Bird Infected.

di jaybird
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** first symptom. ***
Capitolo 2: *** second symptom ***
Capitolo 3: *** third symptom ***
Capitolo 4: *** fourth symptom ***



Capitolo 1
*** first symptom. ***


Alcune città sono splendide, di notte. Gotham non è una di queste.

Ci potevano essere varie descrizioni che gli stessi Gothamiti, davano alla propria città. Delle vere e proprie perle, se si poteva essere specifici. E per specifici, s’intendeva sarcastici.
Gotham, la città per chi vuole punirsi.
Gotham, la città d’incubo costruita con metallo e pietra.
Gotham, l’inferno.
Gotham, Batman.
Umida, poco accogliente, sporca, meschina. Poteva piacere solo ad un determinato circolo di persone. Un circolo decisamente esclusivo, che risiedeva, ragionevolmente, ad Arkham. Per molti, di quel giro, Gotham era semplicemente un parco dei divertimenti.
Le banche, il banco dei dolci.
La gente, dei tiri a piattello.
Le morti, dei bonus.
Batman, il grosso peluche da vincere per far colpo sulla fidanzata.
Batman sembrava essere tutto. Batman era l’essenza di Gotham (o forse il contrario?). Batman era quello che sembrava aver deciso di lasciare il ‘’lavoro’’ di routine al sottoscritto, Dick Grayson. I grattacieli imponenti, per lo più costruiti grazie ai nobili fondi di Bruce Wayne, fungevano da torrette di guardia— e il ragazzo del circo, non sembrava mai sapere quando poteva essere realmente pericoloso sporgersi, in quel modo, dal bordo di cemento, dove a vegliarlo, sembrava esserci solamente un vecchio gargoyles. Ma, il vuoto, per un circense come lui, sembrava solamente essere come un grande salto, come per avere l’opportunità di volare, anche se solo per brevi secondi.

« Nottata fiacca, amico mio. »

Proclamò, in fine, all’amico di pietra, risucchiato semplicemente dalle luci sotto i suoi piedi, dalle sirene, immancabili, della polizia, per creare il paesaggio perfetto di una metropoli disastrata… Sempre sarcasticamente parlando, eh. Nessuna chiamata, nessun avviso da parte di Alfred o anche solo da Bruce, che poteva avvisarli di un qualche problema situato nella città. Non erano nemmeno rari, casi come questi. Un semplice pattugliamento, avrebbe saltato qualche altra palazzina, e poi, in fine, prima che possa spuntare l’alba, avrebbe persino potuto immaginarsi a prendere qualche oretta di sonno.
E poi, dei passi.

« Stasera ti sei fatto proprio desiderare, little wing. »
« Non era mia intenzione? »

Non provava nemmeno a sforzarsi; gli sembrava difficile non poter dar corda al maggiore, tant’è da andare a rispondere con quel solito velo di ironia, terminando con un fare del tutto interrogativo, come se non sapesse come poter rispondere per negare ma anche affermare la notazione altrui— e poi, andiamo, come si poteva a non dar retta al maggiore? Era una cosa che avevano sempre avuto l’abitudine di fare, sin dai loro primi incontri. Certo, sono passati anni e, ora, nel loro modo di scherzare, le cose sembravano farsi sempre più… indecenti? Uno sbuffo divertito scappa all’acrobata, mentre sul volto di Jason, comparì quella solita smorfia beffarda, arrogante, di uno che sembrava sempre avere la situazione sotto il proprio controllo. Non erano una cosa tanto infrequente, i loro incontri: le palazzine erano sempre le stesse— e poi non era così complicato vedere un tizio in calzamaglia, nel cuore della notte, che se ne stava con le gambe a penzoloni, seduto su un palazzo di una trentina di piani. Ma per Gotham, per loro, quelle cose, sembravano essere una stravagante routine che, forse, avrebbero dovuto cambiare.

« Quando questa città è così tranquilla, sembra quasi che ci sia qualcosa che non va, più del normale, s’intende. »
« Vuoi aggiungere questo nuovo aneddoto, agli altri, per descrivere il posto in cui sei nato, Jason? »
« No, o aggiungerei molte più parolacce. »

Non c’era una definizione ben precisa per poter descrivere il rapporto dei due ‘’guardiani notturni’’. Jason nutriva un grande rispetto per il maggiore, era ovvio. Dick era senz’altro una delle persone migliori che aveva avuto  il piacere di poter conoscere… era una delle classiche persone a cui erano successe cose decisamente sbagliate. Ma lo si poteva dire anche di se stesso? Non ne era mai così tanto sicuro. Tutto sommato, quel fare un po’ rude, sembra far divertire ugualmente Dick, tant’è che avverte chiaramente quel farfuglio divertito, che forse tentava di andare a nascondere, inutilmente. E poi, una fitta, come una morsa, come quando qualcuno ti afferra le frattaglie e te le spreme come una spugna. Una cosa talmente improvvisa che  fa curvare quel metro e ottantadue centimetri su se stesso, piegandolo, esattamente come un foglio di carta. La voce di Dick che sembra essere allarmata, che lo chiama, che però non sembra aver lontanamente sentito. Qualche farfuglio incomprensibile, forse, mentre non riesce a trattenere un’imprecazione, finendo con il viso voltato verso quello smog che, loro, chiamavano cielo.
Stupida città, non sembrava nemmeno poter permettersi delle stelle.

 
***


« —son? »

Cosa?

« Jason? »

Un tono di voce troppo rude per sembrare quasi premuroso. Voce che sentiva anche fin troppo spesso e che, per di più, veniva usata per dei rimproveri, che serviva per annunciare cose che lo avrebbero fatto, sicuramente, stare in una situazione peggiore in quella in cui già stava. Eppure, al momento, non sembrava essersi mai sentito così male come in quel preciso istante. Era sicuro di non sentire più le braccia e sembrava sentire lividi e dolore in posti in cui non poteva nemmeno immaginare di poter sentire. La vista era offuscata, sforzandosi di mettere a fuoco la figura che lo chiamava, mentre non poteva proprio fare a meno di annunciare il proprio dolore fisico con dei rantoli. Ma, in fondo, faceva male solo quando respirava. Gli occhi del colore della terra, sembrano riuscire a riconoscere quei capelli corvini, quella mascella ben marcata e quelle sopracciglia corrucciate. Inutile dire che Bruce sembrava essere furioso per quello che aveva fatto Jason. Il punto, era… che cosa aveva fatto, esattamente? Ricordava solo di essere usciti, lui da Robin, il maggiore da Batman, come ogni notte. Poi, veloci, a ritrovarsi in un vecchio edificio abbandonato, al porto. Pinguino, un traffico d’armi, un’imboscata, la solita strafottenza di Jason, qualcosa che lo colpisce alla sprovvista, e nient’alto se non la voce di Bruce che lo chiamò nel modo più forte che avesse mai potuto sentire. Il viso gli pulsava e ogni fibra del suo corpo sembrava bruciare, mentre l’unica cosa che sembrava essere in grado di fare, senza avvertire del dolore, era muovere le iridi verdi. Il braccio sinistro, ingessato— e questo sembrò fargli capire fin da subito che, per almeno un mese o più, non sarebbe più potuto andate in pattuglia, per la città, con il maggiore. Avrebbe davvero tanto voluto chiedere che cosa diamine gli fosse successo e, per quanto lo sguardo altrui lo intimidisse, in quel momento, ebbe il coraggio di aprir bocca, ma inutilmente.

« Sei stato un incosciente, come al solito. »

Il proprio mentore va a precederlo, non mettendoci molto prima di andare a dargli la colpa, usando quel tono imperioso che non faceva celare, di certo, la delusione, senza nemmeno provare a nascondere il fatto di non sembrare nemmeno sorpreso della situazione che, ora, lo costringeva ad un riposo forzato. Era risaputo che Jason, in missione, forse, tendeva troppo a ‘’rubare la scena’’, a mostrarsi troppo impavido e avventato, senza poter sapere le reali conseguenze che sarebbero potute capitargli in qualsiasi momento. Ma una volta che indossava la maschera e il mantello, non sembrava aver bisogno di nient’altro per poter sentirsi invincibile— ma forse tendeva troppo a sopravvalutarsi. E, per quanto potesse essere a conoscenza dei suoi errori, dopo pochi istanti di silenzio, dopo quel commento postatogli, lo sguardo di Jason andò ad aggrottarsi, come per voler imitare quello del maggiore, non sapendo mai se offendersi o esserne infuriato, quando gli dava dell’incosciente o qualsiasi altra cosa che non gli andava particolarmente a genio.

« Non ho fatto niente se non quello per cui mi hai addestrato! »
« Non ti ho mai detto di suicidarti, Jason. »
« Infatti non stavo facendo nulla del genere! Stavo solo— »
« No. »

Sembrava inutile, come ogni volta. Come ogni volta che tentava di dare una spiegazioni ai suoi gesti, del perché lo faceva e del perché non sembrava mai preoccuparsi troppo delle conseguenze… ma, con Bruce, tutto sembrava apparire tutto inutile, come se non volesse sentire alcuna ragione, come se ogni cosa che potesse fare Jason, fosse totalmente una cosa sconsiderata e pericolosa.
Forse Bruce esigeva troppo. Jason era pur sempre un ragazzino e, come ogni tale, si mostrava impetuoso, esaltato messo nei panni dell’uccello dal petto rosso, spalla del Cavaliere Oscuro. Ma se il maggiore aveva deciso di mostrarsi contrariato verso il minore, quest’ultimo, non sarebbe stato di meno— tant’è che, nell’esatto momento in cui le sue parole vennero interrotte, il proprio sguardo andò ad accigliarsi maggiormente, riuscendo a fare solo quello che, al momento, gli era possibile di poter fare, senza sentir maggior dolore: finendo con l’andare a spostare il proprio viso altrove, dall’altra parte, rispetto al maggiore, come se potesse essere lontano da quello sguardo rimproveratore e che lo giudicava. Costantemente. Vi fu un rantolo, ben poco comprensibile da parte di Jason. Ed un grande sospiro, pesante, quasi rassegnato, da parte di Bruce. Aveva esagerato? Non di certo. La colpa era di Jason? Sicuramente, una grande parte di responsabilità sull’accaduto, era sua. Che fosse Bruce il suo tutore, e che non si sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa di grave? Era ovvio. Si sentiva già responsabile di essersi permesso, ancora una volta,  di portare via la fanciullezza ad un altro ragazzino. Che non gli fosse bastata l’ultima ‘’avventura’’ avuta con il precedente Ragazzo Meraviglia? Avrebbe dovuto smetterla, effettivamente, non avrebbe dovuto lasciare che un altro ragazzo si facesse carico dei panni di cui Batman faceva parte. Non era una cosa giusta— ma, allo stesso tempo, non poteva fare a meno di pensare che, in Jason, ci fosse così tanto potenziale che, in un futuro, avrebbe solamente contribuito ad una cosa migliore… ad /essere/ una persona migliore. Il silenzio sembrava ave decido di regnare, negli angoli della camera da letto, mentre gli occhi azzurri di Bruce, si muovono, incapaci di non poter analizzare la situazione, soffermandosi sui graffi del braccio, sulle abrasioni, sui lividi. Jason voleva solo prendere quel tanto che bastava per poter essere quella persona che Bruce vedeva in lui— e forse lo stava facendo intendere nel modo sbagliato, nel mostrarsi così intrepido. Non voleva deludere nessuno, non Bruce, per lo meno. Un altro sospiro rompe il silenzio e, per fortuna, Jason decide di non dire nulla.

« Non devi dimostrare niente a nessuno, Jason. »

La voce di Bruce continuava a sembrare troppo rude per sembrare premurosa.

« Nemmeno a me. »

E dice quel tanto che basta per far voltare il minore nuovamente verso l’interlocutore e, questa volta, l’espressione sembrava essere quasi mortificata, come se fosse bastata quella confessione per far ricredere Jason Todd, su ogni cosa.

« Bruce, io— »

 
***



« —spiace- »

Cosa?

« Jason? Jason! »

La sensazione era la medesima: come se qualcuno avesse afferrato le frattaglie che aveva in corpo e gliele stesse strizzando come si faceva con una spugna. Un gran de senso di stordimento, la testa era pesante, lunghi brividi di freddo gli percorrevano la schiena e le guance erano bollenti. Una voce familiare che lo chiama e gli occhi, pesanti, che si aprono. Tutto che sembrava essere confusionario e l’unica cosa che sembrava aver intuito, Jason, era che si trovava nel suo logoro appartamento, steso sul divano con un Richard Grayson che non faceva altro che chiamarlo con un tono di voce che trovava fin troppo assordante.

 « Dannazione a te, e al tuo menefreghismo. »

Il proprio udito sembrava basso, quasi ovattato, mentre percepiva le parole altrui, senza ben afferrare che cosa stesse succedendo. L’ultima cosa che ricordava era stato il dolore improvviso che aveva provato sull’edificio, e poi nient’altro se non quello che sembrava essere stato un sogno— o meglio, un vecchio ricordo. Gli occhi verdi erano visibilmente stanchi, eppure, fu facile notare l’espressione di rimprovero sul viso del maggiore, per chissà quale motivo apparente.

« Avevi una ferita che ha fatto infezione, Jason. »

E quando lo chiamava per nome, significava che era proprio arrabbiato.

« Ah, ecco cos’era quel fastidio che mi dava  da giorni. »
« Non è divertente. »

Jason scrolla le spalle, avendo persino il coraggio di prendere la cosa sottogamba, mentre pensava d essere divertente, andando a rispondere in quel modo totalmente fuori luogo, usando un tono talmente basso e fiacco, che non sembrava nemmeno essere la sua voce, avendo persino la forza di tirare un’aria sghemba sul viso. Viso che, dopo poco, si sposta, lentamente, quasi a fatica, verso la sua destra: una sedia, accanto a se, proprio a pochi centimetri dal divano, fungeva da tavolino, vedendo la cassetta del pronto soccorso (che era sicurissimo di non avere in casa propria), con una pila infinita di cotone sporco di sangue e… altra roba. Forbicine e del filo e del disinfettante. Un set da medico master, insomma.

« Ho chiamato Alfred, ha ripulito tutto e ti ha ricucito. »

Alfred, un sant’uomo, un amico che valeva davvero la pena di tenersi stretto.
Gli occhi smeraldini ritornano ancora una volta sul viso dell’altro che, oltre tutto, sembrava non aver alcuna intenzione di smetterla di fissarlo in quel modo che riteneva /fin troppo/ angosciante, come se fosse sul baratro della morte, cosa che fece gorgliare Jason, esattamente come una vecchia caffettiera rotta, trovando la forza di mostrare un’espressione ben poco d’approvazione.

« Piantala. »

Già il fatto di sentirsi uno straccio, lo metteva a disagio, il fatto di essere così inerme, lo faceva star peggio— era sempre stato così, effettivamente. Grande e grosso, ma che si lamentava per un po’ di febbre… anche se, beh, in questo caso, la situazione era un po’ più grave. Ma Dick era Dick, e finiva sempre con il preoccuparsi più del dovuto, rendendo tutto un dramma. Ma, anche se Jason non lo avrebbe mai confessato, quel tipo di attenzione, quella sensazione confortevole di sapere che ci fosse sempre stato qualcuno per lui, come in quel momento, gli faceva piacere.

« Io ora devo andare, » avverte, facendo che alzarsi dal bordo del divano, sul quale vi era seduto. « ma ti ho preso una baby-sitter. »
« Spero proprio che abbia le tette grosse. »
« Non proprio. »

E, seppur quello di Jason era una finta esaltazione, l’espressione sul suo viso andò a mutare, non potendo che mostrarsi contrariato, come se Dick gli avesse appena detto qualcosa che non voleva sentire, sebbene fosse una cosa abbastanza ovvia.

« Ho chiamato Tim, che— »
« No. »
« Jason. »
« Ho detto di no. »

Avete presente quelle madri che, completamente esasperate, non sembravano più essere in grado di sopportare i capricci dei propri figli? Ecco, Dick, si sentiva nei panni di quel medesimo ruolo. Certo, forse non era stata una cosa intelligente, quella di chiamare il ragazzo che fino a non molto tempo fa, Jason voleva morto e, sebbene quel suo desiderio si fosse placato, c’era anche un certo restio nel voler stare in presenza di Timothy Drake.  Sebbene fosse una cosa reciproca, alla fin fine. Ma nemmeno quello sguardo di disapprovazione avrebbe fatto cambiare idea a Dick che si rifiutava di lasciarlo da solo, in quello stato… era convinto che, nemmeno muovendosi, sarebbe stato un pericolo per se stesso. Si lascia andare ad un lungo sospiro, mentre una voce, da dietro la porta, va a chiamarlo. Era Tim.

« E’ solo per qualche ora. Grande e grosso, ma continui a sembrare quel ragazzino di dieci anni. »
« Dacci un taglio, Richard. »

Il tono fiacco non sembrava essere così minaccioso, tant’è che Dick, incurante del tutto, si lasciò scappare una risata, come se fosse divertito, come se avesse fatto un passo indietro nel tempo, come se sul divano rivedesse veramente quella piccola figura di dieci anni che si lamentava per il fastidio del proprio malessere, finendo, poi, con l’andare ad aprire la porta dalla serratura sgangherata. Un altro paio di capelli corvini, scombinati, e due altre pozze azzurre, che non trasmettevano propriamente l’entusiasmo che si aspettava, nel trovarsi nella tanto famigerata ‘’tana’’ di Jason Todd.

« Tranquillo, oggi abbaia ma non morde. »
« Io sarei qui, in casa mia, e sento tutto. »
« Visto? »

Non erano propriamente la cosa migliore per poter rassicurare Timothy, ma il sentire quella risposta, con un tono così smorto, non potette che farlo entrare nell’appartamento senza timore, nonostante Jason lo stesse guardando in un modo tale che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito. Timothy fa finta di niente, mentre non può proprio fare a meno di guardarsi in torno, come se gli venisse in automatico il fatto di studiare la situazione, così come anche per il posto in cui si trovava. Si poteva affermare che l’appartamento dell’ex Robin lo rispecchiava perfettamente: sudicio e mal ridotto, esattamente come lui. Il pavimento cigolava ad ogni passo che faceva, mentre negli angoli delle pareti si trovavano un sacco di crepature— senza contare dell’aria pesante che si respirava. I mobili erano pochi e anche abbastanza inguardabili. Era un po’ come se Jason avesse seriamente deciso di abitare come un reietto… e dire che, se avesse voluto, sarebbe potuto tornale alla villa, nella sua stanza, che Alfred si curava di lasciare perfettamente intatta. Inutile dire, anche, che Jason sembrava aver notato come il più piccolo si stesse guardando in torno, potendo ben immaginare che cosa stesse pensando, mentre Richard rimaneva in bilico tra l’interno dell’appartamento e lo stipite della porta.

« Ehy, baby bird.
Quanto tempo è passato dal nostro ultimo incontro? Da quando ti ho sfiorato appena il collo? O da quando ho avuto la premura di dirti quanto facevi schifo con il tuo attuale costume? »
« Jason. »

E sembrava esserci Dick, sempre pronto a rovinare i momenti più divertenti— specialmente se poi Timothy non sembrava avere le palle per rispondere al fare strafottente e sarcastico di Red Hood. O, forse, era semplicemente più maturo del maggiore?

« Cosa? Stavo cercando di mettere a proprio agio il mio ospite. »

A questo punto, sembrava inutile continuare a rimproverarlo; era come parlare con un muro e, l’ennesimo sospiro di Richard, sembrava essere l’ennesima arresa a quel fare insopportabile, deciso a non rispondergli, per poi voltarsi verso il più piccolo, a Timothy.

« Ritornerò, al massimo, tra un paio d’ore. Per qualsiasi cosa, chiamami, capito? »

Timothy non fiata ancora, facendo solo che annuire con il capo, mentre la figura più grande, va a minacciare quella stesa sul divano, per poi sparire da dietro la porta, andando a dare l’ultimo saluto, prima di sentirlo scendere frettolosamente lungo le scale. E ora? E ora si sentiva esattamente come se fosse nella stessa gabbia con un leone. Insomma, come aveva anche solo potuto mettersi in mezzo in questa situazione, dove non c’entrava assolutamente niente? Maledetto Richard, era senz’altro in debito con lui. Le iridi azzurre, ancora fisse sulla porta (come per sperare che il maggiore tornasse indietro e gli dicesse che poteva tornare a casa), si spostano, quasi cautamente, finendo con lo scontrarsi sulla carcassa del suo predecessore, steso sul divano che continuava a guardarlo in un modo tale che sembrasse quasi volergli saltare addosso da un momento all’altro e giocare con la propria pelle, prima di mangiarselo vivo. E, per quanto l’espressione e il fare di Timothy fossero completamente imperturbabili, si sentiva a disagio— ma, d’altronde, come si poteva non esserlo quando si doveva fare da balia alla persona che aveva tentato di ucciderti? Questa situazione si sarebbe potuto definire ironica tanto quanto stupida.

« Ti stai godendo la vista? »
« Eh? Che? No! Stavo solo— »
« Basta, mi hai già annoiato. Puoi anche andartene ora. Ci manchi solo tu, qui dentro. »
« Ma Dick ha detto— »
« Si, abbiamo capito tutti che sei una brava bambina che ascolta sempre tutti. Ma ora puoi anche andartene. »

Effettivamente, che cosa ci avrebbe guadagnato, Tim, a restare lì, con una persona che lo detestava e che tentava di detestare a sua volta? Non aveva assolutamente voglia di restare per le prossime ore a farsi punzecchiare da Jason, ci mancava solo quello poter da aggiungere alla lista. Eppure, il fatto che Jason non potesse far altro se non muovere quella boccaccia, stuzzicava la curiosità del minore che, ora, con lo sguardo corrucciato, andava a guardarlo in malo modo, conscio che, in quelle pessime condizioni, il più grande, non sarebbe stato in grado nemmeno di alzarsi dal proprio posto. Che cosa aveva da temere? Per tanto, dopo un paio di secondi, come se avesse avuto il tempo necessario per prendere una decisione, si limita a restare immobile— anzi, finì persino per andare ad appoggiare la propria schiena contro quel muro che, in tutta sincerità, sperava non si sbriciolasse, andando a portare le braccia al petto, poi.

« No. »

Sentenzia, in fine, come se gli stesse chiaramente lanciando uno sguardo di sfida, come per fargli capire che, per una questione di principio, ora, non se ne sarebbe andato, fino a quando Richard non sarebbe ritornato, ovviamente. E Jason? Jason gorgoglia, come una vecchia caffettiera maltenuta.  
 

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Capitolo 2
*** second symptom ***



Attacchi di panico.
Non era sicuro di averne mai provato uno, prima di allora.
Era stato allenato, addestrato, sia fisicamente che, soprattutto, psicologicamente. L’adattarsi ad ogni situazione era la cosa più essenziale, una cosa più importante persino che della stessa maschera che aveva promesso di onorare e di portare fino alla fine dei propri giorni.
E bene, quel giorno, sembrava essere arrivato.
Era come se si fosse addormentato sott’acqua, come se fosse conscio di quello he stava succedendo, del fatto che si stesse svegliando… e, Dio, avrebbe preferito non farlo. Gli occhi bruciavano, il fiato sembrava quasi mostrarsi affannato ancora prima che potesse provare ad  iniziare a respirare normalmente. Si sentiva come se tutto gli stesse stretto. Lo spazio, principalmente.


« Bat— »

Era sicuro di aver mosso la bocca, di aver detto qualcosa ma, quasi, non sente le sue stesse parole. Gli occhi verdi iniziano a metter a fuoco il posto— o meglio, la cosa in cui si trovava. Il cuore perde un colpo, forse due, mentre le iridi verdigne si spostano veloci, come se stesse cecando un qualsiasi spiraglio che potesse farlo uscire fuori di lì. Tutto il corpo, quasi come se fosse stato intorpidito per troppo tempo, si muove, poco alla volta.

« B-Bat—! »

Ancora una volta, le labbra si muovono, ed era sicuro di aver detto qualcosa. Ma niente, sembra essere così  forte da poter raggiungergli le orecchie, al momento. Il formicolio alle braccia viene ignorato, e gli arti vengono alzati, per quanto lo spazio lo permettesse. Il cuore perdere altri battiti e il respiro diventa quasi fiacco, come se avesse fatto una lunga ed interminabile corsa, quando in realtà, stava solo cercando di non pensare di essere realmente chiuso in quella che sembrava essere l’interno di una fottuta bara.

  « B-! »

L’istinto principale, è stato quello di andare a portare le proprie mani sul tessuto bianco della bara, toccando il tutto, come per cercare un qualsiasi cosa, un buco, uno strappo, da dove poter cominciare per poter uscire da quello spazio ristretto. Nel frattempo, l’aria sembra farsi sempre di meno e, il suo respiro, sempre più corto. La bocca continuava a muoversi, ma era sicuro di non sentire niente di niente di quello che stava anche solo pensando. Doveva fare mente locale, doveva controllarsi, doveva respirare a fondo. L’unica cosa che riusciva a ricordare, era Joker, sua madre e un insopportabile ticchettio e dei numeri che facevano il conto alla rovescia. Tre… Due… Uno.

« BATMAN—!!! »

Era come se qualcosa fosse scattato all’improvviso, senza nemmeno rendersene conto, come se era sicuro che quell’esplosione lo avrebbe dovuto uccidere. E invece si trovava li dentro, chiuso, in trappola, come un animale. Il cuore prende a battere furiosamente, questa volta, il tutto inizia farsi opprimente e le mani, chiuse a pugno, continuano a battere contro la bara, come per avere la speranza che si potesse aprire da un momento all’altro, come se tutto quello fosse solo un altro gioco malato da parte dello stesso Joker.
E poi un altro urlo agghiacciante.



***



« Jason! »

Non sembrava mai una buona idea, quella di addormentarsi. Ogni sogno, puntualmente, sembrava dover essere la sua copia esatta della sua vita precedente: un incubo. E la sensazione di essere completamente inerme, in quei momenti, si quadruplicava. Il fatto di non essere stato capace di fare niente allora e, adesso, meno di allora. Questo, era un dei tanti motivi per cui dormiva ben poco— ma la febbre causata dall’infezione lo aveva, letteralmente, stravolto, oltre che colto alla sprovvista e, stremato, l’unica cosa che sembrava essere in grado di poter fare, sembrava essere quella di non sforzarsi, per quanto non lo sopportasse. Ma prima avrebbe avuto il buon senso di riposare e prima avrebbe potuto riprendere a fare determinate cose. Nel sentirsi chiamare da una voce, sfortunatamente, familiare,  Jason, apre gli occhi, di scatto, mentre il senso di oppressione che gli premeva sul petto, sembrava essere rimasta la medesima, assieme alla testa pesante e a quella sensazione di essere come in un forno.
E’ sempre rimasto lì,  su quel divano sgangherato, circondato da quei muri marci, sentendo il cigolio del parquet marcio. Gli sembrava che fosse passata un’eternità, quando sembrava ancora essere lo stesso medesimo giorno. Aveva fatto poco e meno di un’ora di sonno. E al diavolo chi ha detto che il sonno rifocilla gli animi, dato che ora si sentiva peggio di prima. Aveva ancora il fiato corto e si stava sforzando per tentare di pensare lucidamente: si era addormentato e il suo subconscio sembrava divertirsi parecchio nel proiettargli uno dei ricordi più atroci che aveva affrontato. Doveva essere per forza colpa di quella febbre estenuante.


« Che diamine ti prende? »

E, a pochi centimetri da lui, c’era Timothy, quello che Dick aveva deciso di appioppargli perché, evidentemente, lo riteneva troppo inaffidabile. Dal maggiore non esce ancora nessuna parola, come se, davvero, si stesse assicurando che, anche quello, non fosse un sogno. Inutile dire che Timothy si fosse accorto di quel comportamento, come se si fosse smarrito, di punto in bianco, senza contare che lo aveva sentito vaneggiare, in modo abbastanza incomprensibile, nel sonno. Ma, evidentemente, quello, doveva essere uno degli effetti indesiderati della febbre alta— e, beh, Tim, questo, lo poteva compatire più che bene… dato che, essendo senza la milza, era un soggetto particolarmente a rischio, e finiva col prendere numerose volte l’influenza. Influenza che sembrasse portarlo, ogni volta, sul punto di morte, date le svariate scenate che proclamava. Tutta via, in quella medesima situazione, non aveva la più pallida idea di cosa fare; Jason se ne stava immobile, senza dire niente, nemmeno una qualsiasi cattiveria, mentre Tim si rendeva conto di essere la persona meno adatta al ruolo di ‘’badiamo a Jason perché è un po’ coglione’’. Gli occhi celestini lo studiano ancora una volta, prima di decidere di prendere nuovamente la parola.

« Stavi dicendo qualcosa nel sonno, ma penso sia colpa della febbre alt— »
« Devo fare una doccia. »
« Non penso che tu debba muoverti. E fare una doccia, al momento, non sembra essere una cosa essenziale, senza contare il fatto che devi sudare per poter stare megl— »
« Chiudi quella dannata bocca. »


Quasi non ringhia, Jason, in tutta risposta a quella specie di premure da parte del minore. Mentre tentava di cacciargli una di quelle sue solite occhiatacce, senza troppo successo, probabilmente… dato che nemmeno lui stesso non sapeva cosa star facendo. L’unica cosa di cui era sicuro, era che aveva il bisogno di sentirsi spruzzare addosso un getto d’acqua freddo, giusto per voler calmare quei pensieri e quel bollore che non reggeva più. Anche se, probabilmente, dopo, sarebbe stata persino peggio. Timothy, nel mentre, non può fare a meno di metter su un’espressione di pura disapprovazione, lasciando anche che un rantolio gli scappasse, mentre seguiva il maggiore con lo sguardo, che decide di liberarsi dalla coperta, prima di andare a tirarsi su— o almeno ci provava. E poi, se Jason voleva fare una doccia, che gli importava? Se sarebbe stato peggio, dopo, sarebbe stata solo una cosa positiva per lui, giusto? Dopo tutto quello che gli aveva fatto, sarebbe stata solo come una specie di punizione, ecco. Era semplicemente il Karma che aveva avuto la premura di girare dalla sua parte, finalmente. Eppure, nel vedere la figura altrui che andava a barcollare verso la stanza desiderata, non lo faceva sentire così bene. Ma, tutta via, non si sentiva in dovere di dover trattenere quell’espressione di pura disapprovazione, con tanto di braccia al petto.

« Dopo starai solamente peggio, Todd. »

Commentò, mentre pensò bene di andare a seguirlo, ad una debita distanza, mentre sembrasse voler tentare ancora una volta di fargli cambiare idea, così che magari sarebbe ritornato sul divano e, con qualche miracolo, dopo pochi attimi, sarebbe arrivato Dick e lui, finalmente, avrebbe potuto ritornarsene alla Villa e non c’entrarci più niente, cosa che sarebbe dovuta essere fin dall’inizio. Ma, ovviamente, perché essere così positivi, quando poi c’era Jason che, come in una commedia recitata alla perfezione, non andava nemmeno ad ascoltarlo? Era sicuro che stesse persino facendo finta che non ci fosse in quell’appartamento, dato che sembrava aver deciso di risparmiare tempo, senza essere arrivato ancora nel bagno, prendendo a spogliarsi lungo il corridoio. E la cosa che più lo scocciava, oltre al fatto che Dick gli aveva appioppato un ruolo che non voleva, era che lo stesso Jason non pensava minimamente ad ascoltarlo, come se la sua voce fosse solamente un fastidioso ronzio.
E lo odiava.


« Si, certo, fai pure con comodo, tanto sei da solo in casa. »

Commentò, ancora una volta, sarcastico, come al solito, mentre Jason continuava a far finta di niente, lasciando che la maglia cadesse a terra, come per tracciare il proprio percorso, mentre una forza maggiore sembra quasi costringere Timothy a seguire quella carcassa barcollante che, finalmente, va a raggiungere il bagno e che, senza perdere troppo tempo, va ad aprire il getto d’acqua di quella che era la doccia più brutta che avesse mai visto, senza preoccuparsi troppo che potesse essere di una temperatura inadatta al suo attuale stato di salute, non preoccupandosi, oltremodo, di togliersi i pantaloni.
E che cosa avrebbe dovuto pensare? Che cosa avrebbe dovuto fare? Provare a dirgli qualsiasi cosa sembrava essere inutile e provare ad usare la forza, era ancora più stupido, specialmente se poi il maggiore era il doppio di lui e, indubbiamente, anche più forte. Per tanto, la figura di Timothy, rimane ferma, immobile, sullo stipite della porta, con le sopracciglia più corrucciate di prima, esprimendo tutta la sua disapprovazione e tutto il suo… affronto? Si, insomma, come non poteva non essere offeso da quel comportamento insensato, da parte di Jason? Era lì perché gli stava facendo un favore— o meglio, perché stava facendo un favore a Dick, ma il minimo era che il maggiore collaborasse, giusto? Non aveva senso prendere quel comportamento troppo sul serio; dopo tutto, quel fare sgarbato, faceva parte di Jason e l’unica cosa che c’era da fare, era sopportarlo per quel che era. Come solo Dick, effettivamente, sapeva fare. Ma lui era Timothy— e Timothy poteva non essere d’accordo, sull’essere così accondiscendente e, quindi, ‘’farsene una ragione’’. Ed era proprio per quel motivo, talmente stupido, che aveva deciso di guardarlo in quel modo insistente e, probabilmente, fastidioso, solo per poter essere notato e, soprattutto, considerato… cosa che non tarda ad accadere.


« Cosa. »

Chiede, subito, con la sua non-domanda, Jason, senza privarsi di quell’immancabile tono scocciato, mentre lasciava che il getto d’acqua, fresco, gli lavasse via tutti quei pensieri, tutto quel calore che lo opprime, che lo soffocava e, quasi come se fosse una manna dal cielo, riesce anche a prendere un minimo di lucidità. Quel tanto che bastava per poter andare ad accorgersi che il minore lo aveva seguito fino in bagno e che ora lo stava guardando fin troppo, con un’espressione di uno che non sembrava approvare niente di tutto quello che stava succedendo— non che a Jason importasse qualcosa, sia chiaro. Il getto rimane aperto, lasciando che gli battesse prima sul viso, e poi sul collo, reggendosi con le mani sul muro, mentre le iridi verdi, dopo aver lanciato una fugace occhiata, con la coda dell’occhio, alla figura più piccola, decide di chiudere ancora una volta le palpebre, godendosi quelle gocce fredde.

« Non dirmi che ti stai eccitando. Sarebbe imbarazzante… sai, non sei propriamente il mio tipo. »

Ed ecco quell’immancabile velo di ironia che va ad uscire da quelle labbra tirate in quella sua solita smorfia sghemba, mentre Timothy non tarda a rispondere con un grugnito, puramente infastidito, non potendo trattenere un filo di imbarazzo che, puntualmente, andò a colorargli le guance.

« Che cosa ti fa pensare che tu, invece, sia il mio? »
« No, certo... »


Risponde, Jason, mentre va a sollevare il viso, lasciando che il getto andasse a battergli sul petto, così da poter andare a portare tutta la sua attenzione sul minore, senza sfumare quell’espressione arrogante sul viso, mentre Timothy sembrava quasi pronto ad aspettarsi il peggio.

« Dopo tutto, il tuo tipo non può che essere uno come Dick, giusto? O meglio, solo Dick. »

E con tutta la sfacciataggine del mondo, solo uno come Jason poteva andare a menzionare una cosa del genere, quasi come se ne fosse veramente curioso, aspettandosi una reazione che poteva solo confermare quegli ovvi dubbi. Reazione che Tim non tarda a mostrare. Gli occhi si sgranano, quasi come se fosse stato colto alla sprovvista… o colto con le mani nel sacco, forse? Tutta via, l’imbarazzo non potette che accentuarsi maggiormente sulle proprie guance, non potendo credere di aver sentito veramente una constatazione del genere. Ma i gesti, effettivamente, valevano più di mille parole e, agli occhi di uno come Jason, non potevano che essere inequivocabili. E quell’improvviso silenzio insieme a quella reazione, non potevano che metterlo in una posizione più scomoda, tant’è che l’espressione stessa del maggiore, si allarga, come se avesse fatto tombola.

« Non dire fesserie, Jason. »

Ma, per quanto in ritardo, l’impavido Drake, va a rispondere, cercando di ritornare ad un’espressione imperturbabile, non volendo restare impassibile a quel fare fin troppo meschino, andando a tirare fuori il fattore ‘’Richard’’. Certo, senz’altro, lo trovava fantastico e, per quanto potesse essere petulante il più delle volte, Tim, non poteva che trovarla una persona fantastica, degna di tutto il suo rispetto. Al contrario di quello che provava per il suo predecessore, ancora sotto il getto d’acqua. Se lo scopo altrui, era quello di metterlo in uno stato d’agitazione o qualsiasi altra cosa, non ci sarebbe riuscito di certo e Timothy lo stava dimostrando chiaramente.
Talmente chiaramente che, poco a poco, veder sfumar via quell’espressione beffarda sul volto del maggiore, gli sembrava essere la cosa più appagante del mondo— e avrebbe detto qualcosa a riguardo, giusto per poter battere il ferro finché caldo, specialmente se poi Jason non avrebbe potuto reagire fisicamente (non come al solito, per lo meno), ma qualcosa sembra degenerare in un modo del tutto improvviso: l’espressione d Jason continua a mutare, fino a sfumare in tratti che sembravano dipingere perfettamente la sensazione di dolore, tant’è da vederlo andare ad appoggiare la mano proprio sulla ferita, come gesto istintivo, come farebbe chiunque e— e, ok, che avrebbe dovuto fare ora, lui?


« Jason? »

Certo, perché chiamarlo, sicuramente, sarebbe stato utile, come se quei rantoli e quei mugolii di dolore non stessero già dimostrando nulla, eh?  Istintivamente, Timothy va a muoversi verso la figura del maggiore, che quasi andava a contorcersi, vedendolo piegarsi all’interno del proprio addome, sentendolo lamentarsi, come se stesse provando una cosa inumana.

« Jason! Jason, stai ben—!!? »

E, come uno stupido, come un completo idiota, come un topo attratto dall’odore dal formaggio, scioccamente, abbassando la propria guarda, una volta avvicinatosi fin troppo al maggiore, si sente afferrare ai polsi, in modo del tutto imprevisto, in modo forte, tanto da non poter permettergli  nemmeno di poter pensare ad una possibile via di fuga, sentendosi strattonare quel tanto che bastò per fargli perdere l’equilibrio, finendo dritto dritto sotto quel getto d’acqua che, inutile da dire, era gelato.  I polsi erano ancora bloccati e la propria mente stava ancora cercando di capire che cosa /diamine/ fosse successo, così, all’improvviso. Un minuto prima si stava persino preoccupando per la ferita del maggiore— mentre, ora, l’unica cosa che voleva, era stargli alla larga… ed, invece, ironia della sorte, era completamente spalmato su quell’ammasso di muscoli che sembrarono essere l’unica cosa che gli avevano impedito di cadere completamente e sbattere il naso chissà dove. E quello stupido ghigno, dal viso altrui, un giorno glielo avrebbe strappato via. Era stato preso in giro, ancora una volta, con uno scherzo idiota e per nulla divertente.

« Di solito sei più simpatico quando non hai una scopa su per il culo, baby bird. »

A quanto pare, Jason, sembrava aver recuperato nuovamente le proprie forze, tant’è da dover dimostrarlo in quel modo idiota, su di lui, per di più. Non lo tollerava, non sopportava di essere preso in giro in quel modo, da uno come lui, quando aveva fatto la stronzata di accettare la richiesta di Richard.
Notizia dell’ultimo minuto: si era stufato.
L’espressione, dapprima ancora un po’ confusa sul viso diafano di Timothy, va a mutare, cambiando in un attimo, ritornando con un’espressione accigliata sul viso, senza aver paura di dimostrare la sua altezzosità e la propria frustrazione, mentre Jason, con tutta la calma del mondo, continuava a fissarlo in quel modo che— che trovava nauseante. Gli avrebbe tirato un pugno, lo avrebbe fatto, ma stava gelando sotto quel getto, senza contare che non ne poteva più di quella situazione. Aveva bisogno di andarsene. Ecco perché, senza pensarci sue volte, va a liberarsi i polsi, nel modo più brusco che potesse fare, mentre Jason, in sottofondo, continuava a fare quello che sapeva fare meglio: lo stronzo.


« Uoah, che caratterino. »
« Vai al diavolo, Jason. »
« Devo prenderlo come un invito ad uscire insieme, per caso? »


Tim non sopportava più quella stupida ironia che, l’unica cosa che gli procurava, era solo un gran mal di testa, oltre che  un forte prurito alle mani. Non risponde, andando ad uscire, completamente zuppo, dalla doccia, andando a precipitarsi nella stanza in cui si trovavano prima, non volendo più saperne niente di Jason, ne di cosa avrebbe detto Richard. Di niente. Era da una vita che veniva solo preso in giro.  E, ora, sembrava aver raggiunto ogni limite. Veloce, prese le sue cose, prima di andare ad aprire (o meglio, a tirare) la porta, trovandovici l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Ma, dopo tutto, si chiamava Timothy Jackson Drake, che equivaleva al termine: sfortunato. E, per tanto, eccolo lì, un Richard che stava esattamente per entrare nell’appartamento, completamente confuso. E ci sarebbe rimasto, dato che, il minore, non aveva alcun desiderio di rimanere lì un altro secondo di più.

« Timmy? Che cos’è success— »
« Jason è un coglione. Io me ne vado, ciao. »


E senza che Richard potesse aggiungere qualcosa o fare qualsiasi altra cosa, la figura più piccola, lo scansa, andando a camminare nel modo più veloce che potesse fare, fino a non vederlo più. E ora? Ora si sentiva un completo idiota, era stato via per poco tempo e gli sembrava di aver scatenato qualcosa che avrebbe preferito evitare. Non perde ulteriore tempo, prima di entrare nell’appartamento, senza vedere la figura del minore stesa sul divano, sentendo ancora il getto d’acqua della doccia che scorreva, dall’altra parte.

« Jason Peter Todd. Che diamine hai combinato? »

Era dura il ruolo del ‘’fratello’’ maggiore.

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Capitolo 3
*** third symptom ***


Che c’era da stupirsi? Che cosa avrebbe dovuto aspettarsi, Timothy, dopo aver preso la geniale idea di farsi buttare ‘’nella tana del lupo’’? Per tana s’intendeva uno schifo di appartamento che, tutta via, sembrava sposarsi perfettamente con il fare, altrettanto schifoso, di Jason. Si sentiva persino stupido nel pensare che, quest’ultimo, da lì in poi, avesse potuto trattare Timothy con un maggior riguardo— se non con un po’ meno di indifferenza. Aveva pensato stupidamente di fare il primo passo, per poter creare un rapporto, tra loro, che potesse essere almeno etichettato come una cosa vagamente decente… ma si stava rendendo conto solo adesso che, tentare una cosa del genere, provare a porgere una mano con certi individui, era una cosa quasi masochista. Stupida. Inutile e masochista— lo aveva già detto?

Erano passati quasi cinque giorni da quando era ritornato al maniero Wayne, completamente bagnato, da testa a piedi, per colpa di uno stupido scherzo di Jason. Per tutto il tempo, mentre stava tornando a casa, aveva sperato che non gli venisse un accidente— avere un raffreddore (se non qualcosa di peggio), ora come ora, non sarebbe stata una gran cosa. Sarebbe stato solamente l’ennesimo sgambetto che la vita gli stava offrendo, esattamente come un puro dispetto. Per fortuna, a parte qualche lieve mal di testa, non sembravano esserci eventuali segni che potevano scatenare una possibile influenza. Incredibile ma vero, ma qualcosa, nella sua vita, sembrava andargli per il verso giusto, ogni tanto. 
La cosa sembrava non potersi dire allo stesso modo per Jason che, dalla sua ultima visita, non sembrava essere migliorato affatto. Richard non rincasava quasi mai e, molte volte, tramite un messaggio, lo avvisava, affermandogli che Jason non era ancora in grado di poter essere lasciato solo e tutto per colpa di quella stupida testaccia. Era messo talmente male che persino Alfred aveva dovuto muoversi di casa per andare a controllare che non ci fosse nulla di particolarmente grave, soprattutto se poi era Jason stesso a rifiutarsi di prendere le medicine— cosa che lo avrebbero aiutato a riprendersi più velocemente da tutta quella situazione, era ovvio… ma su questo, nemmeno Timothy avrebbe potuto controbattere sulla stupidità e la testardaggine del maggiore. Anche lui si sarebbe rifiutato di prendere dei medicinali. Si sarebbe sempre rifiutato di assumere cose che, in un modo o nell’altro, non lo avrebbero reso completamente lucido. Una cosa che non sopportava, era non avere il controllo di se— e, quindi, al costo di stare tre volte peggio, non avrebbe mai assunto niente che potesse, in un qualche modo, offuscargli la mente.
Ma Jason era un coglione.
Si sarebbe meritato molte altre cose, a suo modesto parere.   
 
***

« Me lo stai chiedendo davvero? »
« Devi solo dare una veloce occhiata e nient’altro. »
« Perché dovrei?  »
« Non posso muovermi, al momento, lo sai. Potrebbe aver fatto qualcosa di stupido e aver avuto una ricaduta. »
« Quindi? Quale sarebbe il problema? »
« Red Robin. »

A che serviva avere un padre morto, se tanto sembrava esserci Richard a reincarnare una figura paterna perfettamente asfissiante? Ma il fatto era un altro— e il sentire quel tono di puro rimprovero, non lo avrebbe smosso dal proprio volere. Non questa volta. Perché sarebbe dovuto andare lui a ‘’dare un’occhiata’’ alla carcassa di Jason? Insomma, quanti danni avrebbe potuto fare, rimanendo a casa da sol— ok, domanda stupida, va bene. Ma perché lui? Sembrava essere stato abbastanza evidente la pura riluttanza che sembrava ergere come l’unica base del rapporto (definiamolo tale) tra lo stesso Timothy e Jason. 
L’aria era fredda, nelle alte cime dei grattacieli di Gotham e l’unica cosa che sembrava essere un problema, quella notte, era l’insistenza di Richard. Se solo avesse voluto, avrebbe potuto staccarsi l’auricolare dall’orecchio e gettare l’oggetto nel vuoto sotto i suoi piedi e infischiarsene di tutta quella faccenda che, fino a prova contraria, non lo riguardava affatto. Restò in silenzio, quindi, cacciando un broncio al nulla, come se, davanti a se, si immaginasse la figura di Richard che lo stava pregando. Ripetergli di no sarebbe stata solo una perdita di tempo; avrebbe insisto fino allo sfinimento.

« Prendilo come un favore che, prima o poi, ti riscatterò. »
« Non hai mai provato a pensare che possa essere solo il karma che agisce sui cattivi e gli immorali? »
« Sì. »

Rispose, Dick, come per dar corda a quel tono ironico, lasciandosi scappare una piccola risata, come se ci potesse essere anche un velo di verità in quella parole un po’ cattive.

« Ma è Jason. »

Continuò, il maggiore, all’orecchio, come se tentasse di trovare una chissà quale scusa solo perché ‘’era Jason’’— perché dire che era uno stupido cazzone, era troppo ovvio.
Rimase nuovamente in silenzio, Timothy, come per poter pensare se poter, di nuovo, tentare di negare quel favore, inventando qualche scusa, effettivamente. Ma se proprio avesse voluto essere convincente, avrebbe mentito fin dall’inizio. Era un po’ come se si fosse tirato, da solo, la zappa sui piedi. Tirò un sospiro, quindi, arreso, completamente e totalmente infastidito. Avrebbe solo voluto tornare a casa e nient’altro, senza essere obbligato a fare altre tappe indesiderate, chiedeva troppo, per caso?

« Bene. »

Il tono era esattamente come quello di un bambino che voleva darla vinta alla propria madre perché sapeva esattamente che non poteva far altro, per poter far terminare quella conversazione. Ma poi, esattamente, che cosa avrebbe dovuto fare? Timothy non sapeva nemmeno badare a se stesso, come avrebbero potuto, gli altri, pretendere che constatasse lo stato di  salute di qualcun altro? Avrebbe dovuto fargli prendere delle medicine? Se sì, quali? Bastava che respirasse, in fin dei conti, giusto? I ringraziamenti del maggiore sembravano quasi un sussurro, troppo occupato a pensare sul da farsi, lasciando che, via via, il contatto tra loro, andasse a terminare, finendo con l’alzarsi in piedi, pronto, a sparare un rampino dall’altra parte del grattacielo, buttandosi, così, nel vuoto, fidandosi ciecamente dell’arpiglio che reggeva e trascinava il suo peso da un muro all’altro, pensando solamente a che situazione doveva aspettarsi, ora come ora. 
Ma una cosa era ovvia: a prescindere, non gli sarebbe piaciuta affatto
 
***

L’aria fredda andava a battergli sulla faccia che, ormai, non sentiva più, mentre continuava a saltare da terrazza in terrazza, immergendosi sempre di più nella giungla di cemento che continua a produrre, quasi in un infinito loop, di antifurti, sirene della polizia e schiamazzi vari che uscivano da qualche finestra ancora aperta. Timothy riusciva solo a chiedersi del perché Jason insisteva sul fatto di voler continuare ad abitare in un edificio che non aveva la minima sicurezza (non che ne avesse bisogno o che gli importasse realmente) ma, insomma, sia Alfred che Dick lo avevano incitato più volte a tornare nella propria casa, a villa Wayne, il loro maniero. Non riusciva proprio a capire il bisogno di dover stare tra quelle mura rovinate, marce e crepate, dagli angoli ammuffiti e dal parquet praticamente marcio— certo, Jason, prima di tutto, prima di diventare il Ragazzo Meraviglia, abitava in un posto del genere, con i propri genitori; e veniva quasi naturale pensare che fosse un tipo… malinconico? Che non volesse abbandonare del tutto la sua vita passata. 
Probabilmente era il caso che smettesse di pensare a cose che, ripetiamo, non lo riguardavano affatto.
Andò a sopprimere quelle piccole curiosità che aleggiavano nella propria testa, mentre andò a raggiungere, finalmente, la terrazza dell’edificio in cui vi si trovava il maggiore. 
Allora, ricapitolando: non si sarebbe trattenuto per più di cinque minuti. Sarebbe entrato, così, come sarebbe uscito, sperando che l’altro fosse stretto tra le braccia di Morfeo. Questa volta, senza l’aiuto del rampino, decise di utilizzare la scala antincendio, volendo essere il più silenzioso possibile— inutile dire che fu, fin da subito, una pessima idea. La ferraglia in questione, che dall’alto scendeva fino alla strada, cigolava. Era arrugginita e ben poco stabile, e ogni passo che tentava di fare, avrebbero potuto far saltare un bullone da un momento all’altro e farsi, quindi, notare. E non solo da Jason, ma da tutto il vicinato, probabilmente. Ma era abbastanza fortunato da poter pensare di essere particolarmente leggero perché accadesse una cosa del genere, giusto? Lo sguardo, da dietro la maschera, di tanto in tanto, andava a posarsi nel d’intorni, giusto per poter supervisionare la zona, controllando anche il fatto di non essere notato da nessuno in particolare, andando a raggiungere il piano dell’abitante. Silenzioso, facendo appello a tutti gli insegnamenti acquisiti dagli allenamenti, andò ad appoggiare le mani sul davanzale della finestra, andando a controllare che le ante non fossero chiuse— e, ‘’conoscendo’’ un tipo come Jason, era sicuro quasi all’ 87% che, questa, l’avesse lasciata aperta. Per quale ragione? Si poteva dire che a Gotham c’erano solo due tipi di persone: quelli scrupolosi, un po’ presi dalla propria sicurezza e dalla paura che, per l’appunto, tenevano chiuse le finestre e le porte… e poi c’erano quelli come Jason, che pensano di essere fin troppo al sicuro. O forse era semplicemente uno stupido arrogante che pensava di cavarsela in una qualsiasi situazione, come una semplice effrazione in casa propria. Dando un rapido e silenzioso gesto, fece sbloccare l’anta con estrema facilità. Per l’appunto: l’aveva lasciata aperta. Fece salire il vetro, così da poter balzare all’interno della dimora, venendo accolto da quel fastidioso scricchiolio del pavimento marcio. Imprecò tra se e se, rimanendo immobile, per un attimo, nel buio, come se si aspettasse un’imminente imboscata da qualcuno— cosa, che, per pura fortuna, sembrò non accadere. Probabilmente Jason si era arreso all’idea di dover prendere qualche medicinale che trascriveva sonnolenza o qualcosa del genere… ma gli era stato insegnato che la prudenza non era mai troppa e che per nessuna ragione al mondo, nessuna, avrebbe dovuto permettersi di abbassare la propria guardia. 
Una volta tiratosi su, dall’accovacciamento iniziale, andò a muoversi, cautamente e troppo lentamente, lasciando solo che i fari delle macchine che passavano in quel vicolo, battessero sul muro dell’edificio, e illuminassero qualche zona all’interno della stanza. Quindi, superò una cucina a cui mancano quasi ogni tipo di confort, mentre svoltava l’angolo, notando subito il divanetto sul quale, l’ultima volta che vi era stato, non c’era la carcassa del maggiore che sperava di trovare. Probabilmente aveva deciso di spostarsi nel letto dell’altra stanza, costringendolo, dunque, a fare un percorso un po’ più lungo e ben poco desiderato. A terra vi era qualche garza e, vicino ai piedi del tavolino, c’era un kit del pronto soccorso aperto e vuoto, lasciato lì, probabilmente dimenticato da Jason stesso.
Il cammino continuava a proseguire, sempre troppo lento, non potendo proprio evitare che quasi ogni suo passo venisse sonorizzato dal pavimento, che lo accompagno fino a quella che doveva essere definita come ‘’la camera da letto’’. Non sembrava esserci una porta e l’unica cosa che riusciva a notare era un grosso ammasso raggomitolato nel letto, dall’altra parte di quella piccola stanza buia. Beh— che dire? Il rilevatore del battito cardiaco, installato nella maschera, sembrava tracciare un’adeguata vitalità. Ovvero: stava bene e non era il caso di dover avvicinarsi troppo per constatare altro— tutta via, con il visore notturno, che gli dava la possibilità di vedere tutto come se fosse alla luce del giorno, non poteva fare a meno di notare quel piccolo ed insignificante dettaglio che quell’ammasso arrotolato nelle coperte, che gli copriva persino la testa, non si muoveva ad una normale respirazione. Insomma, il torace avrebbe dovuto gonfiarsi e svuotarsi, no? Eppure, quello che doveva essere il corpo del maggiore, non si muoveva a quell’attività essenziale per vivere— ma il rilevatore avvertiva, comunque, di una presenza: insomma, sentiva il cuore battergli.
Realizzò un istante dopo, sentendo una piccola e fredda pressione dietro la propria nuca, che era stato un vero idiota a pensare che stava andando tutto fin troppo bene.

« Bene, bene, bene. »

Doveva essere per forza questa, la voce di Satana. Diamine, poteva persino immaginarsi quella stupida smorfia soddisfatta che aveva sul viso. E, poi, la luce della stanza si accese.
Jason sembrava averlo sentito nel momento stesso in cui aveva varcato la finestra, ne era quasi sicuro e avrà avuto la geniale (si fa per dire) idea di camuffare la sua figura nel letto per disorientarlo, per poi essere pronto a coglierlo di sorpresa— ed ora, eccolo li: fermo, a combattere contro l’istinto di reagire a quella sensazione di impotenza. Avrebbe potuto scansarsi, abbassarsi e persino prendergli la pistola, disarmandolo… se solo non fosse stato Jason che, per quanto gli seccasse ammetterlo, era più esperto di lui su quasi ogni fronte e se solo avesse anche solo provato a reagire, impegnando tutto se stesso, si sarebbe potuto trovare una pallottola conficcata da qualche parte. Rantolò semplicemente qualcosa di ben poco comprensibile tra se e se.

« Sono solo venuto per conto di Richard. Puoi anche abbassare la pistola, Jason. »

Affermò, subito, non facendo altro se non dire la verità, nel modo più pacato possibile. Non era proprio il caso di dire una cosa sgarbata quando ti puntano una pistola addosso, giusto? Specialmente se a puntarti una pistola, era un tipo imprevedibile come Jason.

« E che cosa ci guadagnerei? »

Domandò, Jason, con un tono puramente ironico, non potendo fare a meno di ampliare, un poco, quell’espressione sghemba sul proprio viso, come se stesse trovando un certo divertimento, in quella situazione, come se non fosse bastato a fargli capire che, tra i due, lui, sarebbe stato sempre  il migliore e che non gli sarebbe bastato niente, a premere il grilletto— ma doveva, per forza, stuzzicarlo in un qualsiasi altro modo, mentre Timothy si sentiva premere maggiormente la bocca fredda della pistola sulla propria nuca. Non rispose a quella domanda stupida, limitandosi a spostare di lato il proprio viso, così da andare ad intravedere, con la coda dell’occhio, il maggiore, andando a lanciargli un’aria di sfida, facendo rimbalzare, a suo modo, quel fare provocatorio… sebbene non fosse consigliabile ‘’giocare’’ in quel modo con Jason. Era sempre stato un tipo imprevedibile e, a prescindere, non sapeva proprio che risposta dare, nel chiedersi se Jason avesse potuto realmente sparargli o meno.
L’espressione del maggiore, in un attimo, al fare altrui, andò a mutare, facendo dissolvere dai propri tratti quella smorfia spavalda e quasi irritante, restando in silenzio per qualche attimo, prima di andare a decidere di ritirare la pistola, abbassandola e sentire quello che sembrava essere uno sbuffo divertito. Jason si stava realmente divertendo in questa ridicola situazione?

« Stai calmo, babybird. Non è carica. »

Stupido sbruffone.
Era questa, l’unica cosa a cui riusciva a pensare Timothy, mentre andava a voltarsi verso la figura più grande che— non aveva addosso i pantaloni. Nemmeno l’intimo. Insomma, non aveva niente addosso. Era completamente e sconsideratamente nudo. 
Aveva l’insulto pronto, davvero… ma qualcosa sembrava essere andato storto e non ne capiva il senso, ma gli occhi erano andati inesorabilmente a buttarsi giù, sulla figura altrui, come se fosse stato il cervello stesso ad obbligarlo di compiere un gesto del genere, andando ad intravedere le varie cicatrici, sparse su tutto il corpo— cosa che aveva anche lui e quindi non sembrava propriamente il caso di fissarlo come se non avesse mai visto così tante vecchie ferite tutte in una volta. Lì, nella parte destra del corpo, proprio sopra il fianco di Jason, c’era ancora la garza che copriva quella tanto e agognata ferita che aveva fatto infezione e che lo aveva fatto star male per qualche giorno ma, ora come ora, sembrava star anche fin troppo bene e quindi avrebbe potuto andarsene, giusto? Era da troppo che stava in silenzio, come se stesse esaminando chissà quale cosa mai vista prima d’ora— va bene, si sentiva un idiota in piena regola e quella sensazione di disagio che andava a pizzicargli le guance, lo facevano sentir peggio. 
Timothy Jackson Drake: datti un senso.

« Riesco a sentire i tuoi pensieri anche da qui, lo sai? »

Commentò, Jason, dopo quei troppi secondi di puro silenzio. Era inevitabile pensare che Timothy stesse contemplando la sua nudità.

« Ti stai confondendo su quale pistola guardare? »

Chiede, senza troppo riguardo, senza alcun minimo tatto e senza pensare di essere troppo presuntuoso. Ma era una cosa che sembrava venir spontanea, non c’era una spiegazione logica che avesse delle fondamenta ben fondate sul senso di tutto quello. Jason era Jason e si divertiva semplicemente a mettere il minore in una situazione di pura difficoltà.
Timothy, quasi, non sobbalzò, colto da quell’ironia ben poco desiderata, specialmente se pareva una cosa disgustosa— e, soprattutto, che lo faceva sentire disgustato da se stesso. Come diamine aveva potuto distrarsi in quel modo così assurdo e, soprattutto, su uno come il maggiore? Come se non fosse già abbastanza umiliante dover paragonarsi a lui. Le iridi, dietro la maschera si alzarono, ringraziando il fatto di aver il viso praticamente coperto, così che l’imbarazzo non potesse scorgersi sulle proprie guance, andando ad accigliarsi, senza dire nulla, volendo far finta di niente, come se non avesse mai visto o sentito niente di tutto quello, prendendo un passo svelto, superando la figura più grande, uscendo dalla stanza arrivando sino a quel divanetto sgangherato, volendo liberarsi da quella situazione troppo assurda per essere vera. 
Oh sì, Richard non gli doveva un bel mucchio di favori, dopo quello.

« –la prossima volta, magari, invitami a cena o portami dei fiori. Non si usano più, queste cose, al giorno d'oggi? »
« Chiudi il becco! Sei proprio un coglione, Jason Todd. »

E così, com’era piombato nell’appartamento, una volta aver svoltato l’angolo della stanza, saltò oltre la finestra e se ne andò, non potendo ringraziare abbastanza il vento gelido che gli rinfrescava la faccia.

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Capitolo 4
*** fourth symptom ***


Non aveva senso continuare ad essere arrabbiati per una cosa che doveva apparirgli come una cosa totalmente indifferente. Specialmente se poi riguardava il pessimo comportamento di Jason Todd. Insomma, Jason era sempre stato indecifrabile, persino per Bruce.  Non si poteva mai capire pienamente se, nell’affermare determinate cose, fosse serio, oppure si limitava a prenderti solo in giro.  Eppure riusciva sempre a mantenere un’aria impersonale e impenetrabile, come quella di un soldato sotto le armi— ma quando puntualmente apriva la bocca, sembrava far crollare totalmente quella facciata di una persona apparentemente composta e diligente— mostrandosi per quello che era veramente: un idiota irritante, che sembrava essere obbligato a costruirsi un teatrino per mettere in mostra una delle sue solite, squallide, scenate farsesche.
Non poteva capire Jason.
Non c’era motivo per cui doveva per forza capire che cosa gli passasse realmente per la testa.
Non poteva realmente chiedersi del perché, Jason Peter Todd, fosse quel che fosse.
Non c’era proprio alcun motivo nel sentirsi frustrati, in qualche modo.
Timothy Jackson Drake, datti un senso. 
Dare anche solo una misera, minuscola, insignificante checché abbastanza insulsa considerazione di tutto quello, poteva solo significare che c’era un qualche stupido, stupidissimo e malatissimo, interesse in Jason— err, come dire? No, grazie.

« Cerca di calmare quelle sopracciglia, babybird. »

E solo dopo aver sentito quel fastidiosissimo  tono di voce, ricoperto da quel solito tono insopportabile e pungente, Timothy, andò ad accorgersi di essersi concentrato talmente tanto, su quel groviglio di pensieri, da aver corrucciato le sopracciglia con un fare  quasi sdegnato, se non irritato, proprio verso la figura con addosso quel ridicolo casco rosso. E come poteva rispondere, il minore, a quel commento del tutto insensato? Ma, ovviamente, con un maggior increspamento delle sopracciglia, senza andar corda al maggiore.
Aveva decisamente scelto il momento sbagliato per lasciar libera la propria curiosità che, ora come ora, come tutte le volte, necessitava di essere placata e nutrita. Ma come poteva fare? E, soprattutto, perché continuava a pensarci proprio ora? Proprio nel bel mezzo di una missione?
Erano passate svariate settimane da quando aveva avuto la sfortuna di dover aver a che fare con Jason e con la sua parte un po’ troppo disinibita  che, sinceramente, Timothy, avrebbe fatto a meno di scorgere e, per sua sfortuna, dover immortalare nella sua memoria.  Erano passate svariate settimane da quando aveva iniziato a pensare e a tormentarsi con quella medesima curiosità, su quelle patetiche domande che non sembravano avere una qualsiasi spiegazione. Erano svariate settimane che, sinceramente, sperava di finire giù da uno degli edifici di Gotham.

« Hai capito cosa devi fare? »
« Entrare nell’edificio e chiedere ai cattivoni se, nel caso avessero finito di contrabbandare le armi in questione,  avessero voglia di bere qualcosa in quel simpatico bar in fondo alla strada— quello dall’aria sinistra e poco raccomandabile. »
« Si, certo. »

Perché provarci? Perché provare anche solo a voler arrabbiarsi per uno come lui? Era inutile provare a partorire un discorso sensato, con risposte sensate alle sue semplici domande— e prima Timothy lo avrebbe capito, prima avrebbe evitato un ulcera. Come avrebbe potuto fidarsi, poi, di un simile individuo? Ricordiamoci che aveva pur sempre tentato di  ucciderlo. E poi Jason era famoso soprattutto per il suo NON gioco di squadra, Red Robin non aveva la più pallida idea se, l’altro avesse anche solo provato ad aiutarlo nel caso le cose si mettessero male— in realtà, non si sarebbe sorpreso affatto nel caso Jason gli urlasse un ‘’cavatela da solo’’. Era stupido continuare a pensare a tutte quelle cose, vero? Ci sarebbero cose che sarebbero successe e altre no… ma non poteva correre il rischio di venir intralciato, e quindi rovinare l’intera missione, solo da una persona poco sicura e poco prevedibile come Jason Todd. 

« E’ meglio se ci penso solo io. »

Tuona, con fare fermo, dopo aver preso un grosso respiro, facendo un passo in avanti, così da avvicinarsi al bordo della terrazza dell’edificio. Forse era meglio se ci pensava da solo, giusto? Insomma, erano cose che aveva già fatto da solo e, per quanto fosse strano dirlo, un semplice contrabbando di armi, per lui, era una cosa da routine.

« Non pensavo fossi un esibizionista. »

Commenta, Jason, da dietro il casco rosso, senza nascondere la sua ironia, andando ad osservare l’altro, che si accingeva a prendere il rampino dal taschino della cintura. Forse Jason avrebbe dovuto fermarlo, dirgli ‘’ehy, ci sono anche io qui, pronto a dare una mano’’ – ma, beh, avrebbe dovuto pensarlo veramente, prima. Entrambi rimangono in un silenzio che riempie un paio di secondi, mentre lo stesso Jason si limita a scrollare le spalle.

« Fai come ti pare. Non penso nemmeno di venir pagato per fare una cosa del genere— quindi, accomodati pure.  »

Chi poteva essere il più stupido? Jason che si mostrava disinteressato nell’impulsività altrui, oppure era Timothy, con quell’atteggiamento da bambino presuntuoso? Che cosa avrebbe voluto dimostrare, poi? Era ovvio che l’aiuto del più grande sarebbe stato decisamente  utile e, odiava ammetterlo, Jason era più bravo e più esperto di lui— ma, beh, ormai c’era di mezzo l’orgoglio e la testardaggine.
L’invito di Red Hood venne colto all’istante, tant’è che, senza aggiungere altro, Timothy sparò il rampino, andando ad agganciarlo sul tetto dell’edificio davanti, quello che avrebbe dovuto attaccare da solo e Jason non sembra nemmeno provare a seguirlo. Perfetto, no? Era quello che aveva preteso, dopo tutto— eppure sentiva che qualcosa sarebbe andato storto; se non ora, di sicuro dopo con Bruce. O peggio, con Dick.

                                                                                                    ***

C’era un odore forte, misto a ferro e di fognature, mentre poteva sentire chiaramente del brusio dall’interno del fabbricato. Era sceso dal detto e, chissà perché, ebbe l’istinto di puntare lo sguardo verso il tetto da cui si era lanciato prima— Jason era sparito. Beh, era ovvio. Dopo tutto, gli aveva detto che poteva pensarci da solo, quindi che importava? E, soprattutto, perché stava pensando dove fosse andato, ora? Scosse la testa, volendo scacciare quei pensieri, mentre l’aria sembrava farsi sempre più pungente. Si guardò in torno, sbirciando da dietro gli angoli dell’edificio, senza trovare una sentinella che facesse da guardia, il che poteva essere sospetto— o forse, questi malviventi, erano solo un branco di idioti sicuri di poter farla franca.
Ora, serviva un nuovo piano: sarebbe entrato da qualche finestra aperta, e si sarebbe occupato di quanti più malviventi possibile, prendendoli alla sprovvista, da dietro le spalle— ma era anche abbastanza appurato che nel caso lo scoprissero subito, si sarebbe ritrovato con più di mille proiettili che gli venivano addosso— e, ricordiamoci che in quel capannone, era pieno di armi. Si stava già pentendo di essersi comportato in quel modo stupido? Era ovvio che serviva più di una persona per quella missione. Avrebbe potuto chiamare Bruce? O Dick? Ma non lo allettava il dover spiegargli che cosa fosse successo con Jason.
Un rantolo viene represso in gola, prendendosi un secondo, per poi andare a tirare un grosso respiro. Era irremovibile sulla sua stupida decisione: meglio beccarsi mille proiettili piuttosto che richiamare Jason.
Ancora nascosto in quell’angolo, inginocchiato a terra, attaccato al legno marcio dell’edificio, Timothy Drake, prese un altro grande respiro prima di————— sentire le sirene della polizia?

« Ma che—?  »

Il brusio all’interno del fabbricato si fece più rumoroso; anche i balordi che erano lì dentro avevano sentito l’arrivo della polizia. Ma la domanda principale era: come diamine aveva fatto la polizia di Gotham a sapere che c’era un traffico di armi? Bruce stesso lo aveva intercettato solo quella sera. Che lo avessero scoperto da soli? Certo, sarebbe stata la risposta più ovvia: erano poliziotti, era il loro lavoro— ma il tutto sembrava essere decisamente strano  a prescindere. C’era qualcosa che non quadrava.
Distratto dalle volanti, ancora un po’ troppo distanti, si apre il portone del fabbricato e un susseguirsi di urla e di comandi, che dicevano di scappare, di andare altrove e, poi, un ruggito di un grosso motore: un camion che parte, quasi non sfonda quelle stesse porte ( sicuramente carico con quante più armi erano riusciti a sistemare ), e che tenta la fuga.

« Merda!  »

Nel giro di pochi secondi, la missione sembrava stare per concludersi nel modo più imprevedibile ed inaccettabile che avesse anche solo potuto poter pensare. Le volanti della polizia arrivano: alcune frenano bruscamente, altre seguono il camion— e Tim? Tim si sentiva un idiota. Scattò, dopo una manciata di secondi, staccandosi dall’edificio, mentre con il rampino cerca di poter raggiungere e aggrapparsi al veicolo in fuga, ancora non  troppo  lontano. Nel frattempo non poteva fare a meno di chiedersi che cosa diamine fosse successo. Nel frattempo e sirene della polizia continuano ad urlare, mentre i malviventi in fuga, decidono di aprire il fuoco; qualche proiettile colpisce una volante della polizia, facendola rimanere indietro, mentre Red Robin, tenta di fare un piano per l’attuale situazione. Avrebbe potuto arrampicarsi sul camion, sino a raggiungere la cabina e mettere K.O il guidatore. Sì.
Forse era un po’ brutto dirlo, ma ora che le cose erano peggiorate, sembrava quasi aver avuto un piano migliore di quello precedente.  
Nel mentre parte un altro colpo di pistola e la seconda volante della polizia viene lasciata indietro, Red Robin, prende a scalare il grosso carico del camion, intravedendo la strada davanti a lui— ancora qualche metro, e avrebbe raggiunto la cabina del guidatore.
E poi, un altro sparo. No, non quello di una pistola, sembrava uno scoppio. Il camion perde improvvisamente il controllo, finendo con l’andare a sbattere contro un negozio della città. Vetrina sfondata e, gli uomini che erano posto di guida, quasi non andarono a schizzar via dal finestrino. Lui aveva solo avuto la fortuna di rimanere attaccato con il rampino.
Le sirene della polizia si stavano di nuovo avvicinando.
Svelto, scende dal camion, quei balordi rantolavano qualcosa: erano ancora vivi.
Non ci volle un genio a capire che una gomma era scoppiata— la domanda era: da cosa? Che ci fosse stato qualcosa in mezzo alla strada? Quasi istintivamente, Timothy alza gli occhi verso le alte palazzine che aveva intorno, notando, su uno di questi, un casco rosso piuttosto inconfondibile.

« —— Jason?  »

Quasi bisbiglia, tra se e se, non sapendo se essere arrabbiato ed infastidito oppure— sollevato? Per lo meno, in un modo o nell’altro, questa faccenda si era chiusa, finalmente. Le auto della polizia erano arrivate sul posto, tanto valeva defilare, ci avrebbero pensato loro. Tirò fuori il rampino.

« Jason, che diavolo ti è saltato in testa?  »

In una frazione di secondo, si ritrovò a scavalcare l’ennesimo cornicione dell’ennesimo edificio della città, solo per poter ritrovarsi, nuovamente, faccia a faccia con quell’individuo che sembrava aver— ‘’risolto la situazione’’?

« Si, ok. Non c’è di che.  » risponde, l’altro, semplicemente, con fare sornione, andando a  togliersi il casco.
« Non ti ho chiesto niente. Avevo tutto sotto controllo.  »
« Sotto controllo? Allora immagino che dietro a quell’edificio, stessi meditando.  »
« Stavo solo pensando come procedere. Non siamo tutti menefreghisti come te, Jason. »
« Ma i cattivoni li ho fermati io. »
« Sarebbero potuti morire. Io avrei potuto morire. »

Quasi istintivamente, come se avesse detto la cosa più divertente del mondo, Jason si fa scappare uno sbuffo divertito. Davvero, quale altra reazione si poteva aspettare da uno come lui?  Ma è in quel preciso istante che Timothy ebbe una reazione tutt’altro che prevedibile: di scatto, finì con l’andare dritto dritto verso Jason, afferrandolo per quella giacchetta di finta pelle, stringendolo, come per trattenersi nel mollargli un pugno che, sì, avrebbe desiderato dargli. Ma Jason non accenna minimamente a ribellarsi.

« … sei proprio un— »
« Oh, sì, ti prego: fallo, babybird. Muoio dalla voglia di vedere se ne hai davvero il coraggio. »

Non era facile far perdere il controllo a Timothy. Si potevano contare, a malapena, sulle punta delle dita, tutte le volte in cui si era arrabbiato veramente. Ma avrebbe dovuto infastidirsi del fatto che Jason avesse riso a quella sua constatazione, invece che infuriarsi per quel fare strafottente, meschino e disinteressato. E poi, a seguire, quel commento quasi rauco, con quell’espressione sghemba, di uno che sembrava aspettare solo di venire colpito in piena faccia, guadagnandoci solo il fatto di aver fatto perdere il controllo a Timothy— e no, quella soddisfazione, lui, non gliela avrebbe mai data.
Faticò a reprimere un ringhio, decidendo di andar a lasciare la presa sul giacchetto, restando con accigliato in volto, prendendo nuovamente una certa distanza.

« Hai chiamato tu la polizia, non è vero? »
« Beh, sembravi uno di quelli che si pentono di  non aver voluto una mano da un tizio con un casco rosso. »
« Devi sempre dire cose stupide? »
« Fa parte del mio charme. »

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