La morte è soltanto il principio

di Hamartia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Dead Memories ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Your Darkest Moments ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Pleasure and Pain ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - I Let The Water Take Me ***
Capitolo 5: *** Capitolo V - Relaising The Demons ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Dead Memories ***


CAPITOLO I - Dead Memories
 
《Now I don't know where I belong..
We were never alive, and we won't be born again.
But I'll never survive with
Dead Memories in my heart.》

[Dead Memories - Slipknot]

 

Girovagare per le vie di Venezia alla fioca luce di una fosca sera mi rasserena la mente, riportandomi a tempi antichi, a misteri di luoghi nascosti, eterna arte che emerge dalla verde laguna, in cui si specchia il passato dimenticato di figure indefinite che vagano nel buio della notte, come fantasmi silenziosi, a me simili, che cercano una via di uscita da questo mondo, dove tutti noi siamo intrappolati.
La Luna è nascosta dalle nubi, il silenzio regna sovrano, segni che questa sera anche gli Dei vogliono lasciarmi a me stessa1, come se volessero far finta di non vedere o sentire. Dove devo andare, lo so bene, ma per il momento cammino nel buio perdendomi tra le calli.
Perdermi. Sarebbe bello perdersi in questa meravigliosa città, peccato che la conosca troppo bene perché succeda. Vi starete chiedendo chi sono io e che loschi affari stia sbrigando nella più incantevole città d'Italia.
Per rispondere alla prima domanda, beh, non posso farlo poiché non sono un "chi", non più da fin troppo tempo. Per quanto riguarda la seconda domanda, sto andando a fare visita ad una vecchia amica, un'ex egittologa in pensione, una brillante donna di 97 anni divorata dal demonio del cancro. Mi ha chiamata, l'ho sentita pronunciare il mio nome nella disperazione di una notte insonne. Quel demone la tortura da anni senza lasciarla mai andare. È per questo che ha invocato il mio nome.
Arrivo in campo Santa Margherita e svolto a destra in una calle stretta e buia, quasi un tunnel nell'oblio. Riconosco la porta rossa della casa di Christiane, entro senza bussare, senza fare alcun rumore, lei già sa che sto arrivando. La trovo distesa sotto le morbide coperte di lana nella piccola stanza da letto, mi guarda con quegli occhi di un azzurro ormai spento e acquoso, i capelli, un tempo biondi ora di un bianco perlaceo, leggermente scompigliati sul cuscino, il volto esangue, riesco a sentire il  suo cuore che lotta dolorosamente per continuare a battere all'infinito ma il 'ba', la sua anima, vuole lasciarsi andare, dispiegare le ali e volare via2.
-«Sei arrivata più velocemente di quanto immaginassi» parla e si muove a fatica ma riesce comunque a sorridermi.
-«Quando un'amica ha bisogno di me, posso fare magie, lo sai bene» le sorrido ma non riesco a nasconderle la tristezza nella mia voce e l'angoscia sul mio volto. Dopo tanto riesco ancora a provare emozioni.
-«Lo sai perché ti ho chiamata. Ti prego Udajet, non puoi rifiutarmi nuovamente il tuo aiuto..» il suo sguardo deciso mi ricorda i tempi in cui cercavamo freneticamente nel terreno sabbioso di Uaset3 dei tesori dal passato da riportare alla luce, o eravamo prossime a fare qualche grande scoperta.
-«Questa volta non ti rifiuterò ciò che chiedi. Sono qui per aiutarti se è questo che vuoi. Vuoi davvero che proceda?» gli angoli della bocca si increspano in un lieve sorriso, lacrime di gioia le bagnano le guance e accenna un sì con la testa.
Poggio le mani sul suo petto, chiudo gli occhi e comincio a recitare la formula che già molte volte liberò entità spirituali dalla prigionia di questa forma e dai mali di questo mondo.
-«Desidero che la Luna e le Stelle mi guidino nella notte
Fedeli compagne nell'oscurità durante la strada per i Campi dei Giunchi
Non mi abbandoneranno a vagare eternamente nel buio 
La morte che sopraggiunge, è vita e rinascita
Lo Sciacallo mi condurrà nella Sala delle Due Verità
Se dalla Divoratrice il mio cuore sarà annientato
La sentenza di Osiride e della giusta Maat accetterò
Se sarò giudicata una Giusta di Voce correrò su prati infiniti col sommo Geb,
Le mie ali dispiegherò con la grande Nut,
E riemergerò giovane e vittoriosa dalle nere acque di Apopis
Non inferiore ma uguale le Stelle tra loro mi accoglieranno,
La mia luce accompagnerà le altre anime per l'eternità»
Le mie mani emanano calore, una luce azzurrognola simile a vapore o nebbia leggera si propaga nella stanza dal petto di Christiane. Mi guarda un'ultima volta dritta negli occhi e sussurra «Grazie» e la vedo. Vedo la sua anima che si libra nell'aria e mi lascia lì, sola.
L'ultima persona cara che mi era rimasta al mondo è svanita e io sono ancora qui, nuovamente sola nello scorrere del tempo e dei secoli.

 

Note e spiegazioni

1:Nei testi egiziani nessuna divinità si rivela all'uomo se non come profumo, luce, voce o tremore della terra, e mai in carne ed ossa.
2:Il ba era l'identità spirituale dell'uomo; veniva rappresentato come un uccello con il volto umano e quando un uomo moriva il suo ba volava nell'aldilà, avendo però la possibilità di tornare nel mondo terreno per ricevere le offerte funerarie.
3:Tebe

Campi dei Giunchi = dimensione edenica egiziana
Sciacallo = Dio Anubi
Divoratrice = essere bestiale metà coccodrillo e metà ippopotamo
Osiride = Dio della morte e dell'oltretomba 
Maat = Dea dell'ordine e della giustizia
Geb = Dio della terra
Nut = Dea dell cielo
Apopis = Dio del caos
Nell'Antico Egitto la più grande aspirazione era di diventare parte del firmamento dopo la morte.

 

Salve gente!!! Allora.. Penso da molti anni ormai a questa storia ma non ho mai avuto la pazienza di scriverla. So che per ora la trama non è per nulla chiara ma spero che come inizio piaccia ugualmente. Se avete qualche curiosità o qualcosa che non capite chiedete pure. Nulla è inserito a caso (ad esempio il titolo della storia è una citazione dal film "La Mummia" del 1999). Grazie ad Atalanta96 per aver letto questo capitolo in anteprima e avermi vivamente consigliato di continuarla ( <3). A presto con il secondo capitolo! :)
p.s.
Ho cominciato uno spin-off in cui appofondirò la storia della protagonista. Se vi intresessa questo è il link: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3267796&i=1

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Your Darkest Moments ***


Capitolo II - Your Darkest Moments
«Regrets collect like old friends
Here to relive your darkest moments
I can see no way, I can see no way
And all of the ghouls come out to play»

[Shake It Out - Florence and The Machine]

 

Mi allontano dal letto e da quelle lenzuola impregnate di morte. Pure e candide lenzuola che io stessa ho trasformato in sudario. Non mi sento in colpa, lei lo desiderava ardentemente. Non voglio giustificarmi, l'ho semplicemente aiutata a prendere il volo senza provare dolore, quel dolore che aveva sopportato già troppo a lungo. Vi sfido a desiderare un modo migliore in cui morire.
Pochi passi ed entro nel caldo ed accogliente salotto, illuminato solo dalla fiamma del caminetto acceso.
Ci sono libri. Libri ovunque: sui tavolini, pile ai piedi della poltrona e del divanetto di pelle rossa, gli scaffali della libreria non hanno un solo spazio vuoto. Esattamente ciò che ci si potrebbe aspettare da una donna che è stata ricercatrice e studiosa di egittologia per più di cinquat'anni. Vorrei stare qui a crogiolarmi nel sapere affondando in quella bella poltrona e godendo della mia rinnovata solitudine.
Solitudine. L'ho sempre amata, quasi come una figlia ama la madre, ma è strano ora che l'ultima persona che era a conoscenza della mia esistenza era morta. Un po' come se non esistessi, come se fossi uno spettro, un'ombra che vaga sulla Terra senza mai trovare pace.
A meno che Christiane non avesse raccontato a qualcuno di me ma ne dubito fortemente. Ci fidavamo l'una dell'altra e per questo, al tempo, decisi di raccontarle la mia storia. Sapeva tutto di me. Le mie forze, le mie debolezze. Non cercò mai di approfittarsene e io mi fidavo ciecamente.
Devo andarmene da questo posto, la dolcezza dei ricordi mi offusca la mente eppure non riesco ad andarmene. I muscoli tesi all'improvviso. I miei sensi hanno captato un movimento appena fuori dalla porta d'entrata. Passi. La porta si apre e si richiude alle spalle di qualcuno. Passi.
Mi nascondo nell'angolo più buio del salotto. Una figura maschile passa nel corridoio e va verso la camera, dove giace il corpo senza vita di Christiane. Un sospiro. Sento la voce di questo individuo, probabilmente parla al telefono. Una porta si chiude e i suoi passi vengono verso il salotto.
Mentre rimprovero me stessa per non essermene andata prima, lui mi vede e si immobilizza nella paura.
-«Tu sei Udajet, immagino..» la voce tremante, il sudore ad imperlargli il volto.
Appena lo dice il mio cuore aumenta i battiti come un cavallo impazzito, un uccellino in gabbia che cerca disperatamente di uscire, i muscoli  bloccati nella tensione. Devo riprendere il controllo.
-«Non pronuncerei quel nome con tale noncuranza, se fossi in te1» gli rispondo infastidita.
-«Chiedo perdono. Mia nonna, Christiane, mi ha parlato di te. Non volevo credere davvero alla tua esistenza, pensavo fosse una delle tante leggende del nostro adorato Antico Egitto. So che ti facevi chiamare Helen quando lei era giovane. Posso chiamarti così?»
Non gli rispondo. Non posso credere che Christiane avesse raccontato a qualcuno di me come ad una storiella per bambini. Ignoranti, oltretutto. Una maschera di indifferenza sul mio volto, mentre la confusione regna nelle viscere.
-«Lo prenderò come un sì.» con tono titubante continua a parlare «Posso immaginare che non ti saresti aspettata che lei raccontasse a qualcuno di te, mi aveva detto che tieni molto alla tua segretezza. Beh, dovrai ricrederti. Ne parlava spesso. Ti descriveva come un'eroina, una dea in Terra, cose del genere. Tieni presente che ero un bambino e mi sembrava una storia fantastica in tutti i sensi. Crescendo capii che mia nonna era davvero convinta che fosse reale. Pensai che con l'avanzare dell'età cominciasse a perdere qualche rotella.. ma ora che ti vedo.. ci credo.»
Si sedette sulla poltrona, cominciava a rilassarsi. Io non riesco ancora a fidarmi. I piedi ancorati al pavimento. Continuo a fissarlo, i miei occhi puntati nei suoi, smeraldo contro zaffiro.
-«Comunque sia mi aveva avvisato che ti avrebbe chiamata e che forse ti avrei incontrata. L'hai aiutata tu ad andarsene, non è così?»
-«Ho fatto in modo che se ne andasse senza soffrire, era quello che desiderava» gli rispondo in tono indifferente. Inaspettatamente mi sorride, i suoi occhi si illuminano, sussurra un «Grazie» e distoglie lo sguardo. L'unico suono ora è il crepitare della legna nel fuoco.
Dopo qualche minuto si alza, mi si avvicina e porgendomi la mano destra si presenta «Mi chiamo Jeremy. Mi ero completamente dimenticato delle formalità, perdonami» e continua a sorridermi, forse nella speranza che lo contraccambi. Povero illuso.
Gli stringo la mano più forte di quanto una donna con la mia corporatura potrebbe fare. Il sorriso diviene smorfia ma non si lamenta. Allora non è poi così stupido.
-«Come il profeta. Sei un Egittologo anche tu?» gli chiedo per dissimulare la rabbia.
-«Non esattamente. Sono un semplice archeologo.» cala il silenzio. Il silenzio imbarazzante questa volta. Questo mi dà il tempo di guardarlo meglio: è sulla trentina, non troppo alto (ma poco più alto di me), i capelli castano chiaro sono corti e spettinati, gli occhi sono blu con qualche sfumatura più chiara tra il verde e l'azzurro, lineamenti spigolosi e marcati, la mascella pronunciata, il naso rotondeggiante ma non troppo grande e sembra piuttosto muscoloso. Un soggetto alquanto attraente in fin dei conti.
Noto che vorrebbe chiedermi qualcosa, glielo leggo dall'espressione nervosa: continua a mordersi l'interno del labbro inferiore, lo sguardo si sposta in continuazione, da me, alle sue scarpe, al camino, e poi di nuovo a me questa volta per restarci. Apre la bocca ma non ne esce alcun suono e si richiude. Distogli di nuovo lo sguardo.
-«Vuoi dirmi qualcosa o posso andarmene da questo posto prima che arrivi qualcuno a prendere la salma di Christiane?» gli chiedo esasperata.
-«Vorrei che mi raccontassi la tua storia. Insomma com'è andata davvero» mi risponde deciso.
-«Non so cosa ti ha raccontato Christiane ma penso sia stata piuttosto sincera a riguardo.»
-«Per favore. Sono cresciuto con la tua storia e ogni volta mi veniva raccontata in modo diverso»
Mi guarda con un misto di supplica, curiosità e determinazione. La classica determinazione di chi sa che è ad un passo da scoprire una grande verità.
Leggo nella sua mente sincerità e fiducia. So che non mi tradirà in alcun modo un po' come lo sapevo quando lessi nella mente di Christiane la prima volta. Alla fine non mi aveva tradita. Aveva passato il suo segreto ad una nuova generazione come se volesse tramandarlo per proteggerlo. Per proteggere me. Per darmi un posto in cui trovare rifugio e delle persone amiche. Ora capisco.
-«Per qualche assurdo motivo sento che posso fidarmi di te. Quindi te la racconterò se è questo che vuoi. Ma non questa notte. Fra non molto Ra sconfiggerà la notte e ridarà la luce al mondo. Domani sera tornerò.»
Mi voltai per raggiungere la porta rossa ed uscii. Le tenebre mi avvolsero nel loro freddo abbraccio.

1: In Egitto la magia si fondava su due principi basilari: il primo consisteva nella fede assoluta riposta nella forza creatrice dei suoni (pronunciare il nome di una persona significava intervenirvi direttamente e ad un piano diverso dal reale ma più efficace).

 


Heyla!!! Finalmente sono riuscita a pubblicare il secondo capitolo, spero vi piaccia!
Comunque sia ringrazio chi legge e chi commenterà. A presto con il terzo capitolo! :)
Ps. Curiosità n° 2: la prima egittologa donna della storia si chiamava Christiane.

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Pleasure and Pain ***


Capitolo III - Pleasure and Pain
 
«How I wonder why the world can be so cold
And if only good die young
Then left with me cruel here to grow old
And I felt pleasure
And I felt pain
And I know now
I can never be the same»
 
[Pleasure and Pain - Ben Harper]
 
Il sole è tramontato da un paio d'ore. Il freddo e l'umidità sono pungenti anche all'interno dell'appartamento. Ho acceso il fuoco appena arrivata, circa mezzora fa. Per quanto il salotto sia piccolo la luce guizzante delle fiamme, il rumore della legna che arde e gli scaffali traboccanti di libri rendono il tutto molto accogliente. Avrei voglia di fermare il tempo e restare qui a leggere alla fioca luce del fuoco fino alla fine dei tempi.
Il tempo però non si ferma, lo so bene.
Sento dei passi all'esterno che si avvicinano all'entrata. So già chi sta arrivando. Mi preparo davanti alla porta e, prima che lo faccia lui, la apro per farlo accomodare. Jeremy mi guarda sorpreso. Leggo anche un leggero fastidio nel suo volto. Probabilmente sarei anche io contrariata se qualcuno mi invitasse ad entrare in casa mia, ma la sua espressione corrucciata mi diverte. Non riesco a trattenere un mezzo sorriso.
-«Oh, allora sai sorridere anche tu, non l'avrei mai detto!» dice lui ridendo. In un istante cancello la mia espressione per ritornare nella mia maschera d'indifferenza.
Lui entra, si accomoda sulla poltrona e dopo aver chiuso la porta lo seguo, accomodandomi sul divanetto di fronte. La sola luce del fuoco disegna ombre marcate e scure sui nostri volti e sui muri. La classica serata in cui qualcuno racconta una banale storia dell'orrore. Oppure la serata perfetta per richiamare gli spettri del passato. O entrambe le cose.
-«Se sei pronto io comincerei. C'è molto da raccontare e la notte scivola velocemente sulle nostre teste..»
-«Sì certo, siamo qui per questo.» mentre lo dice gesticola con la mano per dirmi di procedere.
-«Sono nata in Egitto durante la IV dinastia dell'Antico Regno, cioè nel..»
-«2575 a.C.» il gelo del mio sguardo lo ammutolisce, «..Ehm.. scusa, la mia indole da archeologo ha prevalso. Non ti interromperò più, promesso.»
Mi teme, ovvio. Voglio che mi tema. Sospiro e continuo il mio racconto.
 
 
Era una notte fredda, il firmamento splendeva sul bianco deserto, al porto di Ineb-hedj1 gli unici suoni erano quelli dell'acqua del Nilo che scorreva tranquilla e il gracidare delle rane nascoste tra le canne.
Tutto sembrava normale finché l'atmosfera non fu rotta dal pianto di neonato. Non c'era nessuno a udirlo se non una guardia di ronda che si seguì quei gemiti fino ad un ammasso roccioso, poco distante dalla riva. Rimase sbalordito quando si ritrovò davanti due neonate che strillavano con tutta la forza del loro corpicino, dove fino a pochi attimi prima non vi era nulla se non un mucchio di rocce.
La guardia corse a chiamare il grande sacerdote: doveva vedere con i suoi occhi quella bizzarra visuale e avere la conferma di non aver perso la ragione.
Il sacerdote rimase molto più sconvolto perché più che essere una visione bizzarra sembrava vera e propria follia: una bambina era avvolta da un cobra, ma non era ostile, voleva solo proteggerla come una madre protegge il proprio piccolo e sembrava quasi cullarla; mentre l'altra bambina si trovava a pochi passi di distanza e vicino a lei era appollaiato un avvoltoio a farle da guardiano.
Quei due esserini così piccoli ed innocenti possedevano già un destino più grande di loro e di tutte le epoche a venire. Perché che cosa poteva mai voler dire tutto questo se non, ovviamente, essere un segno degli Dei? Perciò credettero che quelle bambine fossero dee reincarnate, mandate sulla sacra terra d'Egitto per proteggere le sue genti. Una delle due bimbe fu chiamata Nekhbet e Udajet2 fu invece il mio nome.
Nei primi anni di vita fummo accudite nel palazzo reale insieme ai figli del sovrano dopodiché fummo affidate ai sacerdoti e sotto la loro guida imparammo a scrivere, a leggere le stelle, ci istruirono sulla religione, sulla medicina e su quali sarebbero stati poi i nostri compiti.
Crescemmo come fossimo state sorelle, nonostante le profonde diversità sia dell'aspetto che del carattere. Lei con i suoi occhi neri e profondi, i capelli del colore della sabbia, la corporatura snella e slanciata, viso dai lineamenti affilati e decisi, l'incarnato olivastro e perfetto, che faceva impazzire tutti con il suo carattere ribelle e sempre allegro; io con i miei occhi verdi, i capelli corvini, la corporatura robusta e formosa, il viso tondo e dolce, la carnagione fin troppo pallida, che, obbediente e taciturna, cercavo di risolvere i problemi causati da mia sorella quando non riuscivo a frenarla.
Eravamo ancora delle bambine ma nonostante questo eravamo obbligate ad uno studio continuo, perciò capitava che qualche volta mi facessi convincere da lei a sgattaiolare fuori dal tempio dove abitavamo per giocare. Eravamo pur sempre della bambine di neanche dieci anni. E come ci divertivamo a rincorrerci per le strade del mercato, tra i banchi dei commercianti che, per ingraziarsi il favore degli Dei, ci regalavo cibo e vestiti. Lei si divertiva a prenderli in giro, dicendo che, se non ci avessero dato ciò che più ci aggradava, sarebbero stati dannati per l'eternità. E io dovevo dire che non era vero e chiedere perdono al posto suo. Ma ci temevano così tanto anche se eravamo piccine, che ci davano tutto quello che desideravamo.
Una volta, con quel suo sorriso splendente e la voce squillante, mi disse: «Dai sorellina, noi siamo delle dee incarnate e in più siamo delle bambine, non possono farci del male, avrebbero troppa paura delle conseguenze, tanto vale approfittarne!»
Invece non lo feci mai e più il tempo passava, più maturavamo e più imparai a non scherzarci su. Tutto ciò che non volevo era essere temuta. Se potevo portare un po' di speranza allora mi sarei dedicata a quello. Volevo essere una dea benevola e non portatrice di terrore e così studiavo, mi applicavo con tutto il mio essere. Ma mia sorella invece, lei non se ne curava più di tanto, perché non credeva. Non credeva davvero in ciò che ci dicevano i sacerdoti. Non credeva di essere una dea reincarnata. Non credeva negli Dei e io lo sapevo. Avevamo delle regole che lei non rispettava e, per quanto io la difendessi, fu spesso punita. Punita non poi così duramente, dato che gli stessi sacerdoti ci temevano.
Raggiunta l'età adolescenziale per l'epoca eravamo già donne e così cominciammo ad occuparci dei compiti per cui eravamo state istruite. Presenziavamo alle feste per dare la nostra benedizione, ad esempio, ad un nuovo monumento, ad un matrimonio o ad un funerale. Le persone volevano conoscerci, bramavano una parole gentile o una semplice stretta di mano. Nonostante la mia indole riservata e poco loquace adempivo ai miei doveri egregiamente, perché se avevo la possibilità di regalare un po' di gioia con un semplice saluto lo facevo. Mia sorella faceva giusto il necessario per non avere grattacapi con i sacerdoti e poi se ne andava a passeggiare con qualche ragazzo. La seguivo e la riportavo al tempio prima che combinasse qualche stupidaggine.
Avevamo circa diciassette anni quando scoprimmo cosa eravamo davvero in grado di fare. Era una mattina d'estate, il disco solare era appena sorto illuminando le sabbie bianche che ci circondavano, quando i sacerdoti ci svegliarono e ci portarono in gran fretta a palazzo: il Faraone Snefru, appena tornato da uno dei suoi viaggi espansionistici, era febbricitante a causa di qualche malattia straniera sconosciuta. Eravamo entrambe al suo capezzale, a fare il possibile per curarlo e assisterlo. Purtroppo le cure normali non servirono a nulla. Eravamo lì anche per quello, poiché nel peggiore dei casi dovevamo aiutarlo nel passaggio nell'aldilà nella benevolenza divina.
Passò un giorno in cui facemmo l'inimmaginabile per ristabilire le pessime condizioni del nostro Faraone ma nulla servì. Io e mia sorella stavamo per arrenderci e recitare le formule di passaggio, quando ci guardammo negli occhi. In quel preciso istante fummo consapevoli di ciò che dovevamo fare. Un istinto radicato nel profondo dei nostri esseri ci spinse ad appoggiare le mani sul petto del Faraone e insieme recitammo una formula che non avevamo mai imparato o ascoltato prima d'ora. Le parole sgorgarono dalle nostre bocche senza che ce ne rendessimo conto. Era come se ci fosse qualcun altro a muoverci come burattini. Dalle nostre mani si sprigionarono luce e calore. Il Faraone smise di delirare, la febbre si abbassò all'istante e guarì. I sacerdoti erano sbalorditi. Ma mai sorpresi quanto me e mia sorella.
Da quel momento divenimmo prigioniere del tempio, la nostra stessa casa, e schiave dei sacerdoti, l'unica famiglia che avessimo mai avuto. Dovevamo curare i malati, compiere riti di passaggio per i moribondi, fino a richieste assurde come trasformare la roccia in oro. E lo facevamo. Perché? Forse perché la nostra nuova consapevolezza, la prova che eravamo molto più che semplici ragazzine su cui il popolo egizio contava così tanto, fece sentire all'improvviso tutto il suo peso sulle nostre esili spalle. Io fui sempre credente, se non negli dei, in una qualche presenza, ma in quel momento ne fui spaventata. Chissà cosa gli dei mi avessero fatto se non ubbidivo alle richieste del popolo. Era nostro compito proteggerlo. Persino mia sorella divenne ubbidiente e più credente che mai negli dei. Almeno così sembrava.
 
1"Muro Bianco", nome con cui veniva chiamata Menfi nell'Antico Regno, che a quell'epoca era la capitale.
2Udajet = Dea Cobra
Nekhbet = Dea Avvoltoio

 
Hey, ciao a tutti!!! Innanzitutto ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite e le preferite (cose da non credere), grazie davvero!!! E grazie anche a chi legge soltanto, ovviamente!
Torniamo a noi. Stiamo entrando nel vivo della storia, che ho deciso di ambientare nella mia epoca preferita dell'Antico Egitto, cioè la IV dinastia. L'anno preciso in cui cominciò è ancora piuttosto discusso tra egittologi e archeologi ma quello che ho scritto io si pensa sia il più esatto. Il Faraone Snefru fu davvero il primo di questa dinastia e viaggiava davvero molto per cercare di espandere il regno. Il resto è frutto della mia mente malata(?).
Comunque sia, dato che è la prima storia che scrivo, se qualcuno volesse commentare, consigliare, recensire.. è tutto ben accetto :)
A presto con il quarto capitolo!

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - I Let The Water Take Me ***


Capitolo IV - I Let The Water Take Me
 
«'Cause they took your loved ones
But returned them in exchange for you
But would you have it any other way?
You could have had it any other way
'Cause she's a crueller mistress
And the bargain must be made
But oh, my love, don't forget me
But I let the water take me»
 
[What The Water Gave Me - Florence + The Machine]
 
Mi fermo. Jeremy mi guarda con un'espressione indecifrabile.
«Se vuoi chiedermi qualcosa puoi farlo, non mangio nessuno.. senza alcun motivo almeno..» gli dissi, quasi scherzando.
«Non volevo interrompere il tuo racconto» mi sorride «Mi stavo solo chiedendo perché non pronunciassi mai il suo nome, poi mi sono ricordato che, per le leggi dell'Antico Egitto e non solo, credo, è meglio non farlo..»
«Pronunciare un nome, così importante come quello di un Dio oltretutto, non è assolutamente un fatto da prendere alla leggera. A meno che tu non voglia richiamare qualche spirito dall'oltretomba..»
«Non è mia intenzione, decisamente. Immagino che sia piuttosto doloroso ricordare quel periodo, non sei obbligata a continuare se non ti va..» questi suoi modi apprensivi, come se capisse cosa ho passato, non li sopporto. Non sa proprio un nulla di me.
«Ho più di quattro millenni alle spalle, credi che non abbia già fatto i conti col passato ormai? Forse sei tu quello che non ha più voglia di ascoltare» gli rispondo imperturbabile.
«Certo che ho voglia di ascoltare, non capita tutti i giorni di avere un libro di storia vivente davanti» ride.
Non gli rispondo, mi limito ad osservarlo in attesa che mi dica di procedere. Non ho intenzione di dargli alcun tipo di soddisfazione. Si sta dimenticando chi è il suo interlocutore o non gliene importa proprio?
«Ok»- si alza sbuffando, -«meglio se prendo qualcosa da bere. Tu puoi continuare la storia.»
 
Tsk. Uomini.
Da sempre attirammo la loro attenzione, tutti lodavano la nostra bellezza e le nostre capacità. Lo stesso Faraone propose spesso al grande sacerdote di donargli in sposa, se non entrambe, almeno una di noi. Ma le regole erano chiare: dovevamo restare pure, niente matrimonio e niente figli. La possibilità di vivere una vita normale si allontanò ancor di più e ne soffrimmo terribilmente. Imparammo ad ignorare quel lato della vita facendoci coraggio a vicenda. Se per me, che ero abituata a soffrire in silenzio, fu un'ardua impresa, ancor più difficile fu per mia sorella. Tutta la sua positività sparì, il suo sorriso si spense, mi sembrava quasi un morto vivente. E, per quanto la consolassi e le dicessi che potevamo vivere discretamente anche nella nostra solitudine, non riuscivo ad aiutarla.
E così passarono le stagioni e gli anni, fino al momento in cui vidi mia sorella cambiare nuovamente. Non tornò ad essere la ragazzina spensierata di un tempo ma era più serena e vivace. Alla sera sgattaiolava fuori dalla nostra stanza per andare a pregare gli dei, almeno così diceva, per tornare a dormire un paio di ore dopo. Pensai che avesse fato pace con se stessa e avesse finalmente deciso di abbracciare la vita che ci era stata data. Ma poi cominciai a notare certi lividi, sui polsi, sul collo, che cercava di nascondere. Quando chiedevo spiegazioni mi sorrideva e mi diceva di non preoccuparmi, che probabilmente erano le punture di qualche insetto. E io le credetti. A quel punto potevo ancora evitare il peggio ma fui sciocca e cieca e continuai a fidarmi.
Una notte fui svegliata da dei singhiozzi e la trovai seduta sul suo letto a piangere, ero terribilmente confusa e preoccupata, l'abbracciai e le chiesi di dirmi la verità. Mi raccontò tutto. Quando, di notte, usciva dalla nostra camera, in realtà andava a palazzo, invitata in segreto dal Faraone stesso. Non pregavano gli dei, questo è ovvio. Snefru la ammaliò con dolci bugie per farla sua; lei credette di amarlo solo perché le dava attenzione e la soddisfaceva. Il guaio era compiuto. Lei portava in grembo un esserino innocente che, ancor prima di nascere, avrebbe creato solo problemi a tutti noi.
Lei fu molto felice di aspettare un figlio ma era preoccupata di cosa sarebbe capitato al bambino una volta nato. Fui delusa dal suo comportamento ma non potei odiarla, era tutto ciò che avevo di più caro al mondo. Le consigliai di scappare quella notte stessa, in quel preciso istante, di andare oltre i confini del regno, in cui non era conosciuta. Poteva farlo. Poteva raccogliere tutte le provviste che le servivano, prendere un cammello e sparire nel deserto. Non lo fece. Non volle darmi ascolto. Credette che portare in grembo un bambino che avrebbe avuto per padre il Faraone, Dio in terra, e, per madre, una Dea reincarnata, l'avrebbe protetta alla fine. Ma non fu così.
I mesi passarono, il suo ventre si gonfiò. Continuai a ripeterle con insistenza di fuggire ma si rifiutò tutte le volte. Il tempo passava e la mia paura aumentava. Quando lo confessò a Snefru in uno dei loro incontri segreti, lui ebbe timore degli dei per aver deflorato una dea, una sacerdotessa destinata a restare pura e non volle più vederla. Il mondo le crollò addosso. L'unica speranza rimasta erano i nostri maestri, i sacerdoti. Venne il momento del parto. Ancora una volta il buio della notte ci accompagnava. La aiutai a far nascere il bambino. Ma quel punto i sacerdoti furono svegliati dalle urla di lei e dal pianto del neonato. Cercai di convincerli che era un miracolo che una vergine figlia degli dei potesse partorire un figlio, un altro segno della benevolenza divina. Che ci credettero o no strapparono il bimbo dalle nostre braccia.
Per giorni aspettammo la decisione dei nostri maestri e nel frattempo aiutai mia sorella a riprendersi. Finalmente i sacerdoti vennero e dissero che il bambino veniva affidato al Faraone, dato che ne aveva riconosciuto la paternità, cosa da non credere, e lei venne imprigionata in attesa di una condanna. Le guardie la portarono via. Implorai in ginocchio i sacerdoti di non farle del male, che avrebbero fatto infuriare gli dei, avrebbero scatenato la loro ira sul popolo dell'Egitto. Non mi ascoltarono. Come biasimarli, non credevo neanche io alle mie stesse parole anzi, l'ira degli dei si era già abbattuta su di noi e mia sorella ne pagava le conseguenze.
Non oppose resistenza quando la portarono nelle prigioni. Si era spenta nuovamente e definitivamente. E io mi sentivo perduta senza di lei.
Nei giorni successivi mi fu concesso di andare a trovarla nelle prigioni dove, impassibile, attendeva la fine della sua vita. Una sera le dissi che avrei provato a farla scappare quella notte, non potevo sopportare di vederla morire, lei che era la mia roccia, che aveva sempre il coraggio di fare e di dire quello che avrei voluto fare e dire io, per essere libera da questa che gli altri chiamavano vita e noi chiamavamo prigionia. -«Non voglio più vivere.» mi disse, «So che non capisci. Sei mia sorella, la migliore sorella che chiunque possa avere e ti amo per questo. So che sei forte e che riuscirai a vivere senza di me ma io non posso continuare a sopportare questa vita che non è mai stata mia e, soprattutto, non posso vivere senza rivedere mai più il mio piccolo, perché so che sarà così. Promettimi solo questo: fai in modo che mio figlio sopravviva a tutto questo e, appena ne avrai la possibilità, va via da questo posto, fa che non ti trovino e vivi una vita che valga la pena di essere vissuta. Fallo per me.»
Detto questo, mi afferrò le mani e, guardandomi negli occhi, recitò:
«La mia vita sarà la tua vita
Non temere la morte, tu risorgerai
Nel buio eterna luce avrai
La mia vita sarà la tua vita»
Dalle sue dita fuoriuscì una sostanza vaporosa che, attirata come da una calamita, passò nelle mie che l'assorbirono ma non sentii alcuna differenza. Tornai a guardarla negli occhi, ma era troppo tardi: potei vedere la vita che scivolava via una volta per tutte, lasciando il vuoto dentro quegli occhi così neri e profondi. Cadde a terra, morta, e urlai il suo nome come non avevo mai fatto prima. Non si mosse. Capii solo più tardi cos'era successo.
Le guardie, attirate dalle mie urla disperate, entrarono e pensarono che l'avessi uccisa io con qualche strana magia per evitarle le sofferenze della sorte a cui era stata condannata. E condannarono me al suo posto. I sacerdoti si opposero, non volevano far infuriare gli dei ulteriormente. Non potevano perdere entrambe le dee reincarnate. Fu tutto inutile.
Tre guardie insieme al grande sacerdote mi portarono sulla sponda del Nilo, mi legarono piedi e mani. In quel mometo capii: dovevo annegare nelle acque del sacro fiume. Non avrei sofferto molto, ne fui quasi sollevata. Questa mia piccola gioia però non durò a lungo. Il primo pugno arrivò dritto in faccia e mi ruppe il labbro. Seguirono una serie di calci allo stomaco che mi tolsero il fiato. Mi rannicchiai per terra. Il sacerdote cominciò a protestare, non capiva perché lo facessero, non erano quelle le normali procedure. -«Ordini del Faraone.» rispose secco uno degli uomini.
Chiusi gli occhi. Non volevo più vedere nessuno di loro. Cosa avevo mai fatto di male per meritare tutto questo? Dov'erano gli dei? Non dovevano forse proteggermi? Forse era quello il mio destino, morire da martire per una causa che non è mai esistita. D'improvviso mi afferrarono per i capelli e poi arrivò il dolore pungente, come di mille aghi conficcati in faccia. Sentii il solco lasciato da una lama affilata, che dal sopracciglio destro, percorreva il viso fino alla mandibola. Il calore del sangue a bagnarmi il volto. Non urlai. Non lottai per liberarmi. Li lasciai fare quello che volevano.
La tortura procedette, per pochi minuti oppure ore, non so dirlo con certezza. So solo che i miei occhi restarono chiusi per tutto il tempo. Non volevo più vedere quelle terre che tanto avevo amato, la sabbia gialla, quelle genti a cui mi ero dedicata, che avevo curato e protetto con tutta me stessa. Dopo avermi frustata, lacerata e scorticata in quanti più punti possibili, si stancarono della mia mancanza di reazioni. Mi legarono in sacco e mi gettarono nel Nilo. Le sue nere acque notturne, così gelide, furono un balsamo per il mio corpo martoriato, che bruciava come se fossi già morta e finita direttamente nelle fiamme infernali.
Aprii gli occhi. Non fece alcuna differenza, continuai a non vedere nulla da dentro il sacco. Mi sentii già libera e lontana da tutte quelle sofferenze. Così lasciai che l'acqua mi riempisse i polmoni, il naso e la bocca. Lasciai che mi bloccasse il respiro e, andando sempre più giù, verso il letto del fiume, morii.

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Capitolo 5
*** Capitolo V - Relaising The Demons ***


Capitolo V - Relaising The Demons

«It's taken me all of my anger
It's taken me all of my hate
To learn how my life came together
Relaising the demons again»

[Relainsing The Demons - Godsmack]



«Cazzo» Jeremy mi guarda a bocca aperta, sconcertato. Il fuoco del caminetto continua a diffondere calore e una lieve luce arancione, l'unica luce nella stanza, disegnando ombre scure e nette sui nostri volti e sulle pareti del piccolo salotto.
«Linguaggio, prego» gli rispondo calma e distaccata.
«Scusa. È solo che.. non pensavo che.. tu fossi.. insomma..»
«Morta? Già, capita almeno una volta nella vita.»
«Hai fatto una battuta. E ti giuro che riderei se non fosse per queste circostanze» si passa una mano tra i capelli.
Ha l'aria decisamente frastornata. L'ho davvero sconvolto. La voglia di ridere ce l'ho io di lui. E infatti non riesco più a trattenermi e rido come non facevo da molto tempo.
«Sei posseduta da qualche spirito adesso? Perché, sai, sono già abbastanza sconvolto, non vorrei dover affrontare qualche demone o simili..» adesso è anche più confuso di prima.
«Puoi pure ridere della mia "battuta" se tu la chiami così. Io l'ho trovata una semplice constatazione. Davvero, non capisco perché tu sia così sconvolto, come credevi che fossi diventata quella che sono? Agitando una bacchetta e bevendo una pozione magica?» gli chiedo divertita.
«Non lo so ma di certo non in un modo tanto terribile. Mi faccio un goccio, vuoi favorire? Ho decisamente bisogno di un po' di whisky». Si alza per andare verso la credenza a prendere il necessario per "farsi un goccio". Dopodiché torna a sedersi sulla poltrona, appoggiando sul tavolo basso al centro del salottino una bottiglia e due bicchierini.
«Va bene, ma senza esagerare» riempie entrambi i bicchierini fino all'orlo e mi sorride, fiero «Se vuoi farmi ubriacare, ti avverto che non funzionerà.»
«Perché? Non ti fa effetto?» l'ombra della confusione che ritorna sul suo volto.
«Certo che mi fa effetto e lo reggo molto bene. E comunque sia non ti converrebbe vedermi ubriaca»
«Non ho intenzione di fare a gara, tranquilla. Voglio tenere la mente abbastanza lucida da riuscire a sentire il resto della storia.» mi sorride, prende il bicchierino e lo butta giù tutto d'un fiato e io faccio lo stesso. «Ti imbarazza che qualcuno ti veda ubriaca? Perché? Non dirmi che diventi una macchina racconta barzellette!» e se la ride da solo.
«Il motivo è nel resto della storia» i sorrisi svaniscono in un lampo dai nostri volti.

Non so dopo quanto tempo esattamente, ripresi coscienza. O meglio, ripresi vita. Mi risvegliai come quando ci si sveglia dopo un lungo sonno senza sogni. Se l'aldilà esiste, non ne ebbi alcun ricordo. Tutto ciò che udii inizialmente fu il rumore dell'acqua a riempirmi le orecchie. Provai a muovermi: chiudere e aprire i pugni, distendere le gambe, piegare il capo in avanti.
Spalancai gli occhi. Ricordai tutto all'istante. Mi tornarono alla mente le circostanze della mia morte, eppure ero viva. Poi lo sentii.
Troppo silenzio. Un vuoto quasi impercettibile: mancava qualcosa. Quel suono ritmico a cui non si fa caso se non quando si è distesi nel proprio letto e, scacciando i demoni dalla mente, si cade nel sonno, oppure quando si sta in apnea da troppo tempo, i polmoni protestano e le tempie pulsano.
Il mio cuore non batteva. Non lo stava facendo. E non stavo neppure respirando. Eppure ero cosciente da svariati minuti oramai, nelle acque del Nilo, che ancora mi riempivano i polmoni. Non sentivo il bisogno di liberare i polmoni dall'acqua per riempirli invece di aria. Non sentivo il bisogno di respirare. Non sentivo alcun dolore.
L'istinto mi portò a strappare le corde che mi legavano con fin troppa facilità, lacerai il sacco in cui ero ancora imprigionata, ne uscii e nuotai fino in superficie. Quando riemersi la luna mi salutò gentile. Mi arrampicai sulla riva, con la sabbia che mi si appiccicava ovunque e in ginocchio tossii tutta l'acqua che aveva appesantito il mio corpo come un masso, così da tenerlo nel fondale.
Poi mi concentrai sul mio corpo e sui cambiamenti in esso avvenuti. Alla fioca luce lunare potei distinguere le cicatrici di ogni taglio, ogni frustata, i lembi di pelle strappata rimarginati. Il mio corpo sembrava portare i segni di mille battaglie mai combattute.
Guardai il mio riflesso sull'acqua scura: la cicatrice dava un'aria crudele al mio viso ora così scavato, ogni curva abbondante del mio corpo era sparita per lasciare i muscoli asciutti, tesi e rafforzati, le ossa ben visibili sotto la pelle. Sentivo di avere la forza distruttiva di mille ippopotami, la crudeltà del coccodrillo e la flessuosità del serpente.
La promessa fatta a mia sorella mi tornò alla mente per ripetersi come un mantra e la rabbia crebbe in me. Avrei usato le mie nuove potenzialità per distruggere tutti coloro che avevano fatto del male a me e mia sorella. Li volevo tutti morti.
Questo provocò un ulteriore cambiamento. Qualcosa mi spinse a correre di una velocità innaturale, fino ad arrivare a palazzo. Qualcosa che non fui io, con un semplice movimento, spezzò il collo delle guardie all'entrata. Procedetti nel salone dove trovai Snefru intento a discutere chissà che piani con colui a cui era stato affidato il compito mi torturarmi.
Quando mi videro, mi guardarono spaventati e stupiti, come fossi un fantasma o un demone, e a gran voce pronunciarono in coro il mio nome. Grosso errore perché persi del tutto il controllo. Non fui più padrona del mio corpo, qualcun'altro lo controllava. Guardai la scena dall'interno della mia mente senza poter fare nulla. O forse senza voler fare nulla. Le mie mani graffiarono, strapparono arti ad occhi. Attirati dalle urla altri soldati entrarono nella sala e sarebbe stato meglio per loro se non l'avessero fatto, perché li condannai allo steso destino.
Persino quando mi capitò tra le mani una delle mogli del Faraone non mi fermai, continuando ad impregnare le pareti e il pavimento di rosso sangue.

 



Heylà! Pria di tutto ringrazio tutti queli che seguono questa storia! Poi vorrei informarvi che fra non molto la storia prenderà una linea diversa da quella storica per questo ho deciso di cominciare uno "spin-off" in cui approfondirò la storia della protagonista. Se vi può interessare questo è il link: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3267796&i=1
A presto con il prossimo capitolo!

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