House by the sea

di dahlia variabilis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno ***
Capitolo 3: *** Capitolo due ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Qualsiasi aggregato prima o poi cade a pezzi.
Legge di Simon

 

 

 

Ultimamente William se lo chiede spesso.

Si chiede spesso quando, esattamente, si è reso conto che Amanda non lo ama più. Ripensandoci, di indizi ce n'erano molti – c'erano sempre stati, e Will è in grado di mandarli a memoria almeno fino a due anni prima, fino a poco dopo la proposta. Solo che non ha mai voluto vederli, totalmente perso nella completa idealizzazione in cui ha rinchiuso la sua fidanzata, una gabbia d'oro che non ammette errori.

Sposare Amanda gli è sempre sembrato scontato, un fatto già deciso nel momento stesso in cui l'ha incontrata, la logica conseguenza di nove anni passati insieme. D'altronde, è così che funziona la mente umana: man mano che una relazione va avanti inizi ad immaginare un futuro insieme, due figli con i tuoi occhi e le sue labbra, lunghe cavalcate al tramonto, un cane, una cucina rustica, svegliarsi insieme la domenica mattina, il profumo che resta nell'aria dopo una mareggiata, un matrimonio in grande stile e tutta una vita di felicità.

William è un ingenuo, Amanda lo sa, e spesso e volentieri se ne approfitta. La vita di Amanda non è stata facile, a volte si ritrova persino ad incolparlo per essere nato nella famiglia in cui è nato, per i privilegi che ha avuto, per aver avuto tutto e subito, senza neanche il bisogno di chiedere.
Mica come lei, che ha passato i primi undici anni della sua vita in un orfanotrofio.
Allora William le ricorda che dopo l'adozione lei ha fatto esattamente la sua stessa vita, hanno entrambi avuto gli stessi benefici. Le migliori scuole, i migliori campi da tennis, i migliori insegnanti di polo, le migliori feste, i migliori vestiti su misura, le migliori compagnie.
Ma Amanda proprio non vuole capire, e per lei niente sarà mai abbastanza per alleggerire il peso di quei terribili undici anni.

  Amanda prova pietà per William. Magari l'ha anche amato i primi anni, ma adesso l'unica cosa che sente per lui è pietà. Ha pietà di lui e di chiunque la sostituirà, perchè tanto ormai ha deciso, se ne va e sarà allora che tutto cadrà a pezzi. Tanto è così che va la vita, no? Prima o poi tutto è destinato a finire, e allora che senso ha accontentarsi di quello che si ha e aspettare che finisca?
Chissà cosa racconterà William a colei che verrà.
Sentirà solo le storie più terribili? Delle volte in cui ha mentito? Di quella in cui si è fatta suo cugino? Si chiederà come qualcuno meraviglioso come lui abbia potuto amare un mostro come lei? Ci sarà qualcun'altra?
Amanda ha una valigia intera di domande alle quali molto probabilmente non sarà mai in grado di dare risposta. Amanda ha una valigia piena di domande, un biglietto del treno e un certificato di nascita.

William invece di domanda ne ha una sola, cosa resta dei sogni quando tutto finisce?

 

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Capitolo 2
*** Capitolo uno ***


 
Every being (that exists or ever did exist)
is either a dependant being or a self-existant being.
Not every being can be a dependant being.
Therefore, there exists a self-existant being.”

William Rowe, The Cosmological Argument.


 

 Sabine è devastata.
Continua a ramare il roseto e a piangere. Mai, in quasi sessant'anni di vita, ha immaginato di vedere la sua famiglia distrutta dall'interno un giorno, spaccata come si spaccano gli innesti quando non si attaccano alla pianta.
Adesso capisce il perchè della guerra di Troia, riesce finalmente ad avere una chiara visione del potere che una donna può essere in grado di esercitare, ed è terrificante.
La cosa che più le fa rabbia è che sia stata Amanda a spaccare la sua famiglia, una donnicciola venuta da chissà dove, che pensa di aver diritto agli stessi benefici di chi nelle vene ha sangue blu da generazioni. Sabine ha sempre odiato i nuovi ricchi, sempre ad ostentare i loro possedimenti senza un minimo di classe, di eleganza. Così presi ad ostentare, e ancora ostentare e ancora ostentare, da non accorgersi quanto ridicoli siano in realtà.
Sabine ha realizzato di non aver mai compreso fino in fondo la sua famiglia, l'egoismo di Noah, la sensibilità di William, l'ipocrisia di Olivia. Solo adesso che tutto è caduto a pezzi capisce. Ma cercare di analizzare i fatti fa male, perchè nonostante siano passati quasi due anni, la ferita lasciata da Amanda è ancora fresca. Tutta colpa sua, di questo è sicura. È stata lei a distruggere tutto.
Strappa un rametto della centofoglie, le spine le feriscono la mano, ma il dolore al palmo è niente in confronto a quello che la divora notte e giorno. I petali rosa scuro cadono a terra, una pioggia di dolore che sembra non avere mai fine. Si lascia cadere a terra e piange, senza ritegno.
Chiunque l'abbia mai conosciuta è sicuro di una cosa: Sabine Saunders non è una donna che piange. Sabine Saunders è una quercia.
Sabine Saunders non crolla.
Sabine non crolla.

E invece, eccola lì, una cinquanteaseienne come un'altra. Perchè nonostante usi stivali di Burberry per andare in giardino, nonostante la biancheria di seta, nonostante abbia giardinieri e cuochi e maggiordomi e tutto uno stuolo di persone al servizio suo e della sua famiglia, Sabine soffre. Non importa chi tu sia, quando tuo figlio soffre, quando la tua famiglia cade a pezzi, soffri. Cameriera, regina, export manager, casalinga, il dolore non discrimina nessuno.
Alla fine, anche Sabine Saunders è crollata.

  Una mano si posa sulla sua spalla.
«Sabine.»
«Sto bene.» Si alza velocemente, si asciuga le lacrime e si dirige verso le cucine.
Caroline la guarda allontanarsi sconsolata, vorrebbe poter fare qualcosa, poterla aiutare, ma Sabine non lascia avvicinare nessuno. Il suo dolore è suo e di nessun altro, e in quanto tale vuole affrontarlo da sola. Caroline raccoglie gli attrezzi abbandonati dalla nuora e ricomincia a ramare. Perchè quando tutto si distrugge, non si ha altra scelta che cercare di aggiustarlo.
Non si può buttare via una famiglia.

  La cena è una tortura, nessuno parla.
La famiglia Saunders siede attorno al grande tavolo di mogano, sorseggiando Pinot Grigio in calici di cristallo e tagliando la carne con posate di argento. Da molto tempo ormai nessuno è più abituato a conversare e a raccontare la propria giornata agli altri membri della famiglia, come se improvvisamente tutti avessero disimparato a parlare: d'altronde parlarsi non li ha aiutati prima, come potrebbe aiutarli adesso? Non risolverebbe niente. Caroline ha osservato la propria famiglia abbastanza a lungo da realizzare che nessuno dice mai quello che intende veramente. È forse un vizio dell'alta società quello di nascondersi dietro le apparenze, perchè se sembra che vada tutto bene, allora sicuramente tutto sta andando bene. William spesso si è nascosto dietro la scusa di un malditesta o un malessere improvviso, per non rischiare di dover giustificare il proprio stato d'animo con la famiglia e, soprattutto, non rischiare di dover sentire sua madre dirgli "Te l'avevo detto". Sabine ha sempre odiato Amanda che, per un motivo o per un altro, finiva sempre per fare le scelte sbagliate. Non aveva mai avuto importanza che fosse un errore di abbigliamento, di maniere, di vocabolario: Amanda sbagliava a prescindere. E alla fine, sua madre aveva visto giusto, aveva sempre avuto ragione.

  Caroline ed Eleanor si osservano facendo finta di niente, ma entrambe realizzano che toccherà a loro cercare di risollevare la famiglia, in quanto sono le uniche abbastanza lucide da sapere cosa è necessario   fare. Eleanor alza gli occhi al cielo e scuote la testa, sua nonna di rimando alza le spalle e taglia un altro pezzo di carne.
«No.» La voce cristallina della ragazza interrompe il silenzio e sembra spostare tutta una coltre di polvere.
«E invece sì, mia cara. Deve essere fatto e sarà fatto.»
«Ma non è giusto nonna! È una cosa antiquata! Ci additeranno tutti come retrogradi ed estremisti conservatori!»
Sabine sposta lo sguardo dalla figlia alla suocera, incapace di capire l'argomento della conversazione.
«Di qualsiasi cosa stiate parlando, io sono d'accordo con voi, madre cara.» La voce profonda di Richard rimette ognuno al proprio posto. «Niente è mai antiquato per noi! Se lo è, lo riportiamo in voga, e allora non lo sarà più. Inoltre, Eleanor cara, la mia posizione politica è già risaputa, ed è comunque meglio essere additati come conservatori, che come una famiglia di inetti che non sa tenere il proprio uccello a posto!»
Sabine tira un urletto scandalizzato, «Robert!»
Caroline risponde con una risatina allegra. «Bene, bene! È deciso allora. Figliolo, ti aspetto in biblioteca.» William non risponde all'invito di Caroline, semplicemente si alza da tavola e la segue fuori dalla stanza. Robert si versa un altro bicchiere di Sherry e si lascia sfuggire un sospiro malinconico. Le proteste di Eleanor si sono rivelati inutili.
Quando Caroline Ann Saunders si mette in testa una cosa, niente e nessuno può farle cambiare idea.

  «Vedi William caro, io e Charles ci siamo fatti la guerra a lungo. È difficile accettare un marito che non hai scelto tu, ed è ancora più difficile se lo vedi per la prima volta il giorno delle tue nozze. Per molto tempo non abbiamo fatto altro che litigare, non era contento di come amministravo la casa, di come educavo tuo padre e tuo zio, non voleva neanche che mi prendessi cura del giardino, mi diceva sempre "Abbiamo i giardinieri, perchè devi sprecare tempo a fare qualcosa per cui paghiamo delle persone?"» Caroline sorride al ricordo della voce tonante del marito, «Nonostante tutto, quando è arrivato il momento per tuo nonno di partire per la guerra, mi sono resa conto che mi sarebbe mancato come manca l'aria o il the delle cinque. Perchè vedi, William caro, tuo nonno era totalmente sbagliato per me, sbagliato come il burro nel the, ma nonostante tutto io mi ero innamorata di lui.» Ridacchia per qualche secondo, beve un sorso di the e torna subito seria. «Cerchiamo tutti quella persona speciale che è giusta per noi, ma dopo un po' inizi a sospettare che non ci sia nessuna persona giusta. E ora io ti chiedo William caro, perchè?»
William alza un sopracciglio, scettico, non capisce dove voglia arrivare sua nonna, spera solo che non voglia parlare di Amanda. «Forse perchè non siamo giusti neanche noi?»
Caroline si agita sulla poltroncina di chintz, lanciando un gridolino estasiato, è così fiera di suo nipote, si vede che la laurea in filosofia è servita a qualcosa. «Esatto! Vedi, William caro, tu stesso sei sbagliato in qualche modo, come sono sbagliata io, o tuo padre, o tua sorella, oppure come è sbagliato il latte di pecora nel the!»
William sorride, sua nonna è capace di infilare il the in qualsiasi argomento, il modo in cui è sbagliato il the con altre cose, ad esempio burro, latte di capra, vino rosso e zucchero, è il suo metro di paragone preferito.
«Essendo tu stesso sbagliato, e visto che non esistono persone giuste, allora ti ritroverai a cercare partner che sono sbagliati, e il cui essere sbagliati è complementare al tuo essere sbagliato. Ma,» beve un altro sorso di the, «ci vuole un sacco di tempo per crescere pienamente nella tua stessa manchevolezza. E ci sarà bisogno di scontrarti contro i tuoi più profondi demoni, contro i tuoi problemi più irrisolvibili – quelli che ti rendono chi sei – per essere finalmente pronti ad un amore lungo una vita intera. Perchè soltanto allora saprai veramente cosa stai cercando. Stai cercando la persona sbagliata. Ma non una qualsiasi persona sbagliata, la giusta persona sbagliata.»
Caroline finisce la sua tazza di the, afferra un libro dal tavolincino accanto alla poltrona e inizia a leggere, con questo William capisce di essere stato congedato.
«William caro!» Si volta, un piede già fuori dalla stanza. «Ricordati sempre che le persone sono come le bustine del the: capisci quanto sono forti solo quando sono a contatto con l'acqua a bollore.»
Chiude dolcemente la porta alle sue spalle, eternamente grato a sua nonna per averlo aiutato a comprendere. La comprensione attenua di un poco il suo dolore e la luna sembra brillare di più.

  William ha sempre creduto di essere inutile perchè Amanda non lo amava più. Ha sempre pensato che, siccome lei non lo voleva più, allora aveva ragione – che il giudizio di Amanda e la sua opinione in merito a lui erano corretti. Se lei l'aveva gettato via come si getta via la spazzatura, allora lui è spazzatura. Ha sempre pensato che lei gli appartenesse, perchè William voleva appartenere a lei. Ha sempre sbagliato, la chiaccherata con sua nonna gli ha schiarito le idee in merito. Appartenere è una parola terribile, specialmente quando si trova nella stessa frase di qualcuno che ami. L'amore non dovrebbe essere così.
Adesso ha capito.
Amanda non è mai stata una sua esclusiva proprietà, non è mai stata sua, non puoi possedere un essere umano: di conseguenza non puoi perdere qualcosa che non è mai stato tuo.

  Supponiamo, per un momento, che si possa possedere una persona. Si potrebbe davvero amare qualcuno che non è assolutamente nessuno senza di noi? Davvero vorremmo qualcuno del genere? Qualcuno che cade a pezzi, che si autodistrugge, appena usciamo dalla porta di casa? No, vero?
Neanche Amanda voleva qualcuno del genere.
William era come una Luna che le girava attorno, la sua intera vita era un costante moto di rivoluzione attorno a lei. Un essere dipendente da un essere indipendente. La sua intera vita. E se a lui importava così poco della sua vita, così poco da darla via, porgerla su un vassoio di argento alla sua futura moglie, perchè lei avrebbe dovuto valutarla più di quanto la valutava lui stesso?
Caroline ha visto giusto, la laurea in filosofia è davvero servita a qualcosa.
È servita a capire che Amanda non avrebbe mai potuto valutarlo più di quanto lui valutava sè stesso.

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo due ***


Ad ogni azione corrisponde sempre una uguale ed opposta reazione.
Isaac Newton, Terzo principio della dinamica.

 

  Ogni sabato, dall'undici agosto del millesettecentoundici e dall'invenzione delle macchine, le strade di Ascot diventano impraticabili, i parcheggi si riempiono prima che tu riesca a notarne uno e la stazione è così affollata da fare concorrenza all'ippodromo stesso. La situazione peggiora, se possibile, solo per il Royal Ascot.
Fino agli anni sessanta Ascot era il luogo perfetto per trovare marito, e lo è ancora, solo che quasi nessuno è disposto ad ammetterlo apertamente. Janine Hamilton ama il Royal Ascot, commentare gli outfit dei non-u e sorseggiare champagne. Ma, più di ogni altra cosa, Janine ama presentare la figlia a chiunque conosca, ed è determinatissima a trovarle marito prima della fine dell'anno. Sua figlia ha solo vent'anni, un nome che tutti sbagliano a pronunciare e una madre dispotica.

«Mamma, ti prego!»
Le proteste di Aelia sono inutili, sua madre si ostina a sistemarle la veletta che proprio non vuole saperne di stare al suo posto.
«Puoi stare ferma per un sec-»
La veletta, come nei più classici film romantici, vola via. Sfortunatamente nessun baldanzoso giovine la rincorre, pronto a riportargliela. Aelia si volta, sua madre è furiosa. Sa già cosa dirà.
«Ecco! Adesso non ti faranno entrare! Neanche il tempo di tornare, e già combini danni!»
«Su, su, Janine! Non mi sembra il caso di farne una tragedia, è solo un cappello.»
Janine è terrificante, guarda il marito con occhi di ghiaccio. «Non è solo un cappello, Ian. Sai benissimo che adesso non la faranno entrare. E come farò a trovarle marito, se non la fanno entrare?» La voce è così bassa che Ian fatica a sentirla, ma è così che funziona nell'alta società, niente scenate o urli.
«Suvvia, Janine! Sempre con questa storia di trovare marito al nostro tesoro, sono più che convinto che Aelia è in grado di trovarselo da sola.»
Sua madre è sul punto di esplodere, Aelia si morde le labbra per non ridere e si volta verso il cancello.
«Ha vent'anni, Ian! Tra poco comincerà ad avere le rughe e i capelli bianchi e uno stuolo di gatti al seguito, e allora chi la vorrà?» A Aelia non dispiacerebbe avere rughe, capelli bianchi e una casa piena di gatti, se solo servisse a tenerle la madre e il suo dispotismo lontani. Anzi, una casa piena di gatti non le dispiacerebbe per niente.
Richard apre la bocca per risponderle, ma viene interrotto ancora prima di iniziare.
«È vostro questo?»
Aelia si volta, distolta dal sogno ad occhi aperti di una casa piena di gatti. Lo sconosciuto le sta porgendo la veletta blu. Ha l'attaccatura dei capelli alta e gli occhi grigi, la pelle chiara è cosparsa di lentiggini.
Afferra la veletta, abbassando gli occhi. «Sì, grazie.»
Lo sconosciuto le sorride e torna in fila, qualche metro più dietro.
Janine strappa il cappello di mano ad Aelia e glielo rimette, prima di lasciar andare un sospiro a lungo trattenuto.
«Siamo salvi

  A casa Hamilton ogni domenica mattina segue lo stesso rituale.
Le pesanti tende di tappezzeria vengono aperte alle sette meno un quarto, esattamente quindici minuti dopo, Connie bussa delicatamente alla camera patronale, prima di entrare con gli abiti appena stirati per la Signora e il thè forte per il Signore.
Dall'altra parte della casa, Louis sa che dovrà faticare non poco per svegliare la Signorina: è infatti risaputo dall'intera servitù, che niente e nessuno può svegliare Aelia Hamilton di domenica mattina.
A meno che non ci siano i pancake.

La signora disapprova fortemente l'inclinazione dell'unica e preziosissima figlia verso il cibo – e qualsiasi altra cosa – di origine americana.
«Così poco patriottico, Ian, non trovi?»
Ian continua a leggere il giornale e mugugna un «Sì» poco convinto. A lui importa poco dell'inclinazione della figlia verso i pancake e gli hamburger, fin quando non sostituirà il thè con il caffè solubile, lui non avrà niente da ridire.
Aelia si lascia cadere scompostamente su una sedia, i capelli ancora arruffati dal sonno, il trucco sbavato e la vestaglia di seta annodata male. Janine la osserva scandalizzata, mentre aggiunge latte al thè. Inconcepibile che a vent'anni sua figlia non abbia ancora imparato che a colazione ci si presenta vestiti e, soprattutto, presentabili. Non si sa mai chi potrebbe arrivare.
Ian chiude il giornale e posa la tazza del thè. È stanco, non ha dormito per tutta la notte. Avvicina il vassoio dei pancake, ne mette due nel piatto e aggiunge lo sciroppo d'acero.
«Ian!» La voce scandalizzata di Janine lo interrompe mentre sta per mettere in bocca la prima forchettata. «Anche tu! Che esempio dai a nostra figlia? Posa quei pancake, subito
«Janine, carissima, sono appena le otto ed è domenica, ti dispiacerebbe non alzare la voce in questo modo?»
Aelia scoppia a ridere e la spremuta di melograno le va di traverso, così si ritrova a tossire e a schizzare la delicata vestaglia verde salvia. Janine non crede ai suoi occhi, ha allevato una selvaggia! Una figlia senza rispetto per i propri antenati, per gli insegnamenti ricevuti, una disgraziata che non troverà mai marito! Stizzita, prende la propria tazza e se ne va.
«Finalmente!» Ian alza gli occhi al cielo, felice di poter mangiare i pancake in pace. Aelia gli rivolge un sorriso divertito, mentre tenta di asciugare la vestaglia senza molti risultati.
«È una bella giornata oggi, ti va di andare a fare una passeggiata a cavallo?»
La figlia alza lo sguardo dagli schizzi, sorpresa per la proposta.
«Certo!»

  Non ci crede, non può essere possibile.
Si rifiuta di credere che una pratica barbara come quella possa ancora essere utilizzata. Aelia odia l'alta società inglese, odia avere uno stupido titolo nobiliare che la rende appetibile ai più, odia dover essere presentabile la domenica mattina, odia il patriottismo e il dispotismo della madre.
Li odia tutti.
Non ha mai chiesto niente di tutto questo. Non ha mai chiesto la Sorbona, non ha mai chiesto le lezioni di portamento, non ha mai chiesto gli stivali fatti su misura. Ha sempre e solo voluto una vita normale, un matrimonio felice, una carriera soddisfacente, non più di due bambini e un cottage sulle scogliere della Cornovaglia, pieno di gatti naturalmente. E invece...
Ha gioielli in abbondanza, una stanza solo per le scarpe, un purosangue arabo, una parrucchiera che la pettina ogni mattina e una madre che si rende ridicola continuamente.
«È la cosa più stupida e insulsa che abbia mai sentito, papà, dille qualcosa!»
«Non tirare in mezzo tuo padre! Tu andrai a quel ballo, ormai è deciso.» La voce di Janine sale di almeno due ottave sopra la norma, assordando contemporaneamente figlia e marito con i suoi urletti isterici.
«Io non voglio andarci!» Aelia stringe le braccia al seno e guarda il padre supplicante. «Papà, ti prego!»
«Smetti di fare la bambina Aelia Louise Hamilton! Non puoi non partecipare ad un ballo in tuo onore che, inoltre, abbiamo rimandato per troppi anni!»
La figlia si lascia cadere sul divanetto verde, sconsolata.
«Abbiamo organizzato il tuo debutto in società per più di un anno e mezzo! Non ti lascerò rovinare tutto la settiamana prima.»
«E non ti è passato neanche per l'anticamera di quell'inutile cervello da gallina che ti ritrovi, che forse dovevi mettermi al corrente di quanto deciso?» Aelia si porta le mani alla bocca, ormai è troppo tardi per rimediare a quanto detto. Janine potrebbe benissimo passare per una statua di marmo, immobilizzata com'è dalla rabbia improvvisa. Ian ridacchia dietro la pagina della borsa.
«Vai subito in camera tua, e tu! Smettila subito di ridere!»
Aelia e il padre abbandonano il salottino verde quasi correndo.

  Quanto può essere inutile un ballo di debutto?
E quanto può essere antiquato?
Potrebbe andare peggio?
Oh, certo, può sempre andare peggio.
Potrebbe, ad esempio essere promessa in matrimonio a qualcuno e non saperlo.
Oh, certo, ci sono sempre i matrimoni combinati. Aelia scommette che sua madre sarebbe capace di farlo, d'altronde la cosa non la stupirebbe neanche più di tanto. Janine non ha mai avuto rispetto per i desideri di sua figlia, e non inizierà certo adesso.
Duchessa le si struscia contro il gomito, desiderosa di coccole come sempre, lei l'accarezza distrattamente. Aelia si sente diversa da quando è tornata nel Berkshire. Spesso si ritrova a pensare che forse, forse, ogni mattina quando si sveglia è una persona leggermente diversa da quella che è andata a dormire la sera prima. Forse è per questo che a volte ci sono dei giorni in cui ama la sua vita, e altri in cui proprio non la sopporta.
Forse è questo che significa crescere.

 

 

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