Kiss me like you wanna be loved

di ___scream
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un bacio al sapore di whisky ***
Capitolo 2: *** Un bacio sussurrato ***
Capitolo 3: *** Un bacio pieno di odio ***
Capitolo 4: *** Un bacio al cinema ***
Capitolo 5: *** Un bacio e poi addio ***
Capitolo 6: *** Un bacio fasullo ***
Capitolo 7: *** Un bacio al ballo scolastico ***
Capitolo 8: *** Un bacio sotto la pioggia ***
Capitolo 9: *** Un bacio nerd ***
Capitolo 10: *** Un bacio magico ***
Capitolo 11: *** Un bacio al sangue ***
Capitolo 12: *** Un bacio alla sposa ***



Capitolo 1
*** Un bacio al sapore di whisky ***


Genere: Romantico, raccolta, slice of life
Words: 735 
Raiting: Giallo
Pairing: Newt/Thomas, slash
Warnings: AU
Note: ehilà! Okay, partendo dal fatto che sono nuova in questo fandom (davvero davvero), non ho mai pubblicato niente sulla Newtmas, quindi è la mia prima volta (dioperchésuonacosìmale). Dire che questi sono la mia OTP è dire poco! Ormai mi viene così spontaneo scrivere di questi tipetti qua, che mi sorprendo di me stessa. Ho iniziato questa raccolta stamattina, perché la noia mi sta uccidendo e mi rifiuto categoricamente di fare i compiti di matematica. Quindi .. be', spero che vi piaccia, davvero! Bando alle ciance, buona lettura (o almeno spero cwc). 
Disclaimer: Non mi appartengono (sigh) e non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla. 


 


KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED
 
Not all of life is so untrue
 
 
 


Newt lo spinge contro la porta, strattonandogli la giacca con le mani, impaziente. Si stanno strusciando con insistenza l'uno contro l'altro, e Thomas sta impazzendo perché vuole assalire le labbra del biondo, che pensa di divertirlo, ritraendosi ad ogni suo tentativo. Ride, l'alcool nel corpo che gli fa sembrare la situazione nervosamente esilarante.
“Bella camicia”, commenta Newt, strofinando il viso sulla sua spalla, coperta dal tessuto. “Anche se ti preferisco senza. O con le t-shirt”, aggiunge, sporgendo il labbro inferiore. "Anzi, no. Decisamente senza". 
Thomas non ce la fa più, trema e ha il respiro altalenante.
Fa per cominciare a slacciarsi i bottoni della camicia, ma Newt gli prende i polsi, alzandoglieli e inchiodandoglieli alla porta. Sono egualmente forti, ma in questo momento ha le ginocchia di burro e il corpo tremante, percorso da brividi di eccitazione, quindi non riesce proprio a fare resistenza. 
Poi, finalmente, Newt si avvicina, respirandogli sulle labbra. Thomas quasi supplica, e non osa pensare a come sarà ridotto dopo.
Newt gli fa questo effetto: lo rende pazzo, schiavo dei suoi desideri e bisognoso della sua presenza in ogni modo possibile.
Lo ama, lo adora, per questo. Ormai non sa più pensare a una vita senza il compagno.
Il biondo si allontana ancora, e Thomas geme quasi disperato. “Ti prego, ti prego, ti prego”. 
Ha bisogno di sentire quelle labbra sulle proprie, ha bisogno di fondere il proprio respiro con quello dell'altro, di sentire la sua lingua nella propria bocca, fino alla gola. Ma, contemporaneamente, ha bisogno di sentirle lungo tutto il suo corpo.
“Vuoi veramente baciarmi, hm?”, mormora quello, ridendo subito dopo. Hanno la mente annebbiata dall'alcool che si sono scolati al bar. Thomas non lo regge molto bene, mentre Newt è una spugna, ma entrambi hanno bevuto fin troppo. Il moro annuisce, cercando ancora di avvicinarsi. Agguanta i fianchi del ragazzo con le braccia, portandoselo addosso e strusciando il bacino contro il suo. Newt boccheggia, affondando la testa nella sua spalla.
Thomas gli solleva il mento con le dita, e poi scontrano le loro bocche insieme. La bocca di Newt sa di whisky ed è inebriante. Geme, passando la lingua sul palato del biondo, prima di stuzzicare l'altra.
Newt si aggrappa alle sue spalle, prima di togliergli del tutto la giacca e cominciare a sbottonargli la camicia bianca.
Si dividono per respirare, e a Thomas viene voglia di ridere di gioia.
Newt è la sua gioia e il suo dolore. È tutto quello di cui ha sempre avuto bisogno.
L'ha cercato per tanto tempo, l'ha desiderato per anni e anni, e poi è semplicemente comparso davanti a lui, un sorriso sulle labbra e un cappello di lana posato sulla testa bionda. Non era solito a credere nei colpi di fulmine, prima di incontrarlo. Si sono trovati due minuti dopo a casa del biondo, a fare sesso sulle scale che portavano al piano di sopra del suo appartamento. Non sono neppure riusciti ad arrivare in camera da letto.
Ancora Thomas non se lo sa spiegare. Newt è riuscito a cambiarlo radicalmente con così poco. È bastato farlo entrare nella sua vita, lasciargli preparare la colazione ogni mattina e baciarlo ogni volta prima di uscire per andare al lavoro.
In poco tempo si è reso conto che vederlo ogni giorno a sorridergli, era l'immagine e la vita che ha cercato per tutti i suoi ventisei anni. Non riesce neppure ad arrabbiarsi se mancano un paio di mutande, o di jeans o di magliette dai suoi cassetti. Quando vede Newt con la sua felpa, o con i suoi pantaloni, non può fare a meno di spogliarlo velocemente e baciare la sua pelle pallida.
È
suo. Quell'inglesino dai capelli biondo cenere e l'intelligenza acuta che lo distingue dalle altre persone, è suo e unicamente suo. Nessuno può spogliarlo come sta facendo lui, nessuno può baciarlo e spingersi dentro quel corpo come fa lui. Nessuno può amarlo come lui. Ha scritto il suo nome su ogni parte del corpo del biondo, su ogni poro della sua pelle, su ogni sua cellula. Forse è diventato possessivo, ma solo l'immagine di qualcuno che bacia le labbra di Newt lo fa incazzare non poco. Sa che durerà, sa che è la sua anima gemella. Per lui farebbe di tutto.
Gli sbottona i pantaloni e gli solleva la t-shirt, togliendogliela e buttandola da qualche parte.

“Ti adoro, Tommy”, riesce a dire Newt, le labbra premute al suo orecchio. “Ma ora togliti quest'affare, ti prego”, dice poi, con voce supplicante, strattonando la stoffa. 


E alcool o no, gioia o no, Thomas scoppia comunque a ridere, togliendosi la camicia dalle spalle. 

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Capitolo 2
*** Un bacio sussurrato ***


Genere: Triste, Romantico
Words: 1638
Raiting: Verde
Pairing: Newt/Thomas, slash
Note: Resuscito dall'ombra più forte che mai. Okay, magari no. Questa è stata praticamente la prima che ho scritto per questa raccolta, ma era il punto due e non potevo pubblicarla (da quando rispetto le regole così tanto?) per prima! E' ambientata alla fine del primo libro, quindi no spoilers e niente AU in cui sono ubriachi (eheh). 
E.. niente, vorrei ringraziare le due personcine adorabili che hanno recensito la OS precedente (mi avete fatta la persona più felice del mondo çç) e tutti quelli che l'hanno messa nelle ricordate/seguite. E, naturalmente, a tutti quelli che leggono e basta :) 
Be', non mi resta che lasciarvi a questa OS! 

DISCLAIMER: non mi appartengono (sigh) e non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla avete capito. 



 
KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Everyday create your HISTORY


 

Le persone continuano a dimenarsi e a battere con le mani sulle porte del pullman. Teresa gli scocca un'occhiata preoccupata, mordicchiandosi l'interno della guancia. 
Una mano stringe la sua, al sicuro da occhi altrui. Si gira verso Newt, che sembra terrorizzato. Gli stringe ancora la mano per fargli capire che non è l'unico ad avere paura.
“Chi sono quelli?”, riesce a chiedere Thomas, riferendosi alle persone fuori.
Sembrano.. matte. Pazze. Rabbrividisce.
La donna risponde alla sua domanda, esitante, dopo molto tempo.
Parla di una malattia, l'Eruzione, che fa accapponare la pelle a tutti i ragazzi dentro al pullman.
Thomas guarda fuori dal finestrino, la mano ancora intrecciata a quella di Newt.
È una landa desolata. C'è solo polvere. Sembra una distesa infinita di sabbia; un deserto. Non c'è niente di verde, neppure un quadratino minuscolo. Ma, nonostante tutto, non sente la mancanza della Radura, della sua natura o del suo bosco.
Anche perché tutto quello di bello che c'era là dentro, è nello stesso pullman in cui è lui.
Ha trovato degli amici. Ma, l'amico che più adorava, che più riteneva tale, è morto. Gli hanno sparato.
Si irrigidisce sul sedile, mentre tutto il suo corpo diventa di ghiaccio. Gli occhi gli si riempiono di lacrime, ma lui non le lascia uscire. Non può, non davanti a tutti. Non deve mostrarsi debole.
Anche se sa che non c'è nulla di male nel piangere, l'ultima cosa che desidera è che tutti lo guardino, che osservino la sua parte più vulnerabile come se fosse un animale a rischio di estinzione di uno Zoo.
Con ironia tagliente, si rende conto che lo è veramente. È un essere umano, e non ne rimangono molti sulla Terra, da quello che ha detto la donna. 
Scuote la testa, come a scacciare una mosca, stringendo la mano del ragazzo al suo fianco. S'impone di pensare che va tutto bene.

 

La stanza è coloratissima, sembra quasi fare a pugni con il pensiero delle mura grigio smorto del Labirinto, presenti come un chiodo fisso nella sua mente. Deve ancora realizzare il tutto.
Si rilassa completamente dentro la doccia, chiudendo gli occhi e accasciandosi alle pareti ricoperte di mattonelle fresche. Il getto è caldo e rilassante. Il bagnoschiuma – Dio, pensava che non ne avrebbe mai più visto uno! - è così profumato che quasi gli viene da vomitare, ma è sempre meglio della puzza di sudore e di paura che ha addosso.
Ne esce quasi rinato.
È un colpo vedere Newt in quei vestiti grigi che hanno dato a tutti loro, perché ormai si è abituato alla casacca bianca e ai pantaloni leggeri color beige. I suoi capelli sono pettinati e non sparati in tutte le direzioni possibili come nella Radura. Gli si avvicina.
“Be', Tommy, il grigio ti dona”.
Lui fa un sorriso tirato, sobbalzando quando lo stomaco gli brontola. Posa una mano sulla pancia.
“Andiamo a mangiare, pive”, gli dice Newt, prendendolo in giro. “Hanno detto che c'è da mangiare, da qualche parte”.
Lui lo segue, come ha sempre fatto.

 

Quando separano Teresa da loro, si sente inspiegabilmente triste. Insomma, sono sempre stati insieme, senza di lei gli sembra come se mancasse un pezzo a tutta la questione. Newt sembra irritato, quando espone il suo pensiero a voce alta. Minho e Frypan alzano gli occhi al soffitto, mentre Winston e gli altri Radurai sopravvissuti si dirigono nelle rispettive stanze, senza degnarlo di una risposta. Ormai sa che a nessuno va a genio Teresa, che è l'unico a ritenerla minimente importante. Scuote le spalle, scacciando il pensiero dalla testa. 
Condivide la stanza con Newt, Frypan e Minho. Con grande rammarico, si rende conto che non potrà dormire nello stesso letto del biondo senza venire scoperto dagli altri due. 
Apre curioso un cassetto del mobile davanti ai letti a castello, trovandolo pieno di vestiti. Rimarranno lì per sempre?
È davvero finita?
Chiude di scatto il cassetto, allontanandosi. In qualche modo, benché il cibo, l'acqua, la doccia, la vasca e tutto quanto, sente quel posto come una prigione. Non nello stesso modo in cui la Radura sembrava a tutti loro.
“Thomas, tutto okay?”, gli chiese il cuoco, notando la sua espressione corrucciata.
“Sì. Sì, tutto okay”, conferma il moro, sdraiandosi nel suo letto. Minho ha insistito per dormire nel letto sopra al suo.
Gli altri tre parlano ancora un po', prima di spegnere le luci e sdraiarsi nei loro rispettivi letti. Thomas fa finta di dormire per tutto il tempo.

 

 

Sono sopravvissuti al Labirinto e ancora non ci crede.
È sdraiato sul letto inferiore di quello a castello, e il russare di Minho di sottofondo gli impedisce di dormire.
È stanco, tantissimo, e la pancia gli brontola, bisognosa di cibo con cui riempirsi. Quasi si sorprende di avere ancora fame, dopo quello che hanno mangiato appena arrivati. Chiude gli occhi.
Teresa?
Si sta annoiando, quindi non esita a chiamarla. Contro ogni previsione, si è affezionato alla ragazza, anche se è in parte sicuro che lei pensi che siano qualcosa in più che amici. Come può dirle che può offrirle solo la più sincera e forte delle amicizie?
Si insulta da solo.
Teresa è una ragazza forte, una donna, ormai. Ne ha passate tante, come tutti loro. Un rifiuto non la ammazzerà di sicuro, anzi, scommette che ne uscirà forse anche più forte.
Poi, però, si ricorda quante cose brutte e belle può fare l'amore. Spera con tutto il cuore che Teresa non sia innamorato di lui; non smania dalla voglia di vederla con gli occhi arrossati e lo sguardo ferito. Non vuole che lei arrivi ad odiarlo.
Si impone di non arrivare a conclusioni affrettate, di tranquillizzarsi e di pensare al fatto che ora sono al sicuro, dopo molto tempo in cui non lo sono stati.
Non chiama più Teresa con la mente, ormai arreso al fatto che, molto probabilmente, la ragazza sia addormentata da un pezzo.
Incrocia le braccia dietro la testa, usandole come cuscino. Chiude gli occhi, ma il sonno non arriva.
Rivede Chuck appena serra le palpebre.
Chuck che gli fa vedere dove dormirà nella Radura; Chuck che fa quello scherzo di pessimo gusto a Gally e scappa non appena capisce che potrebbe mettersi male.
Chuck che gli racconta dei suoi genitori, di quanto si senta solo anche se circondato da più di sessanta ragazzi.
E, infine, Chuck che muore agonizzato dal dolore davanti a lui. Le sue mani che si sporcano di sangue, del sangue del suo amico, della cosa più simile ad un fratello che abbia mai avuto.
Spalanca gli occhi, prima di tastarsi le guance con una mano. Sono rigate dalle lacrime. Li richiude, nella speranza di fermare le lacrime.
Si impedisce di piangere ancora a lungo, schiacciandosi le dita sugli occhi. Ha pianto così tante volte da quando è venuto fuori dalla Scatola. Ha pianto di nascosto, ha pianto per il dolore e per la paura. Ha pianto per Ben, quando il suo urlo lacerante e disperato gli era arrivato alle orecchie, perfino dietro le mura del Labirinto.
“Tommy?”.
Si riscuote dai suoi pensieri, abbassando le mani e aprendo piano le palpebre. Newt è lì, davanti al suo viso, l'espressione preoccupata sul viso.
“Tutto okay?”, continua, in un sussurro.
Lui annuisce, prima di girarsi su un fianco e fare spazio accanto a lui. Newt capisce, e solleva un angolo della coperta, per infilarcisi sotto. Poggia la testa sul petto del moro, che gli accarezza i capelli.
“Siamo salvi”, sussurra, stringendosi più a lui.
"Sì”, soffia Thomas. “Siamo salvi. E siamo vivi”.
“Sì, ma a quale costo?”, dice Newt. “Ne abbiamo persi così tanti. Zart, Jeff.. Chuck..”, pronuncia quell'ultimo nome cautamente.
Thomas si irrigidisce appena lo sente. Il biondo solleva lo sguardo. “Puoi parlarmene, se vuoi”, lo incita, posandogli una mano sulla guancia.
Lui scuote la testa, prendendo un respiro profondo. “Non voglio- non ora, almeno”, risponde.
“Okay.. okay, certo”.
Newt posa le labbra sul suo mento, in un bacio silenzioso. Thomas, per la prima volta, si sente veramente al sicuro. Le labbra percorrono il profilo della sua mascella, prima di posarsi sulle sue. È un bacio che lo rassicura, che lo rende tranquillo e rilassato. Devono sussurrare per non svegliare gli altri.
Quasi gli dà fastidio nascondere tutto quello. Vorrebbe prendere la mano di Newt senza preoccuparsi delle reazioni dei Radurai, ma sa che non può farlo. Non ora, almeno.
Lascia da parte tutte le preoccupazioni e le domande che sono nella sua mente, concentrandosi solamente sulle labbra del compagno, di quel ragazzo che lo ha salvato involontariamente e indirettamente. Si chiede che cosa ne sarebbe stato di lui, senza avere la presenza di Newt di fianco a lui.
Newt non lo ha mai abbandonato, nonostante tutte le decisioni che ha preso nella Radura. Mentre la maggior parte dei Radurai lo guardava con uno sguardo inquisitorio e quasi accusatorio, lui non lo ha mai squadrato male, se non la prima volta che è uscito dalla Scatola. Ma, si era reso conto dopo, era solamente uno sguardo calcolatore. Dio, sembrano passati anni.
Si staccano, e Newt poggia la testa nell'incavo del collo di Thomas, che lo stringe a sé, affondando il viso nei capelli biondo cenere.
Profumano, grazie alla doccia che hanno potuto farsi, appena arrivati. Quasi sente la nostalgia di quell'odore tipico che aveva nella Radura. Era forte, forse si poteva classificare più come puzza, ma a Thomas piaceva. Era il segno persistente di tutto quello che stavano passando, di come Newt fosse forte e deciso ad andarsene. Odorava di vento, terra, fatica. Ora è più un odore anonimo; lotta per ritrovarlo, nascosto com'è.
“E ora.. ora cosa faremo?”, chiede Newt, talmente sottovoce che Thomas deve sforzarsi per sentirlo.
Sospira e non risponde, lasciando un bacio sulla testa dell'altro, che non insiste per una risposta.
Non sa cosa succederà, non lo sa e n'è terrorizzato.
Ma, per il momento, con Newt sdraiato fra le sue braccia, va bene così. 

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Capitolo 3
*** Un bacio pieno di odio ***


Genere: Drammatico, Romantico 
Words: 1011
Raiting: Verde
Pairing: Newt/Thomas, slash 
Warning: Major character death, Spoiler!LaRivelazione, 
Note: Scusatemi. Scusatemi per i ricordi che questa OS vi riporterà a galla, scusatemi per aver riletto La Rivelazione per la millesima volta e per aver deciso di scrivere una OS sul famigerato capitolo 55. Forse ne avevo bisogno per accettare la morte del mio secondo personaggio preferito, forse sono semplicemente una stronza insensibile! (cosa molto più probabile, y'know). E vabbè. Forse sono caduta nel banale, insomma, molti hanno scritto almeno qualcosa su questo capitolo e questa parte della storia, ma dovevo proprio (per ragioni mistiche, boh, forse). Beh, vi lascio alla OS! (che bastarda che sono). 

DISCLAIMER: non mi appartengono (sigh) non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla 

 


KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

I can't clean the blood off the sheets in my bed
 



Newt è talmente diverso che quasi fa fatica a riconoscerlo.
Non ha ascoltato le minacce e i borbottii di Lawrence, ed è davanti a lui.
I suoi capelli biondi sono tutti strappati e ha delle chiazze pelate sulla nuca. Il viso, quel viso che aveva amato, che ama ancora adesso, è pieno di lividi e graffi.
Thomas si odia per averlo lasciato lì, al Palazzo degli Spaccati, si odia per aver permesso che diventasse così.
“Newt. Newt, ascoltami. Vieni via con me”, dice, la voce spezzata. Vuole solo avvicinarsi e stringerlo fra le braccia, fingendo che vada tutto bene e che Newt non stia morendo piano piano. Che non sia completamente pazzo.
Il biondo lo guarda e non proferisce parola.
“Ti .. ti ricordi di me, vero?”, chiede, spaventato dalla risposta.
Possibile che si sia dimenticato tutto? La malattia ha portato via anche tutti i suoi ricordi? Non si ricorda più il suono delle loro risate insieme, i loro baci, il loro piccolo mondo pieno di felicità nel quale si rifugiavano? Felicità dettata da loro due insieme, sempre.
Quando i suoi occhi si fanno limpidi, perdendo tutta la rabbia che contengono prima, Thomas si sorprende.
“Come farei a dimenticarmi di te, Tommy?”, sussurra. Pronuncia il suo nome con un tono strano. Non sa se è disgusto o rimpianto. “Hai ignorato la mia richiesta, quando mi sei venuto a trovare a Palazzo. Non posso impazzire completamente nel giro di pochi giorni”.
Thomas rabbrividisce, ricordandosi la scena. Mai aveva sentito un dolore più grande. Avrebbe preferito farsi sbranare vivo dai Dolenti, piuttosto che stare lì e vedere la persona che ama impazzire sempre di più. L'Eruzione gli sta mangiando il cervello, lo sta portando via da lui – più di quanto non abbia già fatto.
“Newt, vieni con me. Posso portarti in un posto sicuro..”.
“Vattene”, dice, ridendo. Non è la risata che ricorda. Non c'è sentimento, non c'è niente. È il nulla. Sente il suo cuore venire inghiottito da una morsa nera che gli toglie la forza. “Vattene ora, Tommy”, ripete.
“No”, mormora, un singhiozzo che lascia le sue labbra. “Non posso lasciarti qua. Vieni via con me, ti prego, ti prego”. Non ha mai pensato che sarebbero arrivati a tutto questo.
Quando Rat-Man aveva garantito che avrebbero avuto una cura per l'Eruzione alla fine delle Prove, si era immaginato una vita intera insieme alla persona che amava. Ora vede solamente morte e disperazione, davanti a sé. Non vede più un futuro in cui si potrebbe svegliare, ogni mattina, e vedere quell'espressione beata che il biondo assume ogni volta che dorme fra le sue braccia. Vede solamente un cadavere freddo che lo fissa con occhi vacui.
Si avvicina, infischiandosene che Newt potrebbe aggredirlo ed ucciderlo, o fargli comunque molto male.
Infatti, il biondo gli si scaglia contro, buttandolo a tappeto. “Ti odio, Tommy, ti ho sempre odiato! Sempre a fare l'eroe!”, urla. “Potevi fermarli! A questo punto io non sarei stato così!”. Quasi piange. “Non starei cercando di ucciderti”, aggiunge.
E Thomas sente un dolore tale nel petto che pensa di morire all'istante.
Si rialza, spingendo Newt lontano. Poi, vede Lawrence alzare il lanciagranate, e si para davanti a lui.
“No! Non osare sparargli! Questa è una questione tra me e lui!”, urla. Poi si gira di nuovo verso il compagno. Il suo ragazzo, il suo Newt. “Devi ascoltarmi”, lo prega. “Lo so che sei lì dentro, da qualche parte”.
“Ti odio, Dio se ti odio!”.
Il dolore per lui si trasforma in paura. Indietreggia involontariamente. “Dopo tutto quello che ho fatto per te! Dopo tutto quello che ho passato, per te! Tu non riesci a fare l'unica cosa che io ti abbia mai chiesto. Sei egoista, pensi solo a te stesso!”, continua ad urlare.
“Newt-”.
Non fa in tempo a continuare che questi gli si lancia addosso, immobilizzandolo ancora al terreno.
“Perché sei venuto qui, hm? Ti aspettavi un abbraccio, un bacio, magari?”.
Thomas scuote la testa, allungando la mano verso la pistola.
Newt intercetta il movimento, prendendogliela - ormai stringe già l'arma tra le dita. La solleva, poggiandosela poi sulla fronte. 
È un movimento lento, ma per Thomas sembra quasi fulmineo. 
“Rimedia a quello che hai fatto, Tommy. Rimedia alla mia sofferenza di tutti questi anni. Uccidimi. Voglio che sia tu a farlo, nessun altro!”.
Thomas piange, ormai. “Non posso”, singhiozza. “No, Newt, non posso”. 
“Fallo! Mi sono fidato di te!”.
“Non posso!”, grida. Come potrebbe farlo? Uccidere la persona che ama? Vederla morire dissanguata al suolo per colpa sua? "Non puoi farmelo fare. Non puoi!". 
"Sei solo un codardo! Spara! Sparami, Tommy!". 
"Io ti amo!", urla, sopra gli strilli dell'altro. "Io ti amo", ripete, la voce ridotta ad un soffio. 

Lo sguardo di Newt sembra illuminarsi di nuovo come prima, sembra farsi più limpido. Si avvicina a lui, assalendo le sue labbra.
È un bacio dettato dall'odio, odio che Thomas sa che non prova veramente. È un bacio aggressivo, che solo una persona che sta soffrendo immensamente potrebbe dare. Poi, capisce. Newt riversa tutto l'odio che prova per se stesso, per quella malattia, in quel bacio.
Non è lui che odia. 
Thomas piange e affonda la mano nei capelli di Newt, che ormai sono sporchi e crespi all'inverosimile. Accarezza la pelle scoperta della sua nuca; si ricorda di quand'erano folti e morbidi, profumati. Si ricorda della Radura, e - nonostante quello che hanno passato entrambi - preferirebbe combattere ogni giorno e notte con i Dolenti, piuttosto che stare lì. Con quel bacio si ricorda tutto, ma ancora non può farlo, non può ucciderlo. Quello che stringe fra le braccia è lo spettro della persona che ama e che ha sempre amato. 

Il ragazzo infettato si separa da lui, riprendendo le sue mani e puntando di nuovo la pistola sulla propria fronte. Thomas si chiede cos'ha fatto di male. Cosa ha fatto Newt di male per meritarsi questo. Vorrebbe prendersi la sua malattia, vorrebbe morire al posto suo. 
Non lasciarmi, pensa, febbriciante. Non lasciarmi, ti prego. Dimmi che mi ami, dimmi che non mi abbandonerai.
Vuole morire con lui. Non vuole vivere in un mondo senza di lui. Non vuole sopravvivere. Vuole solamente stare con lui, in qualsiasi modo possibile. Newt è l'unica persona che lo fa sentire ancora un essere umano. Newt è il suo primo amore, il suo primo bacio. Newt è il primo e l'unico.
“Fallo, amore. Fallo, Tommy. Premi il grilletto e uccidimi. Prima che io uccida te”. La sua voce è dolce, ormai. “Per favore, Tommy. Per favore”.



E con la vista annebbiata dalle lacrime, con il sapore di Newt ancora sulle labbra, e il cuore che sprofonda in un abisso senza luce, Thomas preme il grilletto.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Un bacio al cinema ***


Genere: Romantico, Fluff, Generale 
Words: 1538
Raiting: Verde
Pairing: Newt/Thomas, slash
Warning: AU
Note: Resuscito dalle ceneri come Fanny. E vabb, volevo pubblicarla stamattina, ma non ho proprio avuto tempo cwc Questa OS è ispirata ad una storia vera - la mia. Praticamente ho 'sta amica che arriva così tanto in ritardo che mi fa incazzare come una bestia, ma poi sorride con quel suo faccino troppo tenero e vabb alla fine le voglio troppo bene che tutta l'incazzatura passa magicamente. E niente, questa cosa mi ha ispirato per questa OS (yay). La smetto di blaterare e vi lascio alla storia! Oh, grazie a tutti quelli che hanno inserito questa raccolta nelle seguite, preferite e ricordate, e a tutte le personcine belle belle che l'hanno recensita! Grazie mille davvero :) Be', buona lettura (spero cwc)

DISCLAIMERi personaggi non mi appartengono (sigh) e non  scrivo a scopo di lucro e bla bla bla bla bla bla avete capito no? 



 



KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Hold my heart to stop me bleeding now, and I'll never let you down


 
 

Lo sta aspettando da troppo tempo. Controlla il telefono.

16:50

Il film inizia fra venti minuti e di Newt nemmeno l'ombra.
Così, fa la cosa più ragionevole (e stupida) di sempre: chiama Minho.
Minho è il suo migliore amico (da fin troppo tempo), e per lui è automatico ricorrere al suo aiuto ogni volta che si sente male per colpa della troppa ansia. Non ci può fare niente: Minho è il suo strizzacervelli – e viene pagato con le torte che Thomas gli fa ogni Venerdì, perché è il G.T. : Giorno Tortoso.
Ehi, amico, non dovresti essere nel bagno del cinema a slinguazzarti il biondino?”, esordisce quello, facendolo arrossire fino alla radice dei capelli.
“Slinguazzarti?”, ripete. “Davvero, Minho?”.
Che c'è? È la prima espressione che mi è venuta in mente”.
Thomas sospira. “Non è ancora arrivato”, dice, poi.
Cosa? Ma avevate detto di trovarvi lì.. quindici minuti fa!”, nota l'asiatico, scettico. “Hai provato a chiamarlo?”.
“Be', l'ultimo suo messaggio dice che sta per arrivare.. sono preoccupato, a dirla tutta”, confessa.
Il telefono vibra e lui lo stacca dall'orecchio per controllare. È da parte di Newt.



Sono in ritardo colossale e sono ancora a casa!
-
N.

 

 

“Non ci credo”, borbotta Thomas.
Cosa?”, chiede subito Minho.
“È ancora a casa!”, esclama il moro, una leggera incazzatura che prende possesso del suo corpo, al posto della preoccupazione.
Ma che.. digli di muovere quel culo flaccido e di darsi una sbrigata!”, urla dall'altro capo del telefono, Minho.
“Non ha il culo flaccido”.
Ah, allora glielo hai palpato, eh? Bene, Tessa mi deve dare cinque dollari”.
“Non gliel'ho palpato, Minho”, ribatte lui, stancamente.
Seh, certo, come no. E io ci credo pure!”.
Cade un silenzio pesante fra loro due. “In questo momento preferirei andare a Mordor, che stare qua ad aspettarlo come un fottuto idiota”, lo spezza Thomas, dopo un po'.
Dai, amico, rilassati. Magari è successo qualcosa... qualche contrattempo. O magari non parte la macchina! Oppure la sua casa è stata infestata dalle cavallette aliene”.
“Mh, e questo dovrebbe farmi rilassare..?”, mormora, non convinto. “Ti chiamo quando torno a casa, stasera. Okay?”.
Okay.. e mi raccomando, vedi di tornare bello zoppicante o davvero non ti parlo più! Ci state mettendo mesi a mettervi insieme, non ce la faccio a sopportare tutta questa tensione sessuale”.
“Vaffanculo, Minho”, è la sua risposta. “E poi chi ha detto che sono il passivo della coppia?!”. Si sente punto nel vivo.
Amico, ma l'hai visto? Quello non può fare il passivo, proprio no”, risponde quello. "E poi lo faccio per te; hanno detto che è molto più piacevole venire-"
“Fottiti”, lo interrompe Thomas, passandosi una mano sul viso, esasperato dalle chiacchere dell'amico. 
"Ti voglio bene anch'io!”, replica Minho, chiudendo la chiamata.

Passano altri dieci minuti.
E altri dieci.
Il film ormai è già iniziato e Thomas detesta Newt ogni secondo che passa.

 

Dove sei?

 

Scrive quel messaggio trattenendo a stento la rabbia. Ha le mani tremanti e gli viene quasi da piangere dal nervoso. Maledice se stesso, Newt, e l'infatuazione che ha per lui.

 

Sto arrivando. Sono riuscito a liberarmi di Alby e Gally.. hanno trovato il momento peggiore per salire in casa mia e stressarmi!

-N.

 

A quanto pare quei due sono più importanti di me, si ritrova a pensare, ignorando il fastidio che sta provando.
17:45
Ecco l'ora che segna il telefono di Thomas. Quasi un'ora di ritardo. Scuote la testa, sospirando.
Ha la schiena contro il muretto fuori dal cinema e resiste all'impulso di tirare fuori il pacchetto di sigarette e fumarne un'altra.
Finalmente, un'auto grigia si ferma davanti al cinema e Newt esce, stringendosi il cappotto addosso. Saluta qualcuno all'interno della macchina, che riparte. Appena lo vede, gli sorride. È un sorriso di scuse.
Thomas prende l'ultimo tiro e poi butta la sigaretta per terra, schiacciandola con un piede.
“Mi dispiace, Tommy. Davvero”, dice, appena sono vicini.
“Ma no, non preoccuparti”, si ritrova a dire lui. Si sorprende di quelle parole e poi si insulta da solo nella testa. “Andiamo?”.
“Uhm, certo!”, esclama il biondo, sorridendogli.
Prendono i biglietti per un altro film, visto che hanno perso quello che avevano programmato di vedere.
Newt sorseggia rumorosamente la coca cola, durante i vari trailer che proiettano prima del film. Thomas ha lo stomaco ribaltato, e il cuore sobbalza ogni volta che l'altro gli parla o gli si fa più vicino. Non ha preso niente da mangiare; non ci riesce quando è con Newt.
“Hai finito quella relazione che ci aveva dato Anderson?”.
“Sì, una settimana fa. Se vuoi te la passo”.
“No, no, ci mancherebbe altro. La farò stasera, molto probabilmente. Sarò a casa da solo e mi annoierò come al solito”.
“I tuoi dove sono?”.
“Partono fra un'ora per andare da mia zia Adrienne, a San Francisco. Staranno lì quattro giorni, poi torneranno a casa. Ne approfittano per farle visita, visto che mio padre ha un convegno sulla chirurgia cardiovascolare”, spiega.
Lui annuisce, prendendo un sorso della sua bevanda.
Newt gli sorride e poi torna a guardare lo schermo.
Il film comincia, e lui cerca davvero di concentrarcisi, ma non ci riesce.
Prende un sorso della sua coca cola, tanto per tranquillizzarsi. Poi, sente distintamente Newt farsi più vicino, posando una mano sul bracciolo della sua poltrona. Thomas si fa violenza psicologica per non prendergliela e stringergliela.
Un altro sorso di coca cola.
Benedict Cumberbatch sta dicendo ad un padre disperato che potrebbe salvare sua figlia con il proprio sangue1.
Newt incrocia le gambe sulla sedia, finendo la sua coca cola. Si lamenta a mezza voce e Thomas gli passa la sua.
Dopo il pensiero di aver baciato indirettamente Newt gli affiora nella mente, Thomas prende il suicidio come soluzione più efficace alla sua situazione.
Newt trattiene il respiro quando si scopre che Benedict Cumberbatch è Khan e comincia a borbottare. Thomas ride sottovoce. Newt è ossessionato da Star Trek.
Poi, una mano si posa sulla sua. E lì si che rischia un ictus celebrale.
Delle dita calde si intrecciano alle sue, in una presa calda e confortante. Familiare, quasi.
“Ti dà fastidio?”, chiede l'amico, scambiando il suo disagio per un rifiuto. Scuote la testa. “Per niente”.
Così, Newt poggia la testa sulla sua spalla. “E questo?”, sussurra.
“Neppure”, mormora, la voce tremolante.
C'è un esplosione nel film ma non è niente a confronto quello che sta succedendo nella sua testa e nel suo cuore.
Restano così per buona parte del film, le mani intrecciate e la testa del biondo sulla sua spalla. Resiste all'impulso di baciargli i capelli, agitandosi impercettibilmente sulla sedia. Il profumo dello shampoo che usa l'altro ragazzo lo manda in tilt. Newt profuma di dolce. Una volta avrebbe detto cannella, ma ora si rende conto che è qualcosa di totalmente diverso.
Poi, Newt si solleva e lo guarda negli occhi. Thomas arrossisce e benedice il buio del cinema.
Lo sguardo del biondo è sulle sue labbra e lui se ne accorge. Il suo cuore comincia a battere sempre più forte, minacciando quasi di uscirgli dal petto.
Intanto, i suoi occhi si beano della vista del viso dell'altro, dei suoi occhi che brillano anche al buio e della pelle pallida che quasi risplende.
“Posso?”, chiede, con voce bassissima.
Thomas annuisce, lentamente, anche se è la cosa che vuole di più al mondo. E' spaventato, congelato sul posto. 
Newt si avvicina e posa le proprie labbra sulle sue. Inizialmente è solo uno sfiorarsi, staccarsi e sfiorarsi ancora. Poi, Thomas afferra la testa dell'altro, intrecciando le dita ai suoi capelli e aprendo la bocca. Allora, le loro lingue s'incontrano, e deve davvero faticare a non far uscire alcun gemito. Ispira e il suo cuore batte così veloce che teme stia per scoppiare.
Newt gli mordicchia il labbro inferiore, prima di staccarsi da lui. Fa un verso scontento, prima di rendersene conto e vergognarsene.
Sorride, mentre Thomas diventa ancora più rosso e accaldato. Si baciano un'ultima volta, sorridendo l'uno sulle labbra dell'altro.
“Usciamo da qui o giuro che non risponderò delle mie azioni”, borbotta Newt, alzandosi di scatto e lasciando i pop corn e la coca cola sulla poltroncina rossa. Un tizio si lamenta ma nessuno dei due lo ascolta.
Appena sono fuori, Thomas si ritrova pressato fra Newt e la porta della sala. Non gli importa che qualcuno potrebbe vederli, ha aspettato questo momento per troppo tempo.
Il biondo lo guarda e poi scoppia a ridere, buttando la testa all'indietro. “Sei bellissimo, Tommy”, gli dice, prendendo il cappello di lana che tiene nella tasca del cappotto nero e posandoglielo sulla testa. “Sei bellissimo e sei tutto per me”, continua, strusciando il naso sul suo collo niveo. E sì, Thomas potrebbe morire di felicità.

 

Quando Minho li vede entrare a scuola appiccicati, non sorride – ghigna.
“Thomas, mio caro amico!”, esordisce. “Non mi hai più chiamato ieri sera!”. Teresa e Aris, al loro fianco, trattengono il respiro e li guardano con un sopracciglio inarcato. Sono davvero, davvero inquietanti. Minho fa apposta ad alzare la voce, facendo girare alcune teste nel corridoio.
Il moro ridacchia imbarazzato. “Sono stato.. un po' occupato”, replica, guardando Newt accanto a sé, che gli sorride maliziosamente.
Minho si avvicina, abbassando il colletto della camicia dell'amico. Ci sono dei segni violacei proprio sulla pelle pallida del collo. Ghigna un'altra volta.
“Lo sapevo! Be', meglio tardi che mai!”.  

 



[1: Star Trek- Into Darkness: da grande fan di Mr. Cumberbatch, dovevo mettere qualche riferimento ai film in cui ha recitato *sobs*]


 

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Capitolo 5
*** Un bacio e poi addio ***


Genere: Sovrannaturale, Romantico, Triste 
Words: 12.065 (mi dispiace tanto, è venuta fuori una cosa enorme omd)
Raiting: Giallo 
Pairing: Newt/Thomas, slash 
Warning: AU, Fluff, possibile OOC, Werewolf!Newt, Human!Thomas 
Note: *s'inginocchia* MI DISPIACE TANTISSIMO PER IL RITARDO ENORME CON CUI HO POSTATO. Queste settimane sono state a dir poco sfiancanti, tra i compiti, il season finale di Hannibal (sigh, il mio cuore è distrutto), il debito di matematica (che ho passato per un soffio) e tante altre cose.. insomma, non ho avuto un attimo di pausa per scrivere! E' venuta fuori una cosa largamente vergognosa, 30 dannate pagine di Word piene di cazzate, in poche parole. Che dire, Teen Wolf mi ha completamente assorbita da tempo e ora vedo lupi mannari ovunque, quindi mi sono detta 'why noooot?', e okay. Ringrazio calorosamente tutte quelle personcine che hanno recensito/messo fra i preferiti/seguite/ricordate questa storia. Davvero, mi rendete una persona felicissima cwc Be', che dire, buona lettura! (spero). 
DISCLAIMER: non mi appartengono, non scrivo a scopro di lucro e bla bla bla ceh avete capito no? 


 



KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

So you can keep me inside the pocket of your ripped jeans




 

Il lupo lo fissava dritto negli occhi, senza ringhiare o altro.
Thomas era immobilizzato al terreno, le mani che artigliavano l'erba e la paura che gli annebbiava la vista. Cercò di rallentare il battito del suo cuore, senza successo.
Il lupo si avvicinò, lentamente, come se avesse sentito il suo terrore. Con la mente un po' più lucida, Thomas si rese conto che era veramente così. Gli animali sentivano la paura umana, non era di certo una novità.
Passo dopo passo, si ritrovò il muso del lupo ad un centimetro dal suo naso. Non serrò gli occhi, continuando a ricambiare lo sguardo dell'animale.
Il canide gli diede un colpetto sulla guancia. Poi, tirò fuori la lingua, leccandogliela. Sorpreso, Thomas ridacchiò per il contatto.
Con le zampe, lo esortò a sdraiarsi sulla schiena. Il ragazzo era ancora terrorizzato a morte, ma c'era qualcosa nel comportamento dell'animale che lo tranquillizzava.
Si sdraiò sulla neve, decidendo di non fare resistenza (più che altro per evitare qualche reazione violenta), osservandolo dal basso. Il lupo si sdraiò a sua volta, accanto a lui, posando una zampa sul suo costato. Trattenne il respiro, la paura che aumentava. L'animale cominciò ad annusarlo, facendogli il solletico. Quando rise, alzò la testa. Si ammutolì, alzando le mani in segno di resa. Il lupo non fece una piega, continuando a strusciare il muso sul suo collo. Lo leccò ancora una volta, ma Thomas si trattenne dal ridere apertamente. La paura se n'era quasi andata, si sentiva.. a suo agio.
Alzò lentamente una mano, immergendogliela nel pelo biondo cenere, e mosse la testa verso quel contatto.
“Fai le fusa, eh?”, si ritrovò a sussurrare, avvicinando di sua spontanea volontà il viso verso quello del lupo, che gli leccò il naso. Rise, non potendosi trattenere.
Era morbido. Molto più dei pupazzi che aveva suo fratello, a casa. E profumava. Fece scivolare la mano per tutta la schiena dell'animale, prima di concentrarsi sul pelo sotto il suo muso. Era una mossa azzardata. D'altronde, il lupo avrebbe potuto infuriarsi e per lui sarebbe stata la fine.
Ma c'era qualcosa di familiare in quel lupo; come se fosse.. umano. Si insultò appena lo pensò, decidendo di svuotare la mente.
Solo pensare ai pericoli che stava correndo, gli si stringeva il cuore dalla paura.
Dopo quelle che sembrarono ore, il lupo si alzò sulle zampe, tendendo le orecchie. Thomas si mise a sedere, osservandolo mentre si guardava intorno. Poi, gli occhi dell'animale tornarono nei suoi. Un ultimo colpetto sulla sua guancia con il muso, poi si girò e cominciò a correre verso il bosco.
Thomas si sentì triste.

 

 

*

 

 

Quando gli dissero che c'era un nuovo studente alla WCKD High School, si strozzò col pane che stava mangiando.
“Cosa?”, tossicchiò. “Sta succedendo veramente qualcosa di nuovo?”, continuò, mentre Teresa ridacchiava per la sua reazione.
“Ehi!”, esclamò Brenda, osservando tutti loro. “Se è carino, è mio”, disse.
Minho alzò gli occhi al cielo, addentando il pollo che aveva nel piatto. “Spero che sia dell'altra sponda, non sopporterei i tuoi sproloqui su di lui ventiquattro ore su ventiquattro”, borbottò. La ragazza gli fece il verso, infilando la forchetta nella sua insalata.
Thomas finì il suo panino in pace, con Teresa appoggiata al suo braccio che beveva una Sprite.
“Devo ripassare Biologia”, disse, poi, interrompendo il silenzio che si era creato al tavolo. “Quella stronza m'interrogherà di sicuro”. Nonostante le parole che aveva detto, non accennò ad alzarsi dalla sua sedia. Minho la fissò con un sopracciglio alzato, continuando a mangiare il suo pollo e aggredendo le patatine fritte con ferocia. Thomas sospirò, guardandosi intorno.
Non aveva raccontato a nessuno dei suoi amici il suo incontro ravvicinato con il lupo. Voleva che fosse un suo segreto.
“A cosa stai pensando, Tom?”, gli chiese Teresa, alzando lo sguardo.
Scosse la testa. “A niente in particolare”, fu la sua risposta.
“Niente in particolare”, ripeté, così tanto sottovoce che nessuno lo sentì.

 

Il nuovo studente se ne stava lì, in piedi davanti alla cattedra. Fissava tutti con uno sguardo freddo e calcolatore.
Era alto, con un fisico asciutto. Vestito completamente di nero, sembrava più magro di quanto già non fosse.
Thomas dovette farsi violenza psicologica per distogliere lo sguardo – cosa che non riuscì a fare.
La cosa che lo colpì più di tutte, erano i capelli: erano della stessa tonalità di colore del lupo con cui aveva familiarizzato il giorno precedente. Identici. Era da quand'era tornato a casa il pomeriggio precedente, che non faceva altro che trovare in giro qualsiasi cosa che gli ricordasse l'animale. Ne sentiva la nostalgia. Deglutì rumorosamente, scostando lo sguardo con uno scatto della testa. Il movimento non sfuggì al nuovo studente, che spostò la sua attenzione su di lui.
Il professore si schiarì la voce, sorridendo alla classe. “Il est votre nouveau camarade de classe”, disse. Quando nessuno fiatò, continuò. “Son nom est Isaac Newton”. Poi, sospirò, rassegnato. “Avete almeno capito l'ultima frase? Come farete al test?!”, esclamò. La classe ridacchiò, scambiandosi degli sguardi complici.
Isaac sorrise al professore, cominciando a parlare in un francese fluente e perfetto. Sembrava quasi che fosse la sua lingua madre. Perfino l'insegnante ne era sbalordito.
“Bene, vai a sederti, Isaac!”, gli disse, dandogli una pacca sulla spalla. “In quanto a voi”, si rivolse alla classe, indicandoli con un dito. “Aprite il libro a pagina 236”.
Isaac si sedette proprio di fianco a Thomas, quando aveva dieci posti liberi a disposizione. Il moro lo guardò con la coda dell'occhio, prima di concentrarsi sugli appunti che aveva sotto al naso.
“Non ho il libro, potresti condividerlo con me?”, chiese Isaac, sorridendogli. Thomas si perse a fissare quei denti dritti e bianchi – così bianchi da risultare quasi accecanti. Era un sorriso perfetto, che stava davvero bene sul suo viso. “Hm, certo.. Isaac? Giusto?”, rispose.
“Ugh, sì, ma non chiamarmi così”, mormorò, andando velocemente alla pagina che aveva indicato l'insegnante.
“È il tuo nome.. come dovrei chiamarti, scusa?”.
“Newt”, rispose il biondo, prontamente. “È un soprannome che usano in pochi – in realtà solo i miei genitori. Se vuoi .. puoi usarlo anche tu”.
Newt.
Mh.
Scivolava bene fra le sue labbra.
Newt.
“Okay, Newt”, disse, sorridendo. “Ma non usare l'evidenziatore sul mio libro”.

 

Alla fine scoprì che Newt era un tipo silenzioso, che parlava raramente. Non sprecava la voce per parole o frasi senza senso, e quasi detestava le persone logorroiche – Minho, per esempio.
L'asiatico non si lasciò sfuggire l'occasione di far entrare il biondo nel loro gruppo di amici, usando la scusa che fossero in pochi.
Newt sorrideva accondiscendente ad ogni parola che sfuggiva dalle labbra di Minho, restando però sempre al fianco di Thomas.
Sembrava timido, all'apparenza. In realtà, era solo diffidente. Sembrava che quasi rifiutasse il contatto umano.
"Stasera ti va di uscire, Isaac?”, chiese Minho, su di giri. “Io e gli altri andiamo a prendere qualcosa da mangiare al Burger King e poi andiamo sulla pista di pattinaggio”.
Brenda si aggiunse alla conversazione, passando una mano sul braccio del nuovo studente. “Non puoi mancare!”, esclamò, mettendosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio.
Newt sorrise per l'ennesima volta, passando lo sguardo su ognuno di loro. Fissò Thomas negli occhi, passandosi la lingua sul labbro inferiore. “Se viene Tommy, consideratemi dei vostri”.
Minho lasciò un'occhiata che recitava 'Te l'avevo detto' a Brenda, che fissò Thomas con gli occhi infuocati.
Il ragazzo non si lasciò scalfire dalla minaccia presente nello sguardo dell'amica, annuendo. “Vengo anch'io, stasera”.
“Allora è andata!”, decise Minho, sollevando le braccia. “Ci troviamo alle otto fuori dal Burger”.
Newt guardò ancora Thomas, districandosi lentamente dalla presa della ragazza, che non intendeva mollare il suo braccio. Si avvicinò al moro, fissandolo da sotto in su.
Thomas si sentì avvampare e si schiarì la gola. “Allora.. io vado, così non perdo il pullman”, si congedò, allontanandosi, camminando all'indietro. Minho lo salutò con un cenno della mano, trascinando via Brenda.
L'ultima immagine che vide, prima di girarsi, fu lo sguardo bollente da parte di Newt.

 

Stava aspettando il pullman da venti minuti, quando una signora anziana si fermò davanti a lui, squadrandolo.
“Giovanotto, non sai che c'è lo sciopero dei mezzi?”, gli disse.
Thomas spalancò gli occhi dalla sorpresa. “No .. Dio, no che non lo sapevo..”, sospirò, passandosi stancamente una mano sul viso.
“Be', ti conviene incamminarti ora, se non vuoi rimanere qua fino alle tre di stanotte!”, replicò, cominciando ad allontanarsi.
Si morse l'interno della guancia. “Grazie!”, gridò alla signora, che si girò a fargli un cenno della mano.
Cominciò ad incamminarsi verso casa, le cuffie nelle orecchie e la musica ad un volume ragionevole.
Una macchina lo affiancò, seguendo la sua velocità. Si fermò, squadrando la vettura. Il finestrino oscurato si abbassò, rivelando la presenza di una faccia conosciuta. Si tolse gli auricolari.
“Vuoi un passaggio?”, gli chiese Newt, tirando giù gli occhiali da sole per guardarlo negli occhi.
“No.. hm.. non ti preoccupare. Faccio un po' di camminata, almeno.. mi tengo in forma”, buttò lì, declinando l'offerta. L'idea di stare in macchina con Newt lo faceva agitare più di quanto fosse consueto.
“Non essere stupido. Fra poco pioverà, ti beccherai un raffreddore”.
“Come..? Le previsioni davano sole!”.
Newt si limitò a scrollare le spalle, non dando nessuna risposta. “Allora? Sali di tua spontanea volontà o ti ci devo trascinare?”, lo incitò.
Thomas sospirò, sconfitto. Fece il giro dell'auto, salendo sul posto del passeggero, di fianco al biondo, che si rimise gli occhiali da sole sul naso.
“Non ti senti un po' deficiente ad andare in giro con gli occhiali da sole?”.
Newt rise all'insulto. “Mi piacciono”.
“Bah, contento tu..”.
Cominciò a piovere. Senza farsi vedere, ricontrollò le previsioni meteorologiche su Internet, trovando il disegno stilizzato del sole. Inarcò un sopracciglio. Come aveva fatto Newt a prevedere che avrebbe piovuto?
Magari visita un sito diverso dal mio, ipotizzò, lasciando perdere.
Quando passarono davanti al bosco, Thomas smise di respirare per un momento. Fissò gli alberi innevati, la distesa bianca che era il terreno. Il flash della lingua del lupo che gli leccava la guancia e la morbidezza del suo pelo, lo fecero rilassare. Si chiese se lo avrebbe mai rivisto.
“A cosa stai pensando?”.
La voce di Newt lo riportò alla realtà.
“..hm..?”, mugugnò, spaesato.
“Stavi fissando il bosco come in trance”, gli fece notare. “A cosa pensavi?”.
“Oh, uh.. a niente. Niente di particolare”, rispose, guardando la strada davanti a sé. Strinse le cuffie fra le dita, arrotolandole attorno all'iPod.
Niente di particolare”, ripeté Newt, in un tono strano. “Contento tu..”, gli fece il verso, facendogli roteare gli occhi.
Era un tipo simpatico, dopotutto. Un po' fastidioso, ma non così tanto. Decise che gli piaceva.
“A destra, poi sempre dritto”, gli indicò, riconoscendo la strada di casa sua. “Al semaforo a sinistra”.
In pochi minuti, fu sul vialetto di casa. Ringraziò e fece per scendere quando Newt gli afferrò il polso, facendolo voltare.
Erano a due centimetri di distanza. A Thomas venne la pelle d'oca al ricordo del lupo del giorno prima, che aveva messo il muso alla stessa distanza.
Sentiva il respiro caldo di Newt sul viso, come sentiva gli sbuffi del canide. Era come se la scena l'avesse già vissuta. Come se fosse un flashback.
“Io.. io dovrei entrare”, si ritrovò a sussurrare, gli occhi incollati alle labbra del ragazzo. “Sì, dovrei proprio entrare”, ripeté poi, più convinto.
Newt lasciò la presa sul suo polso. “Ti passo a prendere dopo”, gli disse, quando lui era già sugli scalini di casa sua.

Stava per ribattere, ma l'auto partì, lasciandolo di sasso sulla soglia di casa.

 

 

La serata al Burger King si rivelò.. interessante. Minho non la smetteva di parlare – come al solito – mentre Brenda non faceva altro che gli occhi dolci a Newt, sbattendo le ciglia ricoperte di fucsia. Aris e Teresa chiacchierano amichevolmente con il biondo, chiedendogli della sua infanzia e dell'Inghilterra.
“Io .. amo gli Inglesi!”, se ne uscì Brenda, masticando una patatina fritta e spalancando gli occhi.
“Ma sono tutti precisini”, replicò Minho. “E freddi”, aggiunse. Poi, fece l'occhiolino a Thomas. “Ieri eri proprio d'accordo con me, Rendy”.
Brenda arrossì. “Non dire.. cavolate, Minho!”.
Newt sogghignò, posando una mano sul ginocchio di Thomas, che sobbalzò. L'inglese si avvicinò al suo orecchio con le labbra. “Non fingere che non ti faccia piacere”, mormorò.
“Smettila”, mimò con le labbra, “di flirtare con me”.
Newt sorrise di nuovo, appoggiandosi allo schienale della sedia.
“Allora, ragazzi, che ne dite di andare subito alla pista di pattinaggio?”.
Thomas non aveva mai amato Teresa così tanto come allora.

 

 

Si strinse nella sua felpa, passandosi le mani sulle braccia, per scaldarsi.
Newt frenò davanti al vialetto di casa sua, come quel pomeriggio, girandosi per guardarlo in faccia. Non disse niente, limitandosi a poggiare una mano sul suo braccio. Spalancò la bocca quando sentì un calore improvviso invaderlo per tutto il corpo. Era come stare a contatto con un termosifone.
Dio, come fai ad essere così caldo?”, mormorò, tirandoselo addosso. “Sei una fottuta stufa”.
Newt ridacchiò, facendosi più vicino. “Ci sono molti altri modi in cui ti potrei trasmettere più calore di così”, sussurrò il biondo, strofinando la punta del naso fra i capelli mori dell'altro.
“Alt. Ehi”, lo avvertì Thomas. “Ti ho detto di smetterla di flirtare con me”.
“Sei tu che mi stai usando come calorifero”, si difese Newt. “Ho tutto il diritto di flirtare, dopo questo!”.
Thomas roteò gli occhi, districandosi dalla presa. “Grazie per il passaggio”. Aprì la portiera, uscendo dall'auto. Trattenne un lamento quando il freddo lo investì più di prima.
Corse fino alla porta d'entrata, tirando fuori le chiavi. Quando si girò, per salutare l'ormai amico, le sue ossa e i suoi muscoli si gelarono.
Newt aveva gli occhi gialli.
Sbatté le palpebre, confuso e spaventato. Quando riaprì gli occhi, l'auto stava sgommando via.

È la stanchezza, Thomas, si disse. È la stanchezza e quel dannato compito di biologia.

 

 

*

 


Il lupo tirò fuori la lingua, sdraiandosi a pancia in su.
Thomas rise di gioia, affondando una mano nel pelo del collo esposto e facendola scendere lungo la pancia.
“Sembri più un gatto che altro”, gli disse, continuando ad accarezzarlo. Poi, il canide starnutì, strofinando una zampa sugli occhi.
Con gli arti, fece stendere Thomas sulla schiena, come il primo giorno. Questa volta, si sdraiò accanto a lui, il muso di fianco alla sua testa e la zampa sinistra sul petto del ragazzo.
Chiuse gli occhi, cullato da quel respiro profondo. Il pelo dell'animale gli trasmetteva così tanto calore che fu tentato di togliersi il cappotto, rimanendo con la felpa e basta.
Si tirò più vicino al suo nuovo amico, cominciando ad accarezzargli le orecchie pelose. Gli occhi del lupo erano ambrati, e lo fissavano con quella che sembrava curiosità.
Poi, un pensiero gli attraversò la testa.
E se quel lupo fosse..- non finì neppure di pensarlo, scuotendo mentalmente la testa.
I lupi mannari non esistono, lo sanno tutti.
Il pelo è morbido e biondo, ma cerca di non pensarci. Dio, gli sembra di essere in un fottuto film di serie B, in cui l'essere umano fa amicizia – o s'innamora – di quello che crede un nuovo compagno di classe e poi boom, si scopre che è una creatura sovrannaturale. Centenaria.
Non era in Twilight, non c'era nessun vampiro o nessun licantropo – perché, semplicemente, non esistono, non esistevano prima e non esisteranno mai. Almeno, questo era quello che pensava Thomas. Come non esiste il Dottore di Doctor Who, non esistono neppure i lupi mannari. E un tizio che viaggia in una cabina blu gli sembrava più credibile di ragazzi che si trasformano in lupi giganteschi.
Il lupo si agitò, come se avesse sentito i suoi pensieri. Strofinò il muso sulla sua guancia, e gli sembrò di sentirlo sospirare.
Poi, le orecchie del canide si tesero, e in due secondi fu sulle quattro zampe. “Che succede?”, gli chiese Thomas, mettendosi a sedere.
Il lupo ringhiò a qualcosa nascosto fra gli alberi della foresta. Il ragazzo, spaventato, balzò in piedi, indietreggiando.
L'animale si girò verso di lui, il ringhio attenuato. Guardava ripetutamente lui e lo spazio dietro al suo corpo, facendo un segno con il capo.
Scappa.
Thomas indietreggiò sempre di più, nascondendosi dietro ad un albero. Non andò così tanto lontano da non sentire il ringhio che il lupo emise contro un altro della sua specie.
Rabbrividì, mentre un terrore cieco prendeva possesso del suo corpo. Dopo pochi minuti, si rese conto che non era spaventato per la sua incolumità.
Era spaventato per il lupo. Non voleva che gli succedesse qualcosa. Si sentì male solo al pensiero.
Degli ululati, altri ringhi. Poi il silenzio. Una sensazione di disagio afferrò lo stomaco di Thomas, stritolandolo.
Dopo quella che considerò una buona parte di tempo, uscì dal suo nascondiglio e vagò per il bosco, pronto a correre via a qualsiasi rumore.
Tornò dov'era prima con il lupo, non trovando nessuno. Camminò anche più in là. Non c'era traccia del suo amico.
Con la tristezza e la preoccupazione che gli inondavano il cuore, imboccò la strada di casa.

 

 

*

 


“Ehi, Thomas, cos'è quel muso lungo?”, gli chiese Minho, prima che entrassero a scuola.
“Ho dormito male stanotte”, rispose. Era una mezza bugia.
“Uh. Fatto le ore piccole con Isaac, eh?”, se ne uscì l'amico, facendo quel movimento con le sopracciglia, che gli faceva venire i brividi.
“Non farlo mai più”, disse, puntandogli un dito contro. “E no”, aggiunse. “Non ho fatto le ore piccole con N-Isaac”.
“Se lo dici tu.. comunque, Brenda ha deciso di darci un taglio. Ha capito che Isaac non è lontanamente interessato a lei”.
A quella notizia, Thomas si sentì sollevato. Si insultò da solo quando se ne rese conto. Si disse che era perché era preoccupato per Brenda: non voleva che soffrisse o che perdesse tempo così. Cercò di convincere se stesso, senza risultati. 
“Uhm. Be', buon per lei”.
Aprì il suo armadietto, infilandoci dentro i libri e tirando fuori quelli che gli servivano per la prima ora. Quando lo chiuse, si trattenne dall'urlare dallo spavento.
“Gesù Cristo!”, esclamò, una mano sul petto.
“Ehm, no, solo Isaac”, esordì Newt, sorridendo divertito. “Dovresti prendere un paio di occhiali”.
“Che cosa ti sei fatto?”, gli chiese immediatamente, avvicinando una mano al suo viso. Un graffio e qualche livido erano presenti sulla fronte, mentre un taglio più o meno profondo gli sfigurava una guancia.
“Hm, padre imbranato”, buttò lì. “Stavamo sistemando l'anta della cucina al piano di sopra e.. be', diciamo che mi ha fatto cadere dalle scale, inciampando a sua volta”.
Thomas corrugò la fronte, scettico. Passò un dito sul taglio della guancia, e Newt sibilò dal fastidio. “Scusa”.
“Niente. Ormai non fa neppure più male. Brucia e basta”.
Vedere in che condizioni era ridotto il viso di Newt, a Thomas venne in mente il lupo.
Con tutti i ringhi che aveva tirato ieri pomeriggio, c'era stato di sicuro uno scontro.
E se.. - Thomas, smettila!, si sgridò nella testa.
"Be', Tommy, vuoi andare insieme a me nella classe di Biologia, o spendere il nostro tempo divertendoci in molti altri modi?". 
Thomas sospirò. Il lupo era così dolce nei suoi confronti, mentre Newt non faceva altro che flirtare e fare allusioni sessuali nei suoi confronti. Non poteva essere quell'animale gentile che incontrava ogni pomeriggio nel bosco. E poi, i lupi mannari non esistono.
Lo ripeté per duecento volte nella testa, mentre camminava accanto all'amico.

 

 

*

 

 

In poco tempo, entrarono in una routine semplice e abituale.
Newt andava a prenderlo alle otto meno un quarto, per poi andare insieme a scuola;  tornavano insieme, sempre nell'auto del biondo. Thomas si faceva lasciare sul vialetto di casa, poi, quando l'auto e il suo guidatore erano ormai lontani, camminava fino al bosco. Aspettava cinque o dieci minuti, e passava il pomeriggio in compagnia del lupo.
Non gli diede mai un nome. Non era il suo animale domestico. Era un suo amico, forse quello più speciale che avesse.
L'idea che Newt fosse un lupo mannaro – lo stesso lupo con cui passava la maggior parte del tempo tutti i giorni – lo abbandonò pochi giorni dopo, ma mai del tutto. Certe volte, non poteva non notare come certi comportamenti di Newt rispecchiassero quello di un animale. Non che mangiasse solo carne cruda, ma quando la cucinava, la sua era sempre un po' al sangue. Erano cazzate del genere che lo facevano fermare a riflettere. Poi, era sempre, in qualche modo, protettivo, sia nei suoi confronti che in quelli dei nuovi amici che sei era fatto. Newt riusciva sempre a prevedere quando qualcosa stava per accadere o quando il tempo cambiava. Certe volte, in mattinate di sole, arrivava a scuola con l'ombrello. Quando gli veniva fatto notare, si giustificava dando la colpa al suo essere inglese, ma il moro sapeva che c'era qualcos'altro sotto. Ne era convinto, per qualche motivo.
Si ritrovò a passare sempre più tempo insieme a lui. Nonostante la diffidenza e la leggera antipatia che provava nei suoi confronti inizialmente, in poco tempo si rese conto che Newt era una persona fantastica. Si stava davvero affezionando a lui, e aveva questo brutto presentimento che la cosa non sarebbe finita bene.
Cercava sempre di non pensarci, ma tutto quello che riusciva a vedere alla fine del tunnel erano tante lacrime e basta.
E forse, anche una buona quantità di sangue.

 

Thomas stava sistemando i suoi libri nell'armadietto, quando un rumore di passi lo fece allarmare.
L'orologio appeso alla parete segnava le sette e mezza di sera, non c'era nessuno a scuola se non il guardiano. Era dovuto restare lì per una punizione datagli dall'insegnante di Biologia, per una cosa che non aveva fatto.
“Woah, guarda chi c'è!”, esclamò quello che riconobbe come Janson, il classico bullo della scuola. “Edison! Da quanto tempo, hm?”.
Ignorali.
Ignorali, non ti faranno niente. Non hanno il coraggio.
Chiuse l'armadietto, cominciando ad incamminarsi verso l'uscita.
“Dove pensi di andare, hm?”, chiese uno dei compagni di banda del bullo. “Noi non abbiamo neppure iniziato a divertirci!”.
Gli altri risero, e Thomas sentì una morsa di paura e fastidio ancorargli lo stomaco. Fece per sorpassarlo, ma il ragazzo lo prese per un polso, spingendolo indietro. Senza mollare la presa, glielo storse, facendogli cadere tutti i libri. Sentì lo schiocco dell'osso e  gridò dal dolore, mentre Janson si metteva dietro di lui. Gli tirò un calcio alle gambe, facendolo cadere sulle ginocchia.
“Hm, e qua si vede tutta la tua natura da frocetto”, commentò, facendo ridere gli altri. “Stai sempre appiccicato a Newton, eh? È il tuo ragazzo?”. Gli tirò un altro calcio, alla testa. Si sentì stordito, finendo completamente sul pavimento. “Pensa alla faccia del tuo bel fidanzatino quando ti troverà così, fuori dalla scuola, domani mattina!”, esclamò, facendo un sorriso forzato, palesemente finto, che andava da orecchio ad orecchio e mostrava tutta la sua malignità e stupidità. “Faremo in modo che sia il primo ad arrivare in questa merda di scuola, in modo da godersi lo spettacolino”.
“Hm, se fossi in Tommy, preferirei vedere la faccia del mio ragazzo mentre squarcia la gola a morsi a dei bulletti da quattro soldi codardi e vigliacchi”.
Thomas si girò verso la voce, tirando un sospiro di sollievo – non riuscì a trattenersi.
Newt era lì, appoggiato con la spalla al muro, che si guardava le unghie, non curante. Thomas, che aveva imparato a conoscerlo bene, riuscì a vedere come il nervoso scorresse dentro le sue vene, insieme al sangue.
“Oh, due in un colpo solo!”, gridò Janson, ai suoi amici. “Finiremo su internet, ragazzi; saremo gli eroi che hanno migliorato l'America cominciando a far fuori tutti questi frocetti di merda”.
Newt sbuffò una risata ironica. “Amico, non li vedi i telegiornali? L'America ama i froci. Li ama così tanto da produrre sempre più serie tv con scene porno fra due o più persone dello stesso sesso! O - vogliamo parlare della legalizzazione dei matrimoni gay in tutti i cinquanta stati? Penso che finireste tutti quanti su dei cartelli, con la faccia scarabocchiata da una X rossa, al prossimo gay pride”.
Janson lo fissò confuso. Il blaterare di Newt lo aveva fatto distrarre. Così, il biondo pensò più ai fatti.
E Thomas si sentì morire quando vide quegli occhi che pensava di conoscere in tutte le sfumature, diventare ambrati. Spalancò la bocca e ringhiò. Non fece un verso simile. Era un ringhio vero e proprio. Le zanne brillarono alla luce delle lampade, mentre Janson e gli altri mollarono la presa su Thomas e cominciarono a correre verso l'uscita, urlando. 
Newt, che non ritrasse né le zanne né fece cambiare il colore dei suoi occhi, si avvicinò a Thomas.
“No”, mormorò lui, strisciando indietro. “Ti prego – no”.
“Non ti farò del male, Tommy. Sono io”, disse, calcando l'ultima parola. “Sono Newt”.
Allungò una mano verso il suo viso. Thomas guardò gli artigli, poi gli occhi ambrati del suo amico.
Gli artigli freddi si posarono sulla sua guancia, facendolo rabbrividire.
“Sei conciato malissimo”.
Cercò di alzarsi in piedi, non riuscendoci. Le gambe gli tremavano e gli dolevano; si teneva il polso destro, cercando di muoverlo il meno possibile.
“Vieni qui”. Newt lo sollevò fra le braccia come se non pesasse niente, portandolo fuori dalla scuola.
"Dio, sono così imbarazzato”, si lasciò sfuggire Thomas.
Newt lo guardò confuso. “Come, scusa..?”.
“Mi stai portando in braccio. Come una fottuta ragazza”.
“Tu mi stai dicendo che, dopo essere stato picchiato e dopo aver scoperto che sono un lupo mannaro, l'unica cosa di cui ti preoccupi è che ti sto portando in braccio?”.
“Non ho detto questo!”, replicò Thomas. “Sto dicendo che è imbarazzante. E, per tua informazione, avevo già qualche sospetto”.
Newt lo lasciò giù, aiutandolo ad entrare nella sua auto. Gli chiuse la portiera, salendo poi sul sedile del guidatore. Mise in moto la macchina, prima di girarsi a guardarlo. “Oh, lo so”.
Thomas non si era ancora reso conto del tutto che Newt era un lupo mannaro. Uno vero. E che quelle creature esistevano veramente.
Senza pensarci, avvicinò una mano ai capelli dell'amico. Esitante, la immerse in quei fili biondo cenere.
Li trovò morbidi. Morbidi come il pelo del lupo con cui passava la maggior parte dei pomeriggi. Era lui. Lui era il lupo. Cristo.
Quando superarono il vialetto di casa sua, Thomas corrugò la fronte. “Dove stiamo andando?”.
“A casa mia”, rispose. “I miei genitori sono via fino a dopo domani. Sono andati da mia zia in Inghilterra, da ormai cinque giorni”.
“Se me lo dicevi.. ti ospitavo a casa mia, magari”.
Newt ghignò. “Mi piace stare in casa da solo. Sai, dopo che nascondo per tanto tempo le zanne, cominciano a farmi male”, spiegò. “Da solo, posso girare per casa per quello che sono veramente”.
Thomas deglutì rumorosamente. “Potresti..”. Prese un bel respiro, guardando fuori dal finestrino e ritiraendo la mano. “Potresti farlo anche ora. In auto. "Tanto, a quest'ora, penso che non ci sia nessuno in strada”.
Il biondo spalancò gli occhi, sorpreso. “Me lo lasceresti fare?”.
Thomas sospirò. “Sì, Newt. Sei.. quello che sei. Mia nonna mi ha sempre detto di non vergognarmi di quello che sono. E.. tu sei un licantropo. Non devi vergognartene”.
Cosa sono, magari. Penso che tua nonna che non comprendesse l'essere un dannato mostro, nella sua frase”.
“Oh, andiamo! Tu non sei un mostro, mettitelo in quella cazzo di testa”.
Newt sembrò ancora più sorpreso. Accostò la macchina, girandosi verso di lui. “Sono un dannato licantropo, Tommy. Una di quelle creature di cui tutti hanno una dannata paura! Ci fanno film horror sulle persone come me!”.
Thomas rimase senza parole.
“Non fraintendermi. Certe volte, amo essere un lupo mannaro. Sono più forte, più veloce, più.. affascinante? Sì, penso di sì. Riesco a sentire e vedere meglio. Ma, altre volte.. non vorrei altro che essere come te”, confessò. “Un essere umano, Tommy. Un dannato essere umano”.

Il moro non disse niente, guardando davanti a sé. Si sentiva inutile, impotente. Newt rimise in moto l'auto, senza aggiungere una sola parola.

 

“Prendi il mio letto, io dormo sul divano”, gli disse Newt, dopo cena.
Non si era mai sentito così a disagio in sua compagnia. Aveva mangiato poco, spilucchiando la pasta. Il polso destro era fasciato, e Newt gli aveva disinfettato la ferita sul suo labbro e sul suo mento. Il lupo aveva fissato tutto il tempo la porta della cucina, le braccia incrociate e la mente lontana. 
“No, non se ne parla”, protestò Thomas, afferrando la coperta dalle mani del biondo e dirigendosi verso il divano nero, di pelle.
“Non posso lasciarti dormire sul divano”, insistette Newt.
“Allora dormi insieme a me”.
Cercò di non portarsi una mano alla bocca, mordendosi il labbro dal nervosismo. Newt sembrò preso di sorpresa. Poi, sospirò.
“Okay. Va bene”.
Si diresse verso le scale, salendo al piano superiore. Thomas prese un bel respiro, l'ennesimo della giornata, seguendolo.
Era la prima volta che Thomas vedeva la camera di Newt.
I muri erano dipinti di rosso, e una grande libreria campeggiava per la maggior parte del muro. Poster di varie band o film, erano appesi alle pareti e un grande giradischi era vicino alla scrivania. Thomas ci si avvicinò.
“Funziona?”.
Newt annuì. “Preferisco ascoltare la musica lì, piuttosto che nel lettore cd”.
“Ma.. scusa la domanda.. quanti anni hai?”.
Newt rise, buttando la testa all'indietro. “Non faremo questa conversazione!”, disse. “Davvero! Ho diciassette anni”.
“Oddio, mi sembra la parodia di Twilight..”, commentò Thomas, ridacchiando.
“Be', io mi trasformo in un lupo.. ma niente a vedere con Stephenie Meyer”.
Risero entrambi, ritrovando parte della complicità persa.
“No, ma.. seriamente, quanti anni hai?”.
“Diciassette come te, Tommy”, rispose quello, roteando gli occhi.
“E vivrai per sempre?”.
Il licantropo aprì un cassetto, ignorando la sua domanda, lanciandogli un paio di pantaloni della tuta, una maglietta anonima e un paio di mutande. “Vai pure a farti una doccia”, gli disse, indicandogli il bagno.
Il moro annuì, lasciando cadere il discorso, prendendo i vestiti e dirigendosi dove l'amico gli aveva indicato.
Si prese il suo tempo, rilassando i nervi sotto il getto caldo della doccia. Cercò di baganre il meno possibile la fasciatura, avvolta da una busta di plastica.  Non usò nessun bagnoschiuma di quelli presenti, limitandosi a darsi una sciacquata. Uscì dalla doccia completamente rilassato, e si sentì a casa.
Infilò i vestiti che Newt gli aveva offerto, uscendo dal bagno.
Quello che vide sul letto, lo fece urlare di sorpresa. “Newt – Cristo santo”.
Il lupo gli rivolse uno sguardo che sembrava mortificato, scendendo dal letto e dirigendosi verso di lui. Thomas si sedette per terra a gambe incrociate, mentre l'animale – Dio, Newt – strusciava il muso sul suo collo e sulla sua guancia. Lo leccò più e più volte, prima di tirarsi indietro.
Thomas lo accarezzò, avvicinando il viso al muso dell'amico. “Ti amo”, si lasciò sfuggire. Erano due parole che non aveva mai pensato, in compagnia di Newt. Erano semplicemente uscite dalla sua bocca, e rimase quasi shockato quando si rese conto che erano vere, sincere. Dio, amava Newt e il lupo. Li amava entrambi. 
Il lupo sembrò capire, fissandolo con gli occhi ambrati spalancati. Ululò, prima di ritrasformarsi. Thomas aveva la bocca aperta, mentre il lupo diventava sempre di più umano.
Newt lo fissò, avvicinandosi al suo volto come aveva fatto Thomas giusto qualche minuto prima. Lo baciò, circondandogli il viso con le mani, gli artigli che scattarono.
Thomas aprì gli occhi, trovando quelli gialli di Newt. “Mi ami?”, chiese quest'ultimo, fissandolo come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
L'umano annuì, confermandolo un'altra volta. Era una cosa naturale da dire. Amava il lupo e si era innamorato anche di Newt.
Dio, Tommy, questo non dovevi dirlo”.
Dopo quest'ultima affermazione, Newt lo sollevò, trascinandolo a letto. Lo fece sdraiare sulla schiena, baciandolo ancora sulle labbra.
“Il lupo sta ululando”, confessò, il respiro corto.
“Cosa.. cosa significa?”.
“Significa che ti ha scelto come compagno, Tommy”.
Questi spalancò gli occhi. “I lupi sono..”.
“Monogami, sì”, completò il biondo per lui.
Gli vennero le lacrime agli occhi. “Mi hai scelto per tutta la vita”.
Newt annuì. “Sì, Tommy”, confermò. “Ti ho scelto per tutta la vita”.

 

*

 

Era strabiliante come le cose fossero cambiate in pochi giorni.
Dopo la realizzazione che Newt era un lupo mannaro e che aveva fatto di lui il suo compagno, stargli lontano era ancora più difficile di prima.
Finivano per passare la maggior parte del tempo insieme, sia a casa che a scuola. Newt sapeva essere molto persuasivo, ed era riuscito a convincere la segretaria a cambiargli tutti gli orari, in modo da stare con Thomas tutto il giorno. Quest'ultimo non poteva che esserne onorato.
Quel giorno erano seduti al tavolo della mensa, e Minho stava blaterando qualcosa su un film che era andato a vedere con suo cugino, quando Newt s'irrigidì sulla sedia.
Thomas se ne accorse, voltandosi verso di lui, uno sguardo interrogativo dipinto sul viso. “Newt, che succede?”, gli chiese.
Minho si fermò dal parlare, guardando preoccupato i due.
“Stanno parlando di te”, disse Newt, quasi in un ringhio.
“Chi?”.
Il licantropo indicò con un cenno della testa il tavolo al centro della mensa, quello delle 'persone popolari'. Era composto dalle cheerleaders e dalla squadra di lacrosse della scuola.
“Non m'importa cosa dicono”, replicò Thomas, alzando le spalle.
“A me sì”, insistette Newt. “Soprattutto quando fanno commenti inappropriati”.
“Newt, calmati”.
Il ragazzo non gli diede ascolto, e Thomas soffocò un grido di sorpresa quando vide gli artigli scattare nella mano nascosta sotto al tavolo, posata sul suo ginocchio. Si rese conto che stava diventando anche più caldo.
“Newt- Newt, ti devi calmare. Non puoi farlo davanti a tutti”, gli sussurrò, così piano che nessuno al tavolo riuscì a sentirlo, se non il diretto interessato. 
“Stanno parlando di qualcosa che è mio. Solo mio”, continuò il lupo mannaro. “Non posso ignorarli, non si devono permettere di sputare una parola su di te, chiaro?”.
Okay, adesso Thomas stava cominciando ad avere paura.
“Isacc, basta”, disse, in tono fermo, ingoiando il terrore sempre più crescente. “Smettila!”.
Lo sguardo di Newt si rischiarò e gli artigli svanirono. Si girò verso Thomas, che aveva gli occhi puntati nei suoi.
“Scusa”, mormorò, seppellendo la testa nel suo collo. “Scusami tanto, non- Dio”.
“È tutto okay”.
“Il tuo battito cardiaco – posso sentirlo. Ti ho spaventato”.
“Non così tanto. Stai tranquillo”.
Gli altri ragazzi al tavolo avevano ricominciato a parlare, non origliando più. Thomas fu grato di questo: ci mancava solo che venissero a sapere qualcosa che andava tenuto segreto.
“Usciamo?”, propose, al suo ragazzo, intrecciando le dita con le sue. “La prossima ora è quella di ginnastica e ho voglia di saltarla”.
Newt annuì vigorosamente, alzandosi e tirando su anche Thomas.
“Noi usciamo. Saltiamo l'ora di ginnastica”, informò gli altri, prendendo lo zaino.
Minho e Aris alzarono il pollice in su, mentre Teresa e Brenda li salutarono con le voci allegre.
Uscirono dalla scuola, attenti a non farsi scoprire, andando nel giardino sul retro. Non ci andava mai nessuno, visto che quello principale era più rigoglioso e grande. Andarono sotto ad un albero, nascosti da occhi indiscreti.
Appena si sedettero, Newt rilasciò andare le zanne, sospirando di sollievo. Gli occhi divennero ambrati come sempre, e gli artigli scattarono un'altra volta. Thomas, però, non aveva paura. Aveva imparato ad amare ogni cosa di Newt, sia del lupo che dell'umano.
Si rilassò fra le sue braccia, sospirando felice. Gli avvenimenti di qualche minuto prima erano già stati dimenticati da entrambi.
Newt seppellì il naso nei capelli mori dell'umano, stringendolo a sé.
“Cosa comporta, essere il compagno di un licantropo?”, chiese Thomas, curioso. “Un compagno umano, intendo”.
“In che senso?”.
“Mi.. ehm..mi dovrai trasformare?”, chiese, spaventato dalla risposta.
“No, se non lo vuoi”.
“Ma voi siete immortali. Tu vivrai per sempre, Newt. Io morirò, prima o poi”.
Newt sospirò, non volendo avere quella conversazione – né in quel momento, né mai. “I compagni dei lupi mannari si dividono in tre categorie: Alpha, Beta e Omega, come la nostra stessa specie”, cambiò discorso.  Ogni volta che decideva di raccontargli di più della sua specie, Thomas si elettrizzava. Voleva sapere e conoscere tutto.
“Tu cosa sei?”.
“Sono un Beta. Seguo gli ordini del capo del mio branco, un Alpha”.
“E io.. io cosa sono?”.
“Un Beta, come me. Siamo legati, il mio status sociale è anche il tuo”. Il suo tono di voce fece intendere a Thomas che la conversazione era finita.
Chissà perché non ne vuole parlare, si chiese. In un modo o nell'altro, devo sapere tutto quanto. Dannazione, c'è anche la mia vita di mezzo.
Rabbrividì al pensiero, chiudendo gli occhi e addormentandosi fra le braccia del suo compagno.

 

 

Mancavano dieci ore alla luna piena.
Thomas era preoccupato, ma non quanto Newt.
“Mi vuoi dire cosa succede durante la luna piena?”.
Il licantropo sospirò, affondando gli artigli nei palmi delle mani. “Per un lupo mannaro che ha già scelto il compagno, passare la luna piena da solo è.. è quasi come essere dilaniato vivo”.
“Be', problema risolto: passerò la luna piena con te”.
Newt ringhiò, ma lui non fece una piega, sedendosi per terra a gambe incrociate. “Non capisci? Se passi la notte di luna piena con me, ti farò del male. Lui ti farà del male”.
“Lui.. intendi il lupo, vero?”.
Newt annuì, gli occhi ambrati che lo fissavano doloranti. “Non ho il controllo del lupo, durante la  luna piena. Ti ritiene il suo compagno. Tenterà di violentarti, di farti suo. Di sua proprietà, in modo che nessuno possa metterti le mani addosso. Marcherà il suo territorio”.
Thomas prese un respiro profondo, avvicinandosi di più al ragazzo. Gli prese le mani, portandosele alla bocca. Baciò ogni artiglio, ogni nocca e ogni dito. “Va bene”, mormorò, poi. “Mi va bene diventare il compagno ufficiale anche del lupo, Newt”.
“Non sai cosa vuol dire”, gemette l'altro, sofferente. “Non posso- non posso permetterlo. Rischierei di trasformarti, Tommy. Di farti diventare come me- e so che non lo vuoi. Almeno, non ora. Non vuoi diventare un licantropo e io non posso correre il rischio”.
“So prendere le mie decisioni da solo, Newt”.
Non sai cosa vuol dire!”, urlò, scattando avanti.
Thomas si ritrovò sdraiato sulla schiena, Newt sopra il suo corpo, che si reggeva con le braccia tese accanto alla sua testa. Aveva gli occhi socchiusi e un'espressione sofferente sul viso. Scostò qualche ciocca di capelli mori con un artiglio, avvicinandosi poi con le zanne. Passò le zanne sulla pelle del suo viso, facendole appena sentire. Scese lungo il collo, baciandolo. Tracciò una linea di saliva con la lingua dalla base fino all'orecchio. Posò le labbra su di esso.
“Non farmelo fare, Tommy”, implorò, quasi. “Non permettere al lupo di farti male. Non voglio che la tua prima volta sia così, violentato da un mostro. Voglio essere umano, voglio avere il controllo delle mie azioni e sentire ogni tua emozione”.
Thomas gli prese il viso fra le mani, avvicinandolo al proprio. Newt aprì gli occhi, guardandolo con quello che lui sentiva che fosse amore. “Okay”, sussurrò. “Va bene. Non farò niente”.
Newt sospirò di sollievo.
“Ma”, aggiunse Thomas. “La prossima luna piena, la passeremo insieme. Che tu lo voglia o no”.
“Tommy-”.
“Io ho scelto anche il lupo, Isaac. Ho scelto anche lui. Ho scelto te, in qualsiasi tua forma. Sono il tuo dannato compagno per la vita”.
Non dissero più niente. Restarono sdraiati sul pavimento dello scantinato della casa di Newt per tutto il pomeriggio, fino a quando il sole non tramontò.
Thomas baciò Newt sulle labbra, ispirando il suo profumo. “Ti amo”.
Il licantropo lo strinse a sé, prima di intimargli di andarsene. “Ti amo anch'io”, disse quando ormai aveva la mano sulla maniglia della porta.
Thomas gli sorrise leggermente, uscendo dallo scantinato. Lo sentì salutare sua madre, poi, il vuoto.
La luna piena sorse ventiquattro minuti e cinquantaquattro secondi dopo.
E lì, fu solo dolore.

 

Nei due giorni seguenti, Newt restò nello scantinato, a graffiarsi le braccia e il petto nudi, sentendo l'agonia della prima luna piena da licantropo legato, passata senza compagno.
“Tesoro, stai bene?”, chiese sua madre, aprendo la porta e scendendo le scale. I tacchi ticchettavano sul pavimento sporco di sangue.
S'inginocchiò verso il figlio, passandogli una mano sul braccio. Scendeva per vedere come stesse ogni trenta minuti.
Newt scosse la testa, dolorante. Sentì un po' del dolore scivolare via dal suo corpo, gemendo.
Sua madre gliene stava portando via un po', per fargli sentire anche il minimo sollievo.
“Basta”, mormorò, fermandola. “Fra poco passerà”.
“Perché non hai permesso a Thomas di passare la luna piena con te?”.
Prese un respiro per cercare di parlare, sentendo tutte le costole tendersi. Fece una smorfia di dolore. “È umano, mamma. Avrei rischiato di ucciderlo”.
“Oh, tesoro, sai che non è così”, gli disse la donna, tirandolo su e appoggiandogli la schiena al muro freddo. “Sei un lupo così bravo, Isaac”.
“Avrei perso il controllo, e non voglio fargli del male”, ribadì, con fatica.
Si sentiva meglio, con la presenza della madre accanto a sé.
“Continuo a dire che non è vero. Hai sempre trattato Thomas con gentilezza e rispetto, anche il lupo lo adora. Lo adorate entrambi”.
“Il lupo è possessivo. Avrebbe finito per ucciderlo”.
“Il lupo è innamorato, non possessivo”.
Newt non replicò, chiudendo gli occhi e facendo dei respiri profondi. “Sta passando”.
Sua madre fece per avvicinare la mano di muovo, ma lui la scansò. “No. Guarirò da solo”.
Sua madre sorrise, accarezzandogli i capelli biondi. “Sono così fiera di te, Isaac. Davvero, davvero, fiera di te”.
Detto questo, si alzò e salì le scale, uscendo dallo scantinato.
Newt pianse; il lupo ringhiò.

 

*

 

Ventidue ore dopo, la porta dello scantinato si aprì di nuovo.
Newt alzò la testa in direzione della luce. Inspirò, gemendo di felicità quando riconobbe l'odore.
“Tommy”, soffiò, alzandosi in piedi. I suoi occhi riuscivano a vedere perfettamente anche al buio, e si sentì sollevato quando vide quei capelli neri e quel viso che adorava.
Lo raggiunse, circondandogli la vita con le braccia e seppellendo il viso nell'incavo del suo collo. “Mi sei mancato”.
“Anche tu. Tantissimo”, rispose Thomas, e Newt fu così felice di sentire la sua voce che quasi rischiò di svenire. “Dio, puzzi”, disse poi, ridendo. “Andiamo a farci un bagno, lupetto”.
Newt storse il naso al soprannome, seguendo comunque il compagno. Annusò l'aria, notando che sua madre e suo padre erano fuori casa.
Thomas lo trascinò su per le scale, tenendolo per mano. Una volta in camera sua, Newt fece per buttarsi sul letto, ma Thomas lo fermò.
“Prima il bagno. Altrimenti dovrò cambiare le lenzuola”, gli ordinò, un dito puntato sul suo petto.
Il licantropo sorrise lievemente al tono. Thomas era un degno compagno.
Il ragazzo si diresse in bagno, aprendo l'acqua della vasca. Versò dentro il bagnoschiuma, per far uscire le bolle. Si tolse le scarpe e le calze, abbandonandole in un angolino, prima di tornare in camera.
Newt lo fissava con curiosità e aspettativa. Dopo la devastante luna piena, voleva passare più tempo possibile con Thomas, in tutti i modi possibili.
L'umano si avvicinò, passando le dita sulle clavicole e sui bicipiti. La mano scivolò giù lungo il petto, e il lupo implorò per un contatto più possessivo.
Newt lo zittì. In quel momento non erano licantropo e compagno umano, ma erano solo due ragazzi che si amavano, sovrannaturale a parte.
La mano di Thomas cadde sulla sua cintura, che cominciò a slacciare. Una volta tolta, la buttò sul letto, prendendolo poi per mano e trascinandolo in bagno, dove l'acqua aveva raggiunto un livello ragionevole. Chiuse il rubinetto, girandosi verso il compagno e togliendogli i pantaloni, seguiti dai boxer neri che indossava. Gli lasciò una lunga occhiata di apprezzamento lungo tutto il corpo. Poi, gli fece segno di entrare nella vasca, prima di cominciare a togliersi lui stesso i vestiti.
Newt non si mosse, continuando a fissarlo.
“Vuoi un invito scritto o cominci ad entrare? Arrivo subito”, disse, ridacchiando. “E puoi comunque guardarmi da lì”, aggiunse.
Il biondo sembrò riprendersi, entrando nella vasca e sedendosi. Thomas si tolse gli ultimi indumenti, sedendosi dietro Newt, le gambe che gli circondavano la vita. Si allungò prendendo il bagnoschiuma profumato e spalmandoselo sulle mani. Posò i palmi sulle spalle di Newt, cominciando a massaggiare. Sciolse tutti i nervi, e il ragazzo gettò la testa indietro, appoggiandola alla sua spalla. “Sei teso,”, gli fece notare. “È ancora per la luna piena?”.
“È stata abbastanza devastante, sì”, confermò l'altro.
“Dio, è tutta colpa mia. Dovevo passarla insieme a te, invece me ne sono andato”.
“Te l'ho chiesto io”.
“Lo so, ed è per questo che sei un completo idiota”.
Newt sbuffò una risata, girando il volto per baciarlo sulle labbra. “La prossima luna piena”, promise, anche se non del tutto convinto.
“La prossima”, ripeté Thomas, tornando a massaggiargli le spalle.
Restarono in silenzio per la maggior parte del tempo che seguì; gli unici rumori nella stanza erano quelli dei loro respiri e dell'acqua che si muoveva ad ogni loro movimento.
Newt aveva ancora la testa appoggiata alla spalla di Thomas, che lo abbracciava stretto. Era un sollievo riaverlo lì, dopo due giorni e mezzo passati in agonia. Thomas passò le mani sul suo petto, pulendogli le ultime tracce di sangue – che era fuoriuscito dai graffi che si era fatto durante la luna piena, completamente rimarginati – e di sudore, ispirando poi l'odore della sua pelle profumata.
Lo risciacquò con l'acqua intorno a loro, prima di prendere lo shampoo. Aveva posizionato tutti i prodotti sul bordo della vasca, in modo di non dover spostarsi o alzarsi per prenderli. Ne spremette un po' sulla mano, prima di cominciare a spalmarlo sulla testa del compagno, accarezzandogli i capelli e modellandoglieli, come si fa con i bambini piccoli. Rise, alzandoglieli tutti ritti in piedi. Ricevette un colpetto offeso sul braccio, ma notò che anche Newt sembrava divertito.
Lasciò un bacio rumoroso sulla sua guancia, ridendo allo schiocco. Glieli risciacquò, massaggiandoglieli.
“Ecco, ora sei tutto bello pulito e profumato”, gli disse, stringendolo a sé.
“Grazie, mamma”, rispose l'altro, sogghignando.
“Mh, pensavo che avessi tanti kink, ma quello della mamma non me lo aspettavo proprio da te”.
Newt si girò, prendendogli il mento fra le mani e baciandogli le labbra. “Se magari hai finito di trattarmi come un bambino, posso mostrarteli tutti”.
Thomas gli tirò un colpo sul braccio. “Devi riposare, domani c'è scuola”, gli disse. “E sei stanco. Per quanto mi piacerebbe, credimi, hai bisogno di recuperare le forze”.
“Sono un lupo mannaro, posso resistere giorni senza riposare”, insistette Newt, strusciando il naso sul suo collo.
Thomas gemette, prima di riscuotersi. “Fuori, ora”, ordinò. “E andiamo subito a dormire, okay? Resto qua con te, ho portato anche il pigiama”.
Newt sbuffò, prima di annuire.
Dopo essersi asciugati e vestiti, tornarono in camera. Thomas sbadigliò rumorosamente, buttandosi sul letto e facendo segno al ragazzo di sdraiarglisi accanto.
“Sarebbe bello dormire con te trasformato”, buttò fuori l'umano, accarezzandogli i capelli. “Ma preferisco così. Anche se ho un debole per il lupo. Penso di adorarlo”.
Newt si sentì felice come non mai: Thomas amava la parte mostruosa, animale, di sé. Thomas lo amava, amava tutti e due.
Il lupo fece le fusa.

 

 

*

 


“Dove state andando?”, chiese Thomas, rivolto ai suoi genitori.
“Cena di beneficenza”, gli ricordò suo padre, aggiustandosi la cravatta. “Io e tua madre staremo fuori anche la notte, Sally e John ci hanno invitato a restare a casa loro”.
“Ti ho lasciato degli avanzi di pizza nel microonde, devi solo accenderlo”, gli disse sua madre, avvicinandosi per baciare l'aria delle sue guance. “Rossetto”, si giustificò.
Suo padre uscì di casa, grugnendo un saluto, a braccetto con sua madre.
Appena la porta si chiuse, Thomas sfrecciò su per le scale, in camera sua. Newt era già seduto sul letto, che sfogliava un libro preso dalla mensola.
“Come- sei entrato dalla finestra, vero?”.
Il licantropo annuì. “Non sono come i vampiri, non ho bisogno di essere invitato in una casa per entrarci”.
Fu lì che si rese conto che Newt non era mai entrato in casa sua, figurarsi nella sua camera. Era sempre stato Thomas ad andare da lui, sia a cena che comunque a dormire. Forse perché i genitori del biondo erano molto più comprensivi, essendo a loro volta lupi mannari legati.
“I vampiri esistono?”.
Il ragazzo scosse la testa. “Si sono estinti molti decenni fa. I cacciatori hanno fatto una strage. Però, secondo me, alcuni sono sopravvissuti. Ho sentito storie.. raccapriccianti, nelle Amazzoni”, spiegò. “Mh, comunque non è più un mio problema, anche se vorrei tanto scoprire la verità e trovarne qualcuno, capisci?. Lupi mannari e vampiri andavano particolarmente d'accordo. Alcuni erano pure i consiglieri degli Alpha di qualche branco”.
“I tuoi genitori ne hanno mai visto uno?”.
Era curioso, dannatamente curioso. Ora che era a conoscenza dell'esistenza di creature sovrannaturali, non poteva fare a meno che chiedere per saperne sempre di più.
“Mia madre. Al liceo”, rispose. “Erano amici. Si chiamava Jack, è stato lui a far conoscere i miei genitori”. Il sorriso che si era formato sulle sue labbra si trasformò in una smorfia. “I cacciatori lo catturarono vivo. Ho sentito che ci fecero degli esperimenti, sul suo corpo. Mia madre e mio padre avevano tentato di salvarlo, invano. Hanno ritrovato la sua testa e il suo braccio nel loro giardino, quando ancora abitavano in Francia”.
Thomas spalancò la bocca, alla rivelazione. “È.. orribile. Perché mai dovrebbero fare questo?”.
Newt scrollò le spalle in risposta. “Sono spaventati dalle cose che non conoscono. Ora che i vampiri sono stati apparentemente eliminati, siamo noi i prossimi della lista. Smaniano dalla voglia di collezionare le nostre dannate zanne”. Appena finì la frase, mostrò le sue, ringhiando.
Thomas non riuscì a trovare le parole per replicare qualcosa. Si sedette accanto a lui sul letto, stringendogli la mano. Con l'indice dell'altra, gli accarezzò il viso. “Qui sei al sicuro”, bisbigliò, al suo orecchio. “Nessuno ti farà mai del male, Newt”.
Lui sorrise, passandogli una mano sulla guancia, in una carezza. “Non è questo che mi preoccupa”, rivelò.
“E allora cosa?”.
Newt distolse lo sguardo, girandosi verso la finestra e guardando fuori, lontano. “Sanno come catturare un lupo mannaro”, rispose, prendendo un bel respiro. “Catturando il loro compagno”.
Thomas rabbrividì dal terrore, spalancando gli occhi.
“I lupi mannari legati sono diversi da quelli ancora.. scapoli. Diventano più forti, più determinati”, continuò. “Ma”, aggiunse, “hanno anche un punto debole, che quelli scapoli non hanno”.
“Il loro compagno”, mormorò Thomas.
“Esatto. E i loro cuccioli. Tocchi il figlio o il compagno di un lupo mannaro, e sei morto per tutti quelli della nostra specie”. Una mano raggiunse quella del moro, stringendola. “Non succederà a noi, Tommy”.
“Certo, io non posso avere figli. Non toccheranno i nostri cuccioli perché non esisteranno”, borbottò lui, ridacchiando per sdrammatizzare.
Newt sorrise, prima di tirarlo su in piedi. “Andiamo a vedere un film, ti va?”.
L'Uomo Lupo?”, propose Thomas. Newt gli diede un colpetto con la mano sul braccio, facendolo ridere. “Okay, allora L'alba dei Morti Viventi. Non ci sono lupi mannari, lì”. Fece una pausa. "Gli zombie esistono?". 
"Tommy, stai zitto". 

 

 

Dormire con il lupo era come dormire con una stufa. Il pelo gli teneva così caldo che non aveva bisogno neppure delle coperte, nonostante fossero in pieno Febbraio.
Newt gli leccò la guancia, facendogli il solletico. Era un modo per marcarlo, per lasciargli il segno indelebile della sua presenza sul corpo. Thomas non vedeva l'ora della prossima luna: voleva legarsi ufficialmente al lupo mannaro, in tutti i modi possibili. Voleva essere a tutti gli effetti il compagno Beta del suo lupo.
Affondò il viso nella pelliccia del lupo, ispirando profondamente. Profumava di aghi di pino, di inverno e di Newt. Il suo bellissimo e stupendo Newt, il suo ragazzo.
Il lupo ringhiò, ma Thomas non fece una piega; toccò le zanne con le dita, facendole poi scivolare sul muso. Newt abbassò la testa sul suo collo, cominciando a leccarlo. Con le zampe stracciò il tessuto della maglietta che usava come pigiama, e Thomas lo aiutò a toglierglielo dalle spalle. Una volta buttata lontano, il lupo tornò a leccargli la pelle, mordendo delicatamente quella del petto. Il ragazzo gemette, inarcando la schiena.
“Newt, Dio, se non ti trasformi ora giuro che me ne vado”, riuscì a dire con difficoltà.
E poi, non c'era più pelliccia, ma pelle calda. Newt tornò su con le labbra, baciandolo sulla bocca.
Non fu come Thomas si era sempre aspettato.
C'erano occhi gialli, zanne, artigli che si sentivano a malapena sulla pelle, facendolo gemere e rabbrividire. Fu meno animalesco di quanto si era mai aspettato da quando stava con Newt, ma d'altronde la luna piena era ancora molto lontana.
Il lupo mostrò tutto il suo lato possessivo, lasciando marchi ovunque sul suo corpo. Non che a Thomas non facesse piacere, anzi.
In quegli ultimi anni, non si era mai immaginato a perdere la verginità con un ragazzo, ma, dopotutto, non credeva neppure nei lupi mannari – e si era ritrovato ad essere il compagno di uno di loro.
Quando sentì le zanne affondare nella pelle delicata della sua gola, si sorprese. Si era aspettato di tutto, ma non quello. Non un morso.
Ma non ci fu spazio per la preoccupazione. Si fidava di Newt. Ciecamente. Gli avrebbe affidato la sua stessa vita tra le mani, e il biondo era a conoscenza dell'incertezza di Thomas sul voler diventare come loro.
Non l'avrebbe mai morso per trasformarlo contro la sua volontà. Non era così che Newt si comportava, e nemmeno il lupo.
Non era così che un licantropo si comportava nei confronti del proprio compagno. E Newt non era l'eccezione.

 

“Mi dispiace, per quello”, si scusò il licantropo, il respiro ancora altalenante. Passò l'indice sulla pelle morsa, prima di avvicinarsi e sostituirlo con la lingua. “Così dovrebbe guarire più velocemente”.
“Non mi trasformerò, vero?”.
“No. Per chi mi hai preso, Tommy? Non l'avrei mai fatto contro la tua volontà, dannato idiota”.
Thomas si sentì rassicurato, e poggiò la testa sul petto niveo dell'altro, abbracciandolo. Sospirò, felice. “Durante la prossima luna piena non sarà così, vero?”.
Sentì Newt scuotere la testa in segno di negazione. “Non sei obb-”, cominciò, ma venne interrotto da Thomas, che alzò lo sguardo verso di lui. “Voglio”, insistette. “So che sarà più.. rude, ma so che il lupo non mi farà del male. So che tu non mi farai del male”.
“Mai”, promise, gli occhi gialli specchiati nei suoi.
Thomas si perse ad osservare gli artigli della sua mano sinistra, baciandone ciascuno. “Sei così bello, Newt. Così bello”, sospirò, lasciando un bacio su un artiglio bianco. “Il mio lupo”, bisbigliò poi, sorridendo subito dopo. “Il mio lupo”, ripeté, la voce più alta.

 

Il suo lupo.

 

 

*

 


La luna piena stava sorgendo. Era questione di minuti, ormai.
Newt lo guardava preoccupato, mentre Thomas aspettava seduto accanto a lui, sul pavimento dello scantinato di casa Newton.
I genitori del ragazzo erano usciti, pur restando nei paraggi, per evitare possibili tragedie.
“Sei sicuro, Tommy?”.
Il moro annuì. “Dannatamente sicuro”.
Newt annuì, poco convinto. “Scusami in anticipo”.
La luna sorse, e il licantropo trattenne il respiro. Gettò la testa all'indietro, ululando. L'ululato si trasformò poi in un ringhio basso, minaccioso, rabbioso.
Poi, si trasformò.

 

 

*

 


Era marchiato.
Marchiato a vita.
Era il compagno Beta di un lupo mannaro Beta. Ufficialmente. Il suo odore era cambiato, risultando intoccabile. Newt non gli si staccava da dosso un attimo, e non poteva dire che gli dispiacesse. Passavano tutta la giornata insieme, ed era quasi comico pensare che, per i lupi mannari, loro equivalevano ad una coppia di persone sposate.
Brenda e gli altri non fecero commenti sul loro improvviso comportamento, limitandosi a fare versi fintamente schifati – Minho, più che altro – e squittii imbarazzati – Teresa.
Newt era un lupo protettivo e possessivo. Squadrava chiunque osasse toccare ciò che era suo; in questo caso, Thomas.

 

Teresa era sul letto della camera di Thomas, le gambe incrociate e il libro di biologia aperto su esse. Teneva in mano una matita, e fissava il suo migliore amico con un cipiglio curioso che gli inarcava le sopracciglia.
“L'avete già fatto?”, sputò fuori, poi, facendo cadere Thomas dalla sedia.
“Cosa..?”, tossì, fissando la ragazza con gli occhi spalancati.
“Andiamo, Tom!”, esclamò lei. “Hai visto il tuo dannato collo? Alzare il colletto della camicia e usare il correttore di tua madre non aiuta a nascondere tutti quei.. marchi”.
“Non sono comunque affari tuoi”, mugugnò Thomas, riaprendo il libro e sistemandosi con le spalle contro la libreria.
“Oh, ed è qui che ti sbagli! Questi sono affari miei”, disse. “Sei il mio migliore amico, Tom. Devo sapere tutto, nei minimi dettagli!”.
“Stai pur certa che quelli non te li dirò mai!”.
“AH!”, urlò, indicandolo. “Quindi l'avete già fatto!”.
Thomas sospirò, esasperato. Si prese la testa fra le mani, prima di strofinarsi gli occhi. “Sì”, si decise ad ammettere.
“E com'è stato?”.
“Ma i cavoli tuoi mai, hm?”.
Teresa si limitò ad alzare le spalle, ghignando. Dio, era così simile a Minho, quando lo faceva, che a Thomas venivano i crampi dal terrore.
Sospirò per l'ennesima volta. “È stato.. strano”.
Non poteva certo dirle che ormai era il compagno legato di un lupo mannaro, che quando c'era la luna piena era tutto molto più animalesco e il licantropo non faceva altro che marcare il suo territorio, facendogli anche quasi male.
“Non è bravo a letto?”.
“Oh, no no”, negò Thomas. “Lo è fin troppo!”, esclamò, arrossendo subito dopo. “Intendevo strano nel senso positivo. Non mi sono mai sentito così.. vulnerabile? Sì, vulnerabile”.
“Non ti ha fatto male, vero? Insomma, non ti ha costretto o altro?”, domandò Teresa, leggermente preoccupata. “Perché se dovesse essere così, ha i giorni contati”.
“Non mi ha costretto”, replicò, esasperato. “Non lo farebbe mai”, aggiunse, sorridendo lievemente. Sentiva già la sua mancanza, ed erano passate solamente due ore dall'ultima volta in cui si erano visti. Il padre di Newt lo aveva trascinato alla ricerca di tracce sulla sopravvivenza dei vampiri, e sarebbero stati via fino al giorno seguente.
“Dimensioni?”.
Thomas scoppiò a ridere, gettando la testa indietro. “Non te lo dirò mai, Teresa!”, esclamò, quasi le lacrime agli occhi.
“Okay, okay”, si arrese la ragazza. “Ho capito”. Alzò le mani in segno di resa, un sorriso che le increspava le labbra. “Sono felice per te, Tom”, disse, poi. “Davvero, davvero felice”.

Thomas sorrise allegramente. “Lo sono anch'io”.

 


Il telefono vibrò sul comodino, svegliando Thomas.
Lo afferrò, rispondendo. “Newt..?”.
Sì, sono io, Tommy”.
“Non sai quant'è bello sentire la tua voce”, gridò, quasi, tirandosi su a sedere. “Stai bene? Mi stavo preoccupando”.
Sono ferito e non riesco a rigenerarmi. I miei genitori sono a casa, non lo sanno. Puoi venire a prendermi?”.
Gli si strinse il cuore. “Dove sei?”, chiese immediatamente.
In pochi minuti, fu già nell'auto di sua madre, a picchiettare il volante con le dita dall'ansia. Arrivò nel posto indicatogli da Newt, trovandolo accasciato contro il tronco di un albero.
“Newt!”, gridò, precipitandosi da lui. Gli prese il viso fra le mani, prima di notare la macchia di sangue che si stava espandendo sulla sua maglietta grigia. “Cosa ti hanno fatto? Dio, cosa ti hanno fatto?”.
Si sentiva male, quasi come se fosse lui a perdere sangue.
“Cacciatori”, rispose.
“Cosa?! Cacciatori?”, ripeté.
“Dobbiamo andarcene. Devi portarmi a casa, mia madre ha l'antidoto per l'aconito. Ti prego, Tommy”.
“Sì.. sì, subito”. Si affrettò a tirarlo su, e si diressero velocemente alla macchina. Lo infilò nei sedili posteriori, sdraiato, prima di raggiungere di corsa quello del guidatore e sgommando via.
“Newt? Newt, devi parlarmi, okay? Parlami, ti prego. Di' anche cose a caso, ma devi farlo, va bene?”.
“Cosa dovrei dirti, Tommy? Sono stato dannatamente sparato!”.
“Urla, basta che emetti dei suoni e non mi muori sul sedile dell'auto di mia madre!”.
L'ansia stava prendendo il sopravvento, e lui fece qualche respiro profondo per calmarsi. Newt non poteva morire, non ora che erano legati.
Arrivarono a casa del licantropo in tempo record, sua madre già fuori dalla porta. La sentì chiamare suo marito, prima di correre verso l'auto e tirare fuori il figlio, prendendolo in braccio come se non pesasse niente.
Li seguì dentro casa, mentre il padre di Newt sgomberava il tavolo. La donna lo sdraiò su di esso, aprendo una valigetta in cerca dell'antidoto. Lanciò in terra qualche scatolina, prima di trovare quella che cercava.
“Tienilo fermo”, disse a suo marito, che prese prontamente le spalle del figlio. Tirò fuori una siringa, con l'ago più grosso che Thomas avesse mai visto. Poi, si girò proprio verso di lui.
“Puoi aiutarlo, sai? Tocca la sua mano, la sua pelle, i suoi capelli. La tua presenza gli infonde di sicuro sollievo”.
Dopo quelle parole, si fiondò dal compagno, prendendogli la testa fra le mani e accarezzandogli i capelli.
Il cuore gli si spezzò quando Newt cominciò ad urlare, dopo che sua madre gli iniettò il siero. Un ringhio spaventoso gli uscì dalla bocca, facendolo tremare dal terrore. Gettò la testa all'indietro, ululando. Cominciò a dimenarsi, mentre la madre gli estraeva la pallottola dalla spalla. Le urla si amplificarono, interrotte da ringhi e ululati addolorati.
“Thomas, allontanati!”, urlò la donna. “Allontanati subito!”.
Thomas indietreggiò, fino a sentire il bancone della cucina premere sulla sua schiena.
Newt si trasformò in forma completa, un ringhio mostruoso che uscì dalla sua bocca. La donna ringhiò in risposta, gli occhi gialli e le zanne in bella mostra. Si avvicinò al figlio, che non le diede ascolto. I suoi occhi incontrarono quelli di Thomas, che fece un passo in avanti, verso il lupo.
Il ringhio che ne seguì, lo fece immobilizzare.
Sono il suo compagno, si ricordò. Il suo compagno Beta. Posso calmarlo.
“Isaac”, provò. “Isaac, sono io. Ti prego, sono io”.
Un altro ringhio, poi il lupo gli balzò addosso, atterrandolo. Urlò non appena gli artigli gli graffiarono la pelle, facendo uscire sangue.
“Isaac, no!”, urlarono i suoi genitori, precipitandosi dal lupo, cercando di tirarlo via.
Un altro taglio, all'altezza della spalla, lo fece strillare ancora di più. Gli artigli affondarono nella pelle, cercando di recidere il più possibile.
Poi, si fermò.
Thomas non si era neppure reso conto di star piangendo. Newt si fermò e lo fissò ancora, lo sguardo dolorante. Tirò fuori la lingua, leccando la ferita, ricoprendola di saliva. Si ricucì di poco, ma faceva ancora troppo male.
Si ritrasformò immediatamente, il foro che il proiettile aveva scavato nel suo corpo completamente risanato.
“Tommy, oddio, Tommy”, gemette, prendendogli il viso fra le mani per controllare che stesse bene. “Tommy, mi dispiace, Dio, mi dispiace. Sono un mostro, oddio, oddio..”.
Suo padre lo tirò su, trascinandolo nello scantinato. Newt era troppo sconvolto per protestare.
La donna si avvicinò a Thomas, che aveva gli occhi serrati e le lacrime che scorrevano ancora sul suo viso.
“Thomas, va tutto bene”, gli disse. “Thomas, guardami”.
Il ragazzo ubbidì, specchiandosi negli occhi verdi che ormai conosceva.
“Va tutto bene. La ferita si risanerà presto. Mi hai capito bene?”. Annuì in risposta. Poi, si sentì sollevare e posare su un letto. Il sonno stava prendendo il sopravvento e aveva ancora il corpo scosso da tremiti di paura.
“Ti pulirò e ricucirò la ferita. Fatti pure una bella dormita, okay?”.
Lui mugugnò, i singhiozzi che ancora percuotevano la sua cassa toracica. Chiuse gli occhi, sprofondando in un sonno pieno di incubi.

 

 

Quando si svegliò, si ritrovò nella sua stanza. La spalla gli faceva ancora male. Spostò la maglia, trovando la fasciatura. Un profumo familiare lo svegliò completamente.
Newt era lì, la testa appoggiata al materasso, seduto sul pavimento. Passò una mano fra i suoi capelli, per svegliarlo. La paura era svanita completamente, sostituita da un sentimento di apprensione. Quello che lo aveva aggredito non era Newt, era solo il lupo sotto l'effetto devastante dell'aconito.
Il licantropo tirò su la testa di scatto, spalancando gli occhi.
“Tommy..”.
Thomas notò che aveva gli occhi lucidi. Una lacrima scese da quello sinistro, che lui si premurò di asciugare. Si spostò verso il muro, facendo spazio nel letto accanto a sé. Picchiettò sul materasso. “Vieni qui”, sussurrò, la voce roca dal sonno.
Newt si infilò sotto le coperte, prendendolo fra le braccia e baciandogli la testa. “Mi dispiace”, sussurrò. “Dio se mi dispiace, Tommy. Sono un mostro, un fottuto abominio. Dovresti recidere il legame e lasciarmi morire alla prossima luna piena-”.
“Smettila”, lo interruppe, innervosito. “Smettila di dire tutto questo. Non c'è niente di cui scusarti e non devi dire di essere un mostro”.
“Ti ho aggredito!”, esclamò. “Ho ferito il mio compagno, la mia vita. Ti ho ferito e questo fa di me una creatura orribile, dannazione!”.
Non eri tu!”, urlò Thomas, prima di cominciare a tossire. “Non eri tu- e Dio, Newt, smettila. Devi smetterla”.
Rimasero entrambi in silenzio, i loro cuori che battevano all'impazzata. Thomas sospirò, cercando di calmarsi.
“Questo non è niente”, disse, indicandosi la spalla. “Non è assolutamente niente. Non eri tu e non era neppure il lupo. Era l'aconito, che ti ha fatto impazzire. E l'ho capito. Ho capito tutto quanto. So che tu non mi farai mai volontariamente del male. Lo so. Non mi hai fatto male durante la luna piena, o in qualsiasi altra occasione”, continuò. “Questo è stato un incidente. E sta già guarendo. Quindi smettila di trattarmi come Cenerentola, perché non lo sono. Non sono una fottuta principessa, Cristo santo. Sono un ragazzo, sono il tuo compagno. E come tale, dovresti sapere che sono abbastanza forte”.
“Lo sei fin troppo, Tommy. Sei forte, coraggioso.. sono così fortunato ad averti e mi dispiace, mi dispiace così tanto-”.
“Basta con le scuse”, lo interruppe ancora.
“Okay”, acconsentì, poco convinto, Newt. “Scusa”.
Thomas ridacchiò, tirandogli un colpetto sul braccio. Si girò, in modo da avere il viso del biondo davanti al suo. “Ti amo così tanto, Isaac Newton”.

Newt sorrise, avvicinandosi per baciarlo. E sì, Thomas si sentiva veramente felice, anche con una spalla rotta.

 

 

*

 

 

Dopo quell'incidente, le cose sembrarono sistemarsi.
La luna piena seguente, il lupo sembrò quasi scusarsi, trattando Thomas con infinita delicatezza.
Per un certo periodo, Newt aveva smesso di mostrarsi per quello che era veramente, trattenendo le zanne, gli artigli e gli occhi gialli. Thomas si era sentito deluso da quel comportamento, ritenendo che Newt non lo ritenesse abbastanza forte per sopportare tutto quello.
Così, dopo una piccola breve litigata, capì che non era proprio per il motivo che aveva pensato, anzi: Newt aveva paura di spaventarlo. E quello lo fece incazzare ancora di più.
Ci mise non poco tempo a convincerlo che no, non aveva paura di lui, ma alla fine ci riuscì. Newt non si vergognava più di mostrarsi come il lupo mannaro forte e gentile che era, e lui era nettamente più felice.
I genitori di Thomas ancora non sapevano quello che c'era fra i due, ed avevano convenuto entrambi di starsene in silenzio, per il momento, sapendo dei pregiudizi che i due avevano sulle coppie omosessuali. Ovviamente, non potevano sapere che quello che legava i due era qualcosa per cui potevano addirittura morire.
Così avevano deciso di rimanere zitti e far finta di essere amici – che poi, erano davvero poche le volte in cui Newt si trovava a casa di Thomas, era più quest'ultimo che andava dai Newton.
“Tommy, tutto okay?”. La voce del biondo lo distolse dai suoi pensieri. 
Erano sdraiati sopra la neve, nel bosco. Thomas non aveva freddo, grazie al calore del ragazzo, che lo teneva stretto a sé, come se avesse paura di vederlo volare in alto, come un palloncino. 
Thomas alzò la testa, posandola sul petto dell'altro e sorridendo. “Certo. Incredibilmente okay”.
Ed era veramente così. Andava veramente tutto okay.

 

*

 

Dicono che tutte le cose devono finire, prima o poi.
Thomas aveva sempre pensato che se ne sarebbe accorto, se qualcosa di terribile era in arrivo. In qualche modo, avrebbe sentito che tutto stava andando a rotoli.
E invece, accadde tutto troppo velocemente, senza che gli si fosse data la possibilità di accorgersene o di gestire il tutto. Di trovare una soluzione.
La casa dei Newton era vuota. Completamente vuota. Le luci erano spente – cosa che non succedeva mai – e l'auto che Newt usava spesso, non era parcheggiata fuori nel vialetto. Era tornato tutto come quasi un anno prima, quando quella villa era ancora inabitata, quando attendeva solamente di essere riempita da delle persone.
E Thomas giurava che quelle persone c'erano state veramente. Lo giurava, lo sapeva. Tutti lo sapevano, dannazione!
Il calore della pelle di Newt sopra la sua, le sue labbra morbide e la sua risata. Tutte quelle cose erano esistite, no?
Si sentì quasi svenire dal sollievo quando, lontano, trovò il suo ragazzo. Cominciò a correre, il sorriso sulle labbra. Gli buttò le braccia al collo, ma non si sentì stringere.
Confuso, si separò. “Ehi, tutto a posto?”.
Newt aveva gli occhi lucidi e guardava lontano, in un punto indefinito dietro le sue spalle.
“Newt?”. Gli passò una mano sul viso, mentre l'altro tirava su col naso.
“Devo andare”, sussurrò, facendo un passo indietro“L'Alpha ci ha chiamato”, continuò, guardandosi la punta delle carpe. “Dobbiamo andarcene e seguirlo nei suoi territori. La guerra incombe su di noi, Tommy. E non- noi dobbiamo rimanere fedeli al branco, capisci?”.
“No”, rispose subito Thomas, la voce strozzata. “No, che non capisco. Di quanto tempo si tratta? Due giorni? Una settimana, al massimo?”.
Newt gli prese il viso fra le mani, gli artigli che erano scattati in entrambe. Appoggiò la fronte alla sua, serrando gli occhi.
No, pensò l'umano. No, Dio. Ti prego, dimmi che..
“È per sempre, Tommy”, mormorò il licantropo. "Non potremo più tornare qui". 
Si sentì come mancare l'aria. Boccheggiò, in cerca di ossigeno. Poi, s'illuminò. “Racimolo le mie cose e sono pronto per venire con te”, disse, tirando su col naso, districandosi dalla presa di Newt, che non replicò.
Lo fissava con lo sguardo triste e distrutto. “Cosa?.. Non penserai mica che io rimanga qui, vero?!”, urlò, sorpreso e infuriato.
“Non puoi venire, Tommy. Siamo in guerra, non posso permettere che ti facciano del male”.
“Sono il tuo dannato compagno, Newt!”, esclamò, puntandogli un dito contro. “Non puoi lasciarmi indietro. Non puoi.. recidere il legame!”.
Newt spalancò gli occhi. “Non ho intenzione di recidere il legame! Sarebbe fatale per entrambi!”, rispose, alzando la voce. “Ma non puoi stare in un branco di soli lupi mannari, Tommy. Non puoi venire con me”.
“Allora mordimi, fammi diventare come te! Non ho intenzione di rimanere a casa e prendere i panni del vedovo”.
“No. Tommy, fidati di me. Andrà tutto bene. Tutto filerà per il meglio. Prima o poi ci rivedremo”.
Quelle parole, dette quasi meccanicamente, lo fecero soffrire e incazzare ancora di più. Spintonò Newt, facendolo indietreggiare.
Prima o poi ci rivedremo?!”, ripeté. “Davvero, Isaac? Questo è tutto quello che hai da dirmi? Che prima o poi ci rivedremo, che non morirai fatto a pezzi da un Alpha o da un altro Beta?!”.
“Cerca di capire..”.
“Cerca di capire tu!”, continuò Thomas, furente. “Sono il tuo compagno. Siamo fottutamente legati, Cristo santo. E tu mi stai lasciando indietro. Mi stai abbandonando”.
“Ti sto proteggendo”, corresse Newt, la voce calma, benché spezzata. “Non pensare che io non stia soffrendo, Tommy. Sai cosa vuol dire per un lupo mannaro doversi allontanare dal suo compagno? Agonia. Solo dolore e altro dolore. Ma devo. Devo farlo per proteggere sia te che me. Questa è una promessa, Thomas”, aggiunse poi. “Ti prometto che ci rivedremo. Che staremo ancora insieme. Ma non adesso”.
Thomas non si rese conto di star piangendo fino a quando un singhiozzo non venne su dalla sua gola. “No..”, sussurrò, impotente.
Newt si avvicinò, prendendogli di nuovo il viso fra le mani. I suoi occhi ambrati si riflettevano in quelli di Thomas. Avvicinò le loro labbra in un bacio salato dalle lacrime che entrambi stavano versando. Il moro si strinse a lui, aggrappandosi alle sue spalle. Strattonò il suo maglione nero, mentre singhiozzava furiosamente.
“Ti amo”, mormorò Newt. “Non ti sto abbandonando, Tommy. I lupi sono monogami", gli ricordò. "Sei il mio compagno per la vita". 
Thomas annuì freneticamente, tirando su col naso. “Ti amo anch'io”, balbettò, la testa che gli girava.
Poi, un ululato. E Thomas sapeva che era finita.
Un ultimo bacio, il cosiddetto bacio dell'addio. “La promessa, Tommy, intendo mantenerla”.
Si strinsero un'ultima volta, i loro cuori ricolmi del dolore più atroce che potessero provare.
Newt si allontanò di qualche passo, prima di correre verso la foresta. Thomas lo guardò trasformarsi nel lupo dal pelo biondo cenere.
L'ululato che sentì, gli fece drizzare i capelli. Era un ululato furioso, spezzato, addolorato.
La luna sorse, e con sé, si trascinò via Newt.
Thomas si sentiva vuoto. Poi, però, si ricordò della promessa.
Newt aveva promesso. Un lupo mannaro mantiene sempre le promesse che fa.
Era successo tutto così velocemente che Thomas non ebbe tempo di realizzare. Cominciò semplicemente a camminare verso casa, la testa che girava e il cuore che sanguinava.
Ce la posso fare, pensò. Ce la devo fare.

 

Ne avevano affrontate tante. Questo non era altro che un altro punto della lista. E lui lo avrebbe affrontato a testa alta, come sempre. 

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Capitolo 6
*** Un bacio fasullo ***


Genere: Romantico, Generale, Fluff
Words: 1678 - dopo quella dell'ultima volta, è un sollievo HAHAH 
Raiting: Giallo 
Pairing: Newt/Thomas, slash, Teresa/Thomas, Teresa/Aris 
Warning: AU, OOC
Note: Chiedo venia. Davvero, imploro il vostro perdono. Sono una persona orribile, ma la scuola e tutto il resto mi hanno trascinata lontana dal computer :( Non parliamo del fatto che ormai, per colpa del mio umore nero, scrivo solo cose macabre, senza un filo logico e con tanto, tanto, tanto sangue. Per fortuna che questa ce l'avevo nella cartella del computer, già scritta e finita da un po'. E' piuttosto leggera, una sciocchezza, in confronto al mini-mattone della volta scorsa HAHAH Come sempre, ringrazio tutti quelli che continuano a leggere anche in silenzio, a quelli che l'hanno messa tra i preferiti/seguite/ricordate e quelli che la recensiscono! Siete la mia gioia cwc ((((((chiedo ancora umilmente scusa))))))
DISCLAIMER: non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro etc etc tutti i personaggi sono del sadico Dashner e siamo tutti felici e contenti vero beh avete capito 




 
KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Promise you'll remember that you're mine



 

 

 

“Tom, ti prego!”, esclamò Teresa, prendendogli una mano. “Fallo per me!”.
“No, Tessa, qualsiasi cosa ma non questa. Ti.. rispetto troppo”.
“Devi baciarmi per finta, mica portarmi a letto!”, replicò la ragazza, imperterrita.
Thomas sospirò, prendendo la sua bibita ed aprendola forse un po' troppo con forza. Questa cosa gli puzzava, e non poco.
“Forse è quasi peggio un bacio!”, cercò di dire. Teresa scosse la testa, continuando a fissarlo. “Non cambierò idea. Non- non fare quella faccia supplicante, sai che non- andiamo, Teresa!”.
La ragazza lo stava supplicando con gli occhi e il labbro inferiore sporto in avanti. Era la classica espressione da-cucciolo che faceva sciogliere Thomas da quando avevano sei anni.
Ringhiò, esasperato. “E va bene! Ma questa è l'ultima volta che mi faccio corrompere così!”, l'avvertì.
Teresa rise, felice, sporgendosi per schioccargli un bacio sulla guancia. “Sei l'amico migliore del mondo!”, esclamò, prendendo la sua borsa e incamminandosi verso l'uscita della mensa, sculettando. Fece girare non pochi ragazzi, che fischiarono senza vergogna. Thomas non ci badò tanto, sapendo che la sua amica sapeva cavarsela egregiamente senza il suo aiuto.
Che cos'ho fatto.., pensò, rimpiangendo subito la sua scelta di assecondarla nell'ennesima cazzata.

 

 

Teresa andava dietro (da ormai una settimana) al capitano della squadra di Lacrosse, Aris. All'inizio non lo sopportava, faceva una testa tanta a Thomas, dicendogli quanto fosse meschino, codardo e antipatico.
Poi, in modi sconosciuti al moro, la ragazza aveva cominciato a sospirare perdutamente innamorata ogni volta che il ragazzo in questione entrava in classe o in campo. Per non parlare di quando lo incontrava nei corridoi o in mensa.
Davvero, né Thomas né Minho – l'altro povero malcapitato che era stato messo dentro questa storia – capivano come fosse possibile.
Nel giro di una settimana, o forse anche meno, poi. Thomas non era così sicuro che ci si potesse innamorare in così poco tempo (ma lui che cosa ne capiva? Aveva la sfera emotiva di un dannato bastone di legno, come diceva sua madre).
Newt era stato l'unico del loro gruppo a salvarsi, e doveva ringraziare il virus influenzale che aveva preso, che gli aveva fatto saltare la scuola e quindi tutta la storia in ballo. Thomas sentiva la mancanza del biondo, anche perché erano riusciti ad arrivare ad un punto di svolta per la loro relazione. Non erano più semplici amici, ormai si.. be', si frequentavano. Uscivano insieme da soli a dei veri appuntamenti. Appuntamenti in cui non si arrivava a nessuna conclusione – in effetti, non si erano neppure baciati.
E gli diede fastidio pensare che avrebbe dovuto baciare per finta Teresa, quando – in quel momento – avrebbe voluto premere le proprie labbra contro quelle di una persona totalmente diversa.
Così prese una decisione, sia per preservare la propria sanità mentale, sia per evitare malintesi: non avrebbe raccontato a Newt del piano. D'altronde, non sapeva la storia, sarebbe stato un po' complicato spiegargli il tutto. E poi, aveva la febbre, se ne sarebbe stato a casa per qualche altro giorno.
Si fece i complimenti per la decisione presa, arrivando alla conclusione che meno Newt ne sapeva, meglio era.

Quella notte dormì sonni tranquilli, ormai neppure minimamente preoccupato per la questione del bacio.

 

 

Maledisse la sveglia, la scuola, sua madre che urlava al piano di sotto contro chissà quale stoviglia e gli uccellini sull'albero vicino alla sua finestra. Si alzò di malavoglia e di malumore. Si muoveva per casa nervosamente, non riusciva nemmeno a mangiare.
“Thomas, tutto okay?”, gli chiese sua madre. Lui annuì, più per abitudine che altro, prendendo lo zaino e uscendo di casa senza salutare. La donna borbottò qualcosa, ricominciando a pulire i piatti della sera prima come se niente fosse.
Le strade puzzavano di pioggia e le auto andavano quasi al rallentatore. Prese la sua bici, cominciando a pedalare verso la scuola.
Non si poteva permettere una macchina, quindi si arrangiava con la sua bicicletta – era anche per mantenersi in forma, ma non lo avrebbe mai ammesso. Non era neppure sua la bicicletta, ma di sua sorella maggiore, che ormai era al college. Aveva dovuto riverniciarla di nero, per nascondere il rosa. E aveva tolto il cestino – era piuttosto imbarazzante, a dirla tutta, non poteva mica lasciarlo su!
Teresa era lì, vicino al cancello, che reggeva il suo ombrellino viola in mano. Sembrava più carina del solito. Si avvicinò, dopo aver lasciato la bici al parcheggio apposito, e lei lo salutò con un cenno della mano.
“Buongiorno, Tom”.
“Ehi”, la salutò lui, nervoso. “Dimmi quando questo Aris è nei paraggi, okay?”.
“Devi solo baciarmi, rilassati!”.
Ovvio, per lei era così facile! Teresa era quella ad avere più esperienza sul campo delle relazioni sentimentali. Era seguita a tutta ruota da Minho – aveva il sospetto che avessero iniziato una sorta di gara, sinceramente.
Thomas grugnì qualcosa, incamminandosi insieme all'amica verso la scuola. Lui non aveva mai avuto una ragazza o un ragazzo. Non gli era mai importato avere qualcuno al suo fianco, anche se certe volte lo desiderava. Poi, era arrivato Newt. Newt con quei suoi capelli biondi, con gli occhi nocciola, i maglioni e l'accento inglese. Dio, lo faceva impazzire. Il biondo era come una calamita: attirava tutti verso di sé con il suo carisma e la sua gentilezza. Era forte, e – Thomas arrossì nel pensarlo – bellissimo. Ogni volta che lo guardava non desiderava altro che chiuderlo in una cupola di vetro e tenerlo tutto per sé. Era quasi geloso quando qualcuno gli si avvicinava, e si tratteneva a stento di muoversi e circondargli la vita con il braccio, tirandoselo addosso, come per dire 'sì, lui sta con me, ora vattene prima di perdere qualche arto o qualche organo'.
Avevano gli stessi interessi, le stesse opinioni sulla maggior parte delle cose. Si trovava così bene con Newt che gli veniva quasi da piangere dalla felicità.
Stava sistemando i suoi libri nel suo armadietto, quando Teresa s'irrigidì. Thomas notò il cambiamento con la coda dell'occhio, così si guardò intorno. Aris era lì, appoggiato al suo armadietto, che conversava con un suo amico, anch'egli parte della squadra di Lacrosse della scuola.
“Bene, ora cosa dovrei far-”
Fu interrotto dalle labbra di Teresa, che lo zittirono velocemente. La ragazza appoggiò le mani sulle spalle, chiudendo gli occhi. Che brutta, pessima, idea.., pensò Thomas, rimpiangendo di non essere rimasto a letto, fingendo di essere malato.
“Tom, fai finta di essere consenziente”, gli sussurrò tra i denti. Thomas aveva gli occhi spalancati e voleva disperatamente andarsene di corsa. Teresa si avvicinò di nuovo, baciandolo come prima. Le circondò la vita con le braccia, tirandosela leggermente addosso.
Meglio reciti, e prima sarà finita, si disse, fra sé e sé.
Fu il rumore dei libri che si rovesciavano sul pavimento a farli staccare bruscamente. Teresa frullò le ciglia, confusa. Si girò, dandogli le spalle.
Thomas spalancò gli occhi che aveva chiuso, e guardò nella sua stessa direzione. Si ghiacciò sul posto quando vide Newt davanti ai cosiddetti libri, un'espressione sorpresa e tradita dipinta sul viso.
“Newt”, balbettò, pateticamente. Teresa fece scivolare lo sguardo da lui al biondo, prima di realizzare. Si portò una mano alla bocca.
“Newt, non è come sembra-”, provò a spiegare la ragazza, ma Newt non fece altro che raccogliere i suoi libri e andarsene.
“Newt!”, lo chiamò Thomas, spostando Teresa e correndogli dietro. “Newt, ti prego, fermati”, implorò.
L'altro ragazzo non lo ascoltò. Stava correndo. Stava correndo via da lui. Era questa la cosa che gli faceva più male.
Riuscì ad afferrarlo per un polso, facendolo girare verso di sé. “Newt, non è come sembra!”.
Newt sospirò. “Thomas, non c'è bisogno di mentire. Mi potevi dire che ti piaceva Tessa, io.. io mi sarei fatto da parte”.
Thomas non credeva alle proprie orecchie. Quello era peggio di una scenata. Desiderò quasi che Newt s'incazzasse con lui e che cominciasse a prenderlo a pugni. “Non mi piace Teresa!”, gridò. Alcuni si girarono verso di lui, scoccandogli qualche occhiata stranita. Si schiarì la gola, abbassando la voce. “Mi piaci tu, dannazione! Mi sei sempre piaciuto, Teresa.. Teresa è solo un'amica!”.
Il ragazzo rise. “Oh, per favore. Non mi hai mai baciato!”, sbottò.
Thomas si tirò indietro impercettibilmente con il busto. “E questo.. cosa c'entra?”.
“Thomas, usciamo insieme da almeno un mese, e non hai nemmeno provato a baciarmi. Non una fottuta volta”, disse. “Mentre con Teresa.. be', non ti fai scrupoli a baciarla davanti a tutti”.
Non capiva dove volesse arrivare. “Newt, per l'amor di Dio, non volevo baciare Teresa!”.
“Ma smettila! Non sono cieco, l'ho visto, e anche da molto da vicino!”, gridò, quasi. “Sai cosa? Va bene. Va benissimo, torna da Teresa. Auguri e figli maschi”, finì, allontanandosi da lui.
E Thomas non poteva sopportarlo, non poteva permetterlo.
Lo riprese per il polso, facendolo girare ancora una volta davanti a sé. Rimasero immobili per qualche secondo, poi il moro gli incorniciò il viso con le mani e lo baciò.
Non era come uno dei baci che si era scambiato con Teresa, giusto dieci minuti prima. Era diverso. Era inebriante, vero. Vero, gli suggerì la sua mente.
Sì. Era vero, dannatamente vero.
Non gli importò niente degli sguardi sconvolti dei loro compagni di scuola, che si erano radunati intorno a loro.
Newt smise di fare resistenza, incrociando le braccia al suo collo.
Si separarono qualche secondo dopo, fissandosi negli occhi.
“Mi fai così incazzare, Tommy”, sussurrò Newt, puntandogli un dito contro al petto. “Ma non so davvero cosa farei senza di te”.
Thomas sorrise, passando le nocche della mano sulla guancia dell'altro, in una carezza. “Sei così bello, Newt”.
Il biondo scoppiò a ridere. “Non cominciare a fare il ruffiano”, lo apostrofò, dandogli un colpetto sul braccio. “Allora non volevi davvero baciare Teresa?”.
“Era solo un piano per far ingelosire Aris”, spiegò. “C'è sempre stata una sola persona che avrei voluto baciare per tutto il tempo”, disse, avvicinandosi ancora alle labbra dell'altro.

“Ci stanno guardando tutti”, mormorò Newt, proprio sulle sue labbra.
“Allora lascia che guardino”, replicò Thomas, unendo le loro bocche in un altro bacio.

 

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Capitolo 7
*** Un bacio al ballo scolastico ***


Genere: Romantico, Fluff, Generale 
Words: 2179 
Raiting: Verde 
Pairing: Newt/Thomas, slash 
Warning: ((((Possibile OOC))))
Note: Scusatemi veramente tanto per il ritardo con cui posto ultimamente, ma la scuola mi sta facendo impazzire! Comunque, vorrei ringraziare le persone che hanno recensito la storia precedente e le 13 che l'hanno messa tra le preferite, ragazzi, mi avete fatto piangere HAHHAHA Sono giusto andata l'altro ieri a vedere The Scorch Trials e sono ancora sconvolta. Mi è piaciuto tantissimo, anche se è diversissimo dal libro, ma yo CI STA DI BRUTTO! Eee niente, questa l'ho scritta ieri in pullman mentre tornavo a casa, e l'ho controllata adesso (anche se con trentotto di febbre, quindi mi sa che mi son sfuggite un bel po' di cose.....). E' veramente una cosuccia, pensata dopo due verifiche estenuanti! E niente, spero che vi piaccia! :)

DISCLAIMER: non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla 

 

KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Life is too short to even care at all 



 

Newt era seduto sulla sua branda, un libro aperto sulle gambe e i capelli biondi bagnati che gocciolavano sulle pagine.
Tutti gli altri Radurai erano andati nella mensa comune a mangiare, ma lui non aveva fame quella sera. Erano ormai passati tre giorni e mezzo da quando erano usciti dal famigerato Labirinto, e c'erano così tante cose che voleva scoprire e sapere. Ormai il mondo era ridotto ad una landa desolata, con sola sabbia e venti freddi.
Voleva riscoprire il fascino degli anni passati, di tutto quello che si era perso per colpa di un dannato esperimento.
I soccorritori non gliela raccontavano giusta, se doveva essere sincero. Oltre alla donna gentile che li aveva scortati fino a quella base, nessun altro si era degnato di rispondere a qualsiasi delle sue domande. Poteva anche essere fin troppo curioso, ma lì c'era la sua vita in ballo. Riteneva giusto voler sapere almeno quale fosse il suo scopo, oltre al numero della sua brandina.
Una delle guardie – uno dei pochi uomini che si comportavano in modo lontanamente gentile con loro – lo aveva informato dell'esistenza di una mini- biblioteca, presente nel settore 8 della base. Ci aveva passato il pomeriggio intero, saltando gli allenamenti e il giro di prelievi a cui li sottoponevano ogni giorno, da quando si svegliavano fino alla sera. Stranamente, nessuno era venuto a cercarlo.
Gli bruciavano le labbra al solo ricordo del bacio disperato che Thomas gli aveva dato, appena era rientrato nel dormitorio, il libro sotto braccio.
“Pensavo ti avessero preso”, aveva mormorato, stringendolo forte e inspirando l'odore dei suoi capelli.
“Sono qui, stai tranquillo”, gli aveva detto in risposta, cercando di calmarlo. Entrambi ne avevano affrontate tante, troppe, non potevano perdersi. Assolutamente no. Così, Newt avvisava sempre quando se ne andava per molto tempo, in modo da non farlo preoccupare.
Era impressionante il modo in cui la sua relazione con Thomas si fosse evoluta in così poco tempo. Nella Radura non c'era mai tempo per stare da soli – se non la notte – per colpa delle responsabilità che avevano entrambi. La sera, quando Thomas ritornava dal Labirinto e Newt si poteva prendere un attimo di pausa dall'estenuante ruolo di secondo-in-comando, restavano appartati al limitare della foresta, anche solo per chiudere il mondo fuori per qualche ora, godendo del solo rumore dei loro respiri. Certe volte parlavano della Radura, dei vari lavori che aveva svolto Newt nel corso della giornata e delle normali litigate fra Zart e Winston. Altre volte, invece, si baciavano fino a quando le loro labbra non erano rosse e gonfie, oppure facevano silenziosamente l'amore, tanto per non attirare l'attenzione dei Radurai – e le loro lamentele. Non nominavano mai il Labirinto o i Dolenti.
All'inizio si erano basati soprattutto sull'aspetto fisico della loro relazione. Entrambi si erano accorti di essere fisicamente attratti l'uno dall'altro e, spinti dalla normale curiosità che caratterizza gli adolescenti, avevano cominciato a sperimentare il sesso. Thomas era anche più rilassato dopo uno dei loro incontri, come Newt riusciva a concentrarsi meglio nella gestione della Radura, dopo aver scaricato tutta la tensione sessuale che si era accumulata in quei due anni. Così, avevano continuato in quel modo. Non molto tempo dopo, però, si erano entrambi resi conto che desideravano qualcosa di più. Non erano riusciti a dirlo ad alta voce, ma anche nel modo in cui si relazionavano si poteva notare. E anche dopo l'arrivo di Teresa, Thomas non aveva fatto altro che avvicinarsi ancora di più a Newt, che aveva accantonato da una parte tutte le preoccupazioni di vedere Thomas scivolargli dalle mani.
Invece, niente di tutto quello era successo. Il sesso veloce e il movimento meccanico dello spogliarsi a vicenda si era tramutato in qualcosa di più dolce, lento e sensuale, diventando un prendersi cura reciprocamente l'uno dell'altro. E poi, quel 'ti amo' era scivolato naturalmente fuori dalle loro labbra, e non era mai sembrato più giusto di così.
Non avevano di certo nascosto la loro relazione agli altri Radurai, anche se non tutti si erano rivelati entusiasti.
Così, giorno dopo giorno, erano andati avanti, cercando affannosamente un'uscita da quella prigione per concedersi una possibilità nel mondo reale. Per cominciare a vivere realmente. Quando Thomas e Minho erano tornati indietro dichiarando di aver trovato l'uscita, Newt non si era mai sentito più felice e spaventato.
Avevano combattuto contro i Dolenti, avevano visto i loro migliori amici morire, eppure erano ancora insieme. Lottavano per il futuro sul quale avevano fantasticato nelle notti fredde nella Radura, avvinghiati, dei sorrisi idioti sulle labbra. Alcuni erano proprio assurdi, e comprendevano una staccionata bianca e un giardino su cui ci avrebbero giocato almeno due bambini. Altri erano più realistici e l'unica cosa presente erano loro due, vivi, ancora insieme.
Qualcuno bussò alla porta, facendo distogliere Newt dai suoi pensieri.
“Avanti”, disse, tornando a concentrarsi sul suo libro.
Thomas fece capolino nella stanza, un piatto fra le mani sul quale erano appoggiate una mela verde e un pezzo di torta alle mele, che si era rivelata la preferita di Newt.
“Ehi, ti ho portato qualcosa da mangiare, nel caso avessi fame”, esordì il ragazzo, poggiando il piatto sul letto, prima di sparire nel bagno. Riapparve pochi secondi dopo con un asciugamano, con cui frizionò i capelli biondi dell'altro, che si abbandonò alla sensazione di beatitudine, sorridendo lievemente.
“Mi sei mancato”, mormorò, sporgendosi per ricevere un bacio, che non tardò ad arrivare.
“Anche tu. Anche se non ci vediamo da meno di un'ora”.
“Mi manchi praticamente sempre, Tommy. Devo averti accanto. Penso sia un bisogno sia psicologico che fisico”, continuò Newt, incurante del commento di Thomas.
Il moro non ribadì niente, sistemandosi dietro di lui e aderendo il petto alla sua schiena. Con le labbra percorse il collo niveo e la linea della mascella di Newt, che non riuscì a trattenere un gemito.
“Che cosa stai leggendo?”, chiese con la bocca premuta contro la sua pelle, i denti che gli mordicchiavano il lobo dell'orecchio.
“O-oh, le tradizioni statunitensi di un tempo”, rispose, il respiro irregolare. Thomas gli allacciò le braccia intorno alla vita, pressandolo contro il suo corpo. “Per esempio?”.
“U-uhm, ah, il giorno del Ringraziamento”, disse, a fatica. “Oppure, hm, il giorno dell'Indipendenza Americana”. Sfogliò una pagina, cercando di mettere a fuoco le parole. “Il ballo scolastico”, continuò,
Thomas si fermò appena sentì quelle tre parole. Alzò la testa dalla sua spalla, mentre Newt si girava per fissarlo negli occhi.
“Tutto okay?”, chiese, preoccupato.
“Ballo scolastico, hai detto?”.
“Sì.. perché?”.
Thomas non rispose per i primi due minuti, prima di ammettere: “Me lo ricordo”.
Lo disse con la voce così bassa da risultare poco più di un soffio.
“Cos- davvero? Oddio, Tommy, raccontami!”, esclamò Newt, girandosi completamente e prendendogli il viso fra le mani. “Ti prego”, aggiunse.
“Sei davvero curioso di tutta questa roba, eh?”, commentò Thomas, leggermente divertito.
“Voglio sapere il più possibile. Mi sono perso tante cose”.
“Già..”, convenne Thomas, prima di sorridere. “Da quello che mi ricordo, servivano dei drink schifosi e del cibo leggermente scadente. E c'era la musica. Dio, Newt, da quant'è che non sentiamo la musica?”.
“Da molto, credo”.
“E poi.. venivano tutti vestiti eleganti. E le coppie ballavano una canzone lenta, stringendosi e sorridendosi teneramente. Ed erano tutti così felici”.
“Come fai a ricordartelo?”.
Thomas esitò. “Non lo so”, ammise, poi. “Non so neppure se sono miei, questi ricordi, a dirla tutta”.
Newt annuì, assottigliando le labbra. Poi, avvicinò il piatto a sé, prendendo un morso di torta. “Mi sarebbe piaciuto partecipare ad un ballo scolastico”.
Il moro gli accarezzò la guancia, prima di chiudere il libro accanto a loro e posandolo accanto al letto, sul pavimento.
Quella notte, mentre accarezzava piano la schiena nuda di Newt, che dormiva serenamente fra le sue braccia, decise di avverare quel piccolo desiderio del suo ragazzo.

Gli avrebbe organizzato un ballo scolastico.

 

* * *


Era stato un po' complicato convincere i soccorritori a lasciargli allestire la mensa, con varie coperte colorate e con delle tovaglie pitturate di rosso. Non aveva un tema, gli bastava solamente che assomigliasse il più possibile ad un plausibile ballo.
I Radurai si erano rivelati entusiasti dell'idea, trovandoci anche un modo per svagarsi dai vari allenamenti e dai prelievi, che li lasciavano sempre con un gran mal di testa.
Minho si era proposto al compito di tenere occupato Newt, in modo che non andasse a curiosare in giro. Però, Thomas aveva avuto un'idea migliore. Aveva lasciato a Minho e Frypan – che era al settimo cielo di ritornare ai fornelli – tutte le direttive e aveva spiegato loro l'idea generale, prima di chiudersi nella loro camera nel dormitorio con il suo ragazzo.
Aveva ringraziato la discretezza dei soccorritori riguardo i vari rumori che erano sicuramente arrivati alle loro orecchie, visto che erano appostati a non più di dieci metri dalla porta.
Dopo l'ennesimo orgasmo della giornata, Thomas si poteva definire sfinito dalla loro sottospecie di maratona del sesso. Anche se ci voleva, dopo tutti quei giorni in cui non erano stati altro che frettolosi, non volendosi sorbire una ramanzina da Minho, che tirava in ballo la sua tanto famosa innocenza – inesistente, secondo Thomas.
“Oggi sei particolarmente ispirato, Tommy”, fece le fusa Newt, baciando il suo collo.
“Sei tu che mi fai quest'effetto, che devo dire”.
Newt soffocò una risatina, prima di sospirare felice. “Forse potrei abituarmi”, disse, tirandosi su per guardarlo negli occhi. “Fare l'amore con te ogni notte e svegliarmi la mattina dopo fra le tue braccia. Andare.. non so, a lavorare? E poi tornare a casa e vederti lì, sorridente e felice. Cucinare insieme, magari, andare a trovare gli altri. Baciarti tutti i giorni, ogni volta che voglio. E poi, ricominciare tutto daccapo. Solamente noi”.
Thomas sentì riempirsi il cuore, a quelle parole. Il futuro che Newt aveva appena descritto era semplicemente fantastico. Una realtà in cui sarebbero stati insieme, per sempre.
“Sarebbe stupendo”, mormorò, accarezzandogli la guancia, prima di unire le loro labbra in un bacio casto e dolce, molto diverso da quelli che si erano scambiati giusto pochi minuti prima.
“Ti amo così tanto, Tommy”, soffiò il biondo, stringendosi di più a lui e posando la testa sulla sua spalla.
“Anch'io, Newt. Anch'io”, replicò, chiudendo gli occhi e abbandonandosi ad un sonno senza sogni.

 


La faccia di Newt era impagabile.
Guardava la sala mensa con gli occhi quasi fuori dalle orbite, la bocca spalancata dalla sorpresa e il corpo immobilizzato. La musica risuonava per tutta la sala, e poteva vedere i Radurai ballare sulla pista.
Teresa stava giusto ridendo e sorseggiando quella che sembrava acqua colorata, a braccetto con Frypan e Minho.
Si girò di scatto appena sentì qualcuno picchiettargli sulla spalla.
Thomas era lì, con un vestito pseudo-elegante e i capelli tirati all'indietro. Newt si portò una mano alla bocca, stupito.
“Tommy, tu.. hai fatto tutto questo per me?”, riuscì a chiedere, l'emozione che prendeva il sopravvento.
In tutta risposta, il moro gli circondò la vita con le braccia, tirandoselo addosso.
“Me lo concederesti un ballo?”, gli chiese, ignorando la sua domanda.
Newt annuì freneticamente, lasciandosi condurre su quella che doveva essere la pista. La musica cambiò, le note divennero più dolci e lente.
Thomas si beò della sua faccia meravigliata e degli occhi lucidi che gli erano venuti. Si era commosso, tutto grazie a lui.
Lo tirò più vicino, posando le labbra sui suoi capelli.
Intorno a loro, i Radurai ballavano e scherzavano, divertendosi. Sembrava di essere ritornati ai primi giorni alla Radura, con le feste di notte e le risate, che facevano dimenticare a tutti dove fossero e cosa ci fosse là fuori, giusto a pochi metri da loro.
Fece girare Newt, che esplose in una risata e lasciò cadere la testa all'indietro, aggrappandosi alle sue spalle. Girarono un po' in tondo, prima di cominciare a ciondolare.
“L'ho fatto perché te lo meriti, Newt. Ti meriti questo e tante altre cose. Voglio essere sempre in grado di sorprenderti, ogni giorno della mia vita. Da questo momento in poi”, sussurrò Thomas, le labbra attaccate al suo orecchio.
“Dio, Tommy, è una cosa dannatamente sdolcinata e romantica, ma non sono davvero in grado di darti un pugno e chiederti di smetterla, perché sto per mettermi a piangere come una ragazzina”, mugugnò Newt, il viso premuto nell'incavo del suo collo.
Thomas sorrise divertito, tirandosi indietro. Gli sollevò il mento con due dita, in modo da specchiarsi nei suoi occhi castani. “Ti amo, Newt”.
Prima che potesse ricevere una risposta, unì le loro labbra in un bacio, sorridendo sulle sua bocca. Era così tanto felice che sarebbe potuto scoppiare in tanti coriandoli colorati.
Sentì indistintamente delle urla gioiose e degli incoraggiamenti da parte dei Radurai, prima di spegnere il cervello e approfondire il bacio.
Newt si separò dalle sue labbra, il respiro leggermente irregolare. “Questa”, disse. “Questa, Tommy, è casa. Tu sei la mia casa”.

E Thomas non poté fare altro che avvicinarsi per baciarlo ancora, fino a togliersi il respiro. 

 
 

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Capitolo 8
*** Un bacio sotto la pioggia ***


Genere: Angst, Romantico, Fluff 
Words: 2333 
Raiting: Verde 
Pairing: Newt/Thomas, slash 
Warning: possibile OOC (so sorry)
Note: Sto seriamente pensando di decidere un giorno della settimana in cui postare, così, divorata dai sensi di colpa, riuscirei ad aggiornare più in fretta, e DAVVERO SCUSATEMI, NON HO NEPPURE AVUTO IL TEMPO DI RISPONDERE ALLE SCORSE RECENSIONI, SONO UNA KLUNK.  Sto anche delirando bc ho la febbre a 38,5 e ho passato il giorno a bere tè e a leggere Maze Runner in inglese perché in italiano non ci riesco - troppi problemi. Questa OS mi è venuta fuori durante Chimica, quindi penso che sia un po'.. strana. E anche movie!verse, quindi siete avvisati *non mi tirate pomodori, ho letto i libri e so che non ha mai piovuto nella Radura, mentre invece nel film sì sigh*. Ultimamente ogni cosa che scrivo mi fa davvero schifo, quindi abbiate pietà di questa merdaccia. Ringrazio tutti quelli che recensiscono (provvedo subito a rispondervi, scusatemi ancora cwc) e a tutti quelli che l'hanno messa fra i preferiti, le seguite e le ricordate! Vi adoro, sappiatelo cwc 
DISCLAIMER: non mi appartengono e bla bla bla la solita klunk, avete capito no? 


 
KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

But if you loved me, why'd you leave me?


 

Aprì gli occhi, come ogni mattina, all'alba.
Il cielo era ancora scuro, e si prese il suo tempo per stiracchiarsi e svegliarsi completamente. Agguantò il fianco del compagno con un braccio e se lo premette addosso, ispirando il suo profumo. Sorrise con il viso immerso nei suoi capelli biondi, mentre la voglia di alzarsi dal letto scivolava via dal suo corpo come sabbia fra le dita.
Hm, Tommy, è già l'alba?”, borbottò Newt, la voce impastata dal sonno. Lui mugugnò un assenso, stringendolo più a sé.
“Sai che se non ti alzi fra dieci minuti, Minho si butterà addosso ad entrambi, e ti trascinerà via, vero?”, continuò il ragazzo biondo, vagamente divertito.
“Lo so, lo so. Ma prima di andare in quel dannato Labirinto, voglio stare un po' con te”.
Sentì le labbra di Newt, premute sul suo collo, arricciarsi in un sorriso. “Sempre così dannatamente romantico, eh Tommy?”.
“Sempre”.
Rimasero in silenzio, ascoltando i loro respiri sereni e rilassati. La mattina non c'erano mai rumori, se non quello delle porte che si aprivano. Ma quando succedeva, Thomas era già in piedi, con lo zaino in spalla e le scarpe ben allacciate.
Qualcuno si schiarì la gola. “Non vorrei disturbarvi, ma le porte stanno per aprirsi e qua c'è in gioco la nostra salvezza”.
Thomas sbuffò, aprendo gli occhi e incenerendolo con lo sguardo.
“Non guardarmi così, shank! Sei tu che hai insistito tanto per fare il Velocista, e ora ne paghi le conseguenze”, esclamò Minho, con un ghigno malefico disegnato sul volto.
“E va bene, va bene, mi alzo”, si arrese, staccandosi dal corpo caldo di Newt, che protestò appena il freddo lo colpì.
Minho sorrise trionfante, uscendo per fare stretching e un po' di riscaldamento. Thomas s'infilò i pantaloni e la maglia, prima di strofinarsi la faccia con le mani. Sbadigliò sonoramente, inciampando nei suoi stessi piedi. Si girò per guardare Newt, trovandolo rannicchiato su sé stesso con indosso nient'altro che la propria pelle. Gli buttò addosso la coperta di pile grigia che era ai piedi del letto, prima di chinarsi e baciargli la fronte.
“Hmpf, buona corsa. Ti amo”, mormorò Newt, aprendo gli occhi e sorridendogli leggermente, prima di immergere la faccia nel cuscino e tornare a dormire.
“Ti amo anch'io”, gli disse Thomas, prima di uscire e correre verso Minho, che lo aspettava vicino alle porte.
“Pronto?”, chiese l'asiatico, saltellando sul posto.
“Come sempre”, rispose lui, sistemandosi lo zaino in spalla.
Ci fu un boato e le porte cominciarono ad aprirsi, facendogli venire i brividi e riempendolo di energia.
Sfrecciò all'interno del Labirinto, seguendo Minho. Non si fermò neppure un secondo, nonostante il cuore che batteva veloce e il respiro corto per lo sforzo. Dopo un mese, conosceva quelle mura quasi a memoria, e ormai gli erano familiari.

Però, come da quando era diventato un Velocista, ogni giorno non desiderava altro che il crepuscolo per tornare a casa. Per tornare da Newt.

 

*

 

Tutti venivano da lui per ogni dannato problema e la cosa lo faceva incazzare non poco. Si sentiva quasi come una madre, e non era una questione di orgoglio o altro che lo faceva infuriare, ma il fatto che nessuno sembrava abbastanza maturo da saper risolversi i problemi da solo.
Molte volte erano problemi di natura lavorativa, qualcuno aveva bisogno di una mano nell'orto o in cucina, altre invece – molto più rare – erano questioni di cuore.
Erano tutti ragazzi e nessuno sembrava a disagio, sapendo che c'erano due Radurai che provavano sentimenti più profondi dell'amicizia l'uno per l'altro. Solamente quando lui e Thomas erano diventati una coppia, la maggior parte erano risultati scettici alla questione. Ma nessuno dei due ci aveva mai dato tanto peso. C'erano troppe cose di cui preoccuparsi. Ora che Alby era instabile mentalmente per la maggior parte dei giorni, dopo la Mutazione, gran parte delle decisioni venivano prese da lui. Non era più il secondo-in-comando, ma il capo effettivo. E non pensava che sarebbe stata così dura. Doveva correre dietro a qualsiasi cosa, doveva essere tutto il tempo vigile e attento. Solamente quando Thomas tornava dal Labirinto, poteva dichiarare la sua giornata finita, o comunque prendere in considerazione una meritata pausa.
Condividevano il letto della sua stanza – ogni Intendente ne aveva una – e raccontavano la propria giornata, le varie notizie.
Era in quei momenti, con Thomas al suo fianco, che Newt si sentiva al sicuro, protetto. Sentiva di poter chiudere gli occhi senza la paura di vedere qualcosa andar male nella Radura o al di fuori di essa. In quei momenti non importava che fossero chiusi lì dentro, che non avessero ancora trovato una via d'uscita. Importava che entrambi erano sopravvissuti un altro giorno.
La sua gamba cominciò a dolere non appena quel pensiero si formulò nella sua testa, come un promemoria. Strinse i denti, affondando l'accetta nella radice della pianta per l'ennesima volta. Zart lo squadrò, preoccupato, prima di tornare concentrato al suo lavoro.
Finito il lavoro con Zart, si diresse da Winston, che si stava pulendo le mani sporche di sangue su uno strofinaccio. Storse il naso appena lo vide. Per fortuna, dovette rimanerci solamente due ore insieme a lui, prima di dirigersi alle cucine e aiutare Frypan a distribuire il cibo a tutti i Radurai.
Si sedette accanto a Chuck, che stava addentando il suo stufato con evidente fame.
“Tutto okay, Newt?”, gli chiese, con la bocca piena.
Lui annuì, separando le patate dai pezzi di carne, lo sguardo puntato sulle mura. “Preoccupato?”, insistette il ragazzino.
“Come sempre, d'altronde”.
“Thomas e Minho sono in gamba, e lo sai”, gli ricordò. “Stai tranquillo e basta, okay? Dopo ti andrebbe di insegnarmi a cucire?”, cambiò discorso, tentando di distrarlo. “Dovrei rattoppare la mia maglietta, ma non riesco”.
Newt sorrise, scompigliandogli i capelli con la mano. “Certo, quando vuoi”.
Chuck sorrise, tornando al suo stufato.
A Newt stava abbastanza simpatico. Era di certo uno di quelli a cui si era più affezionato dell'intera Radura. Oltre a provare un istinto di protezione verso di lui, gli faceva piacere quando parlava e scherzava sugli altri Radurai. Sapeva che Thomas gli era molto legato, e cercava in tutti i modi di tenerlo d'occhio il più possibile quando questi era nel Labirinto. Era come se gli stesse facendo un piacere, d'altronde.
Passò un'ora con Chuck, armeggiando con ago e filo e riparandogli la maglietta. Il resto del pomeriggio lo spese con i Medicali, sorridendo ogni volta che Clint si fermava a fissare Jeff, e arricciava le labbra teneramente.
Cominciò a piovere verso metà pomeriggio, qualcosa di stranamente insolito, ma non che non si fosse mai visto, nella Radura. Interruppero ogni lavoro nell'orto, riparandosi e ritirando i pochi panni stesi.
“Questa non ci voleva”, commentò Winston, mentre Gally borbottava qualche insulto al tempo. Newt stinse i pugni, innervosito dalla sola presenza dei due. Non riusciva a sopportarli, negli ultimi giorni. Non facevano altro che commentare ogni cosa con tono aspro e negativo, e riuscivano a buttar giù di morale ogni povero malcapitato che li ascoltava. Era un comportamento che non sopportava, ma stava zitto e non s'impuntava su niente, limitandosi a tirare avanti. Erano due anni che conviveva con la loro presenza, poteva resistere per qualche mese.

Perché era convinto che il tempo che avrebbero passato lì era ormai agli sgoccioli.

 

*

 

Era mezzogiorno, e Minho e Thomas si erano fermati per mangiare. Con le spalle appoggiate ai muri, tirarono fuori i panini preparati da Frypan e pranzarono in silenzio, tutti i muscoli tesi e in allerta.
“Dobbiamo mappare la sezione 7, è quella che cambierà stanotte”, disse Minho, aprendo la sua borraccia e prendendo un sorso d'acqua. “Cinque minuti e ripartiamo, okay?”.
Thomas annuì, riponendo il contenitore del panino nello zaino e chiudendo gli occhi per riposarsi due secondi.
“Thomas?”.
Alzò lo sguardo, sollevando le palpebre. Minho era già in piedi e in procinto per cominciare a correre.
“Sono pronto”.
Ogni passo che faceva, era per i suoi amici. Per Newt. Doveva assicurare ad ognuno di loro una possibile via d'uscita, un'occasione per tornare a vivere, liberi.
Arrivarono alla sezione 7, le lamiere aperte davanti a loro. Qualcosa si depositò sulla testa del moro, che guardò l'amico con un cipiglio confuso.
“Piove?”, gli chiese, mentre quello stendeva una mano.
“Sembra proprio di sì”.
La pioggia cominciò a cadere sempre più forte, mentre loro non si fermavano dal correre.
Stavano giusto scegliendo quale via imboccare quando queste cominciarono a chiudersi. Con i vestiti zuppi, fu ancora più difficile mantenere la stessa velocità di quella mattina.
“Minho!”, urlò Thomas, correndo il più veloce possibile per raggiungerlo.
“Thomas! Thomas, corri! Non guardare indietro e corri!”, gli gridava l'amico. L'ultima lamiera si chiuse con un tonfo, bloccandogli la via d'uscita. La paura cominciò a fargli tremare le gambe. Era quasi peggio di quando aveva lottato contro i Dolenti, quella prima notte nel Labirinto.
“Thomas!”, sentì, sopra il rumore della pioggia, che continuava a cadere.
“Minho! Minho, sono qui!”, esclamò, terrorizzato.
“Devi fare il giro. Devi arrivare alla porta Est”, gli indicò l'asiatico. “Non fare stronzate, Thomas. Sono stato chiaro? Raggiungi la porta Est il più velocemente possibile. Immediatamente”.
Lui annuì, prima di mugugnare un assenso, ricordandosi che Minho non poteva vederlo.
“Ci vediamo alla Radura. Promettimelo”, continuò Minho.
“Te lo prometto”, si ritrovò a dire Thomas, prima di voltarsi e ricominciare a correre.

 

 

*

 

 

Alla stessa ora di ogni giorno, Newt si ritrovò davanti alle mura, aspettando il ritorno dei Velocisti. Del suo Velocista. Non aveva smesso di piovere, e molti Radurai erano rimasti al sicuro, con un tetto sopra la testa.
Chuck lo affiancò, gli occhi fissi e persi nella scura entrata del Labirinto.
Newt se lo ricordava fin troppo bene. Alcune vie erano così strette che faceva perfino fatica a respirare. Si ricordava i numeri delle sezioni e di come le gambe dolevano ogni sera, al ritorno.
Il familiare vento lo colpì in faccia, facendogli spalancare gli occhi dalla sorpresa.
Era tardi. Incredibilmente tardi.
Un'ombra cominciò a muoversi e Minho rientrò nella Radura con il fiatone.
Si diresse verso Newt, che lo abbracciò, contento di rivederlo.
"Thomas?”, chiese, il cuore in gola. Era terrorizzato dalla risposta.
Minho sospirò. “Eravamo nella sezione 7, quando ci siamo separati. Le lamiere hanno bloccato il passaggio e ha dovuto fare il giro dall'altra parte del Labirinto. Non lo vedo da metà pomeriggio, circa”.
Newt si piegò in avanti, sopraffatto dalla notizia. Poi, cominciò a correre verso l'entrata Est, essendo l'unica uscita opposta alla sezione 7.
Quando il familiare boato gli arrivò alle orecchie, sentì il cuore spezzarglisi in mille pezzi.
“No”, sussurrò, impotente. “No”.
Minho lo afferrò per le spalle, aiutato da Zart. Non potevano permettergli di correre all'interno del Labirinto, Newt era ormai la loro unica speranza.
Il biondo cercò di divincolarsi dalla presa, scalciando e tendendosi in avanti. Per colpa della pioggia, che cadeva sempre più fitta, non riuscivano a vedere oltre i loro nasi, quindi la preoccupazione aumentava e aumentava. L'ansia e la paura attorcigliava ormai il cuore e lo stomaco di Newt, che cominciava a perdere lucidità.
Il rumore familiare della chiusura delle porte arrivò ovattato alle orecchie di Newt.
Minho e Zart lo mollarono, e lui non riuscì a tenersi in equilibrio, cadendo in ginocchio non appena i due lasciarono la presa.
Tutto, quella mattina, gli era sembrato normale. Thomas si era svegliato, lo aveva abbracciato e baciato, gli aveva detto che lo amava prima di uscire e poteva ancora sentire il suo respiro caldo sulla guancia. Non aveva trovato niente di diverso dal solito. Tutto si era svolto come ogni fottuta mattina.
Un singhiozzo lasciò le sue labbra appena si rese conto che quello poteva sembrare in tutto e per tutto un addio. Forse Thomas lo aveva fatto di proposito, a comportarsi come ogni mattina. Forse quel bacio sulla fronte non era un modo per salutarlo ma per dirgli addio.
Non si rese conto neppure che qualcuno stesse chiamando il suo nome, non fino a quando quel qualcuno lo sollevò e lo baciò con un'intensità tale da farlo riprendere dal suo momento di stordimento.
Riconobbe immediatamente quelle labbra, ogni loro piega e ogni sfumatura del loro sapore. Attorcigliò le dita in quei capelli neri come la pece, tirandoli. Si aggrappò a quelle spalle forti, mentre un paio di braccia lo stringeva in vita fino a quasi fargli mancare il respiro.
Thomas.
Si separarono dopo qualche istante, respirando affannosamente. Le lacrime e la pioggia gli impedivano di mettere completamente a fuoco la persona che gli stava davanti, ma sapeva perfettamente che era Tommy, il suo Tommy.
“Newt-”.
Thomas non fece in tempo a finire la frase che Newt lo schiaffeggiò sulla guancia, il respiro irregolare.
“Tu!”, esclamò, spintonandolo via. “Tu, non osare più farmi una cosa del genere!”.
Thomas si portò una mano alla guancia colpita, prima di coprire la distanza che Newt aveva messo fra loro e stringendolo ancora a sé.
“Ero così spaventato, così terrorizzato. Pensavo che fossi morto, che.. che..”. Thomas lo cullò fra le sue braccia, tranquillizzandolo. “Shh, Newt. Sono qui. Sono qui e sono salvo. Shh”.
Restarono sotto la pioggia, abbracciati. Newt singhiozzava contro la sua spalla, stringendogli la maglia con movimenti nervosi.
“Non- non sei ferito, vero?”, si decise a chiedere, allontanandosi per controllare.
“Solo molto stanco”, ridacchiò Thomas, tentando di spezzare la tensione. Dopo quelle parole, il biondo lo trascinò nella stanza che condividevano, chiudendo la porta con il laccio.
Asciugò entrambi con un panno asciutto, controllando personalmente che Thomas non avesse nessuna ferita o nessuna puntura. Sospirò sollevato quando vide solo un paio di lividi e la pelle pallida e piena di nei quasi immacolata. Baciava ogni centimetro che asciugava e scopriva, grato che Thomas fosse tornato indietro da lui.
Si lasciò sfuggire qualche singhiozzo, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi cadere sul materasso sgangherato, trascinando il compagno con sé, sollevato di riaverlo lì, fra le sue braccia.

Al sicuro. 

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Capitolo 9
*** Un bacio nerd ***


Genere: Romantico, Triste, Fluff
Words: 6438
Raiting: Verde
Pairing: Newt/Thomas, Minho/Teresa, minor Thomas/Gally, slash, het
Warning: AU, OOC
Note: *stende un velo pietoso su sé stessa*. Faccio schifo. Immensamente schifo. Studio come una malata per tutto il giorno, tutti i giorni, per ritrovarmi con un tre e mezzo sul libretto e vabbé non ho neppure il tempo di scrivere. Quindi mi dispiace davvero tanto se gli aggiornamenti sono una volta ogni morte di papa, cwc. Ciancio alle bande, questa cosina qui mi è venuta fuori mentre aspettavo il treno  - in ritardo come ogni giorno della mia vita. Il rapporto tra Thomas e Teresa è un po' una fissa, visto che io li amo come fratelli - e ho sperato che lo fossero per tutta la durata del primo libro, sigh - e niente, qui sono davvero fluffosi e okkay. Ci sono taaanti riferimenti a Glee (troppi). E vaaaaabbè, spero che sia decentina. Scusatemi ancora, e spero che vi piaccia! 
Disclaimer: non mi appartengono - o sarebbero ancora tutti vivi - non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla. No, neppure Minho mi appartiene *sigh*


 


KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

We can live like Jack and Sally, if you want

 
 

Isaac Newton era in fila davanti a lui per la segreteria.

E Thomas non sapeva cosa fare.

 

C'è un momento, nella tua vita, in cui pensi 'oddio, e ora che faccio?'. Thomas non ci pensava quasi mai. Lui si nascondeva. Usava il suo QI altamente sviluppato in quasi tutte le situazioni della giornata, soprattutto quando non voleva incontrare persone spiacevoli, che portavano brutti ricordi e basta. E allora, le abilità che usava per pensare a come nascondere un possibile cadavere, le adoperava per effettuare la miglior fuga.

Così, Thomas Edison-Agnes, diciannove anni, uscito dal liceo con addirittura la lode e intento a frequentare la facoltà di Scienze Matematiche alla New York University, intratteneva rapporti sociali solamente con la sorella e con Minho, il suo migliore amico e – purtroppo – possibile cognato.

Aveva scelto apposta quell'Università e quella facoltà. Se n'era andato da Boston con le valigie e tutto, deciso ad allontanarsi dalla periferia in cui abitava e in cui si sentiva sempre così ingabbiato. I bulli che l'avevano preso di mira per tutti i quattro anni del liceo erano troppo stupidi per iscriversi ad una facoltà come quella – o a qualsiasi università, a dirla tutta.

Aveva lasciato indietro le camicie a quadri e le bretelle, aveva portato con sé solamente gli occhiali e la sua intelligenza, oltre alla sua collezione di libri, action-figures, cofanetti di serie TV e film fantascientifici e tanti, tanti, tanti, tanti fumetti.

Condivideva l'appartamento con la sorella – che, comunque, stava molto più tempo in quello di Minho, dall'altro lato del pianerottolo – vicino alla scuola di moda da lei frequentata.

Ad entrambi mancavano le loro mamme, ma il sentirle ogni giorno al telefono o comunque su Skype aiutava.

E okay, la sua vita magari non era entusiasmante quanto pensava che fosse, ma il fatto di trovarsi il ragazzo per cui aveva una cotta dal primo anno di liceo, giusto davanti a lui, in fila per la segreteria, era un colpo al cuore.

Soprattutto quando il ragazzo in questione non aveva fatto altro che prenderlo in giro per quattro lunghi anni, atteggiandosi nella sua divisa da quarterback della squadra di football del liceo.

Si sistemò gli occhiali dalla montatura nera con l'indice della mano destra, pregando qualsiasi entità divina di risvegliarsi nella sua camera, nel suo letto, al sicuro. Si maledisse da solo per non essersene rimasto a dormire, quella mattina. Tutto, tutto, era cominciato male, dal caffè in polvere finito alla sua tazza di Spiderman rotta, nel lavandino – e per fortuna che Teresa era a dormire da un'amica, o l'avrebbe ammazzata con la sola forza del suo sguardo. Il suo pullman era arrivato in ritardo, sballandogli il programma della giornata che aveva accuratamente stilato giusto la sera precedente. Se tutto non andava secondo i suoi piani, si sentiva male. Letteralmente male.

E adesso, a quanto pare, le entità divine a cui aveva chiesto ausilio non lo aiutarono affatto, facendogli rovesciare i libri dalle mani, proprio addosso alla schiena di Isaac Newton – no, purtroppo non lo scienziato.

Rimase con gli occhi chiusi per un secondo, il mondo che sembrava essersi fermato. Le mani gli tremavano, e il respiro gli si era fatto quasi pesante. Non riusciva a pensare, il suo cervello era in stand-by. Pensò di cominciare a correre via, lasciando stare i libri pagati una fortuna – sperando che qualche anima buona avesse avuto pietà di lui.

Si ricordò che gli dei amavano prendersi gioco degli umani, facendoli sentire come un pezzo di carta schiacciato a terra. Nel momento il rumore dei libri che cadevano al suolo giunse alle sue orecchie, reagì.

Si girò di scatto, fulminando quella montagna di merda di ragazzo che era inciampato, finendo proprio per urtarlo.

Nello stesso momento in cui si chinò per raccogliere i libri, Isaac Newton si girò.

Thomas chiuse gli occhi automaticamente, quasi aspettandosi il contenuto freddo e appiccicoso delle granite che riceveva giornalmente, in faccia.

«Edison?!».

È perché preferisco Loki a Thor, vero? Vero?!, pensò quasi istericamente, nella sua testa.

Alzò lo sguardo, incrociando quello dell'altro ragazzo, che lo guardava con una specie di smorfia divertita sul viso.

«Ti hanno tagliato la lingua, per caso?», continuò quello, imperturbato.

Lui scosse la testa, negando, raccogliendo poi i suoi libri e risistemandosi ancora una volta gli occhiali.

«Che sorpresa vederti qui», mormorò, a disagio. Perché non te ne torni a Boston, Isaac? Anche lì è pieno di università. LASCIA STARE NEW YORK, PER L'AMOR DEL CIELO!

Cercò di riafferrare le redini del suo autocontrollo, fallendo miseramente.

«Puoi dirlo forte!», esclamò Isaac. «Non avevo intenzione di trasferirmi qua, sinceramente, ma hanno uno dei corsi di letteratura inglese migliori di tutti gli Stati Uniti, quindi..», lasciò in sospeso la frase, gesticolando.

Bugiardo, potevi andare a Yale o Harvard!, pensò Thomas, aggressivamente.

«E tu.. fammi indovinare, Scienze Matematiche?».

Thomas annuì. «Pensavo fosse ovvio», si ritrovò a sussurrare.

Isaac lo sentì, e scoppiò a ridere. «Senti, che ne dici di andare a prendere un caffè? Pomeriggio o magari.. anche adesso. Lascia che finisca qua in segreteria, poi andiamo insieme, okay?».

No aspetta, cosa?

Isaac Newton aveva letteralmente passato quattro anni a rovesciargli granite in faccia, ad umiliarlo per i corridoi, a gettarlo nei cassonetti, addirittura, e adesso gli chiedeva tutto amichevole se voleva prendere un caffè?

Thomas si ritrovò a non sapere cosa rispondere. Per quante volte aveva immaginato una scena del genere, quando non riusciva a dormire la notte? Quanto aveva sognato di trovarsi seduto ad un tavolo da due con Isaac, vedere come bevesse il s uo caffè, pulirgli i baffetti di cioccolato con il fazzolettino o – oddio – con le sue labbra?

Un secondo dopo fu il turno di Isaac alla segreteria, e dopo cinque minuti – quando anche lui ebbe ritirato la sua lista dei corsi e la piantina dell'edificio – si ritrovò il suo sguardo speranzoso addosso.

«Allora, andiamo? Ho trovato giusto una caffetteria qualche giorno fa, e vende dei muffin che sono quasi una ragione di vita!».

Isaac si girò e lui fece per seguirlo quando si fermò. «Aspetta un attimo», disse, piatto.

L'ex-quarterback si girò, fissandolo confuso. «Che succede?».

Thomas si lasciò sfuggire una risatina nervosa. Davvero? Che succede e basta? «Hai passato quattro anni a prendermi in giro, a farmi sentire una merda davanti a tutta la scuola, e ora mi chiedi di andare a prendere un caffè insieme? Cosa vuoi fare, rovesciarmelo addosso per lasciarmi ustioni di terzo grado in faccia o altro..?», lasciò la frase incompleta, il nervoso che provava che cominciava a manifestarsi con qualche suo tic caratteristico – vedi: movimenti convulsi delle dita delle mani. Appena se ne rese conto, deglutì forte e cercò di controllarsi.

Isaac sembrò quasi ferito, quando lui finì di parlare.

Oh, no, ti prego. La mia vita è già miserabile così com'è, non voglio anche questo cliché da serie B.

«Speravo che questo caffè fosse una possibilità per chiarire», sospirò, alla fine.

Thomas lo guardò con occhi spalancati. «Chiarire?», ripeté. «Chiarire, Isaac? Pensi che un caffè basti per tutto quello che mi hai fatto? Oh, allora due parole davanti ad una tazza fumante mi faranno dimenticare tutte le volte in cui tornavo a casa piangendo per colpa tua, coperto di lividi e con la pelle appiccicosa per tutte le granite che mi tiravi in faccia?».

«Thomas, ascoltami-».

Isaac si guardò intorno a disagio, notando quanti occhi e orecchie indiscrete stessero origliando e assistendo alla loro piccola scenata.

Ma il moro se ne fregò, continuando bellamente a vomitargli addosso tutta la merda che gli aveva fatto passare. «No, no che non ti ascolto. Mi sono trasferito a New York per allontanarmi da tutto quello che mi ha perseguitato per anni, e adesso tu spunti all'improvviso, travolto dai sensi di colpa, fingendo di voler diventare mio amico?».

Okay, forse stava esagerando. Forse.

Continuava a pensare di avere ragione – e, in effetti, ce l'aveva. Forse aveva sbagliato il contesto in cui cominciare quella discussione.

Ma, fino a prova contraria, Isaac non smentì quello che disse. Anzi, non disse proprio niente. Si limitò a starsene zitto, la bocca chiusa come da una zip.

«Vaffanculo», gli sputò addosso, alla fine, superandolo e stringendosi i libri al petto. Gli diede una spallata, uscendo dalla hall della facoltà.

Appena l'aria fredda gli colpì il viso, chiuse gli occhi e sospirò profondmente.

Camminò per le strade di New York con la mente annebbiata dallo sfogo che aveva appena fatto, con le spalle più leggere. Si era tolto tutto quel peso di dosso dopo averlo retto per quattro anni.

Infilò le chiavi nella toppa della porta di casa come in trance. Nello stesso modo, le ripose nel piattino all'entrata.

«Tom, tutto okay?».

Non rispose a sua sorella, chiudendosi in camera, sbattendo la porta con un tonfo sordo. Si tolse la giacca, buttandola sulla sedia vicino alla scrivania, prima di sfilarsi velocemente le scarpe. Tirò le tende per far cadere la stanza in una semi oscurità, la testa ancora annebbiata. Scostò velocemente le coperte, buttandocisi sotto; tutti i programmi che aveva stilato accuratamente per la giornata erano dimenticati, il carico di emozioni che lo aveva investito che cominciava a pesare. Chiuse gli occhi, sospirando per l'ennesima volta. Il nodo che aveva in gola cominciò a sciogliersi, e le lacrime gli pizzicarono da dietro le palpebre. Strinse forte i denti, spingendo la testa nel cuscino.

Piano piano, nello stesso momento in cui le lacrime d'umiliazione scendevano sulle sue guance, Morfeo lo prese in braccio e lo cullò fino a quando non cadde in un sonno profondo, senza incubi.

 

 

Teresa entrò in camera sua quando ormai era buio. Reggeva un piatto e camminava nell'oscurità con sicurezza. Posò il piatto sul comodino, prima di sdraiarsi accanto al fratello.

Thomas, che era sveglio, si rigirò nel suo abbraccio, affondando la testa nella crocchia del suo collo. Cominciò di nuovo a piangere silenziosamente, le spalle che si alzavano ritmicamente per colpa dei suoi singhiozzi silenziosi.

Teresa lo strinse a sé, baciandogli la testa nera e cullandolo. «Shh, Tom. Ci sono io qui con te», mormorò, come un mantra.

Thomas strinse convulsamente la sua maglietta larga con le dita, sfogandosi con le lacrime.

Tutto, tutto quello che aveva passato in quegli anni, gli ritornò alla mente come un pugno piazzato sul viso.

La puzza dei cassonetti, la sensazione di affogare quando gli afferravano la testa e gliela spingevano giù nella tazza del cesso, i lividi per tutte le spallate contro gli armadietti e gli spintoni.

«Va tutto bene. Sei al sicuro qui, Tom. Non ti lascerò mai andare».

Lui annuì, seppur poco convinto, tirando su col naso in un modo poco elegante. «Ti amo, Teresa».

Non era insolito che se lo dicessero, esprimevano i loro sentimenti liberamente, senza vergogna. L'orgoglio maschile non aveva mai bloccato Thomas dal dire a sua sorella quello che provava per lei, ossia un semplice e profondo amore che non sarebbe mai finito. Avrebbe sempre, sempre, amato Teresa. Era la sua sorellina, la metà perfetta che lo completava. Insieme erano un tutt'uno.

Teresa sorrise, posandogli un altro bacio sulla fronte. «Ti amo anch'io, fratellino».

E non era neppure un segreto che Teresa provasse le stesse cose per lui.

 

*

 

«Praticamente, c'è questo ragazzo che è una testa di cazzo», stava dicendo Minho, la bocca piena di sushi. «E crede di essere migliore di me a suonare il pianoforte, tanto che mi ha lanciato una sfida. E sapete come finiscono queste cose, alla NYADA? Che uno di noi due finirà per essere il zimbello di tutti nei corridoi e alle lezioni», spiegò, ingoiando. Ruttò, prendendo un sorso di coca cola.

Teresa lo guardò leggermente disgustata, prima di prendere una bacchettata di ramen. «Tu sei il migliore, amore. Vedrai che lo farai nero».

«Poco ma sicuro, baby!», fu quello che esclamò il coreano, stampandole un bacio sulla guancia. «E Tom, tu ovviamente ci sarai. Ci sarai e voterai per me, qualsiasi sia il tuo vero giudizio. Spero di essere stato chiaro».

Thomas ridacchiò, cambiando canale. «Sai che sceglierei te tra tutti gli altri, Min».

«Aw, un'altra frase come questa e mi avrai definitivamente conquistato», asserì. Mosse le bacchette fra le dita, slittando sul tappeto per raggiungere il pezzo di sushi che aveva scelto. Thomas aprì la sua lattina di Sprite, cominciando a muovere la graffetta avanti e indietro, ripetendo l'alfabeto in testa. Minho sembrava ipnotizzato dai movimenti, visto che seguiva la mano muoversi avanti e indietro con gli occhi, il pesce freddo ancora in bocca.

«Non puoi farti due fratelli in una sola volta!», protestò Teresa. Questo attirò l'attenzione di entrambi, e la graffetta si staccò esattamente sulla lettera N. La tirò lontana, contro il muro tinto di beige, sospirando amaramente.

«Ma questo è il bello di essere fidanzati con una persona che ha un fratello gemello! C'è sempre una doppia possibilità. Vai male con uno? Hai l'altro», esclamò Minho, sorridendo convinto. Prese una bacchettata dal suo cartoncino di ramen, masticando allegro.

Teresa gli tirò uno scappellotto sulla nuca, facendogli andare di traverso il cibo. «La prossima che dici una cosa del genere, ritieniti definitivamente morto».

Minho non si arrese. Quando ebbe finito di tossire, continuò:«Mi ami comunque, Tessa. Non cercare di negarlo». Teresa roteò gli occhi in modo teatrale, prendendo un sorso della sua bevanda gassata. «E, Tom», riprese Minho. «Lo sai che sono sempre stato ben disposto ad accettare qualsiasi proposta che comprenda una cosa a tre con voi due».

La ragazza sospirò pesantemente, mentre Thomas scoppiò a ridere. «Mi distruggerebbe doverti dividere con mia sorella anche a letto, Minho».

«Okay, io me ne vado a mangiare in cucina, voi continuate pure a flirtare e a fare battute sui fratelli gemelli, mi raccomando».

Si alzò dal parquet, prendendo le sue scatole di sushi e sparendo in cucina. Minho la seguì con lo sguardo, gli occhi quasi adoranti. Poi, si mise vicino al suo migliore amico, che non vide lo scambio di occhiate che i due fidanzati si rivolsero. Era il momento che stava aspettando da tutta sera. «Mi vuoi dire che cos'hai, ora? Tessa ha detto che hai pianto tutta notte».

Thomas tenne gli occhi incollati allo schermo della TV, senza vederla realmente. Il programma parlava di una donna tradita dal marito, in tutti i modi possibili. Era sposato solamente con l'idea dell'uomo di cui si era innamorata, che aveva mentito perfino sulla sua identità, essendo un gangster della mafia. Scosse impercettibilmente la testa, distogliendo la sua attenzione dai fotogrammi. Poi, lentamente, sospirò. «Isaac Newton».

Sentì Minho grugnire. «Tutto qui? Amico, sei un genio della fisica, risolvi problemi come io apro il frigorifero: in un attimo. Davvero, non devi preoccuparti di andare male-».

«Isaac Newton della nostra vecchia scuola, Min», lo interruppe lui, stancamente.

Un silenzio pesante scivolò fra di loro, interrotto solamente dalle bacchette che cadevano sul pavimento in legno. Thomas si girò, occhieggiando il migliore amico.

Minho fissava il mobilio davanti a sé con il viso trasformato in una maschera di puro shock, disgusto, odio. Rabbia. Thomas poteva quasi vedere i ricordi degli anni passati solamente guardandolo negli occhi.

«Che cosa ti ha detto? Ti ha fatto qualcosa?», chiese, la voce terribilmente bassa, come se stesse ringhiando. Puntò il suo sguardo su di lui, prima di tirargli su le maniche della felpa per vedere se ci fosse la presenza di qualche livido.

«Minho, fermati. Non mi ha detto o fatto niente», lo fermò lui, afferrandogli il viso fra le mani e facendo incontrare i loro occhi. Roteò i pollici sulle sue guance, in un gesto fraterno e tranquillizzante, che sapeva di casa. «Voleva risolvere», continuò. «Mi ha invitato a prendere un caffè insieme, ma io ho rifiutato e l'ho mandato a fanculo».

Il coreano fece una smorfia che assomigliava ad un sorriso divertito, prima di stringerlo in un abbraccio e seppellire la faccia nella sua spalla. «Se quel coglione osa alzare anche un solo dito su di te, giuro che ritroveranno solo dei pezzi del suo corpo», mormorò, la bocca premuta nella stoffa della sua felpa. Thomas sorrise, accarezzandogli la testa e i capelli neri. «Grazie, Minho».

Teresa decise di ritornare fra di loro proprio in quel momento, e Minho si staccò in parte da Thomas per farle posto. Rimasero tutti e tre abbracciati, le schiene premute contro il divano e i cuori che battevano all'unisono: tre ingranaggi arrugginiti che andavano avanti da una vita intera.

E Thomas si sentì così fortunato ad averli tutti per sé; sua sorella e il suo migliore amico: la sua famiglia.

 

 

*

 

Thomas non amava definirsi nerd.

O meglio, non amava quand'erano le altre persone a definirlo in quel modo. Pochi sapevano il vero significato della parola, e altrettanti pochi non la usavano come insulto.

Sua sorella lo usava più come un soprannome tenero, e le sue mamme pure. Era il nerdaccio della situazione quando azzeccava tutte le risposte alle domande dei giochi da tavolo, o quando finiva un videogame in un giorno solo – record che Minho cercava di battere a tutti i costi, non riuscendoci.

Alla fine, Thomas si trovava bene immerso da film fantascientifici, serie TV, libri, fumetti e tomi di materie scientifiche. Sul letto della sua camera, aveva una coperta di pile che amava con tutto sé stesso, regalatagli da Teresa quando avevano solo cinque anni, raffigurante la tavola periodica degli elementi.

Era solo un bambino occhialuto e con un pigiamone intero, quando l'aveva ricevuta. Aveva abbracciato sua sorella e le aveva stampato un bacio sulle labbra, facendo scoppiare a ridere le loro mamme. Susan aveva fatto una foto ai figli, proprio in quel momento, e l'aveva messa sul camino in gran mostra. Thomas sorrideva e arrossiva ogni volta che la vedeva.

Amava sua sorella. Non c'era niente di incestuoso in quello, era solo puro e semplice amore fraterno. Erano inseparabili, lo erano stati fin dal loro concepimento, se si voleva essere pignoli.

Avevano passato due anni insieme in orfanotrofio, e Thomas – anche se, naturalmente, non si ricordava niente di quel periodo – sentiva una sensazione calda all'altezza del petto ogni volta che ci ripensava.

Teresa era sempre stata lì per lui, come lui era sempre stato presente per lei. Bastava che si stringessero le mani per ritornare a sorridere, per sentirsi di nuovo bene con il mondo. Senza l'uno, l'altra sarebbe morta in pochi giorni. Non potevano separarsi, per quanto ridicola e patetica potesse sembrare la cosa. Poi, quand'era arrivato Minho, tutto sorrisi sdentati e macchinine gialle, Thomas aveva fatto spazio nella sua vita e nel suo cuore, e così aveva fatto Teresa. Avevano fatto entrare nei loro cuori una persona fantastica, che non li avrebbe mai giudicati per qualsiasi cosa.

Non lo sorprendeva più di tanto il fatto che Teresa se ne fosse innamorata. Minho era semplicemente il ragazzo più formidabile del pianeta Terra – dell'universo intero – ed era praticamente uno di famiglia.

Senza quelle due persone – pazze da legare, a momenti fastidiose, che riempivano ogni spazio che lui lasciava vuoto, senza però soffocarlo – probabilmente non sarebbe stato neppure ancora vivo.

Sospirò, toccandosi l'interno dei polsi e guardando come quelle cicatrici piccole, leggere, quasi delicate risaltassero maggiormente sotto la luce dell'abat-jour appoggiata sulla scrivania.

Sarebbero rimaste per sempre impresse nella sua pelle. Come un ricordo, indelebile, che anche quando tutto gli era sembrato nero e oscuro, lui ce l'aveva fatta. Ce l'aveva fatta a rimettersi in piedi e a continuare.

 

 

*

 

Quel mattino, New York era parecchio movimentata. Si destreggiò abilmente fra taxi e metropolitane, un libro in bilico sul braccio, aperto sull'argomento dell'esame che doveva tenere.

Si sedette non appena salì sul vagone della metro, tirando fuori gli occhiali dalla montatura nera dalla loro custodia. Sfogliò il libro, ripassando mentalmente le frasi sottolineate e le formule cerchiate con la biro nera. Ha sempre preferito quella blu, le pagine gli sembravano meno scritte e il tutto risultava molto più.. leggero.

Erano piccole cose che notava ogni volta, e il trovarsi in mano una biro nera lo faceva diventare quasi malinconico. Nonostante il nero lo trovasse comunque interessante come colore; gli dava l'idea di mistero e allo stesso tempo di trasparenza. L'oscurità non si nasconde, è sempre lì in agguato. Si mostra con tutta la sua potenza e la sua forma, e Thomas lo trovava magnifico.

Chiuse il libro, rilassandosi contro lo schienale del sedile. Tre fermate, e sarebbe dovuto scendere. Alzò gli occhi, incrociando la figura di una ragazza minuta, seduta con la schiena ricurva e una cascata di capelli verdi che le sfioravano le ginocchia per colpa della testa piegata. Quella la sollevò, incontrando il suo sguardo. La pelle era quasi completamente ricoperta da inchiostro – o almeno, quello che si poteva vedere – e solo la faccia sembrava essere salva e immacolata. Thomas la trovava un'opera d'arte. Le rivolse un sorriso appena accennato, lottando per distogliere lo sguardo dalle rose blu e nere dipinte sul suo collo.

«Sai che si può riconoscere un sorriso vero da uno fatto per circostanza?».

Thomas sobbalzò, guardando di nuovo la ragazza. Lei si tolse in fretta le cuffiette bianche che aveva alle orecchie.

«Le persone mi rivolgono sorrisi di circostanza non appena notano i miei capelli e i miei tatuaggi». Incrociò le dita, continuando a parlare. Thomas notò che aveva dei disegni pure sulle mani, e avrebbe tanto voluto osservarli da vicino. «L'unico è mio fratello», continuò. «Lui è l'unico che non mi guarda con occhi diversi. E anche tu. Osservi i miei tatuaggi e i miei capelli, ma non con disgusto. Ti piacciono, e lo noto».

«Non sono così idiota da giudicare le persone dall'aspetto fisico», riuscì a mormorare Thomas, imbarazzato. «I tuoi tatuaggi sono stupendi», aggiunse, poi.

La ragazza sorrise, prima di alzarsi e sedersi accanto a lui. La metro si fermò, facendo salire un uomo con un cane e una donna con indosso un tailleur elegante, coperto da un cappotto grigio che lasciava aperto. Si spostarono tutti nei vagoni in fondo, lasciandoli da soli a conversare.

«Sonya», si presentò la ragazza, tendendogli la mano tatuata. Lui la strinse, sorridendo. «Thomas».

«Be', Thomas, vedo che hai un libro molto noioso appoggiato sulle gambe. Facoltà di Scienze Matematiche?».

Lui annuì. «Esattamente». Non si offese neppure quando la sua nuova amica definì la sua passione noiosa. Per lui la matematica era semplicemente una fonte di gioia. Cosa molto insolita da sentire in giro; lui si rilassava risolvendo disequazioni e problemi. Era assetato di conoscenza scientifica, e la matematica poteva offrigliela ogni volta che apriva uno dei libri riposti accuratamente nella sua libreria.

«Tu, invece?», le chiese.

«Psicologia. Volevo iscrivermi a Medicina, ma è mio fratello il genio dei due. Anche se a sua volta ha rinunciato a farsi il culo su tomi e tomi e altri tomi, e quindi ha seguito la sua passione».

«Anche lui ha i capelli colorati e tanti tatuaggi?».

Sonya scosse la testa, ridendo. «Niente di tutto questo. È piuttosto..normale. Sempre appiccicato ad un libro dietro l'altro».

Rimasero in silenzio, e la metro si fermò di nuovo. Una madre e sua figlia si sedettero davanti a loro, perse nella discussione che stavano avendo.

«Mi piaci, Thomas. Mi piace il modo in cui mi hai guardato senza alzare un sopracciglio».

Lui sorrise, alle parole. «Non ce n'era bisogno. Non sei diversa. O meglio, lo sei ma in modo positivo. Non c'è niente di sbagliato nell'essere diversi. È una cosa che mi ha insegnato mia sorella», disse. «Anche se ci ho messo tanto per capirlo», aggiunse, quasi sussurrandolo a sé stesso.

Sonya gli rivolse un'occhiata incuriosita, mentre si stava giusto alzando in attesa della sua fermata. Si sentì tirare per un braccio e la sensazione distinta della punta di un pennarello che gli macchiava la pelle della mano.

La metropolitana si fermò e le porte si aprirono, e Sonya gli sorrise. «Ciao, Thomas. Buona fortuna per il tuo esame di matematica».

Lui ricambiò il sorriso, scendendo dal vagone e guardandolo mentre ripartiva. Riabbassò lo sguardo sul dorso della sua mano, trovandoci sopra scritte delle cifre. Non ebbe neppure il tempo di realizzare che aveva appena socializzato che si sentì investire da una gioia inspiegabile. Il sorriso non se ne andò dalle sue labbra, rimanendoci per tutta la giornata.

 

*

 

Chiamò Sonya il giorno dopo.

In tutta verità, non la chiamò neppure: le inviò un messaggio, a cui lei rispose con una faccina felice.

Erano giusto seduti su una panchina, lui con il suo immancabile libro sottobraccio e lei con i capelli verdi raccolti, che reggeva un album da disegno. «Sai cosa, Thomas? Sei una persona interessante, ma lo potresti essere ancora di più sulla carta», gli aveva detto, un sorriso furbo disegnato sulle labbra.

Non aveva capito bene quella frase, finché non l'aveva vista disegnare velocemente sul foglio con la matita grigia. Quando le aveva chiesto una spiegazione, lei aveva semplicemente affermato che le persone, disegnate su un foglio, potevano apparire in due modi: o aperti quasi quanto le gambe di una prostituta, o blindati come una cassaforte. Thomas, inizialmente, aveva riso per i paragoni usati dalla sua nuova amica – era strano definire qualcuno così, all'infuori di Minho -, poi ci aveva ripensato e si era ritrovato affascinato da quelle lettere messe insieme. Il chiedersi come sarebbe apparso in quel ritratto, fu una condizione direttamente proporzionale alla consapevolezza di quelle parole.

Stava bene in compagnia di Sonya, e tutto quello che Isaac Newton aveva riportato a galla, era stato annegato per l'ennesima volta, quasi brutalmente. Non poteva, però, mentire a sé stesso. Per quanto Sonya fosse una ragazza fisicamente attraente e con un QI altamente sviluppato, non provava nient'altro che il semplice ed innocente sentimento dell'amicizia per lei.

Aveva provato ad accennarglielo, e lei non aveva fatto altro che buttare la testa all'indietro, in una risata cristallina.

«Thomas, io sono lesbica. Non ho nessun interesse per i ragazzi», gli aveva detto, la voce tremolante per colpa delle risa.

Thomas aveva sospirato, sollevato. Non gli era però sfuggita l'occhiata quasi preoccupata che la ragazza gli aveva rivolto, dopo la sua confessione. Capendo immediatamente il motivo, le prese la mano, bloccando i movimenti sul foglio. «Non devi preoccuparti: te l'ho detto che non ho pregiudizi sulle persone».

Lei si era aperta in un sorriso. «Meno male».

La loro conversazione finì lì, e ci fu solamente il rumore di una matita che slittava abilmente sul foglio bianco.

 

 

*

 

Teresa e Minho adoravano Sonya.

Fu quasi sorprendente come le cose si evolsero dopo quel pomeriggio.

La ragazza abitava in un piccolo appartamento con il fratello, più grande di un anno. Si era diplomata prima, in un collegio privato femminile. Sonya continuava a ripetere che quel posto, pur essendo stato una prigione per lei, era meglio di una scuola pubblica – al contrario del fratello, scappato dal collegio maschile in cui i suoi genitori lo avevano rifilato, dopo nemmeno una settimana. Si era mantenuta in contatto con alcune sue vecchie compagne di liceo, anche se non aveva instaurato dei rapporti forti e duraturi con nessuna di loro.

Lei e Teresa uscivano spesso per andare a fare shopping – o solo per urlare istericamente davanti alle vetrine, occhieggiando tutti i capi troppo costosi per poterseli permettere al momento. Thomas si asteneva da queste loro attività, restando a casa a guardare film o a studiare.

Fu sorprendente il modo in cui Sonya entrò nelle loro vite, un tornado di capelli colorati e tatuaggi. Si organizzavano perfettamente con gli orari scolastici di tutti e quattro, ed erano diventati un gruppetto affiatato. Si era integrata perfettamente con le loro tradizioni – come il giapponese al Mercoledì o la maratona Marvel ogni due settimane – e ne avevano inventate di nuove. I suoi gusti erano pressapoco uguali ai loro, ed era una cosa davvero.. figa. Thomas era al settimo cielo.

L'università stava andando perfettamente, aveva quella che poteva definire come vita sociale minima, e aveva trovato una versione a dir poco giurassica di un numero di Capitan America, risalente al '49. Lo aveva pagato una fortuna, ma erano soldi ben spesi.

Le loro madri sarebbero andate da loro per Natale, anche per conoscere questa Sonya di cui entrambi i gemelli parlavano spesso.

Isaac Newton era nel dimenticatoio. Thomas non ci pensava più, e si stava pure frequentando con un ragazzo della facoltà di Belle Arti, Gally – sì, l'aver fatto perfino colpo su un ragazzo aveva sorpreso anche lui, all'inizio. In tutta verità stava cominciando a sentirsi a suo agio con sé stesso, ed era una cosa che sia Sonya, che sua sorella e Minho lo aiutavano ogni giorno a fare. Non poteva ignorare i miglioramenti che stava facendo e voltare il viso dalla parte opposta. Era piuttosto fiero di sé stesso, a dirla tutta.

Insomma, tutto stava andando come doveva andare.

 

 

«Devi assolutamente venire a mangiare da me, Sabato. Ho preso una nuova teglia per la pizza, bucherellata sul fondo per rendere la crosta croccante».

Thomas scrisse velocemente il risultato del problema che stava risolvendo, prima di rivolgere tutta la sua attenzione all'amica.

«Certo, Sabato non ho niente da fare», affermò, sbadigliando.

«Qualcuno ha fatto le ore piccole, qui?», cinguettò diabolica Sonya, ridendo subito dopo.

«I teoremi mi hanno tenuto sveglio fino alle due, abbi pietà di me», rispose Thomas, ignorando volutamente il messaggio nascosto dietro quelle parole.

«Un teorema di nome Gally, Tom?».

Lui arrossì fino alla punta delle orecchie per l'insinuazione. «Non dire sciocchezze», borbottò.

«Sabato. Domani. Otto e mezza. Non portare vino, mio fratello non sopporta la vista dell'alcool. Ieri si è preso una sbronza assurda».

Non riuscì a ribattere niente che la ragazza gli chiuse il telefono in faccia. Sospirò teatralmente, tornando alle sue formule.

 

Era stato poche volte a casa di Sonya; quest'ultima veniva sempre da lui e Teresa, dove c'era anche Minho. Il condominio era abbastanza alto, e il portiere gli sorrise quando entrò.

Salì velocemente le scale fino al 17, suonando il campanello.

Quando la porta si aprì, lui si sentì svenire. Improvvisamente, tutte le cose belle che gli stavano succedendo, si sgretolarono. Non era destino che fosse felice. Non poteva esserlo, il passato doveva sempre tornare per prendersi gioco di lui, ripetutamente. Sbiancò, facendo un passo all'indietro. La gola era secca, le parole erano quasi come bloccate fra le corde vocali, troppo codarde per uscire. Deglutì rumorosamente, e fece quasi male. «T-Tu che ci fai qui?», balbettò.

Isaac Newton lo stava fissando con la stessa espressione dipinta in faccia, completamente scioccato.

«Io, hm..», tossì. «Io vivo qui», mormorò quello, abbassando lo sguardo al pavimento.

«COSA?», si ritrovò ad urlare.

Isaac Newton era il fratello di Sonya.

Il fratello maggiore con la passione per i libri e l'aspetto sobrio, che odiava la vista dell'alcool il giorno dopo essersi preso una sbronza. Il ragazzo che voleva diventare medico, ma che aveva deciso di dedicare la sua vita alla letteratura. Il ragazzo che Sonya adorava, che riteneva la propria ancora e di cui parlava sempre. Strano che non le fosse sfuggito il fatto che si chiamasse Isaac, che fosse biondo e che avesse frequentato la Glade High School, dopo essere scappato dal fottuto collegio maschile. Oh, non dimentichiamoci il piccolo dettaglio che vedeva protagonista Thomas sbattuto contro gli armadietti giornalmente.

«Ragazzi, che ci fate sulla porta?», esclamò Sonya, facendo capolino. Thomas la guardò, gli occhi spalancati e il respiro che accelerava.

La ragazza lo fissò preoccupata, avvicinandosi rapidamente a lui.

Thomas non la vedeva più tanto bene, e la testa gli girava. La vista cominciò a farsi sfuocata, il familiare mattone sul cuore che ricominciava a pesare, quasi come se si stesse lasciando andare senza più trattenersi per non schiacciarlo. Deglutì più e più volte, la bocca aperta in cerca di ossigeno. Ossigeno che prontamente sembrava non arrivare. Si aggrappò allo stipite della porta con la mano, strizzando gli occhi e aprendo e chiudendo più volte le palpebre. La vista era completamente sfuocata, vedeva solo dei puntini colorati.

«Tom? Thomas? Thomas, è un attacco di panico?», chiese Sonya, terrorizzata. Si sentì trascinare dentro casa, Sonya che gli parlava con la voce alterata dalla paura.

«Thomas concentrati su di me. Guardami».

I suoi occhi incrociarono quelli dell'amica, che gli prese il viso fra le mani. «Tom, coordina i tuoi respiri con i miei. Piano. Uno e due. Uno e due. Uno e due. Così, bravo».

Chiuse gli occhi, dopo che si calmò, sbattendo la testa contro la parete in modo violento. Cominciò a piangere inespressivo.

«Tom, che succede?», gli chiese ancora Sonya, asciugandogli le lacrime con i pollici. «Che succede?». Si ritrovò pressato contro il corpo dell'amica, che lo abbracciò forte.

Lui non rispose, risollevando le palpebre e guardando Isaac Newton, che se ne stava in piedi vicino allo stipite della porta della cucina, uno sguardo terrorizzato dipinto in volto.

Si fissarono in silenzio, e sentì Sonya trattenere il respiro.

«Tu conosci Newt», sussurrò la ragazza.

Newt. Che lui si ricordasse, non aveva mai sentito qualcuno dare un soprannome ad Isaac Newton, al liceo.

Thomas agitò la testa in segno affermativo, non fidandosi della propria voce, distogliendo lo sguardo.

Passarono qualche secondo, che lui riempì respirando profondamente e cercando di riprendere il controllo del suo cervello e del suo corpo.

Sei più forte di così, Tom, pensò. Ce la puoi fare.

«Forse è meglio che vi lasci da soli..», mormorò la ragazza, alzandosi dal pavimento e fissandoli entrambi. «Sarò in camera, se.. vabbè, avete capito», borbottò, prima di sparire nel corridoio.

Isa- Newt si avvicinò a lui, lentamente, con passi misurati. Gli porse una mano, che lui accettò. Lentamente si tirò su, la stanza che girava intorno a lui. Chiuse gli occhi, prendendo un respiro profondo. «E così, sei il fratello di Sonya», fu quello che riuscì a dire. Tossicchiò.

«Sì. Non ha frequentato la scuola pubblica per.. problemi. Atti di bullismo». E a Thomas veniva da ridere, perché Newt era quello che lo bullizzava più di tutti al liceo. Lui e i suoi amici idioti.

Soffiò una risata nervosa e sarcastica. «Com'è stato essere il lupo cattivo per cinque anni?», sputò, tagliente.

Newt sospirò, guardandolo negli occhi. «Quello non ero io, Tommy».

Non notò neppure il soprannome, rispondendo con ironia:«Vuoi dirmi che quello che mi picchiava e mi spingeva la faccia nel cesso era il tuo clone cattivo?».

«Voglio dirti che quello non ero io e basta. Entravo in quella scuola e cambiavo. Vedevo te e cambiavo. Dio, non sai che terrore ho provato quando- quando non mi eccitavo più guardando Kelly Janson ma mi succedeva a vederti senza maglietta negli spogliatoi?».

Thomas fece un sorriso finto alla confessione. «Perfino un gay represso. Sei lo stereotipo del cattivo ragazzo che diventa buono nei film di Serie B, Newt».

Il ragazzo grugnì, prendendosi la testa fra le mani. «Devi credermi, Thomas».

Lui fece una smorfia, le lacrime che bruciavano ma che lui non doveva lasciar uscire. «No, in realtà no. Non ho bisogno di crederti. Adoro tua sorella e la voglio nella mia vita, come amica e confidente. Con questo non vuol dire che debba sopportare anche te». Newt sembrò ferito al commento, ma Thomas non riuscì a sentirsi in colpa. «Dì a tua sorella che mi dispiace», finì, in un tono tagliente come un coltello.

Fece per girarsi e andarsene, quando Newt lo afferrò per un braccio. Non disse niente.

S'immobilizzò, sentendo la mano di Newt scivolare lungo il suo braccio, fino a raggiungere la sua mano.

Lentamente, afferrò gentilmente il suo indice e il suo medio sinistro, allacciandoli alle sue medesime dita.

Thomas spalancò gli occhi, il respiro che diventava sempre di più pesante.

Il bacio vulcaniano.

Si girò alla velocità della luce, fissandolo negli occhi ma non interrompendo il contatto delle loro dita.

«Penso di essermi innamorato di te, Tommy», sussurrò Newt.

A Thomas sembrò così debole che non se la sentì a uscire da quella porta. Poi, la consapevolezza delle parole che erano uscite dalla sua bocca lo colpì come un fulmine.

Penso di essermi innamorato di te, Tommy. Ogni parola gli si era bloccata nella gola, la mente che stava faticando a processare il tutto. Semplicemente lo guardò in faccia, la bocca semi aperta dallo stupore e completamente in shock. Chiuse gli occhi per qualche secondo, quasi immaginandosi una granita in faccia e un eccesso di risate da pare di Newt e dei suoi amici idioti. Era ancora il suo incubo ricorrente, e se in passato lo scacciava immaginando di avere accanto lo stesso bullo di cui era perdutamente cotto, ora non riusciva a trovare un appiglio a cui aggrapparsi.

«So che hai sempre amato la fantascienza e tutte queste cose. Ho letto centinaia di libri su robot, navicelle spaziali e sull'Universo. Mi sono visto tutti gli episodi di Star Trek e tutti i film di Star Wars, e mi sono reso conto che li ho adorati perché mi ricordano così tanto te in ogni scena», continuò.

Thomas non riusciva quasi a respirare. Aveva aspettato per una vita di sentire quelle parole uscire dalle labbra di Isaac Newton, e adesso che le sentiva veramente non riusciva a muoversi, pensare, o addirittura rispondere.

«Non ti sto dicendo di ricambiare i miei sentimenti. Sono stato crudele con te, in così tanti modi che mi faccio schifo da solo. Ho preteso di odiarti quando in realtà quello che detestavo era me stesso e basta», continuò. «Ma ti amo, Tommy. Penso di averlo sempre fatto, in realtà. Ti sto solo dicendo che.. che cercherei di renderti felice. Assurdamente felice. Ti terrei al sicuro da tutto e da tutti, me compreso».

Un silenzio cadde fra di loro, spesso come un muro di mattoni e cemento armato. Deglutì rumorosamente, pensando ad una possibile risposta.

Il moro non replicò niente, avvicinandosi ancora e sollevando le loro dita intrecciate. Le osservò, sentendole lentamente pizzicare al contatto. Tutto il suo corpo stava quasi vibrando.

Poi, rise. Semplicemente rise, una lacrima che scese dal suo occhio sinistro. Non si curò di asciugarla, continuando a ridere. Newt lo guardava come se fosse impazzito. Si portò le loro dita alla bocca, baciando quelle dell'altro ragazzo. «Questa è la cazzata più grossa della mia vita, Newt», sospirò. «Ma non me ne frega davvero niente. Dio, fatemi una statua su Marte se sarò vivo nei prossimi mesi di questa relaz-».

Fu interrotto da Newt che premeva le labbra sulle sue, sorridendo come un bambino nel giorno del suo compleanno.

Thomas si separò da lui pochi istanti dopo, lasciando un'altra risatina tremolante. «La mia vita è come un fottuto film di serie B», disse.

 

Che, nel suo linguaggio, corrispondeva ad un ti amo anch'io. 

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Capitolo 10
*** Un bacio magico ***


Genere: Romantico, Fluff, Fantasy - una specie. 
Words: 2.689
Raiting: Verde
Pairing: Newt/Thomas, slash
Warning: AU, OOC
Note: Shame on me. Davvero. Sono una persona bruttissima. Disgustosa, per pubblicare una volta al mese. Davvero, tiratemi i pomodori o una bella acccetta e facciamola finita. COOOMUNQUE, per questo ho una scusa, che alla fine è proprio quello che è successo: il mio giovane, vecchio amico computer, mi ha abbandonato. Totalmente, Puff, spento. E ovviamente sto aspettando i big money per comprarmene uno nuovo che mi duri, eheh. Quindi ho dovuto riscrivere tutto e questo è il risultato: una cagatina. Un ringraziamento a mio zio, che mi ha prestato il suo computer senza fare storie *fa la hola*. E vabbè, spero veramente che vi piaccia, awaw. Ringrazio tutti quelli che l'hanno recensita, messa fra le preferite, seguite e ricordate!
Disclaimer: non mi appartengono, non scrivo a scopo di lucro e bla bla bla, avete capito no?



KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Oh, darling, I will take you home


 
Per Camilla, la mia piccola,
grande stella che ha sempre paura di brillare,
ma che alla fine è la più bella del cielo.

 
 
Quando Newt incontra Thomas ha sedici anni ed è telecinetico. Una cosa non del tutto normale per un essere umano.
Sa che Thomas va nella sua stessa scuola, anche se l’ha visto poche volte.
Non sa che Thomas l’ha osservato fino a quel momento, alle sue spalle.
“Capisco come ti senti, Isaac”, gli dice, nel tentativo di tranquillizzarlo. Ha dato di matto dopo aver realizzato che non era da solo nello spogliatoio e che Thomas stesso l’ha osservato aprire gli armadietti senza muovere un muscolo.
“Isaac, calmati”-
Newt”, dice lui. “Mi chiamo Newt”.
“Io pensavo – okay”, lascia perdere. “Newt. Calmati, ora, okay? È successo anche a me l’anno scorso, non è niente di grave”.
Lui ride quasi istericamente. “Niente di grave?”, ripete. “Dio,  mi sembra di essere in Carrie[1] e tu mi dici che non è niente di grave?!”.
Thomas si passa una mano fra i capelli mori, tirandoli. “Devi ascoltarmi, va bene? Tu .. tu sei un mago, Newt!”.
“Questa l’ho già sentita. Harry Potter, davvero?”.
Il sarcasmo è l’unica arma che ha per non cadere nel panico. Non può impazzire e magari quella che ha è solo una lieve forma di schizofrenia. Oppure è un incubo. Sì, è sicuramente un incubo. Un cazzo di incubo.
Anche se tutto quello sembra così vero. Anche Thomas sembra vero. Fin troppo.
“Newt. Guarda”.
Thomas alza una mano e chiude gli occhi. Il palmo è rivolto verso l’alto e la sua pelle comincia a brillare. Nel suo palmo, c’è una pallina di luce. Newt spalanca gli occhi dalla sorpresa.
Thomas gli sorride. “Questo è il modello in scala ridotta di una stella. Diciamo. Il calore è decisamente minore e anche la misura. Però, spero che tu abbia capito qual è il mio potere”.
“Luce”, risponde immediatamente. “Luce, calore”.
Thomas sorrise. “Sì, sono una specie di torcia umana”, scherza. Newt, però, non è in vena di scherzi. Allunga una mano verso la pallina di luce, sentendone il calore sulle dita.
No, non è un incubo. Nemmeno un sogno o qualcos’altro. È tutto dolorosamente reale. Scoppia quasi a piangere, ma si fa violenza psicologica per non lasciar cadere nemmeno una lacrima. Si concentra e fa spostare la pallina di luce in alto, su e sempre più su, fino a quando non raggiunge il soffitto. Poi, sparisce.
“La telecinesi è solo il primo stadio. Abbiamo due poteri, da quello che ho capito”, spiega Thomas. “Forse è meglio se ti vesti, okay? Saltiamo le ultime due ore e ti spiego tutto in un posto più.. consono”.
Newt non si rende conto di indossare ancora i pantaloncini per la lezione di educazione fisica e la maglia da basket. Arrossisce, aprendo il suo armadietto – con le mani, questa volta – e tira fuori i suoi jeans neri e la sua maglia dei Nirvana.
Si veste in fretta, allacciandosi le scarpe e buttandosi lo zaino sulle spalle. Thomas gli sorride, l’ha guardato tutto il tempo. Ha cercato di non andare a fuoco, sentendosi lo sguardo del moro addosso, ma adesso si è reso conto di aver cose più importanti di cui preoccuparsi.
È un mago, per la miseria. Ha vissuto con la convinzione che la magia non esista, che sia tutto frutto della perversa mente umana. E invece no. E lui n’è la prova vivente. Fa paura, pensarlo. Pensare di essere una creatura fantastica. Rabbrividisce al pensiero di cosa farebbero gli scienziati se avessero uno come lui sotto le loro mani. Finirebbe a brandelli, poco ma sicuro. Allora capisce perché Thomas abbia preferito parlarne fuori dalla scuola. Non si sa mai chi potrebbe ascoltare le loro parole.
Segue il moro fin fuori da scuola, prima di fermarsi. Sono nel parcheggio. “Dove mi vuoi portare?”.
Thomas si ferma, girandosi. “A casa mia. Faccio della cioccolata calda e ti racconto tutto, okay?”.
Non sa cosa dire. Non si fida della sua voce, quindi ci pensa attentamente per qualche secondo. Poi, annuisce. Thomas sorride, voltandosi e continuando a dirigersi vero la sua auto. Newt fa lo stesso, la mente ancora leggermente annebbiata per tutte le informazioni che ha ricevuto – e sapere che ce ne sono altre non fa altro che mandarlo ancora di più in confusione. È nel panico, deve ammetterlo.
Sale sulla Jeep azzurra[2] che sembra essere l’auto di Thomas, e guarda a disagio fuori dal finestrino per tutta la durata del viaggio. Fissa gli alberi, il bosco e la strada asfaltata, perfino i nuvoloni carichi di pioggia, ma mai il guidatore al suo fianco.
Non ce la fa. Non sa neppure perché.  Imboccano una via, il solito vialetto americano dove ci sono le villette per famiglie. Appena l’auto si ferma, Newt balza giù.
“Allora, ci stai ancora per la cioccolata?”, chiede Thomas, una volta che sono in cucina.
La casa sembra essere relativamente grande – meno della sua, in ogni caso – ed è abbastanza accogliente. Le pareti della cucina e dell’ingresso sono imbiancate di colori tenui, che vanno dall’arancione all’ocra. Molto belli, deve ammetterlo. I mobili sono moderni, anche se la cassapanca all’entrata sembra abbastanza antica.
“Io- preferirei un tè. O anche un po’ d’acqua, davvero, non devi disturbarti”, borbotta Newt, sedendosi al bancone della cucina.
“Il tè sembra ottimo. Ho solo quello nero, però”.
“Perfetto, davvero. Grazie”.
È a disagio, anche un cieco potrebbe dirlo. Con uno sguardo, apre lentamente uno dei cassetti, facendo ridacchiare Thomas.
“Frughi già fra le mie cose?”, dice. Newt arrossisce appena sente la frase, abbassando lo sguardo sulle sue mani. “Non fare il timido, Newt. Davvero. Sentiti come se fossi a casa tua. Siamo pochi a questo mondo, è meglio che restiamo amici, no?”.
Newt annuisce alle sua parole, sollevando lo sguardo per guardarlo in faccia. Poi sorride. Thomas si gira ancora verso la teiera.
“Sei inglese?”, gli chiede, dopo avergli messo davanti la tazza con la sua bevanda calda.
“Sì, mi sono trasferito qua quando avevo sei anni. Passo tutte le vacanze in Inghilterra, comunque”.
“E com’è? Non ci sono mai stato!”.
La curiosità di Thomas lo fa sorridere. “Be’, Londra è fantastica. È.. il posto a cui appartengo. Chi non ama Londra, non ama la vita, dice sempre mio nonno. E gli do ragione”.
“Quindi sei londinese?”.
Newt annuisce. “Quando sei in quella città.. è come se tutti i tuoi sogni diventassero realtà, hai presente? Lì puoi sognare in grande, puoi sentirti.. speciale. Perché fai parte di qualcosa speciale come Londra”.
Thomas pende dalle sue parole. Poi, fa una smorfia triste. “Ti manca, vero?”.
“Da morire”, ammette Newt, prendendo un sorso del suo tè. Nota che Thomas ci ha messo il latte. Sorride. È il suo modo preferito di prendere il tè.
“Quindi.. quando hai scoperto di essere un mago?”, chiede, per cambiare discorso. Ancora pronunciare quelle parole gli sembra troppo strano. Maghi? Da strapparsi i capelli, a momenti. E lui è uno di loro. È un fottuto mago.
“L’anno scorso. Mi sono svegliato e tutta la mia camera era in disordine. E io sono un tipo molto ordinato. Mi stavo lavando i denti quando mi è caduto lo spazzolino. L’ho sollevato solo con la forza del pensiero. Mi sono spaventato, se devo dirla tutta”.
Newt borbotta quello che assomiglia ad un: “Sfido chiunque a non farlo”.
“E niente, questa cosa è continuata per un po’”, prosegue. “E poi ho cominciato a formare palline di calore con le mani. Riuscivo a spegnere e accendere la luce a mio piacimento, a modificare l’intensità della lampadina. Perfino il fuoco. E ora sono qui. E sono tranquillo, perché so di essere speciale. Quello che voglio dirti, Newt”, dice, poi, allungando la mano e posandola sopra la sua. “È che non devi sentirti – un mostro. Tu sei speciale, va bene?”.
Newt sente gli occhi inumidirsi. “Io- io ho paura”, confessa.
Thomas gli sorride. “È normale, Newt. Per questo ci sono qua io”.
Si sorridono. Newt sente tutto il disagio scivolargli via dalle membra, facendolo rilassare sulla sedia. E forse è anche il tè che aiuta, ma è sicuro che Thomas abbia fatto tutto il lavoro.
“Allora, quello di cui dobbiamo preoccuparci adesso, sono i tuoi poteri. Penso che il cambiamento sia graduale. Non lo so, mi sto basando sulla mia esperienza”.
Newt annuisce. “Grazie, comunque. Per avermi calmato e per il tè- per tutto”.
Thomas scuote la testa. “Ci mancherebbe altro. Adesso siamo una squadra, Newt. E ti starò accanto fino a quando ne avrai bisogno”.
 
 
Newt e Thomas sono inseparabili. Passano tutti i pomeriggi insieme e sembrano le due parti di una stessa medaglia. Studiano insieme, fanno i compiti sul divano del salotto e guardano le serie tv per il resto del pomeriggio.
Thomas vive solo con la madre, che lavora in un ospedale psichiatrico. Sa della magia del figlio, e quando vede Newt non può fare altro che dedurlo. Newt si sente accettato dalla donna.
E Thomas. Be’, Thomas è tutto un  capitolo a parte. Thomas è il ragazzo più bello che Newt conosca. È il suo primo amico. Sa che può fidarsi di lui ed è coraggioso, simpatico, alla mano. Condividono molte cose, e la magia è quasi l’ultima di queste. Newt riporrebbe la propria vita nelle sue mani.
Ed è dopo un po’ che se ne rende conto: si sta innamorando. Si sta innamorando così velocemente che quasi gli fa paura. Non sa neppure cosa voglia dire essere innamorati, ma sente che quel sentimento che prova per Thomas va ben oltre l’amicizia. Troppo oltre. Ha superato quella linea sottile che ormai non è nient’altro che polvere.
Thomas è così.. Thomas. Non ci sono parole per descriverlo. Non ha paura di essere sé stesso e quando sorride sembra che il mondo stesso si fermi solo per osservarlo. Sa sempre cosa dire ed è l’essere umano più speciale del pianeta, magia o no.
E Newt lo ama. Dio, se lo ama.
Quando se ne rende conto, quasi scoppia a piangere. Non vuole rovinare l’unica cosa bella della sua vita. Non vuole rovinare quello che ha con Thomas, la loro amicizia appena cominciata ma già così solida. Non vuole perdere l’unica persona che riesce a capirlo veramente. N’è terrorizzato, non ha mai amato nessuno come ama Thomas. Mai. Non si è mai lasciato così tanto andare. Quasi gli viene voglia di urlare, di strapparsi i capelli. Non vuole credere a quello che il suo cuore gli sta dicendo, non vuole ammettere di essere...così. Quasi si picchia da solo quando si ritrova a fantasticare su un possibile bacio. Thomas non può provare quelle cose per lui, sa che non è gay. Dio, neppure lui lo è! I ragazzi non gli piacciono, non gli sono mai piaciuti in quel modo.
Thomas gli piace per tutto quello che è. Magia inclusa.
Non riuscirebbe più a vivere senza di lui. Assolutamente no. Ormai è il centro del suo mondo, è entrato completamente nella sua vita.
E non vuole dirgli addio.
 
*
 
Newt scopre il suo potere verso Natale.
Entra a scuola e vede Thomas parlare con una ragazza dell’ultimo anno, una certa Brenda. Sa che quella che sente è gelosia, ma non ha notato nulla di strano fino a quando la lampadina sopra la sua testa è scoppiata. Alcuni studenti hanno esclamato qualcosa vicino a lui, e si è ripreso.
Il suo sguardo si è incatenato a quello di Thomas e lui è semplicemente corso via, rifugiandosi nell’aula di Fisica – corso AVANZATO, perché lui è un secchione e non ha potuto cambiarlo con quello BASE per stare vicino all’amico.
Durante tutta la lezione, non può fare a meno di pensare a quell’incidente. All’improvviso, la stanza di fa più fredda. Troppo fredda del normale.
“Ragazzi, a quanto pare la caldaia ci ha abbandonato!”, esclama il professore, mentre gli studenti s’infilano giacche e cappotti. Newt rabbrividisce ma neppure così tanto. Per lui quella temperatura è perfetta.
“Newton! Mettiti la sciarpa se non vuoi beccarti un raffreddore!”, esclama Mark, un suo compagno di classe. Lo guarda da dietro la lente dei suoi occhiali, prima di riscuotersi e mettersi la giacca.
Appena finisce la lezione, esce dall’aula quasi correndo.
Non sa cosa sia successo, non riesce a capirlo. Si rifugia in bagno, e appena entra gli specchi si appannano. O meglio, si ricoprono di un sottile strato di ghiaccio.
È stato lui a farlo? Come Thomas ha il potere del calore, lui ha quello del freddo, del ghiaccio?
Solleva una mano, lentamente, verso le lampade che illuminano il bagno. Ruota il polso, sentendosi anche un po’ un idiota. Tutta la vergogna che prova – anche se non c’è nessuno che può vederlo – scivola via quando sente dei rumori vagamente sinistri. Il ghiaccio comincia a ricoprire le lampadine, spezzandole. Scintille cadono attorno a lui.
“Newt?”.
Ed eccolo lì. Thomas. Che lo guarda con uno sguardo vagamente preoccupato.
“Newt, che succede?”.
Lui non risponde, limitandosi a guardarlo. È così arrabbiato con lui. Così arrabbiato. Non gliene frega niente dei suoi sentimenti, non gliene frega niente di lui, ecco la verità. Thomas ha finto per tutto quel tempo, ha finto di essergli amico, di sostenerlo. Lo sa, se lo sente dentro.
Così, un sottile strato di ghiaccio comincia a ricoprire le sue scarpe, e Thomas fa un verso di sorpresa.
“Newt, che stai facendo?!”.
Thomas porta le mani alla base delle scarpe, sciogliendo il ghiaccio. Ecco. Altra prova che lui è inutile.
Si lascia cadere per terra, la testa poggiata sulle ginocchia, che rannicchia verso il petto.
Una mano comincia ad accarezzargli i capelli, e lui sente come tutto quello sia sbagliato. Incredibilmente sbagliato. Thomas dovrebbe essere là fuori con Brenda, non dovrebbe perdere del tempo con lui.
Poi, sente l’amico gemere di dolore.
“Newt, non riesco a toccarti. Sei.. elettrico”.
Lui solleva lo sguardo verso l’amico, che lo guarda con gli occhi spalancati.
Ghiaccio ed elettricità? Davvero?
Solleva una mano davanti al suo viso, e prova a strofinare il pollice con il medio. Li separa lentamente e vede come una piccola scossa di elettricità intercorra fra le dita, unendole.
Spalanca la bocca dallo stupore.
“Oh Dio”, mormora, prima di interrompere il contatto. Guarda Thomas, che gli fa un sorriso incerto.
Thomas allunga una mano verso di lui, toccandogli la guancia. Il contatto è come una scossa elettrica, ma non è dolorosa. Anzi. È quasi piacevole. Sì, lo è sicuramente.
Così Thomas porta anche l’altra mano sull’altra guancia. Gli tiene il viso fra le mani, ed è un contatto inebriante. È elettrico, può sentire tutte quelle scosse che uniscono le loro pelli, solleticandole e facendole pizzicare.
Newt trattiene il respiro quando Thomas si avvicina lentamente al suo viso. La stanza si fa fredda ma un nuovo calore la riempie. L’ultima lampadina accesa scoppia.
“Posso?”, chiede Thomas, con un filo di voce. Sta guardando le sue labbra, e così Newt annuisce. Annuisce perché lo vuole così tanto, ma non riesce a dirlo.
E quando le loro labbra si toccano, le scosse elettriche aumentano d’intensità, e tutto attorno a loro si fa caldo.
Newt si stacca, prendendo un respiro, prima di riunire le loro labbra in un bacio bisognoso. Freddo e caldo che si fondono, diventando quasi un tutt’uno. Le mani di Thomas scendono sul suo collo, e sono brucianti. Senza neppure un po’ di esitazione, fa scorrere le proprie mani sulla schiena di Thomas, che rabbrividisce per il freddo e per la scossa elettrica.
Rimangono sul pavimento di quel bagno a baciarsi per quelle che sembrano ore. Non ne hanno abbastanza, hanno bisogno di più, sempre di più.
Newt si separa da Thomas, guardandolo negli occhi. “Ti amo”.
Lo dice e sente un peso enorme sollevarsi dalle sue spalle. Ha paura di un rifiuto, ha paura di vedere Thomas alzarsi e andarsene dalla sua vita per sempre. Ma niente di tutto questo succede.
Thomas sorride, gli occhi che sembrano quasi ardere. “Perfetto. Perché ti amo anch’io”.
Ed è tutto quello che Newt ha bisogno di sentire.

 
 
 
[1] Carrie – Lo sguardo di Satana: libro (di cui poi è stata fatta una versione cinematografica) di Stephen King in cui la protagonista, Carrie, ha il dono della telecinesi.
[2] Spero di non essere l’unica appassionata di Teen Wolf e che abbiate riconosciuto il riferimento all’auto di Stiles Stilinski (interpretato da Dylan O’Brien, sì, non faccio collegamenti a caso) *butta cuori in giro*

 

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Capitolo 11
*** Un bacio al sangue ***



Genere: Romantico, Sovrannaturale, Fluff
Words: 9092
Raiting: Giallo
Pairing: Newt/Thomas, slash
Warning: AU
Note: Okay, sembro un disco rotto ma lo ripeto: sono imperdonabile. Purtroppo mi stanno succedendo cose che mi tengono lontana dal computer e da internet, e la scuola è solamente una parte di queste. So di aver detto che avrei aggiornato prima - due settimana fa, in effetti - ma la situazione che sto passando non è delle migliori, anche se non è niente di così grave, ma vi chiedo comunque scusa. Ora, ringrazio ancora infinitamente tutte quelle persone che l'hanno messa tra le preferite - 20, ragazzi, siete malati -  e le 31 che l'hanno recensita. Inoltre ringrazio tutti quelli che l'hanno messa tra le seguite e le ricordate, siete veramente la mia gioia ç.ç Vabbè, questa OS era nella cartella da un bel po' di tempo, circa novembre, L'ho rispolverata e ho corretto qualcosina. Questa è una parte ridotta, quella orginale vanta ben 24.000 parole circa, ed è solo a metà haha. Boh, spero che vi piaccia e buona lettura!
Disclaimer: non mi appartengono, non sono sadica come quel bastardo di Dashner e faccio vivere più a lungo i miei personaggi  e non scrivo a scopo di lucro bla bla bla, capito no?



 
KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Oh, honey, you're the one that I want!


 

«Soggetto A5, Soggetto A14 e Soggetto A17, siete i prescelti per la missione contro il branco di Denver».
È quasi stupefacente come la tua vita possa cambiare solo in una frase. Come il tuo destino possa essere deciso dagli altri.
Alla WCKD Corporation, era così. Ti manovravano come marionette, tiravano i giusti fili e tu eri morto, stecchito, per una buona causa.
Era quella la loro scusa.
Newt si girò non appena venne chiamato.
Soggetto A5.
Era lui. Dio, sembrava tutto così irreale.
Incontrò le figure della madre e della sorella, strette l'una all'altra, gli occhi pieni di terrore, paura, rassegnazione. Sua madre si staccò dall'abbraccio, avvicinandosi lentamente a lui.
Si ritrovò stretto dalle sue braccia, in una morsa disperata, materna.
«Il mio bambino», mormorava, la voce spezzata e dolorante. «Il mio piccolo bambino».
Newt non ebbe cuore di dirle di smetterla di comportarsi così. La strinse e basta, affondando il viso nella sua spalla e cercando di trattenere a sua volta le lacrime.
«Non andare».
Lui sospirò non appena sentì quelle due parole. «Devo, e lo sai. È un mio dovere».
«No, non lo è», ribatté Sonya, sua sorella, fulminandolo con lo sguardo. Aveva gli occhi lucidi e tremava, se dalla rabbia o dalla paura non sapeva dirlo con certezza. Tirò su col naso, poco elegantemente. «Non possono portarti via, non possono permettersi di rovinare così quello che abbiamo-».
Newt si staccò dalla madre, arrivando davanti alla sorellina. Le mise un dito sulle labbra. «Sh, Sonya. Questo è solo un nostro piccolo segreto». Che, tra le righe, voleva dire stai zitta prima che ti sentano.
La ragazza si fece scappare un singhiozzo e gli buttò le braccia al collo. Newt cercò di calmarla, accarezzandole la schiena e baciandole la tempia. Voleva un bene dell'anima a sua sorella: era tutta la sua vita. Fin da piccolo si era preso cura di lei e l'idea di separarsene lo terrorizzava a morte.
«Torna da me», singhiozzò Sonya. «Torna da me e dalla mamma».
Lui deglutì a fatica, annuendo. Sollevò gli angoli della bocca in quello che assomigliava ad un sorriso. «Te lo prometto».
Oh, non si era mai sentito così tanto un bugiardo. Uno sporco e lurido bugiardo, che alimentava la sua famiglia di false speranze riguardo la sua salvezza.
Non sarebbe tornato, lo sapeva al cento percento. Era la sua unica certezza, in quel momento. Sonya sembrò capirlo, perché lo fissò ancora più disperata di prima.
«Soggetto A5 in sala addestramento».
Sua madre e sua sorella lo strinsero un'ultima volta, baciandolo sulle guance.
«Vi voglio bene», disse loro, prima di venir trascinato via dalle guardie.
L'ultima immagine che vide, fu quella delle persone più importanti della sua vita piangere e urlare.
«Soggetto A5, concentrazione», lo ammonì una guardia.
Fu chiuso nella sala di addestramento, insieme ai soggetti A14 e A17.

La sua fine era cominciata.

 

*

 

Il Soggetto A14 si rilevò essere un tizio simpatico, e Newt fu quasi dispiaciuto di aver cominciato la conversazione. Vederlo morire sarebbe stato più difficile del previsto. Non poteva permettersi di affezionarsi, anche se l'aveva già fatto. Si chiamava Alby, gli piacevano i film d'azione e le commedie – quando ancora potevano permettersi di guardare la TV o andare a teatro.
I Creatori – o Salvatori, ognuno li chiamava in un modo diverso – lo avevano accolto nel Quartiere Generale quando aveva solo quattro anni, insieme a sua zia Trisky e suo fratello Jacob.
I suoi genitori erano stati brutalmente uccisi da due cacciatori, che avevano oltremodo mutilato la sua sorellina Janet, di sette mesi, all'epoca. Ne parlava con freddezza e distacco, come se fosse successo a qualcun altro.
Tutti quelli ammessi nel Quartiere Generale della WCKD Corporation avevano una storia drammatica alle loro spalle, quindi non era inusuale sentire di genitori e parenti brutalmente uccisi.
I cacciatori erano il vero problema. Loro e la stupida avversione per il soprannaturale. Alla fine, gli esseri umani erano così: sempre terrorizzati dal diverso. Non lo capiva.
Era estenuante dover sempre stare in allerta, anche a caccia. Dover sempre rientrare prima che il sole calasse.
Si allenarono e bevvero per rafforzarsi il più possibile, limitando il tempo delle chiacchiere.
«Soggetti in sala rifornimento. Siete in partenza».
Alby gli rivolse un sorriso triste, prima di dirigersi dove l'altoparlante aveva indicato.
Newt si prese un momento per fare il check-point di come si sentisse. Qualcosa – o meglio, qualcuno – urtò la sua spalla, facendogli perdere l'equilibrio per qualche secondo.
Era il Soggetto A14, che si girò e gli fece un ghigno prima di sparire da dietro le porte.
«Soggetto A5 in sala rifornimento».
Quello era l'ultimo avviso, o sarebbe stato ucciso prima di essere quantomeno partito per questa famigerata missione.
Seguì i due coetanei, desiderando che tutto finisse il prima possibile.
Camminò per il lungo corridoio, le luci che illuminavano a malapena il percorso, il cuore in gola.
Arrivò alla sala indicata, aprendo la porta ed entrando.
«.. il piano è semplice», stava dicendo Janson, l'unico umano di tutta la WCKD Corporation. Era quello che si occupava dell'organizzazione delle missioni. Si bloccò non appena lo vide, sorridendo in modo falsissimo – Newt poteva dirlo con certezza. «Signor Newton! È bello vedere che non abbia rinunciato alla missione!», esclamò. Lui rispose con un grugnito e un cenno della testa, e Janson ricominciò a parlare.
Non ascoltò nemmeno una parola.
La sua mente era completamente scollegata, vagava nel nulla. Sentiva il pasto dell'ora precedente che pompava nel suo corpo, dandogli la carica, ma la lucidità faticava nell'arrivare.
Tutto quello a cui riusciva a pensare era il volto distrutto di sua sorella, che lo implorava di tornare, di non morire. Era difficile ricordarsi di quella ragazzina tutta bionda che correva fra gli alberi insieme a lui, vantandosi di poterlo battere – in realtà era lui che fingeva sempre di perdere, per vederla sorridere – quando nella mente aveva quell'immagine.
«Signor Newton, lei ha la parte più importante della missione».
Fu quella frase ad attirare la sua attenzione. Raddrizzò la schiena, mettendosi in ascolto. Janson sogghignò.
«E sarebbe?», chiese, temendo la risposta.
«L'abbiamo osservata per tutto il tempo che ha trascorso qui, alla WCKD Corporation. Le sue incredibili capacità, sia nella lotta, che nella corsa, ma anche semplicemente celebrali, l'hanno resa il nostro asso nella manica nell'attacco al branco di Denver». Newt ebbe paura di quello che sarebbe venuto dopo. Si rifiutò di chiudere gli occhi, accettando tutta la potenza del colpo direttamente in faccia, quando Janson riaprì bocca. «Deve uccidere l'Alpha. La veda come una sorta di promozione».
Newt trattenne il respiro. Quella non era di sicuro una promozione.
Era una condanna a morte bella e buona. Anche se fosse riuscito ad uccidere l'Alpha, l'intero branco si sarebbe rivoltato contro di lui, e sarebbe finito a pezzi.
Tremò leggermente, stringendo i pugni.
«Auguro buona fortuna a tutti voi. Spero di rivedervi».
Con queste ultime parole, Janson imboccò la via di ritorno per il Quartier Generale, lasciando la sala rifornimenti.
Il Soggetto A17 fischiò, occhieggiandolo. «Be', il tuo bel faccino ha attirato la loro attenzione, a quanto pare. Non so se congratularmi o farti le mie condoglianze, A5», commentò, la voce aspra. «Sappi che se vuoi tirarti indietro, io sarei molto felice di prendere il tuo posto e staccare la testa a quella feccia di cane. La loro puzza non sono mai riuscito a digerirla».
«Ah, stai zitto!», sbottò Alby, fulminandolo con lo sguardo. «Piuttosto, prepariamoci tutto il necessario. Ci serviranno armi e un bel po' di strozzalupo, contro quei cosi», continuò, dandogli una pacca sulla spalla per farlo riprendere. Newt annuì meccanicamente, dirigendosi verso i proiettili e le pistole. Ne caricò due, mettendosi poi i proiettili rimanenti nella tasca del giubbotto di pelle che indossava.
A17 era già uscito, e rivolgeva il suo sguardo alla luna. «Due lune», disse. «Due lune e il mondo sarà più pulito». Fece scintillare le zanne, prima di cominciare a correre.
Alby gli chiese se andasse tutto bene. Newt annuì ancora una volta, mentre nella sua testa non faceva altro che urlare.
«Andrà tutto bene», gli disse.
Newt lo fissò negli occhi, sorridendo tristemente. «No, Alby. Questa è la nostra fine».

 

*

 

Correvano da quando avevano lasciato la WCKD Corporation. Dalla loro avevano il fatto di non poter stare male e il pasto sostanzioso fatto prima di partire.
La mente di Newt era lucida e concentrata, la pistola che pesava nella tasca posteriore dei jeans e i proiettili di strozzalupo che non facevano altro che ricordargli la sua missione: uccidere il capobranco.
Superarono il confine della zona Sud Est di Minor City, correndo e correndo, senza fermarsi.
Settecentocinquanta chilometri li separavano dal branco che dovevano attaccare.
L'ansia cresceva e cresceva, bloccandogli le vie respiratorie – non che ne avesse bisogno. Dopo la sua trasformazione, gli attacchi di panico erano stati una delle molte cose che erano sparite, accompagnate dalla leggera acne e dalle varie funzioni vitali. Il suo battito cardiaco era inesistente e tutto il calore del suo corpo era svanito non appena le zanne di sua madre gli avevano perforato la giugulare, trasformandolo irreversibilmente.
Si fermarono quando ormai un giorno era passato, rifugiandosi nei boschi. Newt inspirò, prima di gemere al profumo del sangue umano che scorreva nelle vene di chissà chi. A17 lo fermò, mettendogli una mano sulla spalla.
«A5, concentrazione. Sai cos'ha detto Janson. Massimo due vittime per ognuno di noi. Limitiamoci ad una».
Lui trattenne un ringhio, prima di sfrecciare verso la periferia della città più vicina.
Il vento era come una carezza sul suo viso, ma la fretta e la fame non lo fecero soffermare a lungo su pensieri poetici.
Trovò quello che cercava proprio pochi minuti più tardi.
La donna che adocchiò era carina, sui trent'anni. Il suo sangue era pulito, ma il suo cuore no. Riuscì a sentire i barlumi di una conversazione. Capì solo trasporto di essere umani, illegale. Donne da far prostituire per ricevere soldi, forse. Non riuscì a collegare tutti i pezzi, ma tutto quello che bramava era il suo sangue.
Le si avvicinò, facendo utilizzo delle sue capacità recitative.
«Mi scusi, signorina!», esclamò, raggiungendola. La donna lo guardò con fare apprezzato, prima di arrotolarsi un ciuffo fra le dita.
«Cosa posso fare per te, hm?».
Newt sorrise, facendo poi finta di essere impacciato. «Stavo cercando un pub qua vicino. Mi sono appena trasferito, sa, e vorrei davvero rilassarmi. Saprebbe consigliarmene uno?».

 

 

Si arrampicò sull'albero più alto, il viso rivolto verso l'alto.
Così, a mente lucida e sazio, pensò.
Tutto, di quella missione, gli sembrava sbagliato. Iniziare una guerra contro i lupi mannari? Davvero?
Cos'avevano di così tanto diverso da loro? Erano nella stessa merdosa barca, sempre in lotta contro i cacciatori e a proteggere le loro famiglie da una morte ingiusta e atroce.
Che senso aveva?
Non voleva continuare con la missione, e se ne rese conto solo in quel momento. Non solo perché temeva per la propria vita – ci mancherebbe altro - ma anche perché non gli sembrava affatto giusto.
Poi, uccidere il capobranco? L'Alpha? La guida di un intero branco di licantropi? Gli suonava così stupido.
Sapeva che se non l'avesse fatto, la WCKD avrebbe trovato il modo di vendicarsi, in un modo o nell'altro.
Potevano prender di mira sua sorella e sua madre, o il fratellino di Alby. Stava tutto nel rischiare, e lui non era ancora convinto se continuare o no.
Una luna. Una sola luna e poi ci sarebbe stato il plenilunio.
Una sola luna, e sarebbe morto, ucciso per una buona causa.
Sospirò, passandosi le dita fra i capelli biondo cenere e ritrovandosele imbrattate di sangue. Ne era abituato, ormai. Leccò via i residui, un piccolo sorriso che gli arricciava le labbra.
Finché avrebbe avuto quella piccola estasi, quel piccolo angolo di paradiso, sarebbe andato tutto bene. Era ciò che si ripeteva continuamente.
Chiuse gli occhi, rilassandosi contro la corteccia del tronco dell'albero. L'ansia gli scivolò via come sabbia fra le dita, e si ritrovò quasi a cadere fra le braccia di Morfeo, quando una voce conosciuta e che lo irritava a livelli massimi, lo distrasse.
«Non ti facevo così silenzioso e tranquillo, A5».
Trattenne uno sbuffo, guardando giù. A17 girava intorno all'albero, gli occhi rosati che lo scrutavano dal basso.
«Sono una persona piena di sorprese», replicò, decidendo poi di ignorarlo.
«Mi chiedo se tu lo sia anche mentre scopi. Rilassato, tranquillo». Newt s'irrigidì a quelle parole, mantenendo comunque un'espressione facciale neutrale.
«Secondo me gemi come una puttana. O almeno, lo faresti se sarei io a scoparti. Che ne dici? Ci stai?».
Con un ringhio scese dall'albero, lo afferrò per il colletto della maglietta e lo fece sbattere contro il tronco. «Toccami con un solo dito e non rivedrai più le amate mura della tua WCKD Corporation, mi hai sentito?». Lo lasciò, il nervoso che scorreva sotto la sua pelle.
A17 gli rivolse uno sguardo infuriato, molto probabilmente per il modo in cui l'aveva trattato. Il ghigno che aveva sulle labbra era completamente sparito, sostituito da una smorfia infastidita.Se ne andò senza dire una parola, e Newt poté tornare sopra al suo albero, a guardare l'alba. Voleva godersi gli ultimi istanti della sua vita senza dover sentire parole inutili e proposte rivoltanti.
Il cielo si schiarì sempre di più, e lui sorrise non appena i raggi toccarono il suo viso.
«Il dovere chiama, Newt!», gridò Alby, da sotto l'albero.
Il biondo scese a malincuore, prima di seguire i suoi compagni di missione verso Denver.

Sì, il peso che gravava sul suo cuore non aveva fato altro che aumentare.

 

*

 

A17 non avanzò più proposte, ma la sua arroganza non migliorò affatto.
Newt ascoltava la metà delle parole che che diceva, concentrato solo sulla missione. Entro quella sera avrebbero raggiunto il branco di Denver. Si fermarono per bere più volte, per ritrovarsi più carichi che mai.
La prospettiva di dover combattere contro un intero branco di licantropi non lo spaventava più così tanto. Si era rassegnato alla sua fine. Si era già arreso prima di cominciare a combattere, poiché le false speranze lo avevano sempre innervosito. Che senso aveva sperare in qualcosa di impossibile?
Se Alby notò il suo umore nero non disse una parola.
Erano tutti e tre tesi, la morte che pesava sopra le loro teste, pronta per cadere in tutto il suo peso.
Andrà tutto bene, aveva detto Alby, prima che partissero.
Torna da me e dalla mamma, aveva pianto Sonya.
Aveva mentito, promettendo che sarebbe tornato. Quella sera sarebbe finito a pezzi, probabilmente dallo stesso Alpha che doveva uccidere.
Finì il suo pasto giusto a pochi chilometri dal branco.
Mentre si preparavano all'attacco, Newt pensò a sua sorella.
Pensò alla risata e alla sfumatura violacea degli occhi di sua madre, ai versi che faceva Sonya quando veniva battuta a Risiko o a come si addormentasse velocemente con la testa posata sul suo petto.
Pensò alla sua famiglia, mentre la luna piena sorgeva.
Un ululato lo fece raggelare, ma i suoi muscoli si tesero dall'adrenalina.

Poi, la battaglia cominciò.

 

*

 

Perse di vista Alby e A17 non appena l'allarme suonò. Si divisero per il territorio che il branco occupava, decisi a non lasciare scoperta nemmeno una zona.
Fu quando si ritrovò davanti il primo licantropo, che Newt non ce la fece. Alzò le mani in segno di resa, prima di cominciare a correre così in fretta che fu impossibile perfino per altre creature sovrannaturali vederlo.
Corse e corse, schivando ogni balzo dei lupi che si trovava di fianco. Si nascose per un momento dietro ad uno dei muri dei complessi abitativi che c'erano lì, per riprendere fiato e concentrarsi. Doveva solo fermare l'attacco.
Era decisamente più facile da dirsi che da farsi.
Alle sue orecchie arrivò il lamento agonizzante di uno dei lupi. Seguì quel suono, trovandosi davanti A17, che stava per dare il colpo finale al licantropo che aveva davanti, che stava a sua volta proteggendo una bambina.
I capelli biondi e la sua faccia completamente terrorizzata lo fecero immobilizzare per un secondo. Poi, il momento più tardi, stava già sfrecciando contro A17, spingendolo lontano e facendolo cadere a terra. Il lupo cadde, forse senza sensi, forse morto, e lui ne approfittò per fare quello che questi non era riuscito a fare: proteggere la bambina.
La piccola lo fissava con occhi spaventati, e lui allungò una mano. «Fidati di me», le disse, supplicandola. «Lascia che ti porti al sicuro».
Lei fece un cenno con la testa, e lui la sollevò di slancio, caricandosela in braccio. Seguì con l'olfatto l'odore di altri bambini, e raggiunse quella che non era altro che un'altra abitazione.
Una donna con la pelle olivastra e vestita di nero stava radunando tutti i bambini del branco, facendoli entrare nell'edificio. Lui la raggiunse, e venne accolto con un ringhio.
Non che non se lo aspettasse.
La bambina si diresse verso la donna, toccandole un braccio con la mano. Newt vide come ella spalancò gli occhi, fissandolo. Poi, con un cenno della mano, gli porse una mano, che lui fu indeciso se stringere o no.
La donna la lasciò cadere senza dargli il tempo di prendere una decisione. «Grazie», disse poi, prima di prendere in braccio la bambina e chiudersi insieme agli altri nell'edificio.
Newt si girò, tornando alla battaglia. Doveva trovare A17 e l'Alpha.
Doveva convincere il capobranco a fermare gli altri licantropi, perché quella non era nient'altro che una perdita di tempo.
L'odore dei Beta non fu abbastanza forte da coprire quello che stava cercando.
L'Alpha.
L'Alpha era davanti a lui e ringhiava addosso ad A17.
Il vampiro si girò non appena si accorse della sua presenza. «Te l'ho detto che avrei preso il tuo posto», sibilò, sogghignando.
Newt ringhiò, attirando l'attenzione degli altri licantropi e del capobranco, che lo scannerizzò con i suoi occhi rossi – così uguali ai suoi, benché fossero di due specie diverse.
Lui non diede il tempo a nessuno di far qualcosa; si lanciò contro A17, abbattendolo.
L'altro vampiro non si sottomise, spingendolo indietro a sua volta. Gli si mise a cavalcioni, assestandogli un pugno sulla mascella. Newt, infuriato, ribaltò le posizioni, inchiodandolo al terreno.
«È finita, A17».
Gli afferrò il braccio sinistro, prima di dislocarlo dalla spalla e strapparlo brutalmente dal torace.
A17 urlò dal dolore, gli occhi rosati spalancati che uccidevano Newt col pensiero.
Fece per attaccargli la giugulare, ma un ringhio potente lo fermò. L'Alpha era davanti a lui, le zanne spalancate.
Newt rispose al ringhio, per niente spaventato. Si alzò dal corpo in agonia di A17, pronto a fronteggiarlo.
Non voleva ucciderlo, ma non voleva neppure lasciar in vita A17.
L'Alpha gli si buttò addosso, ma Newt riuscì a divincolarsi dalla presa e gli assestò un calcio al muso, che lo fece ululare.
Gli altri Beta fecero per intervenire, ma il capobranco li ammonì, prima di rivolgere la sua completa attenzione al vampiro biondo che gli stava davanti.
A noi due, pensò quello, ghignando. Scoprì i canini in un altro ringhio, fiondandosi avanti.
La colluttazione continuò per un tempo indeterminato, ma ben presto furono entrambi sfiniti, accasciati al terreno. A17 era stato, molto probabilmente, imprigionato nel frattempo.
Newt si alzò allo stesso tempo dell'Alpha, e gli si mise davanti.
Il lupo gli arrivava al mento, in tutta la sua altezza. Con un cenno della testa, dichiararono il combattimento finito.
Newt sentiva di essere ridotto male, ma la consapevolezza che neppure l'Alpha se la fosse cavata meglio lo rincuorava notevolmente.
Poi, cadde al suolo, senza sensi.

 

Si risvegliò ansimante, scattando a sedere.
La prima cosa che notò, fu di essere steso su una brandina. E che la suddetta branda fosse all'interno di una cella.
Balzò in piedi, sentendosi parecchio intontito. Avanzò fino alle sbarre, posandoci sopra i palmi. Scattò all'indietro, quasi scottato, mentre un dolore lancinante si estendeva per tutte le sue braccia.
Argento.
«Precauzione necessaria», esordì la voce di una ragazza. Newt sobbalzò, lo sguardo che saettò alla figura della giovane, appoggiata al muro al di fuori della cella, gli occhi gialli puntati nei suoi. «Non vogliamo farti del male, tranquillo», aggiunse, sorridendo.
Era giovane – la sua età, forse di qualche anno più vecchia – e la sua pelle era leggermente abbronzata. I capelli neri come la pece le scendevano lungo le spalle, posandosi scomposti sopra l'accappatoio viola che indossava.
Si alzò, avanzando fino alle sbarre della cella, dopo di chè allungò una mano, continuando a fissarlo negli occhi. «Sono Teresa», si presentò, il sorriso che non accennava a sparire dalle sue labbra.
«A5», replicò, stringendo la sua mano. Era calda – troppo calda, rispetto alla sua.
«Uh, e il tuo vero nome?».
«Newt», si arrese a rispondere, lasciando andare la presa sulla sua mano. Teresa si sedette per terra, a gambe incrociate.
«Piacere di conoscerti, Newt. Come va?».
«Mi sento abbastanza intontito. E ho decisamente fame. Tu? Che mi racconti?». Era quasi spontaneo conversare con Teresa. La risposta gli uscì automaticamente dalle labbra, senza che avesse bisogno di pensarci.
«Non c'è male. Siamo riusciti a curare tutti dallo strozzalupo, dopo il vostro attacco».
Newt deglutì. «Sì, mi dispiace, a proposito».
Teresa sorrise. «Non devi. Ci hai salvati, te ne siamo riconoscenti», disse. «Il processo per A17 è fra giusto dieci minuti. Il nostro Alpha ha richiesto la tua presenza. Non ti vogliamo fare del male», ripeté, poi.
Lui annuì, a disagio. Poi, qualcosa – o meglio, qualcuno – gli venne in mente.
«Alby», sussurrò.
«Come?».
«Alb- avete trovato un altro vampiro, per caso? Alto, occhi ambrati, carnagione scura?».
Teresa scosse la chioma corvina. «Nessun altro succhia sangue, oltre te e il povero malcapitato che hai mutilato».
Sospirò. Era riuscito a scappare. Alby era relativamente salvo.
Si lasciò andare contro il pavimento freddo, gli occhi chiusi.
Cosa ne sarà di me, però?, si chiese, preoccupato.
Si ricordò delle parole di Teresa, e sperò che fossero vere.
Sonya, forse torno veramente a casa.

 

Il processo si sarebbe svolto all'esterno, nella radura.
Newt fu accompagnato da Teresa, che non aveva smesso di parlare nemmeno per un minuto. I licantropi discutevano, urlavano. Alcuni perfino ridevano, forse contenti dell'essere sopravvissuti. Newt notò la mancanza dei bambini. Si chiese se stessero bene.
Il baccano s'interrompe non appena arrivò l'Alpha, trascinando il prigioniero per l'unico braccio rimasto, come se fosse un sacco pieno di letame.
Newt sentì il cuore – ormai immobile – ricominciare a battere quando incrociò la figura dell'Alpha con lo sguardo.
Era un ragazzo alto, abbronzato, vestito solo con un paio di jeans neri. I capelli neri erano spettinati e disordinati, e gli occhi rossi scintillavano in mezzo a quel viso dai tratti delicati. Si ricordò della battaglia della notte precedente, e sobbalzò quando vide l'ombra di quelli che sembravano lividi sul suo corpo perfetto, quasi scolpito.
L'Alpha incrociò il suo sguardo, prima di camminare spedito fino al centro. Sbatté a terra il prigioniero, mentre i licantropi lo fissavano con riverenza e rispetto.
«Il vampiro A17», esordì. «È qui condannato per aver preso parte all'attacco contro al nostro branco, la notte precedente, e per aver quasi ucciso tre dei nostri compagni, fratelli, amanti, figli. È inoltre colpevole del tentato omicidio del sottoscritto e di Kathy Jones», continuò. «Così, lo condanno alla massima pena».
Morte.
A17 sarebbe stato ucciso dal licantropo.
L'Alpha lo fissò nuovamente. «Concedo al vampiro A5 la possibilità di eseguire la condanna con le sue stesse mani».
Newt si sentì quasi mancare. I Beta si girarono verso di lui, adocchiandolo. Passo dopo passo, si ritrovò al fianco dell'Alpha, che lo incoraggiò con un cenno della testa.
A17 si alzò in piedi, dirigendosi velocemente verso il capobranco e squadrandolo. «La WCKD Corporation te la farà pagare, lurida feccia. La farà pagare a te, e a tutti i tuoi lupacchiotti domestici». Dopo di che, gli sputò in faccia. Newt ringhiò al gesto, disgustato. Si lanciò contro A17, atterrandolo come la sera precedente.
«Hai fatto un errore a decidere di correre con i lupi, A5. Un grave errore. Faranno a pezzi te e il tuo prezioso Alpha prima ancora che te ne accorga».
Il vampiro biondo si avventò contro la sua gola, demolendogli la carotide e l'osso del collo. Morse e morse, dilaniando e distruggendo.
Afferrò la testa per i capelli rossi, tirandola fino a quando non si staccò dall'incavo delle spalle. Si alzò in piedi, tenendola davanti a sé.
«Il tuo bel faccino ha attirato la loro attenzione», ripeté le stesse identiche parole che quello gli aveva detto qualche sera prima. Lasciò cadere a terra la testa, precipitandosi a staccare le altre parti del corpo.
Un boato si sollevò fra i Beta, che urlarono dalla gioia non appena il vampiro fu morto.
«I miei complimenti».
Si girò in tempo per vedere l'Alpha sorridergli, avvicinandosi. «Anche per il combattimento di ieri. Pochi riescono a tenermi testa».
Newt ghignò. «Hai ancora tante cose da imparare». Dedicò un'occhiata indifferente al corpo di A17, che stava per venir bruciato.
L'Alpha gli rivolse uno sguardo compiaciuto. Poi, gli tese la mano. «Sono Thomas. Tu sei.. Newt, giusto?».
Il vampiro annuì, stringendogli la mano.
«Be', Newt, avrei delle cose importanti da discutere insieme a te», disse. «Ma qui non mi sembra il luogo adatto. Seguimi».
Dopo un cenno affermativo, si diressero al limitare del bosco, dove si sedettero ai piedi di uno degli alberi. Thomas fissava l'orizzonte, prima di dedicargli tutta la sua attenzione.
«Mi dispiace doverti dare questa notizia, ma non possiamo permettere che tu ritorni dalla tua famiglia. Hai visto troppe cose del nostro branco, ed esporrebbe tutti noi ad un grosso pericolo».
Benché se lo aspettasse, fu comunque un colpo al cuore quando lo sentì. Chiuse gli occhi, sentendoli bruciare da dietro le palpebre.
«Per cui, ho per te una proposta».
Newt lo guardò dritto in viso, curioso. «Ossia?».
Thomas sorrise. «Puoi restare qui. Puoi entrare a far parte del branco, oppure contribuire e basta».
«È la mia unica possibilità, vero?».
«No», disse Thomas. «Potresti vivere in solitudine nei dintorni, senza però poter raggiungere la tua famiglia. Saresti controllato la maggior parte del tempo, e faresti vivere tutti noi nella paura». L'ultima parte della frase la soffiò, quasi, ridacchiando.
Lui annuì, prima di sospirare. «Sono affamato e non riesco a pensare. Fammi andare a caccia e poi valuterò. Questa è la mia condizione».
Thomas non poté ribattere alcunché. «Certo. Prenditi tutto il tempo che ti serve, Newt».
Il vampiro sorrise, triste, prima di alzarsi e sfrecciare per i boschi, nella mente solo il viso di sua sorella che gli implorava di tornare a casa.

 

Durante tutto il tragitto, non si rese conto di essere seguito.
Era concentrato al massimo, sia sulla preda che sulla decisione da prendere. Cacciare lo rilassava, gli distendeva i nervi e gli faceva vedere le cose più chiare.
La solitudine non faceva per lui, e la proposta di Thomas era allettante, doveva ammetterlo. Ma il solo pensiero di dover vivere a stretto contatto con un branco di licantropi, senza un solo suo simile, lo metteva un po' a disagio.
Era un vampiro. Per quanto potesse provare a negarlo, aveva bisogno di qualcuno della sua specie. Aveva bisogno di un altro vampiro.
Per non parlare poi di quanto potessero essere diversi vampiri e licantropi.
I vampiri amavano la solitudine, il circondarsi dalle persone necessarie e basta. I licantropi si cercavano e si formavano un vero e proprio branco. Un gruppo in cui tutti erano allo stesso livello, in cui tutti erano amici, fratelli.
Non sapeva dire se fosse pronto o no. Era terrorizzato.
Decise di dedicare tutta la sua attenzione alla caccia. L'uomo che aveva adocchiato era sulla quarantina, il sangue ancora ottimo. Conduceva una vita sana e faceva tanta attività sportiva, da quello che poteva sentire. Lo avvicinò con la stessa scusa: chiedere un aiuto.
Era la tattica più semplice, oltre a quella della seduzione.
Dalla sua parte aveva la bellezza innaturale di cui era stato donato, e doveva ammettere di esserne sollevato.
L'uomo, completamente incantato dai suoi movimenti e dalla sua voce profonda e strascicante, non esitò a seguirlo lungo le strette stradine della città di periferia, borbottando su qualche scorciatoia.
Newt lo mise con le spalle al muro. «Scusami, sembri una brava persona. Ma si chiama istinto di sopravvivenza», gli disse, alzando le spalle, con tono indifferente. Visto che era giorno, tappò la bocca dell'uomo con una mano, affondando i canini nella gola e cominciando a bere.
Una volta finito, sistemò l'uomo con le spalle al muro e la testa girata, in modo da non far vedere il morso. Gli assestò un paio di colpi sul volto e sul petto, per farla sembrare un'aggressione. La polizia non ci avrebbe messo molto a trovarlo e le orecchie dei cacciatori erano molto allenate.
Si rese conto di essersi lasciato andare, scegliendo la prima vittima che gli era stata disponibile. Storse la bocca, prima di fare a pezzi il corpo e buttarlo in un cassonetto.
Newt inspirò, soddisfatto del pasto. Un ormai familiare odore gli arrivò alle narici.
«Avrei potuto ucciderti», si limitò a dire.
«Non capita tutti i giorni di vedere un vampiro cacciare», ribatté Thomas, avvicinandoglisi in pochi secondi. Newt gli sorrise, asciugandosi la bocca con il dorso della mano e leccando via qualche goccia di sangue. «Destabilizzante, hm?».
«È stato stupendo, Newt», ammise il licantropo, il tono sincero. Lui si sorprese. Stupendo sarebbe stato l'ultimo aggettivo con cui avrebbe descritto la caccia vampiresca, se non avesse mai provato la sensazione d'estasi nel suo corpo appena il sangue scivolava giù per la sua gola.
«Come, scusa?», balbettò, infatti.
«Stupendo», ripeté Thomas. «Come ti muovi, come riesci ad ingannare la preda. Come affondi i canini nella sua giugulare, in un modo completamente diverso rispetto a come hai fatto con A17. Posso provare sulla mia pelle l'estasi che provi tu, l'eccitazione che scivola fra le vene. Il tuo essere.. tu. Mi ha stupefatto. Ed è stato stupendo, assistervi».
Newt non si perse una parola del fiume che era esondato fuori dalla bocca del capobranco. Lo fissò a lungo e, se avesse potuto, sarebbe arrossito.
«Grazie», sussurrò, poi, imbarazzato. Non gli piaceva essere messo al centro dell'attenzione.
«È solo la verità».
Forse era il posto meno romantico per cominciare a sentire qualcosa di caldo e piacevole all'altezza del cuore, ma Newt non ci fece nemmeno caso. Lo provava e basta. Ogni volta che incrociava gli occhi dell'Alpha, ogni volta che sentiva la sua voce. Quell'ammissione non aveva fatto altro che farlo sentire bene, a suo agio. A posto con il mondo. Così, mentre infilava il braccio sinistro della vittima nel cassonetto, prese una decisione.
«Sì», disse, semplicemente.
Thomas fece una faccia confusa. «Sì, cosa?».
Newt prese un respiro profondo. «Voglio far parte del tuo branco».

 

*

 

Teresa lo fissava con un sogghigno sulle labbra e lui non sapeva dire se fosse felice o altro. Condivideva l'appartamento con lei – una sua proposta, che lui aveva accettato volentieri – e non gli mancava di certo la solitudine.
La ragazza si stava mettendo lo smalto sulle unghie, i piedi sul tavolo e coperta solo dalla propria pelle.
Newt doveva ammettere che era di una bellezza stupefacente. La solita vestaglia viola che le aveva visto addosso, era appoggiata all'appendiabiti dietro alla porta d'ingresso.
«Daranno una festa per celebrare la tua entrata nel branco, come da tradizione», lo informò, finendo il pollice della mano destra. «Sarà stupendo. Ti piacerà qui, vedrai. Siamo solamente una grande, grande, grande famiglia».
Newt annuì, speranzoso. Si alzò dal letto, avvicinandosi per prendere la spazzola poggiata sul tavolo. Senza neppure chiedere il permesso, cominciò a pettinarle i capelli, acconciandoli in una treccia. La fermò con una forcina, che Teresa gli passò gentilmente.
Era una cosa che faceva sempre con sua sorella Sonya, quando dovevano andare a caccia, o prima di dormire.
«Grazie, Newt», disse la ragazza, prima di aprire di nuovo la boccetta e cominciare la mano sinistra.
Grazie a te, Teresa.

 

Un grande falò era stato acceso al centro della radura, fuori dai complessi di abitazioni. C'era della musica e la gente ballava e cantava, festeggiando. Alcuni gli diedero una pacca sulla spalla, altri lo abbracciarono.
C'era un sacco di cibo, ma Newt non poteva assimilare niente che non fosse composto dalla maggior parte da sangue, perciò si tenne lontano da quei pezzi di carne arrostita.
Dopo un po', il chiacchiericcio della gente e le urla cominciarono a fargli venire il mal di testa, così si avviò al limitare della foresta, osservando la festa da lontano.
«Già stanco?».
Sobbalzò appena sentì la voce, rilassandosi quando la riconobbe come quella di Thomas.
«Non sono abituato a tutta questa.. confusione?».
Thomas sorrise. «Siamo piuttosto rumorosi, sì», concesse. «Voi vampiri non fate feste?», chiese poi, interessato.
Newt scosse la testa. «Siamo piuttosto solitari. Stiamo con la nostra famiglia o da soli, non c'è una via di mezzo».
«Non avete amici?».
«Abbiamo alleanze», rispose lui. «Alleanze fatte con il solo scopo di sopravvivenza».
Thomas fece una smorfia, e Newt sorrise appena la vide. «È così triste», commentò. «Siete così..».
«Freddi?», gli venne in aiuto il vampiro.
«Primitivi. Avrei detto egoisti, ma non voglio ritrovarmi con la testa staccata dal corpo. E so che tu potresti farlo».
«Lo siamo. Siamo freddi, primitivi e sì, egoisti. Non c'interessa di nient'altro che non ci porti qualche guadagno. Nella nostra cultura solamente la sopravvivenza della specie e la famiglia hanno qualche importanza».
«Famiglia? Voi vampiri vi riproducete?», chiese Thomas, curioso e interessato.
«Non esattamente. Noi vampiri non siamo sterili, possiamo riprodurci con gli umani o solamente con quelli della nostra stessa specie. Ma i bambini che nascono, in entrambi i casi, sono prettamente umani. Hanno bisogno di cibo solido, di cure. L'unica caratteristica che li distingue, è che sono molto più resistenti e forti», spiegò. «Al raggiungimento di una certa età, c'è il morso».
Il licantropo restò in silenzio, assimilando tutte le informazioni. «E c'è un'età precisa?».
Newt scosse la testa. «E qua torniamo alla parte egoista e primitiva», rise. «Quando la famiglia è in pericolo, se ci sono ancora membri umani, questi devono essere morsi. È per aumentare la potenza e le possibilità di sopravvivenza contro quella minaccia».
«E tu quando sei stato morso?».
Il vampiro lo fissò a lungo, prima di sospirare e spostare lo sguardo sul terreno. Non voleva ripensare a quel periodo. Non voleva ricordare di come si fosse sentito fortissimo un attimo prima, e ridotto in cenere quello dopo.
Le urla di sua madre, il corpo a pezzi di suo padre, sua sorella che piangeva, nascosta dietro le sue spalle- no, era troppo. Chiuse gli occhi all'intensità del ricordo.
Suo padre gli mancava ogni giorno. Cercava di non fermarsi a pensarci, perché era semplicemente e puramente doloroso. Almeno, prima, alla WCKD Corporation aveva sua sorella e sua madre. Aveva la sua famiglia. Si svegliava ogni mattina con la consapevolezza di essere sì, in una prigione, ma accanto alle persone che amava con tutto sé stesso. Con le uniche persone che gli fossero rimaste.
Se Thomas si accorse di quello che la sua semplice domanda avesse scaturito in lui, non disse niente. Newt gliene fu grato.
Ma si sentiva quasi un codardo a non avere la forza di rispondere. Perciò, prese un respiro profondo.
«Quando arrivarono i cacciatori», rispose, semplicemente. «Cacciatori di vampiri».
Thomas si irrigidì e fece per fermarlo dal raccontare, ma Newt continuò.
«La mia famiglia si è da sempre stanziata in Inghilterra, nei dintorni di Londra. Mio nonno lavorava per la Regina, e la nostra famiglia è stata vampirizzata negli inizi del 600. Ovviamente, per non destare sospetti, mettevamo in scena questi finti decessi – una cosa davvero dura da organizzare, a sentire mia madre», raccontò. «Mia madre era ancora umana, quando sono nato io. È stata trasformata dopo che è nata mia sorella, Sonya. Ho vissuto la mia adolescenza lì, sai. Andavo a scuola, avevo degli amici; come un normale adolescente». Prese un respiro profondo, e Thomas si fece più vicino. Incatenò lo sguardo al suo, rosso contro rosso, e trovò la forza per continuare. «I cacciatori ci trovarono, e noi eravamo semplicemente troppo.. troppo immersi nella nostra vita, nella nostra messa in scena in cui recitavamo a fare gli esseri umani, per accorgercene prima e prendere provvedimenti. Così, quando ritrovammo le teste dei miei nonni e dei miei zii fuori dalla porta di casa, era già troppo tardi».
«Newt..», cercò di dire Thomas, ma lui continuò, gli occhi lontani.
«Mi morsero. Trasformarono me e mia sorella, ma era comunque troppo, troppo tardi», sorvolò sui dettagli del dolore che aveva provato non appena quei canini erano entrati nella pelle della sua gola, anche se solo il pensieri gli faceva venire i conati di vomito. «Fecero a pezzi mio padre. Io riuscii a fermare il secondo cacciatore, in tempo per far scappare mia madre e mia sorella. Non lo uccisi, e mi pento di questo. Non lo uccisi e scappai appena ne ebbi la possibilità. Fuggimmo per tutto il paese per almeno due giorni, prima di emigrare negli Stati Uniti. La WCKD ci trovò, e ci accolse nel suo Dipartimento».
Prese un respiro, prima di rendersi conto che tutto il peso che sentiva sulle spalle si era sollevato e l'aveva lasciato molto più leggero. Non era l'unico a saperlo. Qualcun altro sapeva la sua storia, quello che aveva passato. Sorrise a Thomas. «Ed eccomi qua. A far parte di un branco di licantropi. A parlare del mio passato oscuro con l'Alpha a cui dovevo staccare la testa», disse.
Thomas ridacchiò, tirandoselo addosso. Newt s'immobilizzò, prima di rilassarsi e lasciarsi andare contro quel corpo caldo. «E sono felice che tu sia qui con noi, Newt. Con me».
Il biondo non poté impedirsi di sorridere. «Sì, ne sono felice anch'io».

 

La festa continuava, nel frattempo, e i licantropi sembravano non essere nemmeno un briciolo stanchi.
Newt si ritrovò in mezzo al baccano, e – sorprendendosi – si stava anche divertendo da morire.
Alcuni raccontavano storie, sia su vampiri, che sui lupi mannari, o altre creature fantastiche (sentì parlare anche di fate, per esempio).
Altri intonavano canti della loro cultura, e si ritrovò ad ascoltarli più che volentieri. Di solito, il canto era accompagnato da balli – o addirittura gare – ed era una novità rispetto a quello che succedeva giornalmente alla WCKD Corporation. Non ricordava di essersi mai divertito così tanto.
«Te l'avevo detto», gli disse Teresa, quando rientrarono in casa.
«Cosa?».
«Che ti saresti trovato bene, fra di noi. Hai trovato una casa, Newt».

 

*

 

«Perché i lupi sono così legati ai loro compagni?».
La domanda gli uscì spontanea, proprio mentre Thomas lo stava stringendo con più forza. Erano sdraiati nella Radura, il cielo che cominciava ad imbrunirsi. Newt si sentiva così bene. Si sentiva felice, ed era una novità per lui. Ormai erano passate settimane, da quand'era diventato parte del branco. Teresa non lo lasciava neppure un secondo, assicurandosi sempre che non stesse mai da solo. Sorprendentemente, questo non gli dava neppure il minimo fastidio.
«Sai che i lupi sono monogami, vero?», chiese Thomas, ricevendo un cenno affermativo come risposta. «Noi licantropi siamo lo stesso. Abbiamo uno stesso compagno e lo teniamo per tutta la vita. Appena ne scegliamo uno, ci leghiamo a lui per sempre. Il Legame consiste in un morso – di solito dipende dalla specie. Se il Legame si deve formare tra due licantropi, il morso è reciproco. Sono marchiati. Se nel caso c'è un licantropo e il partner è di un'altra specie, il morso viene dato solo dal lupo. È il lupo che sceglie il compagno, quella persona fatta apposta per noi, che ci fortifica».
Newt pendeva dalle sue labbra. «Non vi indebolisce? Avete un punto debole. Non è positivo, in battaglia».
Thomas ridacchiò. «Sei proprio freddo, Newt», scherzò, guadagnandosi un pugno tirato sul braccio. «Può essere visto come uno svantaggio, sì. Ma noi non basiamo la nostra vita sul campo di battaglia. Il nostro compagno è tutto, per noi».
«Da come ne parli, non posso fare a meno di pensare che tu.. abbia provato queste sensazioni sulla tua pelle. È così?».
Il cambiamento fu radicale, dopo la sua domanda. Thomas si allontanò dal suo corpo, quasi scottato, e Newt se ne pentì subito. Gli mancava di già il suo calore, il suo odore e le sensazioni che provava ad averlo così vicino.
«Stavo per legarmi a qualcuno, sì», rispose poi, il licantropo. Newt prese un respiro profondo e gli si fece più vicino.
Con sua somma sorpresa, Thomas non disse una parola quando lo prese fra le braccia, posando il naso sulla sua giugulare.
«Si è rivelata una cacciatrice. Si chiamava Brenda», mormorò. Sembrava più debole, quasi, e Newt si odiò per avergli portato alla mente quei ricordi. «Pensavo di amarla. Ne ero sicuro. Era tutto il mio centro, tutto il mio mondo. La mia vita ruotava intorno a lei. E poi ha fatto fuori una del mio branco, Stacy. Ha venduto le sue zanne».
Newt si ghiacciò. Thomas era stato tradito nel modo più crudele e letterale possibile.
«E ora.. dov'è, Brenda?». Pronunciò il suo nome con tutto il disprezzo che provava, e non se ne vergognò. Il pensiero che qualcuno fosse arrivato a fare così tanto male ad una persona lo meravigliava.
«È morta. Un licantropo l'ha morsa, e lei si è suicidata. Ho provato.. indifferenza, quando l'ho scoperto. Il lupo non l'ha mai presa in considerazione come compagna. Forse è per questo che è alla continua ricerca di anche una mera possibilità di un Legame».
Newt passò le dita fra i capelli neri del licantropo, gli occhi rossi che scrutavano il suo viso nei minimi dettagli.
«Ora tu sai qualcosa sul mio passato, come io lo so di te», disse Thomas, sorridendo, in modo da spezzare la tensione che si era creata.
Newt ricambiò il sorriso.
Thomas era bello. Di una bellezza selvaggia, che tradiva la sua vera natura. Perfino i suoi occhi rossi – che simboleggiavano il suo status sociale nel branco – li riteneva un vero capolavoro. Non era la stessa sfumatura cremisi dei suoi, era più un rosso scarlatto. Ci si poteva quasi perdere dentro.
Con le dita, tracciò i contorni del viso, partendo dall'attaccatura dei capelli sulla fronte, alle sopracciglia, al naso perfetto e all'insù, schiacciando le varie lentiggini e i vari nei. Poi, passò il contorno delle labbra, delicatamente, leggero come una piuma. Finì il suo percorso con il mento.
Non era abituato a tanta intimità, ma era qualcosa che lo scombussolava dall'interno.
In ventiquattro anni di vita – di cui due, passati da immortale – non aveva mai sentito niente come quello che provava quando stava con Thomas. Quel calore all'altezza del petto, che lo avvolgeva e lo cullava.
Thomas sembrò quasi accorgersene, ma poi chiuse le palpebre e si rilassò, la testa poggiata sul suo grembo.
«E nella vostra cultura, Newt? L'amore è importante?».
Fu poco più forte di un mormorio, ma lui lo sentì comunque.
«Sì», rispose. «Per la nostra famiglia. Per il partner – non siete le uniche creature monogame. Anche noi abbiamo un solo compagno per tutta la vita».
«E tu ne hai uno?».
«No. Non l'ho mai desiderato, non l'ho mai cercato. A17 aveva cercato di farmi una proposta, ma tutta su un piano strettamente sessuale. Non m'interessava allora, e neppure adesso direi di sì».
Thomas curvò le labbra in un sorriso, prima di mettersi a sedere, spalancando gli occhi. Passò con un dito lo zigomo di Newt, prendendogli poi il volto fra le mani. Si avvicinò lentamente, e il vampiro sentiva quasi come se il cuore stesse per uscirgli dal petto. Le labbra di Thomas erano sempre più vicine, ma non si posarono mai sulle sue. Piuttosto, sulla sua guancia.
«Sei un bravo vampiro, Newton».
Newt sorrise, felice, prima di scoppiare a ridere. Non si chiese neppure come facesse a sapere il suo nome completo. Si limitò a stendersi di nuovo sul terreno e a chiudere gli occhi.
Forse, dopo anni di dolore, poteva permettersi qualche attimo di felicità.

 

*

 

Dopo un mese passato ad essere membro effettivo del branco, Newt fece la conoscenza di Minho.
Il licantropo era stato lontano da casa per tutto il tempo che il vampiro era arrivato, compresa la notte dell'attacco.
Non sembrò sorpreso a vederlo, anzi. Lo accolse a braccia aperte, con un ghigno dipinto sul viso. Da quel gesto, Newt capì che Thomas – o comunque qualcun altro dovesse avergli detto come si fossero risolte le cose, ossia che lui non era un assassino.
«Mi sembra ancora strano avere un succhia sangue nel branco, ma è una cosa abbastanza figa», aveva detto, ridacchiando. «Siamo il branco più strano del mondo! Umani, vampiri.. ci manca una banshee e siamo a posto». Il commento aveva fatto ridere anche Newt.
Minho era un tipo a posto. Magari troppo spesso non sapeva quando fosse l'ora di chiudere la bocca, e diceva le cose troppo schiettamente, facendo innervosire praticamente quasi tutti quelli con cui parlava.
Teresa gli aveva detto che era uno dei licantropi più forti e determinati del branco – l'unico che riusciva a tenere testa a Thomas, in effetti – e che c'era voluto poco che diventasse lui, l'Alpha.
Non conosceva bene le dinamiche all'interno di un branco di licantropi, e avrebbe dovuto documentarsi più a fondo.
Minho era forse l'unica persona – oltre a Teresa e Thomas, forse – a cui pensasse con il termine di amico. Benché tutti fossero simpatici e avrebbe dato la vita per ognuno di loro, la sua natura solitaria, tipica del vampiro che era, lo spingeva a considerare poche persone.. intime? Forse, sì.
Nelle settimane che seguirono, il loro rapporto si rafforzò sempre di più.
Minho lavorava come vigile del fuoco – un lavoro che gli si addiceva, se doveva essere sincero – ed era definito eroe dalle persone comuni. Molte volte gli diceva come scoppiasse a ridere al pensiero che lui era sì l'eroe, ma che su di lui ci facevano film horror, e che alcune persone vivessero nella paura di incontrarlo. Newt alzava le sopracciglia, prima di tirarlo in un abbraccio e dichiarare che fossero in due.
Erano creature orribili, ma la vita non era mai stata così bella e felice. Non se ne curavano.
Se con Minho le cose si evolsero, e diventarono veramente uniti, con Thomas, degenerarono.
L'Alpha era sempre fuori casa, o al lavoro o comunque immerso nei boschi. Il licantropo dai tratti orientali gli aveva detto che in certi periodi era così: voleva semplicemente stare da solo.
Ma Newt non voleva arrendersi. Gli piaceva da morire il tempo che passava con Thomas, non voleva rinunciarci.
Per questo, decise di non ascoltare gli amici che gli consigliavano di lasciar stare il capobranco, e andò a cercarlo nel bosco.
Era notte fonda e – non lo avrebbe mai ammesso, comunque – era piuttosto preoccupato.
Lo trovò seduto sotto la luna, gli occhi rossi che splendevano e la pelle leggermente abbronzata che sembrava più pallida, sotto la luce del satellite. Lo spiò per qualche minuto, nascosto dietro il tronco di uno degli alberi, prima di fare qualche passo in avanti.
Dalla sua aveva il suo essere una creatura sovrannaturale e super-silenziosa, per cui il licantropo non si accorse di lui fino a quando non gli fu steso di fianco.
«Che ti succede?», chiese, in un sussurro. Chiuse gli occhi, godendosi i raggi della luna sopra la sua pelle.
«Niente», fu la risposta sospirata di Thomas.
Lui mugugnò, accontentandosi apparentemente della risposta. Aprì un occhio, fissandolo. Gli si avvicinò e, per la prima volta, lo sentì irrigidirsi. Di solito era lui quello che diventava una statua di marmo sotto il suo tocco o per colpa della vicinanza.
«Newt», lo avvertì il licantropo.
«Cosa?», replicò lui, posando la testa sul suo petto e circondandolo con le braccia. Thomas esalò un sospiro, non accennando a rilassarsi nemmeno un minimo. «Mi sei mancato», esitò. «Tommy».
«Oh, Newt», gemette Thomas, quasi dolorosamente.
«Mi vuoi dire cosa c'è che non va? O dobbiamo giocare a Indovina-cos'ha-il-lupo-cattivo?».
Silenzio. Cadde semplicemente il silenzio fra di loro, ma Newt intendeva aspettare. Avrebbe aspettato tutta la notte, pur di avere una risposta.
Restarono sdraiati abbracciati sotto la luna, con il vampiro che ascoltava i respiri regolari e silenziosi di Thomas, e con la mente lontana. Il volto di sua madre tentò di apparire nella sua mente, ma lui lo scacciò via. Non era il momento adatto per farsi prendere dalla tristezza e dalla malinconia.
Un mese e tre settimane da quand'era diventato un membro effettivo di un branco, lo stesso branco che doveva distruggere.
Un mese, tre settimane e due giorni che non sentiva i capelli biondi di Sonya sotto le sue dita, la risata cristallina di sua madre e il rumore dei giochi di metallo che i bambini accettati dalla WCKD Corporation facevano cadere o frantumavano.
Era doloroso.
Si strinse di più a Thomas, che passò le dita fra i suoi capelli, pettinandoli. Non sapeva come avessero fatto a diventare così intimi- si sentiva semplicemente bene con lui. Era così e basta.
Chiuse gli occhi, inspirando. Il suo profumo era inebriante, ora che ci faceva caso. Mentre gli altri odoravano più di cane bagnato, Thomas profumava di bosco e corse sotto la luna.
«Il lupo ha scelto la persona che vuole come compagno».
L'ammissione lo fece irrigidire. Un dolore indescrivibile – davvero, cos'era? - lo colpì al petto e sentì la testa girare. Si staccò dal corpo del licantropo, allontanandosi.
Chi è?, voleva chiedere. Chi si è permesso? Perché non io? 
L'ultima domanda che affiorò nella sua mente lo fece tremare. Era sembrato così spontaneo aprire la bocca e chiederla, e la cosa lo mandava in confusione.
«Ne sono felice», disse, meccanicamente. La voce rischiò di spezzarsi, e lui deglutì inutilmente. Era più un istinto umano.
«Sì, anch'io. Molto», sorrise, Thomas.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Era semplicemente troppo da sostenere. Si sentì anche piuttosto idiota a sentirsi in quel modo, a dirla tutta. Scattò in piedi, cominciando a correre per gli alberi, le foglie che gli sbattevano in faccia. Non gli facevano male, erano come dolci carezze, per lui. Sentì gli occhi bruciare, ma non si fermò. Non si fermò e basta, perché, se l'avesse fatto, sarebbe scoppiato.
Sentì il suo nome venir chiamato più e più volte, ma neppure lì fermò le sue gambe. Almeno fino a quando non si sentì afferrare per le braccia.
Si girò istintivamente, spalancando la bocca in un ringhio feroce, gli occhi che bruciavano.
Thomas lo fissava con gli occhi spalancati, ma non avvertì paura da parte sua.
Non ebbe il tempo di dire alcunché, che il capobranco lo afferrò per le spalle e attaccò le labbra alle sue. Newt rimase immobile, gli occhi spalancati, prima di chiuderli e ricambiare il bacio.
Non era per niente dolce. I canini del vampiro erano appuntiti e allungati dopo il ringhio che aveva emesso, perciò Thomas si tagliò.
Newt si tirò indietro non appena sentì il sapore del sangue del licantropo sulla sua lingua.
Lo fissò con sguardo leggermente affamato. Non era niente a confronto del sangue umano, ma c'era quella sfumatura di sapore che lo faceva comunque impazzire.
Thomas ricambiò lo sguardo, adorante. Fu una cosa che destabilizzò Newt. Ma non così tanto da far scivolare lo sguardo sulla sua gola.
Il licantropo non disse niente, ma inclinò il collo all'indietro. E quello fu semplicemente troppo. Newt si avventò sulla pelle leggermente abbronzata, affondandoci gentilmente i canini.
Succhiò, e quando il sangue gli scivolò giù per la gola, seppe che era la fine. Lo amava. Lo amava da morire, fin dal primo momento che lo aveva visto, nella sua forma completa, con gli occhi che lo avevano guardato dalla testa ai piedi.
Thomas si aggrappò alle sue spalle, e Newt lo fece sbattere con la schiena contro il tronco di un albero. Alcune foglie caddero, ma lui non si staccò da quel collo.
Solo quando si rese conto che stava esagerando, ritirò i canini. Thomas lo fissava dritto negli occhi, e Newt lo baciò.
Non si ricordò neppure che, per i vampiri, un bacio del genere equivaleva ad una promessa per la vita. Lo fece e basta, tirandogli i capelli mentre il contatto si approfondiva. Ed era bello baciarsi così, senza fermarsi, perché entrambi non necessitavano strettamente l'ossigeno.
Thomas ruppe il bacio, ansimando sulle sue labbra. «Sii il mio compagno», sussurrò. «Ti prego, Newt, ne ho bisogno».
Il vampiro cercò le sue labbra alla cieca, e quando le ritrovò, gli morse quello inferiore, succhiando il sangue anche da lì. Sentì Thomas gemere, ma non se ne curò più di tanto.
Non c'era bisogno di una risposta verbale. Quella era un'accettazione del legame che gli veniva offerto, una vera e propria.
Newt si staccò pochi secondi dopo, le labbra sporche di sangue e gli occhi che brillavano. Sorrise, i canini in mostra. «Certo, Tommy. Certo che voglio essere il tuo compagno».
Ma forse il lupo aveva bisogno anche di parole, non solo di fatti. Dopo quella sua affermazione, Thomas si pressò di più contro il suo corpo, la mente annebbiata e il suo essere che ringhiava, scalciava, lo incitava.
Prendilo, reclamalo. È tuo.
Newt rimase destabilizzato da come il licantropo lo stesse trattando: alternava momenti di estrema cura e attenzione a momenti puramente animaleschi, in cui lo girava e rigirava a suo piacimento, impregnando il suo odore su tutti i punti che riusciva a raggiungere.
Rimasero poi sdraiati, insieme, sotto la luce della luna, che presto si trasformò in alba. Si baciarono, non parlarono. Si strinsero, lottarono per la predominanza, prima di rendersi conto che erano semplicemente eguali.
Newt non aveva mai visto Thomas così felice. Sorrideva, mentre lo osservava. Lo stringeva e lo annusava, leccando la pelle esposta e mordicchiandogli il collo.
«Il mio compagno», mormorava, come un mantra, la gioia che esorbitava dalle sue parole. «Mio».
E Newt annuiva, spingendosi di più contro quel corpo caldo, così diverso dal suo, ghiacciato. Thomas non si lamentava, dicendo che era confortevole.
E lui lo amava. Oh sì, lo amava così tanto da fare quasi male.
Thomas lo guardò negli occhi; rosso che si specchiava con altro rosso. Il lupo ululò, ricordandogli che aveva trovato un compagno degno di essere tale.
Un Alpha per un Alpha.

E bastava sapere solo quello; bastava solamente sapere di essere eguali, di aversi l'un l'altro, per essere felici per tutta la durata della loro vita: per sempre. 

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Capitolo 12
*** Un bacio alla sposa ***


Genere: Romantico, angst, slice of life
Words: 5776
Raiting: Giallo
Pairing: Newt/Thomas, slash; Amy/Josh - originali 
Warning: AU, OOC
Note: Here we go again. Ragazzi, che settimane. Questa settimana ho avuto il concerto dei miei adorabili twenty one pilots e dire che è stato uno dei momenti più speciali della mia vita è dire poco! Okay, bando alle ciance - l'idea di come scrivere qualcosa su questo prompt mi è arrivata subito. All'inizio, volevo fare una cosa molto alla Mamma Mia!, il famoso musical. Poi, mi è venuto in mente di scrivere qualcosa gender bender, quindi trasformare uno dei due in una donna. Questa è un'idea che ho scartato subito, perché volevo che fosse qualcosa di loro. Così, è venuta fuori questa cosa qui. L'ho scritta in questi tre giorni, e ringrazio i top per il loro supporto morale (dio, ancora non ci credo che li ho visti dal vivo, mi viene da piangere c.c)! Spero tanto che vi piaccia! Ah, grazie mille ancora per tutte le recensioni, e le 23 persone che l'hanno messa nei preferiti! VI ADORO, PUNTO E BASTA. 
Disclaimer:non mi appartengono, non mi pagano e beh, vivo la vida loca immaginandomi dei married!newtmas, che dire. 



 
KISS ME LIKE YOU WANNA BE LOVED

Somebody stole my car radio, and now I just sit in silence. 

 

 “Tommy!”.
Thomas si affacciò al salotto, guardando il marito, che lo fissava con gli occhi spalancati, seduto sul divano.
“Newt? Tutto okay?”, chiese, cominciando a preoccuparsi.
“Amy mi ha scritto di stare a casa perché deve dirci una cosa importante”, disse il biondo, deglutendo. “E se..”.
“Oh, no no”, lo interruppe bruscamente Thomas. “Quell'idiota non ha ingravidato la mia bambina, c'è ancora tempo per quello. E anche per cambiare fidanzato, ma questo è un altro discorso”, borbottò.
Newt lo guardò dolcemente. “Tesoro, quando la smetterai di chiamare Josh 'idiota'? Lo sai anche tu come rende felice la nostra bambina”, disse, calcando sull'aggettivo possessivo, per fargli notare che non sarebbe l'unico a dover fare i conti con una figlia appena ventenne e già incinta. La notizia di diventare nonno a soli quarantatré anni lo entusiasmava e non poco, ma sapeva che c'era ancora tempo, e avrebbe almeno preferito che Amanda finisse il college.
“Ci ha portato via Amy!”.
“I bambini crescono! E io lo trovo molto simpatico, a dirla tutta”.
Thomas sbuffò. “È nel gene dei Newton innamorarsi di uno come quell'idiota?”, mugugnò, tornando in cucina e spegnendo il fornello. Versò l'acqua bollente nelle tazze che aveva già preparato con il filtro, prima di mettere il pentolino nel lavandino. Aggiunse il latte nella tazza di Newt e gliela portò in salotto, sedendosi accanto a lui sul divano. Poggiò la testa sulla sua spalla – Newt era sempre stato un po' più alto di lui, anche quando erano solamente ragazzini – e sorseggiò il suo tè lentamente.
“E se fosse qualcosa di grave?”.
Uno sbuffo. “Smettila, Tommy. Sarà qualcosa di bello e positivo”.
“Come fai a dirlo?”.
“Potrei rigirarti la stessa domanda”, ribatté prontamente Newt, portandosi alle labbra la tazza.
Thomas sorrise. Gli piaceva quando suo marito gli rispondeva al suo stesso gioco, lasciandolo senza una risposta da dare.
Inclinò un po' la testa, lasciandogli un bacio sulla pelle candida del collo. Sospirò felice, anche se la preoccupazione per quello che Amy doveva dire loro c'era ancora.
“Stai tranquillo, Tommy. Andrà tutto bene”.
E con quelle parole in testa, Thomas si rilassò completamente nelle braccia del marito.

 

“Tu—cosa?!”, gridò Thomas, nello stesso momento in cui Newt si portava le mani alla bocca.
“Mi sposo, papà!”, ripeté Amy, tendendo una mano verso di loro, che erano seduti davanti a lei al tavolo, e mostrando l'anello brillante che portava al dito. Newt le afferrò le mani con dita tremanti, guardando il gioiello con gli occhi spalancati.
Be', almeno Josh non è un tirchio, pensò, osservando il diamante che faceva mostra di sé al dito della sua bambina.
Poi si aprì in un sorriso, alzandosi dalla sedia per abbracciare Amy.
“Sono così felice, Amy!”, esclamò, stringendola tra sue braccia. Inspirò il profumo dello shampoo che la ragazza usava, lo stesso che Newt si premurava di darle ogni volta che lo finiva. Piccole cose come comprarle lo shampoo o il balsamo continuava a farle, anche dopo che lei si era trasferita da Josh, il suo- dannazione, il suo fidanzato. Nel vero senso della parola.
Josh che aveva i capelli mori e un sorriso con le fossette. Newt non ostentava a capire come mai Amy si fosse innamorata di lui. Oltre ad essere oggettivamente bello, era anche dolce e premuroso. Faceva l'avvocato – era cinque anni più vecchio di lei, e aveva subito trovato lavoro nell'azienda del padre una volta laureatosi – e non le faceva mancare niente. Non che la ragazza se ne approfittasse – anzi, tutto il contrario: Amy lavorava sodo per pagarsi in parte gli studi alla New York University, dove studiava per diventare medico. Non c'era altro da dire oltre che i coniugi Newton-Edison fossero immensamente fieri di lei.
Newt lasciò un bacio sui capelli della figlia, allontanandosi per asciugarle le lacrime. Poi si girò verso il marito.
Thomas era ancora seduto e fissava il vuoto.
“Papà..?”, lo chiamò Amy, con la voce tremante. Newt la strinse ancora brevemente, prima di dirigersi verso Thomas. Lo prese per mano, facendolo alzare.
“Ci scusi un attimo, tesoro?”.
“C-Certo. Io- mi faccio un tè”, mormorò la ragazza.
“C'è anche della cioccolata, se vuoi. Tuo padre l'ha comprata proprio ieri”.
Amy sorrise, e Newt scelse quel momento per trascinare il marito in camera da letto. Lo fece sedere, e si inginocchiò di fronte a lui.
“Tommy?”.
Thomas si riscosse, fissandolo negli occhi. Newt non stava né sorridendo – come faceva di solito – e non aveva uno sguardo dolce. Sembrava infatti parecchio arrabbiato.
“Newt, io-”.
“No, ora mi ascolti”, lo interruppe lui. “Amy è venuta qui sprizzando energia e felicità da tutti i pori, e ci ha comunicato la bellissima notizia della sua decisione di sposarsi. E sai perché l'ha fatto? Perché siamo i suoi genitori, Thomas, siamo i suoi genitori e lei ci ama così tanto da sceglierci come le prime persone a cui dirlo”. Prese un respiro profondo. “E si aspettava supporto”.
“Newt, aspetta-”.
“Un supporto che, in effetti, le ho dato solo io. Io, Thomas. Non noi, come lei avrebbe voluto. Ti sei limitato a fissare il vuoto e non la felicità di tua figlia”.
Smise di parlare, dando a Thomas del tempo per rendersi dello sbaglio che aveva fatto.
“Newt, io sono- felice, per lei. Ma non puoi pensare che io accetti una cosa del genere. Lei pensa di amarlo, pensa di volerlo sposare. Ha vent'anni! A vent'anni una persona non sa quello che vuole!”.
Newt spalancò gli occhi sentendo quelle parole. Si alzò, allontanandosi dal marito.
“Uno a vent'anni non sa quello che vuole”, ripeté, con tono quasi sprezzante. “Non mi sarei mai aspettato di sentire queste parole uscire proprio dalla tua bocca”.
Thomas sembrò pentito. “No, io-”.
Newt sbuffò una risata ironica. “Risparmiamelo. Anzi, risparmiacelo”.
Aprì la porta della camera da letto e tornò in cucina, sbattendosela alle spalle. Thomas si prese la testa fra le mani, strizzando gli occhi.
Che cos'ho fatto?

 

*

 

Io voglio le peonie”.
Io preferisco i girasoli”.
Tommy, non sceglieremo i girasoli come fiori per il nostro matrimonio!”, esclamò Newt, sbuffando.
Allora i gerani!”.
Le rose?”.
No, troppo romantiche”.
Tommy, è un matrimonio”.
Thomas sorrise, circondando la vita di Newt con le braccia. “È il nostro matrimonio, non uno qualsiasi”.
Ed è per questo che non sceglieremo i girasoli”, disse Newt, alzando gli occhi al cielo.
Rimasero un po' in silenzio a pensare ai tipi di fiori da scegliere, quando Newt chiuse ogni rivista e la buttò a terra.
Al diavolo i fiori. Ti sposerei anche in mezzo ad una strada con due senzatetto come testimoni”, dichiarò, girandosi nell'abbraccio e coprendo il corpo del fidanzato con il suo.
Thomas sorrise felice. “Risparmieremmo un sacco di soldi”.
Il biondo lo baciò lentamente, separandosi pochi secondi dopo. “Esattamente”.

 

*

 

“Devi dargli tempo, Amy”.
Amy abbassò lo sguardo sulla sua tazza, fissando la cioccolata come se fosse spiritata. “Io pensavo che.. sarebbe stato felice”.
Newt coprì la mano della ragazza con la sua. “Bambolina, lui è felice. Lo è, solo che.. ne ha passate tante”. Il suo viso si adombrò. “Non lo sto giustificando. Gliel'ho detto chiaro e tondo quanto sto odiando la sua reazione e le parole che-”, si fermò, serrando gli occhi e stringendo i denti. “Lui ti ama tanto, lo sai, vero?”.
Amy sorrise tristemente. “Quasi quanto ama te”, sussurrò.
“Ehi, no”. Newt scosse la testa. “Lui ti ama più di quanto ami me. Come io amo te sopra ogni altra cosa. Sei la nostra vita, Amy. Non condannarlo se il passato lo terrorizza ancora così tanto”.
Passarono dei minuti in cui stettero in silenzio. Nessun rumore proveniva dalla camera da letto, e Newt sospirò.
“Che ne dici di uscire? Uno dei nostri pomeriggi speciali?”.
Il sorriso che fece Amy, quella volta, fu più allegro. Finì la sua cioccolata, e Newt le pulì lo sporco marrone sulle labbra con il tovagliolo, come faceva quando era piccola.
Amy amava quelle attenzioni, anche se era ormai ventenne.
“Mi metto la giacca e arrivo, okay?”.
Newt si alzò, e si diresse in camera. Esitò qualche secondo, prima di aprire la porta, lentamente. Tutto quello che vide, fu la sagoma di Thomas, sotto le coperte. Si avvicinò alla figura del marito, scostandogli i capelli dagli occhi. Dormiva profondamente. Newt se ne innamorò giusto un pochettino di più, anche se il dolore per quello che aveva detto e per come si fosse comportato era ancora una piaga aperta nel suo cuore. Non si aspettava quelle parole e la delusione bruciava. Prese il cappotto e uscì quasi di corsa dalla camera da letto.
Amy era pronta, con la sua giacca di pelle e la borsa in mano.
“Andiamo, tesoro?”.
La ragazza annuì, e seguì il padre fuori dalla porta di casa.

 

*

 

Il sole splendeva alto, quel giorno. E la sabbia scottava più di quello precedente.
Newt rise, saltellando ogni qual volta che qualche granello bollente scivolava oltre la barriera delle infradito.
Thomas camminava dietro di lui, il telone da spiaggia sulla spalla come un venditore ambulante.
Fai invidia ai bambini di cinque anni”, disse al biondo, trattenendo una risatina divertita.
Muoviti, Tommy! Voglio subito tuffarmi in acqua”.
Non avevano portato l'ombrellone e Thomas se ne pentiva amaramente. Gli piaceva la pelle pallida di Newt, non voleva che si scottasse.
Lasciò gli asciugamani al solito posto, notando come Newt avesse già disteso il suo e stesse riposando i piedi dalla sabbia bollente.
Thomas salutò con un cenno i loro vicini di ombrellone, una coppia sui trent'anni. La donna, Susan, era incinta di sei mesi e offriva sempre del gelato a Newt (sì, certe volte Thomas sentiva di stare con un bambino al posto di un ragazzo diciannovenne). Avevano fatto amicizia ed erano anche usciti a cena una sera.
Loro erano quasi alla fine della loro piccola vacanza romantica, e il pensiero di dover tornare in quella piccola cittadina dell'Ohio non faceva altro che intristirli. La coppia, invece, avrebbero trascorso un'altra settimana, prima di tornare al ritmo stressante del lavoro nella Grande Mela, che non risparmiava neppure le donne incinte. Newt aveva legato parecchio con Susan e Thomas si inteneriva a vederli parlare come se fossero coetanei.
Tommy! Andiamo, prima che il bambino di Susy nasca, per favore!”.
Sei un'ansia assurda, Newt!”.
Newt gli fece il verso, prima di cominciare a correre verso il mare. Thomas si tolse le scarpe e le ripose vicino al suo telo mare.
Sei veramente fortunato, sai”, gli disse Susan, attirando la sua attenzione. Il ragazzo si girò verso la donna. Era molto intimidito dalla sua presenza, anche se era restio ad ammetterlo.
Lo so”, replicò, con una punta di orgoglio.
Newt è un ragazzo d'oro. Vorrei tanto che questo piccolino sia come lui, una volta cresciuto”.
Thomas le sorrise educatamente, facendo per seguire il ragazzo, quando Susan parlò ancora: “Non farlo soffrire”.
Il moro chiuse gli occhi per un momento, prima di prendere la decisione di non rispondere.
Avrebbe fatto soffrire Newt e lo sapeva già. L'unica cosa che non voleva sapere era quando.

 

*

 

Quando Newt tornò a casa, era sera inoltrata.
Era uscito a cena con Josh e Amy, per festeggiare. Aveva adorato solo un po' di più suo genero quando non gli aveva chiesto dove fosse suo marito.
Ma solo lo sguardo triste e distante di Amy era una risposta.
Non prendetevela tanto con lui, ragazzi”, aveva detto, prima di lasciare la coppietta tornare a casa. “Saprà fare quello che è giusto”.
Josh lo aveva abbracciato e Newt gli aveva lasciato una carezza fra i capelli. Quel ragazzo era prezioso, ed era così tanto che la sua Amy avesse trovato qualcuno come lui. Aveva baciato per un'ultima volta sua figlia sulla guancia e il suo cuore si era spezzato quando l'aveva vista piangere, quella volta dalla tristezza.
Tuo padre ti ama, Amy. Deve solo trovare un modo per ricordarsi che è quello l'importante”.
A Newt doleva la testa. Si tolse le scarpe, lasciandole all'entrata, e buttò il suo cappotto sul divano. Si trascinò in bagno, prendendo la confezione di aspirine. Ne buttò giù una con l'acqua, prima di lavarsi i denti e togliersi i vestiti. S'infilò i pantaloni del pigiama, che era poggiati sulla lavatrice, andando poi in camera. La porta era ancora chiusa, ma l'aprì senza esitazione.
Thomas era nella stessa posizione in cui l'aveva lasciato.
Sospirò, scostando le coperte e mettendocisi sotto. Per la prima volta, non cercò il calore del marito, anche se la voglia era fin troppa.
Chiuse gli occhi, cercando di prendere sonno.
Stava giusto per addormentarsi quando sentì un corpo caldo aderire completamente al suo. Lasciò andare un sospiro, e quando si girò non fece neppure in tempo a parlare.
Due labbra si posarono sulle sue con una rara forza. Non si stupì. Ogni volta che Thomas era arrabbiato o triste per qualcosa, tendeva a sfogarsi fisicamente. Se non prendeva a pugni il sacco da boxe, faceva l'amore con Newt.
E così fu anche quella volta. Newt non si lamentò della poca delicatezza e rispose ai baci e ai tocchi del marito.
Vennero insieme, respirando affannosamente. Thomas ansimava con la testa nell'incavo del suo collo, e quando uscì da lui, Newt si sentì più vuoto di prima. Dopo qualche minuto, con la mente sgombra dalla nebbia dell'orgasmo, si decise a parlargli.
“Perché fai così ogni volta?”, chiese, in un sussurrò, accarezzandogli i capelli. Thomas sospirò, sollevandosi un poco per guardarlo. “Lo sai perché”.
Newt ridusse le labbra ad una linea piatta. Thomas pensò che fosse adorabile, con i capelli scombinati e le guance rosse. Gli lasciò un bacio sulla guancia, leggero. Lo sentì tremare, ma sapeva che non avrebbe ceduto una seconda volta.
“Amy era davvero triste, oggi”.
E forse quella era la cosa sbagliata da dire, perché Thomas si allontanò da lui con la velocità di un fulmine, sdraiandoglisi di fianco. “Deve pensarci, Newt. Non puoi dire il contrario”.
Newt si sedette sul letto. “Ci ha pensato. Ci hanno pensato”.
“No, non l'hanno fatto. Magari Josh non è un ragazzo, ma Amy è ancora una bambina. Ha vent'anni, per la miseria”.
“E quanti anni avevi quando mi hai sposato, hm?”.
Thomas si ritrovò in difficoltà. “È diverso, Newt”.
Newt fece una risata sarcastica. “È diverso perché tu hai dei genitori di merda, che non ci hanno mai accettato e hanno fatto di tutto per dividerci. Porca puttana, mi hanno mandato all'ospedale!”.
L'altro si sedette a sua volta. “Non insultare i miei-”.
“Dio, Thomas! Li stai difendendo!”. Newt non riusciva a credere alle sue orecchie. Scostò le coperte, alzandosi per cercare i propri pantaloni. Una volta che li trovò, poco distanti dal letto, se li infilò.
“Dove stai andando?”.
“Di là. A dormire”, disse il biondo, guardandolo in faccia. “Non ti riconosco più, Thomas. Non so chi tu sia, in questo momento. Cristo, non so neppure se quello con cui ho fatto l'amore pochi minuti fa sia ancora mio marito o no”. Lasciò andare le braccia molli, lungo i fianchi.
“Newt, non dire cazz-”.
“Non dirle tu, porca puttana!”, sbottò Newt. “Difendi i tuoi genitori, dopo tutto quello che ci hanno fatto passare, dopo che non li senti da ben ventitré anni, e vieni a dirmi di non dire cazzate?!”, continuò, infuriato. “Be', Thomas, indovina la mia risposta: vaffanculo”.
Prese la coperta e uscì dalla camera, chiudendosi dietro la porta.
Quando arrivò in salotto, si buttò sul divano. Si passò le mani sul viso, prima di scoppiare a piangere silenziosamente.

 

*

 

“Take me out tonight, where there's music and there's people who are young and alive”.
Thomas si sorprese a sentire il fidanzato cantare una canzone che non fosse di un musical. Sapeva che Newt ascoltava tutti i generi di musica, anche se aveva una particolare tendenza verso il mondo di Broadway. I suoi studi non erano infatti a caso; Thomas non aspettava altro che sedersi su una di quelle poltroncine e guardarlo su quel palco, dove apparteneva veramente.
Mentre lui aveva trovato la sua strada nella Legge, Newt l'aveva trovata nella musica. Cantare era la sua vita e Thomas lo sapeva perfettamente. 

Newt tornò in salotto, dove c'era lui sdraiato sul divano, e gli si buttò addosso.
“Take me out tonight, because I want to see people, and I want to see life”. Gli tracciò il profilo del mento con le labbra, lasciandoci piccoli e dolci baci.
Come mai i The Smiths?”, chiese Thomas, curioso.
Newt si mise comodo, facendo strusciare involontariamente i loro bacini e causandogli un verso strozzato. Ghignò, soddisfatto del risultato, dando un'altra piccola spinta.
Quando ho capito di provare dei sentimenti per te, ho fatto una playlist col tuo nome, su una cassetta”, disse, baciandogli il collo. “E i The Smiths erano quelli che ascoltavo di più insieme agli Oasis”.
Thomas sorrise. “Ho fatto una cosa simile”, disse, apparentemente non più vittima dei gesti del fidanzato. “Solo che erano tutte canzoni dei Nirvana. Ero piuttosto arrabbiato con me stesso”.
Newt sospirò, strusciando la punta del naso sulla sua pelle. “È stata tutta colpa dei tuoi, lo sai, vero?”.
Il moro annuì. “Sì, lo so. Anche se è passato solo un anno io-- non posso dire che mi manchino, però vorrei tanto che fossero state due persone diverse”.
Newt gli accarezzò la guancia. “Ti amo, lo sai, vero?”. Lo fissò negli occhi, intensamente.
Ti amo anch'io”.
Ed era tutto quello che serviva.

 

*

 

I giorni si susseguirono in un'atmosfera di completo disagio. E rabbia inespressa.
Thomas stava tutto il giorno in ufficio, e tornava solamente a sera inoltrata, quando Newt era già addormentato.
Non avevano mai affrontato una cosa del genere, ma Newt non voleva cedere alle idee del marito. Sapeva che Thomas non pensava niente delle cose stupide che aveva detto, non gli serviva una laurea per riconoscerlo.
Thomas era terrorizzato. Tutte le sue insicurezze come padre, come marito e come persona, erano spuntate fuori dopo una cosa come l'imminente matrimonio di Amy. Nonostante questo, non poteva certo giustificarlo. Thomas aveva un problema e stava facendo soffrire tutti loro.
Suo marito non era mai stato una persona egoista. Sì, aveva un carattere difficile ed era piuttosto.. freddo, sotto alcuni aspetti, ma Newt era sempre riuscito a scavare sotto quell'armatura con cui insisteva a coprirsi. Era una situazione che non poteva risolvere da solo. Per questo, passava tanto tempo a teatro, tra una prova e l'altra.
Essere una star di Broadway era difficile, quando non avevi la forza psicologica per affrontare tutto. Beveva caffè alternati a tazze di acqua calda e miele, per la voce.
Quella sera, dopo dieci ore di prove sfiancanti e con la gola in fiamme, quando si trovò davanti alla porta di casa non riuscì ad entrare neppure al pensiero di un bagno caldo.
Controllò l'ora: le otto e mezza di sera. Thomas doveva ancora essere in ufficio, in quella settimana tornava ad orari impossibili.
Prese un respiro profondo, tirando fuori le chiavi e aprendo la porta del loro appartamento nell'Upper East Side. Buio. Tutto completamente scuro e silenzioso.
Quando si sentì tirare un sospiro di sollievo, si rese conto che le cose stavano degenerando.
Non si era mai sentito sollevato all'idea che suo marito non fosse a casa; amava Thomas con tutto il suo cuore e con tutta la sua vita. Lo amava alla follia, come amava Amanda.
Al pensiero della figlia, il suo cuore si spezzò. Aveva sentito Amy la sera precedente, e le era sembrata ancora più sconsolata quando, per l'ennesima volta, era stato lui ad aver risposto al telefono.
Posò le chiavi sulla mensola all'entrata, togliendosi le scarpe e il cappotto. Fece per appoggiarlo al divano quando notò una figura seduta proprio su di esso.
“Thomas..”, mormorò.
Thomas stava piangendo. Era seduto con la testa fra le mani e piangeva, singhiozzando forte. Con passi lenti e calcolati, Newt gli si avvicinò.
Si sedette sul divano, prendendolo tra le braccia.
“Mi hanno chiamato, Newt”.
Anche se non specificò il soggetto, Newt lo capì comunque.
“Che ti hanno detto?”, chiese, arrivando subito al punto. Gli accarezzò i capelli con le dita, cullandolo dolcemente.
“Mio padre è morto”, disse, dopo qualche attimo di silenzio. “Mio padre è morto e mia madre ha chiamato per dirmelo”.
Newt non disse che gli dispiaceva. Non si sentiva neppure cattivo a dirlo. Insomma, avevano fatto di tutto per rendere un inferno la vita del loro suddetto figlio, non poteva certo stare male sapendo che quell'uomo fosse morto. Stava male a vedere cosa quella notizia avesse fatto a suo marito.
“Quando ti hanno chiamato, Tommy?”, chiese, cercando di non infuriarsi. Non solo con Thomas, anche per sé stesso.
Viveva con quell'uomo da più di vent'anni e ancora non aveva imparato a riconoscere quando stava male. Sapeva che la telefonata non gliel'aveva fatta quel giorno. Aveva capito che quello era qualcosa che si portava dietro da un po' di giorni.
“Lunedì”, sussurrò Thomas, la voce debole.
Lunedì. Il giorno prima della visita di Amy.
“Li ho abbandonati e questo è quello che è successo”, disse Thomas. “È tutta colpa mia se è morto. Non avrei dovuto fare niente di tutto ciò”.
Newt si scansò. “Non avrei dovuto fare niente di tutto ciò?”, ripeté. “Ti senti quando parli?!”.
“Newt, mio padre è appena morto!”.
“Sono sicuro che sia morto per il fatto che suo figlio lo prende nel culo, invece di fingere di essere etero e avere una bella mogliettina con pargoli al seguito!”, ribadì lui, ironicamente. “Thomas, ti stai dannando per la morte di una persona che non ti ha mai considerato suo figlio. Ti stai dannando per qualcuno che ha smesso di essere tuo padre anni fa!”.
Thomas balzò in piedi, puntandogli contro un dito. “Non ti azzardare a dire cose del genere!”.
Newt rise istericamente. “Cosa vuoi fare, hm? Stare qua a piangere per una persona che non ha fatto altro che odiarti e sminuirti per tutto il corso della sua vita? Non lo sentivi da ventitré anni, Thomas, Ventitré. Quale padre farebbe una cosa del genere?”, sbottò. “Non dirò che mi dispiace per una persona che mi ha fatto picchiare a sangue, che ti ha cacciato di casa e che ci ha sbattuto la porta in faccia quando abbiamo provato a fargli conoscere sua nipote”.
L'altro era furioso. Si passò una mano sulla bocca, prima di mettersi la giacca e fare per un uscire di casa.
“Dove stai andando?”, gli chiese Newt, seguendolo.
“Fuori. Lontano da te, lontano da questo. È stato tutto un errore, Newt”.
E lì poté sentire il suo cuore frantumarsi.
Newt lo afferrò per un braccio. “Thomas, ti prego. Non essere lui. Ti prego”.
Thomas si girò, guardandolo negli occhi per qualche minuto. “Andrò a stare da mia sorella. Lasciami stare”.

Quando la porta di casa si chiuse, sbattendo, Newt perse tutto.

*

“Papà, apri. Sono io, sono Amy”.
Appena Newt sentì quella voce dietro la porta d'ingresso – la stessa che non era riuscito a fissare dopo che si era chiusa sbattendo – si riprese dal suo stato di trance.
Amy era davanti a lui, i pantaloni della tuta e una felpa troppo grande per essere sua addosso. Aveva i capelli raccolti e la sua espressione si fece preoccupata non appena vide in che stato fosse.
“Oh, papà”.
Newt si lasciò abbracciare e scoppiò a piangere sulla spalla della figlia. Si era tenuto dentro tutto troppo tempo per non scoppiare. Amy lo strinse forte, e sentì qualcuno chiudere la porta, ma non si curò di chi fosse.
“Ci sono io, papà. Ci sono io, adesso”.

 

*

 

Newt e Amy insieme erano qualcosa di stupendo.
Thomas li fissò mentre giocavano sul tappeto pieno di pupazzi, gli occhi innamorati.
Tieni, gioca con questo”, le disse Newt, mettendole in grembo un coniglietto di pezza fra le mani.
Da ta ta ta ta”, mugugnò la bambina, afferrandolo e sventolandolo in giro.
No, no, devi prenderti cura di lui”, le spiegò il biondo, e la bambina lo guardò con gli occhioni spalancati. “Guarda, così”. Le tolse il coniglietto dalle mani, prendendolo e accarezzandolo. Amy seguì tutti i suoi movimenti attentamente, e dopo pochi minuti reclamò il possesso dell'oggetto.
Una volta che ce l'aveva ancora in braccio, cominciò a dargli delle carezze, copiando i movimenti del padre.
Bravissima!”, esclamò Newt, battendo le mani. Thomas sorrise, e si sedette insieme a loro.
Amy gli rivolse un sorriso smagliante non appena lo vide, gattonando verso di lui. Thomas la prese in braccio e cominciò a darle tanti bacini sulla guancia. Sentì la risata cristallina di Newt e incrociò il suo sguardo, mentre la bambina giocava con i suoi capelli, il coniglietto di pezza abbandonato vicino a loro.
State lì fermi!”, disse Newt, all'improvviso, prima di correre in camera. Tornò pochi secondi dopo con la polaroid in mano.
Amy! Amy, guarda qui!”.
La bambina, sentendosi chiamare, si girò verso il padre, regalandogli un sorriso sdentato.
Newt premette il tasto rosso e scattò la foto. Non appena fu stampata, la sventolò per farla asciugare.
Poi, si fermò a guardarla e gli venne da piangere dalla gioia.
La sua famiglia. La sua bellissima famiglia, piena di amore.

 

*

 

Ad Amy venne da piangere quando vide le foto appese nel salotto dei genitori. Ogni passo importante della sua o della loro vita era lì. Afferrò la cornice che ritraeva lei e suo padre Thomas.
Aveva solamente pochi mesi quando Newt l'aveva scattata, ed era uno dei ricordi più preziosi che Amy custodiva.
“Avevi sei mesi e mezzo”, disse Newt. Amy sobbalzò, girandosi.
“Papà..”.
Newt si avvicinò, sfilandole la cornice dalle mani e osservandola lui stesso. Sorrise, tristemente. “Dio, eravamo così giovani. Così giovani e pieni di energia. Ne abbiamo passate tante, io e tuo padre. Non è mai stato un tipo facile con cui andare d'accordo, e le litigate non mancavano neppure quand'eravamo ragazzi”, ricordò. “Ma lo amo così tanto che fa quasi male. Non ho mai smesso e non penso che smetterò mai. Anche dopo tutte le cose che ha detto in questi giorni. Tutte le cose che mi ha nascosto.. non posso davvero biasimarlo del tutto”.
“Cosa.. ti ha nascosto?”, chiese Amy, cautamente.
Newt la guardò per qualche istante, prima di rispondere. “Cose del passato. Che riguardano i suoi genitori. Sono tornate molte cose a galla”.
“Quei bastardi figli di puttana”.
Newt si girò verso il divano, dove Susan stava fumando una sigaretta. “Puoi dirlo forte”, le diede ragione, con un cenno della testa.
“Quel ragazzo deve ritrovare la ragione. Non penso che sia mio figlio che non gli vada a genio, perché non è mai venuto a lamentarsi o altro”.
Amy scosse la testa. “Anche se fosse, Josh è l'amore della mia vita, Susan. Sposerò tuo figlio in qualsiasi caso, che mio padre ci sia o no”. Dirlo fu difficile, e non si sentì affatto meglio dopo che quelle parole uscirono dalla sua bocca.
“Ci sarà”, insistette Newt. “Ci sarà perché tornerà a casa proprio adesso. Qui, con me”.
Amy e Susan lo guardarono, quasi compassionevoli. Newt non badò a nessuna delle due, dirigendosi in camera per mettersi le scarpe e il giaccone.
Quando uscì, nessuna delle due provarono a fermarlo.
Camminò per chilometri e chilometri, decidendo di non prendere i mezzi pubblici.
La casa di Teresa, sua cognata, non era tanto distante dal loro appartamento, ma impiegava ben mezz'ora di camminata spedita.
Suonò il campanello, più volte.
“Apri, bastardo!”, urlò. “Apri questa dannata porta, la vedo la luce accesa!”.
Non si curò dei vicini; a New York erano tutti abituati a quel genere di rumori, nessuno ci avrebbe fatto caso.
“Vattene via, Newt”.
Sentire quelle parole da Thomas fece meno male del previsto. Forse perché c'era un tremolio nella sua voce, segno che la facciata si stava per rompere una volta per tutte.
“Tommy, apri questa fottuta porta, o la butto giù. Sai che posso farlo. E sai che potrei ripagare i danni a tua sorella in un batter d'occhio”.
La porta si aprì, ma fu Teresa quella che comparve sull'uscio.
“Newt, ehi”.
“Teresa”, la salutò lui. “Fammi parlare con mio marito, per favore”. Non si sprecò nei convenevoli, ritenendo che fosse molto più importante arrivare subito al punto della faccenda.
“Lui.. lui non vuole parlarti”, tentò di dire la donna, mordendosi il labbro.
Newt sospirò. “Be', la questione non si risolverà da sola. E non accetterò una fottuta firma su una carta che nessuno dei due vuole”, disse, duramente. “Voglio solo farlo stare meglio, Tessa. Per favore”.
Teresa sembrò combattuta, ma poi si fece da parte e lo lasciò entrare. Newt la ringraziò con un abbraccio, prima di andare dal marito.
Thomas era seduto sul divano, lo sguardo vacuo e gli occhi rossi dal pianto. Quando lo raggiunse, il moro lo guardò per qualche minuto, non sapendo cosa dire.
“Ehi, Tommy”.
Tutta la rabbia che lo aveva fatto scoppiare qualche minuto prima era completamente svanita alla vista dell'uomo che amava, ridotto come uno straccio.
Tornare a chiamarlo con il suo soprannome aveva sempre funzionato. Era come una parola di sicurezza. Quel soprannome simboleggiava tutto quello che li univa, quell'amicizia che non se n'era andata anche dopo che l'amore aveva fatto la sua gloriosa entrata.
“Mi dispiace così tanto, Newt. Non so cosa--”.
Newt lo guardò, incitandolo a continuare.
“Non so cosa mi sia preso. Io non sono così. Dio, non sono così, devi credermi”, disse, scuotendo la testa. “Non ero io, te lo giuro”.
Newt lo abbracciò forte. “Ehi, shh”. Gli accarezzò la schiena, mentre Thomas affondava il viso nella sua spalla. “Andrà tutto bene. Lo sapevo, che non eri veramente tu, stupido”. Gli prese il volto fra le mani. “Mi dispiace per non esserti stato vicino quando quella notizia è arrivata. Mi dispiace di averti detto tutte quelle cose”.
Thomas scosse la testa. “Avevi ragione-”.
“Non ce l'avevo del tutto”, disse il biondo. “Quell'uomo rimarrà sempre tuo padre, anche dopo tutto il male che ti ha fatto. Hai continuato a volergli bene, nel tuo profondo, anche se volevi solamente odiarlo”. Thomas fece per scostare lo sguardo, ma Newt lo trovò un'altra volta. “Mi dispiace. Ti amo”. Fece una risatina. “Strano dire queste due frasi vicine, hm? Come se potessero essere una scusa”.
Thomas sorrise. “Per noi non lo sono mai state”, disse. “Sono tutto quello che abbiamo, Newt”.
Newt annuì. “Ti amo”, ripeté.
“Ti amo anch'io”.

 

Quando tornarono a casa, Amy era addormentata sul divano. Susan aveva lasciato un biglietto, dicendo che era tornata a casa.
Thomas si sedette sul pavimento, e scosse dolcemente la figlia.
Amanda sbadigliò, strofinandosi gli occhi con le mani. “Papà?”, disse poi, sorpresa.
Thomas annuì, la voce tremolante che preferì tenere al sicuro nella gola. Amy sembrò capire, perché si lanciò su di lui, e si ritrovarono a piangere sul pavimento del soggiorno.
“Mi dispiace, Amy”, gracchiò, “mi dispiace così tanto”.
Amanda scosse la testa, asciugandosi le lacrime. “Niente di queste scuse. Ti voglio tanto bene, papà”.

 

 

*

 

 

Guardare Newt e Amy vicini era la cosa preferita di Thomas. Non si stancava mai di farlo, perché loro erano tutto quello che aveva.
E in quel momento Amy stava sorridendo felice, aggrappata al braccio di Josh, che la guardava come se fosse la persona più straordinaria dell'intero universo. Newt gli posò una mano sulla coscia. “Non sono stupendi?”, sussurrò al suo orecchio.
“Lo sono eccome”.
“Piccioncini, voi ce l'avete già avuta la vostra giornata, smettetela di tubare”, commentò Susan, ridendo dietro il suo bicchiere di vino.
Newt amava il fatto che sua figlia fosse finita insieme al figlio di una delle sue più care amiche. Se chiudeva gli occhi, poteva rivedere quella spiaggia e il pancione di Susan.
Thomas rise. “Ogni giornata è sempre la nostra giornata”.
Susan roteò gli occhi, non accennando però a smettere di sorridere.
Dopo cena, ci furono vari discorsi e molti, molti balli. Thomas si staccò dalla presa di Newt e si diresse verso il palco. Prese il microfono, picchiettandoci sopra.
“Posso avere la vostra attenzione?”, chiese agli invitati. Quando tutti gli occhi furono su di lui, annuì soddisfatto. “Bene. Allora, ho temuto questo giorno fin da quando io e mio marito vedemmo questi occhioni azzurri e una testa pelata. Inutile dire che fosse la piccola Amanda”.
“Papà, che stai--”.
“L'ho temuto ancora di più quando ha cominciato ad andare all'asilo”, continuò, ignorando le proteste della figlia. “E c'erano tutti questi maschietti che le giravano intorno, come se fosse una calamita. Ai tempi, io ero stato appena assunto in un studio importante di avvocati a New York, mentre Newt stava cominciando la sua scalata a Broadway”, sorrise, ripensando a quei momenti. “Tutto quello che aspettavo, era la fine della giornata per tornare a casa da mia figlia e mio marito, e vederli sorridere”. Fece una pausa, prendendo un respiro profondo per non commuoversi. “Vi faccio solamente pensare a quanto il pensiero di questo giorno mi abbia spaventato, quando Amy ha cominciato ad avere le mestruazioni-”.
“Papà!”.
“-e, insomma, ormai era una donna! Etero, per giunta”. Tutti risero, e lui tossicchiò. “Per colpa del mio passato, ho rischiato di perdere sia lei che l'amore della mia vita. Non è stato facile, uscirne. Ma ora, tutte le paure che ho avuto riguardo questo momento, mi sembrano solo stupide. La mia bambina è felice, non l'ho mai vista più radiosa. Forse solamente quando le avevamo comprato la Play Station 3, e mio marito aveva comprato tutte le versioni esistenti di GTA, ma quella è un'altra storia”. Gli invitati ridacchiarono di nuovo. Lui si rivolse alla figlia. “Amanda, voglio solo dirti che sono così fiero di te, oggi più che mai. Sono fiero di come tu sia cresciuta, e sono fiero di averti come figlia. Ti amo con tutto il mio cuore, con tutto quello che sono. E vederti felice con Josh, sposata.. be', chi sono io per impedirti tutto questo? Io ci sarò sempre per te. Sarò sempre il tuo papà, qualsiasi cosa accada”.
Amanda, in lacrime, si alzò e si diresse verso di lui. Thomas aprì le braccia e la strinse a sé. Tutti applaudirono alla scena, e si sentì qualche singhiozzo.
“Sei il migliore, papà”, sussurrò Amy al suo orecchio.
Thomas le stampò un bacio sulla guancia, separandosi con uno schiocco. La sua bambina era cresciuta in un batter d'occhio, ed era la donna più bella che lui avesse mai visto. Guardarla andare via, poche ore dopo, fu difficile, ma non a livelli inimmaginabili.
Newt gli pizzicò un fianco, scherzosamente. “Tè, avanzi della torta nuziale di nostra figlia e maratona di Dexter?”.
Thomas sorrise, circondandogli la vita con un braccio. “Non direi mai di no ad una cosa del genere”. 

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