La mia eccezione sei tu

di Gora_DC
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tentacoli e canotti ***
Capitolo 2: *** 2. Va' a materassi ***
Capitolo 3: *** 3. Il triangolo delle bermude ***
Capitolo 4: *** Ommm ommm ***
Capitolo 5: *** Gli allegri compari ***
Capitolo 6: *** 6.Smoking e patatine ***
Capitolo 7: *** 7 Sogno o son desto ***
Capitolo 8: *** 8.Inutile combattere contro il destino ***
Capitolo 9: *** 9 Non avrai il mio scalpo ***
Capitolo 10: *** 10. Hallo Spank ***
Capitolo 11: *** 11. Cenerentola e il suo principe ***
Capitolo 12: *** 12. Desdemona ***
Capitolo 13: *** 13.I sogni son desideri... ***
Capitolo 14: *** 14. Giocando con il fuoco ***
Capitolo 15: *** 15. Teli e crema da bagno ***
Capitolo 16: *** 16. Cena per due ***
Capitolo 17: *** 17 Marcare il territorio ***
Capitolo 18: *** Torna a casa, Lassie! ***
Capitolo 19: *** 19. Ricordi ***
Capitolo 20: *** 20 La trota salmonata ***
Capitolo 21: *** Clark Kent ***
Capitolo 22: *** Novità e parole. ***
Capitolo 23: *** Dov'è un caminetto quando serve? ***
Capitolo 24: *** Battuta d'arresto ***
Capitolo 25: *** Sorpresa! ***
Capitolo 26: *** Miss Marple indaga ***



Capitolo 1
*** Tentacoli e canotti ***


 
Lo so che potrebbe sembrare ripetitivo e in un certo modo stupido,
ma questa ff per me ha un’importanza particolare e per questo
che ho deciso di dedicarla a qualcuno che ha la stessa valenza.
Potrei dire che ho progettato questa ff pensando solo a te!
Per dirti Grazie,
 grazie perché mi sopporti sempre,
grazie perché se ti do fastidio non ti lamenti mai,
grazie per tutte le risate, gli scherzi, gli abbracci!
Sei una persona da amare, per davvero, una di quelle ragazze che sembrano forti,
ma permettono solo a qualcuno di mostrarsi quanto realmente siano fragili.
Sei da capire, e anche se mi ci vorrà tempo, io non ho alcuna fretta!
Questa è perché so quanto lui sia importante per te,
per quanto tu lo veneri e
perché tu meriti di vederlo anche sotto queste vesti!!!
Ti voglio un mondo di bene Maggie!!!
 


 
Capitolo 1
Tentacoli e canotti

 
Ma quante mani aveva? Il famoso polipo gigante di un vecchio film di serie Z aveva di sicuro meno tentacoli. Blaine cercò di divincolarsi dall’abbraccio lascivo. Poteva assestare un colpo mortale alla sua virilità, o abbassare il capo e passare sotto il suo braccio con una mossa di sano contorsionismo.
 
A che punto avrebbe potuto definire un simile approccio un’aggressione in piena regola?
 
E le labbra che cercavano di baciarlo? Due canotti galleggianti. Bleah, pussa via. Doveva intuire che il tizio non era il suo tipo quando aveva posato per la prima volta i suoi occhi sul neo, che fiero era piazzato proprio vicino al naso aquilino. Una combinazione raccapricciante che doveva suonare nella sua testa come un immenso campanello d’allarme, come la Liberty Bell americana. Un segnale per capire che quell’appuntamento al buio si preannunciava come un ennesimo fallimento. Avrebbe di sicuro protestato con il suo amico Sam, e avrebbe provveduto ad assestargli un bel calcio nel posteriore.
 
Blaine si appoggiò sul petto di James, o come accidenti si chiamava, e lo spinse via. Gli puntò addosso due occhi di brace; se si fosse concentrato bene forse sarebbe riuscito a incenerirlo.
 
«Giù le zampe!». Prese fiato e rese sottili le labbra.
 
Per fortuna non erano più in macchina, una specie di macinino che era un altro bel biglietto da visita per una carriera da latin lover sfigato.
 
«Ma per chi mi hai preso, scusa?». Indietreggiò, ma non per paura, piuttosto per il timore che se gli fosse rimasto vicino, avrebbe potuto tirargli un pugno.
 
«Scusami Blaine, pensavo che anche tu…». James iniziò a balbettare.
 
«Io, cosa?». Ok, forse aveva alzato un po’ più del dovuto il tono, e forse qualcuno presto si sarebbe affacciato dalla finestra di quella via silenziosa del quartiere di Soho. Ma non gli interessava.
 
Assistessero pure a una sceneggiata!
 
«Credevo di piacerti!».
 
Sì, come no… Solo perché sono stato gentile con te e ti ho ascoltato per tutta la sera davanti a un piatto di sushi, che mi fa anche schifo, hai pensato che potessi piacermi al punto di far incontrare le nostre lingue?
 
Ovvio, non lo disse, lo pensò soltanto, anche se poi il ragazzo, occhi penetranti, ciglia lunghe naturali e capelli ricci e neri, si domandò perché dovesse risparmiargli la crudele verità. Fu la sua coscienza a rispondere. Il neo tremava sulla faccia ridotta a un budino, mentre gli occhi imploranti di James lo trasfiguravano, dandogli l’aspetto di bimbetto pronto per il cartello pubblicitario di pannolini per neonati. Ancora un po’ e avrebbe visto delle lacrime brillare sulle sue guanciotte.
 
«James, direi che possiamo finirla qui». Per sempre, aggiunse mentalmente giusto per rimarcare il concetto.
 
«Mi piacerebbe rivederti». L’uomo, con la sua polo verde militare, i pantaloni neri dal taglio perfetto e due occhi da cerbiatto si stava avvicinando di nuovo.
 
E no… Quale parte del discorso non ti è chiara?
 
«Non siamo adatti l’uno all’altro. Sono sicuro che troverai il ragazzo giusto per te». E che ami il sushi e bla bla bla…
 
James abbassò lo sguardo. «Mi dicono tutti così, ma cos’ho che non va?»
 
«Niente, solo non siamo adatti l’uno all’altro, sono cose che capitano, non ne fare una malattia». Si avvicinò per dargli una fraterna pacca sulla spalla, anche se forse risultò un po’ troppo energica. Probabilmente la voglia di colpirlo era ancora forte. «Ti auguro buona fortuna». Stava per aggiungere “sei un bravo ragazzo” ma, dopo aver ricordato i tentacoli e i canotti, si morse la lingua, gli sorrise e fece dietrofront. Chiavi in mano, era oltre il portone di casa sua in un nanosecondo.
 
Addio James, il tuo neo, il tuo macinino e il tuo sushi.
 
Cooper era stravaccato sul divano beige chiaro, i piedi sul tavolo, una ciotola di pop corn abbracciata come un’amica cara e uno sguardo strano rivolto a Blaine. I suoi occhi blu si spostarono sull’orologio a muro vicino alla porta e tornarono su di lui.
 
«Complimenti, hai battuto tutti i record questa volta. Sono le 21:25. James è stato silurato ancora più in fretta del suo predecessore».
 
Blaine si lasciò sprofondare sul divano accanto a lui, afferrando una generosa porzione di pop corn unti di burro e ben insaporiti. Fissò infine il televisore dove passavano le immagini di Honey.
 
«Ancora questo film?»
 
«Mi piace Jessica Alba». Cooper fece spallucce.
 
Non ci potevano essere due fratelli più diversi. Blaine aveva un carattere solare, il suo corpo era nella norma, il suo sguardo curioso e attento, i capelli neri e pieni di riccioli morbidi. Cooper era moro, capelli a spaghetto, sottili e lisci, e sguardo perennemente vispo. Ma come si rianimava quando le passavano sotto gli occhi le belle attrici dei film, o le modelle da infarto delle campagne pubblicitarie di biancheria intima… Blaine aveva venticinque anni ed era di nuovo in cerca di lavoro dopo essere stata licenziato per riduzione del personale nell’ufficio di un commercialista. Si poteva definire un uomo dallo spiccato senso pratico, di quelli che amano portare il pane a casa e non sottilizzano tanto sul tipo di lavoro; aveva bisogno di guadagnare, lasciava l’idealismo a Cooper, trentadue anni e tanti sogni nel cassetto.
 
Blaine prese un’altra manciata di pop corn. «Ho una fame!».
 
«Ma non sei andato a cena con l’orsacchiotto di turno?»
 
«Secondo te quanto posso aver mangiato di un piatto di sushi?».
 
Cooper le lanciò un’occhiata disgustata e gli passò l’intera ciotola con aria comprensiva, mentre tornava letteralmente a sbavare come un San Bernardo su Jessica Alba.
 
In silenzio Blaine finì i pop corn, gettando occhiate distratte al film che scorreva sul 40 pollici HD. Ma non era il suo genere, così prese una delle tante riviste di moda che comprava suo fratello e cominciò a sfogliarla. A un tratto arrivò a un servizio fotografico maschile e spalancò la bocca per la sorpresa. «Però… Questo si che è dotato!».
 
Cooper allungò la testa per sbirciare e scoppiò subito a ridere. «Mio caro fratellino che vive fuori dal mondo, quello è il modello. L’uomo più sexy del pianeta, il modello più ricercato e pagato da riviste e stilisti, e ha un fondoschiena da urlo».
 
«Lo sto vedendo in tutto il suo splendore!». Le curve armoniose erano esposte in pose artistiche bianco e nero su materassi, lenzuola, divani, e l’uso improprio che faceva di una camicia era a dir poco illuminante. Grazie agli studi approfonditi appena compiuti, Blaine avrebbe potuto scrivere un trattato sui mille e uno modi di utilizzare una camicia senza indossarla, e sarebbe stato un bestseller. Non c’era un centimetro di quel corpo di cui Blaine ora non conoscesse la geografia. E pensare che non era mai stata una delle sue materie preferite a scuola.
 
Cooper iniziò a ridere. «Sembri me, vedessi che faccia che hai».
 
«I miei ormoni si sono risvegliati dal lungo letargo e stanno dando un party. Quest’uomo è la perfezione».
 
«Dammi qua». Gli strappò di mano la rivista e prese a studiare meglio le foto. «Certo che non ha
pudore, eh?»
 
«È un bene dell’umanità, merita un monumento».
 
«Ahahahah, proponiamolo per il patrimonio Unesco. Che tutti sappiano, anzi vedano», proclamò
Cooper entusiasta.
 
Blaine rise e riprese il giornale in mano. «E guarda che occhi».
 
«Veramente ero distratto da…». Con il dito indicò un punto esatto e i due fratelli, dopo un istante di religioso silenzio, scoppiarono a ridere senza più freni.
 
«Cooper!!! »
 
«Non è colpa mia se lui preferisce farsi vedere così più dagli uomini che dalle donne. »
 
«Cosa vorresti dire??? Che è??? » Chiese Blaine, decisamente confuso.
 
«Eh sì, fratellino, gioca per la tua stessa squadra! » Ammiccò Cooper.
 
Dopo aver dissertato allegramente sulle bellezze del genere umano, o almeno di un umano in
particolare, Cooper e Blaine andarono a dormire pronti a sogni indimenticabili.
 




NOTE DELL’AUTRICE:
Eccoci qui con una nuova avventura? Cosa ne pensate? Cosa vi aspettate?

Non ce molto da dire, conto molto sulla riuscita di questa ff, perciò spero che non deluda le mie e le vostre aspettative.

Un bacio enorme, alla settimana prossima con il nuovo aggiornamento!

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Capitolo 2
*** 2. Va' a materassi ***


 
Capitolo 2
Va’ ai materassi
 
 
Poteva la giornata cominciare nel peggiore dei modi?
 
La risposta era ovviamente sì. E non era colpa delle chiavi incastrate in un tombino e di un uomo atletico che correva a soccorrerlo, prima di essere investito da un cassonetto dei rifiuti in mortale pendenza.
 
No, si trattava proprio della semplice sfortuna, quella che comincia con la sveglia che non suona, l’autobus che arriva alla fermata con tre minuti di anticipo, per ripartire senza di lui a bordo…
 
Blaine continuava a fissare imperterrito il suo orologio, un piccolo dischetto d’oro che gli ricordava di essersi laureato due anni prima alla facoltà di “non trovo nessun lavoro a cui potrei aspirare con questo pezzo di carta”. Ma più fissava l’ora, più sembrava che il tempo percorso dall’autobus, che aveva dovuto prendere mezz’ora dopo quello previsto, non finisse mai. La strada pareva allungarsi come in un incubo.
 
Proprio quel giorno avrebbe avuto un importante colloquio di lavoro. Erano settimane che cercava l’occasione giusta, e ora forse l’aveva trovata. Un impiego sicuro, certo non il massimo, ma poteva cominciare come segretario e magari salire di livello. Però era sveglio, imparava in fretta e aveva gestito da solo un intero ufficio, sapeva come trattare i clienti e i capi. E non era brutto: va bene, non era uno schianto, ma senz’altro un tipo, carino, e con un po’ d’impegno avrebbe fatto la sua figura. Se l’avessero assunto, si sarebbe tirato a lucido come un servizio da tè d’argento. Perché se anche non era fissato con le mode e il look, grazie al fratello conosceva vita, morte e miracoli di ogni tipo di cosmetici. Suo malgrado era diventato un esperto del settore. A volte si chiedeva se tra i due l’etero fosse davvero lui.
 
Sentendo la responsabilità di dover fare un’ottima impressione, aveva comprato per l’occasione un completo davvero sobrio, elegante quanto bastava. La tonalità dava sul grigio e le curve morbide lo avvolgevano esaltando le sue forme nei punti giusti.
 
Il problema era il ritardo all’appuntamento. Quello sì che era un pessimo biglietto da visita.
 
Aveva tenuto il viso incollato al finestrino per tutto il tragitto, quasi potesse incitare le colonne di macchine ad aprirsi per lasciarlo passare, finché a un certo punto aveva deciso di interrompere quell’agonia e di scendere per fare gli ultimi metri a piedi. Il suo colloquio doveva essere cominciato e finito almeno da quaranta minuti. Panico!
 
Le porte dell’autobus si richiusero al volo alle sue spalle, sputandolo senza grazia sul marciapiede affollato. Nonostante un paio di scarpe classico, di quelle che sono tutto fuorché comode, iniziò a correre.
 
Blaine non sapeva perché se la stesse prendendo tanto a cuore. In un angolino del suo cervello era consapevole che non l’avrebbero mai assunto. Di sicuro non rispondeva a molti dei requisiti richiesti.
 
Poco importava se conosceva tre lingue, era laureato e pieno di tanta voglia di fare.
 
Non aveva il carisma, lo charme, la presenza per sembrare uno di quegli assistenti da film sempre impeccabili, con abiti sempre perfettamente stirati, acconciatura da parrucchiere anche se svegli da due minuti, precisione e perfezione da far invidia a chiunque.
 
Lui era semplicemente Blaine Anderson, viso simpatico, parlantina sciolta, un tipo che sapeva arrangiarsi, ma non il primo della classe, che aveva sempre odiato; intraprendente, ma con riserva.
 
Arrivò con il fiatone davanti all’edificio che ospitava «Inside Look», la nuova rivista di moda, fashion, gossip e un’altra serie di amenità di cui suo fratello Cooper era avido lettore. “Per fortuna” pensò il ragazzo, mentre si sistemava le soffici ciocche che il gel aveva torturato per non farlo sembrare un pazzo di prima mattina.
 
Blaine aveva studiato il nemico in modo molto professionale, sfogliando tutti i numeri conservati gelosamente da Cooper, e ora sapeva parecchie cosette sulla rivista e sulla società che la pubblicava.
 
Si sentiva pronto.
 
Le porte a vetri, tanto trasparenti da sembrare inconsistenti, si aprirono e lo fecero passare. C’era ben poco di trionfale nel suo ingresso, a dire il vero. Continuava a sistemarsi la giacca e a prendere lunghi respiri per rallentare il battito cardiaco dovuto alla corsa fuori programma. Si avvicinò a un grande pannello in cui erano evidenziati i vari uffici. Settimo piano «Inside Look».
 
Prese l’ultimo proverbiale respiro, come un condannato a morte, e si diresse verso l’ascensore.
 
Inutile dire che diede una nuova sbirciata all’orologio e un brivido l’attraversò tutto come una scossa. Un’ora di ritardo.
 
Le porte si aprirono e lui si ritrovò con aria sconsolata a uscire sul pianerottolo e a fissare altre porte scorrevoli trasparenti, modello libellula. Una volta attraversate si avvicinò a un immenso bancone dal design ultramoderno, dietro al quale sedevano ben tre ragazze. Lo fissarono in sincronia; ognuna di loro era impegnata in una conversazione telefonica, senza uso di cornetta, ma con un auricolare bluetooth che le faceva sembrare le protagoniste di una puntata di Star Trek, modello Uhura.
 
Cominciando a percepire un leggero disagio, Blaine lanciò un’occhiata al suo abbigliamento. Forse non era così fashion come aveva creduto.
 
Lezione del giorno: scegliere il colloquio di lavoro in base alle proprie naturali inclinazioni e comprare un’altra sveglia. Non necessariamente in quest’ordine.
 
Ragazza numero tre, capelli corvini dal taglio spaziale, profumo Chanel N° 5 e rossetto Rouge Dior, gli piantò gli occhi addosso come se fosse stato un insetto da schiacciare. Se c’era una cosa che Blaine non sopportava era essere giudicato, cosa che gli faceva venire subito in mente “va’ ai materassi”, espressione eletta a vero e proprio stile di vita.
 
«Desidera?» Quel tono di voce voleva dire: smamma, insignificante puzzola.
 
«Ho un colloquio di lavoro con il signor Marzi. Mi chiamo Blaine Anderson» Grinta, sì, sfacciato, sicuro di te…
 
Ragazza numero due, capelli rosso fuoco lisci come un piano di linoleum, profumo non identificato e rossetto Estée Lauder Rose Tea, abbozzò un sorrisetto sarcastico senza staccare gli occhi dal suo monitor.
 
Uhm, nulla di buono all’orizzonte.
 
Ragazza numero tre la fissò come se fosse di suo gradimento quello che stava per rivelarle. «Temo sia arrivato tardi, il signor Marzi ha finito con i colloqui per oggi, e ha già fatto la sua scelta».
 
Ragazza numero due ancora ridacchiava sotto i baffi e Blaine stava per rifarle il maquillage quando si accorse che lo sguardo delle tre donne veniva catturato da un oggetto misterioso che doveva orbitare alle sue spalle. Un oggetto in movimento. Le ragazze sembravano a dir poco in estasi. Le tre espressioni inebetite rubavano finalmente il posto a una ridicola arroganza da “sono un’arrivata anche se l’unica cosa che faccio per campare è rispondere al telefono”.
 
Blaine ruotò il capo troppo tardi, appena in tempo per vedere un uomo molto alto che, di spalle, attraversava le porte e si avvicinava agli ascensori. Tornò a guardare le tre sgallettate super profumate che avevano di nuovo fissato i loro occhi trapanatori su di lui, con l’unico intento di sbarazzarsi dell’ospite indesiderato. «Le auguriamo buona giornata!».
 
Le tre fate turchine, allineate a mo’ di plotone d’esecuzione, l’avevano appena congedato.
 
Ma che carine!
 
Blaine aveva due opzioni: una, lottare per andare da Marzi e fare quel fottutissimo colloquio; due, andarsene con la coda tra le gambe perché in realtà era in difetto sull’orario, sul look, su tutto.
 
Che stava a fare lì?
 
Odiava dover dare soddisfazione a quelle megere dall’aspetto ultraterreno, ma era pur sempre un ragazzo educato, quindi le salutò pure. Quanto gli pesò.
 
Fece dietrofront e attraversò il portale fatato, per ritrovarsi sul pianerottolo proprio mentre l’ascensore si chiudeva.
 
“E no, con queste che mi fissano dal vetro non ci sto ad aspettare…”.
 
«Fermi!». Infilò al volo la mano tra le porte che si chiudevano, e stava già per imprecare in turco, pronto ad avvertire un gran dolore, quando una mano provvidenziale intervenne da dentro l’ascensore, e le porte si riaprirono per magia.
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Secondo capitolo di questa nuova ff, allora che ne dite? Blaine ha perso la sua occasione e adesso??? Chi è la persona che le tre streghe alla reception hanno visto???
 
Tutto questo, e altro, verrà svelato venerdì…
 
Per qualsiasi cosa non esitate a contattarmi.
Un bacione a tutti coloro che stanno seguendo questa nuova avventura e chi si unirà a noi.

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Capitolo 3
*** 3. Il triangolo delle bermude ***




Capitolo 3
Il Triangolo delle Bermude


 
«Grazie» esclamò il ragazzo dopo essere stato investito da un tripudio di bellezza.
 
Un cavaliere dalla scintillante armatura era lì per lui.
 
Si ritrovò paralizzato. Quello sì che era un intermezzo romantico da romanzetto rosa. Era ora che accadesse anche a lui qualcosa che meritasse di essere raccontato.
 
Silenzio, ecco la scena.
 
L’uomo lo guarda con due occhi sognanti. No, non proprio sognanti, più che altro incuriositi o forse infastiditi? Nessun rumore. No, non è vero, ci sono i telefoni che squillano in lontananza, potrebbero rompere l’incanto, ma non lo fanno. Blaine scivola lentamente dentro l’ascensore, a fianco dell’adone.
 
L’ascensore parte.
 
Non può essere… ripete la vocina nella sua testa. È lui, è lui… il modello!
 
L’essere meraviglioso, che con il suo corpo aveva reso l’arte uno scherzo della natura, era in piedi, lì accanto a lui, e per giunta vestito. Anche se nella testa di Blaine rimbalzavano la sua vigorosa nudità insieme a tutte le foto che aveva analizzato con attenzione insieme al fratello.
 
Il suo cuore era il tamburo impazzito di una band. Le loro braccia si potevano quasi sfiorare, pochi centimetri li dividevano e Blaine poteva percepire un certo calore attraverso il tessuto leggero. Come accidenti si chiamava quel dio sceso dall’Olimpo tra i comuni mortali? Era statO talmente distratto dalle inquadrature ardite del suo marmoreo fondoschiena che non aveva fatto caso al nome che nell’articolo accompagnava le foto.
 
Salivazione azzerata, battito accelerato. Dovevano sentirsi così le quindicenni che avevano l’incredibile fortuna di incontrare il loro One Direction preferito. Si sentiva ormonalmente sballato.
E la cosa comica, per non dire patetica, era che l’adone sembrava non averlo neppure visto. Certo, gli aveva tenuto aperte le porte dell’ascensore per impedirgli di diventare una frittata, ma non gli aveva certo lanciato sguardi di apprezzamento.
 
Era evidente, se lui era Apollo, lui non era neanche considerabile un semi-dio.
 
Il cuore decelerò in preda a un’improvvisa delusione, che si trasformò in una forma lampo di depressione. Uno come lui avrebbe fatto colpo su uno così l’anno del mai.
 
Ma perché voleva farsi notare? Che senso aveva quando in una manciata di secondi lo avrebbe perso per sempre. Molto drammatico, ma anche parecchio realistico. Voler appagare il proprio ego ferito da Qui Quo Qua non giustificava sogni a occhi aperti, per giunta irrealizzabili.
 
Si stava già mettendo l’anima in pace quando d’improvviso la cabina dell’ascensore ebbe un sussulto. Blaine si ritrovò a perdere l’equilibrio e istintivamente si aggrappò al braccio del modello misterioso.
 
Un altro scossone.
 
E Blaine realizzò che non era il momento di lasciarsi andare a pensieri in libertà sui muscoli del tipo accanto a lui. Che cavolo stava succedendo? Sollevò lo sguardo sull’uomo che aveva intercettato i suoi occhi e lo stava guardando davvero, questa volta.
 
Panico, non panico perché lo fissava. In altre condizioni l’avrebbe anche trovato gratificante, ma il suo panico aveva un’origine molto meno nobile. L’ascensore si era bloccato e le luci si erano spente, mentre una lucetta rossa regalava una tonalità cupa all’ambiente angusto. Sembrava di essere in un antro per l’inferno.
 
«Fantastico!» brontolò il ragazzo raddrizzandosi e lasciando la presa dal suo fortunoso appiglio.
 
«Siamo bloccati?»
 
L’uomo non aveva ancora parlato, anzi, dopo essersi allontanato da lui, si era avvicinato alle porte, impietosamente chiuse, e aveva cominciato a tastarle curioso per poi colpirle un paio di volte.
 
Blaine, che percepiva in maniera palpabile il nervosismo del suo occasionale coinquilino, lo osservava muoversi con malcelata agitazione.
 
Finalmente udì la sua voce, una tonalità chiara ma calda che in condizioni normali avrebbe fatto perdere la bussola anche a un transatlantico, ma che in quel momento suonava come un monito.
 
«Mi sentite? C’è nessuno? Siamo bloccati!».
 
Era ansia quella che Blaine riconosceva.
 
I movimenti frenetici che l’uomo iniziò a compiere gli fecero capire che la situazione stava precipitando. Il modello schiacciava in maniera insistente e casuale tutti i tasti del pannello vicino alle porte.
 
Come dirgli che non sarebbe servito a niente?
 
Blaine gli si avvicinò e con un gesto amichevole gli appoggiò la mano sul braccio e gli si rivolse con la voce più gentile e calma possibile. «Non ti preoccupare, vedrai che fra poco ci tireranno fuori da qui».
 
L’uomo si voltò a scrutarlo da distanza molto ravvicinata. Accidenti se era bello, peccato che i suoi lineamenti fossero contratti in una smorfia.
 
«Soffro di claustrofobia, capisci?»
 
Ecco, quella era una notizia che Blaine avrebbe preferito non ricevere.
 
Il modello si spostò e si guardò intorno come un animale in trappola. Fissava le pareti metallizzate come se potessero all’improvviso chiudersi su di lui e schiacciarlo, un po’ come accadeva a Han Solo e compagni in Guerre Stellari.
 
Blaine si passò una mano sulla fronte, pensando a una cosa intelligente da dire. «Fa’ un lungo respiro, ci tireranno fuori in un baleno, vedrai».
 
«Lo credi davvero?»
 
Speranza, ecco quello che voleva. Si allentò il nodo della cravatta come se lo stesse soffocando mentre continuava a muoversi irrequieto. Non convinto finì per sfilarsela e ficcarla nella tasca del giubbotto di pelle.
 
Che magnifico esemplare di fiera in gabbia!
 
«Ma certo, siamo in un palazzo pieno di uffici. Qui tutti producono, producono, affari, affari… Gli servono gli ascensori per accumulare dollari. Ci tireranno fuori presto».
 
Va bene, forse a entusiasmo aveva ecceduto un po’, ma meglio abbondare in casi di emergenza. Lui gli puntò gli occhi addosso e abbozzò un mezzo sorriso, per la verità più un ghigno sofferto. L’attacco d’ansia era imminente. Aveva tutti i sintomi stampati in faccia. Non che Blaine li conoscesse, ma vederlo agitarsi in quel modo smanioso lo rendeva molto nervoso. Magari qualcun altro avrebbe pagato per restare chiuso in un loculo con un essere fantastico caduto dal cielo, ma lui cominciava a pentirsi di aver preso lo stesso ascensore.
 
Comunque, meglio fare di tutto perché si rilassasse: era sul punto di esplodere come un reattore nucleare. Blaine voleva essere a non meno di dieci centimetri da lui per evitare la deflagrazione, anche se lo spazio in quella scatola di sardine era davvero poco.
 
Allungò la mano verso la sua e la strinse, senza che lui si rendesse conto che si stava presentando.
 
«Ciao, sono Blaine Anderson».
 
Ecco, aveva finalmente trovato un difetto al mostro di bellezza. La sua mano sembrava un’anguilla sgusciante. Lo guardò dritto in volto per la sorpresa e intravide tante piccole gocce di sudore nella forzata penombra, che gli scivolavano dalla fronte.
 
«Mi chiamo Kurt, Kurt Hummel». La sua voce sembrava sforzarsi di mantenere un po’ di controllo.
 
Ecco come si chiamava! Kurt Hummel!
 
«Piacere Kurt, ora… Cerchiamo di rilassarci, ok? Perché non ci sediamo, ti va?».
 
E senza attendere risposta scivolò a terra, appoggiando la schiena alla parete e fissandolo all’insù. Preferì non pensare alla colonia di microbi che aveva calpestato con il suo fondoschiena. Si sarebbe preoccupato di lavare tutto a tempo debito.
 
«Soffro di claustrofobia. Morirò qui dentro».
 
Non era la frase che Blaine avrebbe voluto sentire. Era decisamente agitato. Houston, abbiamo un problema. Con fare da crocerossina lo prese per la mano e lo tirò giù, costringendolo a sedersi accanto a lui.
 
«Dovresti provare a rilassarti, vedrai che fra pochi minuti saremo fuori».
 
Kurt si passò una mano tra i capelli con gesto stizzoso e si appoggiò allo schienale improvvisato. «Non so quanto potrò resistere. Sono già rimasto chiuso in un ascensore in passato».
 
Blaine lo osservò di sottecchi. Che carriera, modello e ostaggio di ascensori. Un uomo di successo.
 
«E che cosa è accaduto?» domandò incuriosito. Buon segno, aveva voglia di fare conversazione.
 
«Credimi, è meglio non saperlo» gli rispose fissandolo dritto negli occhi.
 
Cercava di ipnotizzarlo o spaventarlo? In entrambi i casi ci era riuscito.
 
«Forse dovresti concentrarti su qualcosa di bello, magari chiudi gli occhi e pensa a una spiaggia, alle onde che lambiscono la sabbia e… Che c’è?», aggiunse il ragazzo accorgendosi che Kurt lo fissava come se fosse una specie di cubo di Rubik da risolvere. Non sembrava molto ben disposto. Peccato perché il suo suggerimento era intelligente. Blaine aggrottò la fronte piccata. «Pensa a qualcosa di…».
 
«Che fai nella vita?» Gli domandò a bruciapelo, appoggiando la testa alla parete e chiudendo gli occhi. Piegò una gamba e mise un braccio sul ginocchio.
 
Che posa plastica da superfigo… e non c’era nessun fotografo a immortalare quell’epico momento.
 
Blaine si rilassò. «Sono disoccupato, niente lavoro. Oggi sono venuto qui a “Inside Look” per un colloquio, ma mi è andato tutto storto. La sveglia non ha funzionato, ho perso l’autobus, il traffico e…».
 
Kurt aprì gli occhi di scatto. «Grandioso, per errore sono capitato nel tuo Triangolo delle Bermude personale!». Era troppo astioso per i suoi gusti.
 
«Stai insinuando che porto sfortuna?». Era a dir poco allibito.
 
«Dico che l’ascensore si è bloccato durante il tuo incubo personale».
 
«Io sono entrato nel tuo ascensore per secondo, forse ce l’aveva con te».
 
Mise il broncio e si riappoggiò alla parete metallica, incrociando le braccia sul petto. Ma che insolente, e lui che cercava di essere gentile ed evitargli uno spiacevole attacco d’ansia.
 
Le labbra tirate di Kurt si ammorbidirono in un mezzo sorriso e tornarono a essere piene e sensuali. «Potresti avere ragione, dopotutto gli ascensori non mi amano. Cerco sempre di evitare di prenderli se mi è possibile, ma sai… a volte non ci sono alternative! Grattacieli… tanti piani…».
 
Blaine cercò di mantenere un contegno anche se gli veniva da ridere. «Stai cercando di fare dell’ironia?». Non c’era una nota di rimprovero nelle sue parole. Magari era pronto a conversare con lui senza aggredirlo.
 
Kurt gli lanciò uno sguardo di sottecchi e gli sorrise, davvero questa volta. «Guarda che io sono un tipo spiritoso solitamente, ma credimi, faccio una grande fatica in questo momento».
 
«Temevo di essere io il problema». Lo punzecchiò più per stimolarlo a parlare che per qualche altro motivo.
 
Si sistemò più comodo e tornò a concentrarsi su di lui, mentre prendeva lunghi respiri e si sbottonava distratto la camicia, movimento che a Blaine non passò certo inosservato. Immagini di servizi fotografici danzavano davanti ai suoi occhi e la gustosa porzione di pelle del collo, mostrata a tradimento, lo confondeva più del dovuto. Doveva focalizzarsi sul suo interlocutore… vestito!
 
Per qualche minuto rimasero in silenzio, sembravano studiarsi, ma senza voler dare l’impressione di farlo. All’improvviso Kurt domandò: «Quindi il colloquio è andato male?». Cercava di distrarsi per quanto gli era possibile e sembrava perfino interessato.
 
«Non ho avuto nessun colloquio, sono arrivato tardi e hanno assunto un altro. Ho fatto una pessima figura, non è da me essere in ritardo, oggi il destino ci ha messo la sua zampaccia».
 
«Forse il destino ti riserva qualcosa di meglio».
 
Blaine inclinò il capo per osservarlo. In effetti magari il destino gli aveva riservato una suite di un metro quadrato da dividere con il dio dell’amore. Sì, come no!
 
«O forse il destino si è distratto e non ha letto nel suo taccuino… Oggi Blaine verrà assunto a “Inside Look”». Gli sorrise senza più nessuna ombra di risentimento per la battuta infelice di poco prima. In fondo l’uomo era in tilt, poteva perdonarlo per lo sgarbo.
 
Kurt rise, di una risata piena e profonda che le fece sciogliere le gambe, ormai mollemente abbandonate sul pavimento. Per un uomo così avrebbe fatto follie.
 
«Perché mi fissi così?».
 
Blaine fece un salto e divenne probabilmente viola in volto, ma per sua fortuna era impossibile notarlo grazie alla luce spettrale.
 
«Ho visto alcuni tuoi servizi fotografici». Disse la prima cosa che le venne in mente. Pessima idea, proprio uno di quei servizi fotografici stava disintegrando tutta la razionalità che gli era rimasta.
 
«Quindi sai chi sono?» chiese incuriosito.
 
«Diciamo di sì, ma onestamente non mi ricordavo il tuo nome». Si morse il labbro. La frase poteva essere fraintesa. «Intendevo che non sono uno che legge molto le riviste di moda, è mio fratello Cooper l’esperto».
 
«E cercavi lavoro qui dentro?» ridacchiò e questo le fece venire il nervoso.
 
«Per fare l’assistente qui dentro è necessario conoscere tutti i modelli del mondo?». Voleva colpire il suo ego. Di sicuro ne aveva uno molto sviluppato, se mostrava il suo corpo senza tanti problemi e faceva un mestiere per cui il suo aspetto valeva oro.
 
«Touché! Ma io non sono tutti i modelli del mondo».
 
Evviva l’umiltà.
 
Ma stava flirtando, con lui? Lì dentro?
 
Gli occhi di Blaine ricaddero sulla porzione di pelle che aveva iniziato a imbarazzarlo. Deglutì con lentezza. Poteva essere un istante eterno, di quelli da romanzo rosa, di nuovo. L’uomo e la donna parlano, sentono attrazione reciproca e quando arriva il momento clou…
 
Sdung.
 
Cos’era quel rumore?
 
Sdung
 
Ancora e questa volta accompagnato da uno scossone dell’ascensore.
 
Gli occhi di Kurt si fecero vigili, mentre il suo corpo iniziava a tremare. Anche Blaine cominciava ad avere paura. Kurt scattò in piedi e iniziò a camminare su e giù.
 
«Mi sento male, mi manca l’aria». Si tolse il giubbotto di pelle e subito dopo la camicia e li appallottolò, lanciandoli con rabbia in un angolo della cabina.
 
Blaine si alzò incerto. «Calmati, ti prego, vedrai…».
 
«Non capisci, non respiro». Si portò una mano al collo come a indicare che non respirava veramente più.
 
Altro scossone.
 
Blaine calmo, non precipiteremo, no, no… vero?
 
Il ragazzo cominciò a sventolare la mano davanti al volto del modello che adesso era tirato, contratto in una smorfia di terrore. Il suo petto madido di sudore pompava aria a un ritmo vertiginoso. Stava andando in iperventilazione.
 
Che accidenti poteva fare per calmarlo?
 
Schiaffeggiarlo, suggerirgli ancora di pensare a qualcosa di bello? Insultarlo? Scuoterlo?
 
Kurt, pantaloni a vita bassa e un fisico da urlo, era lì che annaspava come se da un momento all’altro potesse stramazzare al suolo. E strani rumori sinistri si diffondevano intorno a loro, rendendo quella scena degna di un film dell’orrore, altro che di un romanzo rosa.
 
Blaine, rifletti…
 
«Mi manca l’aria!» Continuava a invocare Kurt con un filo di voce, come se lui potesse davvero aiutarlo.
 
Il ragazzo lo fissò prendendo coraggio perché ciò che stava per fare era assoluta follia. Rischiava grosso, orgoglio e amor proprio in primis. Allungò le mani, gli prese il viso tra i palmi e lo attirò a sé, mentre uno sguardo sbalordito e sgomento la ricambiava.
 
Blaine fece un respiro profondo e lo baciò, stampando le proprie labbra su quelle morbide di lui. La sua bocca si mosse in maniera fin troppo curiosa e di certo non solo rassicurante. Stava baciando un uomo attraente, e se fosse sopravvissuto allo schianto dell’ascensore, sarebbe morto di vergogna, ma se baciarlo poteva distrarlo e sorprenderlo abbastanza da non farlo pensare, allora il sacrificio valeva la pena.
 
Ehi, ma era la lingua di Kurt Hummel quella che cercava di farsi strada nella sua bocca? Che superava l’ostacolo e si insinuava esplorando con attenzione? Ed erano le mani di Kurt Hummel che si erano posate sui fianchi rotondetti di Blaine e si muovevano accarezzandoli?
 
Il cuore del ragazzo iniziò a pompare furiosamente. Rischiava di ubriacarsi di ossigeno e di Hummel.
 
Quell’uomo, con il suo corpo e la sua bocca, poteva essere considerato un serial killer di professione.
 
Sdung ed ennesimo scossone.
 
Stava per morire, ma almeno lo avrebbe fatto tra le braccia di Apollo, dando il bacio più hot nella sua vita.
 
«Scusate, disturbiamo?». Una voce baritonale e divertita li interruppe.
 
Blaine e Kurt si staccarono impacciati, voltandosi a guardare l’uomo tarchiato, che indossava la divisa da vigile del fuoco e li fissava compiaciuto. Certo, poteva sembrare una situazione compromettente e anche imbarazzante. Kurt a torso nudo, loro avvinghiati come piovre che si baciavano con una certa foga….
 
Blaine si sistemò il vestito e Kurt raccolse da terra la camicia e il giubbotto di pelle.
 
«Grazie per averci tirato fuori!» esclamò Blaine con voce stridula, mentre usciva dall’ascensore per primo. Il vigile lo lasciò passare e il ragazzo si ritrovò davanti a un muro di persone. Almeno cinque, altri due pompieri e qualche curioso.
 
Notò che lo sguardo di quei tizi l’aveva oltrepassato per trasformarsi da malizioso a stupito, per poi tornare su di lui con rinnovata curiosità.
 
Blaine si voltò per cercare gli occhi di Kurt, infastidito quanto lui. Si era rivestito con calma e ora parlava con il loro salvatore. «La ringrazio per l’aiuto. Soffro di claustrofobia e il ragazzo…».
 
«Sì, ho capito, faceva la respirazione bocca a bocca» rispose l’altro.
 
Kurt lo accompagnò nella risata che ne seguì. «Qualcosa del genere, sì!».
 
Era stato un benefattore, aveva sacrificato la sua reputazione per distrarre quel babbeo ed ecco che ora era diventata lo zimbello del secolo.
 
Quatto quatto, mentre tutti erano concentrati su Kurt e la sua storia, Blaine fece uno, due, tre passi indietro e inforcò le scale di servizio. Qualche piano in discesa non sarebbe stato un problema, l’importante era andarsene via da lì e in fretta dopo una mattinata da dimenticare. Beh, non proprio tutto era da dimenticare, un bacio come quello difficilmente sarebbe fuggito via dalla sua testa, era uno di quei baci che restano impressi nella memoria come il primo amore.
 
«Blaine?». La voce di modello super sexy appena baciato.
 
Non ti fermare, si stancherà.
 
«Blaine».
 
Arpionato, costretto a fermarsi su un maledetto gradino. Indossare maschera, calmare il proprio cuore, non provare vergogna.
 
«Kurt, sì?». Ruotò su se stesso sfoderando un sorriso falso come una banconota del Monopoli.
 
«Perché sei scappato in quel modo?», gli domandò lui.
 
Ora che le luci erano accese, senza penombre a giocare con i loro lineamenti, Blaine poteva seguire la perfezione della mascella, la barba di pochi giorni che gli aveva solleticato la pelle, il blu dei suoi occhi e la carnagione bianchissima. Era uno schianto e lui si sentiva piccolo, brutto e insignificante. Non era proprio la sua giornata.
 
«Sono scappato perché ero imbarazzato e… Ok… Mi devo scusare…». Balbettava, terrificante! «Ho letto da qualche parte che baciare aiuta a calmare chi soffre di attacchi di panico e così ho pensato che fosse una cosa da provare. Non volevo baciarti, ma solo aiutarti. Non vado in giro a baciare estranei negli ascensori e senza camicia… E neppure con la camicia… Negli ascensori intendo… sto straparlando».
 
Kurt scoppiò a ridere e gli fece una carezza sul viso, una carezza gentile e senza un doppio fine.
 
«Calmati, ho capito cosa intendi e ha funzionato, mi sono davvero distratto. Baci bene».
 
«No, dico, vuoi vedermi diventare rosso come un peperone? Vorrei evitarlo, ti prego».
 
«Va bene, certo che sei buffo».
 
Blaine si mise le mani tra i capelli e iniziò a ridere. «Proprio quello che ogni uomo di questo mondo vorrebbe sentirsi dire dopo essere stata baciato. Scherzo, dài». Finalmente si sentiva a suo agio, non c’era più motivo per non essere tranquillo, niente più imbarazzo. Più o meno. L’episodio si era concluso nel migliore dei modi.
 
Vide che Kurt prendeva dalla tasca del giubbotto il cellulare.
 
«Mi dai il tuo numero di telefono?» domandò come se fosse la richiesta più naturale del mondo.
 
«E per cosa?»
 
«Come per cosa?».
 
Blaine lo fissò sinceramente perplesso.
 
«Dammi il tuo numero, su. Così uno di questi giorni ti invito a cena per ringraziarti di avermi fatto superare un attacco d’ansia. Hai i tuoi metodi ragazzo e funzionano».
 
«Va bene allora, puoi chiamarmi quando vuoi…» fece con troppo entusiasmo. «Non intendevo per baciarti, eh?». Blaine rilassò le spalle e abbassò il capo. «Lo so, sono buffo».
 
«Un po’, tendi sempre a spiegare tutto, ma qui non c’è niente da spiegare, mi va di invitarti a cena.
Che c’è di male?»
 
«Niente». Blaine gli diede il suo numero, convinto che non l’avrebbe mai e poi mai richiamato.
 
Scesero le scale insieme, parlando della loro avventura, poi si salutarono con un sorriso, qualche parola carina e la promessa di rivedersi. Blaine era certo che non sarebbe accaduto. Kurt fu circondato da una nuvola di giovani ragazzine starnazzanti, con macchine fotografiche, penne e quaderni, pronte a strappare un ricordo al modello più attraente del mondo. Lui sorrideva affabile, come se si divertisse in mezzo alla ressa e alla confusione.
 
Mentre Blaine si apprestava a uscire dal palazzo, si girò a guardarlo un’ultima volta. Kurt gli stava sorridendo. E gli fece pure l’occhiolino, per sparire infine dalla sua vista, inghiottito dalle fan.
 
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazziiiii… BUON FERRAGOSTO A TUTTI!!!!
 
Allora ve lo aspettavate un primo incontro così????
Finalmente la storia prende piega, da ora in poi vi divertirete un mondo!!! Ci saranno tanti colpi di scena e tante belle situazioni… Scopriremo un po’ di più sul nostro protagonista Blaine e che ne dite Kurt lo richiamerà o succederà proprio come Blaine sostiene, cioè che si dimenticherà di lui una volta andato via???
 
Fatemi sapere se vi è piaciuto? Se siete curiosi di sapere come andrà avanti e che idee vi state facendo.
 
Vi mando un grosso bacio, e ci aggiorniamo martedì!!!

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Capitolo 4
*** Ommm ommm ***





Capitolo 4

Ommm ommm
 
Il ticchettio delle dita sulla tastiera indicava che era intento ad aggiornare il proprio profilo di Facebook, a sistemare il curriculum che evidentemente non era fonte di particolare interesse per i destinatari, e a chattare con un’amica virtuale dall’assurdo nickname Ildebrana33.
 
Blaine amava definirsi un ragazzo multitasking, capace di fare contemporaneamente più cose riuscendo a concluderle tutte nel migliore dei modi. L’unica che gli sembrava impossibile era trovare uno stramaledetto lavoro.
 
Ormai si era ridotto a leggere perfino gli annunci sui giornali, quelli squallidi vicino alle pubblicità dei telefoni erotici. Era avvilito, il tempo cominciava a stringere e l’affitto del suo bilocale non si pagava da solo. Aveva deciso di ospitare suo fratello Cooper quando ancora si poteva permettere, grazie al suo precedente impiego, di poter vivere serenamente. Adesso i risparmi in banca scarseggiavano, e Cooper che, dopo aver girato una pubblicità, aveva deciso di tornare sui libri per studiare recitazione, non era in grado di aiutarlo con le spese. E Blaine era troppo orgoglioso per chiedere aiuto ai genitori. Era un uomo adulto e indipendente, aveva imparato a mantenersi, a gestire i propri conti.
 
Il suono dei pulsanti fu interrotto dallo squillo del cellulare, per la verità da Teenage dream di Katy Perry, che gli annunciava l’arrivo della telefonata giornaliera, quella che non poteva mai mancare.
 
Blaine sbuffò, si tirò su le maniche della felpa pronto per la battaglia, prese il suo smartphone e rispose, dopo aver fatto un lunghissimo respiro.
 
«Blaine caro, ce ne hai messo di tempo!».
 
«Buongiorno mamma, ero nell’altra stanza…». Bugia numero uno, Blaine fece una smorfia.
 
«Mmmm».
 
Le labbra di Blaine si ridussero a una fessura.
 
«Allora? Novità?», domandò senza troppi giri di parole.
 
Il ragazzo sentì dall’altra parte il sospiro incuriosito di sua madre. Pam Anderson era una donna di cinquantatré anni, fisico asciutto, capelli acconciati alla perfezione, trucco impeccabile, occhi attenti come un binocolo puntato sull’obiettivo e una concezione della vita molto zen.
 
Blaine si diresse verso l’angolo cottura e aprì il frigorifero, prendendo del succo d’arancia. Con movimenti metodici e quasi al rallentatore appoggiò il contenitore sul bancone, versò il succo in un bicchiere, meditando una risposta che non suonasse patetica.
 
«Ho capito, niente, eh?»
 
«Non è facile, è un periodo di crisi».
 
«Ma sì, vedrai che qualcosa ti inventerai. Ti ricordi Luisa Williams la nostra vicina di casa? Ha la figlia che insegna step, potresti insegnare step».
 
Blaine si sedette sullo sgabello, un trespolo che lo faceva sembrare come Snoopy in modalità Joe
Falchetto. «Mamma, io non faccio step, non so neppure cosa sia lo step.».
 
«Sapessi quanto fa bene ai glutei, ti vengono belli sodi, sai?»
 
A volte cercava di dimenticare quanto sua madre potesse imbarazzarlo con quelle sue sparate; da una madre ci si potrebbe aspettare tutto tranne i commenti sui propri glutei sodi. In quei casi preferiva ignorarlo.
 
«Tuo padre dice che sono a prova di pizzicotto» aggiunse soddisfatta.
 
Blaine inghiottì tutto il succo sognando che fosse un whiskey doppio.
 
«E gli appuntamenti? Comincio a preoccuparmi per te caro, una sana vita amorosa allunga la vita, dovresti saperlo».
 
La immaginava a parlare della sua sfigatissima vita sessuale mentre stava sulla sua cyclette. Dal leggero fiatone, doveva essere proprio così. Pam non aveva mai avuto problemi sulla sessualità del figlio, per molto tempo aveva sostenuto di averlo sempre saputo, e la cosa non poteva far che piacere a Blaine. Ma poi era passato il tempo di silenzio e la sua vita privata era diventata un interessante argomento di discussione.
 
«Mamma, ti prego».
 
«Blaine, che male c’è a fare un po’ di sesso, voglio dire, sei grande ormai, goditi la vita. E non essere così fiscale nella scelta dei tuoi uomini».
 
«Mi chiedevo quanto tempo ci avresti messo a dirmelo» brontolò vagamente arrabbiato. Per lui fare l’amore era una cosa importante e voleva una persona speciale a fianco a sé, non qualcuno da usare per migliorare la pelle del viso e la funzionalità cardiocircolatoria.
 
«Sei così antiquato, non sembri neppure figlio mio».
 
«Devono avermi scambiato nella culla».
 
Pam rise di una risata filippina, la risata che di certo aveva colpito e affondato suo padre, imprenditore dall’animo poetico, il cuore impavido e parecchi soldi in tasca.
 
«Lo dico per te, sei single da quanto, ormai? Tre anni? È troppo alto, è troppo basso, è troppo stupido, è troppo intelligente. Capisci che se vai avanti così rischi di ritrovarti come una zitella a vita?»
 
«Ho solo venticinque anni». Neppure la ascoltava, Pam continuava a parlare.
 
«Perfino tuo fratello esce con qualcuno. Penso che sia una sfigata, ma non importa. Quello che conta è che non è solo ed è felice».
 
«Di certo non sei la classica madre che sogna un marito imprenditore con un mucchio di bei soldoni per il figlio, un futuro radioso e una pensione integrativa di tutto rispetto».
 
«Oh, ti prego no, non vorrei essere mai così banale e puerile, per carità».
 
Blaine non poté che sorridere, sua madre era decisamente fuori di testa, molto più di lui. Gli voleva bene anche se faceva fatica a dimostrarglielo il più delle volte, proprio perché tra loro due Blaine si sentiva il più maturo, il più assennato e con i piedi per terra. Sembravano usciti dal film Mi presenti i tuoi? Pam era Barbra Streisand un po’ meno sopra le righe e lui un Ben Stiller più carino. Quella donna era una bomba a orologeria e il figlio non sapeva mai quando sarebbe scoppiata, mettendola in una situazione incresciosa e senza via d’uscita.
 
«Comunque, Blaine, il principe azzurro non esiste, smettila di cercarlo».
 
Blaine si intristì: come dimenticare che suo padre, Richard Anderson, non era mai stato il principe azzurro della mamma? Come spezzare un bel sogno fatto in gioventù su due genitori davvero inusuali, ma a cui teneva tantissimo.
 
«Non credere, non sono l’ultimo romantico, ma ho bisogno di sentire qualcosa di forte per vivere momenti intimi con qualcuno».
 
«Lascia stare la tachicardia da innamoramento, io penso che una buona vita sessuale aiuti anche a capire chi hai davanti. Come puoi sapere altrimenti se quello con cui stai è giusto per sempre
 
«Detto così fa sembrare tutto come una ricerca di mercato. Un’indagine statistica…».
 
«No, è praticità, e comunque non mi piace saperti solo e per giunta senza un lavoro».
 
«Cooper vive con me».
 
«Hai capito cosa intendevo».
 
«Anche troppo bene e mi imbarazza non poco».
 
«Sei il solito bacchettone». Blaine riusciva a immaginare Pam sorridergli. Nonostante tutti i suoi consigli preziosi e progressisti, sua madre sapeva che non sarebbe mai cambiato.
 
«Se vivessimo negli anni Sessanta saresti una figlia dei fiori!» esclamò Blaine con aria complice.
 
Pam scoppiò a ridere di gusto. «Ho paura di sì, tesoro. Ora ti lascio, fra poco arrivano le ragazze per la seduta». Aveva aperto un centro per l’armonia celeste e il rilassamento spirituale. Blaine ancora cercava di dimenticarlo. Sospirò di nuovo. Quante volte poteva farlo durante una telefonata di cinque minuti? Migliaia di volte se si trattava di sua madre, l’asceta del mondo zen.
 
 
«Vai, ci sentiamo presto».
 
«Certo… e sorridi alla vita, anche lei ti sorride».
 
«Ciao mamma».
 
«Ciao e salutami Cooper».
 
Con un tonfo lasciò andare la testa sul bancone. Era terrificante pensare che sua madre avesse una vita sessuale più soddisfacente della sua.
 
Teenage draem spezzò di nuovo la trama dei suoi pensieri. Cosa voleva ancora sua madre? Non bastava una telefonata al giorno per deprimerlo oltre ogni modo?
 
«Che c’è?» fece con voce al limite dello sgrunt.
 
«Blaine?».
 
Il ragazzo si raddrizzò immediatamente sentendo una voce calda come la cioccolata in pieno inverno. Un accento familiare gli solleticò l’udito. Ecco la tachicardia che sua madre prendeva tanto in giro, era lì che rimbombava dentro il suo petto.
 
«Blaine, ci sei?». Poteva immaginare la piega delle labbra, che aveva assaggiato per un miracoloso scherzo del destino, arricciarsi in maniera ironica e sexy.
 
«Credo di aver fatto la mia ennesima figuraccia, vero?»
 
«Rispondi sempre così al telefono?». Pareva divertito.
 
«Solo quando sono sicuro di apparire buffo ai tuoi occhi. In questo caso alle tue orecchie…».
 
Kurt rise. «Scusami se non ti ho telefonato prima, ho avuto qualche impegno».
 
«Sono passate due settimane, voglio dire non pensavo proprio di sentirti».
 
«Interessante, tieni il conto».
 
Fulmine, colpiscimi qui ora e facciamola finita.
 
Accidenti, un momento, ma Kurt Hummel gli aveva davvero telefonato? E lui parlava con un modello da urlo indossando una vecchia tuta, affogata in un mare di succo d’arancia? Nooo.
 
«Intendevo che non pensavo che mi avresti mai chiamato».
 
«Ma te lo avevo promesso… E tu tieni il conto».
 
«Ricordo bene la data in cui ho perso un ottimo lavoro» mentì.
«Ma hai incontrato me».
 
«Sentilo, quanta prosopopea. Pensi che il nostro incontro dovrebbe rappresentare una momento importante nel corso della mia vita?». Stavano flirtando? Nooo.
 
«La data importante la devi ancora segnare sul tuo calendario» sussurrò lui convinto.
 
«Siamo sicuri di noi stessi!»
 
«Un po’, ti disturba?»
 
«Lo trovo rassicurante».
 
«Rassicurante?». Era incuriosito. Lui non poteva vederlo, ma in quel momento Kurt era sdraiato su un comodo divano, lo sguardo sul panorama moderno di una città dalla vita pulsante. Sidney.
 
«Certo per l’idea che mi ero fatto di te».
 
«Adesso mi dovrai dire qual è».
 
«E svelare le mie carte?»
 
«Stiamo giocando a poker?»
 
«Questa conversazione è strana».
 
«Non direi, la trovo interessante, ho scoperto tante cose».
 
«Quali cose?»
 
«Che tu hai tenuto il conto dei giorni per esempio».
 
«Ma non è vero…». Sì che è vero.
 
«E che in questo periodo hai fantasticato su di me». AMO QUESTO KURT!!!
 
«Ma non l’ho mai detto!». Blaine protestò vivacemente mentre un’ondata di calore gli avvolgeva il viso ormai in fiamme.
 
«Hai detto che ti sei fatto un’idea di me e questo implica che hai pensato a me. Anche io mi sono fatto un’idea di te».
 
«Questa poi…».
 
«Che dici se ci incontriamo per unire le nostre idee? Per quella famosa cena che ti avevo proposto?»
 
Cuore mio, rallenta o qui ci rimango stecchito. «Credevo scherzassi».
 
«Devi proprio esserti fatto un’idea assurda di me. E pensare che hai conosciuto un mio lato nascosto che non conosce nessuno. Dovresti esserne lusingato e non giudicarmi dalle apparenze». Ora sembrava piccato anche se voleva nasconderlo con l’ironia.
 
Blaine ripensò ai minuti passati chiusi nell’ascensore. Adesso poteva quasi sorridere a quel ricordo, ma riflettendoci bene per Kurt dovevano essere stati attimi terribili. Gli aveva mostrato un lato fragile di sé, un lato che di sicuro voleva proteggere. E lui c’era quando lui ne aveva avuto bisogno.
Appariva come il preludio di una storia d’amore, da principe azzurro e scarpetta di cristallo. Poteva immaginare sua madre prenderlo in giro per la sua fantasia infantile.
 
Cosa poteva avere mai in comune con Kurt Hummel? Poteva al massimo aspirare a essere un flirt di passaggio in una vita sentimentale burrascosa.
 
Era vero, aveva pensato a lui in quelle due settimane, sognando che lo chiamasse, per il desiderio pazzesco di vivere qualcosa di intrigante che scuotesse la sua monotona esistenza, e gli permettesse di rincontrare le sue labbra. Ma fantasticare su di lui l’aveva reso indiscreto. Si era documentato per scoprire che la sua vita era un saliscendi di storie finite alla velocità della luce, di avventure sotto i riflettori del gossip. In tutta onestà, anche se era attraente da morire, quell’uomo non poteva dargli ciò che cercava. Al massimo un temporaneo appagamento personale, un ricordo da conservare e forse poca stima di sé. Che disgrazia se avesse provato interesse per un modello che per lui non avrebbe sentito mai nulla di serio.
 
Lo ammetteva, era una persona razionale; ogni cosa doveva essere organizzata, preventivata, studiata a tavolino. C’era poco spazio per l’improvvisazione, ma con due genitori fuori di testa come i suoi era stato impossibile per Blaine crescere senza crearsi intorno un alone di stabilità.
 
Essere senza lavoro l’aveva destabilizzato; non avere un ragazzo, innervosito; ricevere la telefonata di Kurt lusingato, e sarebbe stata tentato di dire di sì per coccolare il proprio ego ferito, ma la testa gli diceva… lascia stare, non fa per te, tu non hai niente a che spartire con quell’uomo e la sua assurda vita da rotocalco.
 
Cercò di ricordarsi la sua ultima affermazione per riprendere il filo del discorso. «Sono lusingato anche se ti ricordo che sei stato quasi costretto a mostrare la tua fragilità. Io ero uno spettatore casuale».
 
«Esci con me, mi farebbe davvero piacere. Al momento sono a Sydney, ma domani parto per tornare a New York. Sono qui per un servizio fotografico, una noia mortale, ma la città è bella. Esci con me…» ripeté con maggiore convinzione e con una spiccata tenerezza mista a una punta di mistero.
 
E la sua voce così particolare gli fece formicolare la nuca. Da brivido.
 
«Kurt, non è il caso».
 
Silenzio. Prolungato silenzio. Poteva sentire le rotelline dell’ingranaggio girare a vuoto.
 
«Per quale motivo? Non ti sono simpatico?» Sembrava proprio stupito.
 
«Al contrario, penso che tu sia un simpatico vanesio» rise per poi tornare serio. «A parte gli scherzi, non credo che il mio mondo e il tuo possano incontrarsi per mischiare le rispettive idee…».
 
«Ho capito, la mia fama mi ha preceduto».
 
«Mio fratello ha tante riviste, piene zeppe di interviste e altre cose così, impossibile non imbattermi in una di loro».
 
«Soprattutto se sei alla ricerca di informazioni» lo rimbeccò Kurt tentando di mantenersi cordiale, ma si sentiva che la sua voce aveva perso sicurezza.
 
«Diciamo che ho trovato quello che cercavo».
 
«Il mio invito a cena non nasconde secondi fini, voglio solo parlare con te, ringraziarti, esserti amico. Non vedo cosa ci sia di male. Temi che ci provi con te?».
 
Ops, che avesse sbagliato a giudicare la situazione? Che gli offrisse solo amicizia? Ma certo che era solo amicizia! Cosa l’aveva spinto a viaggiare così tanto con la fantasia? Un bacio dato per arginare un attacco d’ansia non era certo l’inizio di qualcosa.
 
Si mise davanti allo specchio, immaginando che se Kurt fosse stato lì e l’avesse visto in quel preciso istante avrebbe ritirato la sua innocua richiesta di amicizia e il suo invito a cena, per cancellare infine il suo scomodo numero di telefono dal suo costosissimo cellulare.
 
«Non pensavo che tu… voglio dire non è che ci vuoi provare con me…». Sgranò gli occhi mordendosi la lingua, farneticava di nuovo. Doveva imparare a usare un bel filtro tra i suoi pensieri e le parole che pronunciava. «Sono lusingato, molto lusingato… ma mi sentirei a disagio… a disagio nel tuo mondo».
 
«Parli come se fossi un alieno, Blaine, e non lo sono. Viviamo sullo stesso pianeta noi due».
 
Era biasimo quello che avvertiva nel tono della sua voce? Forse una punta di dispiacere? Con il suo atteggiamento lo aveva sicuramente raffreddato. Dopotutto era meglio così, basta elucubrare sul niente.
 
«Non volevo offenderti, Kurt, ma sono certo che conoscerai tante belle persone, interessanti, credimi. Io sono un tipo ordinario, metodico, noioso e tutt’altro che fashion».
 
Certo che ne ho di paranoie! Buttati!
 
Sentì un lungo sospiro, uno di quei sospiri del tipo “mi sto stiracchiando come un felino”. Blaine deglutì a fatica cercando di immaginarselo. Si sedette sul divano e casualmente afferrò la rivista con le foto di Kurt nudo. Arrossì al solo pensiero di avere dall’altra parte della cornetta l’essere scolpito da un artista divino.
 
«In pratica mi stai consigliando di cancellare il tuo numero di cellulare dalla memoria e dimenticarmi di averti conosciuto?».
 
Blaine fece una smorfia. In effetti non era proprio entusiasta, ma d’altronde si conosceva ed era certo che quella relazione, di qualsiasi tipo fosse, non sarebbe stata giusta per lui. «Lo faccio per te, ti abbasserei lo standard delle frequentazioni, sono un tipo comune» scherzò.
 
«Ho capito. Mi ha fatto piacere sentirti Blaine. Ti auguro di trovare lavoro presto. Allora… ciao!».
 
«Cia…». Non fece neppure in tempo a finire il “ciao” che Kurt aveva riagganciato. Blaine rimase immobile come una statua di sale. Aveva davvero rifiutato un invito a cena con quell’essere che lo fissava dalla pagina della rivista come per dire “prendimi sono tuo”?
 
E per cosa? Doveva ancora capire perché lo aveva respinto.

Era pazzo, adesso ne aveva le prove.
 


 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ora ditemi se non vi aspettavate che Blaine dicesse subito si? XD
Mi dispiace per voi ragazzi miei, ma Blaine manterrà i piedi per terra. Cercherò in tutti i modi di rendere Blaine reale, con dubbi e perplessità di una persona normale, quindi con le sue paranoie e tutto ciò che può pensare tale persona.

E invece di Pam cosa ne pensate??? Quando ho scritto di lei mi sono chiesta, ma Cooper da chi avrà preso??? E visto che il padre di Blaine lo abbiamo sempre descritto come un uomo burbero e non sempre una bella persona, ho pensato che il nostro caro fratellone somigliasse moooolto alla sua cara mammina XD

Fatemi se vi è piaciuto, se siete curiosi di come andrà avanti la storia, se Kurt cancellerà davvero il suo numero e se Blaine si pentirà della scelta fatta e proverà questa volta a farsi avanti lui… Ditemi cosa ne pensate!!!

Un bacio grande e a venedì con il prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** Gli allegri compari ***




Capitolo 5
Gli allegri compari
 
«Tu sei pazzo!» esclamò Cooper, mentre girava distratto la cannuccia nel suo cuba libre puntando il suo sguardo inferocito sul fratello.
 
«No, pazzo non rende abbastanza l’idea» rincarò Sam, sguardo furbo, labbra da trota, due occhi celesti da far invidia al cielo e capelli biondi che gli cadevano sulle spalle. Era un musicista, aveva ventiquattro anni ed era amico di Blaine da quando si era trasferito a New York tre anni prima.
 
I tre ragazzi si trovavano in un locale chiassoso, pieno di gente, con un accompagnamento musicale ideale: rock. La loro serata tra uomini era appena cominciata e per Blaine era rassicurante sapere che avevano trovato l’argomento di conversazione: lui!
 
«Ragazzi, ma scherziamo? Kurt Hummel e io non abbiamo niente in comune».
 
«Tranne la lingua!» esclamò con praticità Sam mentre sorseggiava un rossissimo bloody mary e si guardava intorno per puntare qualche preda. Era single da tre mesi e poteva rigettarsi nella mischia senza colpo ferire.
 
In sottofondo Bruno Mars con Looked Out of Heaven sparava i suoi decibel ritmando i pensieri dei tre ragazzi.
 
Blaine si appoggiò allo schienale della sua sedia di legno stile far west e sbuffò. «Dovreste dirmi che ho fatto bene!».
 
Cooper e Sam si guardarono e scoppiarono a ridere fragorosamente, facendo tintinnare i bicchieri e brindando alla sua stupidità. Blaine fece una smorfia e sorseggiò il suo Mojito fissandoli in tralice.
 
«Ha detto di no a “chiappe di marmo”».
 
«Ha rifiutato un invito a cena con… “non indosso niente e lo faccio con stile”».
 
«Ha preferito rimanere a casa con un libro e un pacchetto di patatine invece di mangiare il dolce con “ti farò morire per tutta la notte…”».
 
«Adesso basta!» esclamò Blaine mentre gli altri due ridacchiavano. «Io cerco un uomo che riesca a farmi sentire importante, che mi renda felice con un sorriso o una battuta, che sia solo mio e non di tutta la popolazione maschile e femminile del pianeta!».
 
«Uhhh quanto sei noioso, svegliati caro. Hai venticinque anni e hai perso una grande occasione ieri. Kurt Hummel è un figo mostruoso, è sexy, è etereo  e simpatico. Ho visto una sua intervista al Letterman Show e, pensa un po’, è pure intelligente! Che vuoi di più?». L’arringa di Sam era inattaccabile, perfino Blaine se ne rendeva conto.
 
«Ok, ho fatto una cavolata». Abbassò lo sguardo in segno di resa e cominciò a far finta di spolverare il tavolino con la mano, per darsi un tono.
 
«Richiamalo tu» suggerì Cooper puntando i suoi occhietti furbi sul fratello.
 
«Non ci penso proprio».
 
«Sarà il tuo orgoglio a tenerti caldo nelle fredde notti Newyorkesi». Sam fece cenno al cameriere, alto, moro e muscoloso di portarle un altro cocktail.
 
«Ragazzi, è fuori discussione, non gli telefonerò, non farò la figura dell’indeciso. L’ho già baciato a tradimento e non potete immaginare quanto mi vergogno di averlo fatto».
 
«La tua è stata una buona azione». Cooper e Sam si guardarono un’altra volta e scoppiarono di nuovo a ridere. E Blaine si unì a loro. Prese una manciata di noccioline e le mise in bocca.
 
«Bacia divinamente». Sgranocchiò avido con un po’ di nervosismo.
 
«E lo sapevooo». Cooper si sporse in avanti con fare cospiratorio. «Uno che ha quell’armamentario non può baciare male». Fece un gesto affermativo della testa come uno che la sapeva lunga.
 
«Un mago del sesso!» rincarò Sam ridacchiando.
 
«State diventando volgari e tra l’altro dovrei essere io a fare questo tipo di affermazioni» li rimproverò Blaine.
 
«In una serata tra uomini alla Sex and the City è concesso tutto!» Commentò Cooper soddisfatto, prima di scoppiare a ridere, poi aggiunse: «Ho letto che il signor Hummel ha lasciato Sebastian Smythe, il modello dell’ultimo servizio di Dolce & Gabbana».
 
«Bellissimo, ragazzi, ha un corpo statuario e i capelli così setosi. Chissà cosa gli mettono per farli tanto lucidi» commentò Sam perplesso.
 
«Ambrosia» rimbeccò Cooper.
 
«Ma vi state ascoltando???» Li guardò con occhi spalancati Blaine, prima di scoppiare a ridere guardando come suo fratello e il suo migliore amico sembrassero più gay dei tre. «Comunque… non ho presente questa pubblicità» continuò Blaine immaginandosi il David di Michelangelo vestito di beltà, sex appeal e un look da far impallidire Mrs Universo.
 
«Vivi fuori dal mondo. A volte credo che tu non sia mio fratello…».
 
«Sì, sì, lo so, lo dico sempre a mamma… mi hanno scambiato nella culla. Comunque, visto? Ho fatto bene a dirgli di no, Kurt Hummel esce con modelli, attori, presentatori televisivi…».
 
«Attenzione, fermi tutti!». Cooper fece un gesto plateale mentre un sorriso diabolico gli si stampava sulla faccia.
 
«Che c’è?». Blaine lo osservò con sospetto.
 
«Ti sei documentato su di lui! Il mio fratellino super preciso, controllo tutto, tutto va studiato a tavolino, pianificato, ha fatto le sue ricerche!».
 
Da dietro il bicchiere del secondo bloody mary, Sam lo puntò come un cane da caccia. «Allora ti piace!».
 
«Dovrei essere morto per non trovarlo attraente, ragazzi, su… ma la verità è che non mi sono sentito all’altezza!».
 
Cooper divenne serio. «Ma che sciocchezza è?»
 
«Sì, è così, sono andato in tilt. A parte che non credevo mi avrebbe telefonato, ma lui frequenta il bel mondo, è sempre in mezzo ai gossip, sempre così spettacolare in tutte le foto. Non sembra neppure reale».
 
«Mentre lo baciavi in ascensore era reale!» Sottolineò Sam.
 
«Quella situazione era tutto tranne che reale. Era un’allucinazione visiva, una follia…».
 
«Un magnifico scherzo del destino che ti ha piazzato sulla tua strada un essere stupendo» sospirò
Cooper. «In quale altro assurdo modo lo avresti potuto incontrare?».
 
«È proprio questo il punto, non avrei potuto perché le persone come me e lui non hanno nulla in comune, niente di niente. Io e Sebastian, ma che razza di nome è Sebastian,  siamo fuoco e acqua, terra e cielo…».
 
«Le migliori storie d’amore nascono da questi presupposti» commentò Sam convinto.
 
«Sì, nei romanzi rosa e nelle commedie hollywoodiane. Svegliatevi, questa è la vita vera e io voglio un ragazzo vero, tutto mio che non mi guardi come se fossi un mostro se ho indosso vecchi jeans sformati, una camicia e un papillon».
 
«Secondo me sei solo prevenuto e anche un gran fifone!» Cooper era spazientito. «Hai avuto un sacco di appuntamenti, sei un bel ragazzo accidenti, non sei un Sebastian certo, ma chi lo è? Forse neppure lui quando si sveglia la mattina con la bocca impastata e i capelli arruffati. Tu hai avuto paura del confronto con Kurt. Tu hai paura di avere davvero una storia».
 
«E mi biasimi, dopo Jeremiah?»
 
«No, certo che no. Però fratellino non sono tutti bastardi come lui. E tu non puoi rimanere per sempre solo».
 
«Non trovo il tipo giusto».
 
«Tu non dai a nessuno l’opportunità di essere il tipo giusto. Li cancelli prima dal tuo database personale. Da tre anni hai solo primi appuntamenti. Pensaci».
 
«Penso che la lingua in bocca da uno che conosco appena non me la faccio mettere, ok?».
 
Sam finì il suo secondo cocktail e con un tono vagamente alticcio concluse: «Da Kurt la lingua in bocca te la sei fatta mettere al primo incontro!».
 
Cooper confermò con un’espressione compiaciuta e Blaine non poté che alzare gli occhi al cielo, sconfitto. Avevano ragione su tutta la linea.
 
 


NOTE DELL’AUTRICE:
Un saluto veloce stasera, spero che il capitolo vi sia piaciuto. Ripeto anche qui, nel caso qualcuno non segui l’altra ff, che sabato parto per il mare, perciò settimana prossima salta l’aggiornamento, ma dall’8 settembre tornerò attiva con due capitoli a settimana!!!
 
Grazie per chi continua a recensire e seguire!!! Baci

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Capitolo 6
*** 6.Smoking e patatine ***





Capitolo 6
Smoking e patatine
 
 
Finalmente era riuscito a buttare fuori di casa Cooper e Sara. Blaine non ne voleva proprio sapere di condividere il sabato sera con i due in modalità piccioncini pronti a tubare. Si sentiva scontroso e stanco. Voleva passare la serata affogando in una birra al doppio malto, guardando la maratona di Gilmore Girls* e non pensando all’ennesimo colloquio di lavoro andato male.
 
Ma cosa c’era in lui che non funzionava? Era un tipo affidabile, metodico, parlava più lingue e, dannazione, il suo era un buon curriculum.
 
Sì, un po’ di sana autocommiserazione che male gli avrebbe fatto?
 
Se il fratello e la sua nuova ragazza fossero rimasti, avrebbe dovuto cercare una giustificazione al suo fallimento, ma non ne voleva trovare. Era solo quello stronzo destino che continuava a mettergli i bastoni tra le ruote. Ma ci avrebbe pensato lui a rimetterlo a posto, aveva solo bisogno di un po’ di tempo da passare da solo, a ridere come uno scemo davanti alle scene del telefilm e scolarsi una o due bottiglie di birra, rimpinzandosi di snack untuosi che gli avrebbero fatto salire il colesterolo al livello di guardia.
 
Calzini antiscivolo con sopra il disegno di Duffy Duck, capelli lasciati liberi dal gel, con ciocche di ricci che gli ricadevano sul volto, tutona azzurra di Snoopy, gambe accavallate sul tavolino di fronte al divano, schiena comodamente sprofondata e il dito allenato pronto a premere il pulsante del telecomando del lettore blu-ray.
 
«Pronti, viaaaa!».
 
La confortante sigla di Gilmor Girls risvegliò il suo buonumore. La puntata stava per cominciare quando il campanello della porta gli fece fare un salto. Cooper era uscito già da una ventina di minuti: possibile fosse di ritorno? Magari si era dimenticato le chiavi. Impensabile che avesse già litigato con la sua ragazza francobollo.
 
Si alzò pigramente dal divano infastidito da quella intrusione. «Neppure il sabato sera mi lasciano in pace» borbottò, aprendo la porta di scatto e dicendo: «Che c’è?».
 
Lo stupore sul viso, la bocca spalancata, gli occhi sgranati come due palle da bowling pronte a colpire il birillo.
 
«Ma tu rispondi sempre così o è un trattamento di favore che riservi solo a me?».
 
Blaine avrebbe voluto darsi un colpo in testa, scrollarla come per rimettere a posto i pezzi del suo cervello andato in frantumi. «Kurt?».
 
Kurt Hummel era davanti a lui, fasciato in uno smoking impeccabile. I suoi occhi, più blu di un lago di montagna, lo fissavano incuriositi, scrutandolo centimetro per centimetro.
 
“Maledizione!” Imprecò mentalmente ricordando com’era vestito, mentre lui era lì, splendido, inamidato, pronto alla serata di gala per la consegna degli Oscar.
 
Gli si seccò la gola. Oh no, cosa aveva in mano? Un magnifico mazzo di rose rosse e gialle, una dozzina di incredibili rose rosse e gialle a gambo lungo.
 
Blaine rimase pietrificato, la mano ancora arpionata alla maniglia, lo sguardo inebetito.
 
Kurt Hummel era davanti a lui ed era bello come un Dio.
 
«Che ci fai qui? E come hai fatto a salire?»
 
«Ho citofonato alla tua vicina. Un tipo simpatico, è stata molto gentile ad aprirmi il portone».
 
Blaine si immaginò la donna origliare dietro la porta del suo appartamento. La solita ficcanaso!
 
«Ehm, posso entrare o hai intenzione di tenermi qui fino a domani?». Era compiaciuto del suo effetto sorpresa. Il suo sorriso era irriverente e affascinante quanto bastava per mandare a tappeto un toro.
 
«No, no, scusa».
 
Si spostò di lato rimanendo aggrappato alla porta. Se l’avesse lasciato probabilmente si sarebbe accasciato al suolo come un sacco vuoto. Kurt gli passò davanti, indugiò, poi entrò.
 
«Posso spiegare la mia reazione da idiota di poco fa. Come fai a conoscere il mio indirizzo? Io non te l’ho mai dato. Secondo, che ci fai vestito come se fossi scappato via da un servizio fotografico per San Valentino… o semplicemente Valentino, fai tu?».
 
Kurt appoggiò i fiori che ancora aveva in mano e si sedette sul divano accanto a lui, mentre si guardava intorno interessato. I suoi occhi indagatori si posarono su ogni oggetto, ninnolo, fotografia e mobile e infine tornarono su di lui. «Carino il tuo appartamento».
 
«Non hai risposto alle mie domande».
 
«Ti apprestavi a una serata casalinga». Indicò il televisore. «Amo Gilmor Girls, ho tutti i DVD a casa».
 
Blaine gli sorrise per la prima volta senza sentire i muscoli contratti. «Io lo adoro, mi mette di buonumore e sì, ero intenzionato a trascorrere un sabato sera casalingo. Tu? Stai andando da qualche parte?»
 
«Direi di sì. Ho prenotato un tavolo per due da Rodolfo per le 20:30. Sarà il caso che tu ti vada a preparare».
 
Blaine sarebbe voluto scattare in piedi, ma fu abbastanza intelligente da controllare la sua reazione. Fece finta di non aver ben capito. «Quindi ricapitolando, quei fiori sono per me. E anche lo spettacolo di te in smoking».
 
Kurt sollevò il sopracciglio con sicurezza. «Sì». Riprese il mazzo di fiori e glielo porse compito.
 
Blaine lo abbracciò e lo strinse al petto, perdendosi nel profumo delicato di quelle magnifiche rose, piccole testimoni di un gioco agli inizi.
 
«Quindi tu hai pensato che presentandoti qui vestito così…».
 
«È un Marc Jacobs» lo punzecchiò lui.
 
«Tu avresti fatto colpo e io avrei cambiato il mio no in un sì?» Continuò lui per nulla colpito. O almeno era l’impressione che voleva dare. Con il suo Marc Jacobs probabilmente avrebbe pagato l’affitto per altri tre mesi.
 
«Spudoratamente calcolato. Sei una persona gentile, non avresti potuto dirmi di no, cacciarmi via con questa faccetta da cane bastonato… Sono venuto da te, nonostante il tuo rifiuto che ancora brucia…». Gli rivolse un’occhiata triste e sporse il labbro in fuori.
 
«Ma sei terribile» fece Blaine allibito. «Non sai accettare un no». Non c’era rimprovero nella sua voce, anzi per la verità cominciava a divertirsi. Giocare al gatto e al topo con Kurt era davvero piacevole.
 
«No, se sono interessato». Kurt si era fatto serio.
 
«Quindi io ora dovrei capitolare e pregarti di aspettarmi qui mentre mi infilo un vestito adatto alla serata?»
 
«Esattamente».
 
«Kurt Hummel, stai flirtando con me e non capisco il perché, parlo sul serio».
 
«Voglio conoscerti, non ci vedo niente di strano in questo. Mi intrighi Blaine Anderson, tu e questo tuo modo di allontanarmi».
 
«In pratica sei curioso di capire perché non cado ai tuoi piedi?».
 
Kurt rise. «Qualcosa del genere».
 
«Mi stai sfidando?». Era sempre più allettato. Tutti i suoi buoni propositi di tenerlo a distanza si erano dissolti. Non vedeva più nessun motivo valido per non uscire con quell’uomo strepitoso che, nonostante il suo primo rifiuto, si era presentato alla sua porta vestito di tutto punto per conquistarlo.  
 
Aveva bisogno di qualcuno con cui duellare verbalmente, qualcuno alla sua altezza. Kurt lo era.
 
Con tutta probabilità il giorno dopo si sarebbe pentito di quella scelta, ma al diavolo, per una sera, basta autocontrollo, per una sera sarebbe entrato in un ristorante di grido dove solo i VIP potevano accomodarsi senza prenotare dieci mesi prima.
 
«Vieni a cena con me e ti spiegherò come ho fatto a sapere dove abiti e perché eri a casa».
 
«Un’offerta che non posso certo rifiutare».
 
Lui gli sorrise con dolcezza e scosse il capo come a dire no.
 
Blaine, con studiata lentezza, si alzò dal divano e si avviò verso la camera da letto, per poi voltarsi.
 
«Non ti mangiare tutte le mie patatine».
 
Lo ritrovò con una mano che già pescava nella ciotola. Kurt e Blaine si fissarono per un istante, poi scoppiarono a ridere all’unisono. In quel momento Blaine ebbe un tuffo al cuore, perché si immaginò che quello potesse essere il suo eccezionale, incredibile futuro.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ragazzi sono tornata!!! Spero che il capitolo vi piaccia!
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate e per qualsiasi cosa sono qui.
 
Baci, a giovedì con il prossimo aggiornamento!
 

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Capitolo 7
*** 7 Sogno o son desto ***





Capitolo 7
Sogno o son desto
 
 
Le luci soffuse rendevano l’atmosfera del ristorante quasi magica. I tavoli erano apparecchiati con cura, con tovaglie di pizzo e merletti d’altri tempi. Le tonalità calde degli arredi rendevano l’ambiente accogliente e un tocco di design moderno qua e là impreziosiva lo stile. Anche se si sentiva come in un servizio fotografico di «AD» quel posto gli piaceva e non era a disagio.
 
Blaine sedeva composto di fronte a Kurt che lo osservava enigmatico, con uno di quegli sguardi che avrebbe potuto ucciderlo se non avesse indossato, oltre al suo completo nero, uno scudo per proteggersi e non dimenticare chi aveva di fronte e perché.
 
Ma non era facile per Blaine. Le parole si affollavano nella sua mente mentre le labbra cercavano di articolarle. Desiderava arrivare al nocciolo della questione, avere le risposte che voleva e chiamare quell’appuntamento con il proprio nome. Odiava ritrovarsi spiazzato, insicuro e in balia di eventi che non controllava.
 
«Mi devi delle risposte, mio caro signor Hummel» proruppe all’improvviso, incapace di trattenersi oltre.
 
«Sapevo che me lo avresti chiesto. Sei riuscito ad aspettare quasi un’ora, sono sorpreso!».
 
«Che vuoi farci? Ho cercato di frenarmi, ma la curiosità diciamo che fa parte di me» ironizzò Blaine.
 
«Ho un’amica che lavora a “Inside Look”» rispose con un’espressione di finta colpevolezza.
 
«Il mio curriculum, ma certo…».
 
«Non è stato difficile». Gli rivolse un’occhiata furba lasciando intendere che con un po’ del suo charme non era stato un problema procurarsi un’informazione riservata.
 
Blaine non sapeva se essere lusingato o arrabbiato per la violazione della propria privacy.
 
«Per quanto riguarda la scelta della serata, ho fatto un tentativo. Mi è andata bene. Certo, mi sarei sentito molto ridicolo se avessi bussato alla tua porta per non ricevere alcuna risposta» ridacchiò divertito, ringraziando la sua buona sorte per averlo aiutato.
 
Blaine non poté non unirsi alla sua risata.
 
«Sul serio, mi sembra folle che tu ti sia dato così da fare per uscire a cena con me. Che fine ha fatto Sebastian Smythe o non so come si chiama… insomma la tua ultima fiamma?»
 
«Non hai peli sulla lingua, vedo. E ribadisco che ti sei documentato su di me. Ne sono sinceramente compiaciuto». La voce di Kurt si era fatta bassa, modulata. Si sporse in avanti in attesa di una sua reazione.
 
«Mi piace capire in quale situazione mi trovo e conoscere chi ho di fronte».
 
«Quale opinione ti sei fatto di me, sentiamo. A questo punto sono molto curioso e non ti lascerò alzare da questo tavolo senza averti fatto vuotare il sacco».
 
«Devo svelare le mie carte prima di arrivare al dessert?» Fece Blaine sfuggente, portando alla bocca la flûte. Sorseggiò il prosecco, il sapore aspro sulle sue labbra lo stuzzicò. Kurt sembrava non perdersi neppure un suo gesto.
 
Che gli frullava per la testa?
 
«Non temere, potrai gustarti la tua cena in tranquillità, non ho tutta questa fretta. Mi sto godendo la tua compagnia e non ti abbandonerò di sicuro, neppure dopo aver avuto la mia soddisfazione».
 
Sollevò il sopracciglio. Blaine si ritrovò ad arricciare le punte dei piedi in un moto di stizza e di piacere. Peccato che il primo prevalesse sul secondo.
 
«Credo che tu ti sia fatto un’idea sbagliata di me, non vado in giro a baciare sconosciuti, anche se i fatti giocano a mio sfavore, lo ammetto. Non do confidenza agli estranei, né flirto con loro al primo incontro, tanto più in un ascensore. Se pensi che io possa essere un’avventura ti sbagli».
 
Si morse il labbro pentendosi subito di quel fiume di parole. Forse era stato troppo diretto, ma che male c’era? In fondo dopo quella cena non si sarebbero più visti. Voleva essere chiaro. Inutile perdere tempo prezioso per entrambi. Eppure sapeva di aver esagerato. Accidenti a lui. Una fitta di dispiacere lo punzecchiò, perché a malincuore doveva ammettere con se stesso che quello poteva essere un primo appuntamento a cui avrebbe voluto seguisse il secondo.
 
«Se proprio vuoi saperlo, non sono interessato ad avere un’avventura con te». Kurt non si era impressionato per il discorsetto.
 
«Oh!». Il volto di Blaine si incendiò immediatamente di vergogna.
 
Fino a quel momento aveva immaginato che tutta la messinscena fosse una trovata originale per affascinarlo, intrigarlo, farlo capitolare. Ma il presupposto era sbagliato. Lui era il ragazzo che si sentiva un pesce fuor d’acqua a «Inside Look», un’anacronistica creatura che si poteva tradire perché c’era sempre qualcuno più bello e attraente di lui. Per un istante aveva creduto che ciò che stava vivendo fosse un tentativo per conquistarlo e si era sentito gratificato. Ma era troppo ordinario, Kurt Hummel non poteva volerlo accanto a sé.
 
Mortificante ma realistico.
 
«Sembri deluso».
 
«No, credo solo che il mio cervello abbia appena fatto a botte con il mio orgoglio. Niente che una sana notte di sonno non possa curare» rispose serenamente, prendendola con filosofia.
 
Kurt allungò una mano e gli scostò una ciocca di ricci sfuggita dall’ammasso di gel. «Non mi interessa avere un’avventura con te, mi interessa conoscerti. Sei la prima persona vera che incontro da mesi. Lo trovi sconveniente? Pericoloso? Strano?». Gli sorrise con dolcezza e ritrasse la mano. «Per la prima volta essere un famoso modello gioca a mio sfavore. La cosa mi intriga. Non ti sei fatto affascinare da un po’ di fama e due moine. Il che non solo ti rende particolare, ma attraente e da conoscere meglio».
 
Attraente?
 
Lui?
 
Blaine sorrise in un modo che gli illuminò il viso. C’era qualcosa nel modo di fare di Kurt che l’aveva colpito, non poteva negarlo. Forse, dopotutto, potevano essere amici o qualcosa del genere, senza rischi per lui e per il suo cuore.
 
Attraente… aveva detto proprio attraente?
 
«Dimmi della tua vita, Kurt Hummel. Parlami di te, voglio sapere. Rovescia il cliché che ho nella mia testa, fammi vedere la persona dietro all’obiettivo».
 
Kurt ammiccò contento. «Era quello che speravo, Blaine».
 
La cena scivolò via tra risate, brindisi e portate degne di un palato sopraffino. Kurt gli raccontò aneddoti esilaranti, gli parlò del proprio lavoro e rispose alle sue curiose domande.
 
Blaine confermò l’idea che si era fatta di lui il suo amico Sam: bello, simpatico e anche intelligente. Un mix esplosivo che avrebbe potuto fare seri danni in futuro. Forse era il vino da quattordici gradi o magari l’atmosfera rilassata, ma gli occhi di Kurt ora brillavano come zaffiri, le labbra erano ipnotiche. I suoi lineamenti già irresistibili si erano trasformati in una delle meraviglie del mondo. La barbetta accennata, frutto di una studiata trasandatezza, gli conferiva personalità. L’istinto di allungare la mano e sfiorarlo era quasi incontenibile.
 
No, non era proprio il caso di accompagnare il dolce con un vin santo. Doveva recuperare la sua sanità mentale il prima possibile.
 
Dopo che Kurt ebbe saldato il conto, si alzò da tavola e da vero gentiluomo lo aiutò a fare altrettanto. Quando gli pose una mano alla base della schiena, il suo calore parve bruciare attraverso il tessuto dell’abito che Blaine indossava. “Che bella sensazione” pensò il ragazzo. La mente fu veloce a immaginare quante cose potessero fare quelle splendide mani su un corpo maschile.
 
Fermati subito Blaine Anderson. A cuccia!
 
Da bravo cavaliere, Kurt gli sistemò sulle spalle la giacca e lo condusse verso l’uscita, salutando con brevi cenni e qualche sorriso un paio di avventori e il proprietario del ristorante.
 
Blaine si ritrovò così all’aperto, a respirare a pieni polmoni l’aria frizzante di notte carica di aspettative e sogni. Doveva schiarirsi la mente e in fretta. Difficile, visto che la voce calda di Kurt, gli stava sfiorando il lobo dell’orecchio. «Ti va di fare una passeggiata? È ancora presto e mi farebbe piacere passare un altro po’ di tempo con te».
 
Blaine poteva giurare di aver sentito gli uccellini cinguettare, le campane suonare a festa ed Elvis Presley cantare Love Me Tender tutto insieme. Pessimo segno, non gli era mai successo.
 
O era sbronzo oppure Kurt Hummel stava minando le sue solide difese.
 
«Volentieri, certo… sì».
 
Si incamminarono per la via animata dai clacson, auto e pedoni che si attardavano. Blaine continuava ad avere l’irrefrenabile desiderio di sapere di lui il più possibile. Si sentiva come un drogato in cerca di un’altra dose di Hummel.
 
«Quindi hai cominciato a fare il modello da ragazzino».
 
«Sì, avevo otto anni e mio padre mi portò alle selezioni per uno spot pubblicitario televisivo. Uno di quelli con i cani, le ciotole e cucine immacolate. Lo trovai divertente. Erano tutti così presi, correvano da una parte all’altra, ci truccavano, sistemavano le luci e… non so, pensai che era affascinante, per quanto un ragazzino di otto anni possa trovare affascinante qualcosa».
 
«E cosa successe?»
 
«Lo spot piacque, così mi offrirono di fare altre pubblicità. Mio padre era al settimo cielo, a quel tempo io e lui vivevamo in un casa a Lima, in Ohio. Mia madre se ne era andata». Fece una smorfia.
 
«Mi spiace». Per un istante Blaine provò uno moto di compassione per quel ragazzino di otto anni.
«Non deve essere stato facile per voi».
 
Kurt gli porse il braccio e riprese a camminare. «Mio padre è un uomo meraviglioso, buono e generoso, non si meritava un simile trattamento. Mia madre non era una principessa delle fiabe e lo ha dimostrato».
 
«Hai ancora contatti con lei?» Si azzardò a chiedere sperando di non essere inopportuna.
 
«Non più, è morta un paio di anni fa».
 
«Vi eravate riavvicinati?».
 
Lui sorrise mesto. «Diciamo che le ho offerto il mio sostegno quando ne ha avuto bisogno. Ho fatto quello che ha voluto». Non aggiunse altro e Blaine non domandò ulteriormente.
 
Doveva essere un argomento difficile per lui, e lui era di fatto uno sconosciuto. Di sicuro la madre doveva averlo ferito moltissimo. Un’ombra oscurò il suo sguardo. Gli sembrò un uomo tanto triste. Ma durò un istante e poi si riconcentrò su di lui. «Insomma, ti dicevo che da quel momento non ho mai smesso, portavo soldi a casa regolarmente, così arrotondavamo lo stipendio di mio padre che al tempo aveva un’officina in un piccolo paesino dell’Ohio e non guadagnava granché. Io continuavo a studiare, e contemporaneamente proseguivo con il mio lavoro di modello. E adesso sono qui, laureato e con un’attività in pieno svolgimento. Ho riportato mio padre a New York, ma ha preferito tornarsene nella casa di famiglia. Sosteneva che la città fosse troppo caotica per uno come lui».
 
«Immagino che tu sia molto richiesto nell’ambiente della moda. Nelle mie ricerche mi sono imbattuto in parecchi tuoi servizi fotografici per noti stilisti e riviste». Cercò di cambiare discorso Blaine, capendo quanto fosse difficile per Kurt parlare di quella situazione
 
«Sì, è così, il mio fascino immagino» rispose ridendo. «Che dirti, si è sparsa la voce che sono molto professionale».
 
«E bello, disgustosamente bello» sottolineò come se confermasse un semplice dato di fatto, senza alcuna malizia. 
 
«Così dicono… A parte gli scherzi, sarei un bugiardo dei peggiori se non ammettessi che il mio successo dipende dal mio aspetto. Per ora ne approfitto. Non sarà così per sempre. Intanto metto da parte un gruzzoletto e mi godo la vita» commentò soddisfatto.
 
«Una vita che ti piace».
 
«Sì, molto. Adoro viaggiare, conoscere culture nuove, persone nuove… Sono un tipo curioso e mi piace sperimentare».
 
Blaine sgranò gli occhi a una simile affermazione.
 
«Per esempio domani partirò per la Thailandia per un paio di settimane, ho alcuni servizi fotografici da fare e ne approfitterò per gironzolare un po’».
 
Blaine sospirò.
 
«Dispiaciuto?» Lo pungolò compiaciuto, ma lui non avrebbe mai ammesso la verità.
 
«Mi chiedevo se vedrò mai la Thailandia».
 
«Mai dire mai, Blaine. La vita è piena di sorprese. Credimi. Non posso che essere grato ogni giorno per l’esistenza che conduco».
 
Blaine lo studiò di sottecchi e non poté trattenersi: «Eppure poco fa hai detto che sono la prima persona vera che incontri da tanto. Era una frase a effetto o la verità?».
 
Kurt si fermò e gli si parò di fronte fissandolo con uno sguardo profondo e sincero. «È vero. Con il mio lavoro conosco tante persone e per lo più mi lusingano, vogliono la mia amicizia, vogliono poter dire di conoscermi. Non mi illudo che siano frequentazioni per la vita, in fondo neppure mi interessa. Ho amici cari di lunga data e un’esistenza ricca di affetti, ma mi ha fatto piacere incontrare una persona che da me non si aspettava nulla, anzi che da me non voleva proprio nulla».
 
«Ti devo essere sembrato sgarbato, mi spiace. Ero imbarazzato».
 
«Non temere, forse sì, lì per lì mi sono detto che non se ne sarebbe fatto nulla. Che avevo sbagliato a telefonarti…».
 
«Ma?» Lo incalzò in attesa.
 
Kurt gli rivolse un sorriso disarmante. «Ma ho pensato che valesse la pena provare un’ultima volta».
 
«Il mio bacio è indimenticabile» scherzò Blaine leggermente emozionato.
 
Kurt non disse nulla, si limitò a fissarlo e Blaine fu certo che lui l’avrebbe baciato lì, in quell’istante.
Il cuore gli era balzato in gola mentre l’aria fra loro si faceva carica di elettricità. Se solo si fosse avvicinato un po’ verso di lui, le loro labbra si sarebbero toccate di nuovo. Gli venne l’acquolina in bocca pregustando il loro contatto. Ma l’incanto si ruppe.
 
Kurt guardò l’orologio. «È tardi. Temo che dovrò riaccompagnarti a casa. Domani mattina ho il volo alle sei e devo ancora finire di preparare la valigia».
 
«Certo… andiamo». Blaine nascose la sua immensa delusione e si diede dello stupido cento, mille volte per aver frainteso quel momento di confidenza, ma non aveva alcuna intenzione di darlo a vedere.
 
Durante il tragitto per il ritorno si divertirono a scambiarsi opinioni musicali e a canticchiare. A Blaine il viaggio sembrò fin troppo breve. Kurt sarebbe partito di lì a poche ore per la sua avventura, avrebbe conosciuto altre persone, altri uomini… E il pensiero lo ferì come non credeva possibile.
 
Dannazione, quell’uomo gli piaceva sul serio e non perché era disgustosamente bello, o ricco o famoso, ma perché aveva visto in lui il qualcosa che cercava.
 
Gli faceva male sapere che quel qualcosa gli era precluso, che sarebbe diventato un sogno a occhi aperti, che presto sarebbe tornato ai terrificanti primi appuntamenti senza futuro con “uomini sushi”.
 
L'auto, una Mercedes ultimo modello, si fermò davanti al condominio di Blaine. La via era silenziosa e sonnolenta a quell’ora della notte.
 
«Bene, siamo arrivati» disse il ragazzo per rompere il momento di imbarazzo prima dei saluti.
 
«Ho passato una bellissima serata, anche se abbiamo parlato un po’ troppo di me e poco di te».
 
«Temo che la mia vita non sia interessante come la tua».
 
«Lascia giudicare me. La prossima volta sarai sottoposto a un fuoco di fila, non potrai sottrarti. Vorrò sapere tutto di te» disse con convinzione, mentre con le dita sfiorava il volante, come se lo accarezzasse.
 
«Fra due settimane non ricorderai neppure che esisto» sospirò Blaine, consapevole di non poter competere con tutto quello che faceva parte della sua vita.
 
«Ti dimostrerò che ti sbagli. Continui a giudicarmi con i parametri sbagliati» lo rimproverò con un tono allegro.
 
Blaine si voltò e si sistemò meglio sul sedile guardandolo con aria incerta. «Ma non ti giudico. Dico solo che la tua vita è piena di impegni e persone e cose…».
 
«Shhh». Gli posò un dito sulle labbra e sollevò il sopracciglio. «Te lo ha mai detto nessuno che a volte parli troppo?»
 
«Mio fratello, sempre» rise, mentre uno strano languore gli scombussolava lo stomaco. Era certo che non fosse dovuto alla digestione.
 
«Ora devo proprio andare. Ti chiamerò dalla Thailandia».
 
«Ne sarei contento, così mi racconterai com’è».
 
Kurt si allungò verso di lui e di nuovo per un istante Blaine immaginò di rincontrare quelle labbra in un bacio incredibile, infuocato, indimenticabile, ma per la seconda volta rimase deluso.
 
Kurt gli sfiorò la guancia con un bacio casto e delicato per poi staccarsi. «Buonanotte, Blaine».
 
Il ragazzo gli sorrise sentendo l’urgenza di uscire dalla vettura che gli era sembrata all’improvviso troppo piccola. «Buon viaggio, Kurt».
 
Scese e si richiuse lo sportello alle spalle per incamminarsi verso il portone, non resistendo a voltarsi indietro, sperando che Kurt lo fissasse ancora, proprio come nei film, quando il protagonista non può fare a meno di guardare la donna dei propri sogni allontanarsi nel buio della notte.
 
Non poté nascondere la delusione nell’appurare che la macchina non c’era più.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:

E tesori miei, cosa vi aspettavate??? Siete rimasti delusi da questo appuntamento o ha rispecchiato le vostre idee? Vi aspettavate un bacio da sogno per la buonanotte o magari del sano smut? XD Delusi? Sorpresi? Felicemente contenti??

Fatemelo sapere con una recensione.

Intanto vi aggiungo che per chi fosse interessato alla Kurtbastian, la pubblicherò entro questo fine settimana, non so preciso quando, ma ci inizierà almeno con il primo capitolo. Vi assicuro che sarà una storia che vi terrà molto con il fiato sospeso, perciò se vi piacciono storie dove ogni capitolo sembrerebbe arrivare ad un punto, ma il prossimo sarà sempre un cominciare tutto da capo, beh fa per voi!!! Non ne resterete delusi, ne sono certa!!!

Con questo è tutto, a lunedì prossimo!!!

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Capitolo 8
*** 8.Inutile combattere contro il destino ***





Capitolo 8
Inutile combattere contro il destino
 
La stanza era ampia e luminosa. Dalla grande finestra si ammirava un panorama moderno e sconosciuto. Blaine si mosse lentamente per avvicinarsi e scostare una tenda che svolazzava senza che alcun vento soffiasse. I suoi occhi si indirizzarono al di là del vetro, a caccia di un indizio per comprendere dove si trovasse, perché fosse lì, quando una voce calda e densa come la cioccolata gli sussurrò all’orecchio: «Sei magnifico».
 
Blaine si sentì all’improvviso pesante, come se i piedi avessero messo le radici nel pavimento di parquet pregiato. Una mano gli accarezzò il braccio nudo, mentre la sua pelle reagiva al contatto inaspettato. Si sentì liquefare. Quella carezza lo studiava, lo coccolava, lo faceva fremere di un desiderio proibito. Le labbra si posarono sul lobo dell’orecchio, labbra di fuoco che presero a mordicchiarlo.
 
Lentamente Kurt lo fece girare e Blaine poté alzare il suo sguardo su di lui, in cerca di qualcosa che placasse il turbamento che provava. I suoi occhi, due zaffiri preziosi, lo fissavano con un’intensità così reale che le gambe si fecero di burro. Gli sembrò di fluttuare, di perdere il contatto con il suolo.
 
Piccoli brividi lo solleticarono. Il sorriso sornione e le fossette, che si erano formate agli angoli della bocca in una piega assolutamente indecente, l’ammaliavano, mentre quella mano continuava a saggiarlo pericolosamente, osando sfiorare il petto, coperto da una camicia leggera e trasparente.
 
Si sentiva esposto eppure forte, pronto, deciso ad andare fino in fondo con lui.
 
Kurt indossava solo una camicia, che arrivava a lambirgli le cosce. Blaine si ritrovò a sospirare, mentre le sue mani temerarie iniziavano a sbottonare l’indumento che sapeva di fresco e di lui. Non c’era timore in lui, né incertezza. Voleva toccare la sua pelle, così fece scivolare la camicia, lasciandolo completamente nudo. La mano fremente si adagiò sul petto e percepì il battito di un cuore che sembrava essere lì solo per lui. Blaine si mise sulle punte, alla ricerca di quelle labbra che lo deridevano e lo invitavano a giochi segreti.
 
Le loro bocche si fusero in un abbraccio rovente, mentre le dita di Blaine giocavano a delineare la geografia di un corpo pronto per il peccato.
 
Lui si scostò e con aria rapita disse: «Siamo arrivati!».
 
Blaine sgranò gli occhi, la voce di Kurt sembrava diversa…
 
Siamo arrivatiiii…
 
Blaine aprì gli occhi, stropicciandoli per l’improvvisa luminosità che li feriva. Gli ci vollero alcuni secondi per riprendersi e capire dove si trovasse.
 
«Blaine! Siamo arrivati!» esclamò Cooper spazientito. Non sapeva più come svegliare il fratello che, a quanto pareva, stava facendo un sogno proprio interessante. L’espressione del suo viso e un paio di sospiri gli avevano offerto chiari indizi.
 
«Stavo sognando».
 
«E che sogno…».
 
Blaine lo fissò confuso e Cooper scoppiò a ridere. «Mio caro, doveva essere un signor sogno, sei…». Lo sguardo di Cooper finì sui suoi pantaloni, dove un imponente erezione era in bella vista.
 
Il ragazzo, sorpreso in flagranza di reato, sorrise e si morse il labbro. «Ho sognato Kurt, indossava solo una camicia bianca».
 
«Come nel servizio fotografico… Furbetto, fai già pensieri peccaminosi su di lui».
 
«Credo che tutto il genere umano maschile e femminile abbia pensieri peccaminosi su di lui» brontolò mentre si sganciava le cinture e scendeva dalla vettura.
 
L’aria di settembre si era fatta pungente. Si tirò su la zip del suo giubbino jeans e cercò di nascondere ciò che il sogno gli aveva procurato.
 
Cooper lo imitò, infilandosi anche un cappello di cotone leggero.
 
«Certo che se mette in mostra in quel modo i suoi attributi, solo una statua di marmo non avrebbe reazioni…».
 
Blaine sospirò aprendo il portabagagli della loro Golf per estrarre il suo trolley.
 
«Quindi non ti ha più chiamato». Cooper lo si affiancò per prendere il suo borsone.
 
«Non mi ha mai chiamato dalla Thailandia, un paio di SMS in totale per dirmi che ha mangiato non so cosa e che il servizio fotografico era una noia mortale». Chiuse il portabagagli e sbuffò come se avesse fatto uno sforzo fisico.
 
I due ragazzi lasciarono la vettura in un piccolo parcheggio poco distante, per incamminarsi verso il centro pedonale di Westerville dove si trovava la villetta dal caldo colore paglierino e dalle imposte verdi della famiglia Anderson.
 
«E tu, perché non lo hai chiamato?»
 
«Io?»
 
«Certo tu, in fondo lui con te si è sbilanciato non poco».
 
«Cooper, per favore, non ha interesse in me. Non un interesse di quel tipo».
 
«Come fai a saperlo, magari ha avuto da fare, magari ha rotto il cellulare, magari…».
 
«Magari dovresti vederti La verità è che non gli piaci abbastanza. Un film illuminante su come gli uomini scaricano chi non gli interessa senza farsi duemila paranoie o inventarsi duemila scuse. L’uomo è un essere semplice. Ricordatelo!».
 
«Quanto la fai lunga, io credo che in realtà tu abbia solo una gran paura perché il modello nudo e figo ti piace un casino e temi di prendere una batosta. Ricordati tu questo».
 
Blaine alzò gli occhi al cielo sconsolato, mentre suonava il campanello.
 
«Zia Nora!». Blaine si ritrovò ad abbracciare quel donnone di sessant’anni dal sorriso gioviale, gli occhi neri come la pece e un viso allegro.
 
«Ranocchietto!». Lo scostò quel tanto che bastava per osservarlo. «Sei dimagrito, mangi abbastanza?»
 
«Sono certo che lo rimpinzerai a dovere!» fece Cooper allungando il collo dietro al fratello per farsi vedere.
 
«Ragazzone!». Nora Anderson abbracciò con altrettanto entusiasmo Cooper. Poi li prese entrambi per le spalle. «Abbraccio di gruppo. E adesso dentro, che sennò mi esce tutto il calore, oggi è una giornata frizzantina».
 
Li spinse dentro senza tante cerimonie e richiuse la porta.
 
L’odore familiare e piacevole di aghi di pino e arance le avvolse. Quanti ricordi in quella casa. I migliori Natali li avevano passati lì.
 
Blaine e Cooper si tolsero i giubbotti e li appoggiarono su una cassapanca di legno dipinta a mano.
Uno dei lavori di Nora. Aveva un estro artistico che non si limitava alla pittura, ma a ogni attività in cui potesse esprimersi la sua innata creatività: vetri, découpage, intarsi, punto croce, la maglia…
 
«Mamma e papà sono già arrivati?» chiese Cooper.
 
«Non ancora. Venite con me in cucina, ho l’arrosto in forno».
 
I ragazzi seguirono la zia nel lungo corridoio che portava a un’ampia cucina stile country piena di padelle in rame appese alle pareti, una grande penisola al centro della stanza e fornelli professionali da cuoca di alto livello.
 
«Nonna?» chiese Blaine.
 
«È di sopra che sta riposando».
 
«A quest’ora? Non sta bene?» fece allarmato Blaine, mentre il suo olfatto veniva stimolato dal profumo di arrosto che si era liberato quando Nora aveva aperto lo sportello del forno.
 
«Sta benissimo, è pronta a festeggiare i suoi ottant’anni, non temere. Stanotte ha fatto le quattro per vedere una maratona di film horror».
 
Cooper rise. «Sempre la solita, ha una fissa per i draculini».
 
Blaine abbozzò un sorriso comprensivo. «Alysia?».
 
Alysia era la figlia di Nora e Sauro Anderson e aveva due figli: uno appena nato, Johnny, e un altro di sei anni, vivace e ingestibile, Thomas. Vivevano poco distante dalla casa di Nora.
 
«Arriverà per pranzo, così festeggeremo tutti insieme la nonna». Nora spostò la pirofila sul pianale e si tolse il guanto da forno imbottito. «Allora, Blaine? Uomini all’orizzonte?».
 
Blaine sgranò lo sguardo sorpreso, mentre iniziava a studiare il fratello con aria sospettosa. «Hai anche fatto pubblicare la notizia su qualche rivista?».
 
Nora ridacchiò. «Non te la prendere, gli ho fatto il terzo grado due giorni fa. Ho parlato con tua madre che si lamentava del fatto che stessi diventando freddo e mi ero preoccupata, così ho telefonato a Cooper».
 
Blaine si portò una mano alla fronte. «Santo cielo». Si accasciò sulla sedia accanto a quella di Cooper. «Ma cos’è, una congiura contro di me? Possibile che la mia vita privata stia diventando un affare di stato? E la mia privacy?».
 
Nora le posò una mano sulla spalla. «Con Kurt Hummel hai fatto il botto».
 
«Zia, non ho fatto nulla. Siamo usciti a cena una sera, voleva sdebitarsi del fatto che sono stato gentile con lui in una situazione particolare, tutto qui. Non siamo amici, non ci sentiamo per telefono, non c’è niente di niente».
 
«Uhm, quanto fervore. Il tipo ti piace, ce lo hai scritto in faccia. Vedrai quando lo saprà tua madre».
 
Nora pareva soddisfatta.
 
«Non le direte nulla, è chiaro?» Alzò leggermente la voce per riabbassarla e quasi bisbigliare. «Non voglio che sappia di Kurt, è una storia che non ha futuro e non voglio un interrogatorio o la lezione sulla scopata del secolo».
 
«Ranocchietto, non mi piace la parola scopata».
 
Cooper ridacchiò. Succedeva sempre che zia Nora, così rigida e un po’ all’antica, riprendesse i due fratelli per parole fuori luogo.
 
«Non piace neppure a me se è per questo» rimbeccò Blaine piccato.
 
«Romanticone…» lo prese in giro Cooper. «Zia, Blaine è cotto».
 
«Ma non è vero!» Brontolò arrossendo.
 
«Uhhh sì che è vero! Lo ha pure sognato poco fa, e crede che io non veda che guarda in continuazione e di nascosto il display del cellulare».
 
Blaine serrò le labbra in una smorfia. Come poteva pretendere che suo fratello non se ne accorgesse?
 
Aveva occhi dappertutto ed era troppo sveglio.
 
«Ok, è un gran figo… È brillante, intelligente e attraente. E allora? Non lo vedrò più quindi non cambia nulla».
 
Nora gli diede di nuovo una pacca sulla spalla. «Certo che il soggetto è abbastanza complicato da raggiungere».
 
«Esatto zia».
 
«Quanto la fate lunga, il destino è il destino, inutile combatterlo».
 
«Ha parlato Cooper il saggio». Blaine scosse la testa e si alzò rassegnata. «Vado in camera a cambiarmi».
 
«Vi aspetta sempre la vostra cameretta».
 
Blaine sorrise, assalito da un’ondata di bei ricordi. Quando entrò nella stanza dallo stile romantico, ritrovò i due letti gemelli, i quadretti raffiguranti paesaggi marini e la scrivania in legno consumato dove si divertiva a scrivere racconti quando era più piccolo. Quella era la parte della sua vita che ricordava con più affetto, che lo faceva sentire protetto, al sicuro anche ora. Non come a casa dei genitori, dove tutto era sempre così strano e sopra le righe. Blaine aveva attraversato l’età dell’adolescenza desiderando solo un po’ di stabilità, fondamenta solide su cui costruire radici, che dessero un senso alla sua esistenza.
Una parte di lui era ancora così…
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi!!! Come è andato il rientro a scuola??? Il mio, avvenuto una settimana fa perché scuola di estetica, piuttosto traumatico, quindi posso immaginare il vostro… Vi sono vicina!!!
Allora dite la verità vi aspettavate lo smut??? XD Eh no!!! E’ presto per quello :P

Per quanto riguarda il capitolo sono entrati in gioco nuovi personaggi, sono sicura che amerete la famiglia di Blaine, per ora che impressione vi ha fatto??? Fatemelo sapere!!!

Lo so che i capitoli sono piuttosto brevi, ma cercate di capirmi, questa ff è nata in poco tempo giusto per alleviare un po’ di tensione, ma tranquilli il succo arriverà presto!!!

Ora vi mando un bacione e vi saluto, prossimo aggiornamento? Giovedì!

Ps. Per chi fosse interessato a una Kurtbastian qui trovate il primo capitolo della nuova storia (cliccate qui).
 
 

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Capitolo 9
*** 9 Non avrai il mio scalpo ***






Capitolo 9
Non avrai il mio scalpo

 
Nonna Rose sedeva a capotavola. Con la sua espressione allegra controllava i figli, nipoti e bisnipoti che mangiavano e scherzavano. Blaine la osservava con affetto e sorrideva intuendo ciò che sicuramente sua nonna stava pensando in quell’esatto momento. I suoi ottant’anni erano stati un buona occasione per riunirli. Altrimenti che cosa ci sarebbe stato da festeggiare nel diventare ancora più vecchi? Quella donna aveva l’animo di una ventenne, possedeva un carattere indomito ed era ancora capace di godere dei piaceri della vita.
 
Blaine era seduto alla sua sinistra, Rose l’aveva voluto al suo fianco. Era sempre stata protettiva nei suoi confronti. Quante volte le aveva sentito dire in tono amorevole: «Sei un bocciolo mai sbocciato, ma pronto a diventare una rosa magnifica».
 
 Sua nonna sapeva che, per quanto facesse finta di essere uno tosto, Blaine era fragile proprio come un fiore. Non a caso era stato proprio con lei a fare coming out la prima volta, perché quando, seppur breve periodo, aveva cercato di nasconderlo, lei già sapeva, aveva già capito tutto. Non era mai stato un problema ed era anche per questo che Blaine l’aveva sempre adorata.
 
«Allora, cosa ne pensi di tutta la sacra famiglia riunita?» le chiese Blaine che aveva notato come osservasse tutti i presenti.
 
«Chiassosa, rumorosa, proprio come piace a me». Gli fece una carezza gentile sul viso.
 
«Sono contento di essere venuto, mi sei mancata, nonna».
 
«Da quando tu e Cooper vi siete trasferiti ci vediamo sempre così di rado, solo alle feste comandate. Propongo di inserire i miei compleanni nel calendario un giorno sì e uno no».
 
«Prima, quando lavoravo, era difficile venire qui. E ora che ho perso il lavoro, cercarne un altro è un impegno a tempo pieno. Comunque tra qualche giorno avrò l’ennesimo colloquio e spero funzioni. O dovrò cominciare a valutare la possibilità di vivere sotto un ponte».
 
La nonna rise. «Sta’ tranquillo, troverai qualcosa e, se dovessi proprio essere in difficoltà, vieni da me. Ho dei risparmi da parte».
 
«Non li voglio, nonna» fece contrariato.
 
«Shhhh, pensi che me li porterò nella tomba?»
 
«Di che parlate laggiù?» domandò Pam incuriosita, bellissima in un completo rosso fuoco dal taglio moderno e dal generoso décolleté.
 
Nora, che sedeva accanto alla sorella, le passò il puré. «Pensa a mangiare, sorellina, sei diventata tutta pelle e ossa».
 
«Ci credo, fa due ore di corsa ogni mattina, anche quando piove» scherzò Richard che sedeva proprio dinanzi alla moglie. Capelli brizzolati ma non troppo, aspetto per niente trasandato, un sorriso accattivante e due iridi verdi da sembrare gemme. Blaine lo ammirava, lo guardava ancora con gli occhi di bambino, era un bellissimo principe.
 
«Direi che dovremmo fare un brindisi a nonna, che ci sopporta e che ci vuole un sacco di bene. Anche noi te ne vogliamo» disse Cooper alzando il calice.
 
Tutti brindarono a lei e Rose non riuscì a trattenere la commozione.
 
Blaine la fissò con uno sguardo carico di affetto e sperò un giorno di poter essere tanto amato proprio come sua nonna.
 
Dopo la torta e il rito delle candeline, gli uomini della famiglia andarono in salotto mentre le donne, impegnate in un continuo viavai tra la cucina e la sala da pranzo, ne approfittavano per spettegolare e come sempre Blaine e Cooper diedero una mano a risistemare.
 
Ma Blaine era distratto. Voleva dare una sbirciata al cellulare. Erano tante ore che non lo faceva. Magari gli era arrivato qualche messaggio…
 
Mentre le altre chiacchieravano allegramente, sgattaiolò fuori dalla cucina e raggiunse la mensola dove aveva appoggiato il cellulare. Niente da fare, nessuno l’aveva cercato. Cosa si aspettava? In fondo, a mente lucida, sapeva che non c’era alcuna speranza per lui e un certo modello.
 
Ma se con la testa lo sapeva, con il cuore invece era in balia di venti di tramontana. Che destino beffardo. Quale futuro lo aspettava? Un ponte sotto cui dormire e un uomo con un neo sul naso che mangiava sushi?
 
Con il cellulare in mano sprofondò nella poltrona fissando distrattamente il display che gli rinviava la sua immagine deluso e amareggiato.
 
A un tratto un piccolo suono la distrasse. Vicinissimo, proprio dietro di lui. Si voltò di scatto e dal bordo dello schienale vide gli occhietti cattivi di Thomas, che lo studiavano. Blaine si spaventò.
 
Perché rideva continuando a fissarlo?
 
Ed ecco che una mano sbucò fuori da dietro la poltrona.
 
Cosa stringevano quelle piccole dita cicciotte?
 
«Ma sei fuori di testa?». Blaine saltò in piedi, lasciando cadere il cellulare sulla poltrona. Si portò una mano alla nuca e sgranò gli occhi disperato. «Se ti prendo!».
 
Thomas iniziò a correre con il suo trofeo in mano, ciocche dei capelli riccioluti di Blaine.
 
Per poco non travolse Cooper che era entrato nella stanza.
 
«Ma che succede?»
 
«Fermami o finirò per ritrovarmi nel notiziario di domani mattina per omicidio». Si girò per mostrare alla fratello il misfatto perpetuato ai suoi danni e con le dita afferrò quello che era rimasto della sua chioma.
 
Cooper si portò una mano alla bocca, ma non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
 
«Cosa ridi? Sono un mostro, ma se lo acchiappo!».
 
Mentre Blaine correva dietro al nipote, Cooper si sedette in poltrona con il suo fedele tablet in mano, quando uno squillo di cellulare lo fece trasalire. Prese lo smartphone di Blaine e vide il nome che si illuminava sul display. Immediatamente vibrò un pugno verso l’alto in segno di vittoria. Doveva rispondere. «Pronto?».
 
Un breve silenzio, poi una voce davvero singolare disse: «Sono Kurt, c’è Blaine?»
 
«Ma certo Kurt, te la chiamo».
 
Con il cellulare in mano Cooper corse, mentre sentiva schiamazzi e toni concitati. Kurt avrebbe ascoltato tutto. Pazienza, d’altronde la sua missione era fondamentale. Salì le scale avvertendo con nitidezza la voce stridula della fratello.
 
«Ma che cos’ha in testa?»
 
«È un bambino! Non rimproverarlo così o si spaventerà!».
 
«Tuo figlio mi ha fatto lo scalpo. Ti pare normale?».
 
Cooper frappose il cellulare tra il viso furente di Blaine e quello pacifico e remissivo di Alysia. «Per
te».
 
Blaine afferrò lo smartphone e proruppe in un ringhioso: «Chi è?»
 
«Blaine, il tuo modo di darmi il benvenuto è sempre così… affettuoso».
 
Il ragazzo si bloccò. Sembrava non essere più in grado di proferire parola, tanto che Alysia guardò Cooper alzando il sopracciglio, mentre il cugino ridacchiava e cominciava a spingerla fuori dal bagno dove si era svolta la scenetta.
 
«Perdonami Kurt, diciamo che mi è successa una cosa spiacevole».
 
«Cosa? Dimmi, spero nulla di grave». Il tono della sua voce si era fatto più attento.
 
Blaine chiuse la porta e si sedette sul water. «È imbarazzante! Tutte a me capitano». Era talmente furioso che si lasciò andare a uno sfogo in piena regola. «Io amo i bambini, lo giuro, ma mio nipote Thomas è un diavolo. E sua madre lo giustifica. Ci credo io che poi va in giro a combinare guai».
 
Partì in quarta senza riuscire a frenarsi.
 
«Calma, che ti ha fatto?». Kurt stava ridacchiando.
 
«Mi ha tagliato i capelli, un taglio netto e zac, ha fatto fuori la chioma. Forse in un’altra vita era Geronimo».
 
Silenzio e infine una fragorosa risata. «Non posso crederci».
 
Blaine arrossì leggermente e si alzò per guardarsi allo specchio. Avvilente. «Invece è così. Che rabbia!». Si toccò distratto la capigliatura e sospirò.
 
«Immagino che un ottimo parrucchiere saprà renderti giustizia e tornerai di nuovo bellissimo».
 
Bellissimo? Bellissimo? Bellissimo? Aveva detto bellissimo?
 
«Non prendermi in giro».
 
«Sono sincero. Pensala così, è una magnifica occasione per rinnovare il tuo look. È una cosa divertente, no?»
 
«Beh, sì, ma…».
 
«E allora, su con il morale. Non vedo l’ora di ammirare il tuo nuovo taglio».
 
Uhm, cosa poteva significare? Possibile che dovesse sempre usare il traduttore automatico per ogni frase pronunciata? Rilassati Blaine, relax… «Mi incastrerai tra un impegno e l’altro della tua fitta agenda?»
 
«Devo essere proprio terribile se do l’impressione di volerti inserire nella mia agenda come se fossi un impegno tra i tanti. Invece ti propongo di fare insieme una passeggiata al parco con Spank e cucinarti una frittata fantasia con tutto quello che ho nel mio frigo».
 
Blaine si portò la mano alla bocca, trattenendo il respiro, entusiasta e stupito. Poi scosse la testa come a ripensarci. «Spank?»
 
«Il mio volpino meticcio. Un femminuccia adorabile, quando la conoscerai non potrai fare a meno di amarla».
 
«Non sapevo che avessi una cagnolina». Sperò che a nessuno servisse il bagno, non voleva che la conversazione finisse.
 
«Eh sì, e se posso la porto con me nei viaggi, ma non sempre ci riesco. Soffre l’aereo più di me».
 
«Che tenera».
 
«Allora passeggiata al parco e frittata?»
 
«Scusa?».
 
Kurt ghignò. «Quello di prima era un vero invito, Blaine».
 
«Ahhh, scusa, pensavo scherzassi».
 
«Dovresti prendermi sul serio qualche volta» ribatté lui.
 
«Sei ancora in Thailandia?»
 
«Sì, precisamente a Bangkok, in un ristorante con alcuni amici. Adoro la cucina thailandese».
 
Sembrava entusiasta, buon per lui. Sì, davvero buon per lui. Poteva tornare dai suo amici. «Sono contento che tu ti stia divertendo».
 
«Sì, e domani dovrei partire per un minitour delle isole, se riesco vorrei vedere Phuket».
 
Blaine non sapeva se fingere un entusiasmo che non provava oppure sminuire il tutto con una battuta.
 
Ma Kurt lo tolse dall’impaccio. «Ora dovrei tornare di là, non ridere, ma per parlare con te sono dovuto andare in bagno. C’è una tale confusione in questo posto».
 
Blaine si morse il labbro per trattenere una risata liberatoria.
 
Ma che meraviglia, entrambi chiusi in bagno per una conversazione romantica.
 
«Non mi pare il luogo adatto per parlare con un simpatico ragazzo pelato…».
 
«Torno a New York tra quattro giorni. Ci vediamo?».
 
Non voglio dare l’impressione di essere troppo disponibile, anche io ho una vita sociale… su per
giù.
 
«Mi spiace, sono fuori città anch’io».
 
«Dove ti trovi?»
 
«In nessun luogo esotico quanto Bangkok».
 
«Quindi?» incalzò incuriosito. Una voce fuori campo si introdusse nella conversazione. «Kurt, ti stiamo aspettandoooo».
 
«Kurt vai, i tuoi amici ti reclamano».
 
Sì, creiamo un alone di mistero, che mi renda irraggiungibile. Non diciamogli che siamo a festeggiare il compleanno della nonna!
 
 
 
«Ehm, sì. Ok… ti richiamo appena posso». Sembrava combattuto. Si sarebbe dimenticato di lui una volta conclusa quella conversazione, altroché.  
 
«Certo, mi fa piacere parlare con te» rispose forse un po’ troppo freddo.
 
«Kuuuuurt».
 
Maledetta voce fuori campo.
 
«Allora ci sentiamo presto».
 
«Per la frittata, sì».
 
«Per la frittata, ovvio». Piccola pausa. «Divertiti qualsiasi cosa tu stia facendo».
 
Era incuriosito? Sorpreso?
 
«Anche tu».
 
«Ciao».
 
«A presto».
 
Blaine rimase per qualche secondo con il suo smartphone in mano e la testa leggera. Si alzò poi aprì la porta del bagno e si ritrovò davanti Cooper che ridacchiava.
 
«Hai origliato?». Era allibito dalla sua sfrontatezza.
 
«Lo sapevo che non me la raccontavi giusta». Prese sotto braccio Blaine e si incamminarono per il corridoio. «Ora, pensiamo a come sistemare il disastro che hai in testa. Poi ci occuperemo di come farti ritrovare la ragione».
 
 
***
 
 
Una tenue pioggerella ticchettava sul vetro della veranda, accompagnando i suoi pensieri rumorosi, pensieri che la agitavano nel profondo. Troppe volte aveva cercato di nasconderli agli altri per non rimanerne vittima.
 
Blaine si era rannicchiato in una poltrona di vimini dai comodi cuscini, portandosi le ginocchia al petto. Perché era sempre tutto così complicato?
 
Solo un paio di ore prima aveva avuto l’ennesimo confronto con la madre ed era stanco di dover affermare la propria personalità durante continui battibecchi. Non voleva sentirsi sminuito, non voleva vendersi al miglior offerente. Per Blaine i sentimenti erano importanti. Era ancora giovane, non c’era fretta. I ragazzi flirtavano con lui, lo invitavano a uscire, ma se per Blaine non erano abbastanza, se non erano il suo incastro ideale, non avrebbe certo ceduto solo per far tacere sua madre che lo invitava a godersi la vita come in un romanzetto erotico.
 
Certo, avere avuto un ragazzo di cui era stato innamorato e che non si era fatto scrupoli a tradirlo con un altro non lo aiutava a fidarsi. Piccole cicatrici erano nascoste in lui da qualche parte, ma non era questo il motivo per cui rifiutava gli “uomini sushi”. Il motivo era che cercava l’incontro di mente e cuore, di sentimento e spirito, cercava l’amore.
 
«Ecco il rumore dei tuoi pensieri!».
 
Blaine trasalì. «Nonna, non ti avevo sentito arrivare».
 
«Con il mio passo felpato sono peggio di un gatto». Rose si sedette davanti a lui.
 
«Non dormivi?»
 
«No, stavo guardando la maratona di Star Trek The Next Generation. Picard è proprio il mio tipo».
 
Blaine sorrise, dopotutto felice di avere la compagnia della nonna. L’aveva sempre capito.
 
«Cosa ti turba, ragazzo mio?» gli chiese diretta, senza giri di parole. Aveva il viso stanco, ma attento.
 
«Vorrei che mia madre non mi guardasse come se il mio modo di vedere le cose fosse folle, vorrei che non fosse sempre così rilassata e fosse più… madre.»
 
«Tua madre è sempre stata molto libera, non è stato facile per me e tuo nonno. Sempre a correrle dietro per evitare che combinasse qualche guaio».
 
«Ha avuto due figli, ma non ha ancora capito come si fa la madre» sospirò Blaine amareggiato.
 
«Ho sempre pensato che tu fossi più maturo di lei, non prendertela più di tanto. Vi volete bene, non dovete andare per forza d’accordo».
 
Blaine confermò con un cenno del capo.
 
«Piuttosto perché non mi dici qualcosa di questo ragazzo che ti piace? Mi sono giunte voci…».
 
Blaine sentì che poteva essere sincero con lei, senza nascondere le sue reali intenzioni come faceva con gli altri. «È sicuro di sé, affascinante, ironico, un ottimo conversatore, stuzzica la mia curiosità, cosa rara tra tutti quelli che ho incontrato negli ultimi anni».
 
«E stuzzica anche qualcos’altro?».
 
Blaine scoppiò a ridere. «Non diventarmi moderna anche tu, non lo sopporterei».
 
«Ti piace tanto, eh?»
 
«Sì, so che con lui mi lascerei andare, ma proprio non posso».
 
«Perché?»
 
«È un fotomodello, uno dei più pagati al mondo. Di quelli che fanno pubblicità di auto e profumi, che è ospite dei talk show. Che conosce tanta gente, persone famose quanto lui…».
 
«E con questo? Importa molto quale lavoro fa?»
 
«Mi mette a disagio, nonna, non mi sento adatto a confondermi con quel mondo. Non ne faccio parte».
 
«I casi sono due: o sei snob o non ti senti all’altezza e non voglio credere sia così. Sei sempre stato un ragazzo in gamba e sicuro di te. Cosa cambia questa volta?»
 
«Cambia che non sono a mio agio con lui. Kurt è simpatico, ma non mi sentirei sicuro al suo fianco, non so… Viaggia tanto, conosce tante persone… Uomini… bellissimi e famosi. Forse ho paura dei paragoni» sospirò incerto. Dare voce ai suoi timori era stato facile, ma forse anche doloroso, rendeva più vero ciò che temeva. «E siamo usciti una volta soltanto. Mi ha telefonato oggi dopo una settimana. È a Bangkok per lavoro e piacere. Non mi corteggia, ha detto che non cerca un’avventura, ma che vuole conoscermi».
 
«Mi pare un’ottima premessa, ragazzo mio».
 
«Sì, questo è vero. E forse il mio ego ne è rimasto traumatizzato. Ma cosa vuole da me? Vuole essermi amico? Oppure pensa ad altro. A me piace, vorrei ancora uscire con lui, sinceramente, ma non vedo come potrebbe funzionare. Frequentiamo ambienti diversi. Lui ha avuto storie con modelli e attori. Fuori uno avanti un altro. Tu sai che sono un maniaco del controllo. Cosa mai potrei controllare con questa persona?». Guardò l’acqua che scivolava leggera sul vetro, mentre le gocce si rincorrevano giocose.
 
«Devi imparare a lasciarti andare, Blaine. Non sempre si può controllare tutto, devi essere disposto a rischiare se pensi che ne valga la pena. Da molto tempo non ti sentivo parlare così di un ragazzo. I tuoi primi appuntamenti sono diventati una costante delle conversazioni con tua madre e comincio a preoccuparmi anch’io e non perché sei single, ma perché temo che ti stia chiudendo in te stesso e questo non va bene. Devi imparare a usare meno la testa e a mettere in gioco di più il cuore».
 
Blaine gli puntò lo sguardo contro, un po’ sorpreso e forse stordito. «Nonna, si può rimanere feriti, si può soffrire».
 
«Ma se non rischi, non saprai mai se questo Kurt è giusto per te. Dagli una possibilità, dalla anche a te. Sei un ragazzo intelligente, sono certa che se qualcosa non ti sembrerà giusta, saprai gestirla nel modo più corretto. Non giudicare dalle apparenze. Le apparenze spesso ingannano».
 
Quella stessa notte, poco prima di coricarsi, Blaine digitò un SMS e lo inviò a Kurt.
 
“Sono proprio curioso di conoscere Spank e di vedere che bravo padroncino sei.”
 
Non aggiunse altro. Avrebbe voluto spegnere il cellulare, ma la curiosità di ricevere la risposta lo tenne desto in uno strano dormiveglia. Quando nel buio della camera il display si illuminò, un sorriso compiaciuto si disegnò sulla sua faccia.
 
“Molto presto, Blaine… Non ti libererai facilmente di me e di Spank.



 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi, eccomi qui con un nuovo capitolo… Tranquilli la klaine arriverà presto, intanto cosa mi dite di questa telefonata??? E di Blaine che continua a rispondere male a Kurt? XD

Fatemelo sapere con una recensione.

Programmi per la settimana: allora domani sera ci sarà l’ottavo capitolo di “Un disastro è per sempre” mentre sabato, spero in mattinata, ci sarà il secondo capitolo di “Cancellerei il giorno in cui ti ho incontrato”.

Per qualsiasi cosa sapete dove trovarmi.

Un bacio a tutti coloro che continuano  a seguirmi!!!
 

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Capitolo 10
*** 10. Hallo Spank ***




Capitolo 10
Hello Spank!
 
Il cielo era blu e terso, come in una calda giornata di piena estate. I turisti già imperversavano armati di scarpe comode e macchine fotografiche. Le biciclette sfrecciavano in ogni direzione, mentre un crocevia di pedoni a passeggio o intenti a fare footing animava Central Park. Bambini che si rincorrevano ridendo, padroni con i loro cani, innamorati che si tenevano per mano in cerca di una panchina o di un albero sotto cui distendersi. Mille umanità con i loro desideri, i loro sogni e speranze, che si ritrovavano in quel posto in quel preciso istante. Aveva un non so che di pittoresco e suggestivo, come in una commedia romantica.
 
Blaine si infilò gli occhiali scuri che lo proteggevano agli sguardi indiscreti. Adorava confondersi tra la gente e osservarla in deliziosa solitudine. Ma quel giorno era lì per un preciso motivo e aveva il cuore che batteva forte come se fosse stato la batteria durante un concerto rock.
 
Kurt sarebbe arrivato di lì a poco con Spank.
 
Blaine lo aspetta trepidante, lui arriva con il suo Brinkley, i fiori e il sole fanno da sfondo al momento epico del loro abbraccio e a un bacio che scalda il cuore dello spettatore e lo fa sospirare.
 
Già si immaginava Kurt arrivare con Spank al seguito, guardarsi intorno per cercarlo, poi i suoi occhi l’avrebbero fissato e lui avrebbe avuto la certezza di essere più attraente di qualsiasi altro uomo sulla terra e magari più fortunato, e la convinzione di non aver fatto un madornale errore a incoraggiare quella cosa, qualsiasi cosa fosse.
 
Una leggera brezza animava le fronde degli alberi creando una rassicurante melodia di sottofondo.
 
Blaine si mosse lento, si sedette su una panchina e iniziò a picchiettare il piede seguendo Time Is
Running Out dei Muse che echeggiava nell’aria. Poteva essere profetico?
 
Poi tutto divenne confuso, un fuori fuoco poco interessante mentre le persone si aprivano come le acque del mar Rosso al passaggio di Mosè. Ogni cosa si fermò tranne il suo incedere sicuro. Blaine abbassò il bordo degli occhiali per vederlo arrivare in technicolor, gustandosi ogni fotogramma della pellicola. Kurt sorrideva e guardava verso il basso, parlava, le labbra si muovevano, ma non poteva arrivargli nessun suono, era ancora troppo lontano.
 
Sembrava dire a tutti “guardatemi, sono irresistibile e so sfilare in mezzo ai comuni mortali con eleganza e un potere ipnotico”.
 
Sì, Blaine era incantato e non un’idea coerente raggiungeva il suo cervello.
 
Ora era solo il momento di studiarlo nei dettagli e imprimere nella retina un’immagine divina. Un accenno di barba a incorniciare un mento spigoloso, capelli un po’ arruffati dal venticello, una maglietta nera girocollo con una scritta chiara, un cardigan di cotone grigio, che Blaine si ritrovò a invidiare perché stava abbracciando quei muscoli tesi, quelle braccia, quel corpo.
 
Non si riconosceva più. Era completamente smarrito.
 
Ecco, aveva alzato lo sguardo, l’aveva fissato dritto negli occhi e il piccolo sorriso era diventato un generoso sorriso tutto per lui.
 
Sembrava felice di vederlo.
 
Come un automa, in preda a una gioia inspiegabile, si era alzato per raggiungerlo. Stava per dirgli qualcosa di incredibilmente divertente e brillante per fare colpo su di lui, quando un ringhio sommesso lo bloccò e subito dopo si sentì afferrare per i pantaloni.
 
Sgranò gli occhi, mentre l’incanto di una scena da manuale si rompeva come un vaso di porcellana.
 
Sfiga nera!
 
«Spank, lascialo, Spank». Mortificato, Kurt si chinò e prese in braccio il volpino, che continuava a ringhiare contro il ragazzo e ad azzannargli i pantaloni.
 
Dopo un primo attimo di smarrimento, Blaine si ritrasse e guardò il risultato dell’inaspettata aggressione. Scosse la testa allibito, solo a lui poteva succedere una cosa del genere. L’adorata Spank gli aveva fatto un buco nei suoi jeans preferiti. Fece una smorfia e fissò il cane con un misto di paura e odio. Il loro primo appuntamento si poteva dire un fallimento. Con Spank non sarebbe stato mai amore, ma guerra.
 
Gli occhi scuri della cagnolina dal pelo color biscotto sembravano trapassarlo da parte a parte. Immaginò che Spank avesse marcato il proprio territorio e non volesse condividere Kurt con nessuno. Come darle torto?
 
In braccio a Kurt, Spank continuava a fissarlo con occhi guardinghi e ogni tanto emetteva un suono sommesso, un avvertimento. Avvicinati e ti mordo di nuovo.
 
«Blaine, sono dispiaciutissimo, ti ricomprerò i pantaloni».
 
«No, no…» gesticolò il ragazzo cercando di riacquistare un contegno, senza essere più in grado di recitare la battuta meravigliosa che gli avrebbe fatto guadagnare duemila punti. Ora aveva un aspetto trasandato e sapeva di essere l’oggetto dell’odio del grande amore di Kurt.
 
«Spank è sempre così affettuosa con tutti».
 
Blaine si passò nervoso una mano tra i capelli, per ricordarsi che erano irrimediabilmente corti, niente morbidi ricci fluenti. Lasciò cadere la mano sul fianco ormai abbattuto.
 
«Non so che dirti, io di solito vado d’accordo con i cani, ma non posso pretendere di piacere a tutti».
 
Kurt si azzittì e cominciò a girargli intorno con aria assorta. Se Blaine non fosse stato già nervoso, lo sarebbe diventato sicuramente.
 
«Fai un tour panoramico?».
 
«Mi piace… i tuoi capelli! Ti fa sembrare…».
 
«Un quindicenne… lo so».
 
«No, sei sexy».
 
«Come scusa?»
 
«Ti trovo sexy, io amo i tagli corti, è più facile fare così». Allungò le sue dita e gli posò dietro la nuca di Blaine, raccogliendola nel proprio palmo e soffermandosi qualche secondo di troppo.
 
«Ah, ecco, sì». Cercare parole e un po’ d’aria da respirare poteva essere una buona idea. Ci pensò la solita Spank a rompere le uova nel paniere riprendendo a ringhiare e facendo sì che Kurt lasciasse scivolare la mano dalla nuca di lui, ora un posto terribilmente freddo.
 
«So di non piacergli…».
 
«L’ho trovata in mezzo alla strada quattro anni fa. Stava per essere investita. È un cane fantasia, un buon incrocio con un volpino». Kurt si illuminava quando parlava di Spank. E Spank non lo sopportava. Che complicazione. «La porto con me ogni volta che posso. L’adoro».
 
Quelle parole sembravano la condanna a morte della loro frequentazione. Blaine guardò verso il basso e sorrise a Spank: un ultimo tentativo per stringere amicizia. Di rimando ottenne solo un sonoro ringhio. Un’espressione contrita si dipinse sul suo volto. «Credo mi odi».
 
«Imparerà ad amarti».
 
Blaine scostò gli occhiali da sole per osservarlo. «Tu sei un oggetto misterioso, Kurt Hummel, tu e le tue frasi sibilline».
 
Kurt rise compiaciuto. Era contento e si vedeva. Sembrava scintillare come Edward Cullen sotto il sole in Twilight, ma con un effetto speciale migliore. Accidenti se gli piaceva, ogni momento di più.
 
Situazione scomoda e di svantaggio. Niente “uomo sushi”, quello era un uomo “diamante, per sempre”.
 
«Ti va di passeggiare?» chiese Kurt incamminandosi. Spank iniziò a trotterellare avanti a loro, interessata al verde, alle aiuole e a tutto quello che si muoveva intorno piuttosto che a Blaine. Per un po’ era salvo.
 
«Allora, raccontami del tuo viaggio» fece incuriosito, mentre si addentravano nel parco.
 
«Piacevole, sono riuscito a girare e ho conosciuto un po’ di persone. E per il servizio fotografico sono state scelte alcune location a Bangkok e dintorni. Sono soddisfatto di com’è andata. Anche perché il servizio era affidato a uno dei migliori».
 
«Quando vedremo pubblicate queste foto portentose?»
 
«Credo entro un mese, su per giù. Sei curioso, eh?» fece lui guardandolo con aria maliziosa.
 
«Ovviamente… non dovrei?»
 
«E tu dove sei stato?» gli domandò lui abbastanza in fretta, tanto che la cosa lo spiazzò.
 
Ora aveva due alternative. Inventarsi una vacanza con amici e parenti, tanto per giustificare l’attacco a sorpresa del nipote ai suoi capelli, o dire l’assoluta verità, perdendo anche l’ultimo grammo di fascino che poteva suscitare in lui. Le bugie hanno le gambe corte… La voce di zia Nora gli riecheggiò nella mente. E zia Nora era tanto saggia.
 
«Sono stato a Westerville, in Ohio, per qualche giorno, per festeggiare gli ottant’anni di mia nonna Rose. Riunione di famiglia al gran completo. Ma è stata anche una bella occasione per stare un po’ con mia zia Nora e nonna. Sono due persone a cui voglio tanto bene».
 
Kurt gli lanciò uno sguardo dolcissimo. «La famiglia è importante. Quando posso anche io raggiungo mio padre. Non ha voluto trasferirsi qui a New York, dice che è inutile visto che io sono una girandola e non ci sarei mai. Ha proprio ragione» sorrise con una punta di malinconia.
 
«Hai altri parenti?»
 
«Sì, ma sparsi per lo stato».
 
«Anche voi fate queste riunioni?»
 
«Qualche volta sì, per Natale soprattutto. Ma nessuno ci fa lo scalpo». Si morse il labbro per trattenere una risata.
 
«Ma sentilo».
 
Erano a loro agio, sembravano due amici che parlano del più e del meno. Che idee folli si era fatto su quell’uomo? Volerlo tenere a distanza solo perché famoso sarebbe stato sciocco, perché era simpatico e alla mano.
 
A un tratto una coppia di ragazzi li avvicinò. Dovevano avere meno di vent’anni, indossavano jeans e t-shirt con sopra delle maxi felpe sformate. Quello con i capelli ricci e i denti sporgenti parlò per primo: «Scusate se vi disturbo, ma… tu sei Kurt Hummel, il modello?». L’altro ragazzo, un biondino alto e magro quanto un chiodo, osservava in attesa.
 
Kurt sorrise. «E se lo fossi?»
 
«Kurt…». Il ragazzo gli diede subito del tu. «Non può essere vero che ci sia capitata una tale fortuna. Giusto, Samuel?».
 
Il biondo fece un cenno affermativo con il capo, rimanendo muto. Doveva essere timido.
 
«Mi chiamo Steve». Prese il modello sotto braccio con fare cospiratorio e Blaine seguì la scena mentre Kurt gli rivolgeva una buffa espressione del viso. «E tu non ci crederai, ma oggi è il compleanno di una tua grandissima fan. Non posso pensare che tu sia qui. Sarai il regalo più bello che riceverà».
 
Samuel deglutì a fatica. «Steve, non esagerare».
 
«La vuoi conquistare, sì?», fece rivolto al suo amico senza preoccuparsi di sembrare troppo sicuro di sé. Samuel diventò viola.
 
«Devi sapere che Samuel è innamorato perso di Veronica, lei è la sua migliore amica e le ha organizzato una maxi sorpresa, proprio qui. Fra poco arriverà con una sua compagna di scuola e… flash mob, capisci?».
 
Kurt si liberò dalla stretta di Steve e si avvicinò a Samuel. «Vuoi conquistarla con un flash mob qui a Central Park?»
 
«Lo sapevo, è un’idea stupida».
 
«No, non lo è, è molto romantica invece. Vero, Blaine?». Lo guardò con un’espressione così tenera che lo mandò in tilt.
 
«Sì, Samuel… penso che sia un’idea veramente carina» disse con sincerità.
 
Certo, magari la povera Veronica si sarebbe vergognata a morte di trovarsi al centro dell’attenzione in un luogo tanto pubblico, ma quel ragazzo avrebbe reso speciale il suo compleanno.
 
«Ecco perché abbiamo bisogno di voi» riprese Steve convintissimo. «Stiamo provando gli ultimi passi proprio ora, laggiù. Venite anche voi, i passi sono semplici. Imparerete subito. E pensa la faccia che farà Veronica quando ti vedrà».
 
Il modello lanciò uno sguardo a Samuel e poi a Blaine, gli fece l’occhiolino e disse: «Ci sto, mi sembra fantastico. Blaine, ti spiace?»
 
«Ci sto eccome, sarà divertente».
 
«Siete grandiosi. Venite!».
 
Steve e Samuel li condussero in una zona del parco dove si trovavano una ventina di ragazzi. Samuel accese lo stereo e fece partire il brano di Rihanna Te amo. Il ragazzo arrossì in maniera vistosa all’idea di esporsi in quel modo.
 
Ma cos’era l’amore, pensò Blaine, se non un mettersi in gioco? Si ritrovò quasi a invidiare il coraggio di quel ragazzino.
 
Le sue riflessioni silenziose furono interrotte da Steve che cominciò a insegnare loro i semplici passi di una coreografia improvvisata. Al ritmo della musica, Blaine e Kurt si ritrovarono a imitare i movimenti degli altri. Si guardavano e ridevano, sembravano due adolescenti spensierati. Spank era legata a una panchina lì a fianco e li fissava incuriosita.
 
Passò una mezz’ora quando uno dei ragazzi, con un giubbotto jeans stazzonato, gridò: «Steve, il cellulare!».
 
Il ragazzo spense lo stereo e rispose con aria assorta. Dopo un istante si rivolse agli altri. «Tutti in ordine sparso… Veronica sta arrivando».
 
«E noi, Steve?», domandò Kurt divertito.
 
«Sedetevi su una panchina, chiacchierate, baciatevi… Un po’ di fantasia!».
 
«Perché non ci ho pensato!». Kurt si diede un colpetto sulla fronte con fare sbadato, prese la mano di Blaine e lo condusse verso la panchina. Blaine si irrigidì leggermente nel vedere che Spank lo osservava, accucciata, ma con le orecchie vigili.
 
Si sedettero. Kurt lo cinse per la vita e l’attirò a sé. Il ragazzo era sorpreso, non se l’aspettava. Non che la cosa gli dispiacesse.
 
«È un appuntamento, giusto?». Kurt fece un sorriso, che avrebbe piegato la volontà dell’uomo più rigido.
 
Blaine preferì assecondare la sceneggiata senza dire nulla. Voleva vedere cosa avrebbe combinato il suo accompagnatore. Così appoggiò le mani sulle sue spalle, sfiorandogli per la prima volta con un gesto confidenziale e quasi sfrontato.  
 
Se dovevano fingere, perché non farlo per bene?
 
Ma che strana sensazione, così piacevole. Lo stomaco aveva appena fatto una capriola, forse due.
 
Blaine sollevò lo sguardo per incontrare quello di Kurt. Era intenso e ogni traccia di spensieratezza sembrava essere sparita. Tutto intorno a lui tornò a essere sfasato e fuori fuoco tranne i lineamenti di Kurt.
 
Il silenzio era rotto solo dal battito del cuore di Blaine. Aveva corso una vita per provare una simile emozione.
 
«Sto per fare qualcosa di molto sciocco o forse no…». Kurt era serio, incredibilmente serio, mentre l’intreccio di occhi e corpi si faceva più intenso.
 
Kurt fece scivolare una mano sulla nuca di Blaine e le sue dita lo accarezzarono lievi, delicate, leggere come piccole piume. Blaine sentì i muscoli del collo rilassarsi; che magia, che incredibile stato di grazia.
 
E accadde.
 
Kurt si sporse verso di lui come un felino che studia la preda e si avvicina pronto a divorarla.
Poggiò le labbra sulla sua bocca e la sigillò, fino a togliergli l’ultimo respiro.
 
E gli rubò il cuore e i pensieri, ogni frammento di lui fu prosciugato da quel bacio, prima leggero e poi più ardito, curioso, sicuro.
 
Ma prima che tutto diventasse un sogno a occhi aperti, qualcosa si insinuò tra le nebbie che l’avvolgevano, nebbie da cui si sentì strappato via con una forza che le fece male.
 
La voce di Rihanna e il suo Te amo riecheggiarono tra gli alberi, sotto il sole, nell’aria ferma. Blaine aprì gli occhi e vide Kurt che lo fissava confuso ed emozionato quanto lui.
 
Una frazione di secondo e si sentirono strattonare.
 
«Ci avete dato dentro, eh? Muovetevi, ragazzi!». Steve li trascinò implacabile in mezzo agli altri.
 
Blaine e Kurt continuavano a fissarsi storditi e gli ci volle qualche secondo per realizzare ciò che stava accadendo intorno a loro. Si sorrisero intimiditi e si misero in posizione per la coreografia, mentre una ragazza con i capelli rossi, due lunghe trecce e un nasino all’insù portava le mani alla bocca, e gli occhi le si inumidivano. E mentre Rihanna cantava il suo Te amo a gran voce, molti curiosi iniziavano a battere le mani a tempo, creando un cordone umano intorno alla bella scenetta.
 
Blaine e Kurt si trovarono a ridere di nuovo, mentre Veronica piangeva felice in quel suo angolo di mondo che era diventato un regno.
 
Infine, come prevedeva la parte finale del balletto, Kurt si fece avanti e si avvicinò a Veronica che si ritrovò con la mandibola ciondolante e l’espressione di qualcuno che ha appena visto un fantasma.
 
Le prese la mano, la portò alla bocca, baciandola, e poi trascinò la ragazza al centro della coreografia, che all’improvviso si fermò. Samuel era lì in mezzo ad aspettarla con in mano una rosa rossa. Veronica lo guardò emozionata.
 
Kurt si fece da parte, incantato, tornando accanto a Blaine. Kurt e Blaine sentivano la rispettiva presenza.
 
Era successo qualcosa tra loro, anche se era iniziato per puro scherzo.
 
Senza dire nulla, Kurt intrecciò le proprie dita a quelle di Blaine e rimasero così, muti, a osservare un sentimento che si consolidava sotto i loro occhi, desiderando che quel momento magico toccasse anche loro.
 
 


NOTE DELL’AUTRICE:

Salve cari lettori. Finalmente il bacio tanto atteso!!!
 
Non ce molto da dire, la storia prosegue e finalmente questi Klaine danno soddisfazioni, no? Tranquilli, per chi si preoccupa del troppo fluff, Blaine e le sue pippe mentali sono in agguato XD
 
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto e per chi volesse essere aggiornato in tempo reale di ogni aggiornamento mi aggiunga sul mio contatto fb. (Clicca qui).
 
Per oggi è tutto, a Giovedì con il prossimo capitolo!!! 

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Capitolo 11
*** 11. Cenerentola e il suo principe ***





Capitolo 11
Cenerentola e il principe azzurro
 


E la porta si aprì.
 
Fu come entrare in un luogo fatato dove tutto era possibile. Blaine si sentì come una specie di moderna Cenerentola che va al ballo con un paio di jeans bucati e la paura nel cuore, che sente i polmoni gonfi di fiato e attesa, che si domanda se ha fatto bene ad assecondare un istinto sconsiderato. Lui, principe azzurro dal fascino irresistibile e dai modi da gentiluomo d’altri tempi. Una combinazione unica.
 
Kurt era già entrato nel suo castello mentre lui era fermo sulla soglia, consapevole di avventurarsi nella tana del lupo, senza difese.
 
Kurt si voltò e lo fissò un istante, illuminandosi di un sorriso seducente. «Che fai, rimani lì?».
 
Spank, libera dal guinzaglio era fuggita via e probabilmente stava già studiando un piano d’azione per colpirlo a sorpresa.
 
«Sì, sì eccomi…». Blaine si ritrovò a camminare in un’ampia sala luminosa, dove grandi vetrate si aprivano su una terrazza da cui si poteva ammirare un panorama mozzafiato.
 
«Dovresti vederti» fece Kurt sedendosi su un enorme divano a elle color panna e rimanendo a piedi nudi. Si sgranchì le dita sul soffice tappeto e sorrise. «Ti dà fastidio?» domandò vedendo lo sguardo sorpreso di Blaine.
 
«No, no, fai pure». Come poteva dirgli che un simile gesto gli era sembrato terribilmente erotico?
 
Gli voltò le spalle e cominciò a guardarsi intorno, studiando l’arredo, un incontro di moderno non esagerato e di classico fatto di legni pregiati. Che cosa strana, non si vedevano sue fotografie da nessuna parte.  
 
Blaine si avvicinò a una delle finestre, dove si trovava un pianoforte a coda nero e lucido da potercisi specchiare. «Sai suonare?» domandò gettando lo sguardo oltre la vetrata.
 
Dentro era un subbuglio di emozioni che non riuscivano a placarsi. Non voleva essere a disagio, voleva lasciarsi andare senza riflettere troppo… Era stanco di controllare tutto, era impossibile controllare ciò che sentiva dentro.
 
E non poteva certo scordare quello che era avvenuto al parco, il bacio che si erano scambiati, le loro mani unite per buona parte del tragitto per arrivare all’attico di Kurt, che si affacciava su Central Park.
 
Kurt si era offerto di cucinare per lui. Gli voleva preparare la sua frittata ultraspeciale. Blaine temeva che la frittata vera e propria potesse essere tutto il resto.
 
Che era accaduto tra loro? Che stava accadendo adesso?
 
Kurt gli si avvicinò e si ritrovò a sfiorargli le spalle. Blaine poteva avvertire il suo respiro così vicino, poteva sentire la sua presenza accanto a sé.
 
«Mi piace suonare il pianoforte, ho imparato da ragazzino. Mi rilassa». Allungò una mano e l’intrecciò a quella di lui, di nuovo, come se fosse importante non lasciarlo andare. Blaine lo assecondò mentre Kurt lo attirava verso il lungo sgabello ricoperto di pelle nera e si accomodava, facendogli posto accanto a sé. Gli lanciò uno sguardo obliquo e lasciò le sue mani affusolate scivolare sui tasti di avorio ed ebano, con una tale grazia che ogni timore di Blaine scomparve. Le note del Chiaro di Luna di Debussy riempirono l’aria della loro struggente malinconia.
 
Blaine si sentì felice, come mai era stato in vita sua. Lo sguardo del ragazzo si spostava dalle mani di Kurt, così sicure e maestre, al suo viso, che era rapito dalla melodia, estraniato. Dove si trovava? In quale magica bolla era scivolato per avere un tale benessere dipinto sul volto?
 
E si rese conto di quanto gli piacesse, di quanto desiderasse far parte della sua vita. Non era da Blaine sentirsi perso, non dopo così poco tempo, ma gli era impossibile negare che la sua razionalità avrebbe fatto a cazzotti con il suo cuore e avrebbe perso per KO tecnico. Si morse il labbro per riassaporare il bacio dato al parco. Il sapore di Kurt era buono e il ricordo delle sue labbra morbide aderiva alla sua bocca come una pellicola invisibile. Arrossì suo malgrado gustandosi quell’emozione unica e segreta.
 
La musica si arrestò. Kurt si voltò a guardarlo e gli sorrise. Poi allungò le dita verso la bocca di Blaine, come se gli avesse letto nel pensiero, indugiando un attimo di troppo con il pollice sull’angolo destro.
 
Il ragazzo ricambiò il sorriso senza sapere bene cosa stesse facendo. Il suo istinto gli diceva di alzarsi da lì, il suo cuore gli ordinava di prendere l’iniziativa e suggellare la loro conoscenza con un nuovo bacio. Uno soltanto, uno per sempre. E il cuore riprese a battere così forte da assordarlo. Gli sembrava quasi di sentirlo, come se fosse un suono reale.
 
Accidenti, ma era un suono reale…
 
Spank aveva ripreso a ringhiare ed era molto vicina, troppo vicina. Gli stava tirando i pantaloni un’altra volta e Blaine cercò di liberare la gamba. Il sorriso si trasformò in una risata nervosa.
 
«Credo che la tua Spank voglia uccidermi».
 
Kurt allontanò la mano a malincuore e l’incanto si ruppe. Si chinò sotto il pianoforte. «Ragazzina, si può sapere che hai intenzione di fare? Blaine è un nostro amico…».
 
Amico, amico, amico… Sì, giusto, anche se con gli amici non si fanno gli cose che fai tu, Kurt…
 
Spank sembrò protestare ma alla fine si allontanò con la coda tra le zampe. Kurt si girò verso Blaine per riprendere il discorso lasciato in sospeso quando si accorse che lui non c’era più. Aveva approfittato dell’attimo di distrazione del nemico per riprendere il controllo e attuare un piano di fuga. «Sto morendo di fame. La frittata speciale che mi hai promesso?»
 
«Vieni, ti mostrerò la stanza che amo di più della casa. La mia cucina».
 
Blaine lo seguì per ritrovarsi in una cucina accogliente fatta in legno bianco e scuro. Rimase colpito dalla calda familiarità con cui sembrava l’avesse accolto.
 
«Ti piace? Passo ore qui dentro, adoro cucinare».
 
«Mi piace moltissimo».
 
«Bene, bene…». Fu l’unico commento di Kurt, mentre apriva il frigorifero gigante a due ante e cominciava a estrarne gli ingredienti per quello che si apprestava a preparare.
 
Blaine lo osservava muoversi sicuro nel suo ambiente e gli parve così sexy. Le immagini di Kurt completamente nudo gli balzarono inaspettate in testa, contro la sua volontà. Cercò di scacciarle, erano così inopportune! Adesso dovevano mangiare, no? Anche se lui avrebbe voluto tanto assaggiare quel bocconcino…
 
Si appoggiò al bancone e cercò di essere naturale e meno distratto. «Posso fare qualcosa?».
 
Lui sollevò lo sguardo. «Vieni qui».
 
Una richiesta che gli trasformò gli gambe in un budino. Blaine lo raggiunse. «Eccomi, chef».
 
Kurt ridacchiò e gli mise in mano il cartone delle uova. «Trovi i piatti in quel ripiano». Glielo indicò. «Sbatti le uova, io intanto cerco il mio ingrediente segreto».
 
«Agli ordini capo».
 
Si muovevano nell’ambiente con una naturalezza che stupì entrambi. Sembrava lo facessero da sempre. Mentre le uova sfrigolavano sulla padella, Kurt aveva apparecchiato la tavola con una tovaglia di lino verde.
 
Era tutto perfetto: quel momento, quella giornata, perfino l’incidente in ascensore era stato perfetto, perché quella perfezione l’aveva portato proprio lì, all’appuntamento ideale.
 
E quando finalmente si sedettero al tavolo, Blaine non si rese conto più di niente, tranne dell’emozione che gli premeva contro il petto dandogli un piacevole dolore. Kurt raccontava aneddoti del suo viaggio, del suo passato, sorrideva. Tutti le ansie di Blaine sembravano essersi dissolte, poteva essere se stesso senza provare disagio, senza il rischio di sembrare fuori posto come una nota stonata.
 
Il rumore delle posate si mischiava alle loro voci come i buoni ingredienti di quel pranzo gustoso.
 
E poi si ruppe il silenzio. «Assaggia questo, Blaine». Cosa fosse poco importava. Kurt prese la propria forchetta, quella che aveva sfiorato gli sue labbra e il suo palato fino a qualche istante prima, per portarla alla bocca di Blaine, in un gesto familiare e sensuale che lo spiazzò, improvviso come un fulmine in un cielo terso.
 
Blaine lo squadrò con uno sguardo rapito, che lui ricambiò con dolce fermezza. Sapeva quello che faceva, glielo si leggeva sul viso. C’era chimica tra loro, era innegabile.
 
Le labbra si richiusero lente sul boccone e lo assaporò con il respiro corto. Kurt si alzò leggermente, sporgendosi verso di lui e lo baciò sulla bocca chiusa.
 
Celestiale.
 
Si allontanò di poco e gli sfiorò la guancia senza staccare gli occhi da lui.
 
Blaine si sentì pervadere dal panico. Era in caduta libera, si era tuffato dalla cima di una rupe in un mare azzurro come gli occhi di Kurt. Le parole gli uscirono senza il controllo che ormai non gli era più amico, anche se smorzate e bisbigliate con un tono basso. «Avevi detto che non volevi un’avventura con me».
 
Lo stupore si impossessò di lui e la sua espressione lo tradì. Si risedette confuso, aveva il viso di uno che si stava chiedendo se avesse sbagliato qualcosa. Era evidente che non si aspettava una simile reazione.
 
«Ed è così…».
 
«E allora tutto questo? Cosa significa? Se non vuoi avere un’avventura con me, se vuoi essermi amico, sappi che gli amici non fanno così».
 
Kurt si accigliò. «Non ho mai detto di volerti essere amico, o meglio solo amico. Ho detto che volevo conoscerti».
 
Blaine colse la sottile sfumatura e andò ancora di più nel panico. Odiava sentire i suoi sentimenti e le sue paure messe così a nudo. Vedendo che lui non parlava, fu Kurt a continuare. «Tu mi piaci molto Blaine e ammetto che non volevo correre con te, volevo conoscerti meglio prima di fare qualsiasi passo. Volevo che tu conoscessi me, non il modello da copertina, ma me, la mia vita fatta di Spank, il pianoforte, la passione per la cucina e tante altre piccole cose che mi appartengono, al di là dei riflettori o del successo».
 
Blaine rimase muto, immobile come uno scoglio frustato dalle onde.
 
Kurt continuò: «Ero sicuro che tu avresti saputo vedere al di là della mia immagine pubblica. Non hai mai voluto niente da me e questo ti ha reso interessante ai miei occhi da subito, ma è stato uscire con te che ha fatto la differenza. Sono stato bene come poche volte mi è capitato». Allungò la mano e prese quella di Blaine accarezzandone il dorso con il pollice con un gesto spontaneo. «È giusto che tu sappia che sto uscendo da una storia durata qualche mese. Ci siamo lasciati da amici, semplicemente non funzionava tra noi. Era corretto che tu lo sapessi da me. Vorrei davvero continuare a frequentarti, Blaine, e spero che lo stesso valga per te».
 
Era sincero, glielo leggeva in faccia, e la sincerità meritava altrettanta sincerità. «Anche tu mi piaci e molto, Kurt. Mi spaventa la velocità con cui tutto sta avvenendo, mi spaventa sapere che io non ho niente a che fare con il tuo mondo e la vita che fai. Mi spaventa la velocità con cui entri ed esci da una relazione. Almeno così scrivono i giornali che ho letto».
 
Kurt scoppiò a ridere e gli baciò la mano con affetto. «Non fidarti sempre dei gossip, posso uscire con un amico e può diventare il mio nuovo grande amore».
 
«Anche io sono un amico o qualcosa del genere».
 
«No, non lo sei, non per me, o meglio vorrei che fossi il mio migliore amico e per parecchio tempo… Ti spaventa anche questo?» Disse più serio.
 
«Dico che non ci conosciamo abbastanza, che ho bisogno di tempo, che aver parlato al telefono un paio di volte ed esserci visti a malapena tre ci rende poco più che estranei. Io non posso correre, non fa parte di me».
 
«E allora aspetterò il tempo che serve. Sarà divertente vedere le tue difese abbassarsi fino alla resa incondizionata» commentò malizioso, continuando a torturargli la mano con lentezza studiata, mentre le sue pupille lo puntavano senza tregua e sembravano fagocitare tutto il bianco intorno.
 
Blaine lo guardò con aria provocatoria, esaltato al pensiero che quell’uomo volesse uscire proprio con lui e corteggiarlo. «Le costerà impegno, mio caro signor Hummel. Non crederà che io sia una preda tanto facile?»
 
«Non mollo la presa quando sento che ne vale la pena. Non lo faccio mai». Era deciso e questo lo rincuorò al punto che gli sorrise grato.
 
Sembrava proprio l’inizio di un viaggio il loro.
 
Un viaggio che avrebbero fatto insieme…
 

***
 
 
«E quindi niente camera da letto?» Domandò Cooper mentre si preparava alla serata cinema con il fratello.
 
«Niente camera da letto, mi sono fermato al salone immenso, alla cucina e al bagno, sì… lo ammetto, ne avevo bisogno. Enorme pure quello e tutto in marmo nero. Uno spettacolo».
 
«Sei stato nel bagno di Kurt Hummel» sospirò con voce sognante.
 
«Finiscila di prendermi in giro».
 
Cooper alzò gli occhi al cielo. «E quando vi vedrete di nuovo?»
 
«Ha detto che mi chiamerà domani. Per fortuna resterà a New York ancora qualche giorno prima di partire per non so dove per un altro servizio fotografico».
 
«Beato lui, quanto viaggia. Magari una delle prossime volte porterà anche te».
 
Blaine gli lanciò uno sguardo di fuoco.
 
«Stai ancora cercando notizie sul suo ex?». Cooper scuoteva la testa, era costretto a mettere in atto tutto il suo repertorio dei gesti di disappunto.
 
«Hanno rotto da sei settimane, lo ha ammesso lui».
 
«E allora, ragazzo paranoie? Che ti importa?». Cooper affondò la testa in un cuscinone rosso.
 
«Devo capire, voglio vederlo».
 
«Blaine, datti una calmata o scriverai la parola fine a questo romanzo ancora prima di cominciare a leggerlo».
 
«Tu non capisci, lui è le tre t: tanto, tutto, troppo».
 
«Bingo! Mio fratello è cotto!». Cooper esultò alzando le braccia al cielo.
 
«Sembri Rocky in cima alle scale dopo la sua corsa. Senti la musichetta?»
 
«Sono come lui, un vincitore».
 
«Cretino!». Blaine ghignò.
 
Cooper rise con lui. «Perché, fratellino, non vivi questa storia con più serenità? Vedi come va. Voglio dire, ha ammesso che gli piaci. Non rovinare tutto con i tuoi deliri da “voglio controllare ogni cosa”. Ti comunico che la vita è imprevedibile».
 
Blaine appoggiò il viso alle mani, i gomiti alla scrivania, fissando il monitor del PC senza vederlo. «Ho paura di perdere la bussola, anzi, forse è già successo. Mi piace tanto e penso continuamente a lui. Per esempio, domani ho un importante colloquio di lavoro presso l’ufficio di un avvocato, e invece sto qui a fare ricerche su Stefan, Steve, Sebastian o come si chiama il suo ex».
 
Cooper sbuffò. «Non volevo farti vedere una cosa, ma tu insisti e non ho intenzione di fissare la tua schiena tutta la sera».
 
Cooper si alzò e andò in camera per tornare con una rivista e risprofondare sul divano. Blaine lo raggiunse immediatamente. Cooper sfogliò delle pagine e si fermò. «Eccolo». Lo indicò con il dito.
 
Blaine si afflosciò su se stesso come un soufflé malriuscito.
 
L’incubo di ogni uomo era lì, bellissimo e implacabile come un David killer, con indosso uno di quei vestiti da cerimonia dei Golden Globe con aderenze così generose da nascondere davvero poco alla vista. I capelli castani erano luminosi come se sopra gli avessero spruzzato della cera. Gli occhi verdi puntavano magnetici perfino dalla carta stampata e lui era lì al suo fianco, in smoking, bello come non mai e con un sorriso della serie “lui è mio e io sono felice”.
 
«Blaine, respira!». Cooper cominciò a sventolarlo con la stessa copia del giornale.
 
Dopo un attimo di esitazione in cui Blaine era rimasto immobile, con lo sguardo sbarrato davanti a sé, strappò di mano il giornale al fratello e ritrovò la foto incriminata.
 
«Sebastian Smythe, modello di ventidue anni nato a Parigi, alto un metro e ottantotto  uno dei più richiesti… Ha lavorato per Armani, Dolce & Gabbana, Yves Saint Laurent. Fidanzato di Kurt Hummel… ecc ecc ecc…». Si zittì per poi uscirsene con un disperato: «Ora capisci? È un errore. Io non sarò mai come lui».
 
«Ne convengo!». Cooper borbottò afferrando i popcorn e sgranocchiandoli. «Però vorrei ricordarti che Kurt con quest’uomo alieno alto due metri e bello come Mr Universo non ci sta più. Quindi dopotutto non doveva essere tanto speciale, no?»
 
«Cosa vede di speciale in me, Cooper? Onestamente. Sono un ragazzo normale, con una vita normale. Sì, sono carino, ma non faccio certo voltare gli uomini se mi incrociano per strada, né si buttano ai miei piedi sperando che li calpesti».
 
«Quanto la fai lunga, vogliamo fare cambio? Ci esco io con Kurt… Non sarò gay ma so apprezzare le vere occasioni, magari mi presenta qualche modella!».
 
«Non mi rassicuri, hai svicolato la risposta».
 
«Ma non capisci che stai cercando di fare la radiografia di una sensazione? Se lui ti trova interessante, ci sarà un perché e non conta se non hai le gambe di una gazzella o lo sguardo di un felino. Forse, e dico forse perché non lo conosco personalmente, questo ragazzo non guarda solo l’apparenza, ma cerca anche della sostanza. E tu dovresti avere più fiducia in te. Giuro, non ti riconosco più».
 
«Sì, sono completamente fuori di zucca». Appoggiò la testa sulla spalliera del divano. «Ho paura di restarci male, di illudermi, Cooper. Forse la storia con Jeremiah dopotutto mi ha segnato più di quanto pensassi. Mi ha reso insicuro».
 
Il fratello si voltò a guardarlo con aria comprensiva. «Era da così tanto tempo che speravo di vederti preso da qualcuno. E ora dico “wow, Kurt Hummel è davvero un ricco bottino”. Al posto tuo mi godrei il momento senza farmi tutte queste domande, non sai che cosa accadrà domani, nessuno lo sa. Ma hai l’opportunità di uscire con un uomo che ti piace e per cui, mio caro, hai davvero perso la testa. I problemi lasciali per il dopo, pensa ad accalappiarlo ora».
 
«Parli così solo perché speri che lui ti inviti ai party dei VIP» lo punzecchiò Blaine sorridendo.
 
Sapeva che il fratello aveva ragione, ma una parte di lui era sempre in agguato, pronta a sabotarlo.
 
«Si vede che mi conosci bene».
 
Cooper lo abbracciò d’impulso e gli diede una sonora pacca sulla schiena. «Il mio fratellino e Kurt Hummel. C’è giustizia a questo mondo». Si staccò da lui e prese il telecomando. «E ora basta modelli, per stasera ne ho avuto abbastanza. Adesso cinema! Natalie Portman sono tuo».
 
E le immagini di Thor partirono.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi, mi scuso per il ritardo ma sono stata poco bene, spero comunque vi faccia piacere questo aggiornamento!!!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo pranzo e per qualsiasi altra cosa mi trovate qui!!!
Baci a Martedì con il prossimo capitolo!

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Capitolo 12
*** 12. Desdemona ***


Capitolo 12
Desdemona
 
Ennesimo tentativo fallito. Blaine Anderson cominciava a sentirsi un caso disperato. Una laurea buttata nello scarico del water, un’intelligenza sprecata al servizio di colloqui senza futuro, un conto in banca che si assottigliava sempre più e il cuore in tumulto per un interesse nuovo che aveva monopolizzato ogni fibra del suo essere.
 
Non riusciva neppure a dolersi troppo dell’ennesimo tentativo andato a vuoto, perché l’idea di aspettare una sua telefonata lo faceva volare fino in cielo. Che effetto pazzesco, devastante e potenzialmente pericoloso gli faceva quell’uomo. Stava annullando tutte le sue difese, barriere abbassate su ogni confine. Kurt attendeva una resa, ma Blaine si era arreso già al primo appuntamento, anche se lui ancora non ne era a conoscenza.
 
Con la sua giacca nuova, sopra al completo indossato per andare a «Inside Look», Blaine si era incamminato verso la metropolitana. Voleva solo tornare a casa e farsi una doccia. Inoltre avrebbe dovuto studiare nuovi annunci per altrettante richieste di colloqui. Non poteva arrendersi, non se l’alternativa era tornare a casa o, peggio ancora, usare i risparmi di nonna Rose. Questo l’avrebbe mortificato!
 
Per un attimo si fermò sulla soglia del sottopassaggio. Tutti gli sfilavano intorno, salivano e scendevano le scale presi da una strana frenesia, mentre lui rimaneva immobile.
 
Cosa avrebbe pensato Kurt? Che era un fallito, un bluff, non era neppure capace di trovarsi una specie di lavoro.
 
E i suoi mille dubbi ritornarono prepotenti a torturarlo. Perché non era capace di cogliere l’attimo e lasciarsi andare senza tutte le stupide paranoie da eroe tormentato di un romanzo…
 
Odiava riconoscere che sua madre e suo fratello avevano ragione su di lui, ma anche sotto tortura non l’avrebbe mai ammesso. Piuttosto sarebbe morto con il suo oscuro e inconfessabile segreto.
 
Stava per scendere le scale, quando la suoneria del cellulare la fece saltare.
 
Pum pum pum… display
 
Kurt Hummel… pum pum pum.
 
Cuore a cuccia!
 
«Ciao, Kurt!».
 
«Ciao, allora, com’è andato il colloquio?»
 
«Se hai una domanda di riserva, ti prego di farmela subito ed evitarmi un’umiliazione» sospirò affranto.
 
«Provvedo subito. Hai impegni stasera?»
«No». Pum pum pum…
 
«Ottimo. Fatti trovare pronto per le 21. Puoi mettere il completo nero che avevi al nostro primo appuntamento. È l’ideale per dove ti porterò». Kurt sembrava proprio entusiasta. Che cosa stava architettando?
 
«Nessuna anticipazione?»
 
«Voglio farti una sorpresa».
 
A Blaine venne un’irrefrenabile voglia di flirtare e lo assecondò. Spense il cervello. «Vuoi stupirmi, signor Hummel?»
 
«Ci sto provando, ho intenzione di mostrarti tutto quello che mi piace, di coinvolgerti nelle mie passioni al punto che non potrai fare a meno di volermi conoscere». Era serio e lui inghiottì saliva e desiderio. Difese azzerate in un nanosecondo.
 
«Io voglio già conoscerti meglio». Ok, l’ho detto, sai che scoperta, ce l’ho scritto su questa faccia da ebete. «Ma tu impegnati, lo trovo divertente».
 
«Stimolante, intrigante?»
 
«Fermiamoci al divertente e poi si vedrà».
 
«Uomo crudele, troverò la chiave per aprire il tuo cuore».
 
«Nel caso la trovassi, questa famigerata chiave, sarai costretto a prenderti cura del mio cuore, è molto fragile».
 
«Lo proteggerò come se fosse il mio».
 
 
***
 
 
Aveva acconciato i capelli con pochissimo gel quella sera, vedere qualche riccio ribelle gli piaceva. Si rimirò compiaciuto davanti allo specchio.
 
Cooper si affacciò da dietro le spalle, apparendo in una piccola porzione di specchio del bagno.
 
«Sei uno schianto».
 
«Lo credi davvero?». Gli puntò gli occhi addosso speranzoso. Voleva fare colpo, lo voleva con tutto se stesso.
 
«Hai una luce incredibile in questo momento, un’aura che ti rende affascinante. Ti deve piacere proprio tanto».
 
Blaine si voltò con un leggero rossore sulle guance. «È così evidente?»
 
«Temo di sì» ammise con tenerezza.
 
Blaine sorrise incerto. «E io che volevo fare il misterioso, il mio gioco sarà scoperto in un istante».
 
«Sono sicuro che saprai scoccare le frecce giuste, non ti manca certo la capacità di giocare con le parole. Saprai cavartela».
 
Blaine prese il portafogli e il cellulare, che aveva lasciato sul letto, proprio mentre suonavano al citofono. I ragazzi si guardarono entrambi esaltati. Si mossero contemporaneamente per andare a rispondere e afferrarono in simultanea il ricevitore, strattonandolo.
 
«Lascialo, ci penso io».
 
«Fallo salire mi raccomando» bisbigliò Cooper in fermento.
 
Blaine prese un lungo respiro e rispose: «Kurt? Scendo subito».
 
«No, salgo io a prenderti, da perfetto cavaliere. Servizio completo».
 
Blaine riagganciò la cornetta.
 
«Fammi aprire la porta». Cooper giunse le mani a mo’ di preghiera.
 
«No, ne abbiamo già discusso, non voglio che si senta un sorvegliato speciale».
 
«Ci ho già parlato al telefono, dimentichi?»
 
«No…».
 
Kurt suonò di nuovo, questa volta il campanello.
 
«Ok… ok… Ma fa’ in modo che ci sia una prossima volta, o te la farò pagare». Cooper gli fece la linguaccia. Blaine gli sorrise e si precipitò verso la porta d’ingresso. Si fermò, indossò il suo sorriso gentile per mascherare l’emozione e aprì.
 
Una visione.
 
Era lì davanti a lui, in tutta la sua bellezza, con uno sguardo disarmante e un’aria pericolosa.
 
Indossava un completo grigio e una camicia bianca. La barba era perfettamente rasata, i capelli pettinati all’insù. Uno splendore.
 
Il cuore non accennava a fermarsi, sembrava un criceto nella ruota, impazzito.
 
Kurt si chinò per sfiorargli la guancia con un casto bacio. Il tocco delle sue labbra era rovente, o era lui che stava andando a fuoco?
 
Un istante e si allontanò per fissarlo negli occhi. «Sei bellissimo». Con un gesto naturale, gli posò la mano sulla guancia, mentre il pollice gli accarezzava con lentezza una porzione di pelle vicino alla bocca.
 
Blaine era perso, completamente perso per lui, per i suoi sguardi liquidi, per il suo tocco ardente ma gentile. Kurt aveva invaso i suoi pensieri. Non erano una coppia, non erano niente eppure Blaine voleva di più. Lo pretendeva. Il destino glielo aveva fatto conoscere, e avrebbe maledetto se stessa per la sua maniacale voglia di controllare tutto, se avesse mandato a monte un incastro più improbabile e favoloso.
 
«La bellezza è negli occhi di chi guarda».
 
Per un istante lo sguardo di Kurt si illuminò, un lampo di sorpresa e di piacere lo attraversò. «Amo questo aforisma».
 
Blaine si aprì in un immenso sorriso di gioia. «Amo leggere».
 
«Anch’io, non posso vivere senza un romanzo con me. Non viaggio mai senza il mio e-reader. Ma avremo modo di parlarne stasera. Vogliamo andare?». Senza aggiungere altro gli fece segno di andare alla porta, invitandolo a passare per primo
 
 Non poteva vedere che Blaine sorrideva all’idea di averlo così terribilmente vicino.
 
Il ragazzo chiuse la porta del suo appartamento e si fece condurre verso la macchina. Lo studiò con attenzione mentre le sue mani stringevano il volante. C’era un non so che di affascinante nella penombra che ogni tanto inghiottiva quel profilo, per poi liberarlo e mostrarglielo di nuovo in tutto il suo fulgore. Kurt gli chiese del colloquio, ma Blaine preferì buttarla a ridere sia per nascondere il suo imbarazzo per l’ennesimo buco nell’acqua, sia per il fatto di trovarsi accanto a lui. Ma come aveva detto Cooper, era bravo con le parole e la sua ironia lo salvò.
 
Blaine si sorprese nel ritrovarsi, di lì a pochi minuti, dinanzi al famoso Desdemona, di cui tanto aveva sentito parlare da Sam: un nuovissimo locale in parte al chiuso, in parte all’aperto, dove si esibivano gruppi dal vivo provenienti da tutto il mondo.
 
Gli occhi del ragazzo studiarono ogni dettaglio del posto, le illuminazioni che viravano verso il blu e il viola, tavolini sparsi dal design moderno ed essenziale e il palco in fondo dove una band stava preparando i suoi strumenti.
 
Un cameriere solerte li accompagnò al tavolo che Kurt aveva prenotato. Quando si accomodarono, Blaine non poté che mostrare il suo entusiasmo. «Che splendida idea hai avuto».
 
«Sono contento ti piaccia, spero sarai d’accordo anche dopo che avrai ascoltato la musica che suonano questa sera».
 
«Di che si tratta?». Si sedette e si sporse in avanti con uno sguardo interessato.
 
«Musica celtica. La conosci?».
 
Blaine si morse il labbro e fece una smorfia di finto dispiacere. «Immagino di aver preso un brutto voto all’esame!». Abbozzò un sorriso.
 
«Sei ancora in tempo per guadagnare punti».
 
«Mi sento studiato al microscopio» fece con ironia.
 
«Credo di essere anch’io su un vetrino, ma non mi dispiace. Voglio che tu mi studi, voglio che mi analizzi, voglio che tu mi veda».
 
L’espressione di Blaine lasciò spazio a una vaga confusione. Appariva così sincero quando gli diceva frasi come quella, ma poi si domandava com’era possibile che lui ci tenesse tanto, neppure lo conosceva davvero.
 
«Allora, parlavi della musica celtica». Azione diversiva, stava cercando di riportare la conversazione su un terreno meno compromettente.
 
Kurt arricciò il labbro in una smorfia sarcastica. «È una musica che ha origine dal Nord-Europa. Musica tradizionale dei paesi celtici, come l’Irlanda».
 
«Mi sento molto sciocco e ignorante in questo momento. Dovrò rimediare».
 
«Il gruppo che suonerà stasera è eccezionale, li ho sentiti una volta a Dublino. Da brivido».
 
Dublino… Quante cose aveva visto con i propri occhi. Una punta di inadeguatezza era sempre lì a rosicchiare il suo umore alle stelle. Un giorno avrebbe dovuto parlare con il sabotatore che era in lui e licenziarlo per un lavoro non richiesto.
 
Ordinarono da bere mentre gli altri avventori si sistemavano ai loro tavolini. Kurt fece cenno con il capo a un paio di persone e sorrise a un altro paio. Blaine cercava di mantenere un’aria disinvolta e si chiese se ci era riuscito o se era solo terribilmente patetico. Ma lui pareva non accorgersene, anzi parlava con la tranquillità di sempre, mentre Blaine si sentiva messo alla prova. Stava tornando a essere paranoico.
 
Sorseggiò il suo mojito con ritrovata baldanza e si preparò all’ascolto.
 
Kurt gli adagiò con naturalezza una mano sul braccio, mentre le luci si spegnevano nella sala per concentrarsi sul palco e sul gruppo. Una donna dai lunghi capelli rossi e una gonna altrettanto lunga a fiori si impossessò del microfono, presentando la sua band.
 
Blaine era elettrizzato, e lo divenne ancora di più quando Kurt spostò la sedia per affiancarla alla sua. Erano vicinissimi ed era magnifico. Ogni istante di quella sera si stava trasformando in un altro appuntamento ideale. Il terzo. Dopo tante prime inutili e snervanti volte con altrettanto snervanti soggetti, quell’appuntamento era la consacrazione di un sentimento che cresceva.
 
Si sorrisero mentre la melodia iniziò a diffondersi, rallentando il tempo con le sue note soavi e sofferte, retaggio di una cultura passata e lontana, fatta di struggente dignità. Blaine si ritrovò trascinato in un mondo dove quel violino e quella voce armoniosa echeggiavano creando pura magia.
 
Un mondo in cui c’era anche Kurt, che lo teneva per mano.
 
I brani si susseguivano lasciando il pubblico in estasi. Blaine si ritrovò con le lacrime agli occhi, senza neppure rendersene conto. Confuso, se le asciugò, attento a non farsi notare. Ma lui non si perdeva uno sguardo, un battito delle ciglia, né un leggero sorriso. Mentre l’eco dell’ultimo brano si spegneva, Kurt avvicinò le labbra all’orecchio di lui e sussurrò: «Magnifico».
 
«Sì, è davvero magnifico» ammise commosso.
 
Lui sorrise felice. «Non lo spettacolo, tu».
 
Blaine si voltò a fissarlo negli occhi, senza più fiato in corpo. I loro sguardi si fusero. Kurt accorciò la distanza rimasta tra loro, per baciargli le labbra. Un secondo, e si staccò da lui, sorridendogli in un modo che mai più Blaine avrebbe potuto dimenticare. Il suo cuore smarrì per sempre la via. Era naufrago in un mare senza rotte. Non controllava più il timone, erano le onde a trasportarlo, e non gli importava. Si sentiva libero di vivere un’avventura, in qualunque luogo Kurt l’avrebbe condotto. Se avesse continuato a osservarlo con lo sguardo incantato, Kurt avrebbe compreso il suo turbamento.
 
Invece il ragazzo voleva goderselo ancora un po’, tenerlo nascosto nel proprio cuore, segreto.
 
La musica finì.
 
Le luci si riaccesero e il palco rimase vuoto. Il chiacchiericcio di un tipico locale newyorkese si sostituì alla melodia. Kurt e Blaine ripresero a conversare piacevolmente, senza alcun accenno al bacio che si erano scambiati.
 
«Tra circa tre giorni dovrò partire di nuovo».
 
«Ah». Fu l’unica esclamazione che uscì dalle labbra tirate di Blaine. Doveva ricordarsi che la realtà non era quella in cui si trovava ora. Era quella vera, là fuori. E Kurt viaggiava sempre. Non poteva pretendere che stesse a New York.
 
«Sembri deluso».
 
«Dispiaciuto, ma solo un po’».
 
«Sei un pessimo bugiardo. Ti mancherò».
 
«Ma che arrogante» rise lui.
 
«Lo sai che ho ragione, ti mancherò».
 
«Quanto starai via?».
 
A Kurt brillò lo sguardo. «Non molto, quattro giorni».
 
«Lavoro o piacere?»
 
«Spero entrambi».
 
Blaine si rabbuiò per un istante per poi dissimulare la sua amarezza sorseggiando il mojito con falsa noncuranza.
 
Kurt appariva ancora più compiaciuto. Gli uomini e il loro ego…
 
«Vieni con me, Blaine».
 
Per poco non gli andò di traverso il cocktail.
 
«Tutto bene?»
 
«Sì, sì». Blaine diede un colpo di tosse e prese fiato. Aveva udito bene?
 
«Chamonix, la neve, le montagne, un resort da sogno. Vieni con me».
 
«Kurt, davvero non capisco».
 
Gli prese la mano, ormai senza alcun problema. «Mi piaci Blaine, lo sai. E vorrei passare più tempo con te, ma viaggio così tanto e tu ancora non hai trovato lavoro, sei libero di partire se vuoi».
 
«Ma a che titolo verrei, cosa sono, cosa sarei?». Stava farfugliando, tanta era la sorpresa e la confusione. Forse ci voleva un secondo mojito?
 
Kurt sorrise come se fosse stato in grado di leggere lo smarrimento di Blaine sui suoi lineamenti.
 
Era delizioso, così agitato.
 
«Se vorrai essere solo un amico, sarai solo un amico. Non ti voglio forzare a fare o a dire nulla. La rivista per cui lavoro ha riservato alcune camere di questo resort, potrai avere la tua stanza. Passeremmo del tempo insieme mentre non lavoro, potremmo vederci la sera e nelle pause. È poco lo so, ma tu potresti goderti Chamonix. Merita di essere vista, una cittadina incantevole».
 
«Se, e dico se, venissi, pagherei la mia stanza». Ecco un rigurgito di dignità prima di una nuova resa.
 
Sembrava così contento di averlo con sé… O voleva solo portarlo a letto? Che fare? Sì… no… sì… decisamente no.
 
«No, ti ho invitato io. Non pagherà nessuno di noi, dirò che sei con me, che sei un amico, mio marito, mio fratello, mio zio» rise divertito. «Quello che vuoi, ma vieni con me».
 
«Sembri tenerci molto e mi chiedo perché» ammise con sincerità, senza inutili giri di parole.
 
«Temi che sia solo un modo molto subdolo di portarti a letto?». Kurt sollevò il sopracciglio per la prima volta contrariato.
 
«Potresti negare che una proposta così allettante è perlomeno prematura dopo soli tre appuntamenti?»
 
«Non siamo due bambini, siamo adulti. Cosa dobbiamo aspettare?»
 
«Sembra un discorso ragionevole» ammise Blaine, dando voce ai suoi pensieri, per la verità neppure tanto sbagliati.  Che cosa doveva aspettare? Un’illuminazione divina? La fata turchina con la zucca? O un’altra ramanzina di sua madre?
 
«Saprò fare il bravo. Non voglio forzarti e se non ti interesso, se non te la senti, lo accetterò, anche se con dispiacere». Si ritrasse con il corpo, ma non con lo sguardo.
 
Non si era ancora arreso anche se le parole sembravano voler dire questo.
 
Blaine rimase in silenzio a guardarlo, sperando di leggere nei suoi occhi e nel suo cuore. Non voleva essere uno dei tanti. Ci teneva troppo.
 
Gli tornarono in mente le parole di nonna Rose, i rimproveri di Cooper e di Sam, e persino le frasi spudorate di sua madre. Sembravano tutte d’accordo sul fatto che Blaine dovesse imparare a lasciarsi andare, a godersi l’attimo senza torturarsi inutilmente sui pro e i contro. E Kurt lo fissava con quegli occhioni che lo sfidavano ad accettare, che lo incitavano a scivolargli tra le braccia. E si sentì rispondere con una voce sicura e irriconoscibile: «Accetto, ma stanze separate».
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi, scusate se non mi dilungo molto ma non mi sento affatto bene e ho bisogno di stendermi urgentemente, ma vi avevo promesso il capitolo e voi sapete che a meno che non sia morta cerco di essere sempre precisa.
 
Contenti che Blaine vada con Kurt? Pensavate non sarebbe partito??? Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere in una recensione.
 
Un bacio a tutti a giovedì con il prossimo capitolo.

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Capitolo 13
*** 13.I sogni son desideri... ***





Capitolo 13
I sogni son desideri…
 


I giorni successivi passarono fin troppo veloci grazie ai preparativi e ai continui ripensamenti.
 
Blaine si dava dello stupido per aver accettato, si chiedeva cosa potesse pensare Kurt di lui, che acconsentiva a partire dopo solo tre appuntamenti. Ogni volta Cooper e Sam lo facevano ragionare.
 
Gli ricordavano che aveva venticinque anni, che non era più un ragazzino, ma un uomo, che Kurt gli piaceva e piaceva a lui e non doveva regalargli nessun amplesso infuocato se non avesse voluto.
Al massimo sarebbe tornato deluso, avrebbe capito che non faceva per lui e non lo avrebbe più rivisto. Ma se fosse stato fortunato, magari sarebbe tornato contento per aver approfondito la loro conoscenza.
 
Kurt gli aveva ricordato che avrebbero alloggiato in un nuovo resort fuori dalla cittadina, con il centro benessere, la piscina coperta e quella riscaldata all’aperto. Insomma un paradiso per rilassarsi e per sognare a occhi spalancati prima di tornare alla dura quotidianità.
 
Ogni giorno che passava e lo avvicinava alla partenza, faceva accrescere in Blaine la tensione, ma anche l’emozione per un’attesa fatta di immaginazione e curiosità. La domanda che più gli premeva era a che titolo Kurt l’avrebbe presentato agli altri. Voleva saperlo disperatamente, ma temeva che risollevare la questione lo avrebbe fatto apparire un bacchettone, o un ragazzo pieno di dubbi.
 
In effetti lo era, e non lo sopportava.
 
Prima della partenza, Blaine e Kurt uscirono un’altra volta, per andare al cinema a vedere una commedia romantica con Henry Cavill. Cooper si era mangiato le mani, avrebbe pagato oro per andare al posto suo. Nonostante gli piacessero sia l’attore che la trama, Blaine si era spesso distratto a osservare Kurt di nascosto, mentre, nel buio della maxisala, i riflessi delle immagini lo illuminavano, delineandone il profilo, gli occhi scintillanti e il sorriso a tratti dolce, a tratti assorto.
 
Ogni tanto anche lui si girava a ricambiare lo sguardo, e il cuore di Blaine accelerava senza pietà, incapace di ascoltare le ragioni della mente. Avrebbe potuto annegare nei suoi occhi senza alcun desiderio di essere salvato.
 
Si era preso una cotta colossale, una di quelle sbandate da testa-coda alla Generale Lee di Hazzard. E per un istante, su quello schermo, non erano il protagonista e la protagonista del film a baciarsi con trasporto, ma lui e Kurt. Lo sfondo caraibico della storia si era trasfigurato in montagne francesi, vedeva perfino la neve cadere lenta su di loro. Tutto era idilliaco.
 
Ogni tanto Kurt gli si avvicinava accostando le labbra all’orecchio e facendolo sorridere con una battuta, mentre il respiro caldo di lui gli risvegliava ogni terminazione nervosa. Blaine si era trasformato in un moderno “bell’addormentato”. La sua Aurora interiore aveva dormito per troppo tempo, era arrivato il momento di ridestarla.
 
E il momento arrivò.
Il giorno della partenza.
 
Kurt lo passò a prendere con una macchina messa a disposizione dalla rivista che aveva commissionato il servizio fotografico. Ironia della sorte, si trattava proprio di «Inside Look».
 
L’autista, con il berretto in testa e modi molto distaccati e cortesi, gli sistemò la valigia nel portabagagli mentre lui si accomodava dietro accanto a Kurt, che sorrideva notando il suo sguardo stupito.
 
«Kurt Hummel, comincio a sentirmi il protagonista di una commedia romantica!».
 
Lui rise e gli diede un bacio delicato sulle labbra, per poi ritrarsi. «Non ti nascondo che sono molto felice che tu abbia deciso di venire con me».
 
Blaine sollevò il sopracciglio con aria astuta. «Te lo devo proprio chiedere, avrei preferito non farlo, mi sono torturato per non farlo, ma devo».
 
«Fammi indovinare. Come ti presenterò a quelli della troupe e del resort?». Gli diede un buffetto sul naso, anticipandolo.
 
Blaine si accigliò. «Sono così trasparente?»
 
«Forse sto solamente imparando a conoscerti, mio caro Signor Anderson».
 
«Devo ricordarmi di essere più imprevedibile».
 
«Vuoi fare il misterioso con me?»
 
«Naturale, così non potrai sfuggire al mio fascino». Appoggiò la testa allo schienale e lo fissò dritto negli occhi, sfidandolo.
 
«Non ho alcuna intenzione di farlo».
 
«Non hai comunque risposto alla mia domanda» puntualizzò Blaine, sentendosi coraggioso. Ormai cosa aveva da perdere? Aveva deciso di ballare quella danza? Doveva ballare, non aveva scelta.
 
Non voleva scelta.
 
In risposta Kurt gli prese la mano e la portò alla bocca per sfiorarla con le sue labbra. «Avevo pensato di spacciarti per mio cugino, ma ho ragionato». Gli si avvicinò e sussurrò euforico: «Se faccio questo in pubblico per esempio…», gli baciò di nuovo la mano e indugiò un istante di troppo senza smettere di guardarlo, «e continuo a proclamare che sei mio cugino, potremmo dare scandalo. Capisci?». Gli fece l’occhiolino e si allontanò.
 
«Quindi? Immagino che anche baciare la mano di un amico sia compromettente, se è davvero solo un amico, ovvio».
 
«Decisamente». La sua aria si era fatta quella del predatore.
 
«Kurt» lo apostrofò sentendosi in pericolo senza esserlo sul serio, o no? «Cosa hai detto a tutti?»
 
«Che con me sarebbe venuto il mio ragazzo».  
 
Blaine deglutì lentamente senza muovere un muscolo. Kurt rise e l’attirò a sé. Il giovane si ritrovò con la testa nell’incavo del collo di lui e il suo braccio che gli avvolgeva le spalle in una confortevole stretta. Lo tratteneva a sé dandogli una sensazione di benessere e di sicurezza che non sapeva spiegarsi.
 
Era come se ogni cosa fosse al posto giusto. Come se lui fosse esattamente dove doveva essere. Quella nicchia era stata creata su misura per lui.
 
Kurt continuò a parlare notando che Blaine era ammutolito. «Ti avevo promesso camere separate e così saranno, ma non voglio fingere che tra noi non ci sia nulla». Kurt non si nascondeva di certo.
Era uomo molto sicuro di sé, determinato. Forse per questo, fin troppe volte, lo avevano immortalato in piacevole compagnia.
 
Fitta al cuore.
 
Capriola del muscolo che, negli ultimi giorni, troppo spesso ricordava di avere.
 
Tra loro stava succedendo qualcosa, era innegabile, ma qualche bacio casto, quattro appuntamenti (maledizione stava tenendo davvero il conto!) e la tachicardia costante erano sufficienti a farne il suo ragazzo?
 
Il volo sul piccolo charter fu confortevole e non troppo lungo, il che era un bene. Blaine non amava spostarsi con mezzi che non poggiassero sulla terra ferma e solida, e Kurt a stento riusciva a controllare la claustrofobia che lo assaliva.
 
Alcuni ragazzi della troupe erano saliti con loro sull’aereo, strappando un passaggio: la truccatrice,
Polly Petty, una ragazza inglese dell’età di Blaine, con capelli corti e biondi sparati in ogni direzione e due orecchini all’orecchio destro, parlantina più che disinvolta, totalmente a proprio agio; Jim Simmons, il fotografo, quarant’anni, carnagione scura e abbronzata, un look elegante e due occhi attenti a cui non sfuggiva nulla; Kim Castairs, addetto alle luci, carnagione così bianca da sembrare un vampiro alla luce del sole; Selene, la costumista, una giovane di colore con i capelli ricci e il sorriso più simpatico che Blaine avesse visto. E infine Adam Crawford, il consulente della rivista «Inside Look», proprio quella rivista, pensò Blaine.
 
Ecco, Adam non gli piaceva. Uomo in carriera dall’aspetto impeccabile, lo sguardo da ghiacciolo e due labbra carnose pronte a lasciare le impronte ovunque, anche dove non doveva. Fissava Kurt come se fosse un piatto prelibato da assaggiare. Anzi, il caro Adam lo guardava come se volesse un altro pezzettino di lui.
 
Che avesse già gustato la portata?
 
Blaine fu più che lieto di aver accettato di partecipare alla festicciola privata, felice di poter conversare in tutta scioltezza con gli altri.
 
E intanto pensava: “lui è mio, giù le grinfie, squalo”.
 
Era dunque arrivato a definirlo suo? Accidenti sì, se Kurt lo poteva presentare come il suo ragazzo, non era stupido a far finta che lui non fosse il suo ragazzo?
 
Ma Blaine non poteva negare che, se Adam aveva già giocato a Masterchef con Kurt, poteva essere un bene conoscere gli ingredienti della ricetta che aveva usato. Perché accidenti stava usando metafore culinarie? Sbuffò mentalmente dandosi del cretino.
 
Tranne Adam, che probabilmente faceva solo finta di scrivere al suo portatile per darsi un tono da saputello e guastafeste, tutti chiacchieravano e scherzavano. Kurt doveva conoscere molto bene i ragazzi presenti, si erano già incontrati in precedenza e avevano già lavorato insieme.
 
L’atmosfera era goliardica, serena, piacevole e Jim lo invitò anche ad assistere al servizio fotografico la mattina seguente. A Blaine non sfuggì l’occhiataccia che Adam gli lanciò. Sostenne lo sguardo senza battere ciglio.
 
Kurt Hummel era il suo appuntamento perfetto. Adam solo un brufolo da schiacciare.
 
Quel pensiero lo fece sorridere.
 
Tutto avvenne molto velocemente.
 
Atterraggio, trasferimento con un pulmino al resort, ingresso nella hall della reggia ultralusso che lo fece sentire privilegiato. Non si sarebbe mai e poi mai potuto permettere, con le proprie forze, un weekend in un posto simile, quindi ringraziò il destino che gli aveva offerto una tale opportunità.
 
Un sorriso ebete gli si stampò sulla faccia quando entrò nella camera che gli avevano assegnato.
 
L’ambiente era spazioso e luminoso, con faretti a vista e lampade dai colori caldi che sembravano volerlo accogliere dicendogli “Sei nel posto giusto, ragazzo”. La stanza era incredibilmente grande, più grande dell’appartamento che condivideva con Cooper. Si mise a scattare con lo smartphone un po’ di foto per testimoniare l’eccezionalità dell’evento e le inviò subito al fratello.
 
La sua risposta non tardò ad arrivare, come se Cooper stesse aspettando news con il cellulare in mano.
 
“O cazzooooo”
 
Aveva reso l’idea. Non c’era molto altro da aggiungere.
 
La sua camera in realtà era una suite. C’erano un salottino arredato con gusto, un televisore al led da tanti di quei pollici che Blaine si sentì un puffo al suo cospetto, e una camera, con un letto matrimoniale gigantesco. Avrebbe potuto rotolarcisi tutta la notte senza cadere. E l’armadio immenso in cui non avrebbe proprio saputo che metterci. I suoi occhi si posarono sul suo trolley e sorrise divertito per la comicità della situazione. Un armadio come quello gli avrebbe fatto molto comodo a casa.
 
Il bagno? Avrebbe potuto passarci tutta la giornata lì dentro!
 
Marmi, rubinetti dorati, vasca con idromassaggio e doccia a parte così grande da poter accogliere una squadra di calcio.
 
Un pensiero peccaminoso lo fece arrossire.
 
Kurt, nudo come in quel servizio fotografico che lo aveva mandato in tilt, che si insaponava nella sua doccia con movimenti lenti, lambendo ogni centimetro della sua pelle di velluto.
 
Deglutì e preferì tornare in camera per sbollire gli ardenti spiriti. Si sedette sul bordo del letto, continuando a guardarsi intorno.
 
Stava vivendo una favola.
 
C’erano il castello, il principe azzurro e perfino Adam la strega, ogni cosa era al suo posto.
 
Lui era il protagonista che stava per vincere il suo premio ambito. Chissà, magari alla fine del weekend avrebbe cantato I sogni son desideri.
 
Si buttò indietro allargando le braccia, ripensando che tutto era cominciato quando una sveglia aveva deciso di non suonare e un autobus aveva deciso di anticipare la sua corsa.
 
Il destino si era impegnato per regalargli un weekend con l’uomo dei suoi sogni.
 
Dove si nascondeva la fregatura?
 
Perché aveva l’assoluta certezza che da quella strepitosa combinazione sarebbe nato solo un disastro?
 
Scostando le pesanti tende vide le montagne spruzzate di neve, illuminate dal sole che le dipingeva di rosa. Non poteva negare di essere felice. Per una volta aveva assecondato una follia del cuore.
 
Ora spetta a te, Kurt Hummel, fare il tuo dovere e dimostrarmi che le apparenze ingannano, che ci può essere molto al di là di un gossip. Ci può essere un uomo che suona divinamente il pianoforte, che adora la sua cagnolina, che cucina come un re dei fornelli, che ama la musica celtica e che sa prendermi per mano e non farmi sentire solo.
 
Kurt, vuoi essere il principe azzurro della mia favola?



 
NOTE DELL’AUTRICE:
Le cose si fanno sempre più interessanti, no? Kurt ormai considera Blaine a tutti gli effetti il suo ragazzo, ma per Blaine?
E questo Adam cosa vuole? Sarà un pericolo per il nostro Blaine?

Fatemi sapere cosa ve ne pare del capitolo e se avete qualche idea di come andranno le cose.

A Martedì con la risposta a queste domande!

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Capitolo 14
*** 14. Giocando con il fuoco ***




Capitolo 14
Giocando con il fuoco
 
La prima sera passò in allegria, si sentiva circondato da risate e da una cordialità che lo sorpresero.
 
Polly e gli altri lo accolsero come se fosse uno di loro da sempre e a Blaine piacque. La sua vena brillante non tardò a mostrarsi, rendendolo agli occhi dei suoi nuovi amici una compagnia gradevole e alla mano. Così non era stato costretto a porsi troppe domande su quello che sarebbe accaduto tra lui e Kurt una volta rimasti soli. Né tantomeno su quello che potevano pensare di lui i ragazzi della combriccola.
 
L’avevano accettato e questo rendeva tutto più semplice.
 
Cenarono insieme al ristorante del resort, poi decisero di continuare la serata andando a un pub nel centro della cittadina, dove servivano un favoloso vin brûlé.
 
Le chiacchiere fluivano leggere, ma ciò che davvero rendeva unica la serata erano gli occhi di Kurt che non si staccavano mai da lui, che gli sorridevano felici, che lo puntavano attenti, che sembravano dargli coraggio, ma anche tenerezza. Blaine si accorse che un intero universo agitava quello sguardo, e lo esaltò immaginare che al centro di tutto ci fosse lui. Voleva crederlo. Se non fosse stato per la presenza degli altri, avrebbe potuto cedere senza freni.
 
Uno sguardo di seta blu ed era smarrito.
 
Rise cercando di mantenere la sua esuberanza. Era felice. Lo era sul serio. E il fatto che Adam avesse preferito restare nella sua tana gli aveva semplificato la vita. Si sarebbe preoccupato di lui il giorno seguente.
 
Adesso voleva solo lasciarsi andare al benessere che la serata di gruppo gli stava regalando.
 
Ma il vin brulé finì come quell’incontro. Canticchiando tutti insieme, ritornarono in auto, mentre Kurt gli teneva la mano e gli rimaneva accanto come un premuroso angelo custode.
 
Blaine trovava tenero quel suo cercare un contatto, sentiva di appartenergli. Kurt non si vergognava di farlo davanti ad amici e colleghi. La sua era un’ammissione di affetto. Lo coccolava senza il timore di apparire inopportuno.
 
Si salutarono tutti, augurandosi la buonanotte e dividendosi per andare nelle rispettive camere.
 
Kurt e Blaine si ritrovarono finalmente soli, con i badge delle stanze in mano. E dentro all’ascensore.
 
«Pensavo saresti andato a piedi» commentò Blaine con il sorriso di chi la sapeva lunga.
 
Kurt gli si avvicinò ancora di più e gli passò il braccio intorno alla vita. «Non ho paura di rimanere chiuso con te in un ascensore, sono certo che mi faresti passare qualsiasi attacco di panico».
 
Sollevò il sopracciglio con aria astuta e si chinò a baciargli le labbra infreddolite.
 
Un calore improvviso si irradiò dentro di lui, come se fosse stato davanti a un sole personale. Le porte si aprirono troppo presto e Kurt si ritrasse.
 
«Sei arrivato al tuo piano».
 
Lui, imbambolato, fece di sì con la testa. Kurt lo lasciò andare.
 
Ma prima ancora di salutarlo, se lo ritrovò fuori dall’ascensore, accanto a lui. Kurt rise notando la sua espressione. «Senza di te non ci resto dentro quella scatoletta».
 
Blaine rise con lui e lo prese sottobraccio. «Allora dovrai accompagnarmi».
 
«Pensavi di liberarti già di me?».
 
Blaine gli lanciò un’occhiata curiosa. «Cosa avevi in mente?».
 
Kurt sorrise enigmatico. «Il bicchiere della staffa. Oggi ti ho dovuto dividere con troppe persone, è strano che voglia passare qualche minuto da solo con te?».
 
Si fermarono davanti alla camera numero 77. Blaine lo guardò dritto in volto. «Speravo lo desiderassi, quanto lo desidero io».
 
Kurt appoggiò un dito sul mento di Blaine per sollevargli il volto. «Apri la porta» disse con una voce profonda e carica di promesse. Il che rese le gambe di Blaine gelatina, come al solito.
 
Passò il badge e la porta si aprì, mentre il cuore faceva una danza propiziatoria nel suo petto martoriato.
 
Accese le luci e si tolse il giubbotto e il buffo berretto di lana che l’aveva scaldato quando la temperatura era scesa durante la notte. Anche Kurt si era liberato del suo giaccone imbottito e ora indossava pantaloni neri e un maglione a girocollo di lana bianco.
 
Bellissimo, da mangiarselo con gli occhi.
 
«Guarda, è più grande del mio appartamento!» esclamò Blaine aprendo le braccia. «Posso offrirti qualcosa?», gli chiese mentre prendeva per sé un’acqua tonica.
 
Kurt parve pensarci e disse: «Una tonica anche per me». Ma era evidente che aveva la mente altrove.
 
Blaine prese due bicchieri e si sedette, lanciandogli un’occhiata eloquente, che era un caldo invito a raggiungerlo.
 
Kurt non se lo fece ripetere due volte e lo assecondò. Gli si accomodò accanto e le loro gambe si sfiorarono.
 
L’alchimia era incredibile, l’attesa palpabile.
 
Il ragazzo sollevò il suo bicchiere. «Vogliamo brindare a qualcosa?»
 
«A noi due, insieme, qui a Chamonix».
 
«A noi due, insieme, qui a Chamonix». I bicchieri tintinnarono e i loro occhi si legarono e non si lasciarono andare più.
 
Kurt, senza aggiungere altro, prese i bicchieri e li appoggiò sul tavolo. «Blaine, sto per baciarti».
 
«Temi che potrei fermarti?»
 
«Non te lo permetterei, aspetto da troppo tempo».
 
«Mi hai baciato in ascensore, poco fa».
 
«E quello lo chiami bacio?»
 
«E quale sarebbe un vero bacio?».
 
«Questo». Lo attirò a sé e le sue labbra lo cercarono, fino a suggellare quell’incontro. Pelle contro pelle, respiro contro respiro. Si fusero in un’unione che sapeva di passione trattenuta e desiderio di conoscere ed esplorare. La lingua di Kurt si fece più ardita e iniziò ad assaporare Blaine, che rispose con la stessa giocosa intraprendenza.
 
Le loro mani si cercarono, mentre i corpi cominciavano ad avvicinarsi pericolosamente, a creare un unico groviglio, un incastro ideale. I respiri si fecero affanni, i sussurri mugolii. Per Blaine sarebbe stato facile lasciarsi andare, non c’era niente che volesse di più in quel momento della bocca di Kurt sulla sua, su di sé, su ogni centimetro del suo corpo. Stava bruciando. Voleva liberarsi della barriera di tessuti e paure e farsi abbracciare da quell’uomo splendido che poteva essere suo forse solo per una notte, forse per una settimana, forse per un battito di ciglia, ma dannazione non gli importava. Quel bacio stava annullando la sua volontà, era perso in lui e nella lingua che si muoveva sicura ed esperta, abbattendo l’ultima difesa.
 
E Kurt era un maestro di strategia e azione; stava sciogliendo ogni nodo, lo stava trasformando in un uomo istintivo e vitale.
 
Scivolarono sul divano che sembrava fatto apposta per i due corpi avvinti.
 
«Ti desidero con tutto me stesso» gli sussurrò con voce roca e piena di passione.
 
Sembrava poesia, sembrava magnifico… sembrava un terribile campanello d’allarme.
 
Da qualche parte nel cervello di Blaine rintoccò la famosa Liberty Bell che suonava ogni volta si trovava in pericolo.
 
Pericolo, pericolo, Houston, abbiamo un problema.
 
Blaine spalancò gli occhi, mentre Kurt era su di lui e lo baciava con una tale appassionata foga che avrebbe davvero potuto rianimarlo se fosse stato sul punto di morire.
 
Quel bacio era unico, uno scambio reciproco di piacere che stava per trasformarsi in un incontro di corpi nudi.
 
Niente di più allettante, ma lui era lui, non poteva cambiare, non poteva cedere solo perché sua madre gli suggeriva di portarsi a letto un gran bel ragazzo e togliere un po’ di ragnatele.
 
Non poteva accettare di fare sesso con Kurt senza che in ballo entrassero i sentimenti, per lui era importante. Non pretendeva l’amore, quello non poteva certo esserci dopo pochi incontri, ma non era fatto per gli amori mordi e fuggi.
 
E chi gli avrebbe mai garantito che Kurt il mattino dopo lo avrebbe coccolato, lo avrebbe voluto ancora accanto a sé?
 
E se lui fosse stato il Sebastian o l’Adam della situazione?
 
Adam… Cos’era ciò che lo infastidiva adesso?
 
Gelosia.
 
Blaine si puntellò sul petto di Kurt, allontanandolo di qualche centimetro. Lui parve sorpreso e lo fissò interdetto. Sembrava domandarsi cosa avesse sbagliato. Di nuovo.
 
«Sei andato a letto con Adam?».
 
Non aveva potuto dirlo davvero ad alta voce!
 
Invece doveva essere proprio così perché lo sguardo di Kurt si congelò in un’espressione stupita. Si staccò da lui definitivamente e si risedette, passandosi nervosamente una mano tra i capelli, dove solo pochi secondi prima Blaine aveva affondato con gioia le proprie dita.
 
«Non posso crederci».
 
Blaine non si aspettava una frase simile, avrebbe preferito un no deciso, giusto per chiudere quell’idiota parentesi della serata e magari tornare a baciarsi.
 
«Ci stiamo baciando e tu mi chiedi di Adam?»
 
«Sì, ti chiedo di Adam» ammise, trovando nuova energia proprio nella ritrosia di Kurt a rispondere.
 
«Abbiamo avuto una storia un anno fa, sì, niente di serio». Sembrava a disagio.
 
Blaine si raddrizzò prendendo tempo.
 
Ecco, lo sapeva. E adesso? Quella notizia poteva cambiare le cose?
 
«Ti dà fastidio?»
 
«Se ti dicessi di no, mi crederesti?»
 
«No…».
 
«Mi hai invitato a venire nonostante ci fosse lui».
 
«Blaine, volevo che tu venissi con me. Non mi importa di Adam».
 
«Certo, ovvio». Blaine si alzò dal divano.
 
Ma che gli prendeva? Aveva sul serio intenzione di fare una scenata di gelosia?
 
E con quale diritto? O magari qualche diritto ce l’aveva?
 
Di Adam non gli importava nulla, ma tra un anno sarebbe stato così anche con Blaine Anderson?
 
«Cosa c’è che non va? Pensavo che anche tu lo volessi, che volessi che noi…».
 
«Kurt, tu mi confondi. E molto».
 
«Spiegati». Si alzò dal divano con un gesto frustrato.
 
«Mi hai invitato a venire qui nonostante il tuo ex. Mi presenti come il tuo ragazzo. Mi baci in quel modo e io non capisco più niente. Vado in black-out totale».
 
«Qual è il problema, Blaine, non ti piaccio abbastanza?». Sembrava allibito, non doveva essere abituato a essere respinto.
 
Questo lo innervosì ancora di più. Forse aveva fatto un terribile errore ad andare in montagna, a prestarsi a un simile gioco, facilitandogli le cose.
 
«Il problema è che tu mi piaci e parecchio. Ma come ti ho già detto una volta, non sono tipo da avventure, e forse venendo qui ti ho dato l’impressione sbagliata».
 
«Qual è il punto? Davvero non ti seguo più. È Adam o sei tu?»
 
«Magari sei tu e il fatto che non capisco cosa vuoi da me».
 
Kurt gli si avvicinò. «Lo sai già: voglio conoscerti, voglio passare del tempo con te».
 
«E io voglio capire che cosa accade tra noi. Mi tieni per mano, mi fai sentire importante. Mi baci come se non ci fosse un domani. Ho bisogno di sapere se ci sarà un domani. Che non sono l’Adam di turno. Non ti chiedo un impegno per la vita, non temere, ma non voglio essere un tappabuchi tra uno Stefan e uno Steve». Ecco, gli aveva fatto un bel discorso.
 
Ma appena ebbe terminato si sentì uno stupido, un ragazzino in cerca di rassicurazioni.
 
Accidenti, perché lo rendeva tanto insicuro?
 
Kurt rimase in silenzio, sembrava voler soppesare le parole da pronunciare, il che parve di pessimo auspicio a Blaine. Eppure aveva fatto tutto da solo, poteva dare la colpa solo a se stesso.
 
Rinunciava a una scopata mondiale per un puntiglio.
 
No, non era vero, rinunciava per rispettare se stesso prima di tutto e tutti.
 
«Forse ho sbagliato a venire qui a Chamonix, forse dovrei andarmene, ora mi sento terribilmente fuori posto».
 
Kurt gli si fece ancora più vicino. «Ti ho spaventato, lo capisco. Ma tu mi piaci davvero».
 
«Anche tu mi piaci e così tanto che sono stato vicino a comportarmi come non è mia abitudine. Ma io non cerco un’avventura, voglio una storia seria. Ho avuto tanti primi appuntamenti nell’ultimo anno. Lo ammetto, sono diventato insopportabile ma dopo un’esperienza non proprio felice, mi sono detto che ho diritto a un po’ di felicità anch’io. Per tre anni sono stato con Jeremiah, sembrava il ragazzo giusto, sembrava mi amasse, sembrava che il mio futuro fosse accanto a lui. Ma una doccia fredda mi ha fatto aprire gli occhi, e ora sono spalancati».
 
Kurt scosse la testa, non aspettandosi una confessione. Ora voleva sapere a tutti i costi. Sembrava quasi arrabbiato. «Che è successo?»
 
«Mi ha tradito con un mio amico, io avevo creduto in lui e Jeremiah si portava a letto Nick. Non credere, questo episodio mi ha piegato, ma non spezzato. Non volevo dargli soddisfazione, non ho certo chiuso la porta agli altri uomini, ma sono diventato esigente, questo sì. Voglio trovare il ragazzo giusto per me, quello che voglia stare con me nonostante il mio carattere impossibile. Voglio che sia sincero fino in fondo. Voglio questo e non un weekend di fuoco con l’uomo più intrigante e sexy del pianeta. Non mi basta».
 
«Ma non voglio solo un week end con te, anch’io desidero di più, Blaine. Voglio provare a far funzionare quello che c’è tra noi. Siamo all’inizio, ma non desidero solo portarti a letto, anche se lo ammetto, mi piace il sesso. Sarei un pazzo e un bugiardo a mentirti, ma non cerco solo questo da te».
 
Era sincero?
 
«Leggo il dubbio sul tuo volto, non ti fidi di me». Sembrava deluso.
 
«Adam è qui…». Adam stava diventando il salvagente di Blaine, lo aiutava a non affondare, a tenere il punto.
 
«Adam non conta niente come io non conto niente per lui, e non ho mai pensato di costruire nulla con quell’uomo. È stata un’avventura per entrambi. Nessuno è rimasto scottato».
 
«Non ho alcun diritto di farti domande, me ne rendo conto».
 
«E qui ti sbagli, se io ti presento come il mio ragazzo, è perché per me lo sei. Io voglio che tu sia il mio ragazzo e spero che tu voglia considerarmi tuo. A volte vorrei che tu dimenticassi che io sono un personaggio da rivista, che sono famoso. Ho paura che questo complichi tutto tra noi. È come se ti fidassi meno di me e mi dispiace».
 
«Kurt…». Non riuscì a dire altro, era troppo sorpreso dalle sue parole.
 
«Non correrò, ti dimostrerò che posso aspettarti» gli sorrise con tenerezza. Allungò il viso e gli premette le labbra sul collo. «Non sei una sfida da vincere, ma un premio da meritare».
 
Blaine schiuse le labbra con espressione stupita e lui ne approfittò, baciandolo e stringendolo a sé.
C’era ardore, ma anche attenzione in quel bacio rubato.
 
Il ragazzo si arrese, con una nuova consapevolezza nel cuore. Era sincero, ne era certo, lo era fino in fondo. E ricambiò il bacio con struggente e meravigliata disperazione, finché Kurt si staccò da lui, prese il giubbotto abbandonato su una poltrona e si avviò verso la porta.
 
«Te ne vai?» fece Blaine imbambolato e deluso.
 
«Per questa notte sì. Voglio che tu capisca che non ho fretta, che ci sarò ancora domani».
 
«Io voglio che tu ci sia domani. Lo desidero tantissimo».
 
Kurt gli sorrise con affetto. «E allora mi troverai ancora qui ad aspettarti. Buonanotte, Blaine».
 
Lo fissò per un istante e uscì dalla stanza lasciandolo solo.


 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Lo so, lo so… Siete incazzati con Blaine, ma cercate di capirlo poverino, si sente insicuro e dove va va trova ex di Kurt…

Allora come vi è sembrato questo nuovo capitolo??? Fatemelo sapere con una recensione e ci aggiorniamo giovedì!!!

A presto ragazzi!!!

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Capitolo 15
*** 15. Teli e crema da bagno ***




Capitolo 15
Crema e teli da bagno
 
Alla luce del giorno, le sue decisioni, le sue reazioni e i suoi pensieri sembravano sciocchi e puerili. Si era comportato come un ragazzino ma, si sa, durante la notte le paure diventano demoni da combattere e da cui difendersi. Alla luce di un nuovo giorno tutto si disintegra nella consapevolezza di essersi fatti influenzare dai timori di una mente spaventata.
 
A quell’ora poteva essere abbracciato al corpo di Kurt, farsi coccolare dal suo calore, dalle sue premure, dalla sua dolcezza. Invece si ritrovava in un letto gigantesco, avvolto in una trapunta calda, senza il sorriso di Kurt ad allietargli il risveglio, e con la tremenda sensazione di avere un dopo sbornia terribile senza avere avuto alcuna sbornia da smaltire.
 
Come si sarebbe presentato da Kurt dopo averlo respinto?
 
Si mise seduto e si stropicciò gli occhi, mentre il sole illuminava la stanza filtrando tra le tende, quasi a lavare via tutte le sue sciocche considerazioni.
 
Doveva dare una chance a Kurt, doveva permettergli di essere se stesso con lui. E doveva smetterla di ragionare tanto su quella storia, i sentimenti non si comandano con la testa, e il cuore non ha bisogno di tanti ostacoli da superare.
 
Blaine era adulto e si doveva comportare come tale. Prese un lungo respiro e si diresse verso il bagno sperando che una doccia lavasse dal suo cervello gli ultimi residui di incertezze e dubbi. Quella mattina avrebbe parlato con Kurt e magari avrebbero organizzato per la serata un’uscita romantica, loro due soli. Il resto sarebbe arrivato da sé.
 
Con rinnovata fiducia, Blaine indossò i suoi pantaloni verde militare, un maglione color antracite e aprì la porta.
 
Trovò a terra un biglietto. Lo raccolse incuriosito.
 
Era di Kurt.
 
“Non ho voluto svegliarti, noi abbiamo già fatto colazione. Se vuoi raggiungerci, siamo al centro benessere per il servizio fotografico. Mi farebbe piacere se tu venissi ad assistere a come lavoro. Ti aspetto. Kurt”
 
Si portò in modo molto romantico il biglietto al petto e sospirò. Chiuse la porta di corsa e, senza neppure fare colazione, si diresse nella hall chiedendo indicazioni per il centro benessere quando il portiere gli fece presente che quel giorno era impossibile accedere fino alle due del pomeriggio. Con un certo orgoglio Blaine rivelò che faceva parte del gruppo ed era il ragazzo del modello del servizio fotografico.
 
In un attimo attraversò un lungo corridoio sotterraneo ben illuminato che portava a un padiglione distaccato. Lo stomaco gli brontolava, ma cercò di frenarlo perché la voglia di vedere Kurt era diventata impazienza, l’impazienza frenesia. Era curioso di guardarlo muoversi nel suo ambiente, di osservarlo lavorare.
 
Era a dir poco elettrizzato.
 
Intimorito, oltrepassò delle porte a vetri spiegando di nuovo all’impiegata all’ingresso perché fosse lì. Con un immenso sorriso, che lasciava trasparire un sottinteso del tipo “beato te”, lo lasciò passare.
 
L’ambiente era raffinato, il design era moderno ed elegante. Patchouli e note speziate si diffondevano nell’aria, profumi piacevoli e dolciastri, che richiamavano altri luoghi più esotici e lontani. Un moderato tepore lo spinse a togliersi il maglione, rimanendo con la maglietta bianca che gli fasciava il busto sottolineandogli le curve ben proporzionate.
 
Le voci di Kurt e degli altri gli arrivavano ben chiare, così le seguì, come Pollicino con le molliche di pane. Giunse alla piscina coperta, grande e dal colore così invitante che si sarebbe tuffato persino vestito.
 
Kurt era in acqua e nuotava sicuro.
 
Blaine si ritrovò a fissarlo in religioso silenzio. L’acqua gli scivolava addosso, lo accarezzava, rendendo la sua pelle luminosa.
 
Polly lo chiamò dopo averlo visto. «Blaineeee».
 
Il ragazzo le sorrise e si mosse.
 
Kurt si fermò e si avvicinò alle scalette, per uscire dall’acqua.
 
Era una visione, una tale visione che a Blaine mancò l’aria. Se fossero stati soli, sarebbe corso ad abbracciarlo, a baciarlo, a leccare le gocce d’acqua dal suo corpo scolpito. Aveva muscoli così definiti che non credeva neppure esistessero in natura, un paradiso in cui perdersi. I fasci muscolari, che partivano dai fianchi per nascondersi nel costume nero, che spiccava sulla sua pelle diafana, erano un’arma impropria che rischiava di fargli perdere il controllo davanti a un pubblico improvvisato. Sarebbe stato bello appoggiarvi le proprie dita e…
 
Cavolo, stava arrossendo davvero?
 
Kurt gli andò incontro e, incurante degli sguardi della troupe, lo baciò con passione. «Scusami se ti ho bagnato». Si passò una mano tra i capelli.
 
«Non fa niente». Blaine abbassò la voce in modo complice. «Se fossimo soli…».
 
Kurt strizzò gli occhi mentre un guizzo malizioso li attraversava. «Dannato lavoro. Resti qui?»
 
«Certo, mi siederò laggiù».
 
Kurt lo baciò ancora, si voltò, e rivolto a Polly fece l’occhiolino, infine si tuffò in una miriade di schizzi.
 
«Ma guardalo, vuole fare colpo su di te» rise Polly avvicinandosi a Blaine, che era al settimo cielo.
 
Dopo aver scambiato qualche parola con la truccatrice, si sedette in disparte a osservare.
 
Non aveva mai assistito allo svolgersi di un servizio fotografico e lo trovò divertente.
 
Scatti, luci, ritocchi del trucco, il costume che veniva sistemato per bene. Un costume che nascondeva ben poco.
 
Si inumidì le labbra, come se gli fosse venuta fame. Accidenti, aveva fame sul serio, ma non di cibo, bensì di Kurt.
 
Vederlo con indosso solo un pezzettino di tessuto così ridotto, mentre gli scattavano foto dentro l’acqua, sui lettini, sulla scaletta o appoggiato alle vetrate che mostravano le montagne sullo sfondo, sapeva di epico.
 
Un sogno.
 
I minuti passavano, ma Blaine rimaneva in contemplazione estatica, a stampare nella mente ogni singola immagine. Era decisamente un’emozione diversa vederle lì, animate e non immobili su un giornale.
 
Quell’uomo poteva essere suo, solamente suo.
 
Era pazzesco.
 
Ogni tanto Kurt gli lanciava uno sguardo, un sorriso, per non fargli mancare la sua presenza. Si sentiva importante, lui lo faceva sentire importante.
 
Adam arrivò circa un’ora dopo a supervisionare il servizio. Gironzolava intorno a Kurt che lo trattava con cordiale freddezza. Ma l’uomo sembrava non voler proprio accettare il distacco tra loro, continuava a scherzare con lui, provò persino ad accarezzargli il braccio.
 
Blaine si ritrovò a sgranare gli occhi a distanza.
 
No, non voleva trasformarsi in un geloso psicopatico tipo Attrazione fatale, anche se era pronto a balzare in avanti e a diventare una furia; già si vedeva afferrarlo per i capelli e…
 
Ma accidenti, perché non tirava giù la sua manaccia da lui?
 
Ah, ecco, meno male, Kurt era sgusciato via dalla piovra assassina.
 
Il colorito paonazzo di Blaine tornò normale. Strinse gli occhi, come per mettere meglio a fuoco.
 
Era infastidito?
 
Non riuscì a comprenderlo, perché sparì dalla sua vista. Si stavano spostando in un’altra stanza piena di lettini, quelli riscaldati per rilassare la schiena e i muscoli. Gliene sarebbe servito uno in quel momento. Era un fascio unico di tensione e frustrazione.
 
Ed eccolo di nuovo lì, solo che al posto del costume da bagno c’era un piccolo telo di spugna legato intorno alla sua vita, che delineava le anche e i lombi, da cui cominciava a intravedersi una leggera peluria.
 
Era sconvolgente, sexy, e praticamente quasi nudo.
 
Perché stupirsi quando lo aveva visto davvero nudo su una rivista?
 
Ma ora, lì in quel preciso istante, in mezzo a tutti gli altri e ad Adam che continuava a mangiarselo con gli occhi, e a Polly che gli spalmava qualcosa sui pettorali per renderli lucidi, Blaine si ritrovò in preda a una duplice devastante emozione.
 
Da una parte stava andando in autocombustione, eccitandosi. Dovette indietreggiare per appoggiarsi al muro, quasi a sorreggersi.
 
Dall’altra parte era indignato.
 
Polly lo toccava, Adam se lo gustava, e lui girava come se niente fosse, mostrando il suo corpo. Era sereno, per niente a disagio mentre lui era avvampato.
 
Un uomo così poteva essere davvero suo?
 
O sarebbe stato costretto sempre a dividerlo non solo con l’intera popolazione mondiale femminile, ma anche quella maschile?
 
Quelle foto presto sarebbero state di dominio pubblico, e migliaia di donne e uomini avrebbero sospirato immaginando di togliergli il piccolo telo.
 
Stava diventando ridicolo, ma non poteva farci niente.
 
Kurt intercettò il suo sguardo e lo fissò incerto.
 
Poteva leggervi il desiderio? Poteva farlo?
 
Era sicuro di sì, si sentiva un libro aperto, esposto come non mai.
 
Ma poteva anche scorgere la frustrazione?
 
Era geloso.
 
Geloso di quella nudità che avrebbe voluto solo per sé e che lui mostrava con grande tranquillità.
 
Era un aspetto della questione che non aveva valutato e che temeva sarebbe diventato un altro deterrente al suo lasciarsi andare. Poteva sentire sua madre, Cooper e Sam ridere per quegli scrupoli. Perfino nonna Rose era un tipo più moderno di lui. Forse solo zia Nora l’avrebbe confortato.
 
Eppure Kurt sembrava così orgoglioso di averlo lì.
 
E l’obiettivo era generoso con lui, lo baciava come un’innamorata temeraria, lo accarezzava come una compagna protettiva. Lui chiudeva gli occhi e mostrava aspetti di sé che Blaine non conosceva, la sua sensualità primitiva, la sua innata capacità di ipnotizzare mostrando il suo corpo.
 
Era troppo per lui.
 
Non riusciva a staccare gli occhi da lui, era impossibile.
 
Eppure il suo istinto gli diceva di uscire di lì, di prendere un po’ d’aria e di respirare a pieni polmoni l’inaspettato gelo di quel fine settembre. Doveva schiarirsi la mente prima di vedere più di quanto avrebbe potuto sopportare.
 
Lentamente, senza essere notato, Blaine uscì dalla stanza e si eclissò.
 
Spedito, percorse il lungo sottopasso fino a ritrovarsi a correre nella propria stanza. Prese il suo giubbotto, il berretto e uscì all’aria aperta.
 
Il sole era alto nel cielo limpido e per un istante si ritrovò con il cuore in gola.
 
Prese il mezzo messo a disposizione dal resort per arrivare alla cittadina, e solo allora si accorse di non aver ancora mangiato, così si fermò in un bistrot e ordinò una bella e ricca colazione.
 
Ma distrarsi era complicato.
 
Kurt era ovunque nei suoi pensieri, persino sotto le palpebre se chiudeva gli occhi.
 
Si stava innamorando, lo sapeva, era ormai scritto nel suo cuore.
 
Ed era terribile e magnifico insieme, emozionante e terrorizzante.
 
Si vedeva così piccolo e fragile in una storia ancora sospesa, piena di ombre, una promessa di felicità non ancora compiuta. Odiava riconoscersi debole, voleva godersi la vita e affrontare il domani con ottimismo e una punta di follia. Avere quel carattere quadrato era una croce quando entravano in gioco i sentimenti. Non gli aveva mai portato bene e ora sentiva che gli poteva costare caro, troppo caro.
 
Lo squillo del cellulare interruppe i suoi pensieri.
 
Per un istante sperò fosse Kurt che magari lo cercava, che si domandava dove fosse finito. Ma era solo Cooper.
 
«Come va la tua avventura montanaro?»
 
«Non ne ho idea, dimmelo tu».
 
Gli raccontò tutto ciò che era successo, immaginandosi una bella strigliata e magari uno scappellotto virtuale. In risposta ebbe solo un sospiro.
 
«Certo che tu le cose facili mai, eh?»
 
«No, fratello, mai».
 
«Cosa farai ora?»
 
«Non lo so, vorrei andare da lui e baciarlo e…».
 
«E allora fallo».
 
«Credo di essermi innamorato di lui. Sono nei guai».
 
«Blaine, parli sul serio?»
 
«Non potrei scherzare su una cosa del genere, e non con te».
 
«Ehm, prima di continuare con questa confessione, devo dirti una cosa, per questo ti ho chiamato».
 
«È successo qualcosa a casa?» Domandò Blaine preoccupato.
 
«No, no, non temere. Non riguarda la famiglia, ma te».
 
«Me?».
 
«Ora ti mando una foto, ma sei su “Gossip News”, hanno pubblicato proprio in copertina una foto di te e Kurt che vi baciate al Desdemona. Sei ufficialmente la nuova fiamma del modello più pagato al mondo».
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi, mi scuso per il mancato aggiornamento di ieri ma avevo il pc fuori uso.
 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemi sapere, come sempre cosa ne pensate.
 
A martedì! 

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Capitolo 16
*** 16. Cena per due ***




Capitolo 16.
Cena per due


 
Quando ritornò al resort non si aspettava che Kurt l’attendesse nella hall. Era seduto su una poltrona con lo sguardo perso chissà dove. Sollevò gli occhi da terra e lo vide. Sorrise esitante e si alzò per andargli incontro.
 
Anche Blaine gli sorrise, ma senza convinzione, era più un prendere tempo, il suo. Si tolse il giubbotto e il cappello con lentezza.
 
«Sei andato via senza dire nulla».
                                                                                                                  
«Non volevo disturbarvi, stavate lavorando».
 
«Certo, sì». Kurt sembrava incerto, come se non sapesse esattamente cosa potere o dovere dire.
 
Lo prese per mano e lo condusse ai divanetti. Era evidente che voleva parlare. Si sedettero vicini.
Qualche ospite passò loro accanto e li fissò incuriosito. Dovevano aver riconosciuto Kurt.
 
«Qualcosa non va, vero?». Diretto ed efficace.
 
«Non avevo fatto colazione e avevo bisogno…».
 
«Parlami, Blaine. Ti sei pentito di essere venuto con me? Perché sei andato via? Ero felice che fossi lì, che vedessi come lavoro». Era orgoglioso di quello che faceva e voleva condividerlo con lui, voleva condividere un’altra parte di sé e Blaine lo aveva respinto, di nuovo. Stava sbagliando tutto.
 
«Sono stato felice di assistere, te lo giuro».
 
«E allora perché te ne sei andato senza dirmi una parola? Un momento prima c’eri e quello dopo svanito».
 
«Faccio magie».
 
«Non scherzare, ti prego». Era terribilmente serio.
 
Non poteva rivelargli tutta la verità, si vergognava ed era un problema solo suo. Non poteva certo dirgli “Non resisto a vederti mezzo nudo mentre ti spalmano di crema, sapendo che su quelle foto milioni di uomini in tutto il mondo sbaveranno senza ritegno”.
 
Si vergognava a dare voce ai suoi pensieri, era una preoccupazione che voleva rimanesse privata, manifestarla l’avrebbe resa ridicolo. «Ero a disagio, Kurt. Molto a disagio».
 
«Perché Blaine? Per via di Adam? Non me lo sono filato, giuro, non mi interessa».
 
«No, no, non c’entra Adam». Non solo lui comunque. «Ero io, ti vedevo così bello, sensuale e
volevo solo correre da te e baciarti fino a svenire». E questo era vero.
 
Lo sguardo di Kurt si illuminò di pura gioia. «Avrei voluto che fossimo soli, ti ho pensato molto
questa notte».
 
Blaine gli sorrise. «Anch’io. Non so cosa devo fare con te».
 
La risata argentina di Kurt disintegrò le sue ultime incertezze.
 
«Se è per questo anch’io con te, sei un osso duro. Non pensavo di doverci mettere così tanto a conquistarti».
 
«Le prede più difficili sono anche le più interessanti. Che gusto c’è ad avere tutto e subito?». Blaine sollevò il sopracciglio con aria sorniona. Voleva atteggiarsi a super uomo, un Superman improvvisato, per dissimulare il proprio nervosismo e il desiderio che provava per lui.
 
Kurt lo osservò un istante in silenzio, poi disse: «Per oggi ho finito, ti va di fare qualcosa insieme? Potremmo andare sulle piste. Con questo freddo stanotte ha nevicato. Sai sciare?»
 
«No, mi spiace». Blaine scosse la testa mortificato.
 
«Potremmo andare su al rifugio, bere un grog e restare soli per un po’».
 
«Mi piacerebbe, sì».
 
«Vado a prendere il giubbotto e…».
 
«Kurt, aspetta». Lo trattenne.
 
«Dimmi».
 
«Mio fratello mi ha mandato questa, poco fa». Gli porse lo smartphone con la foto del «Gossip News», una rivista che si faceva un vanto di sbandierare ogni più sordido segreto, scappatella e scandalo del mondo delle star. «Era giusto che lo sapessi».
 
Kurt fece spallucce. «Immaginavo non avrebbero perso tempo, e comunque ero stato già informato. Te ne avrei parlato appena possibile. Per te è un problema?» Gli chiese a bruciapelo.
 
«No, io… pensavo a te, forse tu…».
 
«Shhh, Blaine». Appoggiò un dito sulle labbra di lui e le accarezzò. «Tu parli troppo». E lo baciò con
tenerezza, prima di alzarsi. «Torno subito, non scappare di nuovo».
 
Lo vide allontanarsi finalmente tranquillo. Non gli importava della foto, del fatto che per tutto il mondo adesso era ufficialmente il suo ragazzo. Forse Blaine lo stava sottovalutando. Stava sottovalutando il fatto che Kurt Hummel era tranquillo perché non aveva niente da nascondere, perché manifestava con grande onestà i sentimenti che provava e perché non era, come lui, vittima di paranoie prive di fondamento.
 
Era talmente assorto da non accorgersi che una signora sulla sessantina con i capelli cotonati e una
faccia indiscreta, parlottava con una sua amica dal volto arcigno. Lo indicavano ridacchiando. Quando per puro caso incrociò i loro sguardi, Blaine comprese con assoluta certezza che da quel momento in poi, volente o nolente, sarebbe stata additato come l’ultimo ragazzo, in ordine di tempo, di Kurt Hummel.
 
Avrebbe dovuto imparare ad accettarlo.
 
La giornata volò via troppo in fretta. Le ore passate insieme gli sembrarono preziose. Avevano parlato tanto, si erano aperti raccontando un po’ di loro stessi, mentre la neve faceva da romantico sfondo a quell’interludio. Sapevano di dover raggiungere gli altri per cena, ma in realtà avrebbero voluto restare insieme, da soli. Era stupendo conoscersi senza pressioni e aspettative.
 
Si erano salutati per darsi appuntamento al ristorante del resort di lì a poco. Blaine stava per salire in ascensore quando Kurt lo rincorse. Aveva qualcosa nello sguardo, una luce che spinse Blaine a sorridergli ancora prima di sapere cosa gli avrebbe detto.
 
«Vieni a cena da me, organizzerò tutto per una serata romantica, solo tu e io. Una buona bottiglia di vino e la tua compagnia. L’unica che desidero. Dimmi di sì». Fremeva, aveva scritto in faccia che sperava disperatamente che lui accettasse.
 
Un chiaro invito, un invito che non voleva più rifiutare.
 
«Dammi il tempo di cambiarmi e sarò da te». Non aggiunse altro e gli sorrise mentre le porte si chiudevano.
 
Blaine si fece una doccia, sperando di stemperare la tensione che cominciava a crescere in lui. Infine si passò un gel profumato al lampone sui capelli. Non voleva lasciare nulla al caso, voleva essere fantastico per lui. Certo, i miracoli erano impensabili. Uno come lui avrebbe potuto trasformarsi al massimo in qualcosa di passabile.
 
“Non sarò mai un Sebastian Smythe, posso anche affogare i dispiaceri in un bidone di gelato e far lievitare i glutei, tanto è tutto inutile”.
 
Sentiva il peso della serata che lo attendeva. Era consapevole che niente sarebbe stato più come prima, e voleva essere pronto per lui, per tutto quello che desiderava, che desideravano. Si guardò allo specchio ancora nudo, avvolto solo da un telo morbido legato al punto vita e provò a vedersi con gli occhi di Kurt che, per qualche incomprensibile motivo, sembravano adorarlo.
 
Il suo volto era luminoso, i suoi occhi brillavano come gemme. Vivo, era vivo come non mai e il suo aspetto gli parve quasi diverso: provocante, sensuale, in una parola virile.
 
Voleva essere irresistibile per lui.
 
Voleva che Kurt Hummel non potesse più fare a meno di lui, che la mattina dopo ringraziasse il fato per averlo messo sul suo cammino e lo volesse al suo fianco per sempre.
 
Si preparò con attenzione, dando rilievo ai suoi punti di forza, ma senza esagerare.
 
Indossò una camicia di seta bianca e un paio di pantaloni neri con un taglio elegante completarono il quadro.
 
Tornò a fissarsi allo specchio e sorrise compiaciuto.
 
Kurt Hummel avrebbe potuto innamorarsi di lui perché era in gamba, unico e speciale. Al diavolo chi non era d’accordo. Fece l’occhiolino alla sua immagine riflessa e uscì.
 
Con il cuore pronto a nuove capriole, e un bel sorriso a illuminargli il volto, bussò alla porta della camera di Kurt. Indossava una camicia nera e pantaloni grigi. Come dare torto ad Adam che voleva allungare di nuovo i suoi artigli su di lui?
 
«Sei splendido, Blaine». Gli diede un bacio sulla guancia e lo invitò a entrare.
 
La suite di Kurt era ancora più grande della sua, un appartamento a tutti gli effetti, elegante e raffinato. In un angolo della sala, Blaine notò la tavola apparecchiata, al centro della quale spiccava una candela rossa. Il suo chiarore, combinato con quello di luci soffuse, rendeva l’ambiente quanto mai romantico.
 
«È tutto perfetto!» Esclamò emozionato.
 
Kurt lo invitò ad accomodarsi, spostando la sedia, poi liberò i piatti coperti da grosse cloches d’acciaio. Si sedette di fronte a lui e gli versò un bicchiere di buon vino rosso.
 
Blaine osservava i suoi movimenti calmi e naturali. Kurt Hummel era sempre pronto per ogni occasione, sempre impeccabile, sempre a suo agio. Erano così diversi, eppure l’attrazione era palpabile, inutile nasconderlo. Feromoni e sentimenti potevano essere una miscela esplosiva se combinati.
 
Cenarono conversando piacevolmente, ma qualcosa era cambiato dal pomeriggio, c’era nell’aria un non so che di elettrico.
 
Un bisbiglio, una vocina che gli suggeriva che stava per succedere e che tutto sarebbe andato secondo il proprio corso.
 
Non affrettarono i tempi, si gustarono le portate, bevvero il loro delizioso vino e si tennero per mano, mentre Kurt accarezzava con fare distratto il palmo di lui. Infine si imboccarono reciprocamente gustandosi il dolce con il cioccolato fuso. Lo assaporarono, riempendosi la bocca di sensazioni piacevoli e stuzzicando i rispettivi palati. Sembrava che ogni cosa alludesse ad altro.
 
Era scritto nelle stelle? Sarebbe accaduto quella notte?
 
Blaine non voleva porsi limiti, voleva lasciarsi andare, finalmente certo di ciò che provava. Perché sarebbe stata la dimostrazione più pura dei sentimenti che nutriva nel suo cuore. Poteva solo sperare che Kurt lo contraccambiasse.
 
A un tratto, come se si fossero comunicati un messaggio in codice, smisero di parlare.
 
Kurt si avvicinò allo stereo e la melodia di When I Was Your Man di Bruno Mars cominciò a diffondersi, delicata e intrigante.
 
Kurt accolse Blaine tra le proprie braccia. Pose le mani sui suoi fianchi per poi farle scivolare sulla
schiena, per trattenerlo a sé. I loro corpi erano vicini, mentre i cuori cominciavano ad accelerare la
loro folle corsa contro il tempo. Kurt lo faceva ondeggiare languido e Blaine, coccolato, abbandonò
il capo sul petto di lui. Si fece condurre, con gli occhi chiusi, inspirando il suo profumo, ascoltando
il suo rassicurante respiro. Le dita di Kurt lo accarezzavano sapienti e, nonostante i vestiti, lasciavano una scia di calore al loro passaggio.
 
Blaine avrebbe voluto di più, era pronto a ricevere di più. Il suo corpo reagì e cominciò a strofinarsi su quello di Kurt in modo sensuale. Il suono spezzato del respiro di Kurt gli raccontò di lui, di ciò che provava nel medesimo istante.
 
«Blaine, ti desidero da morire. Se continuerai così, non riuscirò a trattenermi». La voce era roca, sofferta, e profonda. Melodia pura per Blaine.
 
Il ragazzo sorrise e sollevò i suoi occhi verso di lui. «Questa volta non ti fermerò».
 
Lo baciò per primo, dimostrandogli che era deciso ad accoglierlo. Kurt lo sollevò, mentre Blaine istintivamente portava le gambe intorno ai suoi fianchi. Continuarono a baciarsi, mentre i loro corpi smaniavano per la passione che iniziava a consumarli.
 
Poi Kurt lo accolse tra le braccia e lo condusse in camera, adagiandolo sul letto, mentre i loro sguardi restavano intrecciati, incapaci di lasciarsi andare del tutto. Si stese al suo fianco e gli accarezzò il viso con delicatezza.
 
«Dimmi che domani mattina non svanirai, che resterai con me, in questo letto, che ti lascerai ancora amare. Che non avrai paura delle conseguenze di questa notte».
 
Sembrava avergli letto nell’anima.
 
Blaine credette di impazzire di felicità e desiderio. «Voglio fidarmi di te. Voglio che questa notte non finisca».
 
L’uomo gli baciò la fronte, gli zigomi, le labbra, e passò a esplorare il collo. A respirare il suo profumo. «Neanche io voglio che finisca, non so cosa mi hai fatto, Blaine Anderson, ma per te potrei passare la vita dentro un ascensore».
 
Il ragazzo sorrise, ma fu un istante, perché i brividi che i baci sospirati di Kurt provocavano sulla carne sensibile lo fecero ansimare, togliendogli la forza di parlare.
 
Le mani di Kurt cominciarono a cercarlo, gli sbottonò la camicia e gli sfiorò il petto, piano iniziò a scostarla leggermente, baciando e accarezzando con la lingua la pelle esposta.
 
Blaine era in estasi. Arcuò il suo corpo e si accorse di essere pronto per lui, per un uomo appassionato che aveva vinto ogni sua reticenza. Si stava innamorando di lui perdutamente, non era possibile tornare indietro.
 
Con una frenesia ormai incontrollabile, si tolsero i vestiti, esplorarono i loro corpi, si assaporarono, e si amarono, senza limiti, chiedendo di più, volendo di più, esigenti e affamati.
 
Il piacere li consumò, vittime nella notte cupa e fredda in cui la neve, inaspettata, tornò a cadere copiosa dal cielo complice.
 
Quel letto divenne un tempio in cui si venerava un nuovo amore.
 
Perché l’amplesso infuocato e il desiderio appagato esistevano nel cuore di entrambi e avevano il nome tanto temuto: amore.
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi miei, mi scuso per il mancato aggiornamento di ieri ma purtroppo mi sono sentita poco bene… Ma oggi abbiamo recuperato e devo dire che abbiamo recuperato alla grande!!!
Già mi immagino alcuni di voi tirare quel sospiro di sollievo che tanto trattenevate XD
Ci muoviamo lentamente, finalmente sono arrivati ad un livello di maggiore stabilità, ma che succederà ora? Blaine finalmente ha ammesso i suoi sentimenti, ma sarà in grado di convivere con le sue incertezze???
 
Spero che continuerete a farmi sapere cosa ne pensate, per qualsiasi cosa sono qui, vi do un grosso bacio.
 
Ps. Per il prossimo aggiornamento spero di poter recuperare sabato, o in ogni caso nel fine settimana!!
 

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Capitolo 17
*** 17 Marcare il territorio ***


Capitolo 17
Marcare il territorio

 
 
Il volto affondava nel soffice guanciale che sapeva di sapone di Marsiglia e di Kurt. Con gli occhi ancora chiusi, assaporò quella fragranza che gli diede un buongiorno speciale, insieme alla luce bianca che, intensa, filtrava dalle tende socchiuse. Nel torpore di quel piacevole dormiveglia, aveva come l’impressione che qualcosa gli formicolasse sulla schiena nuda. Brividi inaspettati lo solleticavano ricordandogli di essere vivo come non mai.
 
Le dita di Kurt continuavano a sfiorargli la pelle mentre la sua bocca vi depositava piccoli baci roventi. Blaine si stiracchiò come un gattino appagato dalle coccole ricevute e si sollevò, appoggiandosi sui gomiti e ruotando il capo per guardarlo. Non gli importava che lui lo vedesse nudo, anzi, sentire il suo sguardo su di sé lo faceva sentire bello, come mai prima d’ora.
 
E Kurt lo stava mangiando con gli occhi che brillavano di intima soddisfazione. «Buongiorno, tesoro».
 
Blaine si allungò e, con un gesto ormai familiare, lo baciò, catturando un labbro nella sua bocca, succhiandolo per poi lasciarlo andare con aria divertita. Un’espressione maliziosa attraversò come un lampo le iridi color cielo di Kurt.
 
«Sei ancora qui con me».
 
«Non vorrei essere da nessun’altra parte» ammise Blaine senza vergogna.
 
«È stata una notte spettacolare, noi due insieme facciamo i fuochi d’artificio».
 
Blaine rise giocoso. Kurt aveva ragione, si erano concessi l’uno all’altro senza pudore, si erano divertiti, soddisfatti e amati. Per lui quello era amore, non aveva dubbi, ecco perché si era lasciato andare totalmente, senza remore. Kurt era l’uomo che aspettava da una vita, capace di comprenderlo e di accettarlo nonostante le sue ritrosie e le sue fragilità. Ora che lo aveva trovato, dopo una miriade di inutili appuntamenti, doveva essere abbastanza bravo da tenerselo, da non lasciarselo sfuggire. Voleva costruire con lui qualcosa che durasse, non voleva essere una meteora nella sua vita, ma la sua stella cometa.
 
E con quei pensieri positivi si abbandonò sul cuscino e lo osservò con sguardo pieno di gratitudine.
 
«Non so cosa ti ha spinto a voler stare con me, ma ne sono felice… Sono felice per questa notte, sono felice che tu mi abbia portato al Desdemona, sono felice di essere rimasto bloccato in ascensore con te e di aver perso quel lavoro a “Inside Look”. Non ci saremmo incontrati se io fossi riuscito a fare quel colloquio».
 
«Ci ho pensato anch’io». Appoggiò il viso sul cuscino e lo osservò con uno sguardo dolce, quasi sognante. «Mi chiedi cosa mi ha spinto a voler stare con te. Sei stato tu, con il tuo carattere allegro, con la tua risposta pronta, con la tua capacità di trattarmi non come un personaggio famoso su un piedistallo, uno da guardare a distanza perché finto come una moneta di cioccolata. Tu hai cercato di conoscere me, Kurt, il ragazzo che non mostro facilmente a chi mi è estraneo». Lo accarezzò indugiando sul suo viso, in adorazione. «Potrò anche vivere davanti a un obiettivo, potrò anche essere fotografato, spiato, seguito, ma quello che sono io, il vero Kurt lo conoscono in pochi, Blaine. Lo conoscono solo coloro a cui permetto di vederlo. Tutti possono credere di avere un pezzetto di me, comprando un giornale, ma in realtà di me non hanno nulla. Mi proteggo bene dai media. Appena ti ho incontrato, ho visto qualcosa in te. Non eri affascinato come gli altri, anzi, mi respingevi e questo mi ha spronato a cercarti ancora di più. Per la verità stavo quasi per mollare la presa, ma parlando con un mio amico di te, ho capito… Tu potevi essere la mia eccezione, quello che non si faceva affascinare da un mondo di cartapesta, ma che sapeva guardare al di là. Che poteva vedere me, solo me. E non sbagliavo». La sua voce era gentile, usava un tono morbido e pacato, ma vibrava di emozioni nascoste.
 
Blaine gli sorrideva, quasi in trance, e sperava che Kurt comprendesse quanto le sue parole fossero un balsamo che curava ogni ferita, che spazzava via ogni dubbio. «Volevi davvero conoscermi, ma volevi anche che io conoscessi te».
 
«Sì, lo ammetto. Percepivo una sintonia tra noi, ero certo che potesse funzionare, anche se tu mi mettevi i bastoni tra le ruote».
 
«Ma non è così…» brontolò lui.
 
«Oh, sì. Credevi che non ti richiamassi più, eri convinto che dopo avermi respinto, quando ti avevo proposto di uscire con me, non mi avresti più visto né sentito».
 
«Touché, è proprio così. Credevo che mi vedessi come un ragazzo facile, uno da bacio rubato in ascensore». Sollevò il sopracciglio con aria sicura, tornando a puntellarsi sui gomiti. Si poteva intravedere il suo pene, ma lui non se ne preoccupò, anzi sorrise ancora di più quando notò Kurt sbirciarlo con interesse. «Quindi dopo il primo picche, non avresti avuto motivo di cercarmi ancora».
 
«Invece ho bussato alla tua porta».
 
«Mi hai sorpreso. Ero davvero confuso quella sera».
 
«Una bella serata. Ne ho adorato ogni istante, Blaine».
 
«Anch’io. Volevo non finisse mai, ma tu dovevi partire, mi hai riaccompagnato e sei scappato come se fossi stato braccato dalla polizia».  Rise scuotendo la testa. «Poco lusinghiero. Ero sicuro per la seconda volta che non ti avrei più né visto né sentito».
 
«Forse sono stato poco carino, ma tu sembravi a disagio con me, sembrava che non avessi tutta questa voglia di fermarti a parlare ancora».
 
«Ma non è vero!». Si sollevò stizzito e lui la osservò in tutto il suo splendore. Blaine sbuffò e si coprì con la trapunta.
 
«Lasciati guardare». Kurt tirò via la coperta e lui dispettoso la riacciuffò.
 
«Non è vero che non volevo parlare con te. Pensavo che fosse stata una serata bellissima, speravo continuasse».
 
Kurt gli diede un buffetto sul naso. «Mi sarebbe piaciuto rimanere, ma forse è stato meglio così».
 
«Ma tu mi hai cercato ancora, mentre te la spassavi a Bangkok, chissà con chi».
 
«Non me la spassavo, ero andato là per lavoro», fece Kurt tirando di nuovo la coperta e lasciandolo nudo. «E non c’erano uomini con me».
 
«Nessuno? Non ci posso credere».
 
Kurt si mosse felino verso di lui e gli catturò un capezzolo.
 
«Stai barando». Blaine gemette mentre affondava la mano tra i capelli di lui, non sapendo cosa fare per non annegare.
 
«Non c’era nessun thailandese che mi interessasse. Io volevo parlare con te, volevo vedere te…».
Continuava a torturarlo senza sosta.
 
«Non posso credere di averti colpito così tanto, sei un adulatore nato».
 
Ok, che stava dicendo?
 
Cominciava a non ricordarselo più, se Kurt avesse continuato a giocare in quel modo, non avrebbe resistito e gli sarebbe saltato addosso.
 
«Non vedevo l’ora di tornare e di riprendere da dove ci eravamo interrotti. Dovresti avere più fiducia in te, ora mi stai facendo letteralmente impazzire». La sua lingua iniziò a esplorarlo, facendolo sciogliere, sopraffatto dal piacere. Si sdraiò lentamente. In un istante Kurt gli fu sopra, le loro intimità si cercavano, pronte, erette, mentre riprendevano a baciarsi con rinnovata passione.
 
Fu a quel punto che bussarono alla porta.
 
Blaine si bloccò come una statua di marmo.
 
«Kurt, sveglia, hai il cellulare staccato».
 
«È James» fece divertito Kurt con un’aria da ragazzino impenitente.
 
D’istinto Blaine si coprì fin sopra i capelli. «Mandalo via».
 
«Kurt, fra dieci minuti dobbiamo andare al rifugio. Il pulmino è pronto».
 
«Cazzo, mi ero scordato», ammise Kurt, mentre toglieva la coperta a Blaine e tornava a baciargli il membro.
 
«Kurt Hummel, si può sapere che stai facendo?», domandò James spazientito.
 
«Sesso con il mio splendido ragazzo. Tra mezz’ora saremo nella hall».
 
Blaine andò a fuoco e non solo perché Kurt continuava a stuzzicare il suo corpo in maniera indecente. Si vergognava a morte.
 
«Ma sentilo, beato te. A dopo».
 
Blaine scivolò via, ma Kurt lo bloccò. «Dove scappi».
 
«Vorrei sotterrarmi. Ma che gli hai detto?»
 
«La verità. Che noi stiamo insieme, che tu sei meraviglioso e che voglio fare ancora l’amore con te».
 
«Incorreggibile, spudorato, con che coraggio tornerò a guardarlo in faccia?».
 
Kurt rise contento. «Meglio così, almeno James girerà alla larga da te, ho notato come ti fissava interessato. Ho solo messo i puntini sulle i».
 
«Mi fissava?»
 
«Oh, sì. Per quanto tu lo trovi assurdo, gli uomini ti notano. Sei un bel ragazzo, solare e intelligente. Ma su di te ora c’è un bel cartello. “Non disponibile”. Discorso chiuso per il caro James».
 
«In pratica hai marcato il territorio?». Il ragazzo fece finta di rimanere allibito, ma in realtà era fin troppo lusingato.
«Ovvio. E ora vieni qui a scaldarmi, ho freddo». Lo acchiappò e ridendo lo riportò sotto di sé, tornando a esplorarlo con attenzione.
 
Blaine pensò che in fondo il mondo era pieno di Spank che marcavano il territorio e poi si lasciò andare tra le braccia del suo dio del sesso.
 
 
 

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Capitolo 18
*** Torna a casa, Lassie! ***




Capitolo 18
Torna a casa, Lassie!

 
 
Tornare a casa non gli era mai parso tanto ingiusto. Rimanere un altro po’ a Chamonix tra le braccia del proprio ragazzo sarebbe stato meraviglioso, un sogno da non interrompere. Quei quattro giorni erano volati via troppo in fretta, e ora la vita bussava alla sua porta con i soliti problemi. Una madre fuori di testa, un lavoro che proprio non ne voleva sapere di essere trovato, e le immancabili bollette da pagare che aspettavano solo lui.
 
Sospirò, gettando a terra il suo trolley una volta entrato nell’appartamento.
 
Diede una sbirciata in giro, ripensando alla camera del resort, più grande del suo microscopico bilocale in affitto. E presto interessanti associazioni di idee presero il sopravvento.
 
Kurt era ovunque, nel suo cuore, nella sua mente.
 
Avevano passato gli ultimi due giorni accoccolati, facendo l’amore in mille modi diversi. Quell’uomo sapeva indubbiamente sperimentare…
 
Blaine si coprì il viso quasi imbarazzato, mentre continuava a ridacchiare ripensando ai mille e uno modi in cui Kurt gli aveva regalato il puro piacere e si era concesso a lui senza pudore.
 
Un motivetto gli affiorò tra le labbra…
 
I never thought that you would be the one to hold my heart. But you came around and you knocked me off the ground from the start…
 
Le parole presero il sopravvento e si ritrovò ad ancheggiare contento, mentre alzava il tono della voce.
 
Era ubriaco d’amore, come se si fosse scolato una bottiglia dall’alta gradazione alcolica.
 
Kurt era il suo ragazzo.
 
Non poteva ancora crederci. Gli sembrava di aver vinto la lotteria, il premio più ambito.
 
Era stato mai più appagato di così?
 
Probabilmente no e non voleva rovinare quel favoloso stato di grazia con elucubrazioni dannose e ridicole.
 
Agitò le braccia verso l’alto continuando a ballare. Fu allora che la testa di Cooper sbucò da dietro la porta e il ragazzo lo puntò con l’indice accusatore. «Stai ballando».
 
Blaine si bloccò e si afflosciò come una torta mal lievitata. «Non è vero!».
 
«Ma guarda che volto luminoso…». Gli si avvicinò e cominciò a girargli intorno per studiarlo. «Qui c’è qualcuno molto su di giri… Chissà perché?», commentò con un’espressione sarcastica in viso, picchiettando l’indice sulla bocca.
 
«Non fare il cretino, Cooper».
 
«Sì, sei raggiante, che bel colorito. Tanto sano esercizio, eh?».
 
«Finiscila subito». Ma stava ridendo. Lo prese per le mani e lo tirò fino a che sprofondarono nel divano. Blaine sembrava un bambino. «È stato meraviglioso, lui è meraviglioso. Mi sono innamorato».
 
«Fermo fermo… altolà. Un alieno si è impossessato del corpo di mio fratello, lo scambio è avvenuto in un rinomato luogo di villeggiatura francese». Cooper gongolò divertito.
 
Blaine alzò di nuovo le braccia verso il cielo. «Non riesco a smettere di sentirmi così. Kurt è fantastico. Intelligente, bello, simpatico, mi fa ridere… ed è dannatamente bravo a letto».
 
«Ahhh ahhh, qui ti volevo. Quindi è una macchina del sesso».
 
«Non so dove nasconda le batterie, credimi».
 
Cooper scoppiò a ridere. «Finalmente mio fratello sarà un uomo appagato, basta con le tue stupide frustrazioni».
 
«Non sono frustrato».
 
Cooper gli lanciò un’eloquente occhiata in tralice.
 
«Va bene, non lo sarò più» si corresse Blaine troppo contento per ribattere alle ineluttabili verità del fratello.
 
«E come ha preso la questione riguardante la vostra foto su “Gossip News”?»
 
«Non gli importa. Dice che sono il suo ragazzo e che non si vuole nascondere. È fiero di farsi vedere con me».
 
Cooper fece un sonoro sospiro e Blaine gli diede una pacca sul braccio scoppiando a ridere.
 
«E ora? Ora che siete tornati alla realtà?»
 
«Guarda qui!» Blaine estrasse dalla tasca del suo giubbotto una chiave.
 
«Cosa sarebbe? La chiave dello scrigno segreto?»
 
«Di casa sua».
 
«L’attico?». Cooper sgranò gli occhi. «Ti ha già dato la chiave del suo appartamento?»
 
«Sì, dice che posso andare da lui quando voglio, che casa sua è sempre aperta per me. Che spera di passare molto tempo insieme. Mi sembra un sogno, non svegliarmi mai».
 
«Sono davvero contento, credimi, ma questo tizio ha ingranato la marcia, mio caro» fece con sospetto.
 
«Non posso crederci, per una volta che non cerco di crearmi stupidi alibi e paranoie, sei tu a farti venire degli scrupoli? Proprio tu che mi hai spinto a lasciarmi andare con lui e a partire per Chamonix?»
 
«In effetti…».
 
«Come in effetti…». Non poté continuare oltre perché lo squillo dello smartphone interruppe la sua bellissima arringa. «Nooo, è mamma». Fece una smorfia affranta e rispose senza alcuno slancio.
 
«Allora?» Proruppe Pam.
 
«Ciao, è bello sentirti. Come sto? Sì, sto bene, mamma…».
 
«Quante storie, allora, com’è andata con Kurt?».
 
Blaine ridusse gli occhi a una fessura e li inchiodò su Cooper che alzò lo sguardo al soffitto facendo finta di non capire. Blaine scandì un silenzioso “dopo me la paghi”.
 
«Abbiamo passato dei bei giorni, è stata una vacanza rilassante».
 
«Ci sei andato a letto? Hai dato ascolto alla tua mamma? Non devi per forza sposarti con lui, ma almeno sii moderno».
 
Avrebbe voluto gridare, ma si astenne dal farlo, sarebbe stato inutile. «Mi fa piacere notare quanto questo aspetto per te sia più importante del fatto che magari io mi stia innamorando di lui e lui di me».
 
«Quanto la fai lunga, certo che ne sono contenta. Renderà tutto più speciale, l’importante è che tu abbia una vita sana e piena. Basta frustrazioni».
 
«Dannazione, non sono frustrato!» Cooper lo guardò scuotendo la testa.
 
«Ora vedi di goderti questo bel tipo, ho ammirato le sue foto su una rivista. Complimenti davvero, che fisico!».
 
Ecco, questo avrebbe preferito non sentirglielo dire.
 
«A cosa ti riferisci?»
 
«A quel servizio fotografico che ha fatto completamente nudo. Ha un corpo da sballo, sei fortunato».
 
Blaine aveva i brividi, un’espressione schifata gli si dipinse sul volto.
 
Non era normale che sua madre avesse visto il suo ragazzo, senza veli. Non era naturale.
 
Quando si fossero incontrati per le feste di compleanno, per Natale, per una stupida cena, sua madre avrebbe immaginato Kurt nudo? Sarebbe riuscita a rovinare tutto mettendolo in un tremendo imbarazzo?
 
La mente gli si paralizzò mentre Pam continuava a blaterare senza che lui potesse sentire più una singola parola.
 
Cooper lo osservava interdetto.
 
Blaine si riprese. «Mamma devo lasciarti, ci sentiamo presto».
 
«Tienimi aggiornata e complimenti, ottima scelta».
 
«Ciao mamma». Scaraventò lontano il telefono come se bruciasse. «Cooper, è terribile».
 
«Cosa può essere più terribile di mamma che ci spiega le sue teorie sul sesso come rimedio a tutti i mali del mondo?»
 
«Ha visto Kurt nudo».
 
«Per la miseria!». Cooper scoppiò a ridere. «Tesoro mio, credo che quasi tutta la popolazione femminile e maschile del pianeta lo abbia visto nudo».
 
«Ti pare normale?»
 
«Fa il modello e fa servizi fotografici nudi, quindi sì».
 
«Ti pare normale che perfino io abbia visto il mio ragazzo nudo, ancora prima di diventare il suo ragazzo, anzi prima di conoscerlo di persona?»
 
«Quante storie! Ok, lo ammetto, non è il massimo. Anche a me darebbe fastidio, ma tu lo sapevi. Ora ti sei innamorato, ma sapevi tutto prima di metterti con lui».
 
«L’idea che perfino mamma l’abbia visto mi ha disgustato».
 
«Pensa se l’avesse visto anche nonna Rose». Cooper riprese a ridere.
 
«Ti prego!» Blaine diventò di un colore viola acceso e si coprì il viso con le mani. «Non ci avevo pensato e adesso grazie a te mi chiederò se è davvero così».
 
«Rilassati e goditi il tuo maschione».
 
«Non fare il verso a mamma, è già abbastanza imbarazzante».
 
«Blaine, pensa a tutte le qualità di Kurt, pensa a quanto eri felice prima che mamma ti chiamasse e non rimuginare sulla quantità di pelle che mette in mostra, va bene?»
 
«Sì, farò così… Basta pensare a quel servizio fotografico e a tutte le donne della mia famiglia che hanno visto il mio ragazzo nudo come un verme, te compreso».
 
Una faccia furbetta rispose alla sua affermazione.
 
«Coopeeeeeeeeeerrrrr ».
 


 
NOTE DELL’AUTRICE:

Salve miei cari lettori, innanzi tutto vi chiedo scusa per i mancati aggiornamenti delle settimane passate, ma chi mi conosce almeno un po’ sa che la mia vita è tutta tranne che una passeggiata, e a completare questo idillio è stato il mio portatile, che ha deciso, una sera, di spegnersi e non accendersi più. La fortuna? Che è in garanzia! La sfortuna? Vi erano tutte le mie ff su quel dannato computer che perderò se decideranno che il problema sia tanto grave da doverlo formattare!!! Vivo in un periodo di costante ansia e stress!

Per quanto riguarda le ff, sono riuscita a recuperare qualcosa grazie ad un backup che avevo fatto non proprio recentemente su un hard disk esterno, perciò un minimo sono riuscita a salvare qualche lavoro.

Adesso sto utilizzando un vecchio, ma che dico, arcaico, pc di mia mamma, che mi ha fatto la cortesia di prestarmi, per poter pubblicare questo aggiornamento. Non so quanta pazienza avrò prima di scaraventarlo giù dal balcone e smettere di provarci, visto che sono tre giorni che tento di fare questo aggiornamento. Perciò se state leggendo queste parole, significa che ci sono riuscita e che appena avrò la possibilità e la pazienza pubblicherò il prossimo capitolo. Abbiate solo pazienza, la storia era terminata, quindi avrà comunque la sua fine, ma c’è da aspettare, ok???

Intanto fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto, per tutto il resto sono qui!

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Capitolo 19
*** 19. Ricordi ***


Capitolo 19
Ricordi
 
Si erano tolti le scarpe e affondavano i piedi nella sabbia tiepida di un giorno di sole, un regalo della buona stagione che a quanto pareva non voleva arrendersi ai primi freddi. I gabbiani volavano sopra le loro teste, mentre il suono della risacca, gentile e placida, accompagnava una passeggiata che si era rivelata una vera sorpresa.
 
Kurt lo teneva per mano, nell’altra reggeva un cestino da picnic. Blaine portava uno zainetto e una grande coperta patchwork coloratissima. Apparteneva alla madre di Kurt, l’aveva fatta con le sue mani. A quel pensiero Blaine aveva sorriso: di sicuro la signora Hummel sarebbe andata molto d’accordo con sua zia Nora.
 
Continuarono a camminare sulla spiaggia di Rockaway, New York, praticamente deserta, a parte qualche anima solitaria che faceva footing, con le cuffiette infilate nelle orecchie. Quando la incrociavano, si poteva addirittura ascoltare il brano e riconoscerlo.
 
A un tratto una coppia di amiche li squadrò e fece dietrofront, fermandoli con sorrisetti elettrizzati, gridolini e la richiesta di fare una foto insieme. Fu Blaine stesso a scattarla. Mai si sarebbe aspettato di interpretare la parte del ragazzo del personaggio famoso che immortala il momento ricordo. C’era qualcosa di divertente in una scenetta simile, e si accorse che in fondo non gli dava fastidio come aveva immaginato.
 
Per quasi cinque minuti chiacchierarono con le due ammiratrici, e anche Blaine, con sua sorpresa, fu coinvolto. Sapevano già chi era, affermarono entusiaste che insieme erano una bella coppia. Suo malgrado Blaine arrossì quando Kurt lo prese per la vita, l’attirò a sé e gli diede un bacio sulla guancia davanti alle due sconosciute.
 
Un gesto d’affetto che gli fece piacere. Più di quanto potesse immaginare.
 
Dopo aver firmato anche gli autografi sul retro delle loro magliette, con un pennarello che Blaine teneva in borsa per ogni evenienza, Kurt le salutò e si rincamminò a fianco del suo ragazzo.
 
«Fermiamoci qui», disse a un certo punto soddisfatto, guardandosi intorno mentre respirava a pieni polmoni.
 
Blaine osservò ammirato i suoi muscoli tendersi sotto la camicia bianca con le maniche arrotolate e i suoi capelli mossi dalla brezza. Uno spettacolo superbo che gli bloccò il respiro.
 
Si ritrovò con la coperta in mano a fissarlo, come si può fissare un’opera d’arte in un museo.
 
Da dietro gli occhiali da sole, Kurt gli sorrise. Appoggiò a terra il cestino e gli sfilò lo zaino dalle spalle, infine gli prese dalle mani la coperta, scuotendo la testa. «Quando la smetterai di osservarmi come se fossi…».
 
«Meraviglioso? Temo mai, è un problema?» gli sorrise a sua volta, aiutandolo a stendere la coperta.
 
Kurt fece una smorfia e si sdraiò, facendogli segno di raggiungerlo e mentre fissava il mare sereno, Kurt osservava lui, perso nei propri pensieri.
 
«Sono contento che tu sia potuto venire con me, oggi».
 
Blaine si riconcentrò sul suo ragazzo. «Non mi sarei perso questo picnic per nulla al mondo. Hai avuto una grandiosa idea».
 
«Una soltanto?» ridacchiò compiaciuto.
 
Blaine alzò gli occhi al cielo. «Il tuo ego ti precede, modello dei miei stivali».
 
«Un po’, ma vedrai che con quello che ho preparato per te, saprò conquistarti».
 
«Di nuovo? Pensavo di essere già tuo», scherzò il ragazzo sbirciando nel cestino, il cui coperchio era stato sollevato.
 
«Ho intenzione di conquistarti ogni volta come se fosse la prima» sussurrò serio.
 
Blaine intercettò il suo sguardo profondo, ancora protetto dai Ray-Ban. Si allungò felino verso di lui e lo baciò teneramente sulle labbra, labbra che sapevano di spruzzi di mare e sole, che sapevano di lui.
 
Infine si ritrasse per incitarlo. «Stupiscimi».
 
Kurt estrasse tanti contenitori pieni di tramezzini di vari gusti, vol-au-vent al salmone e gamberetti, un’insalata di riso invogliante. Preparò tutto con cura, mentre Blaine lo osservava nelle sue complesse operazioni, con il cuore gonfio di una gratitudine inespressa.
 
Era uno di quegli istanti che avrebbe voluto immortalare nell’album della sua vita, per non perderlo mai, per riassaporarlo in tempi futuri e lontani.
 
Kurt era pura poesia, in un’esistenza che aveva creduto piena, e che si era rivelata miseramente vuota. Adesso quella pienezza c’era davvero, si sentiva completo, come se avesse trovato la sua metà, come se avesse finalmente riconosciuto l’ultimo pezzo mancante del proprio puzzle personale.
 
Kurt ogni tanto gli lanciava un sorriso complice, mentre sistemava i bicchieri e stappava una bottiglia di buon vino bianco. Gli porse un bicchiere e sollevò il suo. «Vorrei brindare agli ascensori che si bloccano e agli attacchi di panico. Senza di loro, non esisteremmo».
 
Blaine rise e fece cin cin con Kurt. «Parole sante».
 
Bevvero un sorso e cominciarono a mangiare, mentre il sole brillava senza disturbarli, anzi accarezzandoli come un tenero amante, quasi proteggendoli. E iniziarono a parlare di loro, del loro passato, fino a quando fu Kurt a tirare fuori un discorso che era rimasto troppo a lungo in sospeso.
 
Riguardava sua madre.
 
Blaine non aveva più osato chiedergli nulla dopo il breve accenno durante il loro primo appuntamento. Aveva compreso che era un argomento spinoso e non voleva forzarlo a condividerlo con lui.
 
Ma a quanto pareva, ora era Kurt a volerlo rendere partecipe.
 
Fece un lungo sospiro e si tolse gli occhiali da sole, massaggiandosi la fronte. «Ti avevo detto che ci ha lasciato quando ero un bambino. Avevo sei anni, un compleanno che non scorderò mai».
 
Il suo sguardo si era fatto mesto. Il suono del mare con le sue onde riempì il breve silenzio. Kurt riprese a parlare. «A quei tempi ero piccolo per capire, quando fu il momento giusto mio padre mi spiegò. Elisabeth Hummel era parecchio malata. Negli ultimi anni la malattia si era aggravata così tanto. Spesso non tornava a casa».
 
Blaine lo guardò con tenerezza, stringendogli il braccio perché sentisse che gli era vicino. Lui l’accarezzò distratto e continuò: «Non era un tipo chiuso, ricordo che non ha mai smesso di sorridere. Ma… Nell’ultimo periodo era sempre triste, ciondolava per casa. Io mi chiedevo perché non fosse felice, se fosse colpa mia, se non fossi un bambino abbastanza in gamba per lei. Andavo bene a scuola, portavo sempre bei voti. Eppure non bastava mai».
 
«Ti davi la colpa per il suo stato d’animo?»
 
«Incolpavo me stesso di non riuscire a capire di cosa lei avesse bisogno. Ma cosa voleva davvero mia madre, credo di non averlo mai capito».
 
Blaine si spostò e si accoccolò su di lui, appoggiando il volto sulla sua spalla. Entrambi guardavano il mare.
 
«E a un certo punto vi ha abbandonato».
 
«Sì, mia madre aveva smesso di lottare. L’ho odiata per il male che ci ha fatto. Mio padre piangeva sempre. Lui che era un uomo con il cuore grande. Aveva sopportato tanto, aveva lottato per starle vicino. Adesso so queste cose, allora non ero in grado di comprendere appieno.».
 
«Ti voleva bene».
 
Kurt ruotò leggermente il capo per cercare il volto di Blaine. «Forse sì, ma ero troppo ferito. Il risentimento che provavo per lei per averci lasciato era grande. Credo che tutto quell’astio sia stato alla base del mio successo, buffo no?»
 
«Che intendi dire?»
 
«Volevo dimostrare che non ero un buono a nulla. Che avrei sfondato nella vita, che avrei protetto mio padre come lei non aveva mai saputo fare. Mi sono intestardito, ho studiato, mi sono laureato e sono diventato un uomo di successo. Mio padre doveva essere fiero di me. Io dovevo essere fiero di me come lei non era riuscita a farmi sentire per via della malattia».
 
Blaine gli accarezzò la pelle vellutata della guancia, ben rasata; provava un grande affetto per lui, avrebbe voluto lenire il suo dolore, cancellare i fatti che in qualche modo lo avevano ferito. Ma quegli stessi fatti lo avevano reso la persona favolosa che era ora.
 
«Ricordi ancora com’era?»
 
«Sì, ho alcuni ricordi dei due anni prima che morisse».
 
«Deve essere stato duro per te…».
 
Kurt lo prese per la vita, e lo strinse a sé. Aveva bisogno di Blaine e del suo calore, il ragazzo lo comprese con chiarezza. L’uomo sfiorò la sua guancia con la propria, rivolgendosi a lui con voce bassa.
 
«Era un giorno di sole, voleva a tutti i costi uscire. Lei non poteva, se si affaticava rischiava di stare davvero male, ma era testarda, voleva portarmi fuori a giocare. Ricordo il suo sorriso puro, semplice, un sorriso vero. Stavo giocando con un pallone, tirai un calcio un po’ troppo forte e per rincorrere la palla caddi. Lei corse e mi prese tra le sue braccia, per tutta la mattina mi coccolò senza lasciarmi una sola volta». Provò a ridere, ma era una risata avvilita. «Credo che quello sia l’ultimo ricordo che ho di lei prima che si ammalasse così tanto da non riuscire più a vivere».
 
«Deve essere davvero difficile…».
 
Un groppo gli strinse forte la gola. Poteva percepire con forza la disperazione che quell’uomo buono e risoluto tratteneva dentro di sé, nascondendola nel profondo. Era tutta lì, immutata e terrificante. E la stava condividendo con lui, gli aveva aperto la propria anima, gli aveva permesso di toccare la parte più nascosta di lui. Si fidava a tal punto.
 
«Mi manca».
 
«È normale… Ti amava, lo sai questo? ».
 
«Ma fu questo, Blaine. Avrebbe dovuto combattere per restare con noi». La sua voce era dura, nessuna inflessione che denotasse debolezza.
 
«Forse non è così, forse pensava che solo in quel modo vi avrebbe aiutato» cercò di giustificarla, perché gli sembrava di alleviare la sua sofferenza.
 
Kurt tacque e lo fissò a lungo, quasi volesse leggergli attraverso gli occhi, decifrarne i pensieri.
 
Blaine si portò una mano di Kurt alla bocca e la baciò. Nonostante il sole, era fredda, come freddo doveva essere il suo cuore in quell’istante.
 
«Mi spiace così tanto Kurt». Gli occhi gli bruciavano.
 
Per fortuna era voltato di spalle, perché non riuscì a trattenersi. Pianse per un uomo che aveva saputo fare della sua debolezza la sua forza, che aveva saputo affrontare la vita a testa alta, nonostante una perdita così grande. Kurt aveva sofferto e una parte di lui avrebbe sempre continuato a farlo, in silenzio; sarebbe andato avanti, con coraggio e soprattutto con un sorriso sulle labbra, ciò che lo rendeva il suo spettacolare Kurt Hummel.
 
«Sai, dopo la sua morte mio padre mi diede una lettera scritta da lei. Mi chiedeva scusa per tutto, mi chiedeva scusa per non essere stata in grado di essermi stata accanto come voleva, per non essere stato la moglie che avrebbe voluto essere, per non aver meritato il mio rispetto. Ma era ormai tardi per darle il mio perdono. Spero che ovunque si trovi, sappia che lo ha avuto».
 
Blaine si girò e lo abbracciò stretto a sé. Aveva bisogno di lui, era una sensazione struggente, disperata. Il ragazzo non poteva lavare via tutto il suo dolore, ma poteva condividerlo, portarne il peso insieme a lui. E lo avrebbe fatto senza il minimo sforzo perché lo amava ogni istante di più. Gli era entrato nel sangue, scorreva nelle sue vene, gli faceva battere il cuore, gli dava il respiro, la vita.
 
Kurt doveva sapere che per lui c’era, ci sarebbe stato sempre.
 
Per un po’ non parlarono più, si tennero stretti l’uno all’altro.
 
Infine Kurt lo baciò con un tale trasporto che Blaine si ritrovò con la schiena sulla coperta e il corpo di lui premuto contro. Il cielo terso a far loro da cornice, il profumo intenso del mare, i battiti dei loro cuori sincronizzati.
 
E dopo aver assaggiato il sapore di lui con estrema dolcezza, intercettò il suo sguardo e gli sorrise con l’ingenuità di un ragazzino: si era appena liberato di una pena troppo grande da portare ed era finalmente sereno.
 
Poi anche Kurt si sdraiò, gli prese la mano nella propria, senza lasciarla andare, e tornò a essere l’uomo burlone e allegro, quello a suo agio con il mondo intero e con se stesso.
 
Ma Blaine sapeva che avevano vissuto un momento fondamentale della loro storia, e adesso lo amava ancora di più, con ogni goccia di vita che il suo corpo conteneva.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Capitolo intenso e spero emozionante. Ora sappiamo il passato di Kurt, vi è piaciuto? Pensavate si sarebbe aperto così tanto con Blaine?
 
Fatemi sapere cosa ne pensate.
 
A Lunedì prossimo con il nuovo capitolo.

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Capitolo 20
*** 20 La trota salmonata ***




Capitolo 20
La trota salmonata
 
Le parole del fratello Cooper ancora echeggiavano nella sua mente come un monito, come un’amara verità… “Prima o poi doveva accadere”.
 
Ed era accaduto, sì, prima del previsto.
 
Non era ancora preparato psicologicamente a sopportare tutto questo, a ritrovarsi con il cuore in gola che lo strozzava, con una tachicardia talmente forte che quasi vedeva i puntini luminosi danzargli davanti agli occhi.
 
Era normale avere la nausea? Imbarazzante.
 
Già pensava con orrore a quante mani avrebbe dovuto stringere di lì a poco, agli sguardi che avrebbe ricevuto subito dopo, mentre in quelle testoline pensieri del tipo “ha le mani che scivolano come una trota salmonata” avrebbero preso corpo e si sarebbero manifestate in espressioni di disgusto e commiserazione.
 
Voleva scendere dall’auto di Kurt, togliersi lo stupido smoking che era stato costretto a indossare, e correre scalzo nella direzione opposta.
 
Invece era lì, trattenuto dalle cinture di sicurezza, mentre Kurt parlava tranquillo, come se niente
fosse, e lui elaborava pensieri più veloce di un computer di ultima generazione.
 
Il suo prolungato silenzio fu un campanello d’allarme per Kurt. «Tutto bene?».
 
Blaine deglutì lentamente. «Sì… no… non lo so».
 
Kurt lo guardò, con un occhio sempre attento alla strada. «Sei meraviglioso, te lo avevo detto?»
 
 
«Sì, ma sentirselo dire di nuovo aiuta».
 
In effetti, quando si era specchiato, si era sorpreso di se stesso, quasi non si era riconosciuto. Era avvolto in un completo di taffetà viola scuro, con una camicia bianca e un papillon dello stesso colore del completo. Blaine aveva speso una piccola fortuna per quel vestito, ma si era sentito costretto a comprarlo, visto che Kurt aveva insistito tanto perché lo accompagnasse all’importante ricevimento di un famoso stilista romano, suo amico.
 
Aveva insistito anche per regalargli il vestito, ma si era rifiutato.
 
Certo, ora si pentiva all’idea di aver mangiato parte dell’affitto del mese successivo, ma gli serviva qualcosa di elegante per l’occasione.
 
Non aveva scelta.
 
Se usciva con Kurt diventava necessario, anche se il suo portafoglio gridava vendetta.
 
Aveva passato tutto il pomeriggio del giorno prima a girare per negozi con Cooper, finché non aveva trovato quello giusto. Era stato amore a prima vista, lo fissava dalla vetrina e l’implorava di essere indossato.
 
In effetti gli donava, e il papillon che aveva scelto Cooper aveva completato il miracolo.
 
Kurt gli prese una mano per infondergli coraggio. Facile per lui, indossava uno smoking e sembrava un sole anche di notte. Una serata del genere era normale amministrazione.
 
Per Blaine era un incubo.
 
«Non avere paura, non ce n’è motivo».
 
«Lo dici tu, questa è la nostra prima uscita ufficiale».
 
Kurt sogghignò, tornando a concentrarsi sulla strada. «Tecnicamente siamo già usciti parecchie volte, quindi non direi che è la nostra prima uscita ufficiale. Anche se, in effetti, siamo rimasti spesso a casa…».
 
 
Blaine arrossì, le sue gote si accesero ancora di più. «Non è il caso che pensi a te nudo, adesso, mi devo concentrare».
 
La risata di Kurt si liberò allegra nell’ambiente.
 
«Non prendermi in giro, Kurt Hummel, qui si tratta di una cosa seria» lo rimproverò accigliato.
 
«Su cosa ti devi concentrare, sentiamo».
 
«Sul non fare gaffe, comportarmi con naturalezza quando dentro sto morendo di una morte lenta e terribile. Sul sorridere, quando la paralisi alla mia mandibola rischia di farmi sembrare Jack “Jocker” Nicholson per tutta la sera».
 
Kurt riprese a ridere. «Sei tutto matto, tu».
 
«Sì, matto da legare ad aver accettato di accompagnarti stasera».
 
«Sciocchezze, ora che stiamo insieme ti dovrai abituare. Non penserai che a queste noiosissime serate io debba andare solo? Mi basta un tuo sorriso e tutto diventa più sopportabile».
 
«Non provare a rabbonirmi, modello dei miei stivali. Lo so benissimo che tu ti diverti a queste serate. Lo dici solo per farmi sentire meglio, ma non funziona».  
 
«Non puoi volermene per averci provato».
 
Blaine mise il broncio.
 
«Ma ti sei visto? Sei splendido, di cosa ti preoccupi? Piuttosto dovrò stare attento che non ti ronzino troppo intorno, o dovranno vedersela con me».
 
«Dovrei sentirmi lusingato, ma non lo sono». Si portò una mano sullo stomaco. Non si era mai sentito così assurdamente delirante e a disagio, e non era neppure arrivato.
 
Ecco, detto fatto.
 
Lo aveva pensato e un attimo dopo Kurt svoltò in una stradina laterale per oltrepassare un cancello in ferro battuto.
 
Erano arrivati.
 
Blaine serrò la mandibola, tanto che gli si indolenzì.
 
Kurt scese dalla Mercedes, lanciando le chiavi al posteggiatore, e andò ad aprire lo sportello di Blaine. Con una mano si strinse a Kurt. Gli occhi del posteggiatore si posarono su di lui, ammaliati, ma Blaine era troppo impegnato a cercare di non fare figuracce per accorgersene.
 
Kurt lo prese sotto braccio e si incamminarono.
 
Due ampie scalinate di marmo conducevano a una balconata da cui si accedeva alla villa. Suoni, risate e musica si diffondevano nell’aria e questo lo paralizzò. Era come se le sue scarpe avessero messo radici nella ghiaia.
 
Kurt avvicinò il viso alla sua guancia e sospirò: «Pensa che non siamo tenuti a restare a lungo. Faremo un giretto, un po’ di public relation, torneremo a casa mia e ti farò dimenticare tutto il resto. È una promessa».
 
«Questo era l’incentivo che mi serviva. Sbrighiamoci e togliamoci il sassolino dalla scarpa».
 
Kurt gli fece l’occhiolino e presero a salire le scale.
 
Vicini erano un prodigio, sembravano nati per essere una coppia e gli ospiti che partecipavano
all’evento mondano non tardarono ad accorgersene.
 
Quando fecero il loro ingresso nell’androne, che si apriva su altre stanze, già piene di ospiti, l’attenzione si spostò sul noto modello e la sua nuova fiamma. Il nome?
 
Chissà… non me lo ricordo… non credo di saperlo… Blaine qualcosa?
 
Blaine aveva i piedi di piombo, camminare con nonchalance si era fatta un’impresa titanica. Si sentiva osservato, analizzato ai raggi X. Gli sembrava di trovarsi in uno di quei sogni in cui ci si accorge di non avere vestiti e di essere al centro di una piazza.
 
Ecco un uomo dai capelli brizzolati e dal sorriso cordiale che andava loro incontro. Anche lui indossava uno smoking. Abbracciò Kurt con affetto. «Sei arrivato, canaglia. Mancavi solo tu».
 
«Dario, ti presento il mio compagno, Blaine Anderson».
 
Blaine allungò la mano, convinto di fare la figura della trota salmonata, quando si vide abbracciare
con la stessa esuberanza di poco prima. «Blaine, mio caro, sei divino. Che abito magnifico, e non è
mio».
 
Il ragazzo incrociò interdetto lo sguardo di Kurt, le cui labbra si serrarono per trattenere le risate.
 
Dario Gualtieri era uno stilista italiano di tutto rispetto, un uomo che aveva lavorato sodo e sapeva creare con tessuti e stoffe vere opere d’arte. Come Hummel aveva già raccontato a Blaine, Dario era lo zio della sua migliore amica, Rachel Berry, nonché uno stilista che amava fargli indossare le sue creazioni nelle sfilate di moda in giro per il mondo.
 
«Troppo gentile, signor Gualtieri».
 
«Per carità, sono solo Dario per te. Sei il benvenuto nella mia casa». Iniziò a gironzolargli intorno, mentre il colore di Blaine cominciava a somigliare a quello di una melanzana. Sfiorò il pantalone con la mano, temendo fosse fuori posto.
 
«Ho un paio di vestiti che ti starebbero a pennello. Kurt caro, portalo all’atelier quando hai un attimo di tempo».
 
«Ma io…», iniziò Blaine, subito interrotto. Dario gli posò un dito sulle labbra e sorrise. «Un corpo
come il tuo merita di essere messo in risalto da un Gualtieri».
 
L’espressione di Kurt sembrava confermare le parole dello stilista e Blaine perse la favella per l’imbarazzo.
 
«Ora, miei cari, devo lasciarvi per un po’. Ho una marea di invitati la metà della quale credo si sia
imbucata. Che cosa divertente, non trovate?». E mentre ancora parlava si dileguò in mezzo a un
gruppetto di uomini e donne che sembravano usciti da una rivista di moda.
 
«Dovresti vederti».
 
«Sono sconvolto, lo sai?».
 
Kurt gli appoggiò una mano intorno alla vita e Blaine sentì il suo calore attraverso il tessuto. Rassicurante ed eccitante. «Vieni, andiamo a bere qualcosa».
 
Appena si mossero furono intercettati da una serie di persone che Blaine trovò indistinguibili l’una
dall’altra. Non un capello fuori posto, un trucco inadeguato, un abito che non meritasse una copertina.
 
Sorrisi, moine, chiacchiere, e poi di nuovo sorrisi e chiacchiere. Cercava di partecipare alle conversazioni improvvisate, provando ad abituarsi a fare un po’ di sana tappezzeria. Per ripagarlo della noia e di un’odiosa sensazione di inutilità, Kurt avrebbe dovuto offrirgli, dopo la festa, un sesso esplosivo, inventarsi qualche nuovo trucchetto e impegnarsi parecchio per farsi perdonare.
 
Nonostante si sentisse una pecora nera in tutta quella scenetta edulcorata, era compiaciuto per il fatto che Kurt avesse insistito a volerlo al proprio fianco. Premuroso, lo presentava a tutti, cercando di coinvolgerlo in discorsi di cui non sapeva niente, di farlo sentire a proprio agio.
 
Era un tesoro.
 
Più di una volta Blaine aveva intercettato degli sguardi curiosi fissi su di sé. Disturbante. Si chiedevano chi fosse quel ragazzo che aveva fatto palpitare il cuore del modello. Si chiedevano quanto sarebbe durata, se il prossimo ragazzo avrebbe avuto i suoi stessi capelli ricci, se avrebbe avuto qualche somiglianza con Sebastian Smythe.
 
Per poco non gli andò per traverso lo champagne che gli aveva offerto Kurt, quando vide materializzarsi proprio accanto a loro l’oggetto dei suoi peggiori incubi.
 
«Kurt…».
 
Alto, statuario, un David sceso in terra…
 
Blaine poteva immaginare, nascosto da qualche parte, un ventilatore che lo seguiva ovunque come se fosse stato nel bel mezzo di un servizio fotografico. Indossava un abito color ghiaccio che fasciava il suo corpo tanto da non lasciare niente all’immaginazione. Il sorriso, che mostrava una dentatura bianca e perfetta, fu l’ultimo pugno in faccia che il signor Anderson si prese dopo averlo passata ai raggi X.
 
Le labbra rosa pallido del velenoso Sebastian si stamparono sulla guancia di Kurt troppo vicino alla bocca.
 
Brutto… str… bippppp
 
«Sebastian». Kurt ricambiò il saluto con un sorriso rilassato e gli presentò subito Blaine. Lui voleva subito rispondere, ma la sua bocca si era accartocciata, come carta spiegazzata. Lui si sentiva un vecchio giornale vicino al Dio che era stato con il suo ragazzo per mesi.
 
Ecco, era meglio bandire un simile immagine dal suo cervello, se voleva far rientrare il cortocircuito che sembrava averlo spento.
 
«Molto piacere». Sebastian lo squadrò in fretta con occhi attenti e fintamente distaccati. Gli diede la mano, con grazia. Ogni suo gesto sembrava studiato, si aspettava di essere immortalato anche in quell’occasione?
 
«Il piacere è mio». Blaine rispose con fredda cordialità. Imparava in fretta.
 
«Che sorpresa trovarti qui, Sebastian. Pensavo fossi a Londra per le sfilate».
 
Il cervello di Blaine registrò l’informazione e la gelosia lo rosicchiò con fastidiosa puntualità. Come
mai pensava che fosse a Londra? Si informava ancora su di lui?
 
«Sì, partirò domani, ma non potevo mancare certo al ricevimento di Dario. Sfilerò per lui a Londra fra un paio di settimane. Che collezione strepitosa».
 
Blaine voleva rifargli il verso, come voleva rifarlo… Aveva una vocina nasale, un tono così basso che
serviva un apparecchio acustico per ascoltarlo.
 
Che urto. Che fastidio!
 
Kurt e Sebastian scambiarono qualche altra battuta. Erano a loro agio, lo dimostrava la loro posa,
la loro tranquillità, i sorrisi rilassati.
 
Cominciava a odiarli tutti e due.
 
Poi si disse che era da stupidi essere gelosi di uno che c’era stato prima di lui. La cosa importante era che adesso si levasse dai piedi, per sempre. Gli avrebbe prenotato un volo di sola andata per la luna, dove avrebbe potuto fare tutte le sfilate che voleva.
 
Qualche volta provava a intervenire, ma Sebastian era furbo e così spostava l’argomento su qualcosa che Blaine non conosceva, per poterlo estromettere. Kurt però gli stava accanto, lo teneva addirittura per mano.
 
Anche se sarebbe stato più carino se avesse troncato quella fottutissima conversazione.
 
Voleva bere un mojito, subito!
 
Infine le sue preghiere furono ascoltate, Kurt tagliò corto e salutò il suo ex con noncuranza.
 
Mentre si allontanavano mano nella mano, Blaine non poté fare a meno di voltarsi e infatti si ritrovò gli occhietti porcini del David che lo puntavano come spilli.
 
Blaine 1, David 0.
 
Gli fece un sorriso del tipo “levati dalle scatole” e tornò a guardare il suo Kurt con aria angelica, anche se dentro si sentiva un demonietto.
 
«Complimenti, il tuo ex è davvero uno schianto». Forse aveva esagerato ma, diamine, a stento riusciva a controllarsi. I paragoni potevano fare male al suo ego.
 
«Tu sei più bello».
 
Blaine rise con onestà. «Certo, come no. Non ti ho detto che ho vinto il concorso di Mrs Universo
l’anno scorso?».
 
Kurt, incurante degli sguardi su di loro, l’abbracciò da dietro e lo strinse tra le braccia, appoggiando il suo mento al capo di lui. «Forse non ti rendi conto che la bellezza esteriore non conta così tanto. La tua bellezza è come un fiore che sboccia, puro, delicato, da ammirare. E tu sei così bello dentro».
 
Blaine rise sollevato e gli diede un pugno sul braccio. «Hai ammesso che non sono così bello fuori,
ma tanto dentro».
 
Kurt ridacchiò, mentre lo faceva girare per guardarlo negli occhi. «Non ho mai parlato di mia madre a Sebastian. Credo che questo basti a farti capire molte cose».
 
Furono poche parole, ma gli toccarono il cuore. Per un attimo Blaine non udì niente intorno a sé, il
chiacchiericcio degli invitati, il musicista che allietava al pianoforte la serata, le persone che sfilavano intorno a loro. Si guardavano innamorati, uniti.
 
Non doveva preoccuparsi di nessun altro, perché Kurt desiderava lui, solo lui e gli aveva fatto dono di se stesso.
 
«Balla con me. Vuoi?».
 
Blaine acconsentì senza proferire parola. Kurt lo prese per mano e lo trascinò in un angolo della sala dove qualche altra coppia seguiva la melodia, lasciandosi andare.
 
Il ragazzo appoggiò il capo sulla spalla di lui, mentre le braccia di Hummel lo avvolgevano, un confortevole spazio in cui abbandonarsi. Non sentiva più il pavimento sotto i piedi. Gli sembrava di volare accanto a lui. Continuarono così per un tempo indefinito, incuranti della presenza degli altri, ma al centro di un’attenta curiosità e di un parlottare sommesso.
 
“Certo che Hummel sembra proprio preso…”
 
“Hai visto c’era il suo ex.”
 
“Sebastian è più bello…”
 
“Ma il ragazzo ha fascino…”
 
“Tu dici?”
 
E bla bla bla…
 
Se solo Blaine avesse intuito di essere sulle labbra di molti, sarebbe fuggito a gambe levate, ma era preso da ben altra attività e per fortuna quel dettaglio fastidioso non lo impensierì.
 
Almeno finché non fu costretto ad andare in bagno.
 
Entrando nella toilette, non poté fare a meno di notare che era la metà del suo appartamento.
 
All’interno c’era un’altra porta. Blaine la chiuse alle sue spalle e quando ebbe finito andò per aprire, ma la maniglia non girava. Sgranò gli occhi con orrore realizzando in un istante che era rimasto bloccato lì dentro.
 
No, no, no, non lui.
 
Già si vedeva costretto a chiedere aiuto.
 
Continuò a sfidare la maniglia, testardo, quando una voce all’altro capo della porta la fece desistere e ammutolire.
 
Sebastian parlava con un altro ragazzo.
 
«Certo che dopo di te, è caduto proprio in basso».
 
«Carino, ma niente di più. Chissà dove ha preso quel vestito. Probabilmente in un mercatino dell’usato. È un modello di due anni fa». Sebastian era tagliente. Se solo fosse uscito da quel bagno, Blaine gli avrebbe stampato un pugno sul naso; di sicuro avrebbe avuto bisogno di una ritoccatina dopo il suo colpo ben assestato.
 
«Non durerà, vedrai. Kurt si stancherà di quell’essere insignificante».
 
«Essere insignificante a chi, brutto stronzo!» brontolò sommesso.
 
«Me lo auguro, penso spesso a lui. Non credevo mi sarebbe mancato tanto quando mi ha lasciato».
 
«È stato un pazzo, amico mio, un pazzo».
 
«Lo credo anch’io». Sebastian rise con la sua vocetta da topino Disney.
 
«Hai mai pensato di riprovarci con lui?».
 
Blaine attaccò l’orecchio alla porta per ascoltare meglio. “Sì, ascoltiamo che hai da dire.
 
«Certo che ci ho pensato. E ci ho anche provato, ma Kurt è stato irremovibile, sai? E ora mi sembra preso da questo ragazzo. Prima ballavano in sala e sembravano esserci solo loro».
 
«Patetici».
 
Sebastian tacque per un istante. «Non mi ha mai guardato come guarda lui, Thad, credo sia davvero innamorato» dovette ammettere riluttante.
 
Blaine si illuminò. Era in estasi, nonostante fosse bloccato dentro la toilette con due stronzi.
 
Voleva solo correre dal suo Kurt e rapirlo, portarlo via da lì e prenderlo in ostaggio per una notte d’amore. Riprese ad armeggiare con la maniglia, con ritrovato entusiasmo, finché all’improvviso la
nemica cedette, sbalzando all’indietro Blaine che si ritrovò seduto sulla ciambella del water, mentre la porta si spalancava e lasciava comparire Sebastian e Thad, stupiti.
 
Blaine sorrise e li salutò con la mano.
 
«Come va?» fece mentre si alzava e passava in mezzo a loro con un ghigno sicuro. Tutta l’incertezza provata fino a quel momento si era disintegrata. Si sentiva un re, tutti dovevano chinarsi al suo regale incedere.
 
Le espressioni colpevoli dei due, colti sul fatto, non passarono inosservate a Blaine, che si guardò allo specchio, facendo finta di sistemarsi i capelli. Ma prima di inforcare la porta che l’avrebbe portato via da lì, si girò a guardarli.
 
«Thad, se vuoi vedere un essere insignificante, guardati allo specchio e Sebastian, ti sei risposto da solo. Kurt mi adora e tu gira al largo, il passato è morto e sepolto, viva il presente». Gli lanciò un bacio volante e li lasciò lì ammutoliti come due baccalà.
 
Blaine, con una nuova baldanza, raggiunse Kurt al piano di sotto. «Mi ero dimenticato di dirti una
cosa». Si sollevò sulla punta dei piedi e lo baciò davanti a tutti.
 
Kurt, piacevolmente sorpreso, lo guardò interessato, quando lui si staccò. «Che ne dici se ce ne andiamo e continuiamo con il nostro programmino serale?» domandò con aria complice.
 
«Credevo non me lo avresti più chiesto, modello dei miei stivali».
 
E sotto gli occhi di tutti, dopo aver salutato e ringraziato Dario per l’ospitalità, Kurt Hummel e Blaine Anderson uscirono a braccetto, pronti per una notte di passione e divertimento.
 
Al diavolo tutto il resto.



NOTE DELL’AUTRICE:
Mi scuso per l’assenza prolungata ma sto avendo un sacco di problemi, salute compresa… Abbiate pazienza! La ff è terminata quindi sarà portata avanti fino alla fine, solo con un po’ di pazienza. Spero di poter riprendere le due pubblicazioni a settimana dalla prossima!!!
Spero che il capitolo vi è piaciuto o in caso contrario scrivetemi!

Alla prossima pubblicazione, credo tra martedì e mercoledì…

Corro a lavoro… Un bacio a tutti!

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Capitolo 21
*** Clark Kent ***




Capitolo 21
Clark Kent
 
Cooper aveva un broncio che arrivava fino a terra, mentre con le gambe accavallate, pinocchietti neri e una maglietta con su scritto Twilight forever, sfogliava una rivista con la grinta di un pugile pronto a un primo round. «Potevamo fare un’uscita a quattro».
 
Blaine uscì dalla camera da letto, si infilò un giubbotto di pelle color crema, sopra i suoi jeans attillati.
 
«Kurt voleva presentarmi la sua migliore amica, avrà preferito una cosa intima».
 
«Un’orgia privata».
 
Blaine rise mentre afferrava il portafogli e le chiavi della macchina. «Comunque tu hai una ragazza e non dovresti voler uscire con un’altra».
 
Cooper ridusse gli occhi a una fessura e lo studiò attento. «È cosa recentissima, tipo questa mattina, ma non ho più una ragazza».
 
Blaine si fermò sull’uscio per poi tornare indietro e sedersi accanto a lui, corrucciato. «Cos’è successo?»
 
«Niente di grave, non temere». Cooper ammorbidì i lineamenti del volto e gli sorrise per rassicurarlo. «Era carina, simpatica, tutto quello che vuoi, ma non è scattata la scintilla. Quando un ragazzo pensa di più a superare un provino che a fare puci puci bau bau con la propria ragazza, qualcosa non va, non credi?».
 
«Potevi parlarmene» fece con voce triste, temendo di essere stato talmente distratto da non aver colto magari dei segnali lanciati dal fratello.
 
Cooper gli prese la mano e la strinse forte. «Stai vivendo un momento magnifico della tua vita e volevo che per una volta ti concentrassi solo su te stesso. Pensi sempre a me, volevo ricambiare il favore… E credimi, non c’era davvero molto da dire. Era un fuoco di paglia. Non ci ho neppure fatto l’amore».
 
Blaine sospirò. «Non eri sicuro, eh?»
 
«Inizio a volere qualcosa di speciale, come i fuochi d’artificio in un giorno di festa. Stella non era la persona giusta, era un break pubblicitario tra il primo e il secondo tempo di Honey, capisci?».
 
Blaine scoppiò a ridere. «Jessica Alba è irraggiungibile, fattene una ragione».
 
«Potrei incontrarla in un ascensore» sghignazzarono insieme come due bambini.
 
«Tutto può essere…» ammise Blaine. «Se io sono il ragazzo di Kurt Hummel, tu potresti diventarlo della Alba».
 
«Blaine, io voglio la mia Wonder Woman, quella che mi faccia volare con un sorriso, e che mi sciolga tutto con i raggi che partono dai suoi occhi. Voglio la mia eroina personale e se mi invitavate stasera a questa cenetta a tre, avrei avuto una chance in più di incontrarla. Magari si trattava proprio di Rachel» borbottò con finta stizza, incrociando le braccia sul petto.
 
«La prossima volta cercherò di combinare. Ma magari Rachel non è la tua eroina».
 
«Chissà?». Gli fece l’occhiolino.
 
Blaine scosse la testa e si alzò. «Sicuro che vada tutto bene? Potrei rimanere a farti compagnia, avviso Kurt e…».
 
«No, fratellino, vai e divertiti. Ho come l’impressione che Kurt ti stia sottoponendo a tante prove, e le stai passando tutte. Fatti amare da Rachel, e vedrai che il modello non te lo levi più di torno».
 
Sollevò le sopracciglia con aria di chi la sa lunga.
 
«Ma finiscila…».
 
E mentre Blaine usciva dalla porta d’ingresso, udì il fratello gridargli: «Vedrai che divertimento quando gli presenterai la mamma. Altro che prova, sarà un percorso di sopravvivenza per lui. Povero Kurt».
 
«A domani, pazzo furioso». Blaine lo salutò senza voltarsi, mentre un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero di quando sarebbe accaduto.
 
 
***
Era davanti alla porta blindata dell’attico. Credeva non fosse il caso di entrare con la chiave di Kurt. Poteva udire distintamente dall’altra parte le voci dei due che ridevano. Non voleva dare l’impressione di spiarli, così suonò il campanello.
 
La realtà era che aveva sentito così tante storie su Rachel  Berry che gli sembrava di conoscerla. Sperava di andare d’accordo con lei, per Kurt, per farlo contento.
 
Kurt, jeans e maglietta casual, gli aprì con la risata ancora stampata sulle labbra. «Ciao tesoro, vieni». Lo tirò dentro e lo aiutò a togliersi il giubbotto. «Stavamo parlando di un episodio che è successo oggi a Rachel».
 
«Tutte a me!». Una voce allegra e solare echeggiò nell’ambiente e Blaine sorrise d’istinto.
 
Kurt e Blaine entrarono nella sala mentre Rachel stava già andando loro incontro con la mano tesa. «Piacere, sono la famigerata amica di Kurt, Rachel».
 
Blaine rimase spiazzato per un istante. Se si era aspettata un’altra ragazza da copertina, si era davvero sbagliato, e ne fu piacevolmente sorpreso.
 
Rachel non era alta, aveva i capelli lunghi e castano scuro e due rughette d’espressione ai lati della bocca quando sorrideva, occhi luminosi, nascosti dietro una frangetta para, un naso un po’ a importante, e un mento morbido e arrotondato. Nell’insieme si poteva definire carina, niente di paragonabile a Kurt o alle modelle che gli aveva presento alla festa e alla loro prorompente fisicità. Indossava una maglietta con una renna stampata e una gonnellina svizzera sulle ginocchia. Le piaceva già.
 
«Ammetto che mi ha parlato spesso di te» confermò Blaine.
 
«E a me di te. Amico mio…» disse dando una pacca sulla spalla di Kurt, «mi hai fatto una testa così, lo sai?». Simulò un grande pallone con le mani e, voltando loro le spalle, tornò verso la tavola da pranzo.
 
«Devi sapere che Rachel muore di fame». Kurt e Blaine la raggiunsero. E fu a quel punto che arrivò Spank, ma questa volta, invece di interessarsi alle caviglie di Blaine, si accoccolò ai piedi di Rachel. Se fosse stata una gattina avrebbe fatto le fusa.
 
«Stamattina ho dovuto saltare il pranzo, era giornata di visite e avevo tanti pazienti da seguire», si giustificò con un leggero rossore sulle guance.
 
«Fai la veterinaria, giusto?» le chiese Blaine.
 
«Sì, è così».
 
«Rachel adora gli animali, i cani sono la sua passione. Dice sempre…».
 
«Che mi piacciono più i cani delle persone» concluse Rachel per lui. «Sai, Blaine, temo che abbia ragione, ma anch’io ho le mie eccezioni». Gli fece l’occhiolino e si mise il tovagliolo sulle gambe.
 
«Allora chef? Qui c’è gente che ha fame!».
 
Kurt scosse la testa e sparì in cucina.
 
«Ma dimmi, cosa ti è successo stamattina? Mi hai incuriosito non poco».
 
«Ti capitano mai giornate in cui pensi di essere finito nel Triangolo delle Bermude? Tutto si calibra per rendere la tua vita una specie di inferno».
 
Blaine scoppiò a ridere mentre Kurt tornava nella sala con due guantoni da forno a scacchi rossi e una pirofila fumante.
 
«Posso confermare» si intromise appoggiando al centro della tavola uno sformato di patate dall’aspetto succulento.
 
«Se è per questo anche io, ma ho avuto modo di verificare che da giornate come queste possano nascere buone premesse per il futuro». Gli occhi di Kurt e Blaine si allacciarono per un breve istante.
 
«Fermi là voi due, parlavamo di me e non della vostra storia d’amore» li apostrofò mentre si serviva una generosa porzione di sformato.
 
«Giusto, allora?» lo incitò il ragazzo.
 
Rachel servì anche lui, poi riprese a narrare. «Tutto è cominciato con una fila alle poste che non finiva più. Sono un tipo paziente, lo sanno anche i muri, ho perfino fatto passare avanti una signora anziana…».
 
«La solita brava ragazza».
 
«Taci tu, uomo immagine. Dicevo, quando è arrivato il mio turno di ritirare una raccomandata, è successo il finimondo. Allarme antincendio. No, quando mai capita a una povera disgraziata di trovarsi alle poste mentre suona l’allarme antincendio? Ci hanno fatto uscire in fretta, hanno chiamato i pompieri eccetera eccetera… Ho aspettato fuori, ma si è fatto tardi, dovevo correre in ambulatorio e così sono scappata via. Ergo non ho la mia raccomandata. Comunque arrivo in ritardo per la prima visita. La cliente, la padrona di una barboncina dolcissima, ha iniziato a sbraitare, sembrava l’indemoniata dell’Esorcista. E mentre io cercavo di calmarla, sentendola brontolare, i cani in sala d’attesa si sono messi ad abbaiare. Sembrava di trovarsi in un film catastrofico. La fine del mondo è vicina…».
 
Blaine si gustava la sua cena e rideva. «La tua amica è simpatica, modello dei miei stivali, non come te. Sempre così noioso».
 
«Ah, ma grazie!», rise Kurt spalmandogli sul naso un pezzo di patata.
 
«Uffa», brontolò lui, togliendosela come se scacciasse di torno una mosca che ronza fastidiosa.
 
«Faccio lo spiritoso».
 
Rachel rise mentre sorseggiava un po’ di vino. «Ero veramente curiosa di conoscerti, Blaine».
 
«Anch’io, credevo sarebbe successo alla festa di tuo zio l’altra sera».
 
Rachel si tolse gli occhiali appoggiandoli accanto al suo piatto e sogghignò. «Per carità, Dio me ne scampi. Non mi vedrai mai a quelle pallosissime feste per babbei imbalsamati e tirati a lucido. Esclusi i presenti, ovviamente».
 
Blaine si unì a lui. «Ovviamente».
 
«A parte gli scherzi, il glamour, i riflettori, le feste in generale non fanno per me. Sono una tipa riservata, mi piace leggere e starmene per i fatti miei, anche se non sembra perché sono tanto aperta e cordiale e simpatica. Sono simpatica, vero, Blaine? Puoi dirmelo di nuovo se vuoi».
 
«Direi anche pazza da legare».
 
«Il ragazzo mi piace». Si rivolse a Kurt sfregando le mani.
 
«È mio, gira al largo».
 
«Quanto la fai lunga, sei proprio noioso, ha ragione lui».
 
Scoppiarono a ridere tutti insieme, l’atmosfera non poteva essere più rilassata. Blaine non avrebbe potuto sperare di meglio, quando il cellulare di Kurt squillò. «Ops, il mio agente, che vorrà a quest’ora? Scusatemi».
 
Mentre si allontanava, catturando l’attenzione di Blaine che ancora si stupiva di essere tanto fortunato da averlo tutto per sé, Rachel gli si avvicinò leggermente con aria seria e quasi cospiratoria. «Sai che ti dico? Grazie per essere entrato nella sua vita».
 
L’uomo rimase sorpreso dalla sua uscita, così diretta da spiazzarlo. «Io non so…».
 
«Lasciati dire che Kurt è una gran persona e sono sicura che tu te ne sia già accorto. Non è il modello vanesio che tutti credono, è una persona vera, e con te è felice, davvero felice come non lo vedevo da tanto, forse come non l’ho mai visto. Per me Kurt è un po’ come il fratello che non ho avuto, ci conosciamo da moltissimi anni, ma ha sempre fatto fatica ad aprirsi con gli altri fino in fondo, per la precisione con i suoi ragazzi, ecco».
 
«So che ha avuto molte storie prima di me». Una punta di gelosia lo pungolò, ma l’allontanò. Inutile arrovellarsi sul passato.
 
«Esatto, storie… che sono finite, che non gli hanno lasciato nulla. Kurt cercava di più, voleva di più e sei arrivato tu».
 
Un groppo alla gola, un misto di contentezza e stupore, gli impedì di parlare o mostrare qualsiasi altra reazione. Ma non era necessario. Rachel voleva continuare. «So che ti ha raccontato della madre. Sappi che solo tu e io conosciamo questa storia. Te lo dico per farti capire quanto sia importante la vostra relazione per lui. Non farti influenzare dal mondo patinato che lo circonda, quello non è lui. È la sua corazza. Se ho compreso come sei fatto, dai racconti di Kurt, non sei uno che si fa abbindolare dall’apparenza. Però fa’ in modo che l’apparenza non vi danneggi, ok?». Si interruppe perché Kurt era tornato nella stanza.
 
Blaine era come intontito.
 
Mentre Kurt parlava della telefonata, continuò a ripensare alle parole di Rachel. Lo stimava, lo approvava e soprattutto era felice per Kurt, e quella felicità era contagiosa. Non aveva esitato a esporsi per difendere l’amico e la loro storia d’amore appena nata.
 
Se la prima impressione era stata buona, adesso Blaine aveva la certezza che Rachel sarebbe potuta diventare anche sua amica, che si sarebbe potuto fidare di lei. Di sicuro era più che mai fiducioso, e si godette la bella serata, in compagnia di due persone tanto diversi ma speciali.
 
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Mi scuso per la poca frequenza degli aggiornamenti e delle recensioni non risposte, ma sono stata piuttosto male questa settimana, a parte il lavoro, la scuola e la miriade di casini che è la mia vita, sono anche stata piuttosto debilitata. Non che ora sto bene, ma se non pubblicavo oggi mi sarei sentita davvero una merda ^^’
 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con una recensione…
Un bacio a martedì con il prossimo capitolo!!
 

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Capitolo 22
*** Novità e parole. ***


Capitolo 22
Novità e parole
 

Quella mattina gli sembrava di toccare il cielo con un dito, con tutta la mano, con tutto il corpo.
 
Anzi avrebbe potuto volare via, tanto si sentiva leggero. Una data da segnare sul suo calendario.
 
Dopo quattro settimane esatte dal ritorno dalla montagna, Blaine Anderson aveva trovato lavoro. Ora poteva dire che la sua vita era assolutamente perfetta, un impasto ben riuscito di amore, sesso e adesso anche dovere. Non gli sembrava vero di poter contare su uno stipendio mensile. Ormai l’affitto lo stava dissanguando, era questione di poco e si sarebbe davvero ridotto a mendicare aiuto alla sua famiglia. Da Kurt non avrebbe mai preso neppure un centesimo, era questione di orgoglio, anche se lui gli aveva proposto di aiutarlo in qualche modo. Blaine aveva però rifiutato qualsiasi tipo di sostegno, poteva accontentarsi di un affettuoso supporto morale e magari di qualche coccola.
 
Avrebbe fatto tutto da solo. Un laureato brillante come lui non poteva accettare la sconfitta né l’elemosina. L’idea di fare la guida turistica per la città non gli dispiaceva affatto. Accompagnare turisti stranieri per le vie del centro storico per raccontare aneddoti, curiosità e magari qualche notizia sulle location dei film girati a New York sembrava piacevole. La conoscenza di tre lingue e la sua allegria finalmente avevano fatto breccia in un muro di indifferenza e gli avevano permesso di trovare un’occupazione. Avrebbe macinato chilometri a piedi, sarebbe diventato un provetto maratoneta, ma se fosse stato fortunato si sarebbe anche divertito, avrebbe conosciuto gente interessante e fatto nuove esperienze. Voleva essere fiducioso e, cosa più importante, voleva dirlo a Kurt.
 
Salì sul primo autobus, e dopo circa mezz’ora, accaldato e spiegazzato come un cencio, Blaine raggiunse il palazzo che si affacciava su Central Park.
 
Ormai l’androne, le scale, e il pianerottolo dell’attico in cui viveva Kurt gli erano diventati familiari.
 
Con aria sognante e una grande gioia che gli agitava il petto, si ritrovò a fermarsi davanti a uno specchio che era appeso nel lungo corridoio. Si ravviò i capelli e sistemò la giacca del completo. Si sentiva sciocco a volte, ma da quando stava con Kurt, aveva imparato a curarsi di più e, se anche non si poteva definire un maniaco della cura dell’aspetto, cercava di apparire sempre in ordine e carino. In verità Kurt lo guardava sempre come se fosse l’unico uomo sull’intero pianeta. Era una sensazione nuova, mai nessuno l’aveva fatto sentire così.
 
Kurt era premuroso, dolce e sapeva come farlo sentire un uomo. Era un amante formidabile e delicato, che gli donava il piacere senza fretta, attento alle sue esigenze, ma anche appassionato.
 
Blaine dormiva spesso con lui, a casa sua. La mattina lo stringeva tra le braccia, gli portava la colazione a letto o gli dedicava un bel brano al pianoforte. Sembrava fossero ancora in vacanza, quattro settimane da sogno che non avrebbe mai potuto dimenticare. Ogni fibra del suo essere era vivo.
 
Si fermò davanti alla porta e vi appoggiò il palmo della mano, emozionato. Una piccola parte di lui si sentiva debole ed esposto come non mai. Il suo attaccamento per Kurt era diventato potente, e questo lo spaventava. Ma non voleva assecondare quel lato di sé così fastidioso. Perché doveva rovinare tutto? Non avrebbe sabotato di nuovo quella storia.
 
Aprì la porta e il profumo di caffè gli stuzzicò le narici. Sorrise. Richiuse l’uscio alle spalle e appoggiò le chiavi sul mobile dell’ingresso. Un ringhio sommesso e fin troppo noto attirò la sua attenzione.
 
Spank era a pochi centimetri da lui e lo fissava con quei suoi occhietti vispi. Poteva intravedere i suoi denti affilati da dietro il musetto.
 
«Non ci provare, non puoi azzannarmi ogni volta i pantaloni».
 
Spank continuava a puntarlo mentre Blaine si spostava quatto quatto per oltrepassarlo. La cagnolina si mosse verso di lui.
 
«Su, Spanky cara, si può sapere che ti ho fatto?».
 
Con un’occhiata sembrava rispondere, “hai invaso il mio territorio, Kurt è mio”.
 
Quell’incontro di sguardi durò per un minuto buono, nemici che si studiavano per colpire il punto debole dell’avversario, quando la voce di Kurt li distrasse. Entrambi si voltarono a guardarlo sospettosi.
 
L’uomo scosse la testa e rise. «Prima o poi andrete d’accordo, voglio sperare».
 
«Se fai capire alla tua Spank che ci tengo alle mie caviglie, andremo d’amore e d’accordo».
 
Kurt allungò la mano e lo prese per la vita, attirandolo verso di sé e accogliendolo tra le sue braccia, mentre continuava a guardare Spank. «Fai la brava, voglio baciare il mio ragazzo». La cagnolina capitolò poco convinta e si allontanò a coda bassa.
 
Kurt catturò la bocca di Blaine con la propria e lo baciò con meticolosa cura, mentre lui si lasciava andare a quel benvenuto entusiasta.
 
Infine appoggiò le mani sul petto di Kurt, avvertendone la compattezza sotto la camicia di lino grigio. Si staccò da lui a malincuore e lo fissò con occhi adoranti. «Ho una grandiosa notizia».
 
«Anche io…». D’impulso lo sollevò e lo prese tra le braccia per portarlo verso il grande divano a elle.
 
«Prima tu» fece Kurt curioso, tenendolo per mano.
 
«Oggi mi hanno assunto. Ti ricordi che ti avevo parlato di quell’agenzia che organizzava escursioni guidate per le vie di New York o per le location di film? Mi hanno preso, inizio a lavorare tra una settimana. Prima dovrò fare un affiancamento con una collega, studiare gli itinerari e poi potrò portare alcuni gruppi di turisti in giro e parlare loro della bellezza di New York. Non è incredibile? Per fortuna avevo già il patentino, altrimenti avrei perso una grande occasione».
 
Kurt rimase per un attimo interdetto, infine abbozzò un sorriso e l’abbracciò. «Sono molto fiero di te».
 
Il ragazzo lo tenne stretto a sé, ma senza entusiasmo. Aveva fatto qualcosa che l’aveva infastidito senza accorgersene? Cercò il suo sguardo. «Ora tu».
 
Kurt si fece pensieroso. «Presto partirò per l’Italia, mi hanno proposto alcuni spot pubblicitari per una nota birra locale e d’accordo con la mia agente ho accettato».
 
«Ma è fantastico, è…». Il sorriso gli si spense con un oh dipinto sulle labbra.
 
«Avrei tanto voluto che venissi con me, si parla di almeno tre settimane, Blaine. Ma non posso rinunciare. Il compenso è ottimo. È una grande opportunità». Si stava scusando.
 
Entrambi si guardarono malinconici. La realtà aveva finito per bussare alla loro porta. Kurt era un uomo che viaggiava per lavoro, Blaine un ragazzo che aveva appena trovato un impiego che gli avrebbe permesso di mantenere la sua indipendenza economica senza doversi sentire un fallito.
 
Niente più viaggi insieme come a Chamonix, se non durante le ferie di Blaine. Sarebbero rimasti spesso distanti, il lavoro lo avrebbe portato lontano da lui. Un velo gli coprì il cuore.
 
Se lo lessero negli occhi che avevano imparato a conoscersi, a capirsi.
 
«Dobbiamo essere contenti, sono due fantastiche opportunità per entrambi» accennò Kurt cercando di ritrovare il proprio entusiasmo.
 
«Sì, hai ragione e non possiamo stare sempre insieme, non è salutare per una relazione». Va bene, era una cavolata, ma poteva reggere, l’avrebbe aiutato a ritrovare il suo equilibrio perché in quel momento l’idea di Kurt in Italia senza di lui era una pugnalata in pieno petto e gli faceva venire voglia di piangere. Ma si trattenne e lo strinse a sé. «Dovevamo aspettarcelo, prima o poi doveva capitare».
 
Lui gli accarezzò la schiena, con tenerezza e pazienza. «Temo di sì, per lavoro sono abituato a viaggiare e tu non sei più libero di poterlo fare. Come ti avrei voluto con me… Già pregustavo i nostri momenti insieme. Ma sarei un egoista a insistere. Non sarebbe giusto per te».
 
«Ho bisogno di questo lavoro, Kurt».
 
«Io potrei…».
 
Blaine lo bloccò posando un dito sulle labbra di lui. «No, non dirlo… Sai come la penso. Per me è inaccettabile».
 
Il silenzio cadde tra loro, quando lo ruppe Kurt. «Credo di amarti Blaine, anzi, in questo preciso istante ne sono certo».
 
Il ragazzo rimase muto, la tristezza che aveva sentito calare su di sé, fu spazzata via da poche, semplici parole. Le uniche parole che avrebbe voluto udire, che gli davano speranza per il loro futuro, nonostante le difficoltà che si intravedevano all’orizzonte. Sarebbe diventata una relazione a distanza la loro, più lontani che vicini, più separati che uniti? Adesso non voleva pensarci, aveva ricevuto la dichiarazione della sua vita.
 
Si aggrappò a lui sentendo che le lacrime, fino a quel momento trattenute, erano pronte a liberarsi.
 
«Non dovresti dirmi qualcosa anche tu?» gli sussurrò mentre le labbra baciavano i suoi capelli con una tale tenerezza da aumentare la sua commozione.
 
Blaine trattenne un sorriso, mentre gli occhi continuavano a riempirsi di lacrime, pronte a inondare la camicia di Kurt. «Cosa ti fa pensare che abbia qualcosa da dire?»
 
«Blaine Anderson, sto aspettando».
 
Kurt lo sapeva e questo lo riempiva di esultanza, lo capiva meglio di chiunque altro. Com’era possibile? Era un vero prodigio.
 
«Sarei banale a dirtelo ora, non credi? E non vorrei mai sembrarti banale. Ti stancheresti di me».
 
«Ah, è così? Io ti apro il mio cuore e tu mi prendi in giro? Vuoi la guerra, eh?». Kurt era di nuovo allegro, la tristezza aveva vita breve in un animo positivo come il suo. Una benedizione per entrambi.
 
Iniziò a fargli il solletico e Blaine si ritrovò all’improvviso schiacciato contro il divano e il corpo caldo e invogliante di Kurt sopra di sé. «Ti arrendi?»
 
«Mai, modello dei miei stivali».
 
Kurt gli mordicchiò il lobo dell’orecchio e lui sentì tanti piccoli brividi lungo il corpo. Mugugnò. Kurt cominciò a sbottonargli la giacca e con le mani curiose iniziò a intrufolarsi sotto la camicia.
 
Con le dita lambì e sfiorò la pelle pulsante e sensibile.
 
«Non è giusto, stai barando, vuoi costringermi a una confessione». Sarebbe stato più credibile se non avesse sospirato?
 
«Con ogni mezzo, anche il più scorretto e sleale. Non uscirai di qui senza avermi dichiarato amore eterno».
 
«Vanesio».
 
«Sincero».
 
«Meraviglioso».
 
«Divino».
 
«Ti amo, Kurt» ammise con estrema dolcezza, accarezzandogli il viso.
 
Kurt gli sorrise con un’espressione del volto che gli rivelò tutto il suo sentimento. Ma con le parole continuò a giocare con lui. «Non così presto. Ho in mente di usare altri trucchi molto convincenti. Non puoi cedere così facilmente».
 
«Ma come… ti ho detto che ti amo» lo punzecchiò facendo l’offeso, desiderando che continuasse a torturarlo.
 
«Allora dimostramelo, parleremo più tardi». Parole liquide che scivolarono dentro di lui e lo fecero fremere di una sensualità pronta a sprigionarsi.
 
E giocò con lui e per lui, lo assaporò e modellò, gli dimostrò che fare l’amore era un atto sublime, fatto di passione, affetto e altruismo. Gli fece dimenticare ogni cosa. Esistevano solo loro e quello che provavano l’uno per l’altro.
 
Il resto poteva attendere.
 
Il resto non contava.
 
 
 NOTE DELL’AUTRICE:
Finalmente si sono aperti l’uno all’altro!!! Si amano ragazzi, si potete urlarlo.
Come promesso, scusatemi per il ritardo, ma ecco a voi il nuovo capitolo!
Fatemi sapere se vi è piaciuto, per qualsiasi cosa sono qui!
 
A giovedì con il prossimo aggiornamento…

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Capitolo 23
*** Dov'è un caminetto quando serve? ***



Capitolo 23
 Dov’è un caminetto quando serve?
 

Blaine aveva cominciato a lavorare. Ormai il suo impegno giornaliero non consisteva più nel cercare annunci degni di tale nome; poteva puntare con fierezza la sveglia, una sveglia nuova che funzionava, e andare a lavoro. Parola favolosa! 
 
La sera prima si era preparato bene il percorso da seguire con il suo primo gruppo di turisti inglesi arrivati in città. Voleva apparire professionale, simpatico e sicuro di sé. Interessare venticinque persone non era cosa da poco. Aveva deciso di sposare sacro e profano, storia e cinema, in un mix che avrebbero adorato. Ne aveva parlato al suo capo ed era rimasto entusiasta della proposta. Era un buon primo passo per lui. Voleva far capire di essere intraprendente ed efficiente, un ottimo acquisto di cui non pentirsi.
 
Eppure c’era quell’ombra che proprio non si voleva allontanare. Kurt sarebbe partito il giorno successivo per Roma, la mecca del cinema e dei VIP, e sarebbero rimasti separati per tre settimane. Era cosciente che non fosse un tempo così lungo da dover scatenare paure d’amore, ma era un tempo incredibilmente lungo se si pensava che erano all’inizio della loro relazione.
 
Ma non voleva rovinare il suo primo giorno di lavoro. Era troppo elettrizzato, voleva fare bella figura e mettere in mostra la sua padronanza delle lingue straniere, che per fortuna aveva sempre tenuto ben allenate.
 
Tre ore dopo Blaine si dava del genio per aver comprato un paio di mocassini comodi bordeaux scuro. Soldi bene spesi perché i piedi ancora non gridavano aiuto.
 
Chiacchierò piacevolmente con alcuni turisti, rispose con pazienza alle loro domande, li condusse in angoletti suggestivi e mostrò le maggiori attrazioni del centro di New York. Le ore passarono e si ritrovò in prossimità di Central Park, mentre il sole era alto nel cielo e l’aria si era scaldata in quella giornata di ottobre. Il suo istinto lo spinse a cercare il tetto della casa di Kurt, ma da quell’angolazione era impossibile vederlo.
 
Una turista sui cinquant’anni dalla parlantina sciolta gli chiese se potevano fermarsi a bere qualcosa in un bar e Blaine si sentì più che lieto di accontentarla. Cominciava ad avvertire una certa stanchezza e un piccolo break non gli avrebbe fatto male. Trovarono un locale che faceva al caso loro, con i tavolini all’aperto. Si sistemarono tutti, compreso Blaine, e ordinarono.
 
Il ragazzo si ritrovò a divertirsi con quella compagnia allegra e interessata. Era veramente contento e per qualche ora aveva dimenticato che presto Kurt sarebbe partito. Forse il lavoro l’avrebbe aiutato a far volare le settimane senza di lui.
 
Era di nuovo propositivo e fiducioso. Andava tutto benissimo, era un bel periodo della sua vita.
 
Il migliore grazie a Kurt.
 
Stava sorseggiando la sua acqua tonica con un sorriso ebete stampato sulla faccia, quando intercettò la conversazione di due ragazze che sedevano al tavolo vicino al suo. La sua mente recettiva scattò sull’attenti quando il nome di Kurt Hummel fu pronunciato, accompagnato da risatine e sospiri. Si spostò leggermente sulla sedia, come se scottasse, ma la realtà era che tentava di avvicinarsi senza dare troppo nell’occhio.
 
Erano due giovani, sui vent’anni, e stavano sfogliando una rivista. Blaine allungò il collo con tutta la nonchalance possibile in una situazione potenzialmente imbarazzante.
 
«Accidenti che figo, beato lui. Perché deve essere gay?».
 
«Se penso che si struscia su di lui. E guarda la sua mano, no dico, Alice, guarda».
 
Anche Blaine voleva guardare.
 
Di chi accidenti parlavano? Potevano averli di nuovo fotografati da qualche parte insieme?
 
Ma loro la mano la tenevano sempre nei posti giusti quando erano in pubblico. Allungò ancora di più il collo, stile giraffa. «E poi la Thailandia, no dico la Thailandia, da queste foto sembra così romantica».
 
«Come me la farei una notte di sesso sfrenato con Kurt Hummel così nudo in Thailandia».
 
L’amica scoppiò a ridere. «Solo tu, vero?»
 
«Immagino di no». Rise anche l’altra ragazza mentre un’ombra si impossessava del viso di Blaine.
 
Thailandia, nudo, mano, uomo… che evidentemente non era lui.
 
Faccia tosta, armi in spalla, era ora di andare in guerra. La goccia che fece traboccare il vaso fu: «Certo, povero il ragazzo di quest’uomo, sempre che ne abbia una».
 
«Mi pare di sì, credo di avere letto qualcosa su Facebook recentemente. È un ragazzo comune, non è nel mondo dello spettacolo. Ma perché povero? Kurt se lo fa davvero».
 
«Sì, ma quanto vuoi che duri, guarda qua» scoppiarono a ridere.
 
Blaine prese un lungo respiro per cercare di calmare la rabbia che gli stava montando dentro, una rabbia rivolta verso nessuno in particolare… ancora.
 
«Scusate ragazze».
 
Le due sollevarono il capo che era praticamente incollato alla rivista e lo fissarono incuriosite.
 
«Sì?» fece una delle due con semplicità.
 
«Anch’io sono un grande fan di Kurt Hummel e non ho potuto fare a meno di sentirvi. È uscito un suo servizio fotografico?»
 
«Uhhh, sì, guarda». Entusiaste di aver trovato un ammiratore di quel modello con un corpo da favola, spostarono la rivista perché lui potesse vederlo.
 
Blaine si pietrificò mentre una delle ragazze la sfogliava, mostrandogli le foto del suo ragazzo praticamente nudo con un uomo praticamente nudo che gli si strusciava addosso, e sì… dietro c’era un sfondo orientale, probabilmente Bangkok, ma cosa importava quando i suoi occhi dardeggiavano su quei corpi, unti, aggrovigliati che mostravano brandelli di biancheria intima e mani nei punti in cui non dovevano stare?
 
Il sangue gli ribolliva nelle vene, si stava trasformando in veleno. Cercò di mantenere il controllo davanti alle sconosciute che non avevano altra colpa se non essere delle sbavatrici professioniste sul corpo discinto del suo ragazzo.
 
«Ah… però» fu il massimo che fiato e bocca riuscirono a coordinare.
 
«Che corpo, eh? E beato questo modello. Averlo potuto toccare così. Sospiriamo».
 
«Sì, sospiriamo» disse Blaine con voce a malapena controllata mentre cominciava a sentire i fumi della gelosia che gli incendiavano la testa e il cuore.
 
Era livido. Che gli succedeva?
 
Non era da lui avere una simile reazione. Per il suo ex non aveva mai provato nulla di simile, tanto che era convinto di non essere un tipo possessivo e geloso.
 
E ora invece aveva istinti folli da dominare.
 
E accidenti, il suo gruppetto lo richiamava all’ordine. Salutò le due ragazze cercando di sembrare naturale come poteva esserlo un incendio al Polo Nord e riprese il suo giro. Aveva la testa talmente distratta che era convinto di aver raccontato un mucchio di scempiaggini a quei poveretti. Il suo entusiasmo era stato schiacciato dal peso della gelosia.
 
Non fece altro che controllare l’orologio, fino al momento in cui restituì all’autista il gruppo come se fosse un pacco postale. Appena si furono allontanati, con passo celere Blaine si avvicinò alla prima edicola e comprò una copia della rivista.
 
Sì, voleva farsi del male, anzi no, voleva farne a Kurt che non si vergognava affatto, che non aveva un minimo di pudore, che per soldi faceva servizi così osé da trovare perfino l’approvazione di sua madre.
 
Era un incubo.
 
Sarebbe andata sempre così? Avrebbe visto i suoi servizi e sarebbe andato su tutte le furie, sentendosi violato, sentendo violato quello che c’era tra loro?
 
Il modello, dove accidenti aveva la sua stramaledetta mano? Infilata nelle mutande di Kurt… E che cosa poteva importargli della marca? E chi era il fotografo che aveva fatto quegli scatti indecenti?
 
Era pronto a scoppiare, come una pentola a pressione.
 
Era geloso, geloso, geloso.
 
Cooper era seduto sul divano con in mano il libro e l’evidenziatore, intenta a studiare il copione per un prossimo provino, quando sentì la porta d’ingresso aprirsi. Voleva assolutamente sapere dal fratello com’era andata e rimase a bocca aperta quando lo vide entrare nella stanza, arruffato, con un’espressione accigliata e una pila di riviste in braccio che scaraventò a terra come una furia.
 
«Che accidenti stai facendo?». Cooper si alzò e ne raccolse una. «Uh, l’ultimo numero di “Guys &
Dolls”». Guardò la cover, poi la faccia del fratello e le cover delle copie a terra. Tutte uguali.
 
«Fammi capire, vuoi regalare a parenti e amici questo numero con il tuo ragazzo in copertina?». A stento trattenne una risata.
 
«Non ti ci mettere anche tu, ok? Mi sono trasformato in Glenn Close di Attrazione fatale, proprio come temevo. È terribile». Si lasciò cadere sul divano e si prese il volto tra le mani.
 
Cooper si sedette accanto a lui e cominciò a sfogliare la rivista, alla ricerca del servizio fotografico incriminato. Arricciò il naso, comprendendo subito lo stato d’animo della fratello.
 
«Accidenti, non dovresti vederlo». Blaine gli strappò il giornale di mano e gli fece fare un volo.
 
«Cosa pensavi di fare comprando tutte queste copie?»
 
«Non lo so… bruciarle?»
 
«Non abbiamo un caminetto».
 
«Già».
 
«Davvero, pensi che togliere qualche copia dalla circolazione ti farà sentire meglio?»
 
«È stato un gesto irrazionale. Ne avrei prese anche altre se non mi si fossero intorpidite le braccia per il loro peso».
 
Cooper sgranò gli occhi sorpreso, non si aspettava certo che il suo compassato fratello potesse reagire in maniera delirante. «Blaine, perché fai così? Lo sapevi, quando ti sei messo con lui, che non disdegnava questo tipo di ingaggi».
 
«Credevo di farcela, io lo amo Cooper, ma ora è difficile». Si indicò la base dello stomaco. «Sento un macigno qui che mi schiaccia, non riesco a respirare dalla rabbia. Vederlo in pose così intime con quello, e praticamente nudo, mentre le donne e gli uomini del mondo si entusiasmano e lo sognano… Insomma, non voglio dividere il mio ragazzo con il genere femminile e maschile al gran completo».
 
«Blaine, lo capisco che è difficile, un maniaco del controllo che si ritrova a dover digerire una situazione tanto fuori dai suoi schemi…».
 
«Non è solo questo, mi fa male, ho un buco nel cuore. Vorrei che Kurt fosse solo mio, ma non è così. Questo servizio fotografico lo dimostra».
 
«Non esagerare, dimostra solo che non ha problemi a mostrare il proprio corpo. Mica ti ha tradito».
 
«Forse esagero, e la parte razionale di me sa che hai ragione, ma ora sono dominato dalla demenza pura. Vorrei prenderlo a pugni e comprargli dei vestiti, visto che a quanto pare non ha problemi a girare senza».
 
Cooper fece un sorrisetto malizioso. «Infatti, è proprio a suo agio». Allungò la testa per vedere la rivista a terra poco distante.
 
«Non sbirciare. È imbarazzante che mio fratello lo veda così. Continuo a pensare che non sia normale».
 
Cooper ridacchiò. «E no, non lo è. Però Blaine, credo che dovresti assolutamente imparare a controllarti. Se vuoi continuare a stare con quest’uomo – e vorrei ricordarti che lo ami e che ti ama – dovresti cominciare a rassegnarti».
 
«Magari lo minaccio. O i servizi fotografici osé o me».
 
«Santo cielo». Cooper si portò la mano alla testa. «Questo per lui è lavoro».
 
Blaine fece una smorfia. E il cellulare squillò. Blaine guardò il display. «È lui».
 
«Rispondi».
 
«No, non voglio sentirlo».
 
«Non fare il bambino, rispondi».
 
«No, se parlo con lui ora non so cosa potrei dirgli».
 
«Dannazione, ma chi è il fratello maturo tra noi? Sei infantile».
 
Blaine sbuffò e rispose al telefono, mentre le sue labbra erano tirate e ridotte a una buffa fessura.
«Ciao amore, com’è andata al lavoro?»
 
«Bene. Grazie». Ecco, era il massimo che riusciva a dire. Cooper scosse la testa alzando gli occhi al cielo. Blaine gli fece cenno di andarsene e il fratello lo accontentò.
 
«Tutto qui? Eri incontenibile ieri sera».
 
«È stato bello». Perché non riusciva a dire niente che avesse un minimo di senso?
 
«Che cos’è successo? Qualcosa non va?»
 
«Sono stanco, sì, tanto stanco». Simulò uno sbadiglio. «Ho i piedi in fiamme. Non vedo l’ora di farmi una doccia».
 
«Puoi venire a farla qui, ti preparo una bella cenetta e ti faccio un massaggio».
 
Perché era così dolce e premuroso proprio quando lui avrebbe voluto assestargli un pugno sul naso?
 
«Sei un tesoro». Tesoro uscì fuori come un grugnito. «Ma non riesco proprio a muovermi. Temo che stasera non riusciremo a vederci».
 
«Stai scherzando? Domani mattina parto per Roma». Sembrava deluso e forse anche sorpreso. E lui se ne era scordato, troppo preso dalla furia che lo agitava contro la sua volontà
 
Ma come poteva incontrarlo, arrabbiato com’era?
 
Temeva di farsi vedere così da lui, temeva di dire più di quanto avrebbe voluto… Questa insana gelosia lo trasformava in una brutta persona e aveva paura che Kurt se ne accorgesse. Meglio non incontrarlo, magari gli sarebbe passata con un po’ di sconsolata solitudine.
 
«Ho un gran mal di testa, Kurt, non sarei di compagnia».
 
Silenzio… Lui non le rispose. «Più tardi ti chiamerò per sapere come stai».
 
Era arrabbiato? Dispiaciuto? Peggio per lui. Quella era la sua vendetta, la sua stupida e infantile vendetta.
 
«Grazie, aspetterò la tua chiamata». E riattaccò senza attendere.
 
«Sì, come no, aspetterò proprio». Scaraventò il telefono sul divano e sbuffò.
 
Era un idiota, lo sapeva, ma andava bene così. Quel giorno aveva il diritto di sentirsi idiota e disperato.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Salve ragazzi!!! Scusatemi per il ritardo ma è stata una giornataccia…
Allora ditemi, piaciuto il nuovo capitolo? Cosa ne pensate del comportamento di Blaine? E’ esagerato o voi vi sareste comportati allo stesso modo?
Io non nego che un po’ lo capisco, dopotutto essere una persona normale e sentir parlare del mio ragazzo come un Dio del sesso o mostrare a tutti, parenti compresi, le sue nudità, non sarei proprio al settimo cielo.
 
Fatemi sapere cosa ne pensate voi!!!
Per oggi è tutto e ci aggiorniamo martedì prossimo!!!

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Capitolo 24
*** Battuta d'arresto ***


Capitolo 24
 
Battuta d’arresto
 
Per fortuna Cooper era uscito, Blaine non ce l’avrebbe fatta a parlare ancora di Kurt. Gli era sufficiente che invadesse come una ragnatela il suo cervello e il suo cuore. Era un parassita che con fare dolce si era annidato in ogni parte di lui, annientando tutte le sue protezioni. Un giorno gli aveva promesso che sarebbe riuscito nell’intento, e aveva avuto ragione. Blaine si sentiva impotente, vittima di sentimenti negativi che non riusciva a sopportare, che lo rendevano una persona che non gli piaceva affatto. Eppure non riusciva a disfarsene, a liberarsi di quella sensazione di sconfitta, demoralizzazione e rabbia che gli aveva fatto venire un mal di stomaco fulminante.
 
Era sdraiato sul divano e lottava contro i crampi. Se solo fosse riuscito ad addormentarsi e a trovare un temporaneo sollievo nel riposo. Magari avrebbe potuto sognare Chris Hemsworth, agghindato da possente Thor con il suo martello, oppure una partita di tennis in cui avrebbe vinto il match… insomma, qualsiasi cosa tranne un modello, i suoi bicipiti e le mani inopportune di un tizio sul suo fondoschiena.
 
Si ritrovò a ringhiare proprio come Spank, forse aveva più cose in comune con la cagnolina di quanto si aspettasse. Sarebbe persino stato disposto a firmare un armistizio con lei, ma forse non ci sarebbe stata più occasione di vederla.
 
Una fitta gli annichilì il cuore. Era dunque arrivato a questo? A pensare di poter stare senza Kurt, di dover troncare con lui una relazione importante a causa dei suoi tormenti interiori da fidanzato ferito e geloso? Doveva assolutamente rinsavire prima di combinare qualche grosso guaio.
 
Forse doveva prepararsi una camomilla.
 
Il citofono?
 
Stava suonando il citofono?
 
Blaine si sollevò con un brutto presentimento.
 
Kurt?
 
No, non avrebbe aperto. Non era in casa, non era assolutamente in casa!
 
Anche se lui lo sapeva, glielo aveva detto proprio lui.
 
Che fare? Intanto il cuore aveva accelerato il suo battito e il passare dei minuti e il silenzio gli avevano suggerito che forse si era salvato, quando squillò il campanello. Doveva essere sicuramente colpa della vicina, quella apriva sempre a tutti. Tanto valeva lasciare il portone del condominio sempre aperto.
 
Si avvicinò alla porta con circospezione, come se dall’altra parte ci fosse un maniaco pronto a sfondarla o, peggio, ancora, Jack Nicholson con la sua scure in Shining. Si sentiva spacciato. Non aveva scampo, era sicuramente Kurt. E forse una parte di lui lo aveva desiderato, la parte subdola che lo aveva trattato in modo brusco convinta che lo avrebbe attirato nel suo covo.
 
E adesso? Che accidenti doveva fare?
 
«Blaine, so che ci sei. Stai bene? Apri questa porta per favore».
 
Blaine respirò profondamente, per calmarsi, indossò il suo sorriso di circostanza e aprì. «Kurt, mi spiace se ti sei preoccupato per me. Non dovevi».
 
Lui lo osservò immobile sulla soglia, si avvicinò e lo baciò sulla labbra. «Ero in pensiero» sospirò.
 
Blaine si allontanò da lui, e gli fece cenno di entrare. «Accomodati, stavo per farmi… una tisana, ne vuoi una?»
 
«Sì, grazie volentieri».
 
Lo seguì nell’angolo cottura e si sedette sullo sgabello, mentre lo osservava riempire il bricco con l’acqua e metterlo sul fuoco.
 
«Come ti senti?»
 
«Meglio, il mal di testa sta passando» mentì.
 
Kurt fu rapido e gli trattenne la mano nella propria mentre lui gli passava accanto. «Dimmi cosa c’è che non va. Domani parto e non posso farlo senza sapere cos’è successo tra noi».
 
Perspicace, non c’è che dire…
 
Gli occhi di Blaine volarono con orrore verso la montagna di riviste che ancora si trovavano nel suo soggiorno. Kurt seguì il suo sguardo e gli vide ammonticchiate in un angolo.
 
Tornò a osservarlo con aria pensierosa. «Allora?»
 
«Ok, va bene, lo ammetto. Sono arrabbiato con te, con me, con il mondo intero».
 
Kurt sgranò gli occhi. «Certo che fai le cose in grande tu» provò a scherzare.
 
Blaine non ci vide più. Aveva cercato di trattenersi, di fare la cosa giusta, ma proprio non ci riusciva se lui si ostinava a interpretare la parte del finto tonto.
 
«Anche tu fai le cose in grande, i tuoi servizi fotografici sono sempre così ricchi di… particolari».
 
Mise le braccia conserte e lo squadrò con espressione sarcastica. Aveva bisogno di sfogarsi e non gli importava di fare la figura dell’idiota, a quel punto.
 
«Va bene, è il momento di parlarne. Temevo che ci saremmo arrivati prima o poi», ammise Kurt con voce stanca.
 
«Temevi?».
 
Carichiamo il fucile, sì, continua così, modello dei miei stivali. Sono pronto al fuoco.
 
«Certo, ormai ho imparato a conoscerti, ero sicuro che questa parte del mio lavoro avrebbe finito per infastidirti. Mi dispiace molto».
 
Ecco, assecondarlo smorzava il suo cipiglio incazzoso e lui voleva litigare adesso. Dovette ammorbidire i toni. «Vedere il mio ragazzo che si fa palpeggiare, con il corpo unto di grasso di foca… è insopportabile per me, rivoltante».
 
«È solo lavoro, Blaine. Niente di più». Sembrava volersi giustificare, ma la tecnica era quella sbagliata. Il “mi dispiace” contrito di un istante prima fu spazzato via alla velocità della luce.
 
«Ma ti ascolti? “È solo lavoro, Blaine. Niente di più”». Gli fece il verso. «Ti rendi conto di cosa significa per me vederti così? Quando certi atteggiamenti dovrebbero essere solo nostri? Io non sono mai stato un bacchettone, ma ora per colpa tua lo sono diventato. Sono patetico, lo so, ma non riesco a sopportare che tu tocchi lui in quel modo anche se lo fai per lavoro, e che il tuo culo sia in bella vista per tutte le ragazze e i ragazzi del mondo pronti a sbavare».
 
L’espressione di Kurt si fece più dura. «Il fatto che possa fare o meno servizi fotografici senza vestiti o senza troppi indumenti addosso non vuole dire che io mi comporti in maniera scorretta. Sono un uomo fedele, credo nel rapporto di coppia e soprattutto nel nostro. Non ti farei mai del male».
 
«Sì, ma ora stai con me. Ti pare normale che mia madre ti abbia visto nudo?». Blaine alzò le braccia al cielo e cominciò a camminare su e giù. «E mio fratello, le mie amiche o i miei amici, mia nonna?».
 
Kurt fece una buffa espressione, ma vedendo quanto Blaine era arrabbiato, trattenne la sua risata.
 
«Ma bravo, io ti apro il mio cuore e tu mi ridi in faccia. Se fossi stato io mezzo nudo palpeggiato da un modello, ma per lavoro, ovvio, ti avrebbe fatto piacere?»
 
«Adesso basta». Kurt scattò in piedi nervoso. «Stai fraintendendo tutto».
 
«No, sei tu che sottovaluti me, forse i ragazzi con cui ti trastullavi prima non erano preoccupati di questa cosa, forse ne erano contenti, lusingati magari, ma io non sono Steve, John o come accidenti si chiamano. Io sono Blaine Anderson, vita sessuale nella norma, senza grilli per la testa, alla ricerca di un uomo che voglia solo me, che mi ami quanto io ami lui e che mi rispetti. In quel servizio fotografico non vedo rispetto, ma una grande presa per i fondelli».
 
Le guance gli si erano colorate di rosso acceso, anche se cercare di dominare la rabbia era terribilmente complicato. Non si era mai infuriato tanto nella sua vita. Sembrava che le arrabbiature, trattenute fino a quel punto, volessero liberarsi di botto e tutte insieme. Sarebbe andato al manicomio.
 
«Adesso stai esagerando, comunque non stavamo ancora insieme…».
 
«Dettaglio trascurabile. Mi telefonavi da Bangkok, mi dicevi che non eri interessato a nessun thailandese».
 
«Il modello è americano».
 
«Divertente, davvero».
 
«E comunque non ho avuto avventure. Si è trattato di lavoro, quale parola ti è difficile da comprendere. Vuoi che ti faccia lo spelling?»
 
«Kurt Hummel, non fare lo spiritoso con me, non ti conviene».
 
Il bollitore in sottofondo sembrava suonare la cavalcata delle valchirie.
 
«Te lo ripeto, se fossi stato io al posto tuo, ti saresti accontentato di sapere che era solo lavoro? Non ti avrebbe dato fastidio neppure un po’?». Era in trepidante attesa, voleva davvero saperlo. La curiosità poteva ucciderlo.
 
«No, se tu ti fossi comportato in maniera corretta, no, avrei capito».
 
«Non avresti provato niente di niente? Avresti accettato che venissi palpeggiato nudo davanti a chissà quante persone?»
 
«Sarebbe stato per lavoro e lo avrei accettato, sì!».
 
Blaine si sgonfiò come un palloncino e si lasciò cadere deluso su uno sgabello.
 
Era avvilente.
 
Kurt non avrebbe provato nulla se qualcuno gli avesse tastato il sedere davanti a un obiettivo, immortalandolo per tutti i guardoni del mondo?
 
La cosa lo raggelò e la furia che aveva in corpo svanì di botto, sostituita da una grande delusione.
 
Erano troppo diversi. Lui si era scoperto, contro ogni logica, un tipo geloso. Non di quelli che si appostano dietro agli alberi per pedinare il loro uomo, ma più del tipo “mi macero fino ad annullarmi o ad annientarti”.
 
A quanto pareva, Kurt non era per niente geloso. Forse non teneva così tanto a lui, proprio come era successo a Blaine con il precedente ragazzo.
 
Una storia sbilanciata senza futuro, ecco cos’erano. I famosi due mondi che non si sarebbero mai dovuti incontrare.
 
La gelosia è passione. Come poteva esserci amore senza una sana gelosia? Ma quella di Blaine, lo era davvero? Cominciava a dubitarne, come a dubitare di se stesso.
 
Kurt si accorse del suo mutismo e gli si avvicinò per sfiorargli il volto, una piccola carezza che gli provocò un triste dolore. «Blaine, parlami. Sembra che abbia sbagliato la risposta di un test, dimmi cosa pensi».
 
«Penso che quando cercavo di tenerti lontano volevo proteggermi da regole secondo le quali io non so giocare e che mi lasciano stupefatto. Non sono disposto a cambiare me stesso e sopportare… ad accontentarmi».
 
Gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo dritto negli occhi. «Ti ho dato tutto di me, credi che siano state solo briciole?»
 
«Mi hai dato quello che volevi di te, e io mi sono innamorato come una stupido, dimenticandomi chi sono, dimenticando chi sei tu».
 
Per un istante le parole di Rachel, durante la cena nell’attico, riaffiorarono per turbarlo, farlo vacillare, ma era in preda a emozioni troppo forti. L’orgoglio e la gelosia lo dominavano e non voleva dare ascolto alla sua buona coscienza.
 
Kurt lo lasciò andare, all’improvviso scuro in volto. «Non posso crederci, è pazzesco». Si mise a camminare su e giù passandosi la mano tra i capelli. «Quello che mi ha attratto di più in te è stato proprio il fatto che non volevi nulla da me. Non eri interessato al fatto che fossi famoso. Ero certo che avresti davvero cercato me, al di là di tutto, avresti voluto conoscermi per quello che sono davvero, al di là dell’immagine pubblica. E ora mi giudichi proprio per quell’immagine e non per ciò che ti do, per quello che provo per te, per l’amore che mi lega a te. Mi giudichi come farebbe un estraneo, come se non sapessi chi sono e lasci che stupide questioni passino avanti a tutto il resto».
 
«Non la mettere su questo piano, sei ingiusto. Proprio perché non sono un estraneo sto così male. Quando si ama, si tende a essere protettivi con ciò che è proprio. Magari non è bello, magari si dovrebbe imparare a controllarsi meglio, te lo concedo, ma se tu continuassi a fare servizi fotografici come quelli, mi sentirei di non avere il tuo rispetto. Mi sentirei di non contare abbastanza, non credo di poterlo accettare, nonostante sia innamorato di te. Finirei per rinfacciartelo, per essere una brutta persona, meschino e nervoso. Finirei per chiederti di fare delle scelte e sarebbe profondamente ingiusto nei tuoi confronti. Io non sono così e non voglio diventarlo».
 
«Mi piace il mio lavoro, mi diverte, mi ha reso indipendente economicamente, ricco se preferisci. Posso far vivere bene mio padre, posso vedere il mondo e ho i miei fan, cosa che, lo ammetto, mi appaga. Non sono uno di quei personaggi famosi frustrati che sognano di vivere nell’anonimato, ho imparato a separare la mia immagine pubblica da quella privata, ho trovato un equilibrio. Permetto solo a chi dico io di conoscermi e questo mi rende sereno. Non chiederò scusa per questo». Era arrabbiato, Blaine se lo aspettava. Si era sentito punto sul vivo e un uomo come lui, forte e orgoglioso, non poteva accettarlo.
 
Ma Blaine non era da meno. Doveva mantenere salda la sua posizione. Doveva, anche se gli costava fatica. «Temo che non ci sia più molto da dire, vero Kurt?»
 
«Vuoi che finisca così? Vuoi davvero che me ne vada in questo modo?»
 
«Non posso chiederti di cambiare, come tu non puoi chiederlo a me. Non so se riuscirò mai a sopportare servizi fotografici come questi e tu hai ammesso che per te non c’è niente di male nel farli. Hai ammesso che non ti darebbe fastidio se ne facessi io… Questo è quello che mi ha deluso di più. Avrei voluto che ti dessero fastidio e tanto, da mandarti in bestia quanto me».
 
Kurt assunse un cipiglio che non prometteva nulla di buono. La sua voce si era fatta agitata. «Sei esasperante, non ti accontenti mai. Vuoi rassicurazioni, vuoi la pazienza, il controllo di ogni cosa… Ho fatto tutto come mi chiedevi, ho aspettato, ti desideravo e ti ho rispettato, ti ho parlato di me e confidato i miei segreti, e tu? Mi crocifiggi per delle foto? O per il fatto che al posto tuo mi sarei comportato diversamente? Lo capisci che è pazzesco? E mi manda in bestia, e tanto, Blaine».
 
«Sono fatto così, lo hai sempre saputo. Che c’è di male a volersi proteggere un po’? A desiderare che l’altra persona ti rassicuri ogni tanto? In amore non sono stato fortunato e tu sei bello, sicuro di te, affascinante e adorato da tutti. E guarda caso la mia sicurezza vacilla vicino a te, e non mi piace affatto, è chiaro?». Gli puntò il dito contro, quasi come una pistola pronta a sparare.
 
«Vuol dire che è mia la responsabilità se tu ti comporti da uomo assurdo e geloso? Io non ti ho mai tradito… e geloso di cosa poi, e di chi? Non ti ho mai dato modo di dubitare di me. E non posso controllare gli altri, non ho colpa se piaccio, ma a quanto pare è più facile attribuire a me la colpa, giusto?»
 
«Non sono assurdo» replicò inviperito.
 
«E irragionevole, ho dimenticato irragionevole».
 
«Tu sei irragionevole. E sono stanco di dovermi sempre giustificare con te».
 
Avevano perso il controllo di quella conversazione, ma nessuno dei due voleva cedere.
 
Rimasero in silenzio, consapevoli che ogni parola in più potesse essere un colpo mortale per la loro relazione. Stava succedendo davvero, poteva essere una rottura definitiva? Eppure le loro diversità avevano parlato per loro. Ed era così avvilente.
 
«Partirò domani mattina, stare separati per un po’ ci farà bene. Credo che una pausa di riflessione sia la cosa migliore in questo momento, per entrambi».
 
Blaine non riusciva più a parlare, un groppo alla gola lo strozzava e il cuore gli batteva così veloce, da rimbombargli persino nelle orecchie. Sembrava tutto così definitivo. Fece un cenno del capo senza riuscire ad aggiungere altro.
 
Kurt pareva combattuto, ma il suo sguardo si era fatto duro, impenetrabile. Difficile intuire cosa gli passasse per la testa. Gli si avvicinò e gli diede un bacio sulla guancia, lento, sofferto, infelice. Il suo profumo gli fece venire le lacrime agli occhi, non voleva che se ne andasse dal suo appartamento, dalla sua vita, ma l’orgoglio, il dispiacere e la delusione decisero per lui e gli impedirono di trattenerlo. Forse non erano fatti l’uno per l’altro.
 
«Abbi cura di te. Spero che il tuo nuovo lavoro ti porti tante soddisfazioni. Te lo meriti».
 
Indugiò per un istante, osservandolo come se volesse stampare nella sua memoria il suo volto, infine gli diede le spalle e si allontanò.
 
Non appena sentì la porta chiudersi, si lasciò andare a un pianto dirotto.
 
Era finita e lui, come un stupido, non era riuscito a impedirlo.
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Un po’ di pepe in questa storia, finalmente arriva la parte che amo… L’angst!! Chi mi conosce bene sa che senza non vivo… Allora che mi dite? Da che parte state? Ha ragione Blaine nel dire che Kurt non lo ama abbastanza da rinunciare ad un lavoro come questo per lui? O Kurt che non ci trova nulla di sbagliato in posare nudo, “tanto il lavoro è lavoro”?
 
Io ammetto che sono identica a Blaine, e anche questo non è un caso ^^’ , ma condivido molto il suo modo di vedere le cose, e ci tenevo che nella storia Blaine avesse le stesse incertezze e gli stessi dubbi di un semplice ragazzo alle prese con una celebrità. In fondo scendere a patti con questo mondo non è da tutti,no?
 
Fatemi sapere voi cosa ne pensate... Siamo nel vivo della storia e, ahimè, quasi alla fine, pronti???
 
Questa settimana se riuscirò pubblicherò giovedì e anche domenica… Ho necessità di concluderla prima delle feste… Ma tranquilli ho appena iniziato una nuova Klaine da capogiro… Interessati?
 

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Capitolo 25
*** Sorpresa! ***


Capitolo 25
Sorpresa!
 
Era davanti alla sua porta – non aveva potuto fare a meno di andare lì – con la chiave tra le mani e l’illusione che tutto potesse aggiustarsi fra loro.
 
Sperava non fosse ancora arrivato dall’aeroporto, perché aveva intenzione di fargli una sorpresa, di farsi perdonare per la sceneggiata del giorno prima. Voleva sedersi con lui e parlare con calma di tutti i dubbi che gli serravano il cuore in un morsa. Gli aveva detto che lo amava, si era preoccupato per lui, era arrabbiato al telefono quando gli aveva accennato di un ipotetico Dave… Doveva pur significare qualcosa, doveva significare che teneva a lui e non voleva perderlo. Aveva addirittura anticipato il suo ritorno per parlargli.
 
Al solo pensiero il cuore gli andava a mille. Non era forse un buon segno?
 
Entrò nell’appartamento attendendosi un assalto di Spank, per poi ricordarsi che prima di partire Kurt l’aveva portata da Rachel, come spesso faceva per colpa dei suoi viaggi. Quindi i suoi jeans erano salvi.
 
Erano passate tre settimane dall’ultima volta in cui era stato lì. Amava l’attico, ma soprattutto aveva amato ogni istante che vi aveva passato con Kurt.
 
Si avvicinò al pianoforte e ricordò la prima occasione in cui gli aveva suonato un brano classico.
 
L’emozione che aveva provato, la sensazione di beatitudine e di completezza che gli avevano fatto capire che Kurt era quello giusto.
 
Per la prima volta nella vita ne aveva la certezza.
 
Si sedette sul divano per ricordarsi di quando avevano fatto l’amore, e di come l’aveva fatto sentire un vero uomo, plasmandolo come creta nelle proprie mani, regalandogli piacere e attenzioni, coccolandolo.
 
Dovevano assolutamente risolvere i loro problemi, dovevano trovare una soluzione perché non poteva stare senza di lui, senza la sensazione delle sue braccia che lo stringevano, senza il suo sorriso ad accarezzarlo. Aveva bisogno di credere che si sarebbero riappacificati.
 
Blaine per primo avrebbe dovuto imparare a dominarsi, ad accettare alcuni aspetti del lavoro di Kurt. Se lo voleva ancora nella propria vita non poteva fare altrimenti.
 
Ne valeva la pena.
 
Si alzò sospirando e si diresse verso la cucina con le due buste piene di tante cose buone. Voleva cucinargli qualcosa di speciale, anche se era difficile batterlo ai fornelli.
 
Ecco la cucina di Kurt, linda, ordinata eppure con quell’aspetto vissuto che la rendeva il cuore pulsante della casa.
 
Appoggiò le buste della spesa sul pianale quando sentì un rumore.
 
Che fosse già arrivato?
 
Accidenti, la sua sorpresa guastata sul nascere!
 
Si avvicinò alla porta e poté udire distintamente la sua voce.
 
Era tornato.
 
Tachicardia, rischio infarto imminente. Calma Blaine, calma.
 
Prese un respiro deciso a raggiungerlo, quando sentì uno stralcio della conversazione al cellulare.
 
«Lo so, Rachel, ma non ho alternative, così non posso andare avanti, è impossibile. Ci sono delle priorità nella vita e questa è la mia, dovrà farsene una ragione».
 
Blaine si aggrappò alla porta con una sensazione di oppressione al petto. Gli mancava l’aria.
 
Stava parlando di lui? Non poteva andare avanti con lui?
 
«Sì, certo mi ero affezionato, è una persona in gamba, piena di qualità, ma proprio non è possibile continuare così. Questa storia dei servizi fotografici è stata troppo, sono io che devo decidere cosa è meglio per me e per la mia carriera. Non lui».
 
Blaine era come inebetito. Gli sembrava di essere capitato in uno di quegli incubi in cui tutto sembra reale, ma lui non stava sognando, era nella cucina di Kurt a origliare una conversazione privata con la sua migliore amica, da cui emergeva con chiarezza quale fine avrebbe fatto lui nel piano delle cose.
 
Storia morta e sepolta, finita.
 
Lo aveva ammesso, per lui aveva provato affetto e nulla di più.
 
Era avvilente, umiliante e dannatamente triste. I suoi sentimenti erano stati calpestati, di nuovo.
 
Accidenti a lui che glielo aveva permesso. Basta, con Kurt aveva chiuso, non voleva perdere un istante di più.
 
Però doveva uscire da lì, e non poteva farlo finché lui era ancora in salotto. Non aveva nessuna intenzione di affrontarlo e di rendersi nuovamente ridicolo.
 
«Verrò a prendere Spank tra un paio d’ore. Mi fa piacere sapere che si è comportata bene in mia assenza. Mi è mancata tanto».
 
Blaine sbirciò dalla fessura della porta aperta. Era seduto sul divano, ma si stava alzando. Con un po’ di fortuna se ne sarebbe andato in camera da letto o in bagno e lui avrebbe avuto via libera.
 
Non voleva vederlo, non voleva parlarci, Kurt Hummel poteva andare al diavolo. Aveva una dignità e il signorino l’aveva calpestata una volta di troppo.
 
Ecco, finalmente quella telefonata era finita, e Kurt, jeans e felpa dello stesso colore dei suoi occhi, si stava dirigendo verso la zona notte.
 
Attento a non fare il minimo rumore, come se fosse stato un ladro intrufolatosi di soppiatto in un appartamento da svaligiare, Blaine si avvicinò alla porta d’ingresso. Sentì un rumore… acqua che scorreva. Kurt era in bagno, doveva sbrigarsi.
 
Mano sulla maniglia, ultimo lungo respiro.
 
Era fuori.
 
Si richiuse l’uscio alle spalle e si appoggiò un istante alla parete. Si sentiva tanto come il protagonista della serie White Collar, un Neal Caffrey che era uscito dal luogo in cui aveva rubato qualcosa, gli mancava giusto la cavigliera per essere rintracciato. Ma lui non aveva rubato niente.
 
Al contrario, era il suo cuore a essere stato rubato da un delinquente della peggiore specie.
 
Si incamminò per il corridoio e presto si ritrovò in strada, quando si portò una mano alla fronte con un’espressione di assoluto panico.
 
Le borse con la spesa e la sua chiave erano rimaste in cucina, in bella vista. Di lì a poco Kurt le avrebbe trovate. L’avrebbe cercato.
 
Aveva bisogno d’aria, si sentiva soffocare.
 
Appena raggiunta la macchina, telefonò subito a suo fratello Cooper, raccontandogli ogni cosa.
 
«Ma quando la smetterai di comportarti così? Dov’è finito mio fratello? Il ragazzo che affrontava tutto con esasperante razionalità?»
 
«Si è innamorato, e ha combinato un casino».
 
«Scappare via come se fossi in torto, perché non l’hai affrontato?»
 
«Perché… perché non me la sentivo, ok? Ero convinto che fosse tornato per stare con me, per farmi capire che mi amava ancora. Speravo che avremmo risolto i nostri problemi e invece sento che parla con la sua amica e gli dice che sono uno in gamba, ma che il mio tempo è finito perché ha le sue priorità. Ha scelto il suo lavoro, non contavo abbastanza». Aveva la voce incrinata, si sentiva così esposto, fragile, mentre guidava arpionando con le mani il volante, tanto da avere le nocche bianche.
 
«Su, vieni a casa, ti preparo una cioccolata calda e parliamo».
 
«Ho bisogno di staccare, Cooper».
 
«Che vuoi fare?»
 
«Ho un paio di giorni liberi, senza gruppi da accompagnare. Penso che andrò a trovare nonna e zia».
 
«Passi da casa per fare il borsone?»
 
«No, parto ora, direttamente. Non ho bisogno di niente».
 
«Va bene, però Blaine, prendila con filosofia, lo so che sei innamorato, ma cerca di ritrovare il tuo baricentro. Non voglio vederti stare così male».
 
«Cooper, ne uscirò, lo farò e tornerò quello di sempre, ma ora voglio solo staccare un paio di giorni. Affronterò tutto al mio ritorno».
 
«Bravo fratellino, ti voglio bene, lo sai?».
 
«Non diventare sentimentale pure tu» e aggiunse con voce commosso: «Ti voglio bene anch’io»
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ci siamo ragazzi!!! Siamo alla fine! Questo è il penultimo capitolo, ci sarà il prossimo e l’epilogo. Ormai si può dire che la storia è ormai giunta al termine. Cosa ne pensate? Blaine ha fatto bene a scappare? E Kurt intendeva davvero quello che ha detto???
 
Credo che prima di Natale concluderò la storia e valuterò se far partire la nuova durante le vacanze o direttamente a Gennaio. Fatemi sapere se siete curiosi di sapere cosa parlerà questa nuova storia e buon fine settimana… Per gli auguri aspetto di concluderla!
 
A Lunedì con l’ultimo capitolo e Mercoledì con l’epilogo!!!
 
 
 

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Capitolo 26
*** Miss Marple indaga ***


Capitolo 26
 
Miss Marple indaga
 
Le ombre della sera avvolgevano la stradina chiusa, dove si affacciava la casetta di zia Nora e nonna Rose.
 
Blaine era alla finestra e guardava fuori distratto, osservando la porta rossa della casa di fronte, le finestre illuminate e la vita di una famiglia che scorreva tranquilla prima dell’ora di cena. Finalmente era in pace con se stesso, tra quelle quattro mura che erano tanto care ai suoi ricordi di ragazzino, che gli davano sicurezza e lo facevano sentire amato. Lasciò ricadere le tende di cotone profumato di lavanda e raggiunse zia Nora in cucina.
 
La donna lo guardò di sottecchi mentre lavava l’insalata. «Siediti, fammi compagnia».
 
Blaine obbedì silenzioso e si accomodò su una sedia lì accanto.
 
«Tu sai che siamo felici quando ci vieni a trovare, ma cosa c’è che non va? Di solito ci avvisi e invece ti sei presentato così, senza bagagli e con una faccia da funerale. Non sarà mica colpa del tuo ragazzo?»
 
«Non ho ancora avuto modo di parlarvi di lui».
 
«Ci hanno pensato tua madre e Cooper».
 
Blaine suo malgrado sorrise. Impossibile tenere un segreto in una famiglia tanto chiassosa.
 
«Cosa sai esattamente di lui?»
 
 «Che è un modello strapagato, un gran bel ragazzo e fa servizi fotografici discutibili per i miei gusti…».
 
Blaine si portò le mani sul volto, arrossendo visibilmente. «Non posso crederci, anche tu lo hai visto nudo?»
 
«Certo, ero curiosa, ho visto che era su “Guys & Dolls” e ho comprato la rivista».
 
Blaine sprofondò nella vergogna più assoluta e appoggiò il braccio sul tavolo, nascondendoci il viso.
 
«Dovresti essere orgoglioso di lui, ha un didietro notevole».
 
«Zia, per favore, tutto questo è la causa della nostra rottura».
 
«Perché è ben attrezzato?» aggiunse sua nonna entrando nella stanza e sedendosi accanto a Blaine, fasciato dalla sua comoda tuta giallo limone.
 
«Nonna, non ti ci mettere anche tu ti prego, sono già abbastanza imbarazzato».
 
«Di sicuro non pensavo di vedere il tuo ragazzo nudo, se non per sbaglio… Magari dopo il matrimonio usciva dalla porta del bagno e gli cadeva l’asciugamano dalla vita…».
 
Blaine la guardò impietrito poi scoppiò a ridere insieme a Rose.
 
«Hai anticipato i tempi e comunque non ci sarà mai nessun matrimonio. Non stiamo più insieme».
 
«Perché non ci spieghi questa parte della storia?». Nora si asciugò le mani con uno strofinaccio e raggiunse gli altri due, sedendosi.
 
«C’è poco da dire, io non riesco a sopportare questa parte del suo lavoro, mi mette a disagio, e soprattutto mi rende geloso. Uno psycho killer pronto a uccidere per avere l’esclusiva del proprio uomo. Non mi piaccio così, non voglio essere così. E Kurt ha scelto il suo lavoro, non gli importa davvero di me, di come mi sento». Scosse la testa avvilito. «Ero convinto mi amasse, ma mi sbagliavo. Sono andato nel suo appartamento, stamattina, con l’intenzione di fargli una sorpresa al suo ritorno, di chiedergli scusa, di risolvere i nostri problemi, di passare persino sopra al mio orgoglio, invece lo sento al telefono con la sua migliore amica, mentre le dice che vuole liberarsi di me. Che ha delle priorità». La sua voce si fece un sussurro. «Mi ha fatto male, tanto male».
Scoppiò a piangere anche se non avrebbe voluto. Rose gli accarezzò i capelli, dolce e comprensiva.
 
«Tesoro mio, quando gli hai chiesto spiegazioni, che ha fatto?»
 
«Sono scappato via, non mi ha visto».
 
«Saresti dovuto rimanere, mio caro, fuggire non serve mai a niente» fece Nora con grande saggezza.
 
«Lo so, lo so benissimo, ma non volevo fare la figura dello stupido, non volevo dargli la soddisfazione di vedermi piangere».
 
«Che situazione spinosa!» esclamò zia Nora convinta.
 
«Ragazzo mio, ora sei qui, non pensare a tutto questo» disse Rose con tono propositivo.
 
«Potremmo fare una maratona di film questa sera».
 
«Odio gli horror e non mi piace Star Trek». Blaine era lamentoso, ma cominciava ad asciugarsi le lacrime.
 
«Gialli con Miss Marple?»
 
«Andata!».
 
Aveva fatto bene a raggiungerle. Per un paio di giorni poteva far finta di avere quindici anni e che tutto sarebbe andato bene.
 
Blaine fece una bella doccia, riuscì persino a canticchiare mentre il getto bollente gli scivolava addosso.
 
Era sereno, una tregua alla sua tristezza ci voleva.
 
Si asciugò con il telo di spugna che sapeva di casa e di ammorbidente, e indossò una vecchia tuta del nonno che gli stava più grande di qualche taglia. Si tamponò i capelli e scese le scale, pronto a raggiungere nonna Rose in salotto. Avevano preparato uno spuntino e avrebbero cenato davanti alla TV. Zio Sauro quella sera era andato al bar per giocare a bocce con i suoi amici, per il raduno settimanale. Sarebbero stati un po’ da soli, finalmente… una pacchia!
 
La nonna aveva già la mano sul telecomando, il dito sul pulsante play, pronta a schiacciare. Blaine si sistemò sul divano, in mezzo alle due, e il film ebbe inizio. Pochi secondi e il campanello della porta suonò.
 
Le teste di tutte e tre si girarono di scatto.
 
«Aspettavi qualcuno?» chiese Rose alla figlia. Quest’ultima scosse il capo e si alzò, avvicinandosi alla finestra per sbirciare fuori.
 
«Oh, questa poi». Sgranò gli occhi sorpresa e fissò Blaine. «Credo che cerchino te».
 
«Me?». Blaine scattò in piedi come se qualcuno gli avesse puntato contro una pistola. «Che stai dicendo?».
 
Il campanello suonò di nuovo e zia Nora andò ad aprire, mentre Blaine correva alla finestra per guardare. Si portò una mano alla bocca allibita. «Non è possibile!».
 
«Si può sapere che succede?», domandò spazientita Rose, ancora seduta sul divano. Blaine si voltò lentamente a fissarlo, con il viso in fiamme. «Kurt. Kurt è qui».
 
 
***
 
Blaine era ancora in piedi accanto alla finestra, quando Kurt Hummel fece irruzione nel salottino con un passo deciso e un aspetto a dir poco imponente. Appariva perfino più alto, tanto era sicuro di sé.
 
I suoi occhi lanciavano fulmini e saette su Blaine. Era arrabbiato e molto, la sua mascella era serrata per trattenere un moto d’ira.
 
Nora rimaneva dietro di lui, silenziosa.
 
Kurt si avvicinò a Rose e le porse la mano. «Mi chiamo Kurt Hummel. Deve perdonarmi per la mia scortesia, mi rendo conto che non è l’orario giusto per fare visita, chiedo scusa per questo».
 
Rose si era alzata e gli aveva stretto la mano, sorridendo con gentilezza. «Rose Anderson, molto lieta. E non si preoccupi, a volte le circostanze richiedono gesti immediati».
 
I lineamenti di Kurt si ammorbidirono all’improvviso. Era chiaro: aveva trovato in Rose un’alleata. Anche Nora adesso sorrideva e Blaine si accorse di essere in netta minoranza. Si chiese il perché, visto che era lui la vittima delle circostanze, o no?
 
Kurt si voltò verso Blaine. «Ho bisogno di parlarti, adesso». Era imperativo, autoritario, stanco di tergiversare. Il ragazzo deglutì, quasi spaventato.
 
Perché era così furioso se voleva lasciarlo andare?
 
«Non c’è più niente da dire». Voleva mostrarsi sicuro di sé. Aveva una dignità da difendere.
 
Kurt si voltò verso Rose. «Le devo chiedere di nuovo perdono. Mi creda se le dico che non mi comporto mai così, ma suo nipote mi farà impazzire, prima o poi».
 
A grandi passi si avvicinò a Blaine che indietreggiò per trovarsi con le spalle al muro.
 
«Adesso parleremo, caro mio. Che tu lo voglia o no!». E con un gesto solo, lo afferrò e se la caricò in spalla come un sacco di patate.
 
Blaine sgranò gli occhi per la sorpresa, mentre Nora e Rose trattennero a stento una risata. Che scena comica per loro.
 
«Aiutatemi» le implorò guardandole con aria stupita, mentre Kurt si dirigeva verso il corridoio fissando le scale che portavano al piano superiore.
 
«Piccolo mio, te lo avevo detto che dovevi affrontare la situazione. Mi sembra il momento giusto».
Nonna Rose gli fece l’occhiolino e alzò il pollice verso l’alto in segno di approvazione.
 
«Dov’è la tua stanza?», gli chiese senza perdere altro tempo.
 
«Di sopra», brontolò Blaine mentre cercava di divincolarsi, ma i muscoli di Kurt, oltre che magnifici, erano una roccia. Impossibile cambiare il corso degli eventi. Si arrese sperando che lo mettesse giù quanto prima.
 
Era umiliante. Lo trattava come un bambino capriccioso. Una remota parte di lui dovette ammettere che non aveva tutti i torti.
 
«Qual è?».
 
Blaine, riluttante, indicò la porta giusta. Lui l’aprì senza il minimo sforzo, con lui ancora di traverso, ed entrò, richiudendola con un tonfo.
 
Lo mise giù con poca grazia e si fissarono in volto per alcuni istanti. Blaine aveva il viso arrossato per la vergogna e il nervoso, Kurt sembrava quieto ora, troppo calmo.
 
Il ragazzo indietreggiò per la seconda volta quella sera.
 
L’uomo invece si guardò intorno. Le pareti a fiorellini, i letti gemelli, le trapunte colorate, poi riconcentrò i suoi occhi su di lui, implacabili. Sembravano spogliarlo e lasciarlo inerme davanti a lui.
 
Blaine non riuscì a sopportare il silenzio, stava per parlare ma lui lo precedette, interrompendolo.
 
«Adesso Blaine Anderson è il mio turno». Si tolse il giubbotto di pelle nera e lo scaraventò su uno dei letti.
 
Perché era così bello e sexy? Quelle braccia forti che sapevano stringerlo con tanta dolcezza erano state sue per breve tempo. Un sogno.
 
«Che devi dirmi? Sbrighiamoci, va bene? Così entrambi potremo ritornare alle nostre vite». Blaine cercava di salvare la poca dignità che gli era rimasta, perché nonostante tutto sarebbe stato pronto a rituffarsi nel suo abbraccio, se solo Kurt glielo avesse chiesto.
 
«Lo sai che sei un ragazzo assolutamente impossibile?». Alzò le braccia al cielo senza più controllo. «Ma si può sapere perché hai fatto di tutto per sabotare la nostra relazione? Quante paranoie può accumulare quella testa che ti ritrovi?». Ok, era veramente molto arrabbiato.
 
«Non è vero…».
 
«Come no… e tutto per colpa di un servizio fotografico. Foto, stupide fottutissime foto. Non ti ho tradito, neppure con il pensiero, ci sei solo tu qui dentro». Si indicò prima il cuore e poi la testa. «Pensavo che rispettarti e amarti fosse abbastanza per te».
 
«Se sei venuto qui per litigare, puoi anche andartene» lo rimbeccò cercando di farsi vedere deciso, anche se dentro era agitato come non mai.
 
«Cocciuto peggio di un mulo» brontolò spazientito.
 
«Non sono cocciuto».
 
«Mi farai impazzire, sei… impossibile».
 
«Lo hai già detto».
 
Era evidente che Kurt cercava di calmarsi, ma non era facile. Blaine aveva quell’atteggiamento risoluto che proprio lo faceva ribollire. Rimase in silenzio, fissandolo a lungo con occhi torvi, come se con quelle sue occhiate potesse farlo ragionare.
 
«Che rispetto c’è» riprese lui, «se trovo fotografie come quelle dappertutto, se ti fai toccare, praticamente nudo, da un modello? Era come se tu non fossi mio, come se uno sconosciuto avesse usurpato il mio posto. E tu glielo hai lasciato fare. Non posso sopportarlo, ti amo troppo, stupido idiota! E questa cosa mi fa soffrire come non vorrei». Che ingiustizia, era già alla resa. Si portò le mani al viso e gli voltò le spalle.
 
Silenzio… il terribile silenzio con cui Kurt rifletteva prima di rispondere.
 
All’improvviso il calore di lui gli arrivò alla pelle attraverso la tuta sformata di nonno George. Ecco, per l’ennesima volta lo vedeva arruffato e disperato.
 
Le mani di lui si appoggiarono sulle sue spalle. «Blaine, nella mia vita ho fatto sempre questo lavoro, ho imparato a essere disinibito. Non mi sono mai fatto problemi se qualche servizio fotografico era un po’ più esplicito. E i miei precedenti ragazzi non si sono mai lamentati, anzi, alcuni di loro sembravano ancora più orgogliosi di sfoggiare un simile esemplare maschio in giro. Faceva tutto parte del gioco».
 
«Io non sono i tuoi ex». Blaine si morse il labbro per trattenere le lacrime, ma la voce gli uscì miseramente smorzata.
 
Kurt gli sfiorò il collo con le labbra, dove la pelle pulsava. «No, non lo sei. Ho capito subito che eri diverso».
 
Questa volta fu Blaine a tacere, non riusciva a formulare un pensiero coerente, neppure mezzo.
 
Sentiva solo il respiro di Kurt su di lui, le sue mani sulle spalle, il corpo premuto sulla sua schiena in un gesto possessivo e familiare.
 
«Non ho mai pensato che il mio lavoro potesse diventare un ostacolo, che in qualche modo tu potessi sentirti offeso». Non c’era più traccia di rabbia nel tono che usava, ma solo di rimpianto e debolezza. «Ti avevo dato tutto me stesso, ti avevo mostrato tutto di me, tu conoscevi quello che provavo. Cosa mi importava di quello che vedevano gli altri? Non contava per me, ma contava per te e a questo proprio non avevo pensato. Ti chiedo scusa per la mia insensibilità».
 
Blaine non si aspettava certo le sue scuse e la confusione gli invase la mente e il cuore, ormai così irrimediabilmente arreso ai sentimenti che provava.
 
«Quando ti ho chiesto se avresti provato gelosia, al mio posto, hai risposto di no. Mi hai ferito, mi sono sentito poco importante per te».
 
Lo fece voltare con delicatezza, per intrappolare il suo sguardo nel proprio. «Ho risposto così per la rabbia, ma ci ho pensato tanto, mentre eravamo lontani. Sarei impazzito di gelosia, te lo giuro. Credo che il mio comportamento sarebbe stato anche più folle del tuo». Gli sorrise con timidezza.
 
Blaine lesse in ogni lineamento di quel volto adorato la sincerità.
 
«Avrei preso a pugni il modello con te, il fotografo, chiunque avesse posato il suo sguardo sul tuo corpo. Non ho mai provato nulla di simile in vita mia. Ero così sgomento da una tale reazione che non sapevo come affrontarla».
 
«Non mi hai cercato, non mi hai voluto parlare».
 
Gli accarezzò la guancia come se fosse un cristallo prezioso e fragile. «Pensavo che stare lontani per un po’ ci avrebbe aiutato a capire meglio, al mio ritorno avevo intenzione di affrontare ogni cosa, non volevo perderti».
 
«E ti ho telefonato dal pub».
 
 «Sì». Il volto di Kurt si irrigidì. «Chi è Dave?» chiese d’impulso mentre un guizzo contrariato alterava i lineamenti del volto.
 
Blaine abbozzò un sorriso e catturò la sua mano, trattenendola sul proprio volto. «Nessuno, me lo sono inventato per farti ingelosire. Che sciocco, eh?»
 
«Non puoi capire come mi sono sentito, bloccato dall’altra parte del mondo, convinto che tu avessi già voltato pagina e fossi uscito con un altro, con uno che…». Si azzittì.
 
Blaine spostò la sua mano e gliela posò sulle labbra. «Non avrei mai potuto, io amo solo te. Non voglio nessun altro nella mia vita. O te o morirò solo» proclamò con aria buffa per spronarlo a sorridere.
 
«Eri ubriaco, in un locale con un altro. Non ci ho visto più. Ho prenotato immediatamente il primo volo per tornare. Ero terrorizzato all’idea che il mio silenzio di quelle settimane fosse stato troppo. Ma eri sempre con me, sempre, non ho fatto nulla che potesse farti soffrire».
 
Blaine si staccò da lui.
 
Gli credeva, ma allora? Quello che aveva ascoltato nel suo appartamento? La conversazione con Rachel?
 
«Ormai avrai capito che ero a casa tua quando sei tornato».
 
Kurt fece un segno affermativo con il capo. «Quando ho visto le chiavi e le buste della spesa in cucina, ho capito che eri stato lì. Sono andato a casa tua e Cooper mi ha raccontato tutto. Hai preferito andartene che parlare con me» fece triste, abbassando il capo in segno di resa.
 
«Quante volte potevo permetterti di ferirmi?».
 
Kurt lo fulminò di nuovo con lo sguardo e si sedette sul letto, poi continuò. «Pensavi che parlassi di te. Sei tu che non mi hai dato fiducia» si lamentò lui.
 
Blaine gli si sedette accanto e gli prese la mano. Aveva bisogno di quel contatto come delle sue parole, delle sue spiegazioni. Ora sapeva che si era sbagliato, che lui lo amava, anche se lui ne aveva dubitato.
 
«Spiegami, adesso sono qui».
 
Kurt lo guardò. «Ho licenziato la mia agente».
 
Blaine ricambiò la sua occhiata con un’evidente confusione stampata sulla faccia.
 
«Le avevo parlato del fatto che d’ora in poi avrei selezionato con più attenzione i servizi fotografici, che non avrei posato più nudo. Per il passato non potevo sistemare le cose, ma per il futuro sì». C’era tanta tenerezza in lui che gli scoppiò il petto per la felicità.
 
«Ma lei era irremovibile, continuava a ripetere che le migliori offerte arrivavano quando io mi scoprivo di più. Le ho ricordato che a trent’anni e con un bel gruzzolo da parte, che non mi basterà una vita intera per spenderlo, mi potevo permettere di selezionare meglio cosa volevo fare e cosa no. Volevo venirti incontro, volevo dimostrarti che per me contavi di più. Mentre tu origliavi» sorrise illuminandosi di malizia e furberia, «parlavo con Rachel proprio del fatto che avevo perso una donna in gamba, ma che avevo delle priorità. La mia priorità eri tu, Blaine. Ma non mi hai dato modo di dirtelo perché sei scappato via».
 
«E tu mi hai inseguito».
 
«E io ti ho inseguito. Sì, ti inseguirei ovunque. Non ti avrei permesso di lasciarmi. Non permetterò che accada di nuovo perché in quelle settimane a Roma mi sei mancato come l’aria. Mi mancava un pezzo di me. Non voglio più sentirmi così. Non voglio più arrovellarmi su quello che avrei potuto fare per impedirti di fuggire via da me».
 
Blaine non riuscì a parlare, tanto era sopraffatto dalla quell’inaspettata rivelazione. Lo abbracciò, tenendolo stretto a sé, come fossero indissolubili.
 
«Credevo davvero di averti perso, Kurt».
 
«E io di aver perso te. Siamo due cretini, dobbiamo imparare a parlare, comunicare, non dobbiamo permettere alle nostre paure e al nostro orgoglio di ostacolarci».
 
«Questa storia mi ha lasciato senza difese. Lo ammetto, non ho mai provato niente di simile a quello che sento per te, e ho avuto così paura che ho finito per credere a tutte le mie… paranoie. Mi sono fatto condizionare, quando avrei dovuto solo credere in noi».
 
«E io ho dato per scontato troppe cose, quando avrei dovuto parlare con te, capire i tuoi dubbi. Non fare finta che li avremmo superati solo con il sesso». Lo squadrò con astuzia e diede una pacca sul letto.
 
«Kurt Hummel, sei terribile». Sollevò le sopracciglia e lui rise.
 
Era successo davvero, Kurt l’aveva raggiunto a Lima, gli aveva aperto il suo cuore e aveva deciso di non fare più servizi fotografici nudo per non farlo soffrire. E mentre rifletteva su quanto tutto si fosse aggiustato per miracolo, Kurt lo fece distendere sul letto e gli accarezzò il viso fino a sfiorargli il collo. «Questa tuta mi fa venire la voglia di sfilartela, lo sai?». Gli abbassò la cerniera e si chinò a baciare la porzione di pelle scoperta.
 
«Ma ci sono nonna e zia di sotto». Non era molto convinto delle sue rimostranze, anzi, il suo corpo iniziava ad arcuarsi per assecondare i movimenti delle dita di Kurt, bollenti al loro passaggio. Gli era mancato da morire e ogni centimetro di lui richiedeva attenzione, desiderava la sua dose di appagamento, la sua dose di Kurt Hummel. Gli sorrideva con quelle fossette ai lati della bocca che lui trovava irresistibili, la camicia bianca sbottonata e un’aria da pirata a caccia del proprio tesoro.
 
E per la miseria, il tesoro era lui.
 
Non ci misero molto a liberarsi dei vestiti e a stringersi in uno dei letti gemelli senza preoccuparsi di coperte o lenzuola.
 
«Che vergogna» scherzò Blaine mentre accarezzava il corpo del suo ragazzo.
 
«Nora e Rose mi sono sembrate molto sveglie, capiranno che dobbiamo… riappacificarci». Gli baciò il lobo dell’orecchio e poi prese a mordicchiarlo, mentre la sua mano scivolava giù a torturarlo di piacere.
 
Tra un gemito e l’altro, Blaine però non riuscì a trattenersi. «Ti amo Kurt, con tutto il cuore, tu sei la perfezione per me, la mia eccezione, il mio tutto».
 
Lo sguardo di gioia di Kurt gli scaldò il cuore. «E tu Blaine sarai per sempre il mio unico amore. Non scordarlo mai».
 
La passione trattenuta per settimane adesso bruciava con una tale intensità da cancellare ogni altro pensiero.
 
Ripresero a baciarsi, a divorarsi, ad aggrovigliarsi, pelle a pelle, cuore a cuore, sussurri e sospiri, mentre i loro mondi un tempo divisi si fondevano definitivamente, diventando uno soltanto, per non separarsi mai più.
 
Per quella notte Miss Marple avrebbe aspettato per risolvere il suo caso. Questioni più urgenti richiedevano la dovuta concentrazione.
 
 
NOTE DELL’AUTRICE:
Ed eccoci alla fine di quella che è una delle storie più “tranquille” e fluff che abbia mai pubblicato. Ho amato questi Klaine dal primo momento, loro sono il mio tutto e scrivere finalmente qualcosa di dolce, senza troppo angst mi ha dato modo di divertirmi…
 
Voi che ne pensate di questo finale? Ricordo che mercoledì ci sarà l’epilogo, quindi non andate via!!!
 
Nello scorso capitolo vi ho chiesto se foste interessati ad una nuova Klaine, i commenti sono stati tutti positivi, quindi come regalo, a Natale siamo tutti più buoni, vi allego la trama della nuova storia… Ditemi se vi ha incuriosito ancora di piu!!!
 
Trama: Il primo anno di università può essere complicato, si sa. Soprattutto quando il tuo fidanzato storico ti lascia senza troppi giri di parole. È quello che succede a Blaine, e la delusione le lascia davvero l’amaro in bocca. Un sapore da cui fatica a liberarsi, nonostante i corteggiatori non gli manchino. Ma tutto cambia quando Blaine incontra Kurt: lui è bello e gentile, forse non proprio il suo tipo ideale. Eppure tra i due la complicità è immediata. Così, tra una confidenza e un bicchiere di vino, accade che Kurt e Blaine si ritrovino a elaborare e a verificare una teoria: per far svanire l’amaro in bocca di una delusione amorosa è necessario passare la notte in compagnia di un buon amico. Uno che non chieda niente al risveglio, uno che sia disposto a essere semplicemente un sorbetto per rinfrescare il palato tra una relazione e un’altra. Ed è così che Kurt e Blaine decidono di diventare amanti di notte e amici di giorno. Tutte le volte che vogliono, tutte le volte che ne hanno bisogno. Stringono un patto, un vero e proprio contratto a cui attenersi scrupolosamente per gestire il proprio rapporto. La teoria del “sorbetto” sembra funzionare alla perfezione per molti anni. Finché uno dei due non infrange la regola più importante di tutte: non innamorarsi.
 
Che ve ne pare? Siate sinceri…
Ci aggiorniamo mercoledì per l’epilogo, per chi volesse può aggiungermi su Fb mi trovate sotto il nome di Gora Criss e… al prossimo aggiornamento!!! :*

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