Un amore segreto e altre storie

di Lulumiao
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un amore segreto ***
Capitolo 2: *** Una bella giornata tra i fiori ***
Capitolo 3: *** Malinconia ***
Capitolo 4: *** Una visita speciale ***
Capitolo 5: *** Un insolito salvataggio ***
Capitolo 6: *** Un consiglio martellante ***
Capitolo 7: *** Notti di terrore ***
Capitolo 8: *** La sparizione ***
Capitolo 9: *** Buon compleanno! ***



Capitolo 1
*** Un amore segreto ***


ATTENZIONE: questa storia tratta di omosessualità. Se siete persone omofobe e siete qui solo per insultare, vi prego di non leggere. Grazie.
Dedico questa fanfiction a koopafreak, che scrive su questo fandom e mi incoraggia. :)
 
Personaggi: Peach, Daisy, padre di Peach, comparse varie, Mario, Luigi (citato), Rosalinda (citata), Mastro Toad, Bowser (citato)
Generi: Malinconico, Romantico, Sentimentale, Triste
Lunghezza: One shot (2663 parole)
Tipo di coppia: Shoujo-ai: Peach x Daisy
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating verde
 
 
Un amore segreto
 
Quel giorno era festa nazionale nel Regno dei Funghi: era il compleanno del re. Costui aveva lasciato il trono alla figlia Peach alcuni anni prima per una brutta malattia che non gli permetteva più di adempiere ai suoi doveri di sovrano, ma era rimasto nei cuori degli abitanti del Regno grazie alla sua straordinaria capacità di governare con giustizia e di ascoltare le esigenze dei suoi sudditi, aiutato dal saggio Mastro Toad, stimato quasi quanto lui. La sua politica pacifista gli era valsa l’affetto di tutti, ed era stato un trauma per il Paese sapere del suo grave malanno. Peach, salita al potere a vent’anni, come il padre era benvoluta da tutti, intratteneva ottimi rapporti dentro e fuori il regno: Mario e Bowser la amavano, Mastro Toad la trattava come una figlia, tutti i toad non potevano fare a meno di riempirla di riverenze e complimenti ogni volta che si trovavano al suo cospetto, molti monarchi dei regni vicini la vedevano di buon occhio. Ma era anche piena di impegni e obblighi: doveva occuparsi di politica interna e politica estera, tenere a bada Bowser, essere sempre equa e, come ogni giovane principessa, doveva ubbidire alla legge non scritta di sposarsi, prima o poi. Era proprio quest’ultimo il problema più grande. Era una bellissima ragazza, molti ambivano alla sua mano e nessuno dubitava che ben presto si sarebbe celebrato uno sfarzoso matrimonio, probabilmente con Mario, il grande salvatore del regno e pretendente numero uno parimerito con il re dei koopa. Ma Peach odiava sentir parlare di questo argomento, e nessuno capiva perché, visto che sembrava ricambiare il sentimento dell’idraulico. Purtroppo dietro questa facciata da eterna innamorata si celava ben altro: in realtà la principessa vedeva Mario solo come un caro amico a cui doveva la libertà dalla prigionia di Bowser, e nient’altro. Il suo cuore apparteneva a un’altra persona, ma una loro eventuale relazione probabilmente sarebbe stata disapprovata da tutti i suoi amici e consiglieri, perché chi aveva stregato la sovrana era una graziosa creatura dagli occhi da cerbiatto che era solita indossare un elegante abito giallo e arancione e dei deliziosi orecchini a forma di margherita.
 
Quella sera erano appunto in corso i festeggiamenti per i sessant’anni del re, che alla sua morte avrebbe concesso alla figlia di portare il titolo di regina. Ma era ben lontano dalla morte, in quanto la malattia gli causava solo un terribile affaticamento. Gli invitati erano accorsi al castello Toadstool carichi di doni e sorrisi sinceri. La serata cominciò con un imponente banchetto nella sala più ampia del palazzo e il re e sua figlia sedevano entrambi a capotavola. Le pietanze erano deliziose, e gli ospiti sembravano apprezzare. Prima del dolce, una grossa torta alla pesca che doveva essere buona quanto invitante, il re si alzò faticosamente attirando l’attenzione di tutti. Si schiarì la voce e parlò debolmente, agitando i baffoni neri. «Vorrei ringraziare tutti voi per essere qui questa sera. Non ho più il piacere di servire il Paese da diversi anni, e sono commosso dall’affetto che ancora mi riservate. Vedo dai vostri occhi che non siete qui per fare bella figura o per ingraziarvi i miei favori, ma siete qui per uno spirito di amicizia che persiste da molto tempo. Ringrazio Mario Mario per il suo eroismo, che ci ha tirati fuori da molti guai». Mario si alzò, fece un profondo inchino e ringraziò per i complimenti. Il re proseguì «Vorrei inoltre lodare pubblicamente mia figlia per l’ottimo lavoro che sta facendo con il Regno; pochi sono buoni, gentili e sensibili come lei». A queste parole Peach arrossì, tutta l’attenzione si era focalizzata su di lei, ma alzò il viso e guardò cordiale i commensali, prendendo la parola. «Mio padre dimentica che tutto quello che sono lo devo a lui e alla sua straordinaria capacità di educare secondo le regole della giustizia e del rispetto». Seguì un applauso, poi i camerieri servirono il dolce che fu seguito da un brindisi alla famiglia reale e al regno.
 
Conclusa la cena si diede inizio alle danze. Prima Peach ballò con Mario, e questo gesto fece correre dei mormorii tra gli invitati; la principessa non aveva bisogno di un grande intuito per indovinare l’argomento di quei sussurri. Mentre danzavano Mario la guardava estasiato, e Peach ricambiava con il suo immancabile sorriso.
«Sei incantevole queste sera, Peach», disse Mario con gli occhi che luccicavano. Per quanto fosse coraggioso e intelligente, davanti alla principessa assumeva un’aria da totale imbecille.
«Sei sempre troppo gentile, Mario. Non sono certo la donna più bella del Regno», rispose la futura regina inquieta. Lo sguardo di Mario non sembrava per niente d’accordo con le sue parole e non le staccava gli occhi di dosso. Peach odiava illudere quell’uomo che amava come un fratello, ma non si sentiva ancora pronta a confessare cosa c’era veramente nel suo cuore.
Ballò anche con Mastro Toad e con suo padre, con i quali parlò spensiereatamente dello svolgimento della festa e di altri argomenti leggeri. Poi, dato che per il momento nessuno sembrava intenzionato a ballare con lei, cercò con lo sguardo la ragazza dalla quale, durante la cena, era seduta molto distante. La vide che si intratteneva con un conte, dotato più di presunzione che di intelligenza. Un moto di invidia la prese. Quando il nobile si allontanò da Daisy, Peach si avvicinò. Daisy aveva quei bellissimi occhi, sempre pieni di determinazione e, allo stesso tempo, dolci. Si conoscevano dall’infanzia e presto quell’amicizia che le aveva unite fin da subito era diventata qualcosa di più, almeno da parte di Peach. Non si aspettava infatti che l’altra ricambiasse, la vedeva sempre fare gli occhi dolci a Luigi, il fratello di Mario.
Peach aveva scoperto la propria omosessualità a quindici anni: per quanto si sforzasse di negare l’evidenza, la sua attrazione per le donne cresceva di pari passo con la sua bellezza, e finalmente aveva capito che il forte affetto che nutriva per la principessa di Sarasaland non era solo amicizia. Si accettava, ma il suo orientamento sessuale difficilmente avrebbe incontrato il favore degli altri: era una principessa, doveva sposarsi e dare un erede alla famiglia Toadstool, non poteva perdersi in simili sciocchezze. Suo padre sarebbe inorridito così come Mastro Toad, e nel Paese sarebbe scoppiato uno scandalo. Era una situazione senza uscita.
Daisy ricambiò lo sguardo della coetanea e parlò, «Buonasera, Peach. Come stai?»
«Bene, sono felice che tua sia venuta. È sempre piacevole passare del tempo con te», rispose Peach con voce gentile.
Daisy sorrise «Ti va di fare quattro chiacchiere tra amiche? Non ci vediamo da tanto… ma spostiamoci, c’è una tale confusione qui…», disse.
«Andiamo in terrazza», propose Peach. Daisy accettò con il suo solito entusiasmo e insieme si avviarono all’aperto.
 
Trovarono la terrazza sgombra, erano tutti dentro a godersi la festa. Di notte quel punto offriva una vista incantevole del giardino del castello e della città illuminata. Era lì che la principessa amava appartarsi quando voleva riflettere lontana dalla confusione. Sulla terrazza c’era una bella panca di pietra dove le due nobili si sedettero. Peach non poté fare a meno di notare come la luce della luna si riflettesse sulla pelle già candida dell’amica, dandole un aspetto etereo che solo Rosalinda aveva il potere di superare. Daisy non aveva certo la fama di fanciulla in pericolo come Peach, era anzi famosa per il suo comportamento energico e deciso, e quella determinazione aveva sempre affascinato la principessa in rosa; quando era con lei, Peach si sentiva al sicuro. In effetti Daisy era sempre dalla sua parte e, anche se a volte c’era una competizione amichevole, la principessa di Sarasaland aveva sempre sostenuto Peach, rivelandosi fin da subito un’ottima amica. Peach, invece, a volte rimproverava la sua eccessiva esuberanza, ma anche lei c’era sempre nel momento del bisogno. In tutti quegli anni aveva imparato a nascondere i suoi sentimenti, dicendosi che Daisy era innamorata di Luigi e non c’era possibilità che la ricambiasse; per di più Luigi, ogni volta che vedeva Daisy, subiva un drastico ed eloquente arrossamento delle guance. Quella sera Luigi non era presente alla festa, altrimenti Daisy avrebbe passato tutta la serata con lui.
«Hai organizzato una festa piacevolissima Peach, complimenti», disse Daisy.
«Tutto merito dei toad, hanno un talento particolare per addobbare ed organizzare eventi mondani», rispose Peach ricordando i funghetti che quel giorno erano stati così indaffarati.
«Prestamene qualcuno, tra due mesi è il compleanno di mia cugina e non ho ancora organizzato niente», disse Daisy abbattuta.
«Lo sai che non amano lasciare la loro casa, e poi non puoi chiedermi di prestarteli come se fossero oggetti!», la rimproverò l’altra aggrottando le sopracciglia.
«Stavo solo scherzando, Peach…», si difese Daisy, «Troverò una soluzione. Ma ora parliamo di altro… Quando ti sposerai?» Daisy aveva la capacità di passare da un argomento all’altro con velocità e semplicità, lasciando spesso l’interlocutore spiazzato. Era proprio così che si sentì Peach ascoltando le parole dell’amica, e cercò di assumere il tono più naturale che poté quando rispose «Perché mi fai questa domanda? Davvero non colgo l’allusione».
«Non fare la finta tonta, si vede benissimo che Mario stravede per te, e tu non lo respingi di certo. È così da quando ti ha salvata la prima volta da quel mostro. Anzi, non capisco come mai non siete ancora marito e moglie». C’era una nota di stizza nella voce della principessa, ma Peach, preoccupata di fornire una risposta plausibile, non la notò.
«Daisy, sono ancora troppo giovane per pensare al matrimonio. Ammetto che Mario sembra adorarmi, ma finché non mi proporrà di diventare sua moglie io non farò niente». Brava Peach, si disse compiaciuta, hai fatto capire che non dipende da te. Ma Daisy ribatté alterata «Se aspetti che quel timidone ti chieda di sposarlo rimarrai zitella. Sembra quasi che non ti interessi diventare sua moglie».
Peach non sapeva cosa rispondere: se avesse detto di amarlo avrebbe salvato le apparenze, ma avrebbe mentito all’amica e, soprattutto, se c’era una remota possibilità di essere ricambiata, in questo modo l’avrebbe allontanata ancora di più. Ma se le avesse detto che non lo amava, le avrebbe dovuto spiegare perché passava tutto quel tempo con lui e perché non lo respingeva. Perciò optò per un rapido cambiamento di discorso «Beh, neanche tu sembri deciderti con Luigi», disse con un sorrisino malizioso.
Daisy, imbarazzata, rispose «Primo, stavamo parlando di te. Secondo, non capisco cosa vuoi dire».
«Sai benissimo cosa voglio dire, invece. Quell’uomo ti ama almeno quanto Mario ama me. E tu lo assecondi». Il tono di Peach era di rimprovero, e non sfuggì a Daisy.
«Beh? Non posso stare bene in compagnia di una persona? Ciò non significa che ne sia innamorata». Daisy, stranamente, arrossì. Non accadeva mai.
Peach era stupita, «Davvero non lo ami?» Chissà, forse una speranza c’era.
«No, è solo un caro amico che ha contribuito più volte al tuo salvataggio. Come posso non essergli riconoscente? Se non aiutasse Mario, tu saresti sempre rinchiusa nel castello di quella bestia…», rispose abbassando lo sguardo. No, decisamente non si era mai comportata così.
Peach saltò su, «Bowser vuole solo stare con me, non è un mostro come credi. Mi ama e non è ricambiato, capisco la sua sofferenza». Si accorse troppo tardi di aver parlato troppo. Che stupida che sei, si disse.
Daisy prontamente chiese, alzando un sopracciglio (Quanto è carina… pensò Peach), «Capisci la sua sofferenza? Per caso sei innamorata di qualcuno e non me lo vuoi dire?  Non può essere Mario, tutto si può dire di lui tranne che non ti ami».
Peach capì di essere in trappola. Non sapeva cosa raccontarle. Daisy notò il suo imbarazzo e disse «Peach, ci conosciamo da quando eravamo bambine, ci siamo sempre dette tutto e ormai ti conosco bene, lo vedo che mi stai nascondendo qualcosa». Era decisa a scoprire la verità. Dato che l’amica non rispondeva la sollecitò, «Allora?».
«Beh, ecco…», ormai non aveva uscite, Daisy era determinata a sapere tutto, quindi ormai doveva dirle la verità. O, perlomeno, una parvenza di verità. «Sì, in effetti, sono innamorata di qualcuno… e non è Mario». Era così agitata che la voce le tremava.
«Davvero?», Daisy sgranò gli occhi, «E me lo dici solo ora…? Chi è? Da quanto tempo va avanti?», il suo tono, più che curioso o arrabbiato, sembrava triste. Strano.
«Beh, è… ehm… un bel ragazzo… che… mmh… è arrivato nel regno due anni fa e… è entrato in politica e… beh, siamo diventati amici e, adesso, mi sono innamorata». Concluse diventando più rossa dei capelli di Daisy. Non era da lei raccontare bugie, ma non voleva rovinare quell’amicizia così solida. Se non poteva averla come fidanzata, voleva almeno averla come amica.
«Non mi convinci. Perché non me l’hai detto prima? Secondo me nascondi qualcosa».
Peach non sapeva più cosa rispondere. Si stava sentendo male e una lacrima scese sulla sua guancia. Daisy colse il suo malessere e si avvicinò allarmata. «Ehi, c’è qualcosa che non va? Non farmi preoccupare». La abbracciò delicatamente e il rossore sulle guance di Peach crebbe ancora di più. «Lo sai che puoi raccontarmi tutto… Dimmi cosa c’è che non va. Se è questo tipo che ti fa stare male, giuro che vado lì e lo prendo a cazzotti finché non ti chiederà scusa strisciando». La solita principesca delicatezza di Daisy. Peach sapeva che l’amica era capacissima di mettere in atto le sue parole, perciò, per non farla impensierire ulteriormente e per non metterla nella condizione di dover cercare per tutto il regno questo cattivo rubacuori immaginario, decise di smentire quanto detto in precedenza. «Daisy… la verità è che… non c’è nessun bel ragazzo arrivato nel regno due anni fa ed entrato in politica. L’ho inventato…».
Daisy era confusa «E perché, Peach? Raccontami tutto, non aver paura di quello che potrei pensare. Ti voglio bene, non ti lascerò mai». Queste parole stupirono Peach, l’amica non era mai stata così dolce. Ricambiò la stretta di Daisy e decise che, pur di non farla preoccupare, le avrebbe raccontato la verità. Anche perché quel peso stava diventando qualcosa di insostenibile. Doveva dirlo a qualcuno.
«Daisy… c’è una persona molto importante per me… è un amore molto forte che io provo da anni… Ma… non l’ho mai detto a nessuno per paura di non essere capita, e fino a un certo punto neanche io me ne rendevo conto…», disse asciugandosi le lacrime. Prese coraggio e confessò «Daisy… io ti amo».
Dopo aver pronunciato quelle parole si voltò vero Daisy. La stava guardando con un’espressione strana, che Peach non comprese. Poi vide una lacrima scendere sulla sua pelle lattea. Peach si sentiva morire, temeva di aver rovinato tutto. Poi, all’improvviso, sentì le morbide labbra dell’amica sulle sue. Non ci credeva, doveva essere un sogno. Era un bacio molto dolce e delicato, ma bastò per dissipare ogni dubbio da entrambe. Peach sentì le lacrime di Daisy mescolarsi con le proprie, e mai in vita sua era stata così felice. Si staccarono e Daisy mormorò esitante «Peach…». Le accarezzò una guancia. Peach non aveva mai visto gli occhi di Daisy accendersi di commozione. La ragazza dai capelli rossi parlò, tra le lacrime, «Anche io ti amo… Dal primo momento… Da quando i nostri genitori ci hanno fatte incontrare… Sei da sempre la regina del mio cuore…».
Peach era al settimo cielo, ma un pensiero turbò la sua mente. «Daisy… non possiamo stare insieme… non ce lo permetterebbero… io voglio stare con te, ma perderemmo di credibilità… la nostra vita diventerebbe un inferno… Come possiamo fare?».
Daisy asciugò le lacrime di Peach con il guanto e rispose «Peach, io non voglio rinunciare a te… se gli altri non vogliono il nostro amore, allora lo vivremo di nascosto…».
«Non sarà facile…»
«Ci proveremo», rispose Daisy con una luce determinata negli occhi.
In quel momento un toad le interruppe «Principesse, siete attese per la presentazione dei regali ricevuti dal re».
Peach fece un cenno di assenzo e il toad rientrò.
«Andiamo?», chiese Peach.
«Andiamo», rispose Daisy con un sorriso.
Insieme, tenendosi timidamente la mano, raggiunsero gli altri.

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Capitolo 2
*** Una bella giornata tra i fiori ***


Ho deciso di integrare il primo capitolo e di farlo diventare una raccolta di one shots. Non so se saranno tutte Peach x Daisy, ma se dovessi cambiare qualcosa modificherò le informazioni sotto l’introduzione.
Attenzione: l’italiano di Daisy potrebbe risultare un po’ scorretto. La cosa è voluta, serve a sottolineare il suo essere un “maschiaccio”. Buona lettura, tutte le recensione saranno accolte con entusiasmo. :)
 
Personaggi: Peach, Daisy, comparse varie, Mastro Toad
Generi: Commedia, Fluff, Romantico, Slice of life
Lunghezza: One shot (854 parole)
Tipo di coppia: Shoujo-ai: Peach x Daisy
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating giallo (allusioni sessuali, ma nulla di esplicito)
 
 
 
Una bella giornata tra i fiori
 
Era una splendida giornata di primavera nel Regno dei Funghi. Non faceva né troppo caldo né troppo freddo, e i toad trotterellavano spensierati per le strade canticchiando e beandosi del calore del sole. Persino i goomba, per quel giorno, avevano desistito dal vagabondare minacciosi per le verdi pianure del Regno spaventando i pavidi funghetti. Nulla turbava la tranquillità di quella mattina, e nel giardino del castello Toadstool la principessa Peach e la principessa Daisy stavano tranquillamente passeggiando tra i fiori; erano appunto i fiori l’argomento di discussione delle due, ormai fidanzate.
«Perché non assumi dei giardinieri seri?» chiese Daisy. Aveva una grande passione e una grande conoscenza dei fiori, e non poteva sopportare la vista di una rosa appassita o di una margherita dimenticata tra le erbacce.
«I miei giardinieri sono i migliori del regno, hanno superato tutti gli esami con il massimo dei voti» rispose Peach un po’ seccata.
«Se i migliori giardinieri del regno fanno questo disastro, chissà cosa combinano i peggiori. Questi giardini, in confronto ai miei, sono due fiorellini buttati lì. Dovresti farli curare di più».
«Daisy,» sospirò Peach, «a me vanno bene così, e nessuno ha mai avuto niente da obbiettare. Finché resterai qui dovrai passeggiare tra queste piante». Ma Daisy non la stava più ascoltando, era tutta presa da un albero di mele, a suo dire, orribilmente deturpato. «Che schifo, Peach, non lo posso vedere. Fammi sedere se no mi sento male» disse mentre si avviava verso una panchina circondata dai papaveri. Peach la seguì alzando gli occhi al cielo. Amava la sua ragazza, dal giorno in cui si erano messe insieme, seppur in segreto, era costantemente al settimo cielo, ma a volte aveva l’impressione di badare a una bambina di cinque anni. Da alcuni giorni era ospite al suo castello, e Peach le aveva chiesto se fosse sicura di poter lasciare il regno senza principessa per tutto quel tempo, ma evidentemente “in quel posto noiosissimo non c’era niente da fare” e “è impossibile ascoltare  i consiglieri tutti i giorni senza addormentarsi”. Perciò Daisy si era piazzata al palazzo Toadstool per un tempo indeterminato. In fondo a Peach faceva piacere stare con la sua fidanzata, e poteva addurre come scusa del lungo soggiorno dell’altra la necessità di svagarsi con la sua amica tra un rapimento e l’altro.
Peach si sedette accanto a Daisy e aprì il suo grazioso parasole rosa. Daisy, cogliendo la palla al balzo, si avvinghiò alla sua ragazza come una piovra.
«Approfitti di tutte le occasioni per abbracciarmi?» chiese Peach ridacchiando benevola. Non poteva non sciogliersi ogni volta che quel maschiaccio della sua fidanzata si lasciava andare.
«Ma che, è che c’è il sole e questo ombrellino è minuscolo, devo adattarmi». In effetti raramente Daisy le diceva cose sdolcinate.
«Vuoi dire che non ti piace abbracciarmi, amore? Potrei offendermi» disse Peach scherzando.
«Certo che mi piace abbracciarti, ma adesso è solo per il sole». Rispose l’altra convinta.
Sì, certo, pensò Peach.
Daisy si guardò intorno. «Questi papaveri, forse, sono gli unici fiori di questo “giardino” che non sembrano gridare “aiuto”. Sono abbastanza in salute. Forse chi li annaffia ha un minimo di coscienza».
Peach ci pensò su. In effetti quelli erano i fiori che suo padre aveva fatto piantare per il compleanno della figlia e aveva ordinato al capo giardiniere di curarli più del resto della vegetazione. Il papavero era il fiore preferito di Peach. Ne mise al corrente la ragazza che le stava stritolando le costole e gli occhi di quest’ultima si illuminarono.
«Davvero?! Allora so cosa regalarti per il cinque…» disse Daisy ispirata.
«Il cinque?» chiese Peach un po’ confusa. Quel numero le ricordava qualcosa…
«Amore, il cinque saranno sei mesi che stiamo insieme! Poi sono io quella che non si ricorda le cose!» si spazientì Daisy.
Ma sì, il nostro anniversario! Come ho fatto a dimenticarlo? Dev’essere la sua presenza, ruba tutta la mia attenzione, pensò Peach. Decise di scusarsi: «Scusa tesoro, mi è completamente sfuggito…».
Daisy non sapeva resistere davanti all’espressione dispiaciuta di quell’incantevole principessa e il suo visetto rotondo si addolcì.
«Per farti perdonare promettimi che cercherai dei giardinieri degni di questo nome. Forse te ne manderò qualcuno dei miei».
Peach sorrise sollevata. «Va bene, prometto che mi prenderò cura dei miei giardini con più attenzione. Ma non parlare male dei toad, sono gentili, simpatici, intelligenti e vigili» disse convinta.
Daisy scoppiò a ridere. «Quei cosi sarebbero vigili? Sono così vigili che quando di notte vengo nella tua stanza nessuno si accorge di niente. Potrei essere un ladro o un assassino che si intrufola nella camera della loro amata principessa e i guardiani non mi fermerebbero. Dormono. E russano anche. Considerati fortunata, perché durante le mie visite notturne fai un tale casino che solo i tuoi sveglissimi toad sono capaci di non sentire niente».   
 
Mastro Toad stava passando in giardino, in quel momento. Era senza pensieri quel giorno, era davvero una splendida mattinata. Vide in lontananza le due principesse. L’amicizia è una cosa meravigliosa, pensò. Osservò meglio le due ragazze, e si stupì quando si accorse che la sua principessa Peach era diventata più rossa dei papaveri che la circondavano.
 

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Capitolo 3
*** Malinconia ***


Una fanfiction introspettiva su Bowser… Buona lettura :)
 
Personaggi: Bowser, Peach (citata), Mario (citato), Koopa Troopa rosso, Kamek, Ocs (genitori e fratelli di Bowser, Clawdia Koopa) (citati), Bowser Jr. (citato), Bowserotti (citati)
Generi: Angst, Introspettivo, Malinconico, Sentimentale, Triste
Lunghezza: One shot (1247 parole)
Tipo di coppia: Het (citata): Bowser x Clawdia Koopa
Note: nessuna
Avvertimenti: Tematiche delicate
Rating verde
 
 
Malinconia
 
Bowser era particolarmente annoiato, quel giorno. Era una torrida giornata estiva e faceva un caldo infernale. Peach era stata salvata da Mario appena due giorni prima e lui, conoscendo gli impegni della principessa, non poteva rapirla di nuovo così presto. I Bowserotti stavano partecipando ad un campo estivo e la servitù era così accaldata da rimanere accasciata, mezza addormentata, alle spesse pareti di pietra del palazzo senza reagire agli stimoli. Bowser era seduto scompostamente sul suo enorme trono mentre uno sfortunato koopa sventolava un ventaglio più grosso di lui allo scopo di rinfrescare il sovrano. Era incredibile come non ci fosse assolutamente nulla degno di nota: nessun bowserotto che si lamentava, o che facesse saltare in aria un’ala del castello, nessun seccatore da affrontare, non c’era neanche la sua adorata principessa. Le uniche sue compagnie in quel momento erano il koopa spossato che sventolava e quel caldo tremendo; e certamente la lava che circondava la dimora non aiutava a refrigerarsi.
«Kamek!» ruggì il re, chiamando il suo aiutante mago. Il ruggito fece trasalire il piccolo koopa, che si nascose nel guscio. Bowser, vedendo che razza di fifoni aveva per soldati e notando che il magikoopa non si faceva ancora vedere, afferrò il piccoletto per il carapace rosso e lo scosse arrabbiato.
«Vieni fuori» ordinò, «o ti butto dalla finestra, ti ripesco e ti mangio cotto a puntino!». Difficilmente Bowser avrebbe mangiato un suo suddito, ma quelle minacce bastarono a far spuntare timidamente la testa gialla del koopa dal guscio.
«Visto che come sventolatore non vali niente, renditi utile e vai a cercare Kamek!» urlò Bowser. il piccoletto, desideroso di togliersi dagli artigli del drago, annuì velocemente e appena ebbe riguadagnato il terreno schizzò alla velocità della luce alla ricerca del mago.
 
Kamek, avendo capito dal tono del koopa terrorizzato che il suo padrone era molto irato, corse nella sala del trono sudando nella veste blu che non abbandonava mai.
«A-avete chiamato, vostra maestà?» chiese con il fiatone.
«Certo che ho chiamato, vecchio! Ho caldo, trova un modo per rinfrescarmi! Ora!» rispose Bowser asciugandosi il sudore con un fazzoletto ampio come una tovaglia.
«I-immediatamente, mio signore. Posso prepararvi una Crema Ghiacciolina, ma per intensificarne l’effetto e renderla più efficace per voi mi serve un vostro oggetto personale, possibilmente metallico…» rispose Kamek.
Il re sbuffò. «Quindi devo alzarmi e andare a prendere qualcosa che mi appartenga?» chiese.
«Esatto, eccellenza…».
Bowser, molto contrariato, grugnendo, si mise in piedi e si avviò a passi pesanti verso la sua camera da letto, ordinando al magikoopa di aspettarlo lì.
 
Il sovrano aprì la solida porta cremisi ed entrò nella sua stanza. Qui fa ancora più caldo, pensò. Si avvicinò al cassettone in cui teneva diverse cianfrusaglie alla ricerca di un tagliaunghie che aveva rotto tempo prima; era proprio ciò che faceva al caso suo: era di metallo e non lo usava più. Aprì il primo cassetto, trovandolo pieno di ciarpame. Cominciò a rovistare disordinatamente nel vano, svuotandolo per metà. Del tagliunghie neanche l’ombra. Dove diavolo l’ho messo?, si chiese. All’improvviso le sue zampe afferrarono un voluminoso libro. Bowser lo guardò. Lo riconosceva, ma erano anni che non lo sfogliava più… non lo sfogliava più dal quel giorno. La copertina era di pelle rossa, molto impolverata. Stava per gettarlo via, poi pensò che gli sciocchi fantasmi del passato non potevano sopraffarlo, lui in fondo era il potente re del male, l’orgoglioso capo delle forze oscure… non poteva spaventarsi davanti a un libro. Lo aprì con sicurezza. L’oggetto era in realtà un album fotografico, intitolato Bowser e la sua famiglia. La prima foto ritraeva un esserino molto simile a Bowser Junior, ma non era lui: era Bowser appena nato. Spuntava sorridente dall’uovo e aveva già due dentini. Nella seconda foto il piccolo era tra le braccia dei genitori: la madre un koopa robusto con i capelli color arcobaleno e gli occhi rossi, il padre più mingherlino, capelli rossi e pelle rosa, con grossi occhiali da vista. Le foto successive mostravano il principino lanciare la sua prima fiammata, mangiare un grosso stinco di chissà quale animale, terrorizzare i koopa con i suoi primi ruggiti infantili e altre situazioni quotidiane. Una foto dopo l’altra il koopa cresceva e in un’immagine lo si vedeva ancora abbastanza giovane accanto ai fratelli minori e al padre, al funerale della madre. Un’ombra di tristezza passò sul muso di Bowser, e fu rinnovata davanti alla fotografia del funerale del padre, scattata alcuni anni dopo. Ma fu la foto successiva a riaprire una ferita ormai suturata nel cuore del re: rappresentava lui stretto in un candido abito elegante che teneva per mano una bellissima koopa, più bassa di lui, snella, con la pelle nera come il carbone, il viso allungato e grazioso, i capelli blu e un segno a forma di stella tra gli occhi azzurri. Era il giorno in cui Bowser aveva sposato la persona che aveva rubato il suo cuore: Clawdia.
 
Da piccolo Bowser aveva incontrato l’incantevole principessa Peach, si era perdutamente innamorato di lei ed era sicuro che la bambina ricambiasse, ma aveva scoperto che l’altra non provava per lui il minimo interesse. Aveva provato a conquistarla, ma non c’era verso di entrare nel suo cuore. Ogni fallimento incupiva Bowser, e giorno dopo giorno diveniva sempre più iracondo. Ma poi da adulto aveva casualmente conosciuto Clawdia: era una koopa speciale, esuberante e attraente, e finalmente Bowser aveva parzialmente dimenticato l’amore per Peach, totalmente preso dalla sua nuova fiamma. Clawdia ricambiava quell’affetto e rendeva Bowser più aperto e solare. Un bel giorno, dopo mille corteggiamenti, il sovrano aveva preso coraggio e aveva chiesto a Clawdia di sposarlo: la koopa aveva accettato entusiasta e ben presto si era celebrato il matrimonio, davanti ad una folla festante di gusci rossi, verdi e grigi.
 
Le foto successive mostravano i frutti del loro amore: gli otto bowserotti e la loro crescita; quei tartarughini accendevano di vita i loro genitori e l’intero castello, si parlava sempre di loro e della felicità che portavano a mamma e papà. L’ottavo, che aveva l’onore di portare il nome del padre grazie alla spiccata somiglianza che aveva con il genitore, era spesso rappresentato tra le braccia della madre, che adorava il figlio più piccolo.
Ma c’era qualcosa di strano nelle ultime foto dell’album: Clawdia era sempre più magra, i capelli erano sempre più bianchi, gli occhi erano privi della lucentezza che avevano quando era giovane… guardando la penultima foto, Bowser ricordò che all’epoca dello scatto la consorte non riusciva più a stare in piedi. Una brutta malattia si era impossessata del suo corpo e l’ultima foto dell’album testimoniava il triste addio alla regina dei koopa, accanto a una bara color del fuoco.
 
Bowser era rimasto dilaniato da quella perdita: Clawdia era l’unica che lo sosteneva e che gli mostrava il bello della vita; era l’unica che gli aveva fatto dimenticare la principessa del Regno dei Funghi. Perciò, dopo quell’infausto evento, l’affetto per Peach era tornato e aveva stabilito che doveva conquistarla: non poteva vivere senza amore, non dopo averlo provato.
 
C’erano ancora molte pagine da riempire, ma non ne aveva più avuto la forza, né l’aveva più sfogliate prima di quel giorno. lo richiuse con violenza: non voleva ricordare. Non voleva far trasparire il suo unico punto debole. Doveva farsene una ragione: Clawdia non sarebbe più tornata. Doveva conquistare Peach, per il bene suo e dei suoi figli.
 Continuò la ricerca del tagliaunghie, ma invano: doveva averlo buttato senza ricordarsene. Rabbuiato, si gettò sul letto: c’erano drammi peggiori del caldo.

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Capitolo 4
*** Una visita speciale ***


Ecco un nuovo capitolo della mia raccolta, questa volta ci saranno un sacco di personaggi! Per non traumatizzare qualcuno vi ricordo che il Peach x Daisy è SEMPRE sottinteso, in questo episodio è presente, ma non è l’argomento principale. Come al solito se il linguaggio di Daisy, o in questo caso anche di Bowser, Wario e Waluigi, dovesse risultare un po’ sgangherato è per una mia scelta stilistica consapevole. Buona lettura :) *Super Mario Bros. 3 ** Super Mario Galaxy e Super Mario Galaxy 2
 
Personaggi: Rosalinda, Peach, Daisy, Bowser, Mario, Luigi, Mastro Toad, Strutzi giallo, comparse varie, Goomboss, Re Bob-omba, Wario, Waluigi, Donkey Kong, Diddy Kong, Funky Kong, Cranky Kong, sfavillotto giallo, sfavillotto babylume, bowserotti (citati), Bowser Jr. (citato), Kamek (citato), Kameka (citata)
Genere: Generale
Lunghezza: One shot (4117 parole)
Tipo di coppia: Shoujo-ai: Peach x Daisy
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating verde
 
 
 
Una visita speciale
 
 
Grandi festeggiamenti si svolgevano quel giorno nel Regno dei Funghi: si attendeva l’arrivo di Rosalinda, la principessa degli sfavillotti. L’incantevole ragazza era venerata come una dea dalla maggior parte dei terrestri, infatti vi era la ferma convinzione, non infondata, che ella vegliasse su tutto l’universo rendendolo un posto più pacifico e armonioso. E quella mattina Rosalinda sarebbe atterrata con i suoi sfavillotti proprio lì, nel regno in cui abitava Mario, colui che per ben due volte l’aveva aiutata a ribaltare le sorti delle galassie. Si organizzava tutto da mesi, sarebbero venute milioni di persone da tutto il mondo ad incontrare non solo l’affascinante donna circondata da strani esseri multicolori che solo Mario e pochi altri avevano visto, ma anche a conoscere lo stesso eroico idraulico che tante volte aveva sconfitto il terribile conquistatore Bowser.
Quei preparativi avevano messo tutti in agitazione, a cominciare da Mastro Toad, che in quel momento, avviandosi verso l’immensa piazza principale della città assieme alla principessa Peach a bordo della carrozza reale, stava leggendo una lunga pergamena piena di scrittura fitta fitta.
«Dunque, ascoltatemi bene principessa, è molto importante. Allora, alle dieci in punto ci sarà il nostro arrivo alla piazza, ci saranno moltissime persone, spero che riusciremo a passare, ecco ecco siamo già in ritardo, dovremmo affrettarci, non possiamo arrivare tardi all’incontro con una tanto illustre personalità, accidenti, mancano DUE, dico DUE minuti alle dieci e siamo ancora qui, alle dieci e cinque minuti dovremmo essere già scesi dalla carrozza, alle dieci e trenta minuti dovremmo aver già finito di salutare TUTTI. I. RE. che accidenti sono tantissimi e alle undici in punto Sua Altezza dovrebbe arrivare, no no no, non ce la faremo mai, MAI!!!». Mastro Toad aveva decisamente perso il suo abituale contegno ed era esageratamente preso dall’organizzazione dell’evento. La principessa sospirò, molto più tranquilla del suo consigliere.
«Nessuno si aspetta che arriviamo in perfetto orario, siate tranquillo. E poi Mario e Luigi sono già lì, ora tutta l’attenzione sarà diretta su di loro, non sono certo meno conosciuti di me. Ci sono quasi tutti i re della Terra, perché qualcuno dovrebbe accorgersi del nostro ritardo, oltretutto inferiore ai cinque minuti?» ribatté Peach.
«Perché voi siete la principessa del regno che ospita l’evento, non potete ritardare! Ah, se solo fossimo usciti prima… Ma quegli zucconi degli addetti non sanno preparare una carrozza in orario, no! Devono fare tutto all’ultimo momento!!». L’anziano stava decisamente perdendo il controllo, per i suoi standard “zucconi” era un termine fin troppo volgare. Peach sperava fortemente che si calmasse.
«E poi, questa vostra assurda decisione di non opporvi alla presenza di quel cafone senza cervello che dà sempre tante noie a tutti! Dovete essere ammattita, principessa» continuò il toad. Sì, era decisamente fuori di senno: in condizioni normali non si sarebbe mai permesso di dire a Peach che era una matta che prendeva decisioni assurde. Chiunque altro si sarebbe molto alterato per questa mancanza di rispetto, ma Peach, nota per la sua bontà, disse solamente: «Non vedo perché Bowser non dovrebbe avere la possibilità di farsi perdonare dalla principessa Rosalinda. Tutti meritano una seconda opportunità, e lui con la sua presenza ad un evento pacifico vuole mostrare il suo dispiacere per le orribili cose che ha fatto in passato, sia quelle riguardanti la Principessa, sia quelle svoltesi su questo pianeta. So che non smetterà di rapirmi, e io non glielo impedirò, so che la mia compagnia conta molto per lui, ma penso che cesserà di compiere crimini peggiori, come tramutare i re in animali* o creare galassie per conquistare l’universo**. Mi ha promesso che non sarà più così malvagio».
«E voi credete alle baggianate che racconta quel mostro? Non è affidabile!» esclamò Mastro Toad.
«Io gli credo» disse semplicemente Peach.
 
Finalmente la carrozza giunse, con ben tre scandalosi minuti di ritardo, in piazza. Peach non aveva mai visto tanta gente tutta insieme: bizzarre creature sconosciute provenienti da ogni angolo del globo, sovrani avvolti in sgargianti vesti festose, urla di giubilo... La principessa rimase incantata vedendo quella varietà di esseri e oggetti. La folla aveva riempito interamente anche le vie laterali. Quando la carrozza si fermò Peach scese insieme a Mastro Toad e moltissimi si avvicinarono inchinandosi. Peach ricambiò i saluti sorridendo e agitando lentamente la mano, accettò i baciamano di alcuni, tra cui Mario (che aveva sempre occhi adoranti per lei) e Luigi, e cercò di sistemarsi in un punto più riparato.
Ad un certo punto, facendo finta di niente, Daisy, la principessa di Sarasaland, si avvicinò a Peach tra la folla.
«Ciao, bella gnocca» disse Daisy senza guardare la fidanzata, apparentemente parlando da sola, in un maldestro tentativo di non dare troppo nell’occhio. Uno strutzi giallo che si trovava proprio davanti a Daisy si voltò sbattendo le ciglia, ma dalla faccia inorridita della ragazza capì che il complimento non era rivolto a lui… o lei… di qualunque sesso fosse quello strutzi.
«Non so se sia peggio che la gente ti senta chiamare “bella gnocca” uno strutzi o il tuo linguaggio assolutamente inadatto al tuo rango» la rimproverò Peach a bassa voce.
«Hai sempre da lamentarti tu, neanche ti si può fare un complimento che subito cominci a brontolare» disse Daisy infastidita.
«Ricordati» disse Peach ignorandola «Che Mastro Toad ci tiene molto che io e te facciamo finta di essere appena conoscenti, per oggi… sai, secondo lui è sconveniente che due sovrane passino il tempo a fare amicizia piuttosto che governare il regno e non vuole dare questa impressione agli ospiti».
«Mastro Toad dice questo, Mastro Toad dice quello… Secondo me sbagli a dare sempre retta a quel vecchio, vuole un po’ troppe cose per i miei gusti…» sbuffò Daisy.
«È il mio consigliere più fidato e mi ha allevata come una figlia, non mi dispiace accontentarlo. Inoltre oggi è molto agitato, non voglio innervosirlo ancora di più. Spero che per un giorno riuscirai a non essere la mia ombra, come invece fai di solito» disse Peach.
«Sono capacissima di non accollarmi, stai tranquilla». Ovviamente non ne era capace. Seguì una pausa di qualche minuto, poi Daisy riprese: ­«Senti un po’, tu che hai visto Rosalinda, dimmi… com’è?».
«È alta, magra, ha i capelli biondi e gli occhi chiari».
«Ohhh, caspita… È bella?» domandò Daisy con interesse.
«Sì, molto» rispose Peach. In effetti era molto bella e Peach non voleva perdersi per nulla al mondo la faccia ingelosita dell’altra.
Come previsto, Daisy inarcò le sopracciglia. «Mh, davvero? È più bella di me?» chiese.
Peach, anche se non desiderava certo un brutale omicidio di Rosalinda da parte della sua ragazza, rispose sinceramente come era solita fare: «Sì, è più bella di te». Poi vide l’espressione triste che si era formata sul viso di Daisy e aggiunse sottovoce, intenerita: «Ma tu sei il mio amore, sciocchina».
Gli occhi di Daisy brillarono e, dimenticando l’avvertimento di poco prima, abbracciò di slancio l’altra principessa. «Anche tu sei il mio amore, scema».
Dato che non sembrava avere intenzione di sciogliere l’abbraccio, Peach la esortò: «Ricordati che oggi ci conosciamo appena. E smettila di toccarmi il sedere».
«Ah, sì, scusa».
 
Nel frattempo Bowser si stava avvicinando. Peach, durante l’ultimo rapimento, lo aveva esortato a non essere troppo appariscente per non spaventare tutti e a mantenere un comportamento decoroso; il che includeva non farsi scortare dall’esercito, non presentarsi a bordo di una nave volante con l’intera flotta al seguito, non portare né quelle pesti dei suoi figli né Kamek o Kameka, non sparare palle di fuoco o simili per annunciare il suo arrivo, non sfidare Mario e Luigi in un duello all’ultimo sangue ed essere educato e cortese con tutti. La sua presenza era già stata ampiamente pubblicizzata da una gran quantità di volantini voluti da Peach e distribuiti dai toad, sui quali era scritto a caratteri cubitali che Bowser non aveva alcuna intenzione di attaccare e che la sua presenza non doveva spaventare nessuno.
In realtà il re dei koopa non era affatto pentito di tutti i disastri combinati in passato, ma aveva capito che qualunque conquista o rapimento tentasse di portare a termine i due idraulici l’avrebbero sicuramente fermato come era già successo numerose volte, perciò aveva deciso che in futuro si sarebbe limitato a rapire Peach per passare un po’ di tempo con lei e a tiranneggiare qua e là. Ma non escludeva che se gli fosse venuta un’idea geniale sarebbe ritornato la furia di un tempo. In ogni caso quell’evento sarebbe servito a vedere la sua amata principessa e a fare bella figura con il mondo intero. Non male.
Seguendo i suggerimenti della sua amata aveva scelto come mezzo di trasporto la Koopa Clown Car e aveva portato con sé solo un koopa e un goomba, giusto per far vedere che non era un barbone e aveva della servitù. I due poverini erano schiacciati al fianco di Bowser, assolutamente noncurante della comodità dei suoi sottoposti. Il re guardava felice l’orizzonte e già poteva scorgere l’enorme folla che invadeva la piazza principale e le vie secondarie. Non immaginava che ci fosse tanta gente: Rosalinda doveva essere davvero famosa.
Dopo circa dieci minuti atterrarono: molti si spostarono spaventati e fecero spazio allo strano trabiccolo. Bowser, con un ringhio eloquente, esortò i due servitori a srotolare il lungo tappeto rosso che si era portato da casa. Il goomba e il koopa obbedirono e Bowser smontò dallo strano mezzo marciando lungo il pezzo di stoffa sotto lo sguardo rassegnato di Peach che pensò: Beh, poteva anche andare peggio. Quando ritenne di essere stato ammirato abbastanza, Bowser si avvicinò alla principessa. «Buongiorno, cara Peach» salutò accompagnando le parole con un goffo inchino rivolto alla principessa in rosa, ignorando completamente Daisy e qualche altra decina di sovrani che si trovavano nei dintorni.
«Buongiorno, Bowser. Hai fatto un buon viaggio?» chiese educatamente Peach.
«Non molto, non si sta comodi in tre sul quell’affare minuscolo. Ma l’ho scelto apposta per seguire la tua volontà. Non sono stato per niente appariscente» rispose con un’espressione compiaciuta.
«Beh, diciamo che potevi fare di meglio. Comunque dovresti salutare anche gli altri re e regine, non essere maleducato».
«Sì, dovresti salutare anche qualcun altro, signor Sonoilpiufigo» si intromise Daisy con le mani sui fianchi.
Peach pensò che per tutto il giorno avrebbe dovuto badare a quei due bambini; aveva il presentimento che la sua capricciosa fidanzata e il suo regale pretendente si sarebbero guardati in cagnesco per tutta la durata dei festeggiamenti. Bowser, fortunatamente, non sapeva della relazione tra le due ragazze (in realtà nessuno lo sapeva), ma aveva provato un’irrefrenabile antipatia per la principessa di Sarasaland dal primo momento in cui l’aveva vista; un’antipatia di poco inferiore a quella che provava per Mario. Quest’odio era ricambiato da Daisy, ma era dettato principalmente dalla gelosia e dai continui rapimenti che la povera Peach subiva. Meno male che c’erano sempre Mario e Luigi a salvare la situazione. E anche questi ultimi erano nelle vicinanze, scrutando attentamente ogni mossa del grosso drago.
«Ciao, ragazzina» disse svogliatamente Bowser prima di allontanarsi per recarsi a rendere omaggio al suo amico Re Goomboss, un altro losco figuro che molti guardavano con timore.
«Oh, ragazzina a chi? Torna subito qui ché ti prendo a cazzotti, brutto bacarozzo!» urlò Daisy agitando i pugni. Bowser fece finta di non sentirla e continuò per la sua strada facendosi largo tra la gente.
Peach posò una mano sulla spalla dell’amata. «Calmati, non voglio che vi mettiate a litigare ora… E poi toglimi una curiosità: avevi un educatore da bambina? Ti insegnava questo linguaggio triviale?»
«Sì, va be’, ma tanto si addormentava sempre quando facevamo lezione» disse Daisy calmandosi.
 
Anche Wario e Waluigi avevano deciso di prendere parte all’evento.
«Uha ah ah, non vedo l’ora di vedere ‘sta Rosalinda. Dicono tutti che è bellissima, ma come diceva sempre nonno Attilio per credere a una cosa la devi vedere coi tuoi occhi!» disse Wario, che trasportava un grosso cestino da picnic maleodorante.
«Sì, magari c’è qualcosa da sgraffignare, è una riccona questa… Ma che è ‘sta puzza? Che ci hai messo nei panini?!» esclamò Waluigi tappandosi il naso.
«Ho fatto un po’ di strati: cipolla, aglio, pancetta, cipolla, aglio, prosciutto crudo, cipolla, aglio, mortadella, cipolla, aglio, salame, cipolla, aglio, ketchup, cipolla, aglio, hamburger, cipolla, aglio, maionese, cipolla, aglio, senape e… cipolla e aglio» rispose Wario contando sulle dita e compiacendosi delle sue doti culinarie.
«Che schifo, citrullo!» si lamentò Waluigi affibbiando un pugno in testa all’amico. «Lo sai che la senape mi fa schifo!» urlò.
«Statti calmo, nel tuo non c’ho messo la senape e ho messo uno strato in più di cipolla e aglio» si difese Wario.
«Ah, allora va bene» disse Waluigi soddisfatto. Dopo un po’ riprese: «Senti, l’hai scritto il bigliettino? Così lo diamo a Rosalinda e magari ci regala qualcosa».
«Sì, leggi un po’ se va bene, ché io non sono tanto bravo a scrivere, può essere che ho fatto qualche errore» rispose Wario porgendo all’amico un pezzo di carta tutto unto. Waluigi lo prese e lesse. Vi era scritto: Ben venuta principesa nela nostra citta tanti auguri spero che sta bene qui che e un bel posto spero che ti piace ha te sei belisima ciao wario e waluigi.
«Va be’ sì, è scritto bene, gli piacerà sicuramente alla principessa» disse Waluigi convinto dopo aver letto.
Continuarono il cammino e ben presto giunsero a destinazione.
«Ammazza quanta gente!» disse Wario.
«Vedi se c’è qualcuno che gli possiamo fregare il portafogli» suggerì l’altro.
«Sì, mo guardo, aspetta che prima mi mangio un panino ché se no muoio» rispose Wario aprendo il cestino e diffondendo una puzza micidiale che fece girare molte facce disgustate. Per fortuna i toad non avevano il naso, o sarebbero svenuti.
Anche Mario e Luigi si accorsero della loro presenza e continuarono a parlare fitto fitto in italiano.
«Non capisco perché Peach non si sia opposta alla presenza di Bowser. È un elemento pericoloso, non dobbiamo fidarci di lui! Guarda, Luigi, sono venuti anche Wario e Waluigi! Quei delinquenti… Combineranno qualche guaio, ne sono certo. E a quanto pare oggi siamo tutti un po’ agitati, Daisy sta minacciando Bowser di prenderlo a pugni! Dio, potrebbe ucciderla! Ah, no, Peach l’ha calmata… Ma mi stai ascoltando, Luigi?». In effetti Luigi era in contemplazione della sua amata principessa in giallo e prestava ben poca attenzione alle parole del fratello.
«Cosa? Non ho capito, Mario, stavo guardando Daisy che voleva mettere le mani addosso a Bowser, per fortuna Peach l’ha fermata, hai visto? Puoi ripetere, scusa?» disse Luigi tornando alla realtà.
«Niente…» rispose Mario rassegnato. «Oh, no, ci sono anche i Kong… dalla padella alla brace…». Infatti ecco arrivare Donkey Kong, Diddy Kong, Funky Kong e Cranky Kong direttamente dalla giungla. I quattro facevano un chiasso infernale e salutavano chiunque capitasse loro davanti con una bella pacca sulla spalla, che fosse un re, una principessa o un robusto destriero.
 
Erano le undici meno due minuti e Mastro Toad si avvicinò trafelato alla principessa Peach.
«Vostra maestà, la principessa Rosalinda sarà qui tra due minuti, dobbiamo ordinare alla folla di fare silenzio, o nessuno si accorgerà del suo arrivo!» esclamò.
Peach rifletté un attimo e poi si diresse verso Bowser che stava conversando con l’educato Re Bob-omba. «Bowser, avremmo bisogno che tu induca la folla al silenzio» disse Peach, salutando la grossa bob-omba nera con un leggero inchino.
«Subito, mia adorata» rispose Bowser, sempre contento di mettersi in mostra. Fece un respiro profondo e urlò: «SILENZIO!», producendo una leggera fuoriuscita di fumo dalla bocca. Tutti un po’ impauriti si girarono verso di lui che, colto alla sprovvista e non sapendo bene cosa dire, improvvisò: «Ehm… Zitti tutti! Sta per arrivare la principessa Rosalinda!».
Si udirono mormorii eccitati e tutti si guardarono intorno.
Alle undici in punto una forte luce investì il centro della piazza, spaventando un gruppetto di toad che sventolavano delle bandiere con l’immagine di Rosalinda. La Principessa dei Cieli si materializzò all’improvviso davanti a tutti attorniata da due sfavillotti, uno giallo vivo, l’altro, più piccolo, di un chiarissimo colore tra il giallo e il rosa. Non ci sarebbe stato bisogno dell’esortazione di Bowser, in realtà: Rosalinda si faceva notare. Era di una bellezza senza pari, aveva dei lineamenti delicati e dolci, sui chiarissimi capelli biondi era posata una piccola coroncina decorata da alcune gemme e indossava un bell’abito celeste; ma la cosa che più colpiva era l’aura eterea che la circondava, quasi fosse un sogno o una visione.
Dopo un primo momento di stupore generale tutti applaudirono ed esultarono. Rosalinda salutò agitando lentamente la mano e Peach, essendo la principessa del Paese ospitante, si avvicinò e si inchinò tenendosi l’orlo del vestito. Rosalinda ricambiò il saluto alla stessa maniera. Si avvicinò a Peach e parlò con una voce adorabile, quasi musicale, sorridendo. «Buongiorno, principessa. Sono onorata di trovarmi qui».
«Benvenuta, è con grande piacere che oggi vi accogliamo. Tutti noi siamo venuti appositamente per vedervi. Sappiamo che i vostri poteri portano pace e gioia nell’universo, e ve ne siamo infinitamente grati. Avete intenzione di parlare alla folla?» disse Peach sorridendo a sua volta.
«Con piacere. Chiedo solo di spostarmi ad un’estremità della piazza, in modo di essere di fronte a tutti».
«Necessitate di qualche mezzo per farvi udire da tutti?» chiese Peach.
«No, non mi servirà nulla. Ora, con il vostro permesso, mi sposterò» dichiarò Rosalinda. Si incamminò verso un punto della circonferenza della piazza. Tutti la lasciavano passare ammirati e si inchinavano profondamente. Arrivata a destinazione con gli sfavillotti e trovandosi di fronte a tutti, Rosalinda chiuse gli occhi concentrandosi e magicamente comparve una proiezione enormemente ingrandita del suo corpo, esattamente sopra di lei. In questo modo tutti potevano vederla e sentire cosa diceva, anche i più lontani.
«È un grande onore per me trovarmi qui. Spesso faccio visita ai pianeti, e per la visita di oggi ho scelto proprio la Terra. È un posto incantevole, con paesaggi e abitanti uno diverso dall’altro, è uno dei più bei pianeti dell’universo. Sono qui per parlarvi dell’amore che vince sull’odio, della pace al posto sulla guerra, del bene che trionfa sul male. Ma prima di tutto voglio ringraziare Mario Mario, che per ben due volte mi ha offerto il suo aiuto fondamentale». Qui tutti guardarono Mario, e lo sfavillotto più piccolo, che fino a quel momento era rimasto accanto a Rosalinda, volò verso di lui e lo abbracciò. La principessa continuò: «Vorrei inoltre ringraziare il re Bowser Koopa per la sua presenza pacifica qui: è un gesto che significa molto». Bowser arrossì quando tutti si voltarono verso di lui.
Il discorso di Rosalinda continuò per circa un’ora e trattò del rispetto, della pace da preservare a tutti i costi, dell’armonia che poteva mantenere solo se aiutata e supportata da tutti… Un discorso che lasciò gli ascoltatori a bocca aperta: Rosalinda era interessante, bella e dolce, e nessuno sfuggiva al suo fascino.
Finito il discorso, durante il quale non era volata una mosca, tutti applaudirono entusiasti. Peach si avvicinò a Rosalinda e la invitò a salire sulla sua carrozza per dirigersi al castello Toadstool, dove era stato allestito un faraonico banchetto. Rosalinda accettò e tra acclamazioni e grida le due principesse si accomodarono nello spazioso vano della carrozza rosa, dirette al castello di Peach.
 
Per ovvi motivi di spazio al banchetto erano stati invitati solo Mario, Luigi, Mastro Toad, i sovrani (che erano comunque circa quattrocento) e non tutti i presenti all’evento, che sfioravano numeri a sei zeri. Un gruppo di toad guardiani scortò le due principesse e tutti gli invitati nell’immensa sala da pranzo. Nella sala era presente, ad attendere tutti, l’anziano padre di Peach, il re, seduto su una sedia, troppo affaticato dalla malattia e dalla vecchiaia per alzarsi. Era seduto a capotavola. Diede un caloroso benvenuto a Rosalinda e la invitò a sedersi all’altro capo della tavola insieme ai due sfavillotti.
C’era una gran confusione e nessuno si accorse di due voci che provenivano dall’interno di una cassapanca.
«Oh, senti che casino, sono arrivati tutti».
«Sicuramente Rosalinda è contenta della sorpresa che gli facciamo».
«Chi glielo dà il bigliettino?».
«Io, sono più alto e più bello. Tu sei ciccione e brutto».
«Oh, guarda che ti meno. Io sono bellissimo, non sono ciccione e brutto. Quello brutto sei te, sei secco come un chiodo, io invece c’ho ‘sti bei muscoli».
«Zitto ché ci scoprono. Dobbiamo uscire solo quando si sono seduti tutti e stanno tipo al secondo. Poi diamo il bigliettino alla principessa e sicuramente ci regala uno di quegli animali che si porta dietro».
«Io c’ho già fame».
«Zitto t’ho detto, poi ti sei mangiato una panino gigante».
«Va be’, sto zitto».
Wario e Waluigi volevano sorprendere la principessa Rosalinda, uscendo agilmente dalla cassapanca in cui si erano intrufolati di nascosto e porgendole l’elegante bigliettino, ormai ridotto a un ammasso unto e sudaticcio nel guanto di Wario.
Nel frattempo il pranzo era cominciato e i commensali stavano gustando i deliziosi piatti preparati dagli chef del castello. Daisy si era accomodata al fianco della fidanzata, ovviamente facendo finta di essere solo conoscenti, per godere della vicinanza della sua incantevole ragazza e per guardare meglio quella strana signora affascinante. Mario e Luigi erano seduti, rispettivamente, davanti a Peach e a Daisy. Tutti e quattro conversavano amabilmente con Rosalinda, parlando delle meraviglie che si potevano trovare passeggiando tra le galassie, della difficoltà di tenere le redini di un regno o semplicemente della bontà della zuppa che stavano gustando. Bowser era seduto accanto a Daisy e ogni tanto le lanciava occhiate omicide: quell’antipatica si era seduta tra lui e Peach. Proprio mentre Rosalinda si stava rivolgendo al re dei koopa si udì uno schianto. Tutti si voltarono in direzione del rumore e videro Wario e Waluigi a terra accanto a una cassapanca rovesciata; i due amici saltarono in piedi velocemente e raggiunsero trotterellando Rosalinda. I toad guardiani si avvicinarono minacciosamente. Wario e Waluigi si inchinarono teatralmente davanti a Rosalinda ed esordirono: «Ciao principessa!».
«Ciao principessa!».
«Ti abbiamo portato un bigliettino, l’ho scritto io!».
Waluigi lo strappò dalla mano di Wario e lo porse a Rosalinda. «L’ha scritto lui, ma te lo do io, ché sono più bello».
Rosalinda, divertita, prese il biglietto e lo lesse. Poi parlò: «Siete stati molto gentili, signori. Per ricompensare la vostra premura vi darò questa». Tirò fuori un’astroscheggia e la porse a Waluigi. «Ma credo che non dobbiate essere qui» continuò. «Credo che dobbiate uscire dal castello. Ma ricorderò per sempre il vostro pensiero gentile».
Wario e Waluigi, ridendo e arrossendo, furono trascinati fuori dai toad.
 
Ore dopo il banchetto finì e gli invitati se ne andarono. Anche Rosalinda, piena di impegni, doveva partire. Nell’ingresso del castello salutò, ma se ne andò per ultima. Prese da parte Peach in un momento in cui erano sole e le disse: «Principessa, è sbagliato nascondere a tutti i propri sentimenti. Il coraggio sta anche nell’affrontare le proprie paure, nel vostro caso la paura di non essere accettata».
Peach, colta di sorpresa, non poteva credere che Rosalinda avesse intuito il suo fidanzamento segreto con Daisy, perciò rispose, facendo finta di non aver capito: «A cosa vi riferite?».
«Mi riferisco al vostro forte legame affettivo con la principessa Daisy. Seguite il mio suggerimento e non nascondetevi oltre. A lungo andare vi logorerà».
Peach era disorientata e chiese: «Ma… come avete fatto a capirlo?».
Rosalinda sorrise. «Percepisco i sentimenti e le intenzioni delle persone. Ascoltatemi, nascondersi farà male al vostro rapporto. La principessa è una bellissima ragazza che vi ama molto, non dovete rischiare di perderla. Anche lei soffre di questa continua segretezza. Seguite il mio consiglio».
«…Le parlerò e… ci proveremo…» rispose Peach un po’ imbarazzata. Non poteva dare torto a Rosalinda, ma non era facile per due principesse confessare un segreto così grande.
«Ora devo andare. Che le stelle illuminino il vostro cammino. Arrivederci». Rosalinda scomparve in un lampo di luce sotto gli occhi di Peach e di Daisy, appena rientrata dal giardino. Ora le due ragazze erano sole. Daisy abbracciò la sua compagna da dietro e le posò la testa sulla spalla. «Che ti ha detto Rosalinda, amore?» chiese.
Peach sospirò, prendendo le mani della ragazza posate sul suo ventre. «Mi ha detto che non dobbiamo nascondere il nostro amore».
«…Che? Ma come l’ha capito?» Daisy era stupita almeno come Peach.
«Beh, è Rosalinda» rispose l’altra. Fece una pausa e poi aggiunse con un sorriso furbo: «Ha detto anche che sei una bella gnocca».
«Davvero?».
«Ha detto che sei una bellissima ragazza. Beh, il significato è quello». Si giustificò Peach.
«Non hai detto che queste espressioni non sono adatte al rango di una principessa?» la punzecchiò Daisy.
«Forse. Ti va una tazza di tè?» chiese Peach, eludendo la domanda.
Daisy ridacchiò, dandole un bacio sulla guancia. «Certo, tesoro».
E insieme si avviarono in giardino, sorridenti, sotto il sole del tramonto.
 
 

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Capitolo 5
*** Un insolito salvataggio ***


Eccomi con un nuovo capitolo della raccolta! Ci ho messo un po’ ad aggiornare perché ho scritto una fanfiction su Animal Crossing, che doveva essere una cosa drammatica, ma mi sa che non sono riuscita nel mio intento D: Va be’, non tutte le ciambelle escono col buco. Se vi va di darle un’occhiata la trovate sul mio profilo.
Venendo a questo capitolo, è un’idea che avevo per la testa da un po’. Per il prossimo ci sarà un po’ da aspettare temo, per il momento non ho idee. Perdonatemi l’inserimento del mio gioco da tavolo preferito, ma non ho saputo resistere :3 Be’, buona lettura, e ricordatevi il solito avvertimento sul linguaggio di alcuni personaggi; ci tengo a precisarlo perché non voglio che si pensi che non so l’italiano XD Sarò molto felice di ricevere delle recensioni, siano esse positive o negative :)
 
Personaggi: Peach, Daisy, Bowser, Bowserotti, Bowser Jr., Mario (citato), Luigi (citato), comparse varie, Yoshi (citato), Wario (citato), Kamek
Generi: Azione, Comico, Romantico, Sentimentale, Triste
Lunghezza: One shot (2834 parole)
Tipo di coppia: Yuri: Peach x Daisy
Note: Lime
Avvertimenti: Violenza (non esplicita)
Rating giallo (lievissimi accenni di sesso, ma nessuna descrizione esplicita)
 
 
 
 
Un insolito salvataggio
 
 
«Mi devi centoventi M!».
«No, sono di meno, prima hai tolto una casa, ti ricordi?».
«Ma poi Wendy è passata sul castello di papà, ho preso i soldi e l’ho rimessa!».
«Ah, già… Accidenti, sto andando in bancarotta… Qualcuno mi compra la Società della lava potabile in cambio di qualche spicciolo?».
Le partite a Monopoly erano sempre alquanto chiassose nel castello di Bowser; Peach lo aveva scoperto non appena Iggy si era presentato nel salone del palazzo trasportando una scatola impolverata che conteneva il famoso gioco da tavolo, radunando padre e fratelli. Sfortunatamente Peach si trovava lì e le sembrava maleducato rifiutare di giocare dopo aver ricevuto un caloroso invito da parte di Larry, nonostante ella considerasse Monopoly un gioco noioso e basato principalmente sulla fortuna. I nove koopa avevano cominciato da subito a litigare: per i posti a sedere («Non voglio stare sulla gamba del tavolo!»), per le pedine («il guscio verde è MIO!»), per le proprietà («Non è giusto, io ho tutte proprietà scrause!») e, in generale, per l’andamento della partita, che stava per vedere la sconfitta per esaurimento di denaro di Roy, il quale stava cercando di affibbiare a qualcuno la Società della lava potabile per ricavarne qualcosa. Ludwig era il fortunato possessore del Castello di Bowser, la proprietà più costosa, mentre il Castello di Peach, che faceva coppia con il Castello di Bowser, era custodito tra gli artigli di Iggy; il koopa dai capelli blu stava cercando di comprarlo dal fratello spilungone, decisamente restio a cederglielo. Intanto Morton e Bowser Junior stavano discutendo su una presunta irregolarità degli spazi percorsi dalla pedina del cucciolo dal guscio verde. Tutte queste trattative davano vita a un chiasso terribile e Peach sospettava che prima o poi qualcuno avrebbe dato fuoco al tavolo con l’alito draghesco in preda alla rabbia. Lei, silenziosamente seduta vicino al Posteggio gratuito, osservava la scena aspettando il proprio turno. La partita andava avanti ormai da due ore e la principessa dei funghi, che come pedina aveva un bizzarro uovo bianco a pallini verdi da cui spuntava uno yoshi in miniatura, si era decisamente stancata di giocare.
La litigata tra Morton e Bowser Junior stava prendendo una brutta piega, ma fortunatamente in quel momento entrò correndo un koopa rosso, catturando l’attenzione dei giocatori. La piccola tartaruga corse dal re e, evidentemente sconvolta, disse: «Vostra maestà, correte, è terribile!».
«Che cosa è terribile, microbo?» domandò Bowser, infastidito dall’interruzione.
«È venuto il momento!» rispose il koopa rosso ansimando così tanto da non riuscire a parlare bene. «Il momento… di… lottare… per la principessa!».
Gli occhi di Bowser si accesero di furia e ringhiò, con il fumo che usciva dalle narici tanta era la sua rabbia: «Cosa?! Di già?! Ho rapito Peach solo due giorni fa! È inammissibile che quello scocciatore di Mario sia già arrivato! Ah, ma adesso mi sente, ora conoscerà la vera forza di Bowser! Questa volta me lo mangio davvero!».
«Ma… maestà… c’è una cosa che… non vi ho detto…» tentò di dire il piccolo koopa, ma Bowser, minaccioso come raramente era stato, gli urlò: «Non mi importa! Vai ad avvisare le truppe che questa volta le voglio al mio fianco in battaglia! Sbrigati!».
Il koopa troopa, terrorizzato e ancora molto affaticato a causa della corsa, obbedì, uscendo frettolosamente dalla stanza, seguito da Bowser. I passi del sovrano fecero tremare il pavimento e le pareti.
I principi e Peach rimasero ammutoliti: non avevano mai visto Bowser così fuori di sé; evidentemente era un affronto troppo grande da parte di Mario venire a salvare Peach così presto. Infatti di solito la principessa rimaneva al castello almeno due settimane, il tempo medio che serviva all’idraulico per raggiungere il Regno Oscuro dopo mille peripezie. Peach, in effetti, si chiedeva come avesse fatto ad arrivare al castello in soli due giorni… E la insospettiva quella cosa che il piccolo koopa aveva cercato di dire a Bowser e che non era riuscito ad enunciare a causa della fretta del re. Peach temeva per Mario: era un suo caro amico e aveva paura che, per quanto eroico, non ce l’avrebbe fatta contro l’intero esercito di Bowser.
 
Un’ora.
Due ore.
Tre ore.
Quattro ore.
Erano ormai le dieci di sera e, a parte il frastuono che proveniva dai piani inferiori, non si avevano notizie né di Bowser né di Mario. Peach non osava avvicinarsi alla battaglia per paura di essere coinvolta e sedeva, molto irrequieta, su una poltrona, con accanto Larry e Morton addormentati sul divano. Bowser Junior era andato ad aiutare il padre e gli altri bowserotti si erano ritirati nelle proprie stanze, certi che quella volta il padre avrebbe avuto la meglio. In un certo senso i boati e gli schianti che rompevano la quiete della sera erano rassicuranti, significava che la battaglia non era ancora finita e che Mario non era stato sconfitto. Peach sperava ardentemente che l’amico vincesse, non solo per l’affetto nei suoi confronti, ma anche perché aveva da fare a casa: doveva sistemare alcune carte, rivedere dei conti, scrivere una lettera all’ambasciatore delle Buon-ombe... Era talmente persa nei suoi pensieri rimuginando su tutte le mansioni da svolgere che non si accorse che il chiasso andava via via diminuendo; solo quando scomparve del tutto si accorse del cambiamento e tese l’orecchio per cogliere qualche segnale di vittoria o di sconfitta da parte dei combattenti: silenzio. Uscì dalla sala, ormai senza temere di essere travolta dalla battaglia e si accinse a scendere le scale. Ma non aveva ancora posato il piede sul primo gradino che un’ombra comparve ai piedi della scalinata. La figura avanzò di qualche passo e finalmente si mostrò alla luce delle torce.
Peach si era aspettata Mario, o Luigi. Al massimo Yoshi o Wario. Nella peggiore delle ipotesi un Bowser vittorioso con in spalla il figlio. Ma davanti a lei non c’era nessuno di loro.
«Uff… tutto l’esercito contro… Come se volessi chissà che… Oh, AMORE!». Appena vide Peach, Daisy si fiondò in cima alle scale e travolse la fidanzata, stringendola in un abbraccio. «Dopo tutta questa fatica alla fine ti ho trovato! Che bello, mi sei mancata così tanto…» disse posandole un rumoroso bacio sulla guancia. Peach era decisamente sconvolta dall’apparizione di Daisy.
«Daisy, così mi soffochi…» tentò di dire Peach. Dopo qualche secondo l’altra la lasciò, felicissima che si fossero finalmente ricongiunte. Peach la guardò: i capelli erano un disastro, il vestito era tutto impolverato e insanguinato e sulla guancia della principessa c’era un vistoso taglio che stillava sangue. «Oh, cielo, Daisy, sei ferita? Sei tutta imbrattata di sangue!» esclamò Peach preoccupatissima.
«Tranquilla, sto benissimo… Ho solo questo taglio in faccia che mi ha fatto il tuo amico bacarozzo» rispose Daisy noncurante del suo aspetto simile a quello di uno zombie uscito da qualche film dell’orrore. Il “bacarozzo” era Bowser. «Quello che vedi sul vestito testimonia che quelle tartarughine indemoniate le hanno prese alla grande. Mai mettersi contro una ragazza che vuole salvare la sua fidanzata» concluse soddisfatta.
Peach non credeva alle proprie orecchie e chiese, sbalordita: «Hai superato Bowser, suo figlio e tutte le truppe del castello… da sola?». Era impossibile. Daisy era forte, ma non fino a quel punto.
«Certo che sì, tesoro» rispose la principessa dei fiori, sorridendo.
«Tu… tu… sei venuta qui… da sola… e hai rischiato la vita… per salvarmi?» chiese l’altra balbettando.
«Esatto» rispose Daisy aspettandosi un caloroso ringraziamento.
Che invece non arrivò.
«Io… io…» cominciò Peach.
«Sì, piccola, anche io ti amo… Non c’è bisogno che me lo dici, lo so…» disse Daisy dolcemente.
«No, io… IO TI UCCIDO!» urlò Peach svegliando mezzo castello. E per quella sera era la seconda persona che non era mai stata così arrabbiata. «SEI UN’IRRESPONSABILE! NON HAI IL MINIMO SENSO DI VALUTAZIONE! SEI PEGGIO DI UNA RAGAZZINA PICCOLA!» sbraitò Peach. «SE TU FOSSI MORTA, O SE FOSSI STATA FERITA GRAVEMENTE… NON TE L’AVREI MAI PERDONATO! M A I! NÉ A TE, NÉ A BOWSER! ANZI, DIMMI DOV’È! COSÌ FACCIO UN BEL DISCORSETTO A TUTTI E DUE!».
Daisy si era fatta piccola piccola, terrorizzata. Non volendo disubbidire a quella furia che aveva davanti, perciò balbettò: «Nell’… nell’ingresso…».
«BENISSIMO, VIENI ANCHE TU!» urlò Peach, afferrando Daisy per un braccio e trascinandola con sé. Daisy praticamente strisciò per tutte le scale, non riuscendo a tenere il passo di Peach. La bionda non sembrava una principessa così indifesa, dopotutto. Anzi, era di gran lunga più terrificante di Bowser.
 
Bowser e Bowser Junior erano sdraiati sul pavimento molto malmessi, privi di forze, attorniati da centinaia di koopa, goomba e tartossi nelle stesse condizioni penose. Il re oscuro era infuriato: era stato sconfitto da quell’odiosa principessa amica di Peach! Era stato sconfitto da una donna, insieme a tutto l’esercito! Doveva essere un sogno. A un certo punto notò qualcosa che usciva dal corridoio e entrava nell’ingresso. Faticosamente girò la testa e la vista appannata gli mostrò dapprima una trafelata figura vestita di rosa che teneva in mano uno straccetto insanguinato. Poi, quando la figura si fu avvicinata abbastanza, capì che si trattava di Peach e della malsopportata Daisy. Un ringhio basso gli uscì dalla gola. Scrutò con occhi di fuoco la ragazza vestita di giallo e poi guardò Peach, in cerca di comprensione; ma tutto ciò che ricevette dall’amata fu un calcio sul naso. Lo sentì appena, ma si chiese il motivo di quel gesto. Non era già abbastanza ferito e dolorante? Ad un tratto Peach cominciò a urlare e, be’, non finì più.
«ALZATI, BOWSER! ALZATI! È UN ORDINE! FORZA! ORA ASCOLTAMI BENE, E ASCOLTAMI BENE ANCHE TU, DAISY! SIETE LA RAPPRESENTAZIONE VIVENTE DEL MASSIMO DELL’INCIVILTÀ E DELL’IRRESPONSABILITÀ! BOWSER, PICCHIARE UNA DONNA! DEVI ESSERE COMPLETAMENTE IMPAZZITO! GUARDA CHE COSA LE HAI FATTO IN FACCIA! NON GUARDARE ME, GUARDA LEI! QUI NON LAVA MAI NESSUNO, POTREBBE PRENDERSI LE PEGGIORI INFEZIONI, E QUESTO PERCHÉ TU HAI OSATO TOCCARLA! PROVACI UN’ALTRA VOLTA E CHIAMO MARIO E TI FACCIO AMMAZZARE! NE SONO CAPACISSIMA! NON GUARDARE LEI, GUARDA ME! HAI CAPITO? È CHIARO? SONO STATA ABBASTANZA CHIARA? NON DEVI TOCCARLA! NON DEVI NEANCHE SFIORARLA CON UN DITO, ALTRIMENTI DIVENTO UNA BELVA! CI SIAMO CAPITI? SE LE FOSSE SUCCESSO QUALCOSA DI GRAVE MI AVRESTI DISTRUTTA! E AVRESTI FIRMATO LA TUA CONDANNA! È CHIARO IL CONCETTO? È CHIARO? NON FARE QUELLA FACCIA, SEI IL PADRE PEGGIORE CHE I TUOI FIGLI POTESSERO AVERE! CHE COSA IMPARERANNO DA TE? A MALTRATTARE LE DONNE? SEI UN MOSTRO! E TU, INVECE, NON CREDERE DI FARLA FRANCA, SIGNORINA! COME TI È SALTATO IN MENTE DI VENIRE A CASA DI UN DRAGO SPUTAFUOCO CHE AVREBBE POTUTO FARTI FUORI NEL GIRO DI UN MINUTO? EH? COME TI È VENUTO IN MENTE? SE NON FOSSI STATA ALL’ALTEZZA DEI KOOPA CHE COSA SAREBBE SUCCESSO? MI AVRESTI SPEZZATO IL CUORE! SEI STATA CRUDELE A RISCHIARE DI DARMI UN DISPIACERE COSÌ GRANDE! PROPRIO A ME! SEI STATA UNA COMPLETA IRRESPONSABILE! AVREI POTUTO ASPETTARE MARIO, TU NON DOVEVI VENIRE! PER QUALE MOTIVO SEI VENUTA AL SUO POSTO? EH? E SOPRATTUTTO COME SAPEVI CHE ERO STATA RAPITA? RISPONDI!».
Durante la ramanzina Bowser e Daisy avevano tenuto lo sguardo basso come due bambini sgridati dalla mamma. Intanto, richiamati dalle grida della principessa, molti si erano radunati a guardare: i bowserotti, alcuni koopa che si erano ripresi dallo svenimento, diversi servitori, Kamek. Bowser si sentiva umiliato di fronte ai figli e ai sottoposti e Daisy era dispiaciuta. Quest’ultima rispose, con un filo di voce: «Dal palazzo di Sarasaland ho visto la nave volante… così ho pensato di venire a salvarti, visto che il mio regno è più vicino a questo castello del tuo… Infatti ho fatto prima di Mario…».
«POTEVI STARTENE A CASA TUA! SONO ABITUATA A STARE QUI, NON SAREBBE STATO UN PROBLEMA RESTARCI PER DUE SETTIMANE! ORA VADO A DORMIRE E DOMANI CE NE ANDREMO! E RIFLETTETE SUI VOSTRI ERRORI!». Detto questo si avviò impettita verso la sua camera.
Bowser, spiazzato, riprese il controllo della situazione e urlò a sudditi e figli: «Be’?! Che avete da guardare?! Sparite!». Tutti si allontanarono timorosi, tranne Daisy. Di certo non avrebbe ubbidito agli ordini di Bowser. Tanto ormai si sapeva chi era la più forte. «Scusa, bacarozzo» disse. «Forse ci sono andata giù un po’ pesante. Ma non verrò più a salvare Peach, stai tranquillo».
«Tsè, sono solo due graffietti. Tu, piuttosto, fatti curare la guancia» rispose Bowser.
«Anche questo è solo un graffietto» disse Daisy toccandosi il viso. Ormai c’era una spessa crosta.
«Scusa anche tu. Non si prendono a botte le signore, per quanto siano resistenti». Disse il re.
«Scuse accettate» disse semplicemente Daisy.
Stettero in silenzio per qualche secondo, imbarazzati, poi Bowser propose: «Birretta?».
«Sei un grande» commentò Daisy. Poi seguì l’altro in cucina.
 
La sera prima non si erano ubriacati, non volevano far arrabbiare ulteriormente Peach. Avevano parlato poco, anche se stavano bevendo insieme non erano amici. Le due principesse partirono abbastanza presto, ma solo dopo che i due colpevoli si furono scusati. Peach sembrava essersi calmata un po’. Bowser aveva prestato loro una carrozza con tanto di koopa troopa rosso alla guida, in quanto carrozza e accompagnatore di Daisy erano spariti durante il combattimento. In quel momento erano a metà strada; dato che alla guida c’era un soldato di Bowser non c’erano rallentamenti causati da altri scagnozzi. Le due ragazze non si erano dette una parola da quando erano partite, ma a un certo punto Daisy si decise a rompere il silenzio, ormai troppo pesante. «Ascolta, Peach… mi dispiace tanto… sono stata una stupida… sapevo che al castello di Bowser non correvi pericoli, ma mi sono fatta trascinare dalla fretta… Scusami… Non farò più cose pericolose, te lo prometto…».
Peach non rispose. Daisy implorò: «Ti prego, amore… di’ qualcosa… qualunque cosa…».
Peach, finalmente, si decise a parlare, con tono accusatore: «Sono molto delusa, Daisy. Non credevo che tu fossi capace di farmi così male. Sapevi che correvi un pericolo e sai anche che sei la persona che amo di più al mondo. Se ti fosse successo qualcosa di brutto io sarei stata malissimo. Non puoi mettere in pericolo la tua vita. Non te lo permetto. Non posso vivere senza di te, Daisy, mettitelo in testa, non posso vedere la tua sofferenza. Potevi morire per salvarmi e io non me lo sarei mai perdonato. Sei stata crudele… Non devi farmi preoccupare così. La tua incolumità è importantissima per me».
Gli occhi di Daisy si inumidirono. Le parole di Peach l’avevano toccata profondamente. «Io volevo solo salvarti prima di Mario… Non pensavo di fare questo casino… Sei ancora arrabbiata?» chiese.
«Sì, Daisy, sono molto arrabbiata». Era molto seria.
Un orribile dubbio si insinuò nella mente di Daisy e venne trasformato in parole singhiozzate: «N-non vuoi lasciarmi, Peach, v-vero? I-io non v-voglio stare senza di t-te… Ti prego, m-mi dispiace, sono s-stata un’idiota, ma non p-punirmi così… Farò qu-qualunque cosa per farmi p-perdonare…». Le parole si mischiavano alle lacrime e Peach guardò la compagna, piccola, disperata, con il vestito del giorno prima e un grosso cerotto sulla guancia. Non aveva intenzione di lasciarla, per nulla al mondo avrebbe abbandonato il suo unico amore, ma ora Daisy aveva bisogno di rassicurazioni; perciò le accarezzò delicatamente il viso sfregiato e le disse: «Non ti lascio, stai tranquilla. Per farti perdonare devi solo promettermi che non ti metterai più nei guai e non mi farai più preoccupare. È l’unica cosa che ti chiedo».
«T-te lo prometto, Peach. Farò la b-brava» rispose Daisy.
«Smetti di piangere, su» la esortò l’altra, porgendole un fazzoletto di stoffa. L’altra lo prese e si asciugò il viso. Rimasero in silenzio per un altro po’, poi Peach all’improvviso chiese: «Toglimi una curiosità: come hai fatto a vincere, ieri?».
Daisy fece un sorrisetto: «Con la forza dell’amore». Peach la guardò, non capendo se quell’affermazione fosse ironica o sdolcinata. Probabilmente era entrambe le cose. All’improvviso scoppiò a ridere.
«Perché ridi?» chiese Daisy perplessa.
«Perché dici delle cose divertenti» rispose l’altra.
Daisy sorrise. «Sai, sei molto più carina quando ridi che quando ti arrabbi».
«Come tutti» disse Peach arrossendo. L’atmosfera si era decisamente alleggerita.
 Dopo qualche altro minuto di silenzio Daisy chiese: «Adesso che sono stata perdonata te lo posso dare un bacio?».
«Mh, se proprio insisti» rispose Peach sorridendo, fintamente contrariata. L’altra si avvicinò alle sue labbra e le sfiorò con le proprie, dandole un piccolo bacio.
«Te ne posso dare un altro?».
«Anche due».
«Tre?».
«Puoi darmene quanti ne vuoi».
Daisy non se lo fece ripetere due volte e si fiondò sulle labbra rosa della sua innamorata. In quel momento Peach era più bella che mai.
Andarono un po’ oltre il bacio e a un certo punto si staccarono. Peach disse: «Dai, basta, potrebbe vederci qualcuno…».
«Ma ci sono le tendine abbassate, non ci vede nessuno…» rispose Daisy, e sottolineò le parole con un languido bacio sul collo dell’altra. Sarà stata una ragazzina impulsiva, ma sapeva essere anche molto convincente quando si trattava di ammaliare Peach. Alla fine la principessa in rosa si arrese e tornò a sdraiarsi sul sedile. Era solo il sedile di una carrozza, non era certo un comodo letto, ma, in fondo, chi si accontenta gode.
 
 
Prometto che il prossimo capitolo non sarà Peach x Daisy XD
Monopoly è di proprietà di Hasbro. I personaggi presenti nella storia sono di proprietà di Nintendo.

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Capitolo 6
*** Un consiglio martellante ***


Mi scuso enormemente, dato che l’ultimo aggiornamento risale a sette mesi fa. Neanche mi ero resa conto che fosse passato così tanto tempo D: Perdonatemi. Purtroppo ho avuto un terribile blocco in cui ho scritto solo qualcosina su My little pony… L’ispirazione non arrivava, perciò ho preferito non scrivere piuttosto che creare roba illeggibile. Ma finalmente sono tornata! Questo è un capitolo un po’ di transizione, ma spero vi piaccia lo stesso. È piuttosto breve, ma non sempre si riesce a scrivere capitoli lunghi. A un certo punto troverete una citazione quasi identica ad uno scambio di battute tra Ron e Hermione nei romanzi di Harry Potter. Il nome del soldato Umino è preso da quel personaggio insopportabile di Sailor Moon che si chiama così XD Be’, buona lettura :)
Personaggi: Bowser, sorpresa (OC), bowserotti compreso Bowser Jr., soldato Umino (OC), Peach (citata)
Generi: Comico, Slice of life
Lunghezza: One shot (1498 parole)
Tipo di coppia: nessuna
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating verde
 
 
Un consiglio martellante
 
In quella caldissima giornata estiva, la famiglia koopa al completo si trovava al mare. Bowser, il re della Terra Oscura, la sera precedente aveva deciso che lui e i suoi figli si sarebbero presi una meritata vacanza, perciò quella mattina sovrano e prole erano partiti per il Lido Dolce Calura, sull’Isola Delfino. Erano con loro Umino, un paratroopa rosso dall’aria perennemente scocciata, e una martelkoopa di nome Isabella. Entrambi facevano parte delle guardie di Bowser, ma quel giorno il loro unico compito era trasportare ombrelloni e sdraio; un’attività abbastanza umiliante per dei valorosi soldati, soprattutto per Isabella. La martelkoopa, dagli occhi marrone scuro e il martello sempre a portata di mano, provava una sincera ammirazione per Bowser e si guardava sempre intorno con attenzione, cercando di captare ogni pericolo che potesse dirigersi verso il sovrano, magari impegnato in qualche riunione o a giocare con i propri figli. La soldatessa adorava la tenacia di Bowser, il suo amore per i bowserotti e la sua forza fisica. Spesso si intrufolava segretamente in cucina per aggiungere cibo nel piatto del suo signore (non doveva dimagrire troppo!) e sperava che un giorno il re riuscisse a conquistare la tanto amata principessa Peach. Ma la martelkoopa non mirava solo alla carriera militare: amava lo studio ed era ormai prossima alla laurea in Lingue Umane, che forse un giorno le avrebbe fatto meritare un posto tra i più colti consiglieri di Bowser. Cresciuta in un paesino di periferia della Terra Oscura, aveva sempre sognato di poter incontrare il re. Era entrata nella scuola militare e ben presto si era distina per determinazione e prontezza di riflessi; aveva ricevuto molte onorificenze, ma era rimasta ugualmente molto stupita quando era stata nominata guardia dell’esercito reale e spedita immediatamente nella capitale del regno. Lì aveva incontrato Bowser che, durante una cerimonia, l’aveva fatta entrare ufficialmente nel corpo di guardia del palazzo. Tale era stata la commozione della martelkoopa che quasi aveva fatto cadere l’attestato datole dal re durante questa solenne occasione.
Nella grande città aveva iniziato a studiare e la settimana successiva si sarebbe laureata; era difficilissimo lavorare come soldato e allo stesso tempo studiare, a volte le capitava di ripetere lezioni per quasi tutta la notte. Ma non si dava per vinta, sapeva che un giorno la sua grinta e il suo titolo di studio le sarebbero valsi qualche promozione.
 
«Papà, siamo arrivati!» urlò Morton saltando giù dalla nave volante ormai in fase di atterraggio. A causa del suo peso sprofondò quasi completamente nella sabbia del Lido Dolce Calura, guadagnandosi le prese in giro dei suoi fratelli e le urla terrorizzate dei bagnanti. Isabella prontamente corse in soccorso del bowserotto, che si dibatteva cercando di liberarsi dalla morsa rovente. Quando ci riuscì, Morton neanche la ringraziò e corse a tuffarsi a bomba in acqua, ovviamente affondando di nuovo nella sabbia, essendo l’acqua ancora bassa. Tutti i suoi fratelli, tranne Ludwig, lo seguirono.
Ormai chiunque stesse godendosi la calda giornata estiva era fuggito in preda al panico raccogliendo borse e bambini e sulla spiaggia erano rimasti solo Bowser, le due guardie e il bowserotto dai capelli blu notte.
«Veal padve, tvovo oltvemodo sconveniente il compovtamento dei miei ignobili fvatelli. Cvedo sia necessavio un vostvo vichiamo all’ovdine». Detto questo, tirò fuori dalla propria borsa un libro intitolato “Teoria del solfeggio-livello avanzato” e, piazzatosi sotto al primo ombrellone libero, si mise a leggere senza ulteriori osservazioni.
«Ah, questi ragazzi…» sospirò Bowser, sdraiandosi sul lettino che Isabella aveva prontamente preparato per lui. La martelkoopa chiese al re se gradisse una bibita fresca. «No, magari più tardi. Soldato Umino paratroopa, va’ a controllare che i miei figli non affoghino» ordinò all’annoiatissimo soldatino, che con un grugnito di disappunto si diresse verso la riva.
Isabella decise che, se il re non voleva una bibita, si sarebbe quantomeno rinfrescato grazie all’enorme ventaglio che la martelkoopa aveva portato da casa. Soffiandosi il naso (si era raffreddata proprio una settimana prima dell’ultimo esame), sventolava. Mentre era occupata in questa attività, si accorse che il sovrano si guardava intorno con attenzione, come per assicurarsi di non essere spiato; in particolare controllò che Ludwig si trovasse a debita distanza e, improvvisamente, si rivolse ad Isabella con queste parole: «Ehi, tu, Ameriella. Ascoltami bene».
«Isabella, Vostra Maestà» lo corresse lei.
«Sì, sì, è uguale. Stammi a sentire. Dunque, tu sei una femmina».
Perspicace, il mio signore, pensò Isabella. Ma evidentemente Bowser aspettava una conferma. «Direi di sì, Altezza».
«Quindi sai dare tutti quei consigli idioti sull’amore e le relazioni» disse il koopa. Isabella non era esattamente il tipo di fanciulla che se ne intende di romanticismo, ma confermò con un cenno del capo per non contraddire il suo idolo.
«Allora devi rispondere a questa domanda. È per, ehm, un mio amico» disse Bowser, leggermente nervoso. «Come si conquista una ragazza? Questo mio amico è interessato ad una ragazza bellissima, bionda, con gli occhi azzurri, sempre gentile con tutti, generosa…» quando si accorse che stava sognando ad occhi aperti, si interruppe. Dopo una breve pausa continuò: «Uhm, dunque, cosa devo consigliargli per fare in modo che lei cada ai suoi piedi?».
Isabella dubitava fortemente che Bowser le stesse chiedendo aiuto per conto di un suo amico, molto probabilmente stava parlando della principessa Peach, ma il re si vergognava di dirglielo; questo la intenerì molto, ma si concentrò per dare una risposta che potesse essere di aiuto. Conosceva bene i modi discutibili con cui il koopa cercava di conquistare il cuore della principessa dei funghi e quella era l’occasione perfetta per fargli capire come doveva comportarsi. «Be’, dovreste dirgli di non essere invadente, di lasciarle i suoi spazi, di non mostrarsi presuntuoso né iracondo» rispose soffiandosi ancora una volta il naso con un fazzoletto di carta e mantenendo il ritmo dello sventolamento.
«Presuntuoso?!? Iracondo?!? Lui è il più nobile dei nobili! Non si abbassa certo a questi comportamenti!» esclamò Bowser alzandosi leggermente per guardare negli occhi la sua confidente.
Isabella tentò un’altra strada: «Be’, sicuramente il vostro amico sbaglia qualcosa, dal momento che la ragazza non gli ha ancora donato il suo cuore».
Bower sembrò riflettere per un po’. «Uhm, in effetti, forse, è leggermente appiccicoso… Ma solo un po’!» disse, leggermente alterato.
La martelkoopa voleva vedere fino a che punto Bowser avrebbe ammesso i suoi difetti. Inoltre non le era mai capitato di stare a contatto con il suo idolo per così tanto tempo e voleva approfittare della situazione; e poi si stava anche divertendo. «Sire, alle ragazze piacciono gli uomini che sanno proteggerle…» «Per questo non ci sono problemi!» «…ma che rispettano il loro spazio. Con le ragazze ci vogliono pazienza e gentilezza. Se voi… cioè, il vostro conoscente, rinunciasse ad un po’ di egocentrismo, il fidanzamento sarebbe immediato!» concluse Isabella con convizione.
Il re sembrava ancora pensieroso. «Mh… Forse hai ragione. Ma per quanto riguarda i regali? Cosa vogliono le donne?».
«Non siamo tutte uguali, Maestà. Alcune amano i fiori, altre preferiscono doni… come dire… meno sdolcinati».
Bowser grugnì. «Umpf. Fammi degli esempi. Tu cosa vorresti ricevere in regalo?» chiese.
Isabella faceva parte di quella categoria di donne che non amano i regali smielati; una volta un bel koopa l’aveva conquistata con un gattino feroce, un’altra volta un goomba si era guadagnato la sua simpatia regalandole un robottino giocattolo, un tartosso dai gusti strani le aveva donato un (secondo lei) bellissimo peluche a forma di alieno. Sicuramente la principessa Peach avrebbe gradito al massimo il gattino. «A me piacciono i gatti, Altezza. Forse anche questa fortunata donzella li gradisce».
Improvvisamente le parve che una lampadina si accendesse sulla testa di Bowser. «Giusto! Un gatto! Pea… Cioè, la ragazza di cui stiamo parlando, adora i mici! Sei un genio, Mariella!».
«Isabella…».
 «Quello che è. Mi hai dato un’ottima idea, andrò subito a riferire!». Detto questo il re si alzò dal lettino e cominciò ad avviarsi fischiettando verso la riva del mare, ma si fermò come pietrificato non appena udì le parole del figlio primogenito, che probabilmente si era stancato di leggere e aveva deciso di andare a farsi un bagno. E che, evidentemente, aveva un udito più fino del previsto. «Veal padve, vi pvego di smetteve di angustiavvi sulla conquista della pvincipessa Peach e di vichiamave la vostva ivvagionevole pvogenie che sta cevcando di annegave il soldato Umino» disse altezzoso.
Bowser era sconcertato e disse incredulo: «C-cosa?! Ti sbagli! Non stavamo parlando di Peach! Parlavamo di… un’altra ragazza!».
Ludwig si voltò e lo fissò, sollevando un sopracciglio. «Sì, cevto, e Beethoven suonava la gvancassa». Detto questo, continuò per la sua strada, mentre in lontananza si udiva la voce di Umino che chiedeva disperatamente aiuto.
«A-aspetta! Hai capito male! Torna qui, Ludwig!» urlò Bowser partendo all’inseguimento del figlio.
Isabella, cercando di non scoppiare a ridere e gettando il fazzoletto pieno di virus del raffreddore in un cestino, posò il ventaglio e si diresse a passo svelto a salvare il collega pensando che, forse, il suo re aveva una possibilità di vivere una storia d’amore come si deve.
 

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Capitolo 7
*** Notti di terrore ***


I lampi e i tuoni di ieri mi hanno ispirato questo capitolo, pubblicato a tre mesi di distanza dall’ultimo. Faccio dei passi avanti, l’ultima volta vi ho fatto aspettare per sette mesi XD
Il prossimo capitolo probabilmente sarà importante, ma chissà quando lo scriverò u.u Forse tra non molto, visto che sono in vacanza e ho tempo per scrivere :) Per ora godetevi questa storiella, che vede Iggy Koopa alle prese con il paranormale.
Spero che vi piaccia, buona lettura!
 
Personaggi: Iggy Koopa, Lemmy Koopa, Larry Koopa, Bowser, Kamek (menzionato), Wendy (menzionata), Goomboss (menzionato)
Generi: Comico, Mistero, Sovrannaturale, Suspence
Lunghezza: One shot (1369 parole)
Tipo di coppia: nessuno
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating verde
 
Notti di terrore
 
 
 
«Grazie papà, grazie!» esclamò Iggy, afferrando tra gli artigli un telescopio più pesante di lui, il suo amato telescopio professionale verde con cui amava esplorare il cielo notturno alla ricerca di nuovi astri.
Lo strumento gli era stato sottratto dal padre come punizione per aver incendiato la coda di Lemmy per dispetto durante il pranzo in onore di Goomboss, venuto nella Terra Oscura per ribadire l’alleanza tra lui e re Bowser. L’”incidente” aveva creato non poco imbarazzo tra i presenti, e Wendy aveva prontamente fatto la spia al padre su chi fosse il colpevole. A quel punto Bowser, sbuffando fumo dalle narici, aveva sequestrato ad Iggy proprio il telescopio, uno degli oggetti a cui il bowserotto teneva di più. Lacrime e urla non avevano impietosito il re dei koopa, che aveva chiuso il prezioso oggetto nello sgabuzzino più remoto del castello, chiedendo a Kamek di scagliarvi tutti gli incantesimi protettivi che conosceva, urlando «Lo riavrai quando avrai imparato a comportarti come si deve!».
Ora, evidentemente, secondo il giudizio di Bowser, Iggy aveva imparato a comportarsi come si deve e aveva riavuto lo strumento (dopo ben tre mesi!).
«Cerca di non combinare altri guai! O la prossima volta quel coso te lo butto nella lava!» urlò Bowser, mentre Iggy correva via senza ascoltarlo, felicissimo di aver riavuto indietro il suo tesoro.
 
Il più folle dei bowserotti si chiuse in camera sua sbattendo la porta.
«Oh, guarda come ti hanno ridotto, amore mio…» disse Iggy all’apparecchio color prato. Prese un panno e ne strofinò delicatamente tutta la superficie, facendo attenzione a non incrinare neanche il più piccolo pezzo. Terminata l’operazione, mise il macchinario accanto alla finestra aperta; presto si sarebbe fatto buio, e quale momento migliore per esplorare la volta celeste? Ma era anche ora di cena, perciò disse «A dopo, fiorellino. Vedrai, ci divertiremo…» e scese a mettere qualcosa sotto i denti.
 
Quando tornò in camera, pieno di pollo in salsa piccante, tutto era esattamente come lo aveva lasciato.
«Ah, sapevo che mi avresti aspettato qui! So che non puoi fare a meno di me!» esclamò estasiato. Prese le sue mappe stellari da un cassetto; non aveva ancora scoperto un pianeta o un asteroide, ma se ci fosse riuscito sicuramente lo avrebbe chiamato “Iggy the best” oppure “Wendy e Goomboss buuuh!”.
Avvicinò l’occhio alla lente, cominciando a mettere a fuoco. Ma ad un tratto accadde qualcosa di molto insolito: un oggetto molto grande attraversò il suo campo visivo. Il bowserotto si ritrasse, confuso. «Uhm… Forse era un meteorite… o una stella cadente… o un moscone… Sì, probabilmente era solo un grosso insetto…».
Si riavvicinò alla lente. Tutto normale, per il momento. Ah, quanto gli era mancata quella impagabile sensazione di poter toccare il cielo con un dito, di potersi perdere in quel mare di stelle… «Ah, io e te siamo proprio fatti per stare insieme! Io sono la mente e tu sei il braccio che mette in atto le meravigliose idee del mio cervello! Siamo una squadra infalli… Ahhh!» urlò. Il misterioro oggetto era tornato, e Iggy poteva finalmente distinguerne i contorni. Era un disco tridimensionale, pieno di lucine intermittenti, che fluttuava proprio al centro della visuale del telescopio. UN UFO!
 Il koopa compì un salto degno di un canguro e si tuffò tra le coperte del letto. Nonostante fosse molto dotato intellettualmente, non era un cuor di leone; tremava come una foglia per l’orribile visione e si chiedeva se non fosse stata solo un’allucinazione. Certamente in quel momento non aveva il coraggio di verificare, perciò si finse morto, così se gli extraterrestri fossero entrati nella sua stanza forse lo avrebbero lasciato in pace. Potrebbero usarmi per qualche terribile esperimento biologico… Potrebbero incrociarmi con un pesce gatto! Oppure potrebbero prendere pezzi del mio corpo e renderli dei sott’aceti… No, no, vi prego! Non sono buono da mangiare! Oppure potrebbero donarmi delle facoltà intellettive superiori… Ma è meglio non rischiare! Mi fingerò morto!, pensò con terrore.
Tuttavia, nessun evento strano si verificò, e quando tutti i rumori del castello cessarono e tutti furono andati a dormire, la calma regnò totale.
Forse mi sono sbagliato… Forse era solo un freesbee e io l’ho scambiato per un disco volante… La stanchezza a volte gioca brutti scherzi… Sì, dev’essere senz’altro così…, pensò. Finalmente riuscì a rilassarsi un po’ e si addormentò.
 
La mattina dopo si svegliò di colpo. Aveva sognato un mostro bavoso che lo ricopriva di acido corrosivo. Ma si accorse ben presto di essere tutto intatto, senza bestie allo stato embrionale che gli uscivano dal petto, luci da sala operatoria sulla testa o musica di theremin a portata di orecchio.
Si alzò lentamente dal letto, guardandosi intorno: sembrava tutto normale. Il telescopio era ancora al suo posto.
 Iggy uscì dalla stanza guardingo: probabilmente aveva solo avuto una visione dovuta allo stress. Scese a fare colazione.
«Ehi, Iggy, hai davvero una brutta cera» gli disse Larry appena lo vide.
«Ho dormito poco…» rispose Iggy.
Larry, vedendo il fratello decisamente triste, ebbe un’idea: «Hei, ti va di fare una scampagnata? Potrebbe essere il modo giusto per svegliarti!».
Iggy, desideroso di distrarsi, accettò con un sorriso. «Uhm, ok!».
 
La giornata passò tra giochi e risate. Tornato a casa, Iggy si trovò molto felice di aver passato una giornata con il fratello dai capelli azzurri. Il suo compagno di giochi preferito era Lemmy, a cui aveva incendiato la coda, ma Larry era sempre molto positivo ed era riuscito a distrarlo dai terribili eventi della sera precedente.
Esausto, il bowserotto inventore si chiuse in camera, gettandosi sul letto. Poi l’occhio gli finì sul telescopio; l’apparecchio sembrava invitarlo ad usarlo, con quel suo verde che tanto ricordava al koopa il colore del proprio guscio. Era nervoso, ma voleva anche scoprire se l’Ufo c’era anche quella sera.
Alla fine la curiosità vinse e si avvicinò alla finestra con passi misurati; avvicinò l’occhio alla lente per scoprire che… vedeva solo il cielo stellato. Esultò internamente, cominciando a ruotare il macchinario astronomico. Ma sì, era stata solo una visione momentan… BOM! Iggy fece appena in tempo a vedere il disco volante della sera precedente che si schiantava sulla lente del telescopio, poi l’urto lo spedì sul pavimento. Terrorizzato e dolorante, scattò in piedi, pronto a fronteggiare qualunque bestione, ma vide solamente…
un disco volante di plastica delle dimensioni di un pallone da rubgy attaccato a un filo che pendeva dall’alto oltre la finestra. Non sapendo cosa pensare, si avvicinò cautamente alla finestra... ma all’improvviso un viso allungato capovolto dagli occhi enormi spuntò dalla parte alta della finestra! Iggy urlò, l’essere urlò…
«N-non uccidermi, ti prego! S-sono ancora giovane!» gridò Iggy in preda al panico. Percependo che nessuno lo aveva ancora ucciso, dopo qualche secondo aprì gli occhi, realizzando che la testa spaventosa non apparteneva a un alieno, bensì… a suo fratello Lemmy.
«Ahahah! Ti ho spaventato, eh?» ridacchiò Lemmy, saltando nella stanza con in mano una lunghissima canna da pesca, alla cui estremità era attaccato il “disco volante”, pieno di lucine intermittenti.
Iggy rilassò i muscoli, ancora incredulo. Osservò meglio ciò che Lemmy teneva in mano. «Tu, tu… mi hai fatto credere che ci fosse un Ufo fuori dalla finestra della mia camera…?».
«Esatto. Dovevo vendicarmi di quando mi hai bruciato la coda, no? Mi sono arrampicato fuori da questa finestra mentre tu non c’eri per farti questo scherzetto. Mi sembra che tu ci sia cascato in pieno, no?» ridacchiò Lemmy.
Iggy ancora non poteva crederci. Ma soprattutto odiava mostrarsi così debole. «N-non è vero, ho solo sussultato un po’. E poi… noi due gli scherzi dovremmo farli insieme, non farceli a vicenda!».
«La mia coda potrebbe dirti la stessa cosa!» gridò Lemmy indispettito.
I due si guardarono in cagnesco per qualche secondo, ognuno rimuginando per i fatti suoi.
Poi, dopo un’occhiata di intesa, scoppiarono a ridere all’unisono.
«Ahahah, avevi una faccia quando hai visto l’Ufo…».
«Ahahah, e tu avevi una faccia quando hai spento la coda in una caraffa d’acqua…».
La tensione era decisamente passata. Quei due non avrebbero mai potuto litigare seriamente.
«Sai cosa ci vorrebbe adesso, Iggy? Un bello scherzo a Wendy!».
«Sì, sì! Andiamo da quella spiona!».
E insieme si avviarono fuori dalla stanza, mentre sulla lente del telescopio si rifletteva uno strano disco luccicante nel cielo.
 
 
 

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Capitolo 8
*** La sparizione ***


Ebbene sì, sono tornata. Qualche utente si ricorderà di me, ma probabilmente nessuno sperava più che sarei tornata ad aggiornare questa raccolta. Invece eccomi qui a continuare la storia dopo più di un anno. Non ho mai pensato neanche per un attimo di lasciare tutto incompiuto. Il motivo per cui non ho aggiornato più è che non sapevo come continuare col tema principale del rapporto tra Peach e Daisy, tempo fa scrissi gran parte di un lungo capitolo, ma non mi piaceva e lo abbandonai. Ora ho finalmente scritto qualcosa che mi soddisfa e posso aggiornare. Scusate tanto per avervi lasciati in sospeso :( Se state pensando a qualche insulto avete ragione, ma non scrivetelo nelle recensioni XD
 
Un ringraziamento speciale va a chi a modo suo e involontariamente mi ha ricordato che, guarda un po’, so ancora scrivere, seppur esagerando sulle mie capacità di scrittrice. Grazie mille dal profondo del cuore. Miao <3
 
Personaggi: Peach, Daisy, padre di Peach, Bowser (Flashback), Mastro Toad, comparse varie, OC (capo del Dipartimento Contatti con i Fratelli Mario), Sorpresa (citato), Mario, Luigi
Generi: Angst, Malinconico, Sentimentale, Triste
Lunghezza: One shot (2854 parole)
Tipo di coppia: Shoujo-ai: Peach x Daisy
Note: nessuna
Avvertimenti: Tematiche delicate
Rating giallo (vaghe allusioni e baci appassionati)
 
Buona lettura!
 

 
 
La sparizione
 
 

 
«Principessa, la riunione con i consiglieri vi attende» dichiarò il toad blu, fedele servitore, avvicinandosi alla panchina su cui sedeva la principessa.
«Avverti che tra poco sarò da loro» rispose lei, piattamente. 
«Mi hanno esortato a sollecitare la vostra presenza, altezza. Sembra che la questione sia molto importante».
«Invitali a cominciare senza di me, se proprio hanno fretta» propose lei con lo stesso tono incolore, abbassandosi a cogliere una violetta dall'erba.
Il toad sembrava in difficoltà: «Ma principessa, non si può iniziare senza di voi. Dovete prendere parte a delle decisioni» insisté.
«Ti prego, fa' come ti ho detto» lo pregò Peach, cercando di nascondere le lacrime. 
«…Come desiderate, altezza» disse imbarazzato, andandosene.
Da circa un anno non era raro sorprendere la principessa in lacrime, priva del suo contegno. Probabilmente il suo cattivo umore è legato alla scomparsa della principessa di Sarasaland, pensò il toad. Infatti, in coincidenza con l’inizio dell’apparente depressione di Peach, Daisy era scomparsa. Tutti i giornali avevano riportato la notizia e Peach era svenuta non appena Mastro Toad era corso da lei ad informarla della nefasta novità. Daisy era sparita da un giorno all’altro, di notte, senza lasciare alcuna traccia e senza che nessuno l’avesse vista uscire dalla sua camera nel palazzo reale di Sarasaland. Una sparizione così improvvisa faceva pensare ad un rapimento e Peach ne era la più convinta: la sua amata non l’avrebbe mai abbandonata senza dire niente e, per quanto irresponsabile fosse, non avrebbe lasciato il suo regno senza chi potesse governarlo. I sospetti, ovviamente, erano ricaduti immediatamente su Bowser.
Peach ricordava il colloquio avvenuto un anno prima con il re dei koopa.
 
«Bowser, ti avverto che se sei stato tu ti odierò per sempre e non ti rivolgerò mai più una parola» ringhiò Peach.
«Ti ripeto che non sono stato io, non ho alcun interesse nel rapire una ragazzina così sciocca e presuntuosa. Mi darebbe solo fastidio. E poi tu sei molto più carina, preferisco rapire te» rispose lui.
Peach non accolse il complimento, ma dovette ammettere che Bowser aveva ragione: non gli era mai piaciuta Daisy e se avesse voluto un riscatto o ricattare qualcuno si sarebbe già messo all’opera. La faccenda si chiuse lì.
 
Peach si sentiva come se le mancasse qualcosa. Conosceva Daisy da così tanti anni che stare senza di lei era come essere privata di una parte della sua vita e da quando erano segretamente fidanzate questa dipendenza dalla principessa di Sarasaland si era intensificata. Spesso si sedeva lì, su quella panchina in giardino, per ore ed ore, sperando di veder comparire Daisy all’orizzonte e annusando i fiori per non dimenticare la scia floreale che la accompagnava sempre. La sola idea che potesse esserle successo qualcosa di brutto non abbandonava Peach neanche di notte e ormai era così persa nel suo mondo di disperazione che non si occupava più dei problemi del regno. In cuor suo sapeva di doversi rialzare per il bene della nazione, ma ancora non era pronta e rifiutava qualsiasi aiuto psicologico. Naturalmente tutti coloro che le volevano bene soffrivano molto di questa situazione e avrebbero voluto vederla felice anche ora che la sua “amica” non c’era più. 
Mario era partito alla ricerca di Daisy il giorno dopo il presunto rapimento e Peach soffriva anche per la sua assenza. Luigi era andato con Mario, quindi almeno lui soffriva solo la mancanza di Daisy.
Controvoglia, la Principessa dei Funghi si alzò e, asciugandosi le lacrime, si diresse verso la sala delle udienze per prendere parte alla riunione.
 
«Vostra altezza, vi illustro gli ultimi dati sulle entrate del Regno» disse uno dei consiglieri.
Peach faceva del suo meglio per ascoltare, ma non le riusciva facile. Quando non pensava a Daisy una sorta di torpore la invadeva ed era difficile liberarsene.
«Principessa, gradirei la vostra attenzione» protestò il toad che stava parlando e che non veniva ascoltato. «Se la mia professionalità non viene riconosciuta mi sembra opportuno andarmene» continuò, alzando un sopracciglio.
«Scusi, mi sono distratta. Sono mortificata. Continui, la prego» si scusò lei.
Il toad dopo un attimo di esitazione in cui valutò se rimanere o meno, riprese a parlare. «Dunque, come stavo dicendo…».
 
Peach era sola nel suo letto. Aveva davvero fatto fatica a seguire la riunione, quel giorno. Come ogni notte, si soffermò a pensare al passato e la malinconia della luna piena che la osservava dalla finestra rendeva il tutto ancora più triste.
Era così bello starle abbracciata. Dopo una giornata passata insieme non c’era cosa più bella del ritrovarci qui di notte. Prima dovevo mantenere il segreto della nostra unione e ora… devo nascondere le lacrime. Ma non ci riesco…
Si era ormai rassegnata a non dormire mai più tranquillamente e scivolò in un sonno senza sogni.
 
Qualche giorno dopo Peach si ritrovò a chiacchierare con Mastro Toad in terrazza.
«Non è bello il paesaggio che si vede da qui, principessa? Gli alberi, le colline, i fiori…» disse entusiasta Matro Toad, fiero del lavoro svolto dai giardinieri del castello che lui personalmente assumeva.
«I fiori…» mormorò Peach. Era diventata così sensibile che i suoi occhi si riempivano di lacrime per ogni inezia.
Mastro Toad capì di aver toccato un tasto dolente e si affrettò ad aggiungere: «Il laghetto con le paperelle, gli uccellini…». Un silenzio pesante seguì le sue parole. Dopo un po’ l’anziano continuò: «Sono molto addolorato per la vostra perdita. Un’amica così speciale non si trova spesso, ma forse la riavrete. Mario e Luigi ci hanno comunicato che sono ancora alla ricerca della principessa, quindi c’è ancora speranza».
Peach ormai non ci credeva più. Se Mario e Luigi, così abili nel salvare le damigelle in pericolo, ancora non avevano fatto ritorno dopo un anno dalla loro partenza, significava che il rapitore era impossibile da scovare. La sua speranza di rivedere l’amata era ormai più simile ad un sogno. E a quale scopo, ormai, nascondere a Mastro Toad la verità? Ormai ciò che la legava a Daisy era solo un ricordo, sarebbe stato come parlare del passato, dato che la fanciulla non c’era più. Dirlo a Mastro Toad le sarebbe servito per sfogarsi e non avrebbe dovuto affrontare il suo sguardo disgustato quando stava con Daisy semplicemente perché tale eventualità non si sarebbe ripresentata mai più. E ripensandoci anche Rosalinda le aveva consigliato di confessare.
«La principessa Daisy non era solo un’amica speciale, Mastro Toad» disse lei lentamente.
«Certo, capisco che certi legami esistenti fin dall’infanzia siano difficili da sciogliere. Ma come vi ho già detto, c’è ancora speranza» disse lui.
«Non era solo un’amica d’infanzia, era molto di più. Era qualcuno che mi sollevava il morale quando ero triste, che mi ricordava che oltre al lavoro c’è anche la vita mondana, che mi amava incondizionatamente e che non mi avrebbe mai abbandonata. Tra noi c’era di qualcosa di ben più profondo. Eravamo innamorate» confessò lei.
L’espressione che lentamente si formò sul volto di Mastro Toad tradiva tutto il suo sgomento. Era lampante che non si sarebbe mai aspettato una dichiarazione del genere dalla sua protetta. Rimasero così per una decina di secondi, Peach che aspettava nervosa una reazione e il suo tutore che batteva le palpebre con la stessa espressione di prima.
«…M-ma cosa dite. S-spero stiate scherzando, principessa» balbettò, con gli occhi sbarrati. 
Peach si era aspettata una reazione simile. «Non sto scherzando, è la verità. Mi aspettavo questa reazione da parte vostra, so che appartenete ad un’altra generazione e che per voi non è facile capire, ma volevo condividere con voi questa parte di me. Siete come un padre e uno dei pochi confidenti che abbia mai avuto. Spero che in qualche modo riusciate ad accettarlo».
Mastro Toad era ancora molto scosso, ma piano piano si riprese. «Non mi aspettavo nulla del genere da voi. Pensavo foste interessata a Mario» disse, con gli occhi bassi e con tono sommesso. «Non riesco a crederci. Non siete attratta da lui?» domandò.
Peach scosse la testa. «No, gli voglio bene come se fosse un fratello, non provo nient’altro per lui. Invece provo un sentimento molto profondo per Daisy».
Altri momenti di silenzio.
«…Incredibile. Non ho mai visto di buon occhio queste relazioni particolari…». Si grattò la testa, imbarazzato. Non riusciva a capacitarsene.
La più grande paura di Peach, nel momento in cui aveva deciso di aprire il suo cuore, era il disprezzo di Mastro Toad, e a quanto pare se l’era appena guadagnato.
Ma lui smentì questa paura: «…Ma per voi cercherò di sopportare l’affetto che provate per la principessa Daisy. Siete come una figlia per me, non posso rifiutarvi».
Gli occhi di Peach si riempirono di lacrime sentendo quelle parole, era commossa. «Sono così felice di sapere che la pensiate così... Mi piacerebbe che voi mi accettaste anziché tollerarlo solamente, ma capisco i limiti della vostra generazione» disse emozionata.
«Non potrei mai disprezzarvi, altezza» disse lui, colpito dalle lacrime della ragazza. «Ma spero che ora ritornerete sulla retta via».
«...Cosa?».
«Io spero con tutto il cuore che la principessa Daisy sia ritrovata, ma nel malaugurato caso in cui ciò non avvenisse, spero che troviate un interesse maschile. Insomma, non penserete di poter giocare con queste quisquilie infantili ancora a lungo. Siete una principessa e come tale avete il dovere di sposarvi, e certamente non potrete farlo con una donna».
Peach sapeva che non avrebbe mai sposato Daisy, ma non per questo aveva intenzione di sposare un uomo. 
«Mastro Toad, il sentimento che mi lega a Daisy non è passeggero e non lo è neanche la mia attrazione per le donne. Forse in futuro proverò interesse per un uomo, non lo escludo, ma per ora non mi è mai successo. Per adesso provo attrazione solamente per il sesso femminile» puntualizzò lei, seccata, ma anche comprensiva: non si aspettava che Mastro Toad capisse.
«...Ma principessa, è vostro preciso dovere dare un erede al regno» le ricordò lui.
«Non ho intenzione di anteporre la mia reputazione alla mia felicità!» esclamò lei con decisione, guardandolo dritto negli occhi, finché lui non distolse lo sguardo.
Rimasero in silenzio per un po', guardando in direzioni opposte.
Poi, senza dire una parola, Mastro Toad si alzò e se ne andò.
 
Passarono due mesi in cui l'umore di Peach rimase invariato. Lei e Mastro Toad si dicevano il minimo indispensabile e la tensione tra i due era palpabile. Peach poteva tollerare che il suo anziano tutore non capisse il suo orientamento sessuale, ma non poteva sopportare che lui volesse cambiarla. 
D'altro canto, il toad pensava che l'omosessualità della principessa fosse solo una fase e che lei dovesse assolutamente sposarsi; questo, naturalmente, non gli impediva di volerle bene. 
 
Un giorno, però, accadde l’inaspettato.
«Principessa!».
Peach aprì gli occhi, frastornata. Cos’era quel baccano?
«Principessa!» ripeté la voce, a cui si aggiunse un insistente bussare alla porta della camera.
Peach si sedette, si sistemò i capelli alla meno peggio e invitò l'urlatore mattutino ad entrare.
«Principessa, c'è una novità!» gridò un toad decisamente trafelato. «Sono giunte notizie della principessa Daisy!».

 
***
 
Peach si lavò e si vestì a velocità disumana, dopodiché corse alla sala del trono in cui si trovava il capo del Dipartimento Contatti con i Fratelli Mario, che ne sapeva più di tutti circa il ritrovamento di Daisy; il toad che aveva fatto irruzione nella camera della principessa non aveva saputo darle informazioni precise.
Entrò di corsa, trovando, insieme al suddetto toad, anche Mastro Toad e suo padre, il re.
«Buone notizie, Altezza. La principessa Daisy di Sarasaland è stata ritrovata nel castello di Wart da Mario e Luigi ed è in buone condizioni di salute, ma è un po' scossa. La notizia ci è stata comunicata telefonicamente dai fratelli Mario un quarto d'ora fa ed è senz'altro attendibile. Secondo una stima approssimativa, i tre dovrebbero essere qui tra circa dieci giorni, dodici al massimo. Sembra che la principessa Daisy abbia insistito molto per fare tappa qui prima di tornare a Sarasaland. Voi siete d'accordo?».
Peach fece fatica ad esprimere la sua felicità, troppo emozionata per riuscire a fare altro che commuoversi: «Non potrei essere più entusiasta...» pigolò. 
Suo padre la abbracciò e le espresse tutta la sua felicità, mentre Mastro Toad aveva un'espressione strana.
 
«Perché Daisy non è ancora qui?» chiese Peach impaziente, camminando su e giù per la stanza come una tigre in gabbia. Ormai erano passati dieci giorni. 
«Pazientate, principessa. Saranno qui al massimo dopodomani» la rassicurò Mastro Toad. Nonostante fosse ancora contrariato, non aveva potuto non sciogliersi davanti all'entusiasmo della sua piccola. Una parte di lui voleva che Daisy non tornasse, ma sapeva che era un pensiero orribile e che sarebbe stato crudele privare Peach del piacere di riavere Daisy con sé, pur disapprovando la loro relazione.
«Sono stanca di aspettare».
«Lo so, è da tre giorni che dite così. Manca poco, ne sono certo».
«È proprio così, infatti» disse il toad capo del Dipartimento Contatti con i Fratelli Mario, appena entrato nella stanza a sorpresa. «La principessa sarà qui tra dieci minuti con Mario e Luigi!».
 
Un gran numero di toad era raggruppato appena fuori dal portone del castello, evidentemente emozionato. Peach era in prima fila. I cuochi stavano allestendo un banchetto, si stava preparando una grande festa per i paladini del regno. La folla era in visibilio e Peach non vedeva l'ora. 
Finalmente, eccoli.
A Peach sembrò di rivedere il sole dopo una notte lunga e fredda. Daisy era in groppa a uno yoshi e appena i loro occhi si incontrarono Peach si sentì come nel momento in cui si erano dichiarate amore reciproco, fu come innamorarsi una seconda volta. La sua margherita era esattamente come la ricordava, un viso simpatico e grandi occhi azzurri. Peach sapeva di avere un'espressione da completa ebete, ma non gliene importava nulla.  
Daisy smontò dallo yoshi e corse ad abbracciare Peach, incurante di tutto e di tutti.
Rimasero così per un po' mentre la folla esultava, i giornalisti facevano foto e i due eroi venivano portati nel castello in trionfo sulle spalle dei toad.
Le due principesse si staccarono e si guardarono negli occhi: non servivano parole.
 
Durante il banchetto tutti mangiarono e si divertirono, poi venne il momento di lasciare le due principesse da sole in un salottino privato. Durante la festa avevano avuto modo di scambiarsi poche parole, visto che c'era una gran confusione.
«Non posso credere che tu sia tornata, Daisy» disse Peach, tenendole teneramente le mani. «Non ci speravo più, davvero».
«Stavo per perdere la speranza anche io. Ma come vedi sono tornata da te, principessa. Tutto grazie a Mario e Luigi» disse Daisy, lanciandosi sulle labbra dell'altra ragazza con un po’ troppa foga e lasciandosi trasportare dalla passione. Peach accettò di buon grado inizialmente, ma poi la respinse delicatamente. 
«Avremo tempo più tardi per queste cose. Ora voglio che mi racconti per filo e per segno che cosa è successo».
«Non posso raccontartelo più tardi?» chiese, un po' contrariata. 
«No, voglio saperlo ora. Voglio sapere che cosa ti è successo in tutto questo tempo. So solo che sei stata rapita da Wart».
«Sì, è così. Quella notte mi sono addormentata e quando mi sono svegliata ero in un posto sconosciuto. Appena ho aperto gli occhi mi si è parato davanti quel rospo grassone di Wart».
«Lo conosco, una volta l'ho affrontato [In Super Mario Bros. 2 Mario, Peach, Luigi e Toad affrontano Wart per liberare il mondo di Subcon dalla sua tirannia]. E che cosa voleva da te?».
«Voleva una fidanzata da corteggiare. Non è stato per niente bello dover respingere le sue avances, si attaccava come una cozza» disse Daisy, innervosendosi al ricordo.
Mi ricorda qualcuno, pensò Peach.
«Ho passato un anno a prendermi cura del suo giardino, praticamente» continuò Daisy. «Non c'era molto da fare».
«Quindi dopo essere stato sconfitto da noi, ha lasciato Subcon».
«Esatto. È molto abile con gli incantesimi ed è riuscito a nascondere bene il suo castello, è per questo che Mario e Luigi ci hanno messo tanto a trovarlo» spiegò Daisy.
«E come mai non sei riuscita a liberarti da sola? Quando mi hai salvata da Bowser mi sei sembrata perfettamente in grado di contrastare un intero esercito».
«Wart è più furbo del tuo amico tartarugone e si preoccupa di allenare meglio i suoi uomini. È anche bravo con gli incantesimi e riesce a rinforzarli tutti con la magia» rispose Daisy.
«Un vero osso duro» commentò Peach. Poi si ricordò che doveva dire una cosa alla sua ragazza: «Sai, ho detto a Mastro Toad di noi due».
Daisy strabuzzò gli occhi. «Che cosa? Davvero? E che ha detto?».
Peach raccontò tutto per filo e per segno.
«Be', effettivamente non è carino che voglia che tu cambi. Ma almeno non ti ha negato il suo affetto, è già qualcosa. Penso che con i vecchietti rimbambiti ci si possa accontentare solo di questo» commentò Daisy. 
«Non è un vecchietto rimbambito! È solo... un vecchietto, ecco» la rimproverò Peach.
«È uguale. L’unica cosa che importa è che ora siamo insieme» disse Daisy.
Seguì qualche secondo di silenzio. Poi Peach domandò: «Per quanto tempo vuoi rimanere qui?».
«Per sempre, mia principessa Peach» rispose l'altra, accarezzandole il viso. 
Peach rise. «E il tuo regno? Casa tua?».
«Sei tu la mia casa, biondina. Ti amo».
                                                                               

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Capitolo 9
*** Buon compleanno! ***


Non sembra vero ma sono tornata ad aggiornare questa raccolta per dedicare il capitolo a qualcuno che recentemente ha compiuto gli anni :)
Buona lettura!
 
Personaggi: Isabella (OC), Bowser, Kamek, Peach, Daisy, personaggi minori
Generi: Slice of life
Lunghezza: One shot (2054 parole)
Tipo di coppia: Shoujo-ai: Peach x Daisy
Note: nessuna
Avvertimenti: nessuno
Rating verde
 
Buon compleanno!


Erano passati due anni e mezzo da quel giorno in cui Isabella aveva dato consigli d'amore a Bowser sulla spiaggia, ma per lui nulla era cambiato ed era ancora single. La principessa non si era mai affezionata a lui e ad ogni rapimento era più insofferente.
Be', almeno non ha ancora un altro uomo, pensò Isabella, la martelkoopa della guardia reale, intenta ad allacciarsi le scarpe con meno fretta del solito. Era giovedì, il suo giorno libero, ciò voleva dire che poteva prendersela comoda.
Dalla finestra della sua camera situata nel dormitorio delle guardie poteva vedere il paesaggio brullo e desolato della Terra Oscura. Pensò alla sua casa lontana e la nostalgia l'assalì, ma le vacanze erano vicine e presto avrebbe potuto riabbracciare la sua famiglia. 
Quel giorno era il suo compleanno e i suoi genitori e sua sorella, più qualche amico, l'avevano chiamata per farle gli auguri. Era ancora una giovincella, seppur con un anno in più, e questo le dava un po' fastidio, si sentiva vecchia. In realtà era solo una sua impressione ed era ancora bella e gagliarda. Forse avrebbe ricevuto qualche regalo per posta, chissà.
Finì di prepararsi e uscì dal dormitorio. 

Il cortile era un'enorme piazza in cui i soldati potevano allenarsi e ben presto si sarebbe riempita per l'addestramento quotidiano, che però quel giorno non le toccava.
Mentre usciva vide arrivare il postino, che conosceva di vista.
«Buongiorno, signorina! Dove va di bello?» chiese il koopa postino, carico di lettere e pacchi.
«Buongiorno. Vado a fare una passeggiata sulle colline vulcaniche per rilassarmi, oggi è il mio giorno libero» rispose la martelkoopa sorridendo al koopa, sembrava simpatico.
«Prima le consiglio di controllare se c'è posta per lei, basta che mi dica nome e cognome».
E in effetti c'era posta per Isabella. Una busta bianca, con lo stemma della Terra Oscura. Il mittente era la segreteria generale del castello, di cui gli alloggi delle guardie erano una parte, che si occupava di tutte le comunicazioni interne ed esterne. Isabella aprì la busta, ma all'interno non c'era assolutamente nulla.
«Come lo spiega?» chiese lei al postino. 
Lui era stupito. «Strano, di solito la segreteria è precisa. Provi ad andare direttamente negli uffici a chiedere spiegazioni».
Bene, compleanno passato a risolvere questioni burocratiche. No grazie, pensò Isabella, intascando la busta vuota. Decise che ci avrebbe pensato il giorno dopo e si diresse verso le colline.

Ah, finalmente poteva stare un po' in solitudine e godere di quell'aria fumosa tipica dei vulcani che i koopa tanto amavano. Vicino a lei ribolliva la lava come una pentola sul gas. Si sedette su una sporgenza e lasciò vagare lo sguardo all'orizzonte. La sua vista acutissima scorgeva in lontananza il Regno dei Funghi, dove risiedeva la donna amata dal suo re.
Chissà che cosa starà facendo in questo momento la Principessa Peach, così esigente in fatto di uomini tanto da non accettare le avances di Bowser. Probabilmente sta partecipando a qualche incontro importante, i sovrani sono sempre molto impegnati...
 
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«Aaahhh, è molto rilassante, Daisy, continua così» sospirò Peach mentre Daisy le pettinava la lunga chioma bionda. «Adoro farmi accarezzare i capelli». Si abbandonò ancora di più sullo schienale della sedia mentre Daisy seduta dietro di lei si dava da fare a colpi di spazzola.
«Ti vizio troppo, è un'ora e mezza che ti pettino. Un po' va bene, ma poi stanca. Non lo puoi fare da sola?» sbuffò Daisy, dopo l'ennesima spazzolata. Ormai non c'era più ombra di nodi nei capelli della sua ragazza.
«Non è la stessa sensazione, se lo faccio da sola» replicò Peach, assonnata, con le palpebre semichiuse.
Suo malgrado Daisy continuò l'operazione.
«Lo sai che i capelli più li tocchi e più si sporcano?» chiese Daisy cercando di trovare un modo per liberarsi dalla noiosa attività.
«Mh». Peach non sembrava molto cosciente, tale era il relax.
«Quindi forse possiamo interromperci».
«Mh».
«Non mi stai ascoltando, vero?».
«Mh».

Passò un quarto d'ora.
«Se continuo ti addormenti, diamoci un taglio» disse Daisy spazientita.
«Taglio? Che taglio? Pensavo ti piacessero i capelli lunghi» rispose Peach, drizzandosi e voltandosi, svegliatasi dal torpore.
L'espressione di Daisy era davvero scocciata. «Niente, lascia perdere. Mi sta venendo un crampo alla mano».
«...Ma io stavo così bene... Altri cinque minuti, dai» la pregò Peach. «Dai, ti prometto che poi andremo in giardino. Il giardiniere ha portato una nuova specie di orchidee da Fagiolandia».
Daisy era incuriosita, ma allo stesso tempo non ne poteva più di spazzolare. «Tre minuti» fu la sua offerta.
«...Va bene». Peach si risistemò sulla sedia e Daisy riprese a lavorare di spazzola.


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Sì, sicuramente è impegnata, pensò Isabella.
Si concesse un'oretta di riposo sdraiata tra i crateri, ascoltando il rimestarsi del magma circostante. Ogni tanto la coltre di fumo si diradava e un sole accecante la infastidiva attraverso le palpebre chiuse, ma poco dopo veniva di nuovo oscurato. 
Era particolarmente serena perché le chiamate di auguri l'avevano messa di buon umore. Poi ripensò alla busta misteriosa che le era arrivata per posta: chissà che cosa avevano combinato alla segreteria del castello. Magari era un avviso importante, o forse qualcuno si era divertito a farle uno scherzo. Decise che non era il momento di pensarci e si girò su un fianco, sentendo ancora meglio i borbottii del vulcano. Per i koopa e i martelkoopa le eruzioni non erano pericolose, potevano ripararsi nel gusto resistentissimo.

Si appisolò e sognò Bowser, il suo idolo, che le porgeva una torta con le candeline e urlava, tutto contento: «Buon compleanno!».


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«Dov'è? Comincio a pentirmi della mia decisione» ruggì Bowser, battendo l'indice nervosamente sul bracciolo del trono, con la testa appoggiata alla zampa sinistra.
«Sono sicuro che sarà qui a momenti, Sua Altezza. Non può mancare ad un'occasione così importante» sentenziò Kamek, che ostentava calma, ma in realtà sapeva bene che quando il re era nervoso c'era ben poco da stare calmi.
«A meno che non voglia rinunciare. Non ha invitato nessuno, ci siamo solo io e te qui» disse Bowser.
«Non vedo come si possa rinunciare ad un'opportunità così importante. Chiunque vorrebbe essere al suo posto» affermò Kamek.
«In ogni caso se non si presenta entro un quarto d'ora cederò il titolo a qualcun altro. Ormai ho cancellato i miei impegni per questa cerimonia, quindi qualcuno dovrà essere nominato capitano delle guardie, oggi, anche perché con la pensione del precedente ne siamo sprovvisti. Se non sarà lei sarà qualcun altro. Ammetto di essere deluso, però: mi sembrava una tipa in gamba» disse Bowser, maneggiando tra gli artigli una medaglietta d'oro con un nastrino rosso.
«Volete che la mandi a cercare?».
«Non serve. In segreteria sono precisi e mandano sempre gli avvisi in tempo, dovrebbe esserle arrivato almeno una settimana fa. Se non lo ha letto sono problemi suoi» sentenziò Bowser. «Aspettiamo un quarto d'ora».

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«Gertrude, te lo avevo detto di non portare quella peste di tuo nipote in ufficio! Ha scombinato tutte le carte» si lamentò Gisella, la segretaria responsabile.
«È solo un bambino, i bambini devono giocare» disse Gertrude, la segretaria irresponsabile.
Le due goomba condividevano un ufficio pieno di scaffali e cassetti, zeppi di carte. Sulle due scrivanie c'erano computer, stampante, telefono, fax e scartoffie varie, oltre ad un buon numero di penne, matite ed evidenziatori. Gestivano uno degli uffici della segreteria del castello della Terra Oscura.
«I bambini devono giocare al parco, non qui. Aiutami almeno a sistemare» disse Gisella, guardando sotto ad un mobile cercando di capire dove potesse essere finito quell'importante fax ricevuto due settimane prima da un regno vicino.
Gertrude era seduta sulla sua sedia da ufficio e leggeva tranquillamente una rivista di gossip. «Mia sorella mi ha chiesto di tenerle il figlio e io dovevo lavorare, potevo portarlo solo qui» replicò Gertrude distrattamente.
Doveva lavorare, pensò Gisella, ben sapendo che Gertrude era la goomba più svogliata del mondo, oltre che pettegola e stupida, interessata solamente a programmi TV di improbabili fidanzamenti e alle ultime corna delle star. Oltretutto l'aveva anche come amica sui social network e non ne poteva più di tutti quei "buongiornissimooo" e "kaffeee". 
Gisella continuò a cercare i documenti ancora dispersi dopo una settimana che il nipote di Gertrude aveva gettato scompiglio nell'ufficio e decise che era inutile insistere con la collega.
«Quando hai fatto passami la lima per le unghie, credo di averla lasciata in bagno» disse Gertrude, sfogliando la rivista.

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Isabella tornò verso il castello, ristorata dal grigiore dei vulcani. Aveva intenzione di passare il resto della giornata a guardare la televisione, cosa che poteva fare raramente, dati gli impegni. Era quasi arrivata al dormitorio quando un suo amico paratroopa le si avvicinò raggiante. «Congratulazioni, Isabella!».
«Ciao, Gino. Congratulazioni per cosa?» chiese lei confusa.
«Ma per la promozione, per cosa se no? Ora dovrò sottostare a tutti i tuoi ordini, eheheh» rise il soldato Gino, accennando un inchino svolazzante.
«...Non so di cosa tu stia parlando» disse Isabella esitante.
«Come non lo sai? Ho incontrato Marcellino, il cuoco, che mi ha detto che sei stata nominata capitano delle guardie! Sai, i cuochi del castello sanno tutti i pettegolezzi. Lui l'ha scoperto oggi e incontrandomi me lo ha detto. Perché non mi hai fatto sapere nulla? Non è un segreto. Ah, e quando sarà la cerimonia? Sono così felice per te!».
«Credo ci sia un errore, il cuoco si sarà confuso con un'altra» disse Isabella.
«Ma no, parlava proprio di te, ne sono sicuro! Ma come, non sai di essere il nuovo capitano delle guardie?!?».
Isabella non sapeva cosa pensare. «Se fossi stata nominata capo delle guardie mi sarebbe stato comunicato, avrei ricevuto un avvis-» si interruppe e tastò la busta che aveva ricevuto quella mattina. La tirò fuori e controllò che fosse davvero vuota, rigirandola su e giù, a destra e a sinistra.
Poi corse come un razzo verso il castello.

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La porta dell'ufficio si aprì di colpo, lasciando entrare una martelkoopa molto affannata. 
«Desidera?» chiese Gertrude, posando la rivista.
«Mi avete spedito una lettera vuota. Dov'è il contenuto?» chiese Isabella, mostrando la busta. Gertrude e Gisella la osservarono.
«Oh, ecco un altro errore causato da quel pasticcione di tuo nipote! Ha mischiato tutte le carte!» si lamentò Gisella, prendendo la busta. La lesse e sfogliò un pacco di fogli che si trovava sulla scrivania. Ne estrasse uno piegato e lo porse ad Isabella.
«Ecco, ci scusi infinitamente per il disagio. Purtroppo abbiamo avuto dei problemi».
Isabella lesse la lettera dispersa, guardò l'orologio appeso al muro e si fiondò fuori dalla porta e tra i corridoi del castello.

«Ehi Isa, dove corri?» le chiese un altro martelkoopa intento a lucidare i martelli nel corridoio.
Isabella non rispose e continuò a correre, occasionalmente ritirandosi nel guscio e rotolando, costringendo chi passava da quelle parti a scansarsi per non finire investito.

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«Grrr, sono stanco di aspettare!» ruggì Bowser. «Trovami un altro capitano delle guardie, Kam-» fu interrotto dal fragore della porta che si apriva e da una martelkoopa che entrò sfrecciando.
«Eccoti, Mariella. Sei in ritardo» grugnì il re dei koopa, fissando la martelkoopa con aria cupa.
«Si chiama Isabella» gli sussurrò Kamek.
«...Isabella. Stavamo per rimpiazzarti, mi hai fatto perdere parecchio tempo» la rimproverò Bowser, con il fumo che usciva dal naso.
«Sono infinitamente dispiaciuta, Vostra Maestà, ma la segreteria non mi ha recapitato l'avviso in tempo» si scusò la martelkoopa col fiatone, già meditando vendetta contro le due goomba.
«Dunque accetti l'incarico?» chiese Bowser.
«...Certamente» rispose lei, commossa, inchinandosi.
«Bene, possiamo procedere. Diamoci una mossa» disse Bowser prendendo la medaglia ed innalzandola. Kamek gli porse un foglio da leggere: «Dati l'impegno e la fede sempre dimostrati nel servire il Re, la sua famiglia, il castello e la patria, date l'indubbia abilità nell'arte bellica, la tenacia e dati i combattimenti contro il Nemico Mario, affrontati con indomito coraggio e valore, io, Bowser Koopa, Re della Terra Oscura e dei koopa tutti, nomino, dall'alto del mio incommensurabile potere, Isabella Koopafreak, nuovo capitano delle guardie del castello della Terra Oscura, residenza ufficiale del Re, che confida nella completa responsabilità e fedeltà della martelkoopa che si appresta a confermare la sua nuova posizione, i cui incarichi dovranno essere svolti con infinita dedizione».
Dopodiché Bowser appuntò la medaglia al petto duro di Isabella, che non poteva credere ai suoi occhi e alle sue orecchie e che finalmente aveva visto avverato uno dei suoi più grandi sogni.

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