Stronger than I was

di AuroraScrive
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Casa ***
Capitolo 2: *** Incontri ***
Capitolo 3: *** In cammino ***
Capitolo 4: *** Ragazzi ***
Capitolo 5: *** Alleati ***



Capitolo 1
*** La Casa ***


Freddo. 

Freddo. É tutto ciò che riesco a pensare. É nella mia mente, nelle mie vene, nelle mie ossa. É così dannatamente ovunque, stringendomi in una morsa invisibile che non posso combattere e sento come degli spilli perforarmi il cranio immobilizzando ogni mio movimento. 

"Il freddo è una percezione psicologica, non pensare al freddo e non avrai freddo." 

Cerco di auto convincermi. 
Sospiro, fissando lo sbuffo bianco di vapore uscito dalla mia bocca che sparisce in pochi secondi.
Nella mia mente focalizzo l'immagine del camino che si trovava in quella che un tempo era casa mia.

Aveva sempre avuto un che di affascinante per me, soprattutto da bambina, con quel fuoco scoppiettante e allegro al suo interno. Ricordo che mi piaceva fissare le braci incandescenti, quel rosso acceso, ne rimanevo quasi ipnotizzata, al punto di sentire la faccia bruciare per la vicinanza al fuoco e gli occhi lacrimare per non aver sbattuto troppo a lungo le palpebre.

Nonna diceva spesso che non la stupiva la mia attrazione per il fuoco, eravamo come due elementi simili, compatibili. Diceva che ero una di quelle persone che il fuoco ce l'ha negli occhi e nell'anima.

Ah, nonna... Una fitta di dolore al petto mi attraversa. Vorrei tanto che lei fosse qui con me. O almeno mi piacerebbe sapere dove si trova. Probabilmente i Sorveglianti l'hanno presa e per lei non c'é più nulla da fare. 

Il mio stomaco brontola, e tento inutilmente di scacciare quel ricordo.

Ormai distogliere il pensiero dal cibo é impossibile, non mangio da quasi tre giorni. Se invece prendo in considerazione da quanto non mangio in modo decente, bhe, quelli sono mesi.
L'ultima volta che ho visto un piatto di pasta? O dei ravioli. Pizza. Torte. Ah, le lasagne. L'acquolina non tarda ad arrivare, accompagnata da un secondo borbottio del mio stomaco. 

Cibo. Devo trovare del cibo. E ripararmi da quel maledettissimo freddo; non ho tanta strada e sono sopravvissuta così tanto tempo per morire nell'angolo di una strada sconosciuta in un paesino dimenticato da Dio.

Così decido di muovermi, anche se riluttante. Ormai ci ho quasi fatto l'abitudine, ma non cambia che é una cosa che odio fare. Mi guardo in giro e per fortuna non scorgo nessuno. Non che voglia dire molto, chiunque può arrivare in qualunque momento. Qualche banda di malviventi forse, o peggio, i Sorveglianti. 

Un brivido mi percuote, al solo pensiero di essere presa. Il panico si fa strada nella mia mente. No.

Inizio a fare un elenco mentale degli aspetti positivi della situazione. Sono scappata in tempo e non mi hanno registrata, non mi hanno fatto nessuna Iniezione di Rilevamento, e viaggio da sola, quindi non c'é il pericolo di qualche possibile tradimento. I muscoli si rilassano, rassicurati. 

Guardo l'isolato per un po'. Poi la mia scelta ricade su una villetta anonima, di mattoni rossi e circondata da un piccolo giardino. Non devo nemmeno preoccuparmi delle telecamere di sorveglianza, la corrente in questo quartiere é fuori uso da una settimana.

Un'altra rapida occhiata e parto correndo a dirotto... se esitassi ancora un po' non avrei più il coraggio di partire. 

Mi avvicino sempre di più alla casa scelta, e senza rallentare una volta arrivata alla recinzione mi aiuto a saltare facendo leva con una mano. Ce l'ho fatta, sono dentro. Mi acquatto immediatamente a terra. Data la modestia dell'isolato non dovrebbe esserci l'allarme a sensore di movimento, quelli ci sono solo nei quartieri alti, ma é meglio non rischiare. Vero, non c'é corrente ma quell'allarme si auto alimenta per un mese con una batteria per le emergenze, quindi é rischioso. Meglio essere prudenti.

Strisciando nell'erba mi avvicino alla porta. Mi fermo giusto un paio di metri prima dietro a un arbusto e aspetto in silenzio. 

Nessun rumore, nessuna voce. La casa pare vuota. Ma lo é davvero? Beh, é da tre giorni che me ne sto appostata in quella via per scorgere qualsiasi movimento, e invece tutto sembra fermo come se qualcuno avesse premuto pausa in un film. 

Inspiro profondamente e mi volto a guardare la porta. É la parte che mi mette più sotto pressione tutte le volte. Entro o non entro? 

L'apertura di quella porta può permettermi di sopravvivere per un'altra settimana come può buttarmi tra le braccia di truffatori, mercenari o Sorveglianti. Non ho scelta. 

Estraggo un pugnale dalla fodera legata al polpaccio, e respiro ancora più profondamente per calmarmi socchiudendo gli occhi. Sangue freddo, sangue freddo.

"Le emozioni distraggono. Le emozioni diminuiscono l'esito delle prestazioni. Le emozioni fanno fallire." 

Nel momento in cui li riapro sono consapevole di aver svuotato la mente. Penso spesso che é quasi impossibile passare da un'agitazione a dir poco enorme e travolgente a una calma piatta e glaciale. 

Ma, non so come o perché, quel giochetto del respiro con gli occhi socchiusi funziona sempre. 

Mi avvicino lentamente alla porta, alzandomi un po' e mettendomi in ginocchio. Faccio salire la mano lungo il legno lavorato dello stipite, fino a toccare la maniglia d'ottone gelata. Tiro, ma la porta non si apre e dopo aver provato una seconda volta mi alzo in piedi con la faccia rivolta verso la strada. 

Ancora nessuno. 

Mi allontano di qualche passo e tiro un calcio alla porta, rompendo la maniglia e aprendola. Il mio braccio scatta automaticamente in avanti con il coltello impugnato saldo nella mano. 

Guardo all'interno della casa. Buio. L'unica luce che mi permette di vedere qualcosa è quella della luna che entra dalla porta. Tiro fuori dalla tasca destra dei pantaloni un fiammifero e lo sfrego contro la parete. É fievole e tenue, ma luce. In questi tempi non ci si può lamentare. 

Tutto è in ordine, quindi gli sciacalli non sono ancora passati. C'é solo qualche valigia lasciata sul pavimento. Probabilmente i Sorveglianti hanno imposto alla famiglia di lasciare le cose inutili e superflue, promettendo loro chissà quale futura vita. 

Nonostante la fretta di andarmene non posso fare a meno di notare le ombre suggestive che quella fiammella crea. Stupendo. Ci metto qualche secondo ma mi riprendo. 

Non apro il frigo, quello é un errore da principianti che ho già sperimentato mesi fa. Il cibo contenuto nel frigorifero è quello che va conservato, e senza elettricità quasi tutto va a male molto rapidamente, per non parlare di quando si è in estate. Lì bastano un paio di giorni e il tonfo di marcio inizia a farsi sentire per tutta la casa. 

Fortunatamente in inverno inoltrato questo processo rallenta, e la puzza ti investe solo se compi la sbagliatissima mossa di aprire il frigorifero. 

Spalanco tutte le porte senza indugio, ormai é palese che la casa é completamente deserta. Dov'è? Dov'è? Cerco quasi con ansia febbrile.

Eccola. Una porticina in fondo al corridoio rimane inesplorata. Un sospiro di sollievo mi scappa dalle labbra screpolate e congelate. Mi avvicino impaziente e la apro. 

Come pensavo, si apre davanti a me il paradiso. Un unico enorme scaffale che arriva fino al soffitto pieno di cibo in scatola. Carne, sugo, frutta, marmellata, pasta, e in un angolo un sacco riempito di patate. 

Mi tolgo lo zaino e lo butto a terra nella foga dell'impazienza. Lo riempio al massimo, ma rimane molto altro cibo. Sarebbe uno spreco lasciarlo lì a decomporsi negli anni o, cosa più probabile, cederlo agli sciacalli. 

Ma non posso rimanere qui, chiunque potrebbe far irruzione e non ci sono porte secondarie dalle quali uscire, e sarei in trappola. Ormai però è davvero tardi e non ho tempo di cercare un luogo sicuro in cui dormire, inoltre al chiuso sarei riparata dal freddo. 

Sospiro. I pro superano i contro e decido di restare.

Prendo una coperta dopo aver rovistato qui e la e mi stendo sul divano. So che non posso addormentarmi, é troppo rischioso, quindi combatto come una forsennata una guerra contro le mie palpebre che non vogliono saperne di rimanere a loro posto. Mi sembrano pesanti come macigni, e prima di rendermene conto cado in un sonno profondo. 

Non so quanto tempo sia passato da quando sono definitivamente caduta nel sonno, ma il contatto di un metallo freddo contro la mia tempia mi sveglia immediatamente. 

Apro gli occhi e la prima cosa che vedo nel mio campo visivo é una pistola.

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Capitolo 2
*** Incontri ***


«Ciao, bambolina»

Sposto lo sguardo dalla pistola alla faccia dell'uomo che la regge. Si tratta di un quarantenne. Capelli scuri, occhi dello stesso colore e la barba cresciuta un paio di centimetri. La corporatura é abbastanza massiccia, raggiunge un metro e ottacinque, ottantasei forse. È un capo nato. Lo si capisce dalla mascella squadrata e lo sguardo duro. 

Mi potrebbe dare qualche problema, ma nulla che io non possa risolvere. Cerco di assumere l'aria più spaesata che riesco a fare, una delle cose che ho imparato in questi due anni è che più dai l'impressione di essere debole, più le persone ti sottovalutano.
Ovviamente non raggiungere il metro e settanta ed essere una ragazza di diciotto anni non ancora compiuti aiuta. 

Penso che la mia espressione terrorizzata l'abbia convinto, perché mette la sicura e la pistola finisce nella cintura. Ma mi ricredo quando noto che nel suo sguardo si legge qualcos'altro. Come se mi avesse riconosciuto. 
Ma é impossibile, mi dico, noi due non ci siamo mai visti. 

«Pensavo di aver trovato la ragazza di cui si parla in città, ma vedo che sei solo una ragazzina.. Chissà come hai fatto a sopravvivere in questi anni» dice, quasi parlando tra sé. 

«Ragazzi!» urla verso il soffitto. «Venite giù. É solo una sopravvissuta.»
Ormai é tardi per tramortirlo, pensavo fosse da solo e di avere tutto il tempo di metterlo fuori gioco. A quanto pare mi sbagliavo. 

Una piccola anta incorporata nel soffitto proprio sopra di me che non avevo nemmeno visto si apre, e un paio di gambe si calano per metà. Poi il proprietario delle gambe in questione lascia la presa e salta in terra. Subito si abbassa flettendo le gambe per attutire l'impatto e poi si rialza come se l'avesse fatto migliaia di volte. Deglutisco. Non penso che siano principianti. 

Anche questo è un uomo e quando lo guardo un po' meglio mi rendo conto che è un ragazzo poco più grande di me. Ha i capelli scuri come l'uomo che mi aveva sorpresa nel sonno però i suoi occhi sono chiari, di un colore indefinito. Strizzo i miei per guardare meglio ma nulla. Sono indecisa tra il verde, l'azzurro, il grigio, il violetto e forse qualche pagliuzza di giallo oro. Che strano. 

Inizio a imprecare mentalmente quando noto che nonostante la giovane età rispetto il quarantenne, il ragazzo sembra arrivare al metro e novanta. Non ce la farò mai contro molti uomini di quella stazza.

Mentre io lo osservo da avversaria attenta lui si limita a un'occhiata superficiale e leggermente sprezzante, come quando parli con qualcuno e sei consapevole del panorama dietro, ma non lo stai guardando davvero.   

Il ragazzo si sposta di lato, lasciando spazio per la caduta ad altri uomini che si calano giù uno per uno. Ad opera conclusa mi ritrovo sola contro una dozzina di uomini armati e da quello che riesco a capire dai movimenti, anche addestrati. Merda. Merda, e tripla merda. 

Altra lezione di vita: mai più esitare davanti a un uomo, non importa se abbia buone o cattive intenzioni. Tramortirlo e le domande le lascio a un secondo momento. 

Prima però mi devo liberare di loro. 
«Non avere paura, piccola» dice l'uomo che mi puntava la pistola alla tempia all'inizio. «Non ti faremo del male.»

Ho capito che tra le persone scappate dai Sorveglianti chi é sotto i venticinque anni é praticamente un poppante, ma andiamo! Non ho mica cinque anni. Decido di mantenere l'espressione impaurita come farebbe una qualsiasi altra adolescente al mio posto.

«Cosa volete farmi?» azzardo guardando negli occhi il quarantenne.
«Oh beh, in realtà siamo nei paraggi per cercare una ragazza, ma non sei tu. Potremmo lasciarti andare...» a questo punto traggo un sospiro di sollievo. «...ma non penso proprio» conclude lui. 

«Perché? Non vi ho fatto niente!» affermo piagnucolate. Spero che la mia interpretazione sia buona.

«Ho visto fin troppe persone morire, non sarò il responsabile di un'altra vita sprecata. Verrai con noi.» Cerco di trattenermi dallo sbuffare e alla cosa rimediano gli altri uomini che si lasciano andare dei sospiri esasperati. 

Il ragazzo poco più grande di me che si era calato giù dalla botola per primo fa qualche passo in avanti mentre gli altri si disperdono. Si avvicina all'uomo.
«Jhon.. So che per te è difficile,» inizia lui «ma lei non é Katy.»

L'uomo gira di scatto la testa verso il ragazzo. «Lo so benissimo. Non mi servono prediche da un ragazzetto, Drake».

Lo sguardo del ragazzo si incupisce «Non possiamo raccogliere dalla strada ogni ragazza che assomiglia a tua figlia.» replica.

Gli occhi dell'uomo si riducono a una fessura «Per quanto ti stimi io sono e rimango il capo della missione, soldato» dice a sua volta «Lei verrà con noi.» scandisce le parole come a sottolinearne il concetto. «Non ammetto obiezioni.»

Bene. A quanto pare somiglio alla figlia del capo. 

Forse questa situazione mi potrebbe aiutare, avrei un passaggio gratuito in cui mi sarà dato del cibo, acqua e sarò al sicuro. Non ne io ne sia certa al cento per cento, ma dall'aspetto forte e vigoroso dei soldati sembra che non patiscano ne la fame nè la sete ne il freddo. Cose che io soffro da due anni e mezzo più o meno. 

Forse da quello che pensavo un gran casino potrò trarne vantaggio. 

«Hai qualcosa in contrario nel venire con noi?» mi chiede l'uomo in modo gentile. E a questo punto faccio ciò che un ora fa non avrei mai ritenuto possibile: accetto annuendo vigorosamente. 
Lui si lascia scappare una risata amara alla vista del mio esagerato entusiasmo. «Chissà da quanto non mangi un pasto decente..» mormora cupo.

Hai perfettamente ragione, penso, ma mi limito ad abbassare lo sguardo senza proferire parola.

"Meno sanno cose di te, meno ti conoscono. Meno ti conoscono, meno saranno in grado di distruggerti." 

Un soldato mi passa sgarbatamente uno zaino più grande e pieno di tasche efficienti rispetto al mio, e solo i suoi modi bruschi mi impediscono di ringraziarlo con gli occhi. Esco dalla stanza accompagnata da quello stesso soldato che mi sorveglia con il fucile puntato a terra. La cosa non mi innervosisce, sono abituata alle armi. Ma il problema é che la mia sceneggiata di innocenza ha tolto ogni dubbio al Capo, che non si é nemmeno sognato di perquisirmi. Quindi ho ancora le mie armi per fortuna, ma con il soldato dietro che mi fissa come diavolo faccio a spostarle dal mio vecchio zaino a quello che mi hanno appena dato?

Per fortuna i coltelli sono legati alle mie cosce e ai polpacci sotto i pantaloni e le pistole le ho inserite tra uno strato e l'altro dei vestiti che indosso. L'inverno che con il suo freddo è la prima volta che serve a qualcosa.

Poi un'idea mi illumina la mente. Faccio finta di cercare qualcosa dentro lo zaino. Mi volto verso la guardia che mi fissa con aria impaziente. 

«Aiutami a cercare il mio maglione. L'ho perso.» dico con aria innocente. Per sembrare più credibile mi metto a spostare i vari cuscini nella stanza. L'uomo - che, dandogli un'occhiata non può avere più di venticinque, ventisei anni - sospira esasperato, poi inizia ad aiutarmi a cercare.

«Prova sotto il letto!» gli dico dall'altra parte della camera. Senza sospettare nulla il tipo si abbassa per cercare il suddetto maglione. In quei pochi secondi prendo tutto il malloppo di armi nascoste per sicurezza sotto una coperta, e le ripongo nello zaino nuovo. 

Lui si rialza con aria impassibile «Non c'è niente qua.» 
Gli rivolgo un sorriso ingenuo «Va be, l'avrò lasciato da qualche parte. Grazie comunque dell'aiuto.»

Un'ombra di sospetto e di dubbio gli oscura gli occhi per un instante, ma quella sparisce con lo sbattere delle palpebre, e l'impazienza di andarsene con i suoi compagni torna a fare padrona della sua espressione. 

«Okay. Tra sei minuti esatti partiamo. Vieni di la con me e seguimi sempre e comunque se non vuoi trovarti una pallottola in testa.» mi spiega. 

Adesso ricordo un'altro motivo del perché viaggio da sola da due anni.
Viva la simpatia umana.

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Capitolo 3
*** In cammino ***


Sei minuti dopo sono fuori dalla casa affiancata dall'Uomo-Fucile Viva La Felicità. Camminiamo principalmente in coppie anche se nessuno osa proferire parola. Quando si è ancora nelle zone urbane è il silenzio che domina perché non ci si può permettere nemmeno un passo falso.

Rabbrividisco pensando ai Sorveglianti. Quegli stronzi che hanno preso la mia famiglia e probabilmente quella di tutti gli uomini che mi stanno camminando a fianco.
Io ho perso i miei genitori, mio fratello piccolo e mia nonna. Ma penso che perdere i propri figli o la moglie sia più doloroso. All'improvviso queste persone non mi sembrano più così estranee... Alla fine abbiamo patito tutti le stesse perdite. È quello che unisce i sopravvissuti, come ci chiamiamo noi.

Ma per quanto riguarda me ho sempre viaggiato da sola. O meglio, sono sempre scappata da sola. In questi due anni e mezzo ho visto diversi gruppetti di persone venire presi: attiravano troppo l'attenzione.

Certo, se sei con altri sei tutelato e più protetto per quanto riguarda gli Sciacalli, ma personalmente preferirei finire nelle loro mani che in quelle dei Sorveglianti. E qui mi viene il dubbio. Mi servono informazioni. Do un'occhiata all'Uomo Fucile. Come tutti gli altri soldati sembra preso a selezione per altezza e muscolatura, tanto che la mia testa non raggiunge la sua spalla e un suo bicipite è grosso quasi quanto la mia testa. I capelli color oro-sabbia risaltano sulla carnagione scura mentre gli occhi sono di un anonimo color marrone cioccolato. Aspetto che tutta la comitiva si sia allontanata dal blocco di case e poi sospiro pregando dio di riuscire a cavare qualcosa al tipo.

«Mi chiamo Annah» mento rivolta all'Uomo Fucile. 
Lui solleva le sopracciglia sorpreso di quell'affermazione improvvisa.

«Chuck» risponde lui. Fino a due secondi fa avrei giurato che stesse tramando la mia morte, ma forse era solo una maschera, dato che ora fa fatica a reprimere un sorriso.

«Che c'è di divertente?» chiedo curiosa e un po' confusa. Lui finalmente si volta verso di me. 
«Niente. È da un anno e mezzo che qualcuno non mi chiede come mi chiamo.» Per sdrammatizzare vorrei dire che in realtà io non gliel'ho esplicitamente chiesto, ma penso che non sia il momento per far notare una cosa del genere.

Mi dispiace per lui. Deve sentirsi molto solo nonostante la presenza dei suoi compagni per aver notato una sottigliezza simile. Chuck sembra leggermi la mente, perché subito scrolla le spalle.
«Non ci sono spesso nuove reclute, e gli altri soldati mi conoscono già. Tutto qui.» spiega.

Mi sento un po' uno schifo perché lui mi ha appena detto una cosa su se stesso e io non ho avuto nemmeno la decenza di dirgli il mio vero nome.

«Jane.» dico dopo qualche minuto di silenzio. 
Lui mi alza il suo sguardo interrogativo su di me.
«Il mio vero nome è Jane.»

"Ti stai rammollendo."

Beh, nessuno ha idea di chi io sia, il fatto che sappiano il mio vero nome non cambierà nulla. Ci sono migliaia di Jane al mondo, cerco di rassicurarmi.

Questa volta il volto del ragazzo si apre in un sorriso. Da quanto non vedo un sorriso? Sono passati secoli. Da prima ancora della Grande Guerra sicuramente.

«Allora non sei così stupida.» dice lui, mentre dallo zaino sfila la borraccia. Chuck nota il mio sguardo bramoso perché me la porge immediatamente. 
Vorrei declinare l'offerta, ma sto morendo di sete.

Gliela prendo dalle mani dopo aver esitato un secondo, e la stappo. Prima di portarmela alle labbra però la annuso. Non sento un odore particolare, non ci dovrebbe essere dentro nessun veleno. Per essere sicura ne prendo una goccia sulla lingua e assaporo. È acqua. Niente di più e niente di meno. 
A questo punto me ne scolo metà, fino a quando la mia sete si è placata. Gliela passo mentre lui mi guarda ammirato e fintamente ferito. «Jane, non ti fidavi di me?» 
Cerco di ignorare il brivido freddo che mi percuote nel sentire il mio nome detto da qualcun altro ad alta voce.

Inarco le sopracciglia dopo aver lanciato un'occhiata all'orologio che porto al polso. «Sono onorata di questi due minuti di conoscenza, ma non mi fido così ciecamente delle mie capacità di valutazione. E poi mi consideravi stupida, quindi non te la meriti la mia fiducia.»

Lui sorride di nuovo. E così noto i denti bianchissimi e le labbra sicuramente meno screpolate delle mie. È un bel sorriso. Cerco di rispondere alzando gli angoli della bocca, ma mi esce una smorfia. Non riesco più a sorridere. Non me ne ero nemmeno resa conto.

«Beh, si, pensavo che tu fossi stupida, ma dire un nome falso è quello che avrei fatto anche io, e dimostra che hai almeno un cervello. Non mi sbilancio nel dire che tu sia intelligente, ma almeno ho la certezza che ci sia qualcosa nella tua testa.» Il suo volto ora è normale, non sta sorridendo ne niente, quindi non capisco se scherza o meno. Ma penso che sia serio. Insomma: fino a mezz'ora fa minacciava di spararmi in testa se non lo avessi seguito ovunque!

«Ma quello che mi chiedo è: perché mi hai detto il tuo vero nome dopo?» chiede curioso.
Penso sia imbarazzante per entrambi rispondere che pensavo che lui ne avesse bisogno, e che fosse dannatamente solo. Quindi rispondo nel modo più semplice. «Beh, perché tu mi hai detto il tuo.»

Lui sorride. «Ma io non mi chiamo realmente Chuck» risponde. Io spalanco gli occhi pensando che quel tipo ha giocato il mio stesso gioco.

"Fregata."

«Nah, non è come pensi,» aggiunge lui vedendo la mia espressione. «qui non si usano più i nomi prima della Grande Guerra. Sono tutti soprannomi, così è più facile identificare la gente.»

Mi chiedo che cosa identifichi il nome Chuck. Lui sembra leggermi di nuovo nella mente, perché mi rivela «Chuck, da cecchino.»
Da un colpetto al fucile come se fosse un suo vecchio amico.

«In effetti è un fucile da precisione. Non male» commento guardandolo. 
Merda. Ora avrà sicuramente capito che non sono una comune adolescente sperduta.

Il ragazzo mi guarda con nuovi occhi. Solo che non sono quelli che mi aspettavo.
Anziché essere sospettosi sono amichevoli e interessati. Poi la scintilla svanisce, e il suo volto torna impassibile. Come se non avessi detto nulla.

Sono confusa, ma mi guardo dal domandargli qualcosa, sarebbe come ribadire il fatto che non sono quello che il suo capo John pensa che io sia.

E questa comitiva mi serve da passaggio per arrivare dall'altra parte del paese: quest'anno l'inverno è troppo rigido, probabilmente non ce l'avrei fatta a fare il viaggio da sola.

Mi guardo intorno per vedere se altri soldati hanno sentito, ma solo ora mi rendo conto che anche loro dal momento in cui siamo usciti dalla città si sono messi a parlottare, e nessuno ha badato a me e Chuck. Tiro un sospiro di sollievo e continuo a camminare pensando e ripensando a cosa possa nascondere il ragazzo accanto a me. Probabilmente nulla di buono, ma sono obbligata a fidarmi e a rimanere con loro fino a quando non sarò giunta alla mia destinazione.

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Capitolo 4
*** Ragazzi ***


«Su, muovetevi branco di idioti.» ci dice John passandoci in parte. Si era trattenuto in fondo alla comitiva per tutto il tempo mentre parlava con il ragazzo che voleva abbandonarmi al mio destino. 
Ora supera tutti a passo spedito e a grandi falcate, segno del brutto esito della loro conversazione.

Pochi secondi dopo il ragazzo mi passa accanto, lanciandomi un'occhiata assassina. Come diavolo l'aveva chiamato? Mi sforzo di farmi venire in mente il nome ma mi sfugge.
«Ehi, Chuck» dico a bassa voce «mi sa che quel ragazzo mi odia.»

Lui si lascia andare in una risata. «Beh, si. Drake è un ragazzo un po' duro e non è facile conquistarsi la sua fiducia.. Ma gli piacerai» Ecco qual era il nome. Drake. Non mi piace quel ragazzo. Sembra che sospetta qualcosa, e non mi piace.

«Com'è che non ha un soprannome come te?» chiedo curiosa.

Lui si stringe nelle spalle. «No, non hai capito. Non é che ognuno ha un soprannome. Pochi ce l'hanno. Io per esempio sono il tiratore scelto del campo, tutti gli altri bravi come cecchini ma non tanto quanto me si tengono il loro vero nome.» dice continuando a camminare.

«E non ti scoccia l'aver cambiato nome? Cioè la gente non ti vedrà più per chi sei, ma per cosa sei bravo a fare.»ribatto lanciandogli un'occhiata in tralice.

Lui però sorride. «Nah. Anzi, sono contento di questa opportunità. Avere un nuovo nome è come avere una nuova identità. Posso solo essere felice di aver chiuso con il passato. In realtà nessuno di noi è rimasto uguale a com'era prima della Grande Guerra e sinceramente è inutile pensare a come si stava prima di tutto questo casino. La pace non tornerà. Come le persone che abbiamo lasciato.» Il suo sguardo perso mi fa capire che sta pensando a qualche parente che non incontrerà più. Come tutti, d'altronde.

Sospiro sistemandomi lo zaino sulle spalle. Pesa un sacco. Ovviamente nessuno sa delle armi che ci porto dentro, ma inizio a pentirmi di non essermi accontentata di quelle che porto addosso.

«Ehm, quant'è che manca?» chiedo dopo un paio d'ore tra un respiro affannato e l'altro. Penso che mi siano venute le vesciche. Non che io non abbia camminato tanto in questi mesi, ma di certo ho sempre tenuto il mio passo. Qui si muovono velocissimi e non aspettano nessuno. Odio sentirmi così debole.

«Beh, dovrebbero mancare tre ore di cammino verso Sud, poi ci fermeremo per la notte. John ha i suoi contatti e trova sempre un posto sicuro, ma per tornare alla base manca una settimana circa. Se tutto va bene, ovviamente. Cosa che purtroppo non accade spesso.» il ragazzo venticinquenne sputa in terra, e per un soffio manca il mio scarpone destro.

«Fai schifo Chuck» affermo alzando gli occhi al cielo.
«Ringraziami, era tutto calcolato. Se avessi voluto colpirti, mia cara Jane, l'avrei fatto. C'è un motivo se mi chiamano Chuck il cecchino.» risponde orgoglioso.

Non voglio pensare alla stanchezza delle mie ossa e alle spalle e i piedi doloranti, quindi continuo a parlare.

«E fammi capire, come hanno fatto a decidere che nome affibbiarti? Ci sono, che so, dei test?» la cosa inizia a farsi interessante.

«Beh, dipende. Ovviamente prima c'è l'addestramento, non buttiamo la gente in missione a caso. Sarebbe uno spreco di vite. Gli addestratori segnalano le attività per il quale sei più portato e una volta che hai finito le attività e sei giudicato pronto devi superare delle prove.» mi spiega gesticolando.

«E se non le superi?» domando interessata. 
«Beh, nella maggior parte dei casi vieni rilegato a fare lavori semplici come cuoco o spazzino, si va a turni.» dice tranquillamente. 
«Che brutta cosa.» dico sbuffando.

«Eh qualcuno dovrà pur farlo. Sono cose che servono.» puntualizza Chuck. «Di solito le prove consistono in qualcosa di semplice per identificare il settore per cui sei portato. Devi essere il più bravo del tuo settore per essere scelto e poi vieni inserito in una squadra con una missione e se da quella torni vivo hai passato il test.» fa una piccola pausa guardandosi intorno. Poi sorride indicandomi una coppia di ragazzi con i capelli rossi e le lentiggini.

«Eccoli. I fratelli Carson laggiù, per esempio, hanno passato le prove al campo. Questa è la missione finale per loro, se tornano sani e salvi sono passati.»

«Di che settore si occupano?»

Lui fa un sorriso sghembo. «Esplosivi. Sono i ragazzi più portati che io abbia visto passare da quando sono arrivato, non mi preoccuperei per loro. Passeranno sicuramente se non si faranno ammazzare in questa missione.»
Il modo tranquillo in cui parla della loro possibile morte mi raggela il sangue nelle vene. La morte qua sembra all'ordine del giorno.

«Ma non doveva essere uno soltanto il più bravo del loro settore? Loro sono due» obietto inarcando le sopracciglia.

«Hai ragione. Infatti hanno dovuto fargli rifare le prove sei volte, ma hanno sempre ottenuto gli stessi identici risultati. John ha deciso di fare un'eccezione, del tipo pacchetto gemelli due per uno, quindi sono passati entrambi al test finale.»

I due si accorgono di essere osservati e si avvicinano sorridendo con malizia. 
«Chuck, ma guarda che strano» esordisce uno dei due. «Non facciamo in tempo a raccattare una ragazza dalla strada che ci provi già. Molto egoista da parte tua.»

Chuck si lascia scappare un mezzo sorriso e ribatte «Tranquillo Sam, non avresti avuto comunque nessuna possibilità»

Il ragazzo rosso fa una faccia finta addolorata, mentre l'altro mi si avvicina ancora di più e protende una mano verso di me.
«Daniel, piacere» dice con un leggero e buffo inchino.

«Dan, dovresti smetterla di usare quel nome... Tra una settimana tu sarai Boom e io Bang» lo interrompe immediatamente Sam.

«Piacere mio, Jane.» rispondo alle presentazioni mentre Chuck scoppia a ridere facendo sobbalzare le spalle. Vorrei sorridere a mia volta ma come prima la mia faccia sembra essersi dimenticata come fare. 
«Boom e Bang? Sul serio?!» sghignazza Chuck tra una risata e l'altra.

Daniel si stringe nelle spalle come se la faccenda non lo toccasse mentre Sam gonfia il petto. 
«Ridi pure mr Chuck. Voglio vedere quanto riderai quando i sottoscritti Boom e Bang ti faranno saltare in aria. Oh si, visione interessante.» fa Sam sprezzante.

«Caro, piccolo, Sam.» ribatte subito Chuck «se rimani nell'area di un chilometro ti potrei sparare ancora prima che tu possa tirarti su la cerniera dei pantaloni.»

Vedo che Sam apre la bocca per rispondere alla provocazione così alzo le mani esasperata. «Okay ragazzi, c'è troppo testosterone qui. Me ne vado.»

Saluto con la mano Daniel che ridacchia guardando le facce degli altri due zittiti. 
Aumento il passo superando degli uomini davanti a me. È imbarazzante perché appena passo loro in parte si zittiscono interrompendo le loro conversazioni.

Senza rendermene conto sto camminando a pari passo con il ragazzo che prima mi ha lanciato un'occhiata assassina. 
Quando infatti mi lascio scappare un verso sorpreso accorgendomi della sua presenza lui ne approfitta per lanciarmene un'altro e continuando a fissarmi.

Okay, la situazione si sta facendo inquietante, così mi allontano. Forse me lo sono immaginata, ma giurerei di averlo sentito sussurrare una frase.

«Tu non mi freghi.»

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Capitolo 5
*** Alleati ***


È come se mi avessero infilato del ghiaccio nella schiena, sono scossa dai brividi di caldo e freddo insieme. Perché Drake ha detto quella frase? Che sappia davvero?

Sposto il peso da una gamba all'altra, a disagio. Non so cosa fare. Il passaggio di questa comitiva mi serve, ma se quel ragazzo sa davvero che non sono una ragazzina qualsiasi correrò un grandissimo rischio. Incrocio lo sguardo con Chuck un paio di volte e intravedo vicino a lui i capelli rossi dei gemelli Sam e Daniel. Mi sembra che di loro mi possa fidare ma non ci metterei la mano sul fuoco e sarebbe un altro rischio. Davanti a me ho tante opzioni e scelte ma troppi rischi. Qualsiasi cosa io decida di fare sarà inevitabilmente un'incertezza. 

Senza rendermene conto siamo entrati in una cittadina abbastanza piccola e completamente deserta. Inavvertitamente pesto un ramo secco facendo rumore e i soldati davanti a me si girano stizziti appoggiandosi l'indice sulle labbra. Così sarà più credibile la mia finta inesperienza. 
Cerco di arrossire come farebbe la vera ragazzina al mio posto alzando gli occhi sul panorama che ho davanti. E a questo punto ogni forma di interpretazione svanisce. 

Silenzio. 

Dopo due anni e mezzo dalla Grande Guerra posso dire che una delle cose che non ho sopportato e mai sopporterò di vedere sono le città morte. Come questa. 
È troppo strano vedere i semafori - quelli ancora in funzione - lampeggiare da soli, dirigendo un traffico che non esiste. Le macchinette sono abbandonate sulle corsie, alcune addirittura rovesciate. La strada è ricoperta di oggetti di qualsiasi tipo: pezzi di vetro, magliette, scarpe, borse, valigie, medicinali ormai scaduti.. La lista è lunga. Persino una lavatrice in un angolo. 
È tutto un disastro, per non parlare dei palazzi. Alcuni sono completamente caduti, altri solo in parte, altri ancora sono rimasti in piedi per miracolo ma hanno alcuni piani sfondati. 
Se dovessi disegnare l'inferno lo farei esattamente così. Viviamo tutti quanti nell'inferno.

«Dobbiamo andare alla Casa» sussurra il capitano John con fermezza. Tutti annuiscono silenziosamente. 
La Casa? penso tra me, ma so che non è il momento di chiedere e fare domande. 

Chuck, che in questo momento nella fila indiana che si è formata si trova proprio davanti a me, girandosi con gli occhi mi indica il lato opposto della strada. 
Dobbiamo attraversare. 
Non possiamo essere sicuri che non ci sia nessuno e la cittadina sia effettivamente deserta, e attraversando saremmo troppo esposti. È rischioso.

Il capitano John si volta cercando qualcuno con lo sguardo. Lo seguo fino a quando noto che i suoi occhi si sono fissati su i gemelli Carson. Questi si scambiano un'occhiata veloce e annuiscono. Sam porta una mano nella tasca anteriore dello zaino e prende qualcosa che da qui non riesco a identificare.

Flette il braccio e lancia l'oggetto nella strada. Tocca terra, rotola.. bum, bum, click. Fumogeno. 
La nebbiolina bianca si espande velocemente a vista d'occhio e nel giro di tre secondi tutta la fila si è addentrata nel fumo. 

«Su su, veloci!» sento John che ci incita mentre io sono solo concentrata a seguire i passi di Chuck davanti a me.
Nell'arco di pochi secondi abbiamo attraversato e sento un soldato che non conosco, il primo della fila probabilmente, battere il pugno sulla porta della 'Casa' due volte velocemente e una dopo una piccola pausa. Sicuramente un segnale segreto.

La porta si apre di qualche centimetro lasciando intravedere i catenacci che la tengono socchiusa dall'interno. Un piccolo occhio marrone ci scruta serrando un po️co le palpebre. 
Quando la sua pupilla arriva a me si sofferma più del solito rispetto agli altri soldati. Spero che l'unico motivo sia che io sono una ragazza e non perché mi ha riconosciuta. Anche se non penso, si parla di me solo in città.. Questo paesino desolato dovrebbe essere abbastanza lontano da ignorare tutto. 

«Dov'è il Capitano?» dice il proprietario dell'occhio con voce burbera. 
John, che è rimasto in fondo alla fila per assicurarsi che tutti avessero attraversato la strada, si fa avanti tranquillamente. Sembra Mosè che divide le acque con tutti i soldati che si scostano aprendo un varco per farlo passare.

«Sono qui.» risponde con lo sguardo severo. Tutto in lui urla 'sono un leader' per chilometri. All'occhio dell'uomo basta un secondo guardando John per convincersi della nostra affidabilità, annuisce e subito scompare sbattendo la porta. Proprio quando inizio a pensare che ci abbia voltato le spalle si odono rumori di catenacci che si muovono tintinnando e la porta si apre.

Il corridoio sembra lunghissimo, soprattutto perché non è illuminato e, tranne per i primi cinque metri, non si riesce a scorgere più nulla. Non si capisce quando le pareti hanno fine. Questo posto non mi piace, ma so che è solo perché non posso avere la situazione sotto controllo. 

Dall'ombra compaiono sei uomini armati fino ai denti, vestiti proprio come i compagni in parte a me. Spalancando gli occhi realizzo che se ci sarà uno scontro, oltre a Chuck, John, i fratelli Carson, e Drake (pensandoci a Drake potrei dare comunque una botta in testa), non saprei chi dovrei attaccare e chi no. Spero solo che non accada nulla.

Qualcosa si appoggia sulla mia spalla. Mi volto di scatto, pronta a colpire chiunque voglia attaccarmi, ma mi rendo conto che si tratta della mano di Chuck. Sorpresa alzo lo sguardo su di lui, che mi fa un sorriso incoraggiante. Si vede così tanto che sono tesa? 

In qualsiasi caso nell'arco di tre secondi mi riprendo e mi sottraggo al contatto. È passato così tanto tempo da quando qualcuno ha toccato la mia pelle che ora è come se fossi allergica a qualsiasi forma di contatto. Stizzita mi volto verso gli uomini apparsi dal nulla: non avrei dovuto mostrare la mia debolezza. 

«Ci spiace riservarvi questo tipo di accoglienza» dice uno dei sei uomini. È il più alto e il più massiccio del gruppo e dal suo sguardo sembra che gli dispiaccia davvero. «Ultimamente i Sorveglianti si sono fatti più furbi e si sono introdotti in una delle Case vestiti esattamente come noi. Quando hanno cercato di sedare uno dei soldati della Casa sono stati scoperti, ma non è servito a molto. Per difendersi i Sorveglianti hanno fatto piazza pulita ed è stata una strage. Solo un ragazzino si è salvato, essendosi introdotto in uno di quei piccolissimi e antichi ascensori di legno che spesso sfuggono alla vista.» 

I soldati in parte a me spalancano gli occhi, increduli. Dal canto suo John si si limita ad inarcare un sopracciglio, che subito torna a suo posto. «Come mai non ne sono stato informato? Sicuramente ora avrete introdotto nuove forme di sicurezza. Non avermi riferito nulla avrebbe potuto mandare all'aria la missione.» afferma secco.

L'uomo socchiude le palpebre per una frazione di secondo. «La strage è avvenuta due giorni fa, e probabilmente il responsabile della vostra unità non è riuscito a sintonizzarsi con la vostra radio.» Il soldato imponente fa una pausa, poi spostando lo sguardo incontra il mio. «A proposito della missione, devo dedurre che sia andata a buon fine?» chiede con un mezzo sorriso ironico senza distogliere lo sguardo da me. Ha una faccia da schiaffi e mi ci vuole tutto l'autocontrollo che possiedo per non corrergli incontro e spezzargli la spina dorsale con un colpo secco. Ricordando di dover recitare la mia parte mi fingo intimidita e faccio un passo indietro. John si volta verso di me, guardandomi con apprensione, e quella è l'unica emozione che fin ora ho visto trasparire dai suoi occhi. Devo assomigliare molto a sua figlia per fargli un effetto del genere, e subito una fitta di dolore per la perdita dei miei genitori mi stringe il cuore.
John apre la bocca per rispondere alla domanda, ma improvvisamente si blocca e fa un passo mettendosi davanti a me. 

«No, questa è una ragazza che ho trovato, ma non è Lei» risponde il capitano in modo circospetto. 
«Come immaginavo.» ribatte l'uomo armato sorridendo. «Aspetteremo che la ragazza faccia la sua prossima mossa, e una volta localizzata manderemo un'altra unità.» Lancia uno sguardo al capitano. «Devi essere il famoso capitano John... capitano Grayson, fazione 12.» si presenta. 

Grayson si addentra nell'oscurità del corridoio e i cinque uomini rimasti ci si affiancano con le pistole in mano, pronti a ogni evenienza. John è il primo a muoversi seguendo a qualche metro di distanza l'uomo che sembra essersi dissolto nel buio. In fila indiana avanziamo alla cieca e dopo qualche passo fortunatamente delle luci si attivano al nostro passaggio. 

Il corridoio è stretto e le pareti sono altissime e piene di quadri. Sono enormi dato che partono tutti da terra fino a elevarsi per quasi tre metri di altezza. All'improvviso il capitano Grayson che ci guida si ferma davanti a un quadro. Tutti cerchiamo di bloccarci in tempo ma due o tre soldati si scontrano comunque. Uno dei soldati sconosciuti soffoca un risolino divertito, che sparisce all'occhiata severa del capitano fermo davanti al quadro. 

Tutti stanno in silenzio, i soldati con un'aria annoiata, mentre noi appena arrivati siamo curiosi. Alzando una mano Grayson afferra il lato destro del quadro, fa un pò di pressione e un pezzo di cornice scatta verso destra. Su quella parte interna di cornice si rivela esserci uno schermo. Con un beep appena udibile lo schermo si accende, diventando completamente bianco. Il capitano Grayson appoggia la mano sullo schermo e non appena avviene il contatto, sullo schermo compare una linea orizzontale che si muove dall'alto verso il basso e viceversa tre volte, come se gli stesse scannerizzando la mano. Un'altro beep. 
Grayson lascia cadere la mano sul fianco e si abbassa con la testa, fino a quando il suo occhio sinistro non è perfettamente allineato con lo schermo. L'occhio viene scannerizzato a sua volta e lo strano aggeggio tecnologico emette un ultimo beep prima di spegnersi. 

Con un tonfo il quadro si apre, rivelandosi in realtà una specie di porta segreta. Il capitano Grayson entra immediatamente e si blocca quando vede che noi siamo fermi impalati dove ci ha lasciato. Con un breve cenno della testa ci intima di seguirlo, e i suoi soldati dietro di noi ci spingono leggermente per rendere l'ordine più chiaro. I miei compagni si voltano verso John per accertarsi che debbano seguire Grayson, e il nostro capitano annuisce leggermente. 

Al che, come se ci fossimo tutti riscossi da un incantesimo iniziamo a muoverci all'unisono seguendo Grayson.
Pochi passi e ci ritroviamo in una stanza abbastanza ampia. Al centro sono posizionati dei manichini simili a spaventapasseri, dal soffitto pendono corde di vario spessore, attaccate alle pareti ci sono diverse scale fissate orizzontalmente a due metri da terra e in un angolo sono fissati dei bersagli. Una palestra di allenamento, insomma.

«Mica male!» esclama Chuck avvicinandosi ai bersagli come se fossero i suoi giocattoli preferiti. Anche i suoi compagni iniziano ad avvicinarsi alle cose che attirano la loro attenzione. 

I gemelli Carson si guardano afflitti. «Non c'è molta roba interessante per noi qui» borbotta Sam. Daniel si limita ad annuire. 
Proprio in quel momento il capitano Grayson tira una leva di legno e come per magia la parete dietro di lui inizia a ruotare su se stessa di 180 gradi, mostrando il lato posteriore. 

I due fratelli Rossi spalancano la bocca e anche i nostri soldati sono molto ammirati. La parete intera è attrezzata di ogni tipo di arma. 

«Ragazzi, sono in paradiso.» afferma Sam. Anche Chuck si lascia scappare un gridolino eccitato ed afferra un fucile di precisione più recente e attrezzato del suo. 

«Non avete molto tempo. Prendete ciò che sapete usare e armatevi.» ordina Grayson. 

«Cosa sta succedendo? Perché ci state rifornendo di armi? Avremmo dovuto rimanere solo per la notte, ci mancano diversi giorni per raggiungere la nostra Base.» s'intromette John inarcando un sopracciglio. 

Grayson sospira. «Voglio farvi una proposta. Uniamo le nostre unità. Abbiamo moltissime armi e un riferimento sicuro. Io e i miei uomini siamo rimasti solo in sei dopo un'imboscata tesa dai Sorveglianti.» 

A questo punto John solleva entrambe le sopracciglia, lasciando trasparire per la prima volta da quando siamo qui la sua sorpresa. «È impossibile, i Sorveglianti sono venuti a sapere della nostra esistenza da pochi mesi, non possono essere riusciti a localizzarci così presto.»

«Appunto.» dice Grayson con uno sguardo cupo. «Qualcuno ha fatto la spia. La Base Centrale non è più sicura.»

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