ho ucciso» ribadì nuovamente prima di decidersi a vuotare il sacco «Montgomery, Mitchell e il novellino mi dissero che avrebbero fatto tutto loro. Quell’agente non l’ho toccato nemmeno con un dito! Io dovevo fare solamente una telefonata.»
«Che telefonata?» chiese Will.
«All’agente Kenny Williamson»
 
Marcus uscì dal retro del negozio e, voltandosi a destra e sinistra con circospezione, si assicurò che non ci fosse nessuno così da poter passare inosservato mentre camminava rasente i muri per poter raggiungere la cabina telefonica a poca distanza dal suo locale che usava ogni volta che doveva telefonare a qualcuno senza farsi sentire da orecchie indiscrete. Tirò fuori dalla tasca il numero di telefono che Montgomery gli aveva appuntato su un tovagliolino di carta e, alla luce sbiadita del lampione dall’altro lato della strada, compose il recapito telefonico che c’era lì segnato e restò in attesa che qualcuno rispondesse dall’altro capo.
«Agente Kenny Williamson, chi parla?» sentì chiedere da una voce gracchiante.
«Sono Marcus Peek» disse in fretta l’uomo quasi sussurrando «Sei ancora interessato a scoprire cosa è successo a Michael?»
Dalla cornetta non giunse alcuna risposta: Kenny era troppo frastornato da quella proposta così attesa ma anche inaspettata, per poter rispondere prontamente alla domanda di Marcus.
«Allora?» lo incalzò Marcus.
«Si» rispose infine l’agente dopo alcuni secondi di esitazione.
«Allora fatti trovare tra venti minuti sotto il cavalcavia della sessantacinquesima vicino ai binari della ferrovia» continuò sempre con un filo di voce coprendosi anche la bocca con una mano per essere sicuro che nessuno, tranne Kenny, potesse udire le sue parole «Non dire niente a nessuno e vieni da solo» aggiunse prima di riattaccare il ricevitore senza aver nemmeno ascoltato la risposta del ragazzo.
Poi, sempre guardandosi in giro con circospezione, tornò furtivamente al suo locale dove, nascosto nella penombra del retrobottega lo stava aspettando l’agente Montgomery.
«Allora?» chiese immediatamente il poliziotto appena vide Marcus varcare l’entrata posteriore.
«Ho fatto: l’ho mandato sulla sessantacinquesima da solo come mi avevi chiesto»
«Molto bene» rispose Ray prima di uscire a sua volta dalla porta sul retro e sparire nel vicolo buio.
Marcus si affacciò alla porta e vide l’agente di polizia camminare veloce per tutta la viuzza fino a raggiungere una macchina verde scuro che, ferma all’imboccature del vicolo, lo stava attendendo. Ray ci salì sopra e, prima ancora che potesse chiudere la portiera, l’uomo alla guida diede gas e si allontanò velocemente dal Jolly Blue.
 
«Chi c’era in auto con Montgomery?» chiese immediatamente Kat dopo aver ascoltato la descrizione dell’auto verde scuro che aveva visto Marcus e che combaciava con quella del primo testimone.
«Non lo so, era buio»
«Questo non ci basta per non farti entrare in un tribunale» disse freddamente Will.
«Ve lo giuro, non lo so» ribadì Marcus «Ma se dovessi azzardare un paio di nomi, punterei tutto su John Mitchell e Theodore Turner»

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Capitolo 15
*** Doppio interrogatorio ***


«Ci siamo» disse Scotty a tutti gli altri colleghi riuniti in ufficio davanti alla scrivania di Lilly.
«Bene» intervenne il capo «Io mi occuperò di Montgomery mentre tu e Lilly di Turner»
«Un attimo» intervenne Nick bloccando i suoi colleghi «I tabulati telefonici che mi hai chiesto» aggiunse poi porgendo a Lilly un foglio fitto di nomi, date e numeri prima che la detective seguisse Valens.
Stillman fu il primo ad entrare nella sala interrogatori del distretto dove l’ormai ex agente di polizia Ray Montgomery lo stava attendendo già da più di un quarto d’ora.
«Vedo che nonostante tutto hai deciso di andare avanti in questa storia» iniziò aggressivo Ray attaccando il tenente con un tono duro «Ho letto il bell’articolo uscito sul Philadelphia Echo: complimenti siete riusciti a rovinare la reputazione di tanti bravi agenti»
«Ray, sappiamo tutto sull’omicidio Whitaker» ribatté invece John senza rispondere alle sue provocazioni e anzi facendolo ammutolire per qualche istante.
«Che vuol dire?» chiese Montgomery allarmato, abbandonando completamente l’atteggiamento sicuro che aveva ostentato fino a qualche minuto prima.
«Sappiamo che quella al Jolly Blue era un’imboscata e che sei stato tu a sparare al ragazzo. Abbiamo trovato un testimone, possiamo provarlo in aula» continuò Stillman spiazzando completamente il collega di un tempo «Oramai sei spacciato Ray, ma puoi ancora tentare di migliorare la tua situazione decidendo di collaborare e dicendoci finalmente cosa è successo all’agente Williamson»
Nel frattempo nella sala interrogatori accanto a quella in cui il tenente Stillman stava tentando di far parlare Montgomery, Lilly e Scotty stavano tentando di convincere un altrettanto riluttante detective Turner a raccontare la verità.
«Forse l’ultima volta che abbiamo parlato non avete capito bene quello che vi ho detto» attaccò Theodore scontroso come il suo ex partner.
«Sai cosa è questo?» chiese Lilly mostrando al detective il foglio che Nick le aveva consegnato pochi minuti prima «Sono i tabulati telefonici del Jolly Blue nei primi dieci mesi del 1965»
«E lo sai di chi è questo numero che il proprietario chiamava in continuazione?» continuò Scotty certo che anche Turner avesse riconosciuto immediatamente quel recapito «È il tuo numero di telefono»
«E quindi?! Non vuol dire proprio nulla: quanta gente può avermi chiamato in quel periodo?!»
«Detective Turner, questa è una prova del giro di soldi di cui lei era complice e non é tutto» continuò la detective indicando una comunicazione del settembre 1965 evidenziata in giallo «Sappiamo che Peek in questa telefonata vi chiese di far tacere per sempre Kenny se volevate essere pagati ancora»
«Non potete provarlo» continuò Turner in un ultimo disperato tentativo di difendersi.
«Sì che possiamo: nel ‘65 non avete eliminato tutti i testimoni» disse lapidario Scotty raggelando l’altro detective «C’è ancora in vita una persona che sa tutto dei vostri loschi traffici ed è pronta a testimoniare»
«Adesso è pronto a collaborare con noi?» chiese Lilly beffarda.
Ted distolse lo sguardo dai due detective stordito da tutte quelle notizie che gli erano piovute addosso in così poco tempo.
«Ero giovane, non avevo mai visto così tanti soldi tutti assieme» tentò di scusarsi pateticamente «Tutti prendevano bustarelle e così feci anch’io: era la norma e allora mi sembrava che non ci fosse nulla di sbagliato»
«Kenny invece no, lui era un ragazzo irreprensibile, non è vero?» chiese Scotty.
«Kenny non venne mai coinvolto, soprattutto dopo che rifiutò i soldi che Mitchell gli aveva messo in mano per farlo tacere. Era irremovibile: voleva scoprire a tutti i costi cosa era successo a quel negro e questo non piaceva agli altri agenti, soprattutto dopo che Peek minacciò di non pagare più»
«Che cosa è successo dopo la telefonata di Peek» intervenne Lilly.
«Montgomery e Mitchell decisero che era venuta l’ora di mettere in chiaro con Kenny quale dovesse essere il suo posto, ma le cose degenerarono: nessuno avrebbe voluto ucciderlo, ma Mitchell non sembrava più in sé»
 
«John non c’è bisogno di correre» disse duro Ray all’indirizzo del guidatore, l’agente Mitchell, il quale, appena lui aveva chiuso la portiera dell’automobile, era sgommato via.
«Meno tempo passiamo in questo buco di fogna, meglio è» fu l’unica risposta che ottenne dal collega che, con le nocche bianche per lo sforzo di stringere il volante con tutte le sue forze, guidava con irruenza sbandando pesantemente dopo ogni svolta o sorpasso.
«Come è andata?» chiese nel frattempo una voce ansiosa proveniente dal sedile posteriore.
«Turner stai tranquillo: Peek ha fatto tutto come avevamo pattuito» disse Ray per tranquillizzare Theodore seduto dietro «Andrà tutto come abbiamo pianificato: lui viene,lo prendiamo alle spalle, lo facciamo spaventare e la smette di fare domande inopportune»
I tre poliziotti arrivarono nel posto dove avevano dato appuntamento a Kenny e, dopo aver nascosto l’auto di Mitchell dietro alcuni alberi, camminarono lungo la riva che scendeva dal cavalcavia ai binari della ferrovia e si nascosero in attesa dell’arrivo dell’agente Williamson. Restarono lì al buio nascosti sotto il cavalcavia per alcuni minuti prima che un'altra automobile si fermasse sopra le loro teste e ne scendesse qualcuno. L’agente Williamson si precipitò giù dalla stessa riva che pochi minuti prima anche i suoi colleghi avevano percorso, ma non vedendo nessuno accanto ai binari della ferrovia iniziò a guardarsi attorno con crescente apprensione.
«Marcus dove sei? Sono l’agente Williamson, vieni fuori» iniziò ad urlare voltando le spalle ai tre poliziotti che scattarono immediatamente fuori dal loro nascondiglio per poterlo assalire di sorpresa.
Il primo colpo gli arrivò improvviso ed inaspettato: qualcosa di duro lo colpì alle spalle nel mezzo della schiena con una violenza tale che perse l’equilibrio. Kenny preso alla sprovvista non riuscì ad opporre alcuna resistenza e cadde sulle ginocchia quasi senza nemmeno accorgersene e solo quando si ritrovò a terra si rese conto che qualcuno lo stava attaccano, ma era già troppo tardi per tentare di difendersi o scappare: un calcio nel mezzo delle scapole lo schiacciò a terrà facendogli battere con forza il volto sul terreno polveroso.
Turner lasciò cadere a terra il grosso ramo che aveva usato per colpire il compagno e, forte della sua stazza da energumeno, lo afferrò per le spalle tirandolo su da terra e gli bloccò entrambe le braccia dietro la schiena così che non potesse più muoversi o tentare di colpirli.
«Ma che diavolo …» tentò di dire Kenny ancora stordito dal primo colpo che aveva ricevuto e incapace di capire completamente in che razza di guaio si era cacciato, ma la frase gli rimase spezzata a metà in bocca quando un pungo lo colpì in pieno volto tra il naso e il labbro. Un dolore atroce gli esplose in mezzo al volto e per quanto tentasse di mettere affannosamente a fuoco le ombre minacciose che si muovevano nel buio di fronte a lui, quel dolore assurdo gli impediva di vedere con nitidezza e riconoscere i suoi aggressori.
«Credevi davvero di poter continuare ancora a lungo in questo modo?» gli chiese sprezzante il suo aggressore prima di colpirlo nuovamente con un altro pugno questa volta però all’altezza dello stomaco facendolo piegare in due dal dolore. Kenny, a quelle parole, riconobbe immediatamente la voce di Mitchell e d’improvviso tutto gli fu chiaro: era caduto anche lui come Whitaker in un’imboscata.
«Ti avevamo avvertito» continuò ad abbaiargli addosso con rabbia il suo partner «Ma tu sei troppo testardo per accettare un consiglio» e lo colpi nuovamente allo stomaco e al volto «Non è forse vero che ti abbiamo avvertito?!» gli chiese alzandogli il volto perché lui e Kenny si potessero guardare dritto negli occhi
John lo guardò in faccia: il bel volto del ragazzo era completamente sfigurato, il naso rotto, il labbro spaccato e da numerose altre ferite gli colava copiosamente una gran quantità di sangue che gli aveva ricoperto completamente il viso e stava iniziando a macchiargli anche la divisa. Kenny, invece, aveva la vista annebbiata e faticava anche a respirare e se non ci fosse stato Ted che lo sosteneva con tanto vigore nel tentativo di bloccarlo, sarebbe crollato a terra. Il poliziotto lasciò andare la testa di Kenny che ricadde pesantemente sul petto del ragazzo prima di ricominciare a riempirlo di colpi al volto e al torace questa volta aiutato anche da Ray.
«John adesso basta» disse ad un certo punto Montgomery tentando di fermare il collega che in preda alla collera continuava a tirare pugni con enorme violenza «Così rischi di ammazzarlo» ma sembrava che Mitchell fosse sordo alle parole del collega.
«Deve capire con chi ha a che fare» continuò a colpirlo Mitchell irato almeno finché Ray non intervenne fisicamente allontanando l’altro agente.
«Lascialo andare» ordinò Montgomery a Turner una volta che Mitchell ebbe finito di gonfiare di botte il suo giovane collega «Così dovrebbe bastare per insegnarli a tenere la bocca chiusa»
Theodore eseguì immediatamente lasciando la presa. Kenny scivolò a terra inerme e incapace di rialzarsi o anche solo di provarci. Ogni singola parte del suo corpo dolorava: sentiva le ferite sul volto e sull’addome bruciare, il sangue scorrere fuori da esse verso terra e ogni volta che tentava di respirare sputava sangue e un dolore acuto alle costole lo faceva piangere. Si sentiva terribilmente stanco, tanto da non riuscire nemmeno ad alzare la testa da terra. Riuscì solamente ad alzare lo sguardo così da intercettare gli occhi di Ted che dall’alto lo guardavano vuoti, privi di pietà.
«Ted ti prego» sussurrò in un flebile sibilo alzando appena la mano verso il compagno, ma Turner scostando lo sguardo dal suo volto si girò per andarsene.
«Muoviti» urlò Montgomery a Theodore «Mitchell è già in auto» disse indicando al ragazzo l’auto verde che con il motore acceso li stava aspettando sul ponte pronta a scappare via dalla scena del crimine.
Theodore corse su per la riva e solo una volta raggiunto  il cavalcavia si voltò un’ultima volta per guardare da lontano Kenny che ancora sputava sangue qualche metro più in basso. Poi si girò e salì velocemente in auto prima che qualcuno potesse vederlo.

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Capitolo 16
*** The end ***


[Eve of destruction-Barry McGuire]
 
Il tenente Stillman fece alzare Ray Montgomery, lo ammanettò e lo condusse assieme a Theodore Turner, anch’egli in stato di fermo, verso le celle. Marcus Peek, ancora alla centrale per mettere nero su bianco quello che aveva fatto quella lontana sera del 1965, li guardò impassibile sfilare lungo tutto l’ufficio almeno finché Will non gli sottopose il foglio su cui era stato scritto tutto quello che aveva riferito perché lo firmasse. Il suo vecchio volto segnato dalle rughe e dalla malattia manteneva però ancora intatta l’espressione distaccata che per tanti anni avevano incontrato i suoi clienti al Jolly Blue mentre l’aria burbera e scontrosa di Ted così come il sorriso appena accennato di Ray erano scomparsi rimpiazzati dallo sguardo di rassegnazione di chi sa che i giochi sono finiti.
Quello stesso giorno Alec Gaines si presentò al Centro Karen Walton per giovani di strada per poter parlare con Olivia Whitaker. La donna appena lo vide entrare, nonostante tutto il tempo che era trascorso e tutti i segni che il suo passaggio aveva lasciato su di loro cambiandoli profondamente, lo riconobbe immediatamente come il ragazzino magrolino e timido che lavorava con suo fratello al Jolly Blue e gli andò incontro. Restarono lì nel mezzo della sala affollata da giovani per lungo tempo ricordando assieme Michael tanto che ad un certo punto gli sembrò di scorgere nel volto di uno di quei ragazzi proprio lui che da lontano gli sorrideva pacifico.  
Furono Lilly e Kat a scrivere con il pennarello indelebile nero la parola CLOSED sopra la scatola delle prove del caso Williamson e a riporla sullo scaffale assieme a tutti gli altri casi risolti. Le due detective, prima di chiudere definitivamente lo scatolone, guardarono un’ultima volta la foto del giovane agente di polizia che stretto nella sua divisa le guardava con orgoglio e sembrò quasi che ci fosse anche lui lì con loro, come se da un angolo del deposito le stesse osservando fiero del fatto che finalmente fosse stata fatta giustizia per lui e per Michael Whitaker. 
Quella stessa sera Scotty e Kat andarono a bussare alla porta di Lilly con un pila di scatoloni vuoti sottobraccio. La detective, quando aprì la porta, li guardò con enorme sorpresa, ma capì immediatamente che erano venuti lì solo per aiutarla a fare ciò che lei da sola non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: assieme si misero a chiudere in quegli scatoloni le ultime cose della nipotina di Lilly che erano rimaste nella casa di Philadelphia per poi poterle inviare a Cristina.  

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