Pesca D'Amore

di Jupiter_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. ***
Capitolo 2: *** La solita sfiga. ***
Capitolo 3: *** Calcio:Uomini = Shopping:Donne ***



Capitolo 1
*** Prologo. ***


Le onde continuano a frastagliarsi contro le mie gambe, il sole caldo mi imperla la pelle di sudore accecandomi mentre sono intenta a sorreggere questa lunghissima canna da pesca in bilico su una coscia.
«Non è così che si fa!» mi urla contro mentre provo a ruotare la leva del mulinello. Giuro che se non fossi una persona educata, gliela spaccherei in testa.
«Scusami se non sono così esperta» rispondo stizzita con un’occhiataccia.
«Hai idea di quanto mi è costato quel mulinello? Ci ho messo tre mesi di lavoro per potermelo permettere e non ti permetterò di distruggerlo in tre secondi.»
Alzo gli occhi al cielo imprecando mentalmente e reprimendo l’impulso di affogarlo. Mi correggo e sbattendo le palpebre mi rivolgo a lui: «Così va meglio, signore?» il sorriso si forma più finto di quanto avessi voluto e a me va bene così finché qualcosa non inizia a tirare costringendomi ad afferrare la canna con entrambe le mani e a tirare mentre lui inizia a girare la leva.
Continuiamo così finché la preda si arrende, schizza fuori dall'acqua e gli colpisco il volto con il pesce. La sua espressione – ineguagliabile – e molto simile a quella del pesce appena pescato mi fa esplodere in una sonora risata.
Dopotutto la pesca non è così noiosa!

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Capitolo 2
*** La solita sfiga. ***


L’inizio di quel maledetto caos non lo ricordo per niente. Fatto sta che la mia cucina è in subbuglio. Pentole, scodelle e mestoli dappertutto, farina su ogni mensola e persino nelle mie orecchie, ma il profumo invitante che il forno sprigiona cancella il pensiero della fatica imminente che mi toccherà. Con le mani ancora unte distendo il grembiule sulle mie gambe e mi piego a controllare che il Pan di Spagna sia ben lievitato e cotto nel forno.
«Batti i pugni sul forno, se l’impasto si muove significa che è ancora crudo. Quando il Pan di Spagna inizierà a “sudare”, sarà pronto.»
Mia madre mi ripeteva sempre i suoi consigli “casalinghi” quando vivevo a casa dei miei e mi dilettavo nella preparazione di dolci di ogni genere. La torta balla ancora così mi decido che forse è meglio tirare la cucina a lucido.
Dopo un’ora e qualche imprecazione di troppo la cucina ritorna perfetta e il Pan di Spagna non è da meno. Mia sorella è sempre stata negata con i dolci, così ogni anno – per il compleanno di mia nipote – tocca a me preparare la torta. Lo faccio con piacere perché è una delle cose che mi riesce meglio.
Lei è molto diversa da me. Le piace la fotografia, la grafica e tutto quello che riguarda lo starsene seduta alla scrivania a smanettare al computer per assemblare immagini e roba varia.
Casa sua sembra quasi un museo, di quelli astratti, le cui opere non si collegano assolutamente tra loro ma lei se ne frega perché il “caos visivo” le piace. Dice che sono comunque foto di famiglia e che stanno bene lì dove sono.
Alla fine non replicavo mai, perché in fondo è casa sua e non devo metterci becco. Siamo sempre state diverse sia nell’aspetto, che nei gusti. Lei è l’emblema dell’eterna confusione, sempre in cerca di approvazione, di consigli e suggerimenti. Ma sotto altri aspetti è decisa, forte e chiara. E se qualcuno la fa incazzare, sarebbero guai seri. Molto differente da me. Eppure ci siamo sempre capite alla perfezione, basta uno sguardo e tutto ha un senso.
Già me la immagino - con il suo naso leggermente all’insù, i capelli legati in un perfetto chignon e quei riflessi rossi immancabili – con un altro dei suoi quadri in mano a provarlo di parete in parete. Scuoto la testa pensando a quanto sia buffa l’espressione che assume. E’ una creativa e si sa che i creativi hanno le idee un po’ confuse.
Mentre la torta si raffredda mi decido ad accendere il portatile e a mettermi alla ricerca di qualche annuncio di lavoro. A dispetto di mia sorella io non ho un lavoro, il mio conto in banca è quasi in rosso e non so assolutamente dove sbattere la testa. Forse, e sottolineo forse, avrei fatto meglio a seguire il consiglio dei miei genitori che mi ripetevano di scegliere una facoltà da professione sanitaria e non una da “lavoro impossibile”. Purtroppo quando si decide di intraprendere e seguire le proprie passioni la strada non è sempre facile perché la vita decide che è giusto metterti i bastoni tra le ruote, che devi sudare, rischiare, arrivare a perdere tutto e poi forse ti meriti di realizzarti. C’è qualche entità da qualche parte che sa sempre come fregarti e intralciare i tuoi piani. Mi dicevano di lottare, sempre, di non mollare e di tenere duro. L’ho fatto, ma non so come, io perdevo sempre. Non importa quanto impegna tu ci metta, se è no resta no e non puoi farci niente per cambiare. Ricordo ancora gli sguardi di disapprovazione dei miei genitori di fronte ai miei progetti dopo la scuola, i sospiri esasperati di mio padre di fronte alle mie “chiacchiere” raccontate a tavola. L’entusiasmo di mia sorella era una consolazione più che sufficiente per andare avanti e credere in me stessa. Mi bastava una sola persona che credesse in me, per darmi la giusta carica.
Apro la pagina di internet, cliccando su google e osservando lo schermo per qualche minuto non sapendo esattamente cosa scrivere, dove cercare e da dove iniziare. Provo tutte le possibili parole chiave che potrebbero portarmi a un’occupazione. Anche quelli dove richiedono esperienza, chissenefrega, so che non mi chiameranno mai. Invio curriculum con allegati speranze, sogni e autostima e chiudo il PC. Non ricordo nemmeno più quanti siti ho visitato, quante balle ho inventato e quanti miei pezzi mandati.
Mi accorgo solo dopo qualche secondo che il cellulare stesse squillando così lo afferro senza guardare chi sia e mi affretto a rispondere ringraziando tutti i santi per aver spinto qualche azienda a contattarmi.
«Pronto, si?» rispondo precipitosamente e quasi me ne pento.
«Ops, mi sa che hai preso un abbaglio…» la voce si affievolisce e sbuffo torturandomi l’orlo della maglia prima che la voce all’altro capo del telefono continui «… volevo solo sapere a che punto sei con la torta e quali decorazioni dovrei comprare esattamente.»
Alzo gli occhi al cielo gettando la testa all’indietro per poi portarmi una mano sulla fronte.
«Ellis sai benissimo che la torta è sempre stata il mio regalo di compleanno per Nicole, perché ti ostini a ripetere le stesse cose ogni anno?» ormai la bambina ha sette anni, una ad un certo punto dovrebbe capirlo.
«Perché sappiamo entrambe che quest’anno è diverso.» il suo tono si fa colpevole e rammaricato. E siamo alle solite, crede che non possa permettermi di pagare anche la torta – cosa che effettivamente è così – e quindi accorre subito in mio aiuto. Anche se non ho nemmeno uno spillo e pago a stento le bollette, non mi va di interrompere la nostra “tradizione” e deludere mia nipote. Voglio che mi ricordi come la zia che le regalava torte favolose per il suo compleanno e che, di anno in anno, aggiunga nuove foto al suo album con le sue piccole sculture.
Mi sfrego gli occhi stringendo il cellulare tra le dita. «Non preoccuparti, ce la faccio. Fuori dalle chiese le persone sono molto generose, ci guadagno fior di quattrini!» con l’ironia non si sbaglia mai.
«Ma che ti dice il cervello? Fai la mendicante adesso?!» i suoi decibel hanno raggiunto decisamente livelli inauditi. Sì, vivo in un monolocale. Sì, sono senza lavoro. Sì, il mio conto è in rosso. Sì, lavoro solo nei week-end, ma sicuramente non faccio la mendicante e a quanto pare la mia sorellina non ha afferrato il mio gioco.
«Vorrei sapere da quando credi a queste idiozie, non ti facevo così ingenua. Hai messo in pausa i neuroni?» scoppio a ridere come una bambina che ha appena visto il suo amichetto cadere.
«Per piacere Aleda, smettila di fare la bambina e cresci un po’. Non mi va per niente di scherzare specie su questo genere di cose e specie sulla tua situazione e sappiamo entrambe che non sto parlando solo di lavoro» e ci risiamo con la solita ramanzina. Reprimo l’impulso di riattaccarle il telefono in faccia e mi sforzo di essere gentile e comprensiva. Le voglio bene sì, ma non sopporto che mi faccia la predica ogni volta che ci parliamo. A volte è addirittura peggiore di nostra madre.
Così non rispondo, me ne sto in silenzio nella speranza che capisca e non mi costringa a rispondere ma il buon Dio non sempre accoglie le nostre preghiere «perché non fai una cosa? Lascia quella casa sudicia e vieni e a strare da noi per qualche tempo. Ai bambini piace averti qui e a Tomas non dispiacerà. In fin dei conti siamo sempre fuori per lavoro e una baby-sitter potrebbe farci comoda!» esclama con un po’ troppa enfasi nella voce, ed ecco Ellis versione fata turchina. Non mi ci vedo proprio a trent’anni tornare a vivere a casa dei miei, peggio ancora a casa di mia sorella minore. A quel punto fare la mendicante non sarebbe una cattiva idea. E’ che proprio non capisco il perché tutti si sentono in dovere di aiutarmi, forse mi vedono come una povera principessa in balìa del drago della disoccupazione e quindi montano in sella al loro lavoro a tempo indeterminato e decidono di  accorrere in mio aiuto.
«Ma Ellis porca p…!»
«Aleda!!»
«Paletta, stavo per dire paletta!» mia sorella non sopporta le parolacce, dice che rendono le donne delle scaricatrici di porto e poi non vuole che i suoi figli ne sentano una.
«Okay, come non detto. Mi ritiro dalle scene, ma sappi che se avessi bisogno di qualcosa, sai chi chiamare.» e riattacca non lasciandoti il tempo di replicare. Mi prendo a calci nel sedere mentalmente e mi crogiolo sul divano guardando la macchia di muffa che padroneggia sul soffitto. Dovrei proprio chiamare l’imbianchino, chiedergli almeno un preventivo e valutare se è il caso di affrontare ancora un’altra spesa.
Da quando Ben è andato via di casa, tutti i lavori manuali, i classici catalogati “da uomo”, sono rimasti incompiuti. Il tubo del bagno che perde, l’interruttore della camera che non va, le ante della cucina che pendono. A volte ne sento la mancanza, ma solo per la sua innata passione per il fai-da-te e il suo modo di tenere tutto riparato, ma forse se ne era in grado lui, posso benissimo farcela da sola. Alla fine sono una donna con le stesse capacità di uomo, forse un po’ meno forzuta ma non meno intelligente. Che poi questi uomini credono che noi donne siamo portare solo per la cucina, la casa e la cura dei bambini. Non si sono mai schiodati dal medioevo e se anche ci sbattessero il muso contro, ne attribuirebbero la riuscita ad un colpo di fortuna. Stupidi maschilisti, ti fanno sentire così incapace di fare qualcosa che alla fine ci credi anche tu e ti convinci che non ne sei in grado, innescando una sorta di dipendenza nel tuo cervello da “braccia muscolose e forti”.
Lancio una rapita occhiata all’orologio e mi accorgo che sono le cinque passate e che è Sabato. Vado di corsa ad indossare la mia divisa da lavoro e mi precipito giù per la scale, salutando frettolosamente la vicina che puntualmente spunta per vedere chi viene e chi va, e raggiungo la mia piccola e bellissima Smart gialla. Ho sempre amato questa macchina, è piccola e confortevole, ha il cambio automatico, e si infila dappertutto. Insomma ho risolto alla radice il “problema parcheggio.” Mi dirigo verso il luogo di lavoro pregando che il mio datore non faccia storie per l’ennesimo ritardo e giuro che se stavolta mi dice ancora che ho la testa tra le nuvole, lo investo. Parcheggio di fronte all’entrata e mi precipito dentro, dove il calore del forno mi invada e l’odore di patatine fritte mi violenta le narici e stranamente non c’è ombra di John. Lo stomaco brontola di già e mi ritrovo ad odiarmi per aver accettato questo lavoro. Una perenne affamata come me, dovrebbe tenersi lontana da lavori come questo, ma la pizzeria e il servizio camerieri necessitavano di me come il mio portafogli necessitava di questo guadagno, il tutto combinato in una strana equazione. Non avrei potuto rifiutare e mentre mi accingo a preparare i tavoli per il servizio serale, mi accorgo di quanto sono diventata noiosa. Non faccio altro che pensare ai miei problemi economici, alla mia vita amorosa fallimentare e ai curriculum che ogni notte sogno mentre mi sbeffeggiano e si prendono gioco di me. Dispongo un’intera tavolata composta da circa tredici persone, immagino sia l’ennesimo compleanno di bimbi chiassosi, disordinati e maleducati che si lanciano contro la roba da mangiare, fanno cascare i bicchieri e rovesciare la Cola sulla tovaglia. Mi chiedo se ci sarà anche Tiffany, la mia migliore amica che si occupa di animazione ai compleanni. Lei si che ha avuto una botta di culo, ha lasciato il lavoro d’ufficio per inseguire «i sorrisi dei bambini». Certo, ci vuole fegato e lei ne ha avuto. Non come me, una piagnona cagasotto.
Alle 20:30 circa, la sala si riempie e decido di legare i capelli in una treccia composta scartando sia lo chignon che la coda, mi fanno sembrare una spacciatrice di ghetto abbinati alla mia pelle troppo chiara.  Il tavolo da tredici è ancora vuoto e l’impazienza di concludere il servizio mi rende nervosa.
Servo le famiglie, le coppiette di anziani e quelle più fresche. Mi hanno sempre intenerito queste giovani coppie di ragazzi che ai loro primi appuntamenti si tengono per mano, ridono, scherzano, si imbarazzano e hanno sempre un sacco di cose da dirsi, perché sono alle prime armi e sono smaniosi di conoscere le passioni e i desideri di chi hanno di fronte. Poi ci sono quelle che non hanno nulla da dirsi, che se ne stanno col cellulare in mano a scorrere la home di qualche social network o a chattare con amici vari. Mi sono sempre chiesta perché escono fuori a cena se non hanno nulla da dirsi. Per abitudine? Forse perché si sentono in dovere di farlo? Alcune persone dovrebbero capire che se non c’è più dialogo è finita. Pace, amen. Mettetevi il cuore in pace e cercatevi qualcuno che vi sproni. Dulcis in fundo, ci sono quelle coppie di anziani. Lenti e impacciati che si siedono ai tavoli visibilmente agitati e non abituati a frequentare posti del genere, lontano dall’accogliente e rassicurante salotto di casa. E’ bello vedere come si prendono cura l’un l’altro, come accarezzano quelle mani segnate dal tempo e dalla fatica di tanti anni di duro lavoro. Ogni volta che se ne presenta una, mi abbiocco per alcuni minuti chiedendomi se mai succederà anche a me e se avrò qualcuno al mio fianco per sempre.
Il servizio serale prosegue a ritmo abbastanza frenetico e ogni volta che attraverso la sala cerco di evitare il bambino che più volte mi ha colpito i vestiti con la sua spada-patatina unta di Ketchup e mi accorgo che solo alle ventidue in punto i tredici si degnano di occupare il tavolo 8.
Sono sempre dei bambini, con l’unica differenza che sono cresciuti nel fisico. Le loro vocioni hanno riempito la sala e si accomodano al tavolo come una mandria di bufali, chiassosi e maldestri, trascinando le sedie e colpendo più volte il tavolo con le mani che somigliano più a delle pale. Non ci metto molto a capire di cosa stanno parlando: Fantacalcio. Parlano di aste, si litigano giocatori dai nomi impronunciabili e si esaltano per la prima partita che – a detta loro – comincerà tra qualche settimana e non possono assolutamente perdersela. Gli uomini sono così bambini!
Vorrei tanto evitarli, ma gli altri due camerieri sono troppo impegnati, così mi distendo il grembiule con le mani, rimetto un ciuffo ribelle al suo posto e mi armo del mio miglior sorriso, raggiungendo il tavolo, camminando fiera come se dopo tanta lotta dovessi affrontare la platea raggiungendo il patibolo dove sono comunque condannata.
Mi schiarisco la voce un paio di volte, ma nessuno fa caso a me. Allora mi decido ad urlare:
«Buonasera! Volete ordinare!?»
Tutti si voltano ammutoliti, mi guardano per qualche secondo e poi scoppiano a ridere.
Li guardo incredula, ignara dell’umiliazione imminente e della mia solita sfiga.
 


Angolo Autrice:
Ed eccomi qui con questo azzardo di fan-fiction di "vita vera". Era da tempo un abbozzo sul mio desktop e ho deciso di pubblicarla perché nella vita bisogna "buttarsi" e non lasciare nulla di intentato.
In questo primo capitolo conosciamo un po' meglio la protagonista e scopriamo alcuni (minuziosi) aspetti della sua vita.
Se siete arrivati fin qui nella lettura vi ringrazio e spero di ritrovarvi anche nel prossimo capitolo.
Alcuni personaggi sono ispirati a persone che realmente fanno parte della mia vita, altri sono totalmente inventati.
Grazie mille ancora.

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Capitolo 3
*** Calcio:Uomini = Shopping:Donne ***


Non so esattamente per quanto tempo i bambinoni si sganasciano dalle risate.
Non riesco proprio a capire quale sia il motivo di tanta ilarità. Ormai scocciata e spazientita decido di mettere fine al teatrino.
«Per caso vi faccio ridere?» sibilo a denti stretti guardando tutti uno per uno. Si decidono a ritornare seri a fatica e riprendono i menù esaminandoli come veri esperti. Illusi.
Il primo a parlare è un ragazzo dai grandi occhi blu che si affretta a precisare subito che vogliono tante birre, almeno due a testa e si accerta con grande premura che siano fredde al punto giusto.
Ognuno fa la sua ordinazione ed io sono felice di potermi congedare e subito ricominciano a parlare di calcio.
Gli uomini sono dei bambini. Gli uomini sono dei bambini. Gli uomini sono dei bambini.
Lo ripeto come un mantra mentre impilo l’ordine tra gli altri e raggiungo i miei colleghi.
Appena mi vedono ridono anche loro e la mia pazienza raggiunge il livello minimo consentito.
«Si può sapere cosa avete tutti da ridere?» sbotto portando le mani sui fianchi.
«Vedi tesoro…» interviene Lucas avvicinandosi con un fazzolettino e pulendomi qualcosa tra l’occhio e la tempia «Il fatto è che il ketchup non è ancora stato collaudato come eye-liner. E poi…» ridacchia dandomi delle gomitate sulle costole «la patatina non ce l’hai mica lì.» Mi dice poi facendomi l’occhiolino e allontanandosi in cucina. Lui lo adoro, è un amico davvero sincero e molto pungente e non ha peli sulla lingua. Di giorno fa il truccatore e di sera il cameriere. E’ gay dichiarato e non ha paura ad ostentare la sua omosessualità.
«Potevi anche dirmelo prima!» dico rivolgendomi a Jennifer che mi guarda scuotendo la testa.
«Che colpa ne ho io se tu sei così maledettamente distratta? E poi… ti è capitato un bel tavolo, non lamentarti!» Jenny è la classica donna sposata che non si sottrae nel fare apprezzamenti ad altri uomini. E’ paffuta, bassina e ha sempre i capelli legati in una coda alta. Lo fa sempre, ma alla fine non tradirebbe mai suo marito, si amano troppo per poter star lontani.
«Miss ketchup!» una voce si eleva dal tavolo 8 e so esattamente chi è il destinatario di quell’esclamazione.
«Ricordami perché l’omicidio è illegale.» dico più rivolta a me stessa che alla mia collega e controvoglia le mie gambe mi riportano alla mandria.
«Ha bisogno di qualcosa?» dico rivolta al simpaticone visibilmente divertito e per un attimo immagino a come reagirebbe se gli sferrassi un pugno in faccia. Vorrei vedere se riderebbe ancora senza un dente.
«Si, portaci altre quattro birre e se vuoi aggiungi una sedia e cena con noi.»
«Preferirei essere rinchiusa nel forno.» affermo tirandomela più del dovuto e mi affretto a concludere quel servizio infernale.
Alle due del mattino circa, ritorno nel mio accogliente - quanto familiare - appartamento, grata di essere tornata a casa e di essere riuscita ad evitare più volte di commettere gesti che, invece, mi avrebbero portata alla galera.
Getto le scarpe in un angolo a caso e stramazzo sul letto, esausta. Nelle orecchie ancora le voci dei bamboccioni che mi chiedevano che squadra tifassi, quali tra due giocatori sceglierei e se volessi “scolarmi una birra con loro”.
Mi rannicchio nella mia parte di letto, lasciando intatta l’altra metà. Il letto matrimoniale non fa più per me o almeno non questo. Racchiude troppe discussioni, troppe delusioni, troppi ricordi dolorosi, belli o brutti che siano. Infilo la mano sotto il cuscino e controllo che quella “fotografia” sia ancora lì. Chiudo gli occhi accarezzandola appena con due dita e scivolo in un sonno profondo.
 
Gli esseri umani hanno bisogni e desideri differenti e mi sembra una cosa più che sensata. Insomma, c’è un sacco di gente su questo pianeta e non possiamo volere tutti una sola cosa.
Però almeno una ci accomuna tutti, indiscutibilmente: il risveglio la mattina. Vogliamo restare a letto tutta la mattinata, risvegliandoci molto lentamente e con i tempi giusti. E’ una cosa normale, ma non per chi – come me – ha una sorella in possesso delle chiavi di casa propria.
Si precipita in casa urlando, spalancando finestre e imprecando. Apro un solo occhio e sbircio la sveglia: 8:00. Mi convinco che è solo un sogno e che non sta accadendo realmente, così richiudo l’occhio e sistemo la testa sul cuscino.
«Oh ma non ci senti?» l’incubo è in piedi accanto al mio letto e mi sta scuotendo.
«Scusa, ma hai visto che ore sono? Tu devi essere completamente impazzita.» bofonchio rigirandomi dall’altra parte. Silenzio. Prego che finalmente se ne vada e invece mi afferra per le caviglie trascinandomi sul pavimento, costringendomi ad aprire gli occhi.
«Merda!» impreco rimettendomi in piedi e guardando il mio riflesso allo specchio.
Sono spaventosa, ho degli aloni neri intorno agli occhi, la maggior parte dei capelli è sfuggita alla treccia e le borse sotto gli occhi sono più simili a delle valige. Per un breve istante mi chiedo perché anch’io non mi “desti dal mio sonno” come le principesse Disney. Grazie Walt Disney per aver creato un esercito di illuse.
«Stai dormendo in piedi?» mia sorella mi riporta alla realtà piazzandosi tra me e il mio riflesso.
Le lancio un’occhiataccia e mi dirigo in bagno per ripulirmi il viso mentre la sento trafficare con la Moka. Almeno ha capito che ho bisogno di un caffè.
Mi trascino in cucina piazzandomi su una sedia e rannicchio le gambe al torace, osservandola in silenzio. Sa perfettamente che di prima mattina detesto parlare e soprattutto ascoltare il suo continuo blaterale, ma fingo di starla a sentire annuendo di tanto in tanto e cogliendo strascichi di quel monologo infinito.
«E come ti dicevo, abbiamo bisogno di pizzette, digestivi fatti in casa, biscotti, ciambelle, pizze salate, rustici… insomma un vero e proprio buffet. Ci saranno tutte le sue amichette e qualche genitore» dice porgendomi la tazza prima di proseguire «alcuni sono davvero altezzosi e superficiali, perciò voglio fare bella figura e metterli nell’ombra per un po’.»
Annuisco ancora con convinzione come se la cosa mi importasse realmente e sorseggio il mio caffè stringendo tra le mani la tazza, faccio roteare il liquido al suo interno ripensando al tavolo 8.
Distrattamente avevo notato un ragazzo seduto a capotavola con un sorriso meraviglioso, i denti perfettamente dritti e con i canini un tantino più lunghi rispetto agli altri e molto affilati. Era quel genere di sorriso che coinvolge anche gli occhi e sorrido pensando che tra tutto, mi ero soffermata a guardargli i denti.
«Ma mi stai ascoltando?» mia sorella mi scuote per attirare la mia attenzione su di se.
«Certo che ti sto ascoltando, ho per caso altre alternative?» inarco un sopracciglio finendo il mio caffè e posando la tazza sul tavolo, continuo «perché quest’irruzione in casa mia di PRIMA MATTINA?» calco il tono di voce sulle ultime due parole.
Mi guarda visibilmente spazientita e per un secondo mi chiedo se sono io la scema.
«Che giorno è oggi?» mette le mani sui fianchi battendo un piede per terra.
«E’ domenica!» ribatto convinta per averla fregata.
«E?...» fa lei con quell’aria da saputella.
«E di solito a quest’ora io sto ancora dormendo!» dico imitandola nei gesti e nei modi.
«E domani è il compleanno di tua nipote, genio! Quando hai intenzione di finire la torta? Martedì?»
Faccio un rapido ripasso dei giorni e vorrei sprofondare. Lancio un’occhiata al calendario e mi rendo conto che è ancora fermo su Luglio e non aggiornato ad Agosto. Maledetta testa bacata. Impreco mentalmente assumendo un’aria colpevole e facendo gli occhi dolci a mia sorella. L’espressione angelica maschera l’inferno che ho nel cervello.
«Questo succede perché sei la solita distratta disordinata.» continua Ellis con la sua aria da maestrina. Ho sempre sostenuto che sarebbe stata perfetta come insegnante, ma lei ha sempre dichiarato di non avere pazienza con i bambini, che non le piacciono a meno che non si tratta dei suoi figli.
«Giuro che oggi stesso mi metto all’opera. La maggior parte delle statuette sono completate, mi manca solo la base, i fiori, gli alberelli e qualche animaletto.» affermo convinta di quanto appena detto.
La mattinata continua con me e mia sorella che ci dilettiamo nella realizzazione dei dettagli mancanti della torta. Le do delle dritte semplici, visto la sua totale incapacità con la pasta di zucchero ed io mi concentro sugli aspetti più complicati dove ci vuole un lavoro di precisione e accuratezza. A mezzogiorno abbiamo finito tutto e ogni spazio libero delle superfici circostanti è ricoperto di fiori di pasta di zucchero.
«Secondo me abbiamo un tantino esagerato. O meglio hai. Non ti sembra troppo regalare anche dei pacchetti con i fiori in cima? Non è mica un ricevimento!»
Ellis sbuffa sistemando accuratamente le “sue” creazioni. «Ti dico di no, è perfetto. Vieni a pranzo da noi?» l’espressione raggiante.
«No grazie, ho un appuntamento con Tiffany tra mezz’ora. Pranziamo in un centro commerciale.»
«Come vuoi» replica soddisfatta guardandosi intorno «ci vediamo domani e scusa per l’invasione.» ovviamente il suo scusarsi è solo una formalità, so che non se ne pente affatto.
 
Tre quarti d’ora più tardi raggiungo la mia amica a casa sua e insieme ci dirigiamo al centro commerciale. Quando ci conoscemmo le chiesi il perché i suoi le avevano dato proprio quel nome. Insomma, sappiamo tutti che “Tiffany” è la nota gioielleria che tutte le donne amano e lei mi spiegò che fu proprio nella gioielleria Parigina che suo padre chiese a sua madre di sposarlo tra gli applausi e i fischi dei presenti. E in quello stesso istante lei le disse di si e gli annunciò di essere incinta. Ho sempre pensato che fosse una delle storie più romantiche del mondo e – inevitabilmente – mi sono sempre chiesta se un giorno dovesse ricapitarmi di ricevere una proposta del genere se sarà cosi. Durante il viaggio in macchina, non c’è mai stato un minuto di silenzio e siamo saltate da un argomento all’altro come se nulla fosse. Superate le domande di circostanza, le racconto dell’accaduto di ieri sera e di come mi fossi sorpresa che gli unici argomenti di conversazione del tavolo 8 furono il calcio e i motori.
Lei scoppia in una risata che sovrasta la musica.
«Tesoro, il calcio sta agli uomini come lo shopping sta alle donne. Non ti saresti sorpresa se a quel tavolo ci fossero tredici donne e discutessero di borse, abiti, trucchi, rossetti e scarpe. No?»
Mi acciglio guardando la strada davanti a me «Mmmh presumo di no.»
«Non ci sei abituata perché l’unico uomo con il quale sei stata odiava il calcio e i motori. Era un appassionato di bricolage, fai-da-te, bici. Ovviamente una categoria di uomo totalmente distinta. Ma a ognuno il suo.» Ed ha ragione. I dieci anni passati con Ben erano fatti di escursioni, di ambientalisti, di visite ai più improbabili negozi dedicati al bricolage, di seminari con gli animalisti e chi più ne ha più ne metta. Tutti non facevano altro che dirmi quanto fosse noioso, quanto poco appropriato fosse per me, ma lo amavo davvero e non facevo altro che ripetere che mio marito dovesse piacere a me e non a loro. Nonostante tutto quello che era accaduto, non avevo rimpianto un singolo giorno passato con lui, lo avevo voluto fortemente, lo avevo amato con tutta me stessa. Con lui correvo veloce, finché al primo ostacolo non aveva lasciato la mia mano e mi ero schiantata da sola contro quel muro.
Sospiro ritornando alla macchina rendendomi conto, solo in quel momento, che ci siamo fermate nel parcheggio e che Tiffany mi sta guardando.
«Mi dispiace, non avrei dovuto parlare di lui. So che non appena lo fanno ti tornano in mente tante cose. Soprattutto quella cosa. Sono stata sciocca.» dice afferrandomi la mano e stringendola nella sua.
Le sorrido rassicurante. «Non preoccuparti è tutto okay, le ferite si stanno rimarginando. E’ normale che brucino, fanno parte del processo di guarigione. Ma non pensiamoci più e godiamoci questo sano pomeriggio di shopping!» esclamo precipitandomi fuori dall’abitacolo mettendo un punto definitivo all’argomento intenzionata a non ritornarci più.
 
 

Angolo Autrice:
Scusate il ritardo per la pubblicazione del nuovo capitolo, sono stati giorni intensi e ho avuto molto poco tempo per scrivere.
Nel nuovo capitolo ci sono delle rivelazioni (quasi) importanti sul passato della protagonista e l'introduzione di quello che avverrà nei prossimi capitoli.
Ringrazio chi ha speso del tempo per leggere e soprattutto chi ha recensito:
- Lohel

Alla prossima!

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