E' solo colpa tua di sophie97 (/viewuser.php?uid=142936)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quindici giorni ***
Capitolo 2: *** Lacrime di principessa ***
Capitolo 3: *** Forza! ***
Capitolo 4: *** Ninna nanna ***
Capitolo 1 *** Quindici giorni ***
DA
“E POI TUTTO FINI’”, ULTIMO CAPITOLO:
«Forza,
dai, ancora un piccolo sforzo!» quasi gridò il
medico
«Forza, spinga che ci siamo quasi!».
Ancora uno sforzo, un dolore mai provato e poi a Clara
sembrò per qualche breve
istante di non sentire più nulla.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì un’infermiera
le stava già porgendo un
piccolo fagotto bianco.
La ragazza lo prese e lo osservò per un attimo senza parole.
Era una femmina.
Bianca... era così piccola...
Clara scoppiò a piangere, di nuovo, ma questa volta le sue
lacrime esprimevano
una gioia incontenibile.
Rideva e piangeva insieme, non riusciva a crederci...
Bianca!
~~~
Quando
le porte
scorrevoli si aprirono, Semir non ebbe il coraggio di alzare
immediatamente lo
sguardo.
Sentì il medico avvicinarsi e vide il collega seduto accanto
a sé scattare in
piedi e andare incontro all’uomo che avanzava in camice
bianco.
Poi alzò gli occhi e lo vide.
Vide Ben chiedere al dottore e questi rispondergli in un sussurro.
Vide Max da distanza fare altrettanto e in risposta ricevere da parte
di Ben
un’unica, eloquente occhiata.
Quindi diresse lo sguardo direttamente negli occhi del medico e lo
interrogò
senza parlare.
Anche lui rispose senza bisogno di parole.
Bastò un rapido movimento del capo per comprendere.
Bastò quel “no” appena accennato.
... E poi tutto finì.
Quindici
giorni.
A Ben sembrava impossibile che fossero già passati quindici
giorni: in realtà
sembrava fosse accaduto tutto solo poche ore prima.
E invece no: quindici giorni, quindici giorni da quando Andrea era
stata
uccisa... Andrea...
Non avrebbe mai dimenticato niente di quel maledetto giorno, niente di
niente:
l’inseguimento, la sparatoria all’aeroporto, il
viaggio verso l’ospedale,
l’ansia, l’attesa... ma soprattutto non avrebbe mai
dimenticato la disperazione
che aveva letto negli occhi del suo migliore amico.
Semir aveva resistito fino all’arrivo in ospedale, poi si era
lasciato andare
ad un pianto disperato.
In tanti anni di lavoro insieme, Ben non ricordava di averlo mai visto
così.
E poi il medico era uscito dalla sala operatoria e non aveva proferito
parola:
era bastato un minimo cenno del capo a far intendere cosa fosse appena
accaduto
lì, oltre quella porta scorrevole.
Inizialmente Semir era rimasto immobile, senza credere a ciò
che gli era appena
stato comunicato con uno sguardo.
La situazione in seguito era andata sempre più degenerando e
lo stesso Ben
aveva avuto paura di non essere in grado di gestirla...
«Semir!
Semir, che stai facendo?!» gridò il giovane
ispettore raggiungendo l’amico
sulla terrazza dell’ospedale del piccolo paese vicino ad El
Fahim.
«Vattene Ben!» riuscì ad urlare Semir
con voce rotta dal pianto.
«Semir... ascoltami, devi scendere da lì...
scendi!».
Ben era sempre più preoccupato: il collega si trovava in
piedi sul cornicione,
reso tra l’altro scivoloso dalla pioggia.
Semir scosse il capo «Vattene Ben. Ti prego, vattene, te lo
chiedo per
favore.».
«No! Non permetterò che tu ponga fine a tutto in
questo modo, hai capito?».
«Ben, ti prego!» ripeté
l’ispettore tra le lacrime «Tanto... È
... è meglio
così.».
«No, non è meglio così.»
ribatté Ben.
Aveva una paura immensa, temeva che l’amico sarebbe scivolato
da un momento
all’altro o, peggio, che si sarebbe lasciato cadere.
«Pensa alle bambine, Semir!».
Lo scrosciare intenso della pioggia rendeva difficile
l’ascolto ma permetteva a
Ben di avvicinarsi sempre più al cornicione, millimetro per
millimetro, senza
che l’altro lo notasse.
«Se non vuoi pensare a te stesso, pensa a loro! Crescerebbero
non solo senza
una madre, ma anche senza un padre.».
«Oppure con un padre che è causa della morte della
loro madre!» gridò ancora il
turco, continuando a fissare il vuoto sotto di sé.
«Non è vero Semir, lo sai...».
«Ma io non ce la faccio Ben, da solo non ce la
faccio.».
«Non sei solo! Ci sono io e ci sarò sempre,
c’è Clara, noi ti aiuteremo ma ti prego...
non fare sciocchezze.».
Intanto Ben aveva quasi raggiunto l’amico senza che nemmeno
lui se ne fosse
accorto. Fece cenno agli uomini che erano accorsi ad aiutare di
rimanere a
distanza e si portò ancora più vicino al collega,
fino quasi a sfiorarlo con la
mano.
«Io non ce la faccio...» sussurrò ancora
Semir.
Poi Ben si mosse, lo afferrò per un braccio e lo
tirò a sé con quanta forza
aveva in corpo, trascinandolo giù dal cornicione e
portandolo a distanza di
sicurezza dal bordo del tetto.
Semir si divincolò, provò a liberarsi della
stretta del collega, ma non vi
riuscì.
Scoppiò a piangere tra le sue braccia ed entrambi rimasero
lì, abbracciati per
alcuni minuti, sotto la pioggia.
Ben
rabbrividì
ripensando a quei momenti.
Era riuscito a salvare l’amico per un pelo... a salvarlo dal
suicidio, certo,
ma non dalla condizione in cui era inevitabilmente sprofondato.
Aveva dovuto firmare documenti, approvare carte e occuparsi di
questioni
burocratiche per fare in modo che la salma della moglie arrivasse il
più in
fretta possibile in Germania per il funerale, ma aveva fatto tutto
ciò come
guidato da una forza esterna a lui. Era distrutto e Ben non sapeva cosa
fare
per riuscire a tirarlo su in qualche modo, gli sembrava
un’impresa
insostenibile.
Poi, quello stesso maledetto giorno, lui era venuto a sapere del parto
prematuro di Clara: era stato felice, certo... ma come avrebbe potuto
mostrare
la sua felicità ad un uomo che aveva appena perso la moglie,
per sempre?
Rallentò e parcheggiò la sua Mercedes davanti a
Casa Gerkhan, con un macigno
sul petto di dimensioni indescrivibili.
Era il giorno del funerale e Ben era venuto a prendere il suo collega,
non
voleva lasciarlo solo nemmeno un istante. Clara li avrebbe raggiunti
poi in
chiesa, dopo essere passata dall’ospedale dove la piccola
Bianca era tenuta in
incubatrice. Anche la sua gioia era stata spezzata, Andrea era
diventata a
tutti gli effetti la sua migliore amica e adesso...
Sospirò.
Non erano nemmeno riusciti ad arrestare Schwarzer e i suoi scagnozzi.
Ben scese dalla macchina e chiuse lo sportello con forza, avviandosi
lentamente
verso la porta di casa del collega. Non lo vedeva da due giorni, Semir
si era
totalmente chiuso in se stesso e non gli aveva nemmeno aperto quando il
giorno
prima Ben era passato a trovarlo.
Le bambine per ora erano rimaste dai nonni, dove Andrea le aveva
lasciate prima
di raggiungere il marito in Turchia.
Ben respirò profondamente prima di suonare il campanello e
poi attese con
pazienza che l’amico venisse ad aprirgli.
E quando la porta di casa si spalancò, un nuovo macigno si
abbatté su di lui
senza pietà.
Semir era dimagrito visibilmente anche se in poco tempo ed era
pallidissimo, il
viso segnato da profonde occhiaie e gli occhi rossi e spenti.
Mormorò un “ciao” privo di espressione
prima di lasciar entrare in casa il più
giovane, che si richiuse la porta alle spalle.
Ben stava male, odiava vedere l’amico così, non
solo gli dispiaceva, stava
proprio male per lui.
«Ehi socio... come stai?» abbozzò,
mettendogli delicatamente una mano sulla
spalla.
L’occhiata che ne seguì gli fece temere di aver
completamente sbagliato
domanda.
Il turco non rispose e si limitò ad alzare le spalle.
«Prendo la giacca e sono pronto.»
mormorò semplicemente avviandosi verso
un’altra stanza per poi tornare nell’ingresso con
il giubbotto in mano.
«Semir...» lo fermò Ben mentre
l’altro stava aprendo la porta di casa per
uscire «Siamo in anticipo, che ne dici se rimaniamo qui
ancora dieci minuti
prima di andare e parliamo un po’?».
«Non vedo di cosa dovremmo parlare.».
«Io invece penso che parlare ti farebbe bene.»
replicò Ben, testardo.
«Cosa dovrei dirti, Ben? Cosa? Come mi sento? Uno schifo, mi
sento uno schifo,
almeno così lo sai. Ora possiamo andare per
favore?» sbottò l’ispettore con gli
occhi lucidi prima di aprire la porta e uscire senza che il collega
potesse
fermarlo.
Cercò in tasca le chiavi della sua macchina ma Ben le
tirò fuori al suo posto
«Andiamo con la mia e guido io.» affermò
assertivo salendo sulla propria
Mercedes e mettendo in moto. Non si sarebbe fidato assolutamente a
lasciar
guidare il collega nella condizione in cui si trovava.
Semir salì senza ribattere e i poliziotti partirono.
Ben guidava piano, non voleva arrivare troppo in anticipo e soprattutto
voleva
riuscire a far parlare l’amico il più possibile.
«Clara ci raggiunge lì.»
esordì, senza però ottenere alcuna reazione.
«Ci sarà anche il capo della polizia, mi ha detto
la Kruger.» continuò, ancora
senza successo.
«Semir, io credo che tu dovresti...».
«Piantala, Ben!» gridò il passeggero
voltandosi di scatto verso il più giovane
«Ti prego, non ho bisogno di parlare e non me ne frega niente
del capo della
polizia. Penso che sia meglio che tu mi lasci perdere, rischio solo di
fare
danni e magari di rovinare la nostra amicizia, davvero. Non voglio
perdere
anche quella... So di essere intrattabile ma non posso farci niente,
lasciami
in pace e risolviamo il problema.».
Semir scese dall’auto che si era appena fermata davanti alla
villetta in cui
vivevano i genitori di Andrea senza aggiungere altro, sbattendo la
portiera in
faccia al collega e dirigendosi a passo spedito verso il portone.
Da lì, con i suoceri e le bambine, si sarebbe diretto a
piedi verso la chiesa,
che si trovava a pochi passi di distanza.
Ben sospirò appoggiandosi allo schienale prima di rimettere
in moto per cercare
parcheggio: l’amico avrebbe avuto tanto bisogno
d’aiuto e lui avrebbe fatto
tutto il possibile per stargli accanto, in un modo o
nell’altro.
Buonasera
a tutti miei
cari lettori!
Come promesso, eccomi tornata con un’altra storia, la
continuazione di “E poi
tutto finì”. Come avrei potuto lasciare un Semir
vedovo e un Ben appena
diventato papà senza più farvi sapere nulla?
Vi avverto, la storia non sarà troppo allegra viste le
circostanze e
probabilmente ci sarà più introspezione che
azione... ma staremo a vedere.
Un enorme grazie a voi che siete arrivati a leggere fin qui e un grazie
già in
anticipo a chi vorrà lasciare un segno del suo passaggio.
A presto!
Sophie :D
|
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Capitolo 2 *** Lacrime di principessa ***
“Semir
scese dall’auto che si era appena fermata davanti alla
villetta in cui vivevano
i genitori di Andrea senza aggiungere altro, sbattendo la portiera in
faccia al
collega e dirigendosi a passo spedito verso il portone.
Da lì, con i suoceri e le bambine, si sarebbe diretto a
piedi verso la chiesa,
che si trovava a pochi passi di distanza.
Ben sospirò appoggiandosi allo schienale prima di rimettere
in moto per cercare
parcheggio: l’amico avrebbe avuto tanto bisogno
d’aiuto e lui avrebbe fatto
tutto il possibile per stargli accanto, in un modo o
nell’altro.”.
«Aida,
cucciolo, che
cosa ci fai qua?» domandò Semir avvicinandosi alla
porta esterna della villetta
e notando la figlia più grande seduta fuori su un gradino,
con l’aria
imbronciata e le braccia conserte.
La bambina gli lanciò un’occhiata fulminante e non
accennò ad alzarsi.
L’uomo allora si inginocchiò accanto a lei e le
accarezzò delicatamente i
capelli: era quello ciò che più temeva,
ciò che aveva temuto a partire
dall’esatto istante in cui il medico gli aveva comunicato, in
quell’ospedale,
che sua moglie non ce l’aveva fatta: le bambine. Le loro
reazioni, i loro
pensieri, le spiegazioni che lui avrebbe dovuto fornire. E poi, la loro
vita
senza di lei.
«Allora? Perché sei qua fuori da sola?».
«Perché lì dentro non ci voglio
stare.».
Semir sospirò, guardandola negli occhi «Che cosa
è successo?».
La bambina si voltò dall’altra parte senza
rispondere e il poliziotto non poté
fare a meno di constatare quanto gli assomigliasse. L’aveva
sempre detto anche
Andrea, Aida era la copia del papà e Beth* era
più simile alla mamma.
«Ehi... dai, parlami, cosa è successo?».
«I nonni sono dei bugiardi!» esplose la bambina
senza riuscire a trattenere le
lacrime «Loro sono dei bugiardi e Beth non capisce niente!
Non vogliono dirmi
cosa è successo davvero alla mamma e nemmeno tu me lo vuoi
dire, sei come
loro!».
Semir abbassò lo sguardo.
Avrebbe voluto scappare, evitare quegli occhi innocenti che lo
accusavano, ma
non poteva.
«Aida, tua sorella è piccola e non può
capire alcune cose, lo sai anche tu... e
poi...».
«Ma io non sono piccola, io capisco! E tu non parli nemmeno
con me!» gridò
ancora la bambina con la voce a tratti rotta dal pianto.
L’ispettore sospirò leggermente: aveva ragione.
Aida aveva perfettamente
ragione. Perché ormai, undici anni da compiere, non era
più nell’età in cui le
si potessero spiegare le situazioni in modo banale. Non si accontentava
più del
racconto dell’“uomo cattivo” o della
“bua che poi guarisce”. Aida capiva
perfettamente che cosa accadeva intorno a lei, e aveva diritto a
chiedere
spiegazioni, soprattutto se queste riguardavano la morte di sua madre
che, lei,
a differenza di sua sorella, aveva compreso perfettamente.
«Cucciolo...» fece Semir asciugandole le lacrime
con il dorso di una mano «Ti
ho già spiegato cosa è successo, è
andata male un’operazione di polizia...».
«Ma tu lavori in polizia, non lei! Non sarebbe dovuta morire
la mamma!» lo
interruppe la ragazzina divincolandosi da lui e alzandosi per
allontanarsi.
Quelle parole per il padre furono un colpo al cuore.
Aprì la bocca per replicare ma in fondo alla via, che veniva
verso di loro con
le chiavi della macchina in mano, vide Ben, e lasciò perdere.
Il ragazzo salutò la bambina da lontano e sul volto di Aida,
magicamente, tornò
il sorriso.
Cominciò a correre per raggiungerlo e non appena fu vicino a
lui gli saltò in
braccio «Zio Ben!».
«Principessa!» esclamò il poliziotto
stringendola forte «Come sei bella! Ma
cosa sono quegli occhi lucidi? Eh?».
«È colpa di papà.»
affermò lei, seria, mentre il sorriso nuovamente si spegneva
sulle sue labbra.
Ben la guardò con un debole sorriso, poi portò lo
sguardo su Semir che, di
spalle, gli occhi bassi, si accingeva ad entrare nella villetta, forse
fingendo
di non aver sentito.
«L'eterno
riposo dona o Signore a questa nostra sorella e tutti i morti in
Cristo, per la
misericordia di Dio, riposino in pace.».
Un coro uniforme di “Amen” si alzò
prontamente all’interno della chiesa.
Semir si guardò intorno: era pieno di gente, sembrava che
tutta Colonia fosse
venuta per partecipare. Accanto a lui i genitori di Andrea e le
bambine, dietro
Ben, Clara, Max, la Kruger, Susanne e tutti i colleghi
dell’Autostradale. Erano
venuti addirittura il compagno della Kruger*, il padre di Ben, Alex
Bronte* e
davvero anche il capo della polizia.
Sospirò leggermente sperando che la funzione terminasse in
fretta. La
considerava una cosa assolutamente inutile, come lo era stata per tutti
i
colleghi che aveva perso negli anni passati. Di sicuro non avrebbe
riportato
indietro Andrea...
Non voleva nemmeno pensarci. Ancora non riusciva a credere che lei non
ci fosse
più.
Non l’avrebbe più trovata a casa la sera, non
avrebbe più visto il suo sorriso,
non sarebbe stato mai più costretto a dormire sul divano
dopo un furioso
litigio, sperando nel perdono del giorno successivo. Tutto
ciò non sarebbe mai
più accaduto perché Andrea non c’era
più... non c’era più e non ci sarebbe
mai
più stata, doveva capirlo, ma faceva troppo male rendersene
conto.
Al termine della messa uscì dalla chiesa e ricevette le
condoglianze di una
marea di persone, tra cui quelle di gente mai vista prima.
Quando finalmente fu solo, sospirò profondamente appoggiando
la schiena ad un
muretto e chiudendo
gli occhi per un
istante. E rivide Andrea, la rivide sorridente nel suo abito da sposa,
e
sorrise.
Quando aprì gli occhi si accorse di aver involontariamente
sfilato la vera dal
dito ed ora rimaneva immobile ad osservarla.
Ma non aveva più la luce di un tempo.
Ormai era tutto finito.
Carl
Schwarzer rise beffardo godendosi la scena dall’alto del
palazzo di fronte alla
chiesa.
Tutta quella gente che usciva, che diceva due parole a
quell’ispettore e poi si
allontanava con il viso segnato dalle lacrime... era soddisfacente
poter
contemplare così bene il risultato del proprio lavoro.
Era atterrato in Germania la mattina stessa, giusto in tempo per
godersi questo
spettacolo, riuscendo facilmente ad eludere i controlli
dell’aeroporto tedesco
e di quello turco da cui era partito.
Volendo sarebbe anche potuto ripartire in giornata ma non
l’avrebbe fatto.
Doveva prima sistemare i conti con suo figlio, con quell’uomo
che, pur essendo
sangue del suo sangue, lo aveva tradito, era diventato uno sbirro.
Sarebbe arrivato alla resa dei conti con lui e lo avrebbe fatto con
l’aiuto di
Kallman che, come sempre, lo aveva seguito.
Ben
si
passò una mano tra i capelli spettinati e poi si
stropicciò gli occhi ancora
umidi.
Stava aspettando Semir appoggiato al cofano della propria auto ormai da
quasi
dieci minuti: il collega si era fermato a parlare con il parroco sulla
soglia della
chiesa e sembrava che ne avrebbe avuto per un po’, mentre i
genitori di Andrea
e le bambine si erano già avviate verso casa.
D’altra parte il sacerdote lo
conosceva bene, era lo stesso che lo aveva sposato e che aveva
battezzato Aida
e poi Beth, era naturale che volesse sapere cosa fosse realmente
successo.
Già, Beth e Aida, a Ben si stringeva il cuore a pensare a
loro. Sarebbe stata
dura senza Andrea, soprattutto all’inizio e non era giusto
che un uomo avesse
privato loro così presto della madre.
Aida sembrava già essere partita all’attacco e
forse Semir davvero non sarebbe
stato in grado di gestire la situazione da solo, avrebbe avuto bisogno
di un
aiuto enorme.
I genitori di Andrea erano distrutti tanto quanto lui: perdere una
figlia,
soprattutto in quel modo, era del tutto innaturale e troppo difficile
da
accettare.
Il pensiero dell’ispettore volò quindi verso la
sua piccola Bianca. Era
diventato papà da quindici giorni e con tutto ciò
che era successo non aveva
avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Temeva di non dedicare alla piccola abbastanza tempo ma in quei giorni
era
essenziale che lui stesse vicino anche all’amico.
Si era comunque innamorato subito di quel minuscolo esserino che era
sua figlia
e non vedeva l’ora che la bambina uscisse
dall’incubatrice per passare intere
giornate accanto a lei.
Eccoci
al
secondo capitolo, grazie a per le recensioni e grazie a tutti coloro
che hanno
letto e che stanno seguendo la storia!Scusate l’assenza, ma
sono stata in
vacanza in un posto in cui internet era praticamente inesistente.
Tornando alla storia, Schwarzer è in Germania, il che
potrebbe comportare
problemi...
Un bacione e a presto!
Sophie :D
Quasi
dimenticavo, piccole annotazioni per chi non avesse letto la storia
precedente:
*Beth: in
questa mia serie il nome della sorellina di Aida è sempre
stato Beth e non
Lily, non chiedetemi perché!
**Compagno
della Kruger: eh sì, c’è anche lui,
creato nella storia precedente,
si chiama Gerard ed è riuscito a rubare il cuore del nostro
commissario!
***Alex
Bronte: personaggio inventato da me, è il commissario
dell’LKA, con cui
Ben e Semir non hanno mai avuto un buon rapporto se non nel corso del
loro
ultimo caso. È presente in parecchie altre storie della
serie.
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Capitolo 3 *** Forza! ***
“Il
pensiero dell’ispettore volò quindi verso la sua
piccola
Bianca. Era diventato papà da quindici giorni e con tutto
ciò che era successo
non aveva avuto nemmeno il tempo di accorgersene.
Temeva di non dedicare alla piccola abbastanza tempo ma in quei giorni
era
essenziale che lui stesse vicino anche all’amico.
Si era comunque innamorato subito di quel minuscolo esserino che era
sua figlia
e non vedeva l’ora che la bambina uscisse
dall’incubatrice per passare intere
giornate accanto a lei.”.
«Gerkhan,
mi ascolti per favore.» ripeté per
l’ennesima volta la Kruger.
Parlava
con lui da poco più di cinque minuti ma Semir era
già riuscito a
contraddirla almeno una decina di volte, senza mai lasciarla finire di
parlare.
Era stato lui a voler andare al comando dopo la funzione invece che a
casa e
non aveva voluto sentir ragioni da parte del collega, anche se aveva i
nervi a
fior di pelle e non era assolutamente in grado di portare avanti una
discussione con la sua superiore.
«Lei ha bisogno di un po’ di stacco, mi creda. A
parte che lei non è più un
poliziotto dato che si è dimesso e ha partecipato
all’operazione in Turchia in
modo del tutto non ufficiale e se non sbaglio non ha ancora deciso se
ripensarci oppure no. In caso ci avesse ripensato la procedura non
sarebbe
nemmeno così semplice, lo sa.» riprese la donna
con voce ferma «E comunque non
potrebbe lo stesso ricominciare subito a lavorare dopo quello che
è successo,
non potrebbe assolutamente. Si prenda del tempo! Stia con le sue
figlie, ne
avranno bisogno anche loro.».
Semir scosse il capo «Non posso starmene a casa con le mani
in mano. Non
servirebbe a nulla se non a farmi stare peggio.».
«Gerkhan, la prego, sia ragionevole per una volta. Mi dia
retta...».
«Commissario, non voglio fermarmi! Anche perché
non starò tranquillo fino a
quando la polizia turca non le dirà che hanno arrestato quel
bastardo.».
Il poliziotto non lo nominò. Odiava quel nome più
di qualsiasi altra cosa.
«Ecco, a questo proposito devo riferirle una
cosa...».
Semir la guardò con espressione interrogativa.
«Carl Schwarzer non è più ad El Fahim,
Gerkhan. Ha preso un volo per Colonia
questa mattina all’alba e tanto per cambiare è
riuscito ad eludere i controlli
dell’aeroporto e a fuggire indisturbato, non si sa come.
Schwarzer è qua...»
disse Kim temendo una qualche reazione da parte del sottoposto.
«Bene.» fece invece lui, incredibilmente calmo
«Bene, almeno potrò sistemarlo
con le mie mani.».
Quindi uscì dalla stanza senza aggiungere altro.
Assorto
com’era nei suoi pensieri, seduto alla sua
scrivania nel suo
ufficio, da solo, Semir non sentì nemmeno la porta aprirsi
alle sue spalle e si
accorse dell’entrata di Max solo quando egli si fece notare
con un colpo di
tosse.
«Ehi...» disse il nuovo collega avvicinandosi
lentamente.
Semir si voltò e accolse l’altro ispettore con un
mezzo sorriso.
«Io... volevo parlarti un attimo.» fece questo
sedendosi alla scrivania di Ben,
di fronte al collega.
«Riguardo a quello che è successo in aeroporto
quindici giorni fa. Io... non
sono ancora riuscito a chiederti scusa.».
Semir alzò un sopracciglio.
«Sì, insomma... mi dispiace per quello che ha
fatto mio padre. Non pensavo
davvero che arrivasse a tanto.».
«Max, quello che è successo non è certo
colpa tua.» lo bloccò il turco.
Ma si accorse di non riuscire a guardarlo negli occhi.
Perché quegli occhi
erano troppo uguali a quelli di suo padre, erano identici a quelli
dell’uomo
che aveva ucciso sua moglie.
«E invece sì, avrei dovuto fermarlo, in qualche
modo. E soprattutto avrei
dovuto capire che genere di persona fosse già anni prima, ma
la verità è che
forse non mi sono mai voluto accorgere di nulla perché avevo
paura di poter
essere il figlio di un criminale del genere. Quello non è
mio padre, non lo è
più, e ti assicuro che lo prenderemo e marcirà in
galera per il resto dei suoi
giorni.».
«So benissimo che tu sei diverso Max, non ti devi scusare,
davvero. Pensiamo a
cercarlo più che altro.».
«Va bene.» rispose Max alzandosi e dirigendosi
verso la porta «E se hai bisogno
di qualsiasi cosa, io ci sono.».
Schwarzer
sorrise soddisfatto sedendosi sulla poltrona nella cantina in cui era
appena
entrato, tornato dallo spettacolo a cui aveva assistito così
volentieri.
«Carina la scena del funerale... commovente, non trovi
Igor?».
«Meravigliosa, Signore. Quel turco sembra totalmente
distrutto.» costatò
Kallman con una risata divertita «Ma posso sapere
cos’altro ha in mente,
Signore?».
«Guarda Igor, avevo in mente di assistere alla funzione,
sistemare i conti con
mio figlio e tornare a casa... ma poi ho pensato che forse ci sarebbero
altre
persone con cui chiudere adeguatamente i rapporti qui in
Germania.» spiegò il
capo dell’organizzazione, con un’espressione a
metà tra il divertito e il
compiaciuto «Rebecca è stata portata al carcere di
Düsseldorf e la bambina sarà
finita in un qualche orfanotrofio per casi difficili... sciocche,
pensavano di
poterla fare franca, ma si sono sbagliate.».
Le note di una risata fredda e malvagia si diffusero
nell’aria.
Ben
non
smise di guardare quel fagottino chiaro nemmeno per un istante, anche
dopo
essere uscito da quella stanza silenziosa.
Staccarsi da lei ogni volta era una tortura, e ogni volta che il
ragazzo doveva
farlo, poi rimaneva ancora per minuti lunghissimi davanti alla vetrata
a fare
segni al suo scricciolo, sicuro che lei avrebbe saputo come
interpretarli.
Dall’esatto istante in cui ne era venuto a conoscenza, Bianca
era diventata a
tutti gli effetti la sua ragione di vita e Ben si chiedeva come avesse
potuto
fare a meno di lei fino a quel momento.
Clara e Bianca, i suoi gioielli, le due cose a cui
ufficialmente teneva
di più al mondo.
Sorrise teneramente rivolgendo un ultimo saluto alla sua bambina e
avviandosi
verso l’uscita dell’ospedale: avrebbe fatto un
salto al comando anche se non
era in servizio a vedere come stava Semir dopo la funzione, poi sarebbe
andato
a casa dalla sua Clara.
Quando
Semir sentì aprire la porta dell’ufficio per la
seconda volta, non seppe se
dare di matto oppure ringraziare il Cielo che qualcuno interrompesse di
tanto
in tanto il flusso scuro dei suoi pensieri.
Alla fine non fece nessuna delle due cose, si limitò a
voltarsi con aria stanca
e a riportare lo sguardo su un punto imprecisato della sua scrivania
dopo aver
appurato che si trattasse di Ben.
«Ehi socio.» fece il più giovane
poggiandogli una mano sulla spalla e poi
sedendosi di fronte a lui, al suo posto di lavoro «Non
sarebbe meglio che
tornassi a casa? È l’ora di pranzo, se proprio non
vuoi prenderti qualche
giorno almeno comincia domani, anche se non ufficialmente dato che non
sei in
servizio... Passa a prenderti le bambine dai nonni e poi va’ a casa, dammi
retta.».
Con grande sorpresa di Ben, il collega si limitò ad annuire.
«Va bene, allora io vado.» aggiunse quindi,
alzandosi e avviandosi verso la
porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un
sorriso.
I piani di
Schwarzer non sono affatto rassicuranti e la situazione anche al
comando non è
delle migliori.
In
compenso cominciamo a vedere per un brevissimo tratto Ben
“papà”...
Grazie
davvero a chi continua a seguirmi e a recensire, un bacione!
Sophie
:D
|
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Capitolo 4 *** Ninna nanna ***
«Va
bene, allora io vado.» aggiunse quindi, alzandosi e
avviandosi
verso la porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un
sorriso.
La
sera
stessa, dopo aver messo a dormire le bambine, che erano tornate a casa
sua,
Semir si lasciò cadere sul divano, esausto.
Chiuse gli occhi, ma il ricordo di Andrea stesa in una pozza di sangue
sul
pavimento dell’aeroporto gli invase la mente e il poliziotto
fu costretto a
risollevare immediatamente le palpebre per far sì che
quell’immagine si
dissolvesse.
Provò quindi a porre l’attenzione su qualsiasi
cosa non riguardasse sua moglie,
ma non ci riuscì nemmeno impegnandosi:
quell’orologio appeso alla parete gli
ricordava il trascorrere lento del tempo nel corridoio
dell’ospedale di El
Fahim; Mirtillo sdraiato sul tappeto gli ricordava il giorno
dell’ultimo
compleanno di Aida, in cui lui e Andrea erano stati così
felici insieme e
orgogliosi delle proprie figlie; il servizio di bicchieri sistemato
sulla
credenza gli ricordava le nozze per le quali era stato regalato loro da
alcuni
amici della moglie.
Tutto, qualsiasi cosa gli ricordava lei.
La testa cominciò a girargli, chiuse di nuovo gli occhi ma
di nuovo immagini di
sangue e paura si mischiarono a ricordi felici che riguardavano Andrea.
Aprì gli occhi, ancora, scosse il capo, si alzò
facendo il giro della stanza,
si sedette nuovamente e in un moto di rabbia scaraventò un
cuscino a terra,
lontano dal divano.
Poi si prese la testa tra le mani, e rimase immobile.
Ben
raggiunse Clara, che immobile fissava un punto indefinito oltre i vetri
della
finestra nel salotto di casa.
«Ehi...» le sussurrò piano
all’orecchio, cingendole i fianchi.
«Ben, non faccio altro che pensare ad Andrea. E a Semir, se
io sto così male
non oso nemmeno immaginare come possa sentirsi lui.»
mormorò la donna,
spostando lo sguardo sul marito e osservandolo con occhi appena lucidi.
Ben sospirò posando lo sguardo oltre i vetri, nel giardino
«Sta male, sta
davvero male, non l’ho mai visto così. Non so come
fare ad aiutarlo, non vuole
nemmeno parlare...».
«Vai da lui.» fece Clara, semplicemente.
«Cosa?».
«Vai da lui, vacci ora. Vai a vedere come sta, sono solo le
dieci, non starà
certo dormendo. Ben, dobbiamo fargli sentire che non è solo,
che gli stiamo
vicino.».
Il poliziotto la guardò ancora per un attimo, titubante.
«Non ti preoccupare per me, vai e torna quando vuoi, io sto
bene.» aggiunse lei
con un mezzo sorriso.
L’ispettore non se lo fece ripetere due volte.
Le stampò sulle labbra un bacio fugace e uscì
quasi di corsa, con le chiavi
della macchina in mano.
Quando
Semir sentì bussare alla porta, non seppe se dare di matto
definitivamente
oppure no.
Si chiese chi diavolo potesse essere a quell’ora, ma la
risposta possibile era
una soltanto.
Aprì la porta e si trovò davanti un Ben
sorridente che gli chiedeva di entrare.
Gli fece cenno, il più giovane entrò ed entrambi
andarono a sedersi sul divano,
senza parlare.
Semir raccolse il cuscino da terra, come se niente fosse, sperando che
l’amico
nemmeno lo notasse.
«Socio, non ho suonato il campanello per paura di svegliare
le bambine.».
«Sì, sono andate a dormire da poco.»
fece il turco evitando di guardare l’altro
negli occhi.
«Semir...».
«Ben, che cosa ci fai qui? Dovresti essere con Clara, ha
partorito da quindici
giorni, devi stare con lei.».
«Clara sta bene, volevo passare a salutarti un attimo... a
parlare un po’ con
te.».
«Ben...».
«Semir, ti prego.» cominciò il
più giovane protendendosi leggermente col busto
in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia «Non dirmi
che non hai bisogno
di parlare perché non ci credo, non è
possibile.».
«Te l’ho già detto, preferisco essere
lasciato perdere.».
«Non puoi chiuderti in te stesso in questo modo, Semir! Con
le bambine non puoi
sfogarti perché sono piccole, con i tuoi suoceri non puoi
perché stanno male
tanto quanto te... fallo con me, sono qui apposta! Riempimi di insulti
se
necessario, prendimi a pugni, ma fa qualcosa! Oppure prima o poi
scoppierai e
farai del male a te stesso e a tutti quelli che ti stanno intorno,
bambine
comprese.».
Semir cominciò a scuotere il capo mentre gli occhi gli
tornavano lucidi
«Vattene, Ben, ti prego...».
«Dovrai buttarmi fuori di peso, socio.» fece il
ragazzo mettendosi a braccia
conserte.
Il turco sorrise tra le lacrime «Ben, davvero, non ce la
faccio a parlare,
guardami!».
«Piangere non è una debolezza Semir, né
una cosa di cui vergognarsi.» affermò
Ben con aria tranquilla «È solo un modo per
sfogarsi e tu ne hai bisogno.».
«È che... io non ce la faccio senza di lei.
Mi sembra di impazzire, non
riesco a dormire perché la sogno in fin di vita in
quell’aeroporto, ma non
posso stare sveglio perché qualsiasi cosa mi ricorda lei.
Non so come
comportarmi con le bambine, non so come aiutare i genitori di Andrea,
non sono
in grado di fare niente!» cominciò
l’ispettore come un fiume in piena «E poi
non lascio in pace te, che hai una moglie e una figlia appena nata a
cui
pensare. Beth non ha ancora realizzato mentre Aida sì e mi
odia... dovevo
morire io, Ben, quel proiettile era per me... per me!».
«Devi smetterla di sentirti in colpa, tu non potevi sapere
che Andrea sarebbe
stata alle tue spalle.» provò a dire Ben prima di
essere bruscamente interrotto
dal collega.
«Ma era per me, quel porco voleva uccidere me! Io non dovrei
essere qui ora,
dovrebbe esserci Andrea!» gridò ancora Semir.
«Non è colpa tua, quello che è successo
non è colpa tua. Devi convincertene,
Semir.».
«Non so come fare... non sono in grado di fare tutto da
solo.».
«Tu non sei solo, socio... questo devi ricordarlo,
sempre.».
Il rumore di una porta al piano di sopra che si chiudeva interruppe
improvvisamente entrambi.
I due uomini rimasero in silenzio ascoltando il rumore dei passi che
titubanti
si avvicinavano alle scale.
«Ecco, ora arriva Aida e mi vede
così...» sussurrò Semir asciugandosi
gli occhi
con il dorso delle mani.
Ben gli sorrise porgendogli un fazzoletto e poi rivolse lo sguardo alla
bambina
che nel frattempo aveva raggiunto le scale e le stava scendendo con
calma. Non
appena vide il giovane poliziotto, gli occhi le si illuminarono e
raggiunse in
fretta il ragazzo saltandogli in braccio.
«Zio Ben!».
«Ciao principessa! Ma come siamo belle con questo
pigiamino!».
«Ti piace? Me lo ha regalato la mamma.».
«Cucciolo, cosa ci fai in piedi a
quest’ora?» intervenne Semir per evitare che
la conversazione cadesse su quell’argomento.
«Non riesco a dormire.» fu la secca risposta della
ragazzina, che tornò
immediatamente a rivolgersi a Ben «E tu come mai sei qui, zio
Ben?».
«Perché dovevo parlare un po’ con
papà. Però ora è tardi principessa,
dovresti
dormire, sai?».
«Non ci riesco!».
«E se vengo su io a cantarti una ninna nanna?».
Aida sorrise e gli occhi le si illuminarono ancora.
Il poliziotto allora si alzò sempre tenendola in braccio e
si avviò verso la
camera delle bambine.
A Semir non restò che rimanere fermo a guardarli mentre si
allontanavano su per
le scale.
E sorrise.
Giuro che
un po’ di azione arriva, prima o poi. Intanto abbiamo Ben che
cerca di fare del
suo meglio e di dividersi tra Semir e Clara...
Un
bacione e grazie a tutti coloro che stanno recensendo, a presto!
Sophie
:D
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