She. The Doom di _Joanna_ (/viewuser.php?uid=539983)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** The Little Trout ***
Capitolo 2: *** Point of no return ***
Capitolo 1 *** The Little Trout ***
The Little Trout
Le parole di Petyr continuavano a ronzarle nella testa.
“È l’unico modo” aveva detto “Solo così potremo stare insieme, di nuovo”. Poi il sorriso, il suo sorriso speciale che riservava solo a lei, il sorriso che tanto amava e che lo definiva interamente, si era allargato sul suo viso, suggellando la sua promessa. Petyr non le aveva mai mentito e mai lo avrebbe fatto. Loro sarebbero stati insieme di nuovo, questa volta per sempre. Suo padre, lord Hoster, non aveva più potere su di lei, non avrebbe più deciso del suo destino.
Ricordava ancora il giorno in cui suo padre aveva concesso la sua mano e quella di sua sorella a due forestieri. Catelyn aveva sempre avuto tutto: era la primogenita, più bella di Lysa, più fortunata, promessa prima all’aitante Brandon Stark e poi all’altrettanto affascinate fratello minore, Eddard, con cui aveva avuto cinque forti bambini. Lysa invece era stata venduta a un vecchio vedovo, era stata relegata in quella città ostile, dimenticata insieme al suo fragile figlio, i cui unici fratelli erano aborti e bambini nati morti. Era stato suo padre a strapparle la felicità, allontanando l’uomo che amava, portandole via il frutto della loro passione. Si accarezzò il ventre, pensando a quel giorno.
Petyr aveva appena sfidato a duello Brandon Stark: aveva chiesto a Catelyn di dargli un suo pegno da portare nel combattimento, ma sua sorella aveva rifiutato, concedendo l’onore al suo promesso sposo. Petyr era così giovane, minuto, uno spadaccino modesto, armato solo della propria fierezza; il giovane Stark aveva più anni di lui, ed era più alto, più muscoloso, e mortalmente più abile, persino lei se n’era resa conto. Lo scontro era durato meno di un battito del cuore. Lysa aveva chiuso gli occhi e quando aveva udito il grido di dolore di Petyr li aveva riaperti di scatto: il suo sciagurato cavaliere era disteso a terra, il petto squarciato, da cui zampillava una fontana di sangue. Nella sua sciocca ingenuità di ragazzina era stata convinta che sarebbe morto. Invece gli dèi erano stati misericordiosi, con lui non avevano ancora finito: Petyr era destinato alla grandezza e quel giorno che a tutti era parso la fine per quel giovane stolto, segnò invece l’inizio dell’impero di lord Petyr Baelish, maestro del conio e consigliere di Re Robert Baratheon.
Lord Hoster aveva vietato alle giovani Tully di fargli visita e Catelyn, da brava figlia obbediente, si era tenuta lontana dalle stanze del moribondo, ma Lysa no, aveva sfidato suo padre, le guardie, e…
Un discreto bussare sgretolò le mura della torre di Delta delle Acque, dissolvendo i volti dei vivi e dei morti. «Avanti» rispose, mentre allisciava le invisibili pieghe dell’abito, un gesto che si portava dietro dalla fanciullezza.
La porta si aprì e suo marito entrò, non senza una certa esitazione: non era sua abitudine fare visita alla moglie, nelle sue stanze private, a quell’ora. Erano anni che non condividevano più la camera da letto: talvolta Jon andava da lei, assolvendo ai proprio doveri, lei remissiva, lui ogni volta più fiacco e indolente. La maggior parte del giornate le passavano separati, lei in mezzo alle dame di corte, nei giardini o nei solarium, insieme a Robin, lui riunito nella Sala del Concilio o in compagnia del re. Le notti non erano molto diverse.
«Ho saputo che Robin ha avuto un altro attacco» disse Jon, rompendo il lungo silenzio. Il suo volto dai lineamenti troppo ordinari prese una piega distorta: la debolezza del figlio era causa sua, anche se lui faceva del suo meglio per scordarsene. Lord Arryn aveva cresciuto Eddard Stark e Robert Baratheon quali protetti, li aveva considerati come figli suoi, dal momento che le sue precedenti mogli non gliene avevano dati; solo Lysa era riuscita a generare un erede, che però aveva risentito della debolezza del padre. Ma questo Jon non era stato capace di accettarlo e al figlio continuava a preferire, beh chiunque, anche l’ultimo dei bastardi nato da una sguattera e da un lontano cugino dimenticato.
Lysa si limitò ad annuire. Suo figlio, il suo dolce bambino sarebbe diventato il lord della Valle un giorno, sarebbe diventato un forte e valente cavaliere e tutto questo sarebbe successo solo grazie a lei; non aveva bisogno di suo marito.
«Lysa» proseguì intanto lui «Ho parlato con Robert e con Stannis, loro, noi, crediamo che sarebbe meglio per il bambino essere dato in adozione a qualche lord, magari lord Tywin, Stannis stesso si è offerto di prender…»
«Io non venderò mai mio figlio come mio padre ha fatto con me!» tuonò Lysa. Che cosa pensava di fare quel vecchio imbecille? Robin era troppo piccolo, troppo fragile per stare da solo, suo figlio aveva bisogno di lei: solo lei, sua madre, poteva proteggerlo dai pericoli, tenerlo al sicuro, come poteva Jon essere tanto cieco?
«Lysa, ascoltami» insisté «Io stesso ho avuto dei protetti, gli dèi soli sanno quanto quel bambino abbia bisogno di staccarsi dalle gonne di sua madre, deve conoscere, deve crescere, fortificarsi, fare amicizia con i giovani figli dei lord. Guarda Robert ed Eddard, loro sono cresciuti insieme, hanno combattuto insieme, il loro legame si è formato quando avevano l’età di Robin e una volta adulti hanno conquistato un regno!».
Ne aveva abbastanza. Voleva portarle via suo figlio, il suo piccolo, adorato, bambino e nel contempo non faceva che parlare di quei due pazzi ribelli. Non avrebbe mai permesso che Robin facesse amicizia con qualche squilibrato visionario che un giorno avrebbe potuto trascinarlo in chissà quale folle impresa. No, Petyr aveva ragione, aveva sempre ragione, l’aveva avvertita che Jon stava complottando qualcosa. Si sentì una stupida per non avergli creduto subito.
Si alzò e andò accanto alla finestra, appoggiò le palme delle mani al davanzale e cominciò a piangere. Non voleva sembrare debole, non davanti a lui, ma sentì singhiozzi incontrollabili scuotere la sua intera persona. Percepì Jon alzarsi a sua volta e venirle accanto, tentando di prenderle una mano per confortarla, ma poi la ritrasse; non che Lysa desiderasse quel contatto.
«Sai che è la cosa giusta da fare» disse alla fine «Domani mattina andrò a dare la conferma a lord Stannis e darò disposizioni per la partenza di Robin. Ti consiglio di non riempire la testa di nostro figlio con le tue assurde convinzioni» ammonì, quindi si avviò verso la porta. Solo quando sentì la porta richiudersi, Lysa si lasciò andare completamente, permettendo alle lacrime di rigarle le guance, dando libero sfogo ai suoi lamenti disperati. Voleva portargli via suo figlio, la sua unica ragione di vita. Quel bavoso, arrogante, inutile vecchio voleva strapparle ogni cosa. Ma Lysa non glielo avrebbe permesso, mai.
Si asciugò con rabbia le lacrime, e varcò la soglia della sua camera. Le guardie l’osservarono perplesse, ma la lasciarono passare. Scese in fretta le scale della Torre del Primo Cavaliere e percorse a grandi falcate due dei cortili interni, diretta agli appartamenti privati di lord Baelish. Non si curò di quanto compromettente potesse sembrare la sua condotta, non era più il tempo di essere cauti.
Giunse davanti alla porta, sorvegliata da un armigero che Lysa come una furia svincolò, bussando con decisione. Petyr comparve sulla soglia dopo pochi istanti, con una sola delle sue rapaci occhiate comprese, fece un cenno alla guardia e la invitò ad entrare. Lui la conosceva meglio di chiunque altro, meglio di quanto lei non conoscesse sé stessa, infatti disse subito «Mia dolce Lysa, ti avevo avvertito sul conto di tuo marito». Aveva ragione, per un istante lo odiò per aver avuto ancora una volta ragione, ma la paura per suo figlio, la rabbia presero il sopravvento «Vuole strapparmi via mio figlio! Non posso permetterglielo, Petyr, tu…» l’illuminazione la investì «Tu sei nel concilio ristretto, tu puoi dissuaderlo, tu devi impedirglielo!» strillò.
«Lysa, abbassa la voce mia cara, è già stato imprudente presentarti qui, a quest’ora, non vogliamo che si sappia che sei qui, no?» l’ammonì lui bonariamente
«Non m’importa degli altri, non voglio più nascondermi, io, noi…» era di nuovo sull’orlo della lacrime, ma davanti a Petyr non aveva timore di dare sfogo alle sue emozioni: non c’erano segreti tra loro, non c’erano maschere da indossare.
«Lysa, Lysa… Mia irrequieta lady, ogni cosa a suo tempo» disse, con quel sorriso che le faceva battere forte il cuore «Non posso farlo, lo sai» dichiarò, ritornando al nocciolo della questione; Petyr era sempre stato astuto e pragmatico, qualità che lei per prima aveva intuito in lui, quando erano ancora due ragazzini a Delta delle Acque. «Tuo marito ha già parlato con il re e con Stannis, e temo che al nostro caro lord ammiraglio io non vada troppo a genio» fece una pausa, poi aggiunse «C’è un’unica soluzione, lo sai»
Ne avevano già parlato quella mattina, quando Petyr l’aveva presa da parte, mentre la corte si recava nella Sala del Trono per la quotidiana udienza pubblica.
“Tuo marito ha in mente qualcosa” l’aveva avvertita “Tuo figlio è l’erede della Valle, molti lord vorranno l’onore di accoglierlo nella propria casa”. Lysa si era limitata ad osservarlo, incredula, incapace di realizzare ciò che Petyr le stava dicendo. “C’è un unico modo” aveva continuato lui “Che cresca io tuo figlio e solo così potremo stare insieme, di nuovo” le aveva rivolto quel magico sorriso e poi se n’era andato, lasciandola come pietrificata. Non aveva ascoltato una sola parola di quei noiosi postulanti e per tutto il giorno non aveva pensato ad altro che a quello che Petyr le aveva riferito.
Ed ora erano lì, faccia a faccia, lui sogghignante e lei ripiombata nell’incubo di quando era una ragazzina, costretta a lasciare la sua casa e i suoi affetti, sola, circondata da cose e persone più grandi di lei. Ma ora non era più una sciocca fanciulla, era una donna, era una madre, la lady della Valle di Arryn, aveva il dovere di proteggere suo figlio. Accennò un timido sorriso al suo amato che ancora attendeva una risposta. Ciò che vide lo compiacque, le voltò le spalle, dirigendosi verso il piccolo scrittoio. Aprì un cassetto da cui estrasse una piccola fiala; il liquido trasparente che conteneva era inconfondibili: Lacrime di Lys.
«È la cosa giusta da fare, mia dolce Lysa, per tuo figlio… Per noi» le disse, porgendole la fiala. Lysa annuì di nuovo, questa volta con maggiore convinzione. La prese, nascondendo la piccola boccetta e il suo letale contenuto in una delle tasche delle ampie maniche del suo vestito. Gli occhi grigio verdi del suo uomo, perennemente in movimento, ora erano piantati nei suoi. Petyr le pose una mano sotto il mento sollevandole ancora di più la testa, suggellando quella frase con uno dei suoi baci, come tante volte avevano fatto da bambini. Lysa si sentì pervadere da un fuoco, la infiammò, risvegliando la sua parte più istintuale. Con la mano seguì la linea della schiena del suo amato, mentre con l’altra accarezzò il suo viso, il suo petto finché non scese, sempre di più, cominciando ad armeggiare con i lacci delle sue ricche vesti. Petyr non era un uomo comune: era raffinato, era bello, era intelligente, estremamente astuto. Ed era suo. Lui però si sciolse dal suo abbraccio, e quando Lysa accennò a una protesta, Petyr le pose un dito sulle sue labbra sottili «Non ora, mia dolce lady. Un giorno, quando saremo liberi di fare ciò che vogliamo, quando non dovremo più nasconderci come ladri» le promise, sorridendole con il suo sorriso unico, irresistibile. Lysa ricambiò, baciando un’ultima volta le sue morbide mani che fremevano dal desiderio di esplorare il suo corpo, come la prima volta. Presto sarebbero stati insieme, per sempre.
“È la cosa giusta” si ripetè un’ultima volta, prima di picchiare con decisione le nocche contro la porta. La voce di suo marito la invitò ad entrare.
«Mio lord» si annunciò. Jon parve sorpreso nel vederla, ma fu un lampo. La solita espressione austera si dipinse sul suo volto. “È più vecchio di mio padre” si ritrovò a constatare, come faceva ogni volta che il suo sguardo si posava su di lui.
«Ho ripensato a ciò che mi hai detto ieri» iniziò «Io… Io credo che tu abbia ragione» disse, tutto d’un fiato.
Jon la fissò per un istante, come se non avesse capito quello che lei gli aveva appena detto. Lysa stava per urlargli in faccia il proprio disprezzo, quando lui reagì alle sue parole.
«Molto bene» approvò «So che non è facile per te» aggiunse, mentre continuava ad annuire con decisione, perso in chissà quali intrighi.
«Devo ancora discutere alcuni dettagli» riprese, andando a posizionarsi davanti alla finestra, dandole le spalle «Robin non partirà prima di due settimane…» continuava a parlare, ma Lysa non lo ascoltava più. Fu un istante, quello che le occorse: con delicata naturalezza fece scivolare poche gocce del letale liquido nella coppa di vino di suo marito. Afferrò la brocca e ne versò una anche per sé, poi gli si avvicinò reggendole entrambe. «È dunque il caso di festeggiare» sentenziò, esibendo il suo più dolce sorriso. Jon ricambiò, accettando la coppa e brindarono alla nuova avventura del loro bambino. “Famiglia, dovere, onore” le parole, da troppo tempo mai pronunciate, le affiorarono alla mente, mentre osservava da oltre il bordo della coppa suo marito dissetarsi alla fonte dello Sconosciuto. “Famiglia, dovere, onore”: lo faceva per suo figlio, la sua unica famiglia; lo faceva per dovere, il dovere di una madre, l’onore, non c’era onore in questo. “L’onore è per gli stolti e per i morti” ricordò di avere udito una volta, tanto tempo prima. “È la cosa giusta” si ripetè. Non era mai stata più certa di qualcosa in vita sua.
Angolo Autrice
Allora lo so, lo so, questo capitolo è più che altro introduttivo e di Lysa non emerge molto, nulla che già non si sappia, anzi sembra quasi stranamente normale, eccezion fatta per un attaccamento vagamente morboso al caro lord Baelish… Ma non temete presto tutto avrà uno scopo.
Ovviamente vi aspetto numerosi nelle recensioni e nel prossimo capitolo che arriverà il prima possibile. A presto dunque,
Jo
---> Honor …
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Capitolo 2 *** Point of no return ***
2.2
Point of no return
«Ti ringrazio, maestro, so che
stai facendo tutto il possibile per il mio amato marito» disse Lysa, e con un
rapido gesto comunicò a Pycelle che era congedato. Si voltò nuovamente a
guardare il moribondo che giaceva sul grande letto a baldacchino. Ogni giorno
era sempre più debole, sempre più stanco. La vita lo stava abbandonando e
stranamente Lysa si sentiva impaurita. Era quello che aveva sempre voluto,
presto sarebbe stata libera, presto sarebbe stata con lui, eppure quella punta di timore che già da subito si era fatta
strada nel suo animo, ora era diventata cieco terrore.
Decise di tornare nelle
proprie stanze; era tempo di scrivere quella lettera.
Quando Jon aveva mostrato i primi segni
della malattia, Lysa aveva relegato suo figlio nelle proprie stanze, per
proteggerlo dal contagio: tutti dovevano credere che si trattasse di un male
sconosciuto e una buona madre non avrebbe mai esposto la sua fragile creatura
ai miasmi mefitici che si respiravano in quella camera, dove le imposte serrate
trattenevano i vapori di strane pozioni, gli umori malsani ammorbavano l’aria, e,
sopra tutto questo, aleggiava il lezzo pungente della morte: Jon Arryn stava
lasciando questo mondo.
Ma non era abbastanza, aveva
detto Petyr, era essenziale che i Lannister fossero accusati della morte del
Primo Cavaliere. Lysa non ne capiva la ragione: perché gettare ombre e
sospetti? Qualcuno avrebbe indagato, qualcuno avrebbe potuto scoprire la verità!
Ma Petyr le aveva assicurato che nessuno l’avrebbe mai ritenuta colpevole, non
se avesse scritto quella lettera, così perfetta, così innocentemente
realistica.
Prese pergamena e inchiostro.
Petyr aveva avuto ragione su Jon, aveva sempre avuto ragione su ogni cosa.
Questa volta non avrebbe fatto eccezione.
Mia amata Sorella
Intestò
Il mio adorato marito è spirato tra le mie
braccia, assassinato dalla mano avvelenata dei Lannister
No, non andava bene, se la
Regina avesse intercettato la lettera? Troppo rischioso, lei sarebbe stata
arrestata e il suo bambino… Non voleva pensarci. Stracciò il foglio e
ricominciò.
È passato così tanto tempo, ho portato il
cavallo Vermiglio in un luogo senza altri animali, dove non arriva neppure la
bestia dorata che nessuno può tenere a bada, neanche Jon è riuscito.
Si compiacque della propria
astuzia. A un occhio comune sarebbero sembrati nient’altro che scarabocchi
deliranti di una donna provata, ma sapeva che Catelyn avrebbe capito.
Il luogo senza animali era
come da bambine chiamavano il Nido dell’Aquila, perché è talmente in alto che
soltanto gli uomini e le aquile ne hanno fatto la propria la dimora. Quanto si
erano divertite con quel gioco sciocco! Lei, Petyr e Catelyn si arrampicavano
sul più alto albero del Parco degli Dèi e, a turno, impersonavano l’algido signore
delle aquile: chi raggiungeva la cima per primo aveva diritto a chiedere
qualsiasi cosa al signore, anche a prenderne il posto, perché la Valle non era
mai stata espugnata; ma quando Petyr vinceva, e quasi sempre vinceva lui,
chiedeva ogni volta una e una sola cosa: un bacio.
Vermiglio invece, era il più
minuto dei cavalli delle stalle del lord loro padre, più simile a un pony in
effetti, chiamato così perché era interamente bianco a parte una voglia
vermiglio sulla groppa.
Ricordò che alcune servette dicevano
che in quel punto lady Bethany aveva sanguinato per la prima volta, scherzando
che, alla fine, Delta della Acque si era presa la verginità della promessa
sposa di ser Brynden. E proprio da quel cavallo, Catelyn aveva preso il
soprannome per Robin quando l’aveva visto per la prima volta: una cosina piccola
piccola, tutta rosea, con una piccola voglia rossa sulla pancia.
La bestia dorata invece era
come lord Hoster definiva lord Tywin.
Ripensò a come, da bambine, lei e sua
sorella giocavano a scambiarsi messaggi segreti, che solo loro potevano
comprendere, dai pettegolezzi sulla servitù, alle grande avventure che
inventavano insieme a Petyr, dove le alleanze tra i signori del drago erano
sempre minate da inganni e intrighi di corte e le loro vite dipendevano da quei
messaggi criptati.
Sorrise al ricordo di quei giorni felici e
spensierati, dove tutto era un gioco e finzione. Adesso, invece, era tutto
maledettamente vero, e uno sbaglio poteva valere davvero la loro testa.
Sigillò la lettera e la ripose
nel suo piccolo porta gioie. Sarebbe stato più prudente inviarla una volta
raggiunta la Valle.
Improvvisamente le pareti
della stanza si erano fatte opprimenti, ma non osava lasciarle. Fuori c’era la
morte, c’era il pericolo.
Voleva andare da suo figlio,
ma non voleva turbarlo con le sue paure; Robin era straordinariamente
intelligente, riusciva a comprendere subito il suo stato d’animo, prima ancora
che lei proferisse parola, e subito dopo iniziava a tremare. No, non era il
caso, prima doveva calmarsi.
Voleva andare da Petyr, ma lui
le aveva detto che sarebbe stato meglio non farsi vedere insieme, almeno per il
momento.
Fu assalita da un nuovo attacco di panico: non poteva farcela, non era quello il suo mondo. E presto non ci
sarebbe più stato Jon a proteggerla. Che cosa aveva fatto? “Stupida, Jon non è
più in grado di proteggere chiunque da molto tempo” si disse.
Si alzò, cominciando a passeggiare
su e giù per la camera che ad ogni passo diventata più piccola, più soffocante.
“Sta calma, Lysa” si disse “Petyr ti ama, sa quello che è meglio per te”. Era
vero, Petyr l’amava, l’aveva sempre amata.
Ricordò quella notte.
Lord Hoster le aveva proibito
di far visita a Petyr, ma lei aveva disubbidito. Si era infilata un vecchio
abito, di un azzurro cupo che alla tremolante luce delle torce appariva grigio.
Con un leggero velo sulla testa, il capo chino e un piatto di calda zuppa presa
dalle cucine, era passata davanti alle guardie pressoché inosservata. Lo
stupore di Petyr nel vederla era stato totale. Catelyn, la fanciulla per la
quale si era battuto, per la quale aveva perso tutto, non si era fatta vedere,
ma Lysa era lì, invece. Ricordava ancora le parole cariche di amore che gli
aveva rivolto, e Petyr le aveva sorriso, per la prima volta con quel suo
sorriso speciale, che l’aveva fatta sentire nuda, deliziosamente vulnerabile. Lui
era ancora provato dalla convalescenza, aveva bisogno di rimettersi in forze,
eppure non aveva neanche guardato il piatto fumante, perché l’unico
ricostituente di cui aveva bisogno era proprio lei. Con lentezza esasperante le
aveva slacciato il vestito, poi si era liberato delle sue malconce brache ed
erano rimasti così, nudi, a contemplare l’uno il corpo dell’altra per un tempo
che le era parso infinito. Poi Petyr l’aveva presa tra le braccia,
sussurrandole all’orecchio se ne fosse sicura, e lei aveva annuito con
decisione: non avrebbe voluto trovarsi in nessun altro luogo. Lui aveva
sorriso, aveva appoggiato il suo petto sui suoi già ben formati seni e aveva
colto il suo fiore. Non aveva mai provato niente di simile. Prima una stilettata
di dolore le aveva trafitto il ventre, ma si era trattato di un momento, un
dolcissimo istante che preludeva a quello che ci sarebbe stato dopo, che ne
esaltava il piacere. Lui era esperto, sapeva cosa toccare e come toccarlo; le
aveva accarezzato i capezzoli, li aveva succhiati, l’aveva baciata ovunque, la
bocca, il collo, il ventre, in mezzo alle cosce e lì, anche se il sangue aveva
lasciato dita purpuree sulla sua candida pelle, macchiando le lenzuola. Non
avrebbe mai immaginato che il suo corpo potesse celare così tanti piaceri. Era
stata una notte magica, anche se poi Petyr aveva sussurrato il nome di sua
sorella. Lui il giorno dopo si era scusato, dicendo che l’unica cosa che ricordava
di quella notte non erano gli appellativi bisbigliati, ma lei, Lysa. E tanto le
era bastato per credergli, in fondo era lei che Petyr aveva posseduto, lei e non Catelyn. Che la sua sorellina
si tenesse pure quel suo lupo del Nord e divenisse la signora delle nevi e dei
ghiacci; Lysa avrebbe avuto il sole, il verde della natura e il tepore del sud,
ma, soprattutto, avrebbe avuto Petyr tutto per sé.
A quella visita ne erano
seguite altre, e, man mano che Petyr ritrovava le forze, la sua passione
diveniva sempre più travolgente. Una notte, mentre gli accarezzava la cicatrice
che gli solcava il petto, Lysa aveva espresso il desiderio di restare chiusi lì
dentro per sempre. Erano giorni che Petyr si era completamente rimesso, ma lui
fingeva ancora di essere troppo debole per mettersi in viaggio. Fingeva per
rimanere, fingeva per lei. Lysa aveva condiviso con lui i suoi sogni quella
notte e lui le aveva sorriso, credendo per un istante che quelle fantasie
potessero diventare realtà; avevano persino escogitato un piano che permettesse
loro di stare insieme per sempre. Ma il mattino dopo lord Hoster in persona
aveva fatto visita al suo ex protetto, e aveva scoperto l’inganno. Le visite
notturne erano cessate e una settimana dopo Petyr aveva lasciato le alte mura
di Delta delle Acque per non farvi più ritorno.
E poi, un ciclo di luna dopo, Lysa aveva
scoperto di essere incinta del suo dolce Petyr. Avrebbe voluto mantenere il
segreto, ma in un castello niente può rimanere celato a lungo. Una serva
chiacchierona, una cuoca attenta, o Catelyn stessa, e il suo segreto aveva
raggiunto le orecchie del lord suo padre. A nulla erano valse le lacrime, le
suppliche, le minacce, lord Hoster era stato irremovibile: Lysa avrebbe dovuto
sbarazzarsi dell’incomodo. E così era stato, e mentre lei rimaneva chiusa nelle
sue stanze, tra dolori infernali, il Signore dei fiumi si adoperava per
procacciare alla figlia un marito non troppo schizzinoso, o qualche lord minore
più ambizioso che orgoglioso.
Ma avrebbero pagato, avrebbero
pagato tutti: suo padre, sua sorella e chiunque si fosse frapposto tra lei e il
suo amato.
Un timido bussare alla porta la richiamò
alla realtà, seguito dalla flebile voce del Gran Maestro. Lo invitò ad entrare
e attese per un minuto buono che l’anziano sapiente si riprendesse dall’arrampicata
fino ai suoi appartamenti.
«Mia lady» disse finalmente «Il
Primo Cavaliere, lord Arryn» si schiarì la voce, mentre Lysa si era protesa
verso di lui, pendendo letteralmente dalle labbra tremolanti del maestro «Il
lord tuo marito, mi dispiace, lui non è più» annunciò con un filo di voce;
sembrava sinceramente rattristato, o forse era dovuto solo alla sua espressione
perennemente sofferente. Tutti i dubbi e le paure di Lysa svanirono all’istante,
mentre ripeteva mentalmente le parole che aveva appena udito “Non è più, Jon è
andato, è morto, MORTO!”. Il suo cuore esultava, ma il suo volto era l'autentica immagine della vedova in lutto. Una perfetta lacrima le scivolò sulla guancia
liscia. Era un’attrice anche lei, aveva imparato dal maestro assoluto e aveva
fatto pratica in quel covo di guitti ben vestiti.
«Vorrei stare un po’ da sola,
maestro» Pycelle annuì e lentamente lasciò la stanza. Quando fu sicura di
essere sola, una risata liberatoria le sfuggì tra le labbra, cominciò a
piangere, a ridere, a urlare, le mani tremavano, le gambe cedettero; si lasciò
andare contro il muro, fino a sedersi sul pavimento. Era felice, era libera,
era dannatamente euforica: aveva fatto tutto lei, proprio lei, la fragile
ragazzina che tutti avevano sempre sottovalutato, la seconda figlia di lord
Hoster, la piccola lucciola investita dal sole splendente che era Catelyn. Lei,
Lysa Tully, aveva ucciso suo marito, il lord della Valle, il protettore dell’Est,
il Primo Cavaliere del Re, il secondo uomo più potente dei Sette Regni! Lei, la
piccola, timida Lysa! Rise e pianse, si sdraiò sulla fredda pietra del
pavimento, scalciando i preziosi tappeti di Myr, stracciando le sue ricche
vesti, strappando quelle fastidiose pietre che portava intorno al collo, alle
dita, tra i capelli. Rimase lì, nuda e tremante, scossa dai brividi, come
capitava a volte al suo piccolo Robin. Robin, che ne era stato di lui? Sapeva
che suo padre era morto? Avrebbe dovuto dirglielo lei. E Petyr? Oh dov’era
Petyr, quando si sarebbero sposati? Aveva bisogno di un nuovo abito, quello che
aveva indossato al suo matrimonio con Jon era troppo semplice, adatto a una
fanciulla, non a una donna del suo rango. E Jon? Che ne era stato del suo
povero marito, morto perché lord Tywin l’aveva convinto a vendergli il suo
unico figlio? C’erano così tante cose da fare, così tante persone avevano
bisogno di lei adesso.
Le serve la trovarono dopo il tramonto,
febbricitante e isterica. La lavarono, la rivestirono, non fecero parola con
nessuno di quello che avevano visto.
Il mattino seguente Lysa era
già in marcia verso il Nido dell’Aquila con tutto il suo seguito, lasciandosi alle spalle la capitale e i suoi
peccati.
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