Sorridere può salvare.

di smilingcansave
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Con la coda dell'occhio vedo il display del telefono illuminarsi e un nano secondo dopo sento la suoneria. Leggo il nome che è comparso sullo schermo e un accenno di fastidio mi pervade; mia madre sa quanto odio essere chiamata durante il mio orario di lavoro, tutti coloro che mi conoscono sono a conoscenza di questa mia regola.
Afferro svogliatamente il cellulare e scorro il dito sullo schermo per rispondere alla chiamata.

'Ciao mamma.'
'Ciao, Amber. Sono tre giorni che non mi chiami e ho pensato di sentire se avevi bisogno di qualcosa.''
'Sì, hai ragione, ma ultimamente sono molto presa dal lavoro.'
'E quando mai non lo sei?'

Touchè.

'Tra qualche giorno dovrò presentare la nuova collezione, ho preparato un evento importante e sto finendo di definire i dettagli.'

Resto amareggiata dal modo in cui cerco di giustificarmi, come se dovessi dare spiegazioni sul mio lavoro, non è da me.

'Sono sicura che andrà tutto bene, sei fin troppo maniaca quando si tratta del tuo lavoro e non ho dubbi sull'ennesimo tuo successo.'
'Non era quello che pensavi qualche tempo fa.'

Ho scagliato la mia freccia. Quella dei sensi di colpa. Quasi me ne pento, ma forse neanche troppo. Per qualche frazione di secondo sembra che dall'altro capo della linea non ci sia più nessuno, ma la risposta di mia madre non manca.

'Abbiamo affrontato più volte questo argomento, non mi sembra il caso di farlo ancora.'

Sono d'accordo e decido che la conversazione deve finire qui.

'Sì, credo sia meglio non farlo. Devo andare, appena ho un attimo vedrò di passare a salutare te...e Jacob.'
Jacob era l'uomo con cui mia madre conviveva da circa un anno. Non avevo un grande rapporto con lui, anzi, non ce l'avevo proprio. Le poche volte che ci siamo incontrati ha sempre tentato di stabilire un rapporto con me, questo non lo posso negare, ma ogni volta viene respinto dal mio muro di ghiaccio che erigo di fronte a tutti. Credo che con mia madre faccia sul serio e che voglia provare ad essere una figura paterna per me. Purtroppo però questo è un mio limite, non credo riuscirò mai a superarlo.

'D'accordo, a presto Amber, ti voglio bene.'
'Ciao mamma.'

Riattacco.
Appoggio il telefono e controllo l'ora. Quasi le nove. Spengo il portatile e lo infilo nella mia ventiquattrore, recupero i vari documenti sparsi sopra la mia scrivania e li riordino, infilandoli in una cartellina di carta che poi metto all'interno del primo cassetto, chiudendolo a chiave.
Controllo che sia tutto in ordine e mi alzo, dirigendomi poi verso la porta del mio ufficio. Quando esco vedo che Tyler, il mio responsabile della sicurezza, è fermo che mi aspetta. Mi saluta con un cenno e si unisce a me mentre percorro il corridoio verso l'ascensore. Mentre cammino si sente solo il rumore dei miei tacchi non appena toccano il pavimento, la mia mano libera sfiora i pantaloni, i miei capelli ricadono morbidi sulla mia giacca.

Nella hall della mia sede una delle mie segretarie sta lavorando al computer e appena mi vede si affretta ad alzarsi. L'aspetto autoritario conferitomi dal completo maschile che indosso la mette in soggezione, glielo si legge negli occhi. E' stata assunta da poco, ma già mi sta dimostrando grandi capacità.

'Ci sono novità Kimberly?'
'Sì, signorina Kellington. Ho ricevuto la telefonata una parte di Jesse Bryan, chiede un colloquio con lei. Dice anche di averle inviato un'email, ma voleva accertarsi che lei ne fosse al corrente.'

Jesse Bryan. Un colpo allo stomaco. Stringo di colpo i denti. Serro sempre di più il manico della mia valigetta tra le dita della mano, credo di essere in grado di distruggerlo, vista la forza con cui lo sto tenendo.
La mia voce interiore mi intima di mantenere il controllo e così faccio. Rimango impassibile e rispondo a Kimberly.

'Ho controllato la posta poco fa e ho già letto tutto quello che ho ricevuto oggi, ma niente di quello che ho letto è stato inviato dal signor Bryan.'
'A dire il vero il signor Bryan dice di averle scritto sulla sua casella di posta privata.'

Un brivido mi scorre lungo la schiena, ma non mi lascio prendere dalle emozioni neanche questa volta. Per quanto sia difficile. Il mio istinto di difesa mi dice di terminare qui e di andare a casa.

'Grazie Kimberly per avermi informata, ci vediamo domani.'

Molto sbrigativa, senza dubbio. Ma so per certo che la giovane segretaria non ne è rimasta stupita. Nonostante lavori nella mia azienda solo da poche settimane il mio atteggiamento nei confronti dei dipendenti le è già risultato chiaro, sempre freddo e a volte sbrigativo, proprio come adesso. Tendo a mantenere un certo distacco tra me e le persone che lavorano per me o con me, non sono propensa a nessun genere di legame, oltre a quello lavorativo.
Esco accompagnata da Tyler per raggiungere la mia auto. La apro e mi siedo subito nel posto dell'autista. La mia guardia del corpo non obietta sulla mia decisione, mi conosce da molto e sa bene che quando guido è perché c'è qualcosa che mi turba e guidare mi aiuta a mettere ordine nella mia mente.
Il cielo sopra Los Angeles è dipinto di nero e di sfumature blu, alcune stelle sono già visibili, per quanto poco si possa vederle; la loro luminosità è sovrastata dalla potenza delle luci urbane, dei fari delle macchina e delle illuminazioni domestiche che punteggiano ogni edificio. Ho sempre amato questa città, essere nata qui è stata la mia fortuna, per quanto sia caotica e piena di confusione, ha qualcosa che la rende unica e bellissima.
La strada che sto percorrendo non è molto trafficata, inizio a perdermi nei miei pensieri.
Domenica ci sarà la sfilata, mancano solo tre giorni. Ora c'è solo spazio per sistemare i dettagli, il lavoro è quasi del tutto concluso e domani ci sarà il mio controllo su ogni aspetto riguardante l'evento. Se penso al primo che ho organizzato mi rendo conto di quanti siano stati i miei cambiamenti e i miei progressi. All'inizio ero solamente una ragazzina di appena diciannove anni che forse giocava a fare la stilista, ma che stava facendo diventare il suo giochetto una soddisfazione personale. A distanza di otto anni le cose sono notevolmente cambiate, a partire dalla mia azienda che ho creato non appena mi fu conferito un premio in denaro di quasi duecentocinquantamila dollari. Non ero più una matricola della mia scuola per stilisti, non ero più quella lasciata in disparte o quella in cui nessuno credeva. Ricordo di aver partecipato ad ogni sfilata o concorso con tutta la rabbia che potessi avere e forse è stato proprio grazie a quella rabbia che sono arrivata al punto in cui sono ora. Non credo sia una coincidenza il fatto che una delle poche cose che non sono cambiate in me è proprio quell'aggressività che ho sempre riversato in tutti i miei lavori e che mi segue da sempre come un'ombra.

Nessuna delle persone che mi conoscono o collaborano con me sono a conoscenza di questo lato così aggressivo di me, così come nessuno è a conoscenza di tutti gli altri lati del mio carattere. Da anni non permettevo a nessuno di venire a conoscenza delle mie emozioni, sensazioni, stati d'animo. Per tutti ero la fredda Amber o la fredda datrice di lavoro, fredda e impassibile. Questo si diceva di me. Sapevo che stavo nascondendo a tutti una grande realtà, ma evidentemente non valeva la pena far conoscere a qualcuno i meandri più oscuri e nascosti di me, soprattutto perché quell'unica persona che un tempo era stata in grado di capire che c'era altro oltre a quell'impassibilità che mostro, è stata l'unica persona con cui non volevo più avere contatti.
Ma ora era tornato, dopo anni di silenzi, lui era qui. Non sono più la studentessa con dei sogni, ora sono il capo del mio sogno, un sogno che è riuscito a farmi fruttare molti milioni, che avrebbero fatto gola a molte persone.
Molte, ma non a lui. Non a Jesse Bryan.

Scendo dalla macchina e lascio le chiavi a Tyler, lascio che sia lui a portarla nel parcheggio del condominio in cui vivo. Ad attendermi di fianco alla porta di ingresso vedo Rick, un'altra delle mie guardie del corpo. Lui e altri dieci uomini mi seguivano in tutti i miei spostamenti, insieme a Tyler; in qualche modo mi davano sicurezza, come se volessi mantenere ancora di più il distacco dal resto del mondo.
Rick mi accompagna in casa, entro e saluto una delle mie governanti che mi avvisa che la cena è già pronta. Ringrazio, mi levo la giacca e mi dirigo verso la cucina. In tutta la casa ci sono membri del personale; il mio tempo a disposizione non è abbastanza per permettermi di pulire o cucinare, ogni mio sforzo è incentrato sul lavoro, ma i miei rendimenti mi rendono possibile avere chi mi sostituisce in casa.
Sto procrastinando, me ne rendo conto mentre con lentezza mangio quello che ho sul piatto. A dire il vero neanche faccio caso a quello che mangio. Il mio pensiero va al portatile chiuso nella mia valigetta, so che non potrò sfuggire da quella mail. Inizio a chiedermi cosa possa portare un ex compagno di corso ha rintracciarmi dopo così tanti anni.
Non avevo mantenuto i contatti con nessuno dei miei vecchi compagni, a dire il vero non avevo nessun genere di amici, se non Janet. E' la mia migliore amica fin da quando eravamo bambine, l'unica alla quale sono riuscita a raccontare le cose più brutte della mia vita, l'unica a conoscenza dell'abbandono di mio padre, l'unica a conoscenza delle mie insicurezze, l'unica a sapere del mio disturbo. Lei sapeva tutto. Lei...e Jesse.
Mi rendo conto che non pensare a lui è praticamente impossibile, mi alzo e decido di prendere il computer e aprire questa misteriosa email. Lascio perdere del tutto la cena, ora come ora, il mio corpo si rifiuta categoricamente di mangiare. Afferro il portatile dalla valigia e lo poggio sulle mie gambe mentre mi siedo sul divano di pelle nel mio salotto. Apro la posta elettronica e il mio stomaco viene stretto da una morsa, provocandomi un vuoto. Leggo il suo indirizzo email.

Non capisco il motivo di cosi tanta paura e ansia, forse vedo Bryan come una visita del passato, quel passato che da anni cercavo di eliminare, non essendo mai riuscita ad accettare. La vita per me era iniziata nel momento in cui avevo aperto la mia società, l'unica cosa che valesse davvero per me, il momento del mio riscatto era stato quello. Rileggere il suo nome nel mio computer voleva dire dovermi scontrare di nuovo con una parte della mia vita precedente che non ero sicura di poter reggere.
Dopo attimi di esitazione decido di aprire l'email.

Cara Amber,

so per certo che non ti saresti mai aspettata una mail da parte mia. Se sei rimasta quella di una volta allora sarai ancora rinchiusa tra le tue mura. Protetta da quei dieci bestioni che non mi hanno lasciato entrare nel tuo ufficio. Sono riuscito ad ottenere la tua email personale, ho voglia di rivederti e questo era l'unico modo per essere sicuro di avere una risposta, positiva o negativa che sia. Pensavo ci saremmo potuti vedere uno dei prossimi giorni. So benissimo di averti fatto del male sparendo senza dirti niente, ma dammi un'altra possibilità. Non te ne pentirai.

Un bacio,
Jesse.

Rimango a fissare inerme quelle parole, incapace di decidere cosa fare. Dopo qualche attimo di incertezza, sento una sensazione di rabbia invadere tutto il mio corpo, chiudo con violenza il portatile, lo lascio sul divano, mentre con altrettanta violenza mi alzo e inizio a girare in cerchio in mezzo al salotto.
Non volevo che questo succedesse, tutti, ma non lui.

Jesse era l'unica persona per cui avessi mai provato qualcosa, la mia felicità veniva da lui. Non stavamo insieme, non sapevo neanche cosa fossimo, ma fin da quando ci siamo conosciuti, otto anni fa,lui aveva sempre riconosciuto in me qualcosa di diverso e non aveva mai smesso di pensare che sarei diventata qualcuno.
'Farai strada più di chiunque altro qua dentro, Amber.' lo ripeteva in continuazione. Tutte le volte che sentivo il mondo crollarmi sotto i piedi e venivo assalita dalle mie paure più profonde, ogni volta lui era li per me. A lui avevo confessato che mio padre aveva abbandonato mia madre prima che io nascessi e il motivo era proprio la mia nascita. Non fu in grado di accettare le conseguenze di un suo gesto e preferì abbandonarmi. Jesse appena seppe di questo divenne la mia unica figura maschile di riferimento, disse che mi avrebbe protetta. Mi voleva bene come nessuno prima di quel momento e io avevo bisogno di quel bene.
Poi le nostre strade si divisero. Io vinsi il premio e riuscii ad aprire la mia attività e a farla funzionare. Jesse sparì. Senza dire niente a nessuno. Dopo la cerimonia dei diplomi lui mi fece i complimenti e mi lasciò una collana, la stessa collana che portava tutti i giorni lui. Ancora la tengo al collo, rappresenta un'ancora.

'Ricordati sempre, ovunque andrai, di essere l'ancora di te stessa e di contare su di te, ogni volta che ti sembra di crollare. Puoi fare tutto quello che vuoi finché ci credi.'

Erano le parole che mi aveva detto, le ultime. Non smisi mai di cercarlo e due anni dopo scoprii che aveva preso un volo per Londra subito dopo aver pronunciato quelle parole guardandomi negli occhi. L'ultima volta che decisi di sapere dove fosse, avevo scoperto che viveva negli Stati Uniti. Era tornato, ma non si era fatto sentire. Per me allora divenne un capitolo chiuso, era una ferita che avevo provato a rimarginare e ci ero riuscita. Ora a distanza di anni lui è di nuovo qui. E io non sono sicura di essere in grado di affrontare il suo ritorno. Rivolgo uno sguardo al computer chiuso e poggiato sul divano. Mi asciugo gli occhi, non mi ero accorta di essere sul punto di piangere. Scuoto la testa e lascio la stanza.

Lui non tornerà nella mia vita, non gli avrei permesso di farmi male ancora.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


E' tutto nero attorno a me. Mi sembra di essere distesa, ma non riesco ad alzarmi, una forza sconosciuta mi trattiene addossata al terreno. Sento delle voci, non le riconosco. Stanno sussurrando qualcosa. Sento il mio nome. Parlano di me. Adesso urlano.
'Sei una fallita.'
'La figlia di nessuno.'
'Sei debole.'
'Non arriverai mai da nessuna parte.'
'Non crederai di poter diventare qualcuno?'
'Sei sola.'
Urlano sempre di più.
Hanno smesso. All'improvviso.
Non è più tutto nero.
Sono in una casa. Mi è familiare. Il divano addossato al muro. L'armadio con gli intagli. Il piccolo tavolo al centro della stanza. E' il soggiorno di casa mia. La casa in cui abitavo con mia madre e i miei nonni anni fa. Ma dove sono tutti?
Sento un rumore. Qualcuno sta parlando. E' la voce di mia madre, sta parlando con mia nonna. Ma di cosa? Faccio uno sforzo per carpire alcune parole.

'...non darti colpe...è stata la soluzione migliore…'

Colpe? Soluzione migliore? Di che stanno parlando?

'...forse farla nascere sarebbe stato meglio…'

Mamma, cosa stai dicendo? Chi doveva nascere?

'...pensa a tutte le difficoltà che avrebbe comportato una bambina, tu sei così giovane…'

Sta piangendo, mia madre piange. Inizio a cercarla, non riesco a trovarla, giro per tutta la casa, di lei e mia nonna non c'è traccia, sento le loro voci, ma loro non ci sono.
'...l'avrei chiamata Amber…'

Sono io Amber, sta parlando di me!

Sbarrò gli occhi. E' buio, il mio petto si solleva e si abbassa ripetutamente. Ho il fiatone. Sono sudata, ho caldo. Il cuore sta per esplodere, me lo sento, batte troppo veloce. Vorrei alzarmi, andare a bere dell'acqua, ma non riesco. Sono ancorata al letto. Richiudo gli occhi, cerco di riflettere. Sono libera di fare quello che voglio, posso alzarmi.
Con fatica riesco a sedermi appoggiando la schiena alla testiera del letto. Respiro profondamente. Era solo un incubo, niente di più.
Ignoro il fatto che sia l'ennesimo incubo che rende le mie notti insonni.
Ruoto la testa verso sinistra, rivolgo lo sguardo alla sveglia elettronica poggiata sul comodino. Le quattro e venti, circa. Cerco l'interruttore della luce di fianco al mio letto e non appena lo trovo lo premo. I faretti installati sul soffitto della mia camera si accendono, un senso di tranquillità mi pervade. Con la luce posso vedere tutto. Non sono nella mia vecchia casa, sono nella mia attuale camera. La grande credenza in legno è ferma davanti al letto. Da dove sono io posso vedere il mio cellulare mentre si carica collegato alla presa di fianco, vedo qualche libro, ricordo di averli poggiati qualche sera fa. Alla mia destra le finestre sono chiuse, le tende sono esattamente come le avevo lasciate la ieri sera. La porta che dà al resto della casa è chiusa, come sempre. Tutto è al suo posto, sono decisamente più rilassata.
Ormai di dormire non se ne parla, preferisco scendere, a preparare una tazza di tè, è l'ideale. Mi alzo dal letto ed esco dalla stanza, accendo la luce del corridoio e lo percorro verso sinistra, scendo le scale per arrivare al soggiorno. Un brivido mi scorre lungo la schiena non appena il mio sguardo si posa sul portatile, ancora chiuso sopra il divano. Distolgo gli occhi ed entro in cucina, riempio il bollitore di acqua e mi siedo su uno sgabello, poggiando i gomiti sul bancone davanti al piano cottura.
Mi passo una mano tra i capelli. Sussulto non appena sento qualcuno avvicinarsi alla porta della cucina. E' Tyler.

'Va tutto bene signorina?' chiede serio.
'Tutto bene Tyler, solo un po' di insonnia.'

'La sua espressione non dice questo, le serve qualcosa?'
'Mi sto preparando un tè, è più che sufficiente, grazie Tyler.'

Accenno un sorriso.

'Per qualsiasi cosa sono nell'altra stanza.'

Non sembra convinto della mia risposta, ma preferisce lasciarmi in pace.

'Grazie.'
'Di niente, signorina.'

Tyler sparisce e io resto di nuovo sola.
Ripenso al mio incubo. E' lo stesso, da diversi mesi. Immagino a come sarebbe stata la vita di mia madre se avesse deciso di abortire. Forse lui sarebbe rimasto. Però avevano sedici anni entrambi, probabilmente se ne sarebbe andato comunque. Non so niente di lui. Chiesi una sola volta dove fosse mio padre. Ricorderò per sempre lo sguardo che mi fu rivolto, uno sguardo amorevole, ma triste, in armonia con il tono di voce, affettuoso, ma che non mi lasciò il coraggio di replicare. 'Papà non c'è.'
Furono poche, pochissime parole. Ma abbastanza da raggelarmi. Lui non c'era. All'età di dieci anni sentii mia madre piangere in grembo a sua madre, mia nonna. E chissà quante altre volte era successo. La sentii parlare di 'lui'. Lui che se n'era andato, che non era rimasto per vedere sua figlia, che non aveva saputo accettare l'idea di avere una bimba a sedici anni. 'Lui' non c'era. Non mi aveva voluto. Aveva abbandonato mia mamma, con una bambina, la sua stessa bambina.
Quando realizzai tutte queste cose iniziai a costruire le mie mura. Non accettavo che qualcuno potesse entrare nel mio mondo, che qualcuno potesse conoscere certi aspetti della mia vita. Agli occhi di tutti ero forte, intaccabile. Sapevo che era solo apparenza, dentro di me ero fragile, debole, mi proteggevo con uno scudo di rabbia, che usavo ovunque. Per questo non avevo amici. Solo Janet. Non avevo mai avuto una relazione con un ragazzo. I miei unici rapporti erano per lavoro, ma non erano veri e propri legami. E' vero, una volta avevo 'anche io un Lui. Ma Lui se n'era andato.
Il timer del bollitore suona. Giusto in tempo.

Mi alzo e verso l'acqua bollente nella tazza, prendo un filtro di tè verde e lo immergo, lasciandolo in infusione. Mi risiedo e inizio ad aspettare che si raffreddi, assaporando le ultime ore di tranquillità, prima di una nuova giornata.

Prendo la mia valigetta, afferro il cellulare staccandolo bruscamente dalla presa, lo infilò distrattamente in tasca, corro giù per le scale, afferrò il portatile, ignorando ogni pensiero. Entro in cucina dove la governante mi sta preparando il pranzo. Arriva ogni mattina a casa mia prima delle sei e non se ne va prima di rivedermi a casa, la sera.

'Sono le sette e mezza Amber, non è necessario essere così di corsa.' mi ammonisce premurosamente.
'Il tempo per me corre una maratona, Miss Layla, non posso perdere neanche un minuto.'

Esco dalla cucina e mi do un'occhiata davanti allo specchio situato in ingresso. I pantaloni lunghi neri scendono aderenti alle mie gambe, non indosso la giacca oggi, mi limito ad una camicetta azzurrina, i capelli sono sciolti. Il brusco risveglio anticipato mi ha permesso di lavarli mentre facevo una doccia rilassante. Le occhiaie dovute alla notte turbolenta sono state coperte dal trucco.
Il mio aspetto non ha niente che non va, non si direbbe che io abbia dormito appena qualche ora.
Ritorno in cucina, soddisfatta, afferrò al volo il bicchiere di caffè preparatomi da Layla.

'Buona giornata, Amber!'
'Grazie Miss Layla.'

Mentre esco di casa sono già stata affiancata da Tyler e Rick che tiene chiuse tra le dita le chiavi della macchina.
Venti minuti dopo ci fermiamo di fronte all'entrata principale dell'edificio sede della Kellington. Non appena entro la segretaria mi saluta. Non è la stessa di ieri sera, i turni sono molteplici alla reception.
'E' arrivata una lettera per lei Miss Kellington.' dice mentre mi consegna una busta completamente bianca. Non c'è il francobollo, ne il mittente. E' stata consegnata a mano.
Non chiedo niente, afferro la busta e mi dirigo verso il mio ufficio. Salgo in ascensore, quindicesimo piano. Stringo la busta in una mano. Mantengo il controllo e la calma.
Le porte si aprono, esco spedita e percorro il corridoio. Qualche impiegato sfreccia dentro o fuori dagli uffici; la tensione qui dentro è a mille, sentono tutti l'imminente arrivo della sfilata, siamo tutti coinvolti dal punto di vista lavorativo, ma anche emotivo. La concentrazione è alle stelle, chi telefona, chi legge documenti probabilmente appena stampati, nessuno si distrae, se non per salutarmi frettolosamente. Per tutta risposta faccio un cenno con la testa ad ognuno di loro. Procedo spedita verso il mio ufficio, arrivo alla quinta stanza a destra, Tyler mi passa la chiave elettronica e la faccio scorrere nel lettore. Un segnale acustico mi avvisa che la stanza è aperta. Saluto Tyler con un cenno ed entro.
Chiudo la porta dietro di me e faccio un respiro. Questo ufficio è l'unico posto in cui io riesca ad essere veramente libera. So che da qui posso tenere sotto controllo ogni cosa. Lascio cadere la valigia di fianco alla scrivania, accendo il computer fisso e mi siedo. Le finestre sono già state aperte e l'ufficio sa di fresco. Sono le otto. Ho ancora in mano la busta.
Non esito, la apro e trovo all'interno un foglio ripiegato. Su di esso poche righe, scritte al computer.

Dammi solo una possibilità, chiamami.

C'è un numero di telefono. Non mi ci vuole tanto per scoprire chi sia il mittente. Accartoccio furiosamente il foglio e lo lancio sul cestino, centrandolo. Non ci sarà nessuna possibilità.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo. Li riapro dopo qualche secondo e mi rimetto al lavoro; tra due ore dovrò incontrare le modelle e vedere la prova generale della sfilata, io e il mio staff dovremo assicurarci che le ragazze si adattino perfettamente ai vestiti, io per prima sono determinata a vedere ben riuscita la sfilata. Tra due mesi ogni capo inizierà ad essere distribuito nella catena di negozi affiliata alla Kellington, ma tra due giorni tutte le mie creazioni saranno sotto i flash delle macchine fotografiche dei giornalisti, per poi finire nei giornali di moda. Le aspettative su questo evento sono molto alte, l'affluenza di persone sarà enorme e la stampa sarà pronta a sottolineare ogni dettaglio e cercherà senza dubbio di trovare degli errori in ogni singolo vestito.

Le lancette dell'orologio scorrono veloci mentre lavoro. Arrivano email ogni dieci minuti e le chiamate non sono di meno. Sto rispondendo all'email di uno dei miei direttori quando il telefono dell'ufficio squilla per l'ennesima volta. Senza levare gli occhi dallo schermo del computer allungo la mano e alzo la cornetta, appoggiandola sulla spalla e tenendola ferma con la testa inclinata, in modo da avere entrambe le mani libere per continuare a scrivere.

'Kellington.' rispondo.
'Quanto ho aspettato per risentire la tua voce…'

D'impulso mi fermo e afferro il telefono con una mano. Sento il battito del cuore accelerare sempre di più, il respiro diventare affannoso.

'Chi ti dato il mio numero d'ufficio?'
'Non sei l'unica ad avere certi poteri.'

Alludeva al fatto che gestendo un'azienda e avendo un seguito abbastanza grande avevo conoscenze importanti che mi permettevano molte cose, alcuni imprenditori usano la parola poteri. E a volte è vero. Grazie anche ai miei 'poteri' anni fa ero riuscita a scoprire che fine avesse fatto proprio Lui. Quindi lui aveva fatto lo stesso, in pochi hanno il mio numero d'ufficio e ancora meno gente aveva la mia email personale.
Probabilmente mi stava addosso da un po' di tempo.

'Cosa vuoi?'
'Non hai risposto all'email e non mi hai chiamato.'
'Credevo che la risposta alla tua richiesta fosse chiara. E comunque, non ero tenuta a farlo.'
'No, non lo eri, ma sembra più che tu stia scappando.'
'Non cogli anche tu l'ironia della situazione? Stai supponendo che io stia scappando quando l'unico che è scappato senza dire niente anni fa sei tu.'

Sto mantenendo il controllo, non ho intenzione di cedere o di dargli modo di mettermi spalle al muro. Uso la solita tecnica dei sensi di colpa, associata al sarcasmo non lascia via di fuga.

'So che ho sbagliato, ma sono tornato per rimediare.'
Il suo tono non è lo stesso di chi ha dei sensi di colpa. Sta giocando, sembra divertito. Questo mi fa infuriare.
'E cosa ti fa pensare che io sia qui per te? Non ti sei più fatto sentire, ne una chiamata o un messaggio. Le cose sono cambiate Bryan.'
'Da quando mi chiami per cognome?' lo sento ridere. Come immaginavo.
'Non ho più tempo da perdere, devo andare.'
'Amber…'

Riattacco senza dargli il tempo di rispondere. Appoggio i gomiti sul tavolo, mi copro il viso con le mani mentre sento gli occhi bruciare. So di aver fatto la cosa giusta, non gli ho permesso di rientrare nella mia vita, è giusto così, è così che le cose devono andare. Però fa male, è come aver appena ricevuto un colpo allo stomaco, un colpo che leva il respiro.

E' passato appena un quarto d'ora, il mio tempo adesso è rallentato. Non riesco a smettere di pensare a quella chiamata; la sua voce, era rimasta la stessa, la sua risata era ancora la più bella che io avessi mai sentito. Sono passati anni, le cose sono cambiate, l'ho detto proprio io quindici minuti fa. La ferita che avevo è rimarginata. O almeno così credevo, fino a poco fa.
Non posso stare così, non ho mai affrontato queste cose. Ho bisogno di Janet, lei conosce la situazione meglio di me.
Prendo il cellulare, cerco il suo contatto nella rubrica e avvio la chiamata. Janet, o Jay, fa la consulente finanziaria di un imprenditore qui a Los Angeles, lavora ai piani alti. Non abbiamo frequentato la stessa scuola, se io sono arrivata dove sono ora si può parlare di talento e fortuna, se lei è arrivata dov'è ora si può parlare benissimo di determinazione e qualche buona parola scappata dalla bocca del padre.
Non è sconvolgente come cosa, la maggior parte delle persone ben remunerate che ho conosciuto in questi anni hanno avuto quello che volevano grazie a una raccomandazione.
Dopo due squilli Jay risponde.

 

'Ehilà Kellington! Cosa ti porta ad interrompere il tuo lavoro per chiamarmi a metà mattina?' la sua voce squillante mi fa spuntare un accenno di sorriso sul volto.

'E' successa una cosa..'

'Cosa c'è Amber?' il suo tono è cambiato.

'Jesse…' il suono della mia voce è spezzato. Lei capisce al volo.

'Ti va se ci vediamo per pranzo?'
'Sì, d'accordo.'
'Va bene, vengo in ufficio da te verso le 12.30, Amber.'
'Ok, a dopo.'

Faccio un respiro profondo. Capisco che continuare a logorarmi la mente con questi pensieri non mi aiuterà e decido di riprendere quello che stavo facendo. Inoltre tra meno di mezz'ora dovrò vedere la prova generale delle modelle. Il lavoro chiama.

'Più decise. Non c'è grinta nel loro atteggiamento. Voglio che alla gente arrivi un senso di sicurezza, di autostima.'
'Ha ragione Miss Kellington. Di questo ne parlerò dopo con loro. Che ne pensa dell'attribuzione dei vestiti? E' come l'avevamo prefissata.'
'Esatto, mi va benissimo.'

Io e il responsabile delle modelle stiamo rivedendo gli ultimi dettagli, la situazione è sotto controllo e questo mi lascia leggermente più tranquilla. Riguardo le ragazze mentre uno stilista sistema i vestiti. D'un tratto entra nella sala una segretaria, mi tocca la spalla per chiamarmi. Mi giro e aspetto che mi riferisca.

'C'è una persona che vuole parlarle all'ingresso.'

Faccio qualche conto e ricordo di avere un appuntamento con il fotografo ufficiale della serata.

'Grazie, arrivo tra un momento.'

La donna sorride e si gira andando verso la porta.
Recupero la cartellina dei documenti che avevo poggiato su uno dei tavoli nella stanza ed esco. Percorro il corridoio e opto per le scale. Portano direttamente alla hall. Mentre scendo ne approfitto per rispondere rapidamente ad un messaggio di Janet che mi propone un ristorante italiano in cui passare insieme la pausa pranzo. Adoro mangiare italiano e fortunatamente vicino al palazzo in cui lavoro c'è un ottimo locale. Sorrido senza volerlo, Janet sa come risollevare il morale in ogni situazione.
Arrivata alla hall, alzo lo sguardo, ma l'accenno di sorriso scompare. Sento la bocca seccarsi. Rimango immobilizzata. Non so cosa fare. Raccolgo quell'ultimo residuo di autocontrollo rimasto in me e prendo fiato.

'Che diavolo ci fai qui, Bryan?'

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