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Quando Mika si voltò verso di lui, quasi inconsciamente, Andy spostò la sua attenzione altrove, giocherellando con la videocamera che teneva sulle gambe e che, segretamente aveva ripreso il momento appena trascorso.

Al richiamo del manager, la squadra si mise al lavoro, producendo come sempre un ottimo risultato.

Alla fine della giornata, Mika felice ma stanco scese dal palco in cerca della persona con cui attendeva da alcune ore di poter parlare.

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Quando lesse l’ultimo messaggio inviatogli da Mika che semplicemente recitava “Buona notte allora, e a domani!!” si ritrovò infatti ad arrossire e ridacchiare beato, gettando la testa tra i cuscini, desideroso come non mai, che le tre del pomeriggio del giorno dopo arrivassero in fretta.   

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Questo dettaglio un po’ lo metteva in ansia, per questo ogni tanto si fermava e restava immobile per alcuni attimi, pensando a ciò che lo aspettava e a come parte di quello lo terrorizzava.

Proprio durante uno di questi suoi momenti di ansia, ricevette un messaggio: 
“Sono sotto casa tua.

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“Ci vediamo oggi? Battaglia a palle di neve??” chiese speranzoso il riccio davanti alla grande finestra di camera sua.

“Punto primo: in questi giorni ci sono i miei, non li vedo da 3 settimane e tra tre giorni come sai partiamo, devo stare con loro. Punto secondo: Mika spero tu non voglia davvero uscire a fare lo scemo in mezzo alla neve, adesso che ti sei appena ripreso; se lo vengo a sapere, mando Ian a cercarti!” minacciò il ragazzo risoluto.

“Guarda che ne ho già una di mamma, non me ne serve un’altra!” commentò seriamente stizzito il moro.

“Ci vediamo tra tre giorni allora, ciao!” concluse poi chiudendo la chiamata in maniera brusca. 

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Andy rimase un attimo perplesso dal tono del cantante. Se l’era davvero presa per una cosa così stupida?

“Je t’aime!” sussurrò a quel punto Mika, tenendo il viso freddo e dalle guance lievemente arrossate di Andy tra le calde mani.

Quest’ultimo venne pervaso da una scarica di calore potentissima, nel suo stomaco si erano improvvisamente radunate tutte le farfalle di Francia ed era sicuro che i suoi zigomi si fossero appena tinti di una sgargiante sfumatura cremisi.     

“Je t’aime” sussurrò a sua volta Andy, con un pronunciato accento greco, che scaldò il cuore a Mika.

Se in quel momento fosse comparso il genio con i tre desideri, i due ragazzi lo avrebbero scansato, come con una mano si scansa una fastidiosa mosca. Era tutto perfetto così com’era.

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Il freddo si stava facendo intenso e la neve non accennava a smettere di cadere copiosa, i due ragazzi decisero di tornare in hotel, tranquillamente passeggiando uno in fianco all’altro.

Amanda incrociò le braccia al petto osservando Andy con sguardo impassibile.
Il biondo stava iniziando a perdere la pazienza, si staccò da Mika per avvicinarsi ed affrontare la madre, ma quest’ultimo lo fermò, prendendogli una mano nella sua e stringendola, facendo in modo che il biondo portasse la sua attenzione su di lui per un attimo. Quando ci riuscì, gli fece capire con un semplice sguardo, di non fare gesti azzardati, dettati dalla foga del momento, ma di lasciar correre.

“Sulla mia strada non potevo incontrare persona migliore” disse Andy, indicando il giovanotto che gli stava accanto, appena mezzo passo indietro. “Dovresti imparare un po’ della sua saggezza e della sua eleganza, mamma, chiunque altro ti avrebbe già mandato a quel paese!” concluse poi voltandosi, prendendo Mika per mano e uscendo dalla porta di casa insieme a lui, lasciando la madre allibita e senza parole, davanti all’uscio chiuso.    

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La coppia camminò in silenzio per un bel momento, prima che Mika aprisse bocca.

“Devi darle tempo” gli disse mentre passeggiavano sul marciapiede, sotto il sole caldo delle 11:30 del mattino.

“Darle tempo??! No ma dico l’hai sentita?!” si infervorò Andy gesticolando con fare seccato.

Mika sospirò: “C’è chi ci mette meno tempo e chi ce ne mette di più” spiegò con pacatezza tentando di far calmare Andy, che non aveva mai visto così arrabbiato prima d’all’ora.   

“Io non dico essere comprensiva come tua madre che è il meglio che si può chiedere, ma almeno che ragionasse da persona matura dico io…” buttò lì camminando a passo svelto nel sole di Londra.

Mika si sentì pervadere da una strana sensazione. In effetti, pensò, sua madre aveva accolto Andy come fosse un sesto figlio e ciò che lui in quelle settimane stava preparando all’oscuro del biondo, era un segno di questa sua benevolenza.

“Mia madre è strana. Non so come, ha sempre saputo nella vita, cosa fosse meglio per me, e ha fatto di tutto affinché riuscissi nei miei intenti, anche a costo di andare contro tutti.” ricordò Mika, ripensando a quando da piccolo l’aveva avviato verso la musica, che già allora Mika sentiva come una parte importante di sé, e lo aveva sgridato ogni volta che si rifiutava di fare ciò che la sua professoressa di canto Alla, gli raccomandava.

Joannie aveva capito che quella fosse la sua strada, e aveva fatto di tutto per far sì che non mollasse mai. Era grazie a lei se ora era una popstar in ascesa. 

Andy non aveva questa grande fortuna, non aveva un sostegno forte e comprensivo al suo fianco, per questo Mika decise che, fino a quando il biondino fosse stato al suo fianco, lui sarebbe stato il suo porto sicuro, il suo appiglio.

“Vieni da me, devo mostrarti una cosa!” gli disse Mika ad un certo punto, prendendolo per un braccio e trascinandolo con sé.

Il suo progetto non era ancora finito, ma era certo che a Andy avrebbe fatto bene, in quel preciso momento della sua vita.

Il greco cercò durante tutto il viaggio di estorcere a Mika qualche informazione, dal momento che aveva notato quel luccichio strano negli occhi nocciola, che stava a significare il chiaro segno dell’entusiasmo che il moro manifestava ogniqualvolta era fiero di una sua creazione.

“Ho detto che non ti dico niente, puoi anche smetterla di rompere!” sbottò ad un certo punto Mika, mettendolo a tacere.

Usciti dalla metro, si avviarono a passo svelto verso casa Penniman, era quasi ora di mezzogiorno e Andy aggiunse: “Spero che la tua sorpresa preveda anche del cibo, in caso contrario sbrano te!” facendo notare come il suo stomaco, vuoto dalla sera prima a causa della colazione mancata, stesse facendosi sentire.

Mika si illuminò improvvisamente sorridendo sornionamente. “Lascia fare a me!” disse poi, inserendo le chiavi nella porta e spalancandola.

“Mammaaa sono a casa!” gridò il ragazzo non appena superò la soglia.

“Aspettami qui” disse poi a Andy, lasciandolo nell’atrio tra la porta d’entrata principale e la porta che dava sul corridoio del primo piano della villetta dei Penniman.

Il biondino stranito, rimase dove Mika gli aveva detto aspettando pochi attimi, prima che quest’ultimo tornasse da lui con una chiave argentata in mano.

“Per di qua” lo invitò a quel punto, indicandogli la porta che dava sulle scale che portavano verso il seminterrato.

“Andiamo in cantina?” chiese Andy scendendo i gradini dietro di lui, nella semioscurità dell’ambiente.

“Più o meno” ridacchiò Mika, arrivando davanti ad una porta bianca dove infilò la chiave che aveva con sé.

La spalancò e Andy poté intravedere qualche particolare, illuminato da una finestrella posta in alto sul muro.
Sembrava una specie di salotto.

Quando Mika finalmente accese le luci e svelò i dintorni, Andy fece un passo avanti a bocca aperta.

“Benvenuto a casa mia!” asserì Mika, girando su sé stesso e indicando lo spazioso monolocale quasi completamente arredato, dentro il quale si trovavano.

Era un ambiente accogliente e molto intimo.
Sulla destra vi era una cucina in legno bianco molto modesta ma dotata di ogni elemento essenziale, in centro vi era un tavolo con 4 sedie in plastica e poco distante si poteva scorgere un divanetto color ocra a tre posti, davanti al quale, sul muro, svettava un televisore a schermo piatto.

Nell’angolo destro del piccolo appartamento si trovava il pianoforte bianco che Andy ricordò di aver visto nella camera che condivideva con Fortuné e sopra il quale svettavano due dischi d’oro e platino che Life in Cartoon Motion e Grace Kelly avevano già ottenuto.

In fondo al monolocale vi era poi un grande letto a due piazze ancora sfatto, circondato da una piccola impalcatura in ferro a baldacchino, su cui Mika aveva intenzione di sistemare dei drappi, per separare la zona giorno dalla zona notte.

In fine sull’angolo sinistro dell’ambiente vi era una porticina, che dava sul bagno e su quella che Mika gli aveva detto, essere una sorta di ripostiglio/cabina armadio.  

“In realtà mancano ancora le ultime cose da sistemare, e avevo intenzione di mostrartelo una volta concluso ma… ho pensato che dato il clima che c’è a casa tua, forse non ti sarebbe dispiaciuto poterne usufruire anche subito.” ammise Mika timidamente, in piedi in mezzo alla stanza.

“Usufruirne?” chiese Andy stupito.

Sperava con tutto il cuore di aver capito bene.

“Sì, in teoria volevo già darti la chiave ma… non ho avuto tempo di farne un duplicato, quindi per ora dovrai ancora suonare il campanello per farti aprire.” disse quasi con fare colpevole in ragazzo.

Andy sgranò gli occhi e si aprì in un sorriso a 32 denti, aprendo le braccia e gettandosi poi in braccio a Mika con una piccola rincorsa, facendolo così finire con la schiena sul materasso dietro di loro.

“Non ci posso credere!” rise Andy meravigliato, baciandolo con passione.

Mika sotto di lui rideva a sua volta, felice di aver reso contento il suo ragazzo, in una giornata iniziata male come quella.

Lo stomaco del greco interruppe il loro momento di intimità, ricordandogli che era già mezzogiorno inoltrato e che lui aveva davvero una gran fame.

“Hai fame vedo!” disse Mika, invertendo le posizioni e alzandosi dal letto, dopo un ultimo bacio veloce al biondo.

“Inauguriamo la cucina??” chiese il riccio euforico, aprendo uno sportello e brandendo due padelle con aria eccitata.

“Oddio sìììì!” gridò Andy alzandosi con un balzo dal letto e raggiungendo il ragazzo.
Mika preparò l’acqua per la pastasciutta. Avrebbe cucinato gli spaghetti al pomodoro, una cosa semplice ma che adorava, soprattutto dopo l’ultimo viaggio in Italia.

Per gli ingredienti del pranzo, a Mika toccò salire al piano di sopra e chiedere alla madre, uno degli elementi mancanti nella nuova dimora del terzogenito di casa, era proprio il cibo.

“Mi piace questa cosa.” affermò Andy mentre con una forchettata infilzava una manciata di spaghetti.

“E’ uscita buon infatti.” commentò in risposta, finendo di masticare.

Il greco sorrise osservando il compagno. “Intendevo la faccenda della casa…” precisò infatti portandosi la forchetta alla bocca.

“Ah sì… Beh questo posto era vuoto da troppo tempo e ora che avevo abbastanza soldi da arredarlo…” disse con una punta di orgoglio nella voce.

I due finirono di pranzare chiacchierando dell’esibizione che Mika avrebbe tenuto il giorno dopo ad un festival cittadino, pensando con un filo di impazienza a tutta la folla che ci sarebbe stata.

Nel pomeriggio insieme, sistemarono i piatti e i bicchieri sporchi, fecero il letto e andarono perfino a comprare qualcosa da mettere in dispensa.

Andy per quella sera tornò a casa sua a dormire, sua madre faceva il turno di notte e quindi non l’avrebbe incontrata.

Il pomeriggio successivo, prima di uscire, mise alcune cose in uno zaino, che si portò con sé quando si incamminò per raggiungere Mika e la band al soundcheck nel parco a sud di Londra dove si teneva il grande festival.

Il giovane quel giorno era ancora più salterino del solito, sapeva che quella sera, si sarebbe trovato davanti una marea di persone, tra le quali, suoi ex-professori, suoi conoscenti, e i suoi vecchi compagni di scuola, che per anni gli avevano reso la vita un inferno.  

Era la sua rivincita.

Molta gente era già radunata sotto al palco o sparpagliata nel verde del parco cittadino, facendo pic-nic o scambiandosi quattro chiacchiere con gli amici, Mika era sotto il palco a chiacchierare con Nick, Andy e Cherisse, mentre gli altri ragazzi stavano già prendendo posto sul palco.

“Oh guarda chi si vede… Penniman!” esclamò una voce ad un tratto.

Mika si voltò e riconobbe i lineamenti più adulti di un ragazzo che di un paio d’anni in più di lui, a scuola si divertiva a prenderlo in giro con il suo gruppo di amici.

Il riccio venne preso da un impeto di ansia e paura, la sua reazione istintiva era quella di fuggire a gambe levate come ai tempi, quando quello di fronte a lui era un ragazzo grande e robusto circondato da amici e lui poco più che un bambino dalla corporatura bassa e cicciottella, perennemente solo.

“Chi non muore si rivede… purtroppo.” ammise Mika, con una sfacciataggine che non sapeva nemmeno lui da dove gli fosse venuta, avvicinandosi al ragazzo dai capelli corvini e notando con piacere di essere in quegli anni, diventato più alto di lui.

“Vedo che sei ancora il solito sfigatello che gira per Londra con i suoi amici fricchettoni.” Lo prese in giro il ventiseienne.

Udendo quella parole, gli amici del libanese tesero le orecchie e Andy si avvicinò a Mika con sguardo truce rivolto verso lo sconosciuto. “C’è qualche problema?” chiese il biondino al suo ragazzo, mentre quest’ultimo scuoteva la testa sicuro di sé.  “Mika noi siamo pronti.” si udì una voce dagli amplificatori del palco, all’improvviso.

“No Andy grazie.” gli rispose il riccio. “Scusa ma il lavoro mi chiama!” tagliò corto Mika con un lieve sorriso di vittoria sulle labbra, mentre con passo svelto superò i due uomini della sicurezza e salì sul palco, seguito da Cherisse e da Andy che squadrarono il ventiseienne con aria di sfida.

Come Mika raggiunse il pianoforte, vi si sedette e iniziò le prove. Era raro che il cantante suonasse quella canzone ai soudcheck, ma Andy capì il motivo, notando lo sguardo vittorioso con il quale cantò il ritornello di quel brano, dritto in faccia al ragazzo dai capelli neri, che sotto il palco lo osservava stupito.

'Cause I don't care if I ever talk to you again.
This is not about emotion,
I don't need a reason not to care what you say,
Or what happened in the end.
This is my interpretation,
And you don't, don't make sense.

Non appena staccò le mani dal pianoforte, fece un veloce cenno alla band e riattaccò con l’altro brano con cui quel giorno aveva deciso di fare le prove, e che nel suo cuore, dedicava con tutto sé stesso ai due occhi scuri che lo osservavano con espressione allibita, pochi metri sotto di lui.

"I wanna talk to you."
"The last time we talked, Mr. Smith, you reduced me to tears. I promise you it won't happen again."

pronunciò con voce profonda, puntando gli occhi dritti in quelli di quel bullo che ora lo osservava in silenzio, e attaccando una delle sue più grandi hit, che proprio in quel momento dominava la classifica inglese, guardando dall’alto in basso tutte le altre, così come Mika stava facendo dal palco con il suo vecchio conoscente.   

Andy si godette in pieno quella scena, riprendendo Mika e il giovane sconosciuto.

Aveva intuito l’astio che regnava tra i due, e stava letteralmente adorando il modo in cui il riccio stava facendo valere la sua elegante vendetta su di lui.

Inutile dire che quella sera Mika fece ballare e saltare a più non posso le decine di migliaia di persone che davanti al palco si erano radunate per quella grande festa. Si fermarono qualche oretta tutti insieme a bere e a festeggiare, poi stanchi rincasarono.

“Questa situazione mi ricorda qualcosa…” affermò il greco non appena mise piede in casa, pensando agli ultimi mesi nei quali di ritorno dai concerti, era solito coricarsi con Mika accanto a sé.

“Mi era mancata fin troppo!” ammise il riccio lanciando la borsa sul divano in malo modo e osservando poi di sfuggita l’orologio sul pianoforte.

Era da poco scoccata la mezzanotte.

“Andy che giorno è oggi??” chiese Mika avvicinandosi al biondo a grandi passi saltellando.

“Domenica 30?” rispose Andy con calma, portando le mani sui suoi fianchi.
Mika rise. “E’ passata la mezzanotte, è il 31 maggio scemotto! Buon compleannoooooooo” urlò Mika prendendo il viso tra le mani e stampandogli un bel bacio.

Andy sorrise sulle sue labbra. “Non me n’ero accorto! Grazie!” aggiunse contento il greco. 

“Vado a farmi una doccia e poi festeggiamo!” asserì Mika ritirandosi in bagno in tutta fretta.

Quando vi uscì, trovò Andy disteso sopra le coperte con il cellulare in mano, puntato verso di lui.

“Sorridi!” gli chiese, scattando una fotografia del ragazzo, vestito solo con una salvietta bianca in vita.

“Andy stalker!” lo riprese Mika, che come sempre avrebbe voluto picchiare il cameraman, in quelle situazioni.

“Dai è la prima serata in questo posto, ed è pure il mio compleanno, la dobbiamo immortalare!” commentò il biondo con fare professionale, mentre Mika si rintanava nella cabina armadio.

Uscì dallo stanzino vestito in tenuta da notte: boxer e t-shirt. Andy scese dal letto, si sporse verso il suo zaino e ne estrasse qualcosa.

Approfittando del fatto che il riccio fosse voltato verso la cucina, leggendo un foglietto ricevuto da Ian, gli si avvicinò da dietro, abbracciandolo e avvolgendolo amorevolmente con ciò che teneva tra le mani e che da tempo aveva avuto intenzione di donargli.  

Mika fece per protestare scherzosamente a quell’interruzione, ma quando si accorse di ciò che Andy gli aveva avvolto attorno alle spalle e che ancora stringeva tra le mani, raccolte sulle sue davanti al suo petto tacque, e non poté sopprimere un sorriso, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente quel profumo delizioso che lo riportò in un istante a quella strana sera di fine gennaio.

“4 mesi tesoro mio. Buon mesiversario!” gli ricordò il biondo portando le sue labbra ad assaporare lentamente la pelle candida e profumata di bagnoschiuma, del collo del libanese

“Non c’è posto migliore dove questa coperta debba stare.” sussurrò poi il greco all’orecchio sinistro del riccio, mentre dolcemente appoggiava il mento alla sua spalla, sempre restando abbracciato a lui da dietro.

Il libanese si strinse di più nel caldo abbraccio della coperta azzurra e verde acqua dai motivi fantasiosi.

Da quella sera di esattamente 4 mesi prima, Andy l’aveva sempre tenuta da parte, aspettando il momento giusto per fargliene dono.

Mika si voltò verso di lui, all’interno di quell’abbraccio e dolcemente lo baciò, avvolgendogli il viso con le lunghe dita affusolate, intrecciando gli occhi con i suoi e sussurrandogli un grazie.

“Senti…” iniziò il moro mordendosi un labbro e guardandolo intensamente. “La cucina l’abbiamo inaugurata ieri. Oggi ci sono tante cose da festeggiare quindi…” continuò “…che ne dici di inaugurare anche il letto?” concluse con sguardo malizioso.

Andy immediatamente sorrise, imitando l’espressione del libanese e saltandogli in braccio, appendendosi con le braccia al collo e intrecciando le gambe ai suoi fianchi. Mika camminò verso il letto, rischiando di inciamparsi con la coperta, che ancora penzolava dalle sue spalle e vi si stese ancora con Andy addosso.

Inutile dire che festeggiarono più che degnamente compleanno e mesiversario e non si addormentarono prima delle tre inoltrate, sperimentando attentamente il loro nuovo giaciglio.

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Booooonne soir!
Allora... Che dire, si inizia male e si finisce alla grande.
Non sono certa che questo passo Mika lo abbia fatto così presto, ma ai fini della trama ci stava benissimo!
4 mesi di storia tra loro, 24 capitoli. non avrete mai letto una storia così lenta in vita vostra... Sbaglio?
Hahaha grazie mille mie adorabili recensirci, ancora una volta, vi voglio bene!
Vv

“Senti…” iniziò il moro mordendosi un labbro e guardandolo intensamente. “La cucina l’abbiamo inaugurata ieri. Oggi ci sono tante cose da festeggiare quindi…” continuò “…che ne dici di inaugurare anche il letto?” concluse con sguardo malizioso.

Andy immediatamente sorrise, imitando l’espressione del libanese e saltandogli in braccio, appendendosi con le braccia al collo e intrecciando le gambe ai suoi fianchi. Mika camminò verso il letto, rischiando di inciamparsi con la coperta, che ancora penzolava dalle sue spalle e vi si stese ancora con Andy addosso.

Inutile dire che festeggiarono più che degnamente compleanno e mesiversario e non si addormentarono prima delle tre inoltrate, sperimentando attentamente il loro nuovo giaciglio.

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Il giorno successivo lo trascorsero tra l’ufficio di Ian e l’appartamento di Mika, Andy passò poi a casa sua a rifare le valige, per l’imminente partenza che li avrebbe portati oltreoceano per alcuni concerti negli Stati Uniti, per poi tornare in Francia, in Scandinavia, Olanda e nel resto d’Europa.

Entrambi erano andati a dormire presto, l’indomani avevano un aereo che li avrebbe portati fino a Los Angeles e con il fuso orario di mezzo, avrebbero di certo avuto bisogno di molte ore di sonno.

Alle 2 di notte però Andy si svegliò notando la luce accanto al divano accesa e il letto dalla parte di Mika vuoto.

Alzò gli occhi e notò il suo ragazzo seduto al pianoforte con una matita ed un foglio in mano, appoggiati sul coperchio bianco che andava a coprire i tasti dello strumento. 
Sembrava intento a scrivere qualcosa.

“Cosa stai facendo a quest’ora?” chiese con voce assonnata, dal letto.

Mika si girò di scatto quasi spaventato. “Scusa. Non volevo svegliarti” gli disse a voce bassa, considerandolo a mala pena e continuando nel suo intento.

Andy a quel punto, curioso si alzò dal letto e si incamminò verso di lui, dall’altro lato del monolocale. Quando lo raggiunse vide che ciò che stava scrivendo era diviso in strofe. Era decisamente il testo di una canzone.

Andy sorrise, non aveva mai assistito alla scrittura di un nuovo testo, era curioso di sapere come le idee nascessero e si trasformassero in parole.

“Dato che ormai sei sveglio, ti dispiace se suono un attimo. Ho un’idea per la musica di questa canzone.”gli chiese Mika gentilmente.

Avrebbe voluto farlo già da prima, ma aveva deciso di rimandare la cosa, per non disturbare il compagno.

Emozionato al pensiero di vederlo comporre davanti a lui, Andy annuì con forza, sorridendogli.

Mika sollevò lo sportellino e portò le dita sui tasti. Le prime note che uscirono erano incerte e poco intonate, ma dopo pochi istanti, il suo intuito di musicista iniziò ad ingranare ed una lieve melodia iniziò a diffondersi per la stanza.

Da quello che Andy poteva capire da quella prima bozza, la nuova canzone sembrava una ballata lenta e molto malinconica. Dopo qualche attimo di esitazione, iniziò a cantare sopra la musica, brevi pezzi di strofe, che con la sua voce limpida e quasi sussurrata, si sposavano alla perfezione.

Ad un tratto si fermò, scrisse qualche lettera sopra il testo della canzone, per ricordare gli accordi e la tonalità della canzone e poi chiuse lo sportello del pianoforte, piegando il foglietto e poggiandolo sul leggio, mentre uno sbadiglio lo colse di sorpresa.

“Meglio tornare a nanna.” disse il riccio, alzandosi piano dallo sgabello e avviandosi verso il letto.

Il greco lo squadrò completamente stranito.

Si era svegliato nel cuore della notte, aveva composto una canzone completa di musica e parole, ed ora se ne tornava senza alcuna fatica e senza troppi problemi, tra le braccia di Morfeo.

“Tutti gli artisti sono strani come te?” chiese in direzione della figura che se ne stava già sotto le coperte e con gli occhi chiusi.

“Hm hm” rispose solamente Mika, annuendo appena, già immerso nello stato di dormiveglia che precedeva il sonno profondo.

Andy ridacchiò. Era davvero strano. 

Lo fissò per un momento, perdendosi nei suoi lineamenti rilassati e poi tornò a portare la sua attenzione altrove.

A lui il sonno, dopo quella pausa era passato. Decise quindi di sfruttare la cosa e prendere il foglietto dal leggio per studiarsi le parole di quella canzone, di cui aveva potuto sentire solo qualche spezzone qua e là, canticchiato durante la prova.

In grande al centro del foglio, campeggiava il titolo: “Toy Boy”

Iniziò a leggere quelle parole scritte con la calligrafia disordinata del suo ragazzo, che ormai aveva imparato a riconoscere. Sembrava parlasse di un giocattolo, come diceva il titolo, un pupazzetto di pezza che parlava in prima persona. A Andy fece sorridere. 

Era un punto di vista decisamente insolito.

Poi proseguì e raggiunse una strofa:

But your momma thought 
There was something wrong 
Didn't want you sleeping 
With a boy too long 

It's a serious thing 
In a grown-up world 
Maybe you'd be better 
With a Barbie girl 

Si bloccò. I suoi occhi lessero e rilessero quelle sillabe una decina di volte.

Improvvisamente una consapevolezza amara si fece spazio dentro di sé.

“Tua mamma trovava ci fosse qualcosa di sbagliato, non voleva che dormissi con un ragazzo troppo a lungo.”

“E’ una cosa seria in un mondo adulto. Forse staresti meglio con una barbie”

Capì. Quelle parole gli risuonarono in testa con la voce infastidita di sua madre. 

Mika aveva descritto in una sorta di fiaba, raccontata dal punto di vista di un pupazzetto, quella che era la sua storia, e quelle che erano le aspettative e le convinzioni di sua madre.

I'm the sorest sight 
Now I feel like trash

Continuò poi a leggere. 

Era esattamente così che si sentiva agli occhi di sua madre, qualcosa di orribile, spazzatura. Benché fosse certo dei sentimenti che provava per l’autore di quella parole, e benché fingesse che la non accettazione di sua madre non gli importasse molto, dentro di sé si sentiva esattamente così.

Senza accorgersene una lacrima gli rigò il volto e si infranse sul foglio bianco, macchiandolo.

Subito vi portò una mano a cercare di cancellare quella traccia scomoda, senza però riuscire nel suo intento.

When your oldest son wonderin’ what to be
Tell him the story of a boy like me

“Quando tuo figlio si chiederà chi essere, raccontagli la storia di un ragazzo come me” Andy capì leggendo gli ultimi due versi il motivo per cui Mika aveva scritto quella canzone.

Stava chiedendo a chi la pensava come sua madre, di capire, di immedesimarsi e comprendere il dolore silenzioso che si cela dietro l’animo apparentemente tranquillo e impassibile di un ragazzo nella sua situazione.

Si ritrovò ancora una volta a pensare alla genialità di una canzone come quella. Una canzone che presa alla leggera, raccontava di un giocattolo lasciato in disparte, ma che in profondità nascondeva tutta la tristezza e la sofferenza di situazioni come la sua.

Asciugandosi l’ennesima lacrima che stava per percorrere la sua guancia, ripose di nuovo il foglio piegato sul leggio e dopo aver spento la luce, tornò sotto le coperte con Mika, abbracciando amorevolmente quell’artista dall’animo nobile.

 
Il mattino dopo, svegliarsi fu una tragedia per entrambi. Quando si ritrovarono all’aeroporto con il resto della squadra, le prese in giro riguardo le loro facce non mancarono di certo.

“I piccioncini fanno faville, la notte leoni, la mattina…” li canzonò Jerry, sempre scattante e pimpante fin dal primo mattino.

“Ma va! Se gli artisti dormissero di notte, invece di scrivere canzoni…” specificò Andy indicando con espressione assonnata il riccio che accanto a lui su una sedia sbadigliava senza sosta.

“Non è colpa mia se l’ispirazione vien di notte” si difese Mika, appoggiando la testa sulla mano, come se pesasse 10 kg e fosse troppo pesante per il collo da sorreggere.

“Oh beh, in quel caso sei scusato” si corresse il manager, passandogli una mano in testa e scompigliandogli i capelli, in un tentativo maldestro di svegliarlo.

Mika grugnì infastidito socchiudendo gli occhi.

“Non è nemmeno colpa mia se vivo con un artista!” puntualizzò invece il greco sbadigliando a sua volta.

“Quella è una tua libera scelta…” ridacchiò Jerry dando una leggera pacca sulla spalla al cameraman.

“Vero anche questo” concluse Andy, prima che il loro volo venisse chiamato.

Durante le numerose ore di viaggio i ragazzi dormirono, recuperando il sonno perso e arrivarono a Los Angeles piuttosto riposati.

La giornata la passarono divisi, come spesso accadeva. Mika impegnato nella promozione e nello studio di registrazione dove aveva inciso il suo album, con i suoi produttori Jodi Marr e Gregg Wells.

Il clima era caldo. Era giugno, in California, non poteva che essere così. Dopo aver tenuto il concerto a Hollywood il giorno seguente, tutti quanti si concedettero una nottata di svago in un pub sulla spiaggia.

I concerti negli Stati Uniti, si susseguirono uno dietro l’altro senza sosta, fino a quando a metà mese giunsero a New York.

“Abbiamo del tempo per farci un giro qui vero?!” chiese Andy con tonò eccitato, rivolgendosi al manager, mentre camminavano con le loro valige al seguito per le strade di Manhattan, alzando gli occhi sugli enormi grattacieli in vetro e cemento che si stagliavano a perdita d’occhio in quel cielo azzurrognolo.

“Ne abbiamo sì.” confermò Jerry, svoltando a sinistra e imboccando la via dell’hotel.

Dopo aver sistemato i bagagli nelle stanze, i ragazzi uscirono in avanscoperta.
Mika fin da piccolo aveva visitato più volte la grande mela insieme a genitori e parenti, possedendo anche il passaporto americano non aveva nemmeno l’impiccio dei visti da ottenere. Tra lo stato di New York ed il Vermont viveva infatti gran parte della sua famiglia, e sua madre stessa era nata e vissuta lì, mentre suo padre vi era vissuto per un breve periodo, nonostante ne fosse originario.

“Mio padre e mia madre si incontrarono poco lontano da qui.” disse infatti Mika ad un certo punto, attraversando l’ennesimo incrocio trafficato. Dopo aver visitato Times Square, si fermarono a mangiare qualcosa e nel pomeriggio fecero tappa al World Trade Center.

A quasi 6 anni da quel giorno infernale, il grande vuoto delle torri gemelle era ancora angosciosamente visibile. I ragazzi si avvicinarono in rispettoso silenzio al vasto cantiere, in cui enormi ruspe, scavatori e macchinari di ogni tipo lavoravano incessantemente. In quel posto ricco di tristezza e commozione, solo il rumore dei lavori rompeva la monotonia dei suoni del traffico cittadino, che a poca distanza scorreva nella quotidianità di ogni giorno.

I palazzoni bianco grigiastri che circondavano il sito, ricostruiti o ristrutturati dopo il disastro, apparivano tediosi e ripetitivi. 

Solo un tocco di colore rompeva quell’atmosfera cupa. Un’enorme stendardo a stelle e strisce era infatti appeso su uno degli edifici in vetro alla sinistra di Ground Zero, a simboleggiare l’orgoglio ed il patriottismo americano, che in quel posto, meglio che in qualunque altro, ardeva forte e vivo.

Mika aveva visitato quel posto più volte, aveva visto le due infinite torri ergersi maestose verso il cielo newyorkese da ragazzino, e ogni volta che negli ultimi sei anni vi aveva rimesso piede, era sempre stato investito da una forte ondata di inquietudine e incredulità.

Allo stesso modo al suo fianco Andy, che per la prima vota si trovava in terra statunitense, osservava rapito quello spettacolo triste, che centinaia di volte aveva visto nella piccolezza di uno schermo televisivo, e che solo in quegli istanti si rendeva conto essere immenso.

“Cause it’s all in the hands of a bitter bitter man, say goodbye to the world you thought you lived in” pronunciò Mika in un sussurro, prima di abbassare la testa e recitare silenziosamente una preghiera. 

Dopo alcuni attimi, si incamminarono verso Rockfeller Center, dove a Natale il maestoso albero di Natale veniva acceso, ai piedi della pista di pattinaggio su ghiaccio.

La giornata turistica si concluse verso sera, quando Mika si rintanò in uno studio radiofonico per delle interviste, ed i ragazzi in hotel.

Per il giorno successivo era previsto il concerto e nel backstage quella sera, vi era un via vai di gente molto concitato.

Era presente tutta la famiglia di Mika che risiedeva tra i due stati sulla costa est degli Stati uniti, zie, zii cugine, cugini, e perfino sua nonna che nonostante l’età ci teneva a vedere il suo nipotino adorato.

“Ciao Mika come stai?!” lo salutò l’anziana donna libanese in arabo. Nonostante sapesse che il nipote quella lingua non la parlava più di tanto, era ferma nella sua convinzione che un mezzo libanese venuto alla luce a Beirut, sua stessa città natia, dovesse saper parlare o almeno capire l’arabo.

Il riccio le andò in contro sorridente abbracciandola e rispondendole cortesemente “Tutto bene nonna grazie. Anche tu vedo” sperando nel profondo di non aver commesso qualche errore madornale, per il quale sarebbe stato senza dubbio ripreso dalla signora, che però lo osservava di rimando con espressione soddisfatta. Grazie al cielo aveva risposto correttamente.

Andy osservava il suo ragazzo in disparte stupito. Non aveva idea parlasse anche l’arabo, anche se date le sue origini poteva immaginarselo. Esattamente come in Francia non capiva una sillaba di ciò che stava dicendo, ma fissava il quadretto familiare della nonnina che stritolava le guance a Mika nella maniera in cui ogni nonna avrebbe fatto, ridacchiando tra sé e sé.

Fortunatamente i due passarono all’inglese dopo un attimo, così anche lui poté capire quella conversazione dalla quale Mika a volte, sembrava volesse fuggire.
“Allora la fidanzata?” chiese la signora in perfetto inglese dal forte accento newyorkese.

Mika arrossì e Andy lo osservò perplesso. A quanto sembrava, nemmeno il suo ragazzo aveva detto tutta la verità alla sua intera famiglia.

“Non ne ho il tempo nonna, sono sempre in tour, vivremmo lontani per mesi e mesi se anche ce l’avessi.” spiegò Mika con fare evasivo, sperando che la questione finisse lì.

Il giovanotto adorava la sua nonna, ma era anche certo che parlarle francamente avrebbe colliso in maniera eccessiva con la sua cultura ancora fortemente radicata alle tradizioni orientali.   

Già aveva fatto fatica ad accettare che il terzogenito di sua figlia fosse diventato un cantautore e non il medico, per la precisione il neurochirurgo, che lei avrebbe tanto voluto.

Raccontarle anche di quel suo lato differente dalla sua aspettativa, avrebbe significato una discussione accesa che prima di un concerto non aveva certo voglia di sostenere.

Fortunatamente la donna fu distratta da una delle sue figlie, che corse a sua volta a salutare Mika e a chiacchierare con lui.

Quando ormai mancava poco al concerto. Le donne furono invitate a lasciare il backstage e dirigersi verso la sala, così che Mika potesse finalmente respirare un attimo e prepararsi per lo show.

“Vedo che qualche scheletro nell’armadio ce l’hai anche tu, indomito guerriero.” gli disse Andy, apparendo nello camerino personale del cantante 10 minuti prima dell’inizio.

Mika gli si avvicinò e gli passò le labbra sulle sue in un bacio affettuoso. “Le persone su di età hanno una mentalità chiusa rispetto a queste cose.” asserì il riccio serio. “Se poi quella persona è pure nata e vissuta in medio oriente, allora la faccenda diventa impossibile.” concluse finendo di allacciarsi la camicia.

Andy annuì comprendendo perfettamente.

“Ti giuro che morivo dalla voglia di presentarti a loro, ma non posso sganciare una bomba così grande alla mia famiglia nel bel mezzo del tour, e poi fuggire via senza tante spiegazioni. Lo farò quando sarò più tranquillo.” puntualizzò il ragazzo, facendo capire al biondo che era solo una questione rimandata. Non voleva assolutamente che Andy si sentisse lasciato in disparte o offeso da quel suo comportamento.

Il greco gli sorrise cercando i suoi occhi, e facendogli capire che non c’erano problemi. “Non mi importa, mi basta che lo sappiamo io e te. Adesso non pensarci e concentrati per lo show!” gli rispose poi baciandolo con trasporto.

 “In scena!” gridò uno dei tecnici, dando il via ai giochi.

Il concerto fu un’altra notte di delirio e magia. Come sempre durante ogni data del tour.
 

Le date in America furono ricchissime di successo inaspettato, l’album non era infatti ai vertici delle classifiche del paese, ma la gente accorreva a frotte in modo analogo all’Europa. 

Dopo gli Stati Uniti, fecero tappa in Asia, toccando Giappone, Corea e altri stati limitrofi. A fine giugno tornarono in Europa per alcuni concerti importanti tra cui quello che il management aveva deciso di riprendere e trasformare in un dvd.

“Oddio che ansia!” ripeté Mika per la decima volta in due minuti, camminando a passo svelto su e giù lungo il corridoio del backstage dell’Olympia. Erano a Parigi e nonostante avesse suonato in quella città più di una volta, non riusciva a placare il pensiero che quella sera ogni suo minimo errore sarebbe stato visto e ripreso da più angolazioni da diverse telecamere.

Andy che solitamente era quello più tranquillo dei due, quella sera era nelle medesime condizioni del moro. Era lui a dover dirigere i cameraman e aveva difficoltà a capire l’inglese dal forte accento francese di alcuni di loro, senza parlare poi del fatto che fosse la primissima volta che si cimentava in un lavoro così complesso.

“E se mi va via la voce?! Sento già un fastidio che parte dall’orecchio fino alla gola!!” si lamentò Mika senza mai smettere la sua marcia nervosa e torturandosi un unghia.

“Ti prego Mika non stasera. Lascia da parte la tua ipocondria per una volta!” gli rispose nervosamente il biondo, sistemando la già perfetta videocamera e controllando che tutto fosse pronto.

“NON E’ IPOCONDRIA LA MIA!” gridò Mika infervorandosi improvvisamente, preso dalla concitazione. Odiava essere contraddetto nei momenti di crisi e di ansia e in quel caso Andy aveva fatto decisamente una mossa sbagliata.

Andy si stupì di quel tono aggressivo, e innervosito da quel comportamento tuonò “SI CHE LO E’!” con tono di voce alto, a sua volta. Il suo nervosismo era tale da non riuscire a sopportare le inutili preoccupazioni del suo ragazzo, quella sera.
Mika aprì la bocca incredulo a quelle parole e assottigliò gli occhi.

“ANDY SMETT…” gli gridò di rimando, prima che Jerry lo interrompesse.

“Ragazzi BASTA!” strillò il manager entrando nel camerino, mettendo a tacere la diatriba tra i due.

“Siete nervosi tutti e due, si vede, ma scannarvi tra voi non migliorerà le cose!” gli disse pacatamente l’uomo, cercando di farli ragionare.  

I due si scambiarono un’occhiata truce.

Andy solitamente era il tranquillante di Mika. Ascoltava le sue preoccupazioni pre-concerto e placava i suoi timori. Allo stesso modo il riccio era solito rassicurare il biondino quando si ritrovava in conflitto con sé stesso. In quell’occasione però, entrambi avrebbero avuto bisogno di quel supporto che a causa dell’ansia nessuno dei due riusciva a dargli.

Passarono gli ultimi venti minuti a ignorarsi, prima di salire sul palco ed entrarono in scena senza il consueto bacio di buona fortuna.  


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Buonasera! 
Ok... diciamo che questo capitolo non finisce esattamente in spirito natalizio di peace and love, però l'ho scritto mesi fa e non sapevo sarebbe capitato in questo periodo. Ecco comparire toy boy. Quella canzone è una pietra miliare della storia di Mika, secondo il mio punto di vista. Parla molto apertamente se si leggono le parole con la dovuta attenzione. Credo che una situazione simile possa essere adeguata alla scrittura di un testo come quello.
Ed ecco anche la nonna malefica di cui Mika parla tanto. Deve volergli un gran bene, ciononostante non cela, nelle interviste, un certo fastidio per alcuni lati più taglienti del suo carattere. Bene. Mi scuso se le parti in corsivo sono in realtà enormi ma l'ho dovuto pubblicare dal telefono e non dal pc perchè l'editor non funzionava ne da Internet Explorer ne da Chrome, e mi da questo errore. Buon Santo Stefano che se ne sta per andare e Buon Natale in ritardo!
A presto, Vv