Ichi to Ni

di gaeshi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ichi... Ni... Shit! ***
Capitolo 2: *** Useful brotherhood ***
Capitolo 3: *** Jealousy ***
Capitolo 4: *** A bit too hot ***
Capitolo 5: *** Deathly march ***
Capitolo 6: *** Fuck, I love you ***
Capitolo 7: *** I hate logic ***
Capitolo 8: *** Pray for your freedom ***
Capitolo 9: *** Takoyaki ***
Capitolo 10: *** Time to start ***
Capitolo 11: *** Beat the Dragon ***
Capitolo 12: *** First down ***
Capitolo 13: *** White knights, black nights ***
Capitolo 14: *** S h i ***
Capitolo 15: *** You are late ***
Capitolo 16: *** I fixed myself for you ***
Capitolo 17: *** Dead is the new alive ***
Capitolo 18: *** Preistoric crash ***
Capitolo 19: *** Gargoyle's roar ***
Capitolo 20: *** Getting ready ***
Capitolo 21: *** Mint Flavour ***
Capitolo 22: *** Moshi moshi? ***
Capitolo 23: *** Merry Xmas ***
Capitolo 24: *** Sis, do you even sing? ***
Capitolo 25: *** All-star in progress ***
Capitolo 26: *** Say trash again ***
Capitolo 27: *** Hide the last dance ***
Capitolo 28: *** Towards the next step ***
Capitolo 29: *** Rien ne va plus ***
Capitolo 30: *** Flying with the Eagles ***



Capitolo 1
*** Ichi... Ni... Shit! ***


Tokyo, sera inoltrata; un qualunque vicolo con cassonetti e immondizia sparsa.
“Facciamo una scommessa?” 
La bambina comparsa davanti a lui sembrava uscita da un film horror; apparsa dal nulla, capelli lunghi, scarmigliati e decisamente sporchi, vestiti macchiati e dai bordi a tratti lacerati. Qualunque studente avrebbe provato un minimo di timore, inquietudine, o alla peggio fastidio. Yoichi Hiruma, invece, esibì il ghigno che già a quindici anni lo caratterizzava e si fermò.
“Sentiamo”
Non aveva mai visto prima quella piccola stracciona, e dall’aspetto probabilmente era una delle tante, inutili nullità. Però quella sera la sua valigia era piena di soldi, il suo orgoglio gongolava per aver vinto tutte le scommesse fatte con gli stolti del football alla base militare, quindi il suo umore era a livelli decisamente alti. E qualcosa di nuovo era sempre ben accetto, fosse anche un bersaglio in movimento per la sua pistola appena comprata. La prima di una lunga serie, se i suoi piani fossero andati –come sempre- in porto.
“Se riesco a bloccarti il bicipite sinistro con solo due dita, tu mi darai tutti i soldi che hai!”
La voce della piccola (che, a occhio e croce, poteva benissimo avere la sua età ma indossare gli stessi vestiti da anni) era allegra, sicura di sé e spavalda. Conosceva quel genere di persone, lui era esattamente così.
“No, vinceresti tu.”
“Non puoi saperlo finché non provi”
“Mi basta guardarti, so che hai qualche trucco da parte. Magari un paio di amici forzuti pronti a saltarmi addosso”
“E quale sarebbe il tuo problema? Appena arrivano gli spari”
Il ragazzo dai capelli tinti di biondo alzò un sopracciglio.
“Mi hai seguito”
“No, affatto. Ma ora so che hai una pistola” sorrise trionfante l’altra, inclinando la testa di lato “Allora, questa scommessa?”
Yoichi sbuffò, ma il ghigno non scomparve dal suo viso affilato. Quella mocciosa di merda lo interessava, c’erano affinità fra i loro modi di agire. Pensò che, in fin dei conti, poteva anche accettare la sua proposta.
“Va bene. Ma se perdi la scommessa, farai una cosa per me”
“D’accordo” rispose lei, quasi noncurante. Lo studente se l’aspettava, ma non avrebbe mai potuto prevedere quel che successe dopo: la ragazzina si avvicinò con uno scatto, alzò le mani tenendo gli indici puntati, e con quelli colpì due volte il suo braccio destro, all’altezza delle inserzioni fra muscolo e osso, e una volta al centro.
Subito la valigetta che Hiruma reggeva cadde a terra, e il ragazzo si trovò con il bicipite completamente paralizzato.
-Interessante…- pensò, cominciando ad elaborare nella sua mente machiavellica possibili situazioni in cui usare quella strana tecnica.
“Ho vinto. Caccia i soldi, biondino del cazzo! Poi te lo risistemo”
“Sai far sciogliere e contrarre artificialmente i muscoli? Come fai?”
“Non sono affari tuoi... Comunque ho studiato, molto semplicemente”
“Ok, ok… Come ti chiami?”
“Yoni”
Il ghigno si trasformò in una risatina, una sorta di breve “Kekeke” che l’altra guardò con sospetto.
“Tu credi nel destino, Yoni?”
“Solo se è quello che mi sono costruita io” fu la secca risposta di una persona che cominciava ad irritarsi.
“Ti offro qualcosa di meglio dei soldi, ti va?”
“Puoi offrirmi i soldi… E qualcosa di meglio. Ma prima i soldi” commentò lei, tendendo una mano incrostata di sporco. L’altro le consegnò la sua cartella, che la ragazza aprì subito con curiosità; i suoi occhi verdi brillarono per un secondo, prima di continuare a fingere indifferenza.
“Ok, e ora ascolta la mia proposta…”
 
“Tu vivi qui?”
A Yoni sorse spontanea la domanda, vedendo il lusso dell’hotel in cui si trovavano, ma poi si ricordò che le aveva appena dato una quantità di yen spropositata al suo essere un normale studente delle medie.
“Tra i vari posti… I miei sono partiti per stanare gli ultimi nazisti, quindi non li vedo quasi mai”
“Uh-uh” rispose distratta lei, tenendo la valigetta stretta al petto e non osando sedersi da nessuna parte. “Quindi, Yoichi, di preciso cos’è che vuoi?”
Lui la ignorò, accendendo il portatile e collegandoci contemporaneamente la stampante. Yoni non gli mise fretta, se l’aveva portata lì un motivo c’era. E se avesse tentato di violentarla sarebbe stato peggio per lui, magro e rachitico com’era non le ci sarebbe voluto molto per metterlo fuori combattimento.
“Quanti anni hai?”
“Quattordici”
“E sei nata il..?”
“Che ti importa?”
“Ok, 17 Novembre”
“Ehi, no, 23 Maggio, ma perché lo vuoi sapere?”
Gli apparecchi ronzarono e lampeggiarono, e pochi istanti dopo un foglio venne sputato fuori; Hiruma lo acchiappò con le sue dita sottili e glielo porse. Yoni lo lesse tutto velocemente, e un’espressione di stupore le inarcò le sopracciglia.
“…Adozione? Mi stai prendendo in giro?”
Il sorriso demoniaco le comunicò che era serissimo.
“Analizza la situazione:  non hai nessuno, sei povera in canna, e sei costretta a vivere per strada. Puoi essermi davvero utile, e la gente utile o la ricatto o la tengo vicina. Cosa scegli?”
“Andiamo, devi avere qualcos’altro in mente. Non penso tu ti metta ad adottare tutti coloro che potranno farti comodo”
“No, infatti tu sei la prima. Ma mi stai simpatica, e poi ci assomigliamo pure, quindi è un piano perfetto”
“Siamo solo biondi allo stesso modo. E tu sei pure tinto!”
“Chiudi quella bocca di merda e firma, dai”
Yoni rilesse tutto con più attenzione, mentre gli ingranaggi del suo cervello lavoravano alacremente. In effetti, essere adottata dopo anni di vita “libera” le pareva un’alternativa interessante. Se qualcosa fosse andato storto, poteva sempre scappare… Di nuovo.
“E dovrei chiamarmi Hiruma?”
“Sì, è il cognome di mio padre. Dai, non suona male Yoni Hiruma”
“E il signor Hiruma è d’accordo nel sapere che il numero della sua prole aumenta?”
“Che ti importa?”
“Ottimo, lascio a te i problemi legali allora”
La ragazzina sorrise, avvicinandosi ad un tavolo.
“La cosa che fa più ridere è la serie di nomi dei suoi figli. Yo-ichi e Yo-ni. Sembra fatto apposta” sogghignò lei apponendo la sua firma sul certificato di adozione.
“Naah, è solo il destino”
“Tu non credi nel destino, nii-dick” affermò sicura, coniando il soprannome con cui l’avrebbe chiamato sempre… E incoraggiandolo a fare lo stesso.
“No, infatti. Ora lavati nee-shit, puzzi da fare schifo” disse aprendole la porta del bagno alle sue spalle.
“Gli universitari pensano che in biblioteca una doccia non sia necessaria, solitamente” rispose ironicamente l’altra appoggiando la valigetta sul letto con una smorfia.
“E perché cazzo vivi in biblioteca, con tutti i posti che ci sono?”
“Perché i libri sul corpo umano sono lì. E c’è un buco nel muro da cui si passa benissimo, di notte” troncò lei, chiudendosi la porta dietro le spalle.
 
Rimase sotto l’acqua per diversi minuti, grattandosi via tutto lo sporco accumulato nei mesi in cui non era riuscita a lavarsi in maniera completa perché il fiume era troppo freddo.  La sensazione di frescura e pulizia la fece sorridere, ma mentre chiudeva l’acqua il rumore della porta che si apriva le fece corrugare le sopracciglia. Afferrò l’asciugamano e si coprì velocemente prima di spostare la tenda e sbottare:
“Cosa vuoi, pervertito del cazzo?”
Yoichi era fermo sulla porta, il solito ghigno a deformargli il volto, con una felpa nera e un paio di shorts in mano.
“Lo schifo che indossavi prima finisce nell’inceneritore. Metti questi, poi andrai a cercarti qualcosa nei prossimi giorni”
Yoni non disse niente, ma si avvicinò e glieli strappò di mano.
“Si dice grazie, di solito”
“No, si dice: fuori dai piedi che mi devo vestire”
 
Quando uscì, Yoichi era già disteso sul letto; si era tolto l’uniforme scolastica e l’aveva piegata ordinatamente su una sedia, quindi ora era in boxer a gambe incrociate sul letto, un palloncino di chewing-gum appoggiato sulle sue labbra quasi con fare svogliato, che terminava di battere al computer qualcosa. Yoni osservò che era incredibilmente magro, ma che probabilmente si stava allenando per potenziare pettorali e bicipiti, visto come quei muscoli risaltavano rispetto al resto del corpo.
“Hai il collo contratto, vero?” commentò noncurante, avvicinandosi a quello che, essendo matrimoniale, era l’unico letto della stanza.
“Si vede?”
“O quello, ho hai un edema nei pressi dello sternocleidomastoideo. Forza, mettiti dritto” ordinò salendo sul morbido e altissimo materasso e mettendosi in ginocchio di fianco al neo-fratello acquisito. Lo sguardo che questo le rivolse era indecifrabile, sembrava un misto fra un insulto e un’espressione di stupore. Poi però non disse niente e le obbedì, voltandole la schiena.
Yoni si scrocchiò le dita e le appoggiò sulle spalle del ragazzo, risalendo lentamente lungo i lati del collo; poi, trovati i punti giusti, diede alcuni colpi rapidi e secchi, come delle punture. Fatto questo tornò seduta, dichiarando con aria soddisfatta:
“A posto!”
Yoichi mosse il collo in varie direzioni, verificando che la contrazione che si era procurato in palestra il giorno prima era effettivamente scomparsa. Sogghignò, guardandola da dietro la spalla.
“Interessante… Cos’altro sai fare?”

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Capitolo 2
*** Useful brotherhood ***


“Vecchio di merda! Vieni qua, mi servi per un esperimento!”
Musashi sospirò all’ennesima richiesta assurda del suo capitano, e calciata l’ultima palla oltre la linea di meta fece quello che gli veniva chiesto. Notò che Hiruma non era solo, di fianco a lui stazionava una bionda magrissima che aveva una strana luce negli occhi… Una luce familiare.
-Demoniaca…- pensò il kicker, poi il quarterback cominciò a parlare.
“Lei è Yoni, la mia sorella di merda. Ora mostrale il ginocchio che sei riuscito a fracassarti facendo il muratore come un povero sfigato!”
Il ragazzo sollevò appena un sopracciglio, chiedendo “Da quando hai una sorella?” con aria perplessa, ma poi si sedette e si arrotolò il pantalone fino alla coscia. Osservò la ragazza esaminare con sguardo serio il suo ginocchio, piuttosto gonfio e di un colorito bluastro.
“Forza nee-shit, sistemalo e avrai quel che abbiamo pattuito” ordinò alla sorella, che lo ignorò rivolgendosi al suo “paziente”.
“Sì, si può fare. Ti farà un po’ male all’inizio, stringi i denti e non fare il bambino”
Senza aspettare un commento di risposta, premette i pollici sopra la rotula e cominciò a muoverli verso i lati esterni. Musashi strabuzzò gli occhi soffocando un gemito di dolore, ma poi si rese conto che il gonfiore andava diminuendo.
“Funziona… Ma come fai?”
“Faccio drenare il sangue nei vasi sani, così non si accumula e non fa gonfiare il ginocchio. Poi sollecito i legamenti di actina a scorrere, così il muscolo si decontrae. Poi…”
“Sì, vabbè, non importa” chiuse in fretta, avendo già sentito fin troppe parole astruse “Hiruma, cos’hai in mente stavolta? Non credo fossi preoccupato per me…”
“No, infatti. Ma mi servivi sano per continuare ad allenarti, e le ho promesso che se si rivelava utile la facevo iscrivere al Deimon. Un massaggiatore farà sempre comodo ai Devil Bats!”
Yoni si alzò strofinandosi le mani sui jeans, parte degli acquisti di quella mattina, poi lanciò un’occhiata significativa al fratello. Musashi non poté fare a meno di pensare che quei due, per certi versi, si somigliavano parecchio: stessi zigomi alti, stessa sfumatura di biondo nei capelli (anche se il ragazzo se la procurava artificialmente), e soprattutto stesso ghigno malevolo... Anche se quello di Hiruma era decisamente più inquietante. Se davvero erano fratelli, Yoni doveva aver preso dalla madre; aveva visto il padre una volta, e non notava similitudini fra di loro.
“Non pensare che sia finita qui, nee-shit. La tua prova si estende al resto della squadra!”
Il ragazzo si avvicinò al campo da football, e lanciò un urlo in direzione di un tizio incredibilmente grasso che stava torturando delle macchine da allenamento spingendole fino a farle cigolare pericolosamente.
“Ciccione di merda, vieni qui!”
Kurita obbedì passandosi una mano sulla fronte per asciugarsi il sudore; quando arrivò vicino agli altri tre, Yoichi gli fece lo sgambetto facendolo finire lungo disteso per terra.
“Hi-Hiruma? Che succede?”
“Stai fermo lì. Hai detto che ti faceva male la schiena, vero?”
“Ehm... Sì...”
“Ottimo. Lei è mia sorella Yoni, e se riesce a trovarti i muscoli in mezzo a tutto quel grasso si potrà iscrivere al Deimon!” ghignò, rivolto alla ragazza.
“Da quando hai una sorella?” chiese il lineman, stupito, ma Hiruma lo ignorò bellamente.
“Su, procedi nee-shit.”
Yoni guardò con espressione impassibile l’enorme schiena di Kurita, avvicinandosi e mettendosi in ginocchio di fianco a lui.
-Cazzo, e qui come trovo i punti giusti?-
Tastò quella montagna di carne, poi decise di mettersi in piedi a gambe larghe di fianco a lui, dato che sopra non ci riusciva; prese fiato, scrocchiandosi le nocche, e gli assestò un discreto pugno sulla scapola destra.
“Ti ha fatto male?” chiese con tono professionale
“Umh... No”
“Ottimo, allora continuo”
Per le schiene normali usava le dita, e applicava una forza proporzionata al muscolo che aveva di fronte; ma Kurita possedeva uno strato di grasso che le rendeva difficile il lavoro, quindi la pressione doveva essere più alta se voleva raggiungere i punti di contrazione. Per questo motivo continuò a colpire con forza la schiena gigantesca del lineman per un altro minuto abbondante; poi finalmente si rimise dritta, asciugandosi la fronte e chiedendo come stesse.
“Uh... Uao! Non mi fa più male!” esclamò Kurita stupefatto rialzandosi in piedi goffamente.
“Hihihihi! Molto bene, sorella di merda. Andiamo dal preside...”
 
“Non mi avevi detto che tenevi anche il preside nella tua agendina dei ricatti” commentò tranquillamente Yoni mentre camminavano lungo il corridoio, scansati da tutti quelli che riconoscevano il demoniaco quarterback.
“Perché avrei dovuto? Se ti dicevo che quell’incompetente di merda ti avrebbe fatta entrare comunque, non mi sistemavi gratis la squadra”
“Perché, avevi pure intenzione di pagarmi?” chiese, sinceramente stupita, fermandosi e guardandolo negli occhi. Yoichi ricambiò l’occhiata vedendo che la sorella aveva recuperato immediatamente l’aria impassibile che cercava di costruirsi addosso.
Sogghignò.
“Naah, era solo una farsa. Oggi devi andare a comprarti l’uniforme, vengo con te così faccio un paio di acquisti per i Devil Bats...”
Qualche ora dopo lasciavano il proprio indirizzo al garzone del negozio, che aveva assicurato la consegna in giornata soprattutto dopo aver riconosciuto l’agenda di Hiruma, e si dirigevano verso casa. Non era l’hotel di due sere prima, bensì una villetta a schiera dall’aria modesta ma decorosa.
“Uno dei tuoi ‘qui e là’?”
“Precisamente. Per questa settimana staremo qui” disse appoggiando la borsa in salotto e dirigendosi al piano superiore “Io mi faccio una doccia, tu prepara qualcosa per la cena. Quello che ti pare, il frigo è pieno, arrangiati in qualche modo”
Yoni cercò di protestare, ma il rumore di una porta sbattuta dichiarò il suo destino compiuto. Svogliatamente, si diresse quindi in cucina e cominciò a tirare fuori cose a caso dalla dispensa. Elaborandole insieme mentalmente, venivano fuori intrugli apparentemente gradevoli... Provò quindi a metterli in pratica, evitando gli abbinamenti di livello elementare come pesce+latte, anche se singolarmente erano buoni...
Quando Yoichi scese, la tavola era apparecchiata e nei piatti giacevano degli spiedini di gamberi e peperoni dal profumo invitante.
“Ah, ma allora sai cucinare veramente!” esclamò ghignando, sedendosi mentre Yoni faceva lo stesso.
“Ho imparato qualcosa guardando mia madre, ma niente di che. Vado più che altro a logica, le fibre nei peperoni fanno bene e le proteine del pesce aiutano il sistema nervoso...” si schermì lei, e cominciò a mangiare. In effetti, quei cosi non erano male.
“Nella squadra siete solo in tre?”
“Con te, quattro. Ma l’abbiamo aperta pochi mesi fa, presto arriveranno le iscrizioni”
“E come mai ti piace così tanto il football?”
“Beh, perché è divertente. Un sacco. Lo vedrai coi tuoi occhi, scettica di merda” tagliò corto, ripulendo l’ultimo spiedino del suo contenuto e alzandosi in piedi, sparecchiando non appena anche Yoni ebbe finito di cenare. La ragazza si stupì del gesto educato, ma poi pensò che lei, in fondo, aveva cucinato; quindi era giusto così.
Dormirono insieme, quella notte e quelle che seguirono; era un tacito accordo che non sfociò mai in nulla oltre alla consapevolezza di non essere soli. Non più.
 
Meno di un anno dopo Musashi lasciò la squadra; il sogno del Christmas Bowl sfumò per i restanti Devil Bats, che non poterono fare altro che lasciar andare il loro kicker, sperando che il padre di quest’ultimo guarisse in fretta. Kurita la prese malissimo, e si rifugiò piangendo nel cibo ricavandone un’indigestione colossale, cosa stupefacente per uno come lui.
Hiruma prese a calci una panchina e non disse niente. Non disse niente per tutta la giornata, e Yoni sapeva che non era una cosa positiva.
A casa aspettò che si sdraiasse sul letto per dormire, poi fulmineamente gli saltò addosso.
“Che cazzo fai, idiota di merda?” la apostrofò aggressivamente trovandosela sullo stomaco e cercando di ribaltarla.
“Girati”
“Eh?”
“Girati o ti giro io a forza”
Borbottando imprecazioni Yoichi si voltò, volgendole la schiena che, come sempre quando andava a letto, era nuda. Yoni gli appoggiò le mani sulle spalle, e il fratello la bloccò scontrosamente.
“Sto benissimo, non ho voglia delle tue punzecchiature”
“Chiudi quella fogna e rilassati, che ne hai un fottuto bisogno” lo zittì lei, e cominciò a massaggiarlo. Non erano i soliti movimenti “chirurgici”, per sciogliere punti precisi, bensì una serie di carezze e tocchi per donare sollievo e semplice piacere. Un massaggio tradizionale insomma, non gliene aveva mai fatti nonostante conoscesse praticamente a memoria i muscoli di quel ragazzo per averli risanati infinite volte dopo allenamenti esasperanti.
“Musashi tornerà” mormorò con dolcezza, mentre sentiva che Yoichi finalmente si rilassava un po’.
“Lo so” borbottò lui con la testa nel cuscino e la voce stanca, ormai caduta la maschera che indossava con tutti “Però intanto abbiamo perso, cazzo...”
“Vincerete l’anno prossimo”
“Dobbiamo farlo per forza.  È l’ultimo anno...”
Era parecchio sconfortato, anche se come sempre riusciva a nasconderlo in parte. Yoni smise di massaggiarlo e si sdraiò di fianco a lui, abbracciandolo da dietro. Stranamente, la lasciò fare.
“Basterà mettere insieme una squadra degna di questo nome. E ce la faremo, vedrai!”
Lo sentì sospirare; impercettibilmente, ma sospirare.
“Speriamo...”
Non l’aveva mai visto così abbattuto, quasi le faceva tenerezza.
-Bah... Questo demonio ridotto in questo stato? Doveva tenerci proprio tanto... Ma forse è anche per il ciccione...- rifletté, sciogliendo l’abbraccio. Gli posò un bacio sulla nuca poi si girò dall’altra parte, verso l’esterno.
“Buonanotte Nii-dick”
Non vide lo sguardo stranito che le aveva lanciato il fratello, poco prima di rispondere, a bassa voce:
“Buonanotte, Yoni"

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Capitolo 3
*** Jealousy ***


L’anno dopo ce la fecero; o meglio, per la prima volta riuscirono a reclutare per i Deimon Devil Bats dei membri fissi che, incredibilmente, non erano neppure malaccio. Certo, avevano bisogno del giusto allenamento, però il capitano Hiruma aveva già in mente qualche bel giochetto per loro.
Yoni lo vedeva di nuovo allegro, seriamente da quando Musashi se ne era andato; ovviamente il ghigno che Yoichi si stampava in faccia era uguale per ogni situazione, ma lei che ormai lo conosceva bene riusciva a distinguere, per la maggior parte delle volte, i suoi stati d’animo. E vedeva che suo fratello era felice e si divertiva, e tanto le bastava per essere contenta.
I rapporti tra loro due, col tempo, erano diventati davvero speciali; era partita pensando di poter approfittare di lui, come lui di lei, senza minimamente pensare al fatto che avrebbe potuto affezionarsi in quel modo. Il suo nii-dick era il centro della sua esistenza, accanto al migliorare per diventare la padrona dei segreti del corpo umano; studiava anatomia e biologia e migliorava i suoi massaggi speciali risistemando i Devil Bats dopo le partite. Kurita era sempre un problema, ma bastava prenderlo a pugni e anche i suoi muscoli obbedivano, come tutti gli altri.
Le cose andavano bene, però... Un punto d’ombra si era insinuato in tutta quella luce.
La manager.
Yoni aveva avuto modo di conoscere Mamori Anezaki, e di vedere quanto quella ragazza fosse in gamba; era un elemento indispensabile per la squadra, quasi quanto il “nano di merda” o la “scimmia di merda”, e per questo motivo la rispettava.
Tuttavia, osservava il rapporto che lei aveva con suo fratello; era diverso da quello che Yoichi teneva con le altre ragazze, che a malapena vedeva, e anche se Yoni non conosceva troppo a fondo i segreti dell’animo femminile il suo cervello le suggeriva che gli occhi di Mamori avevano una luce particolare che si accendeva solo quando parlava con il quarterback.
-È strano- pensava mentre la manager eseguiva gli ordini del capitano in maniera impeccabile –Non riesco a capirla, chissà cosa vuol dire?-
Nei suoi libri non venivano spiegati i sentimenti, e Yoni non aveva altri insegnanti; decise quindi di invitare Mamori da Kariya, dove sapeva sarebbe stata più propensa ad andare, per chiederglielo direttamente.
 
Dietro un fortino di bignè alla crema le guance della manager diventarono molto più rosse del normale mentre cercava una risposta alla domanda di Yoni.
“Co-come, scusa?”
“Dai che hai capito. Cosa provi per mio fratello?”
“Ma in che senso? Mi comanda a bacchetta, mi insulta di continuo...”
“Sì, ma nonostante questo sei diversa quando sei con lui”
Mamori strabuzzò gli occhi, inghiottendo due paste a velocità supersonica.
“Di-diversa?”
“Sì. Ti brillano gli occhi. E non riesco a capire cosa provochi questo, sicuramente degli ormoni, ma quali?”
Il viso di Yoni era serissimo, animato da vero interesse scientifico; Mamori lo capì, non era lì per raccogliere pettegolezzi o che altro, ma per spiegarsi una cosa che non comprendeva. Ormai aveva intuito che tipo di persone erano i fratelli Hiruma...
“Beh, ecco...” abbassò la voce e si sporse in avanti, subito imitata dalla bionda “Tu sai mantenere un segreto?”
Yoni alzò un sopracciglio, scettica.
“Mamori, vivo con un ricattatore professionista. I segreti sono il mio pane quotidiano”
La manager sospirò, poi decise di confidarsi; d’altronde, inconsciamente, desiderava una mano per “quella faccenda”, e Yoni era senza dubbio la persona più adatta. Forse.
“Credo di... Essermi innamorata di Hiruma-kun...”
Yoni rimase impassibile, cercando di ricordare cosa l’innamoramento scatenasse all’interno di un corpo.
-Se per innamoramento intendiamo eccitazione sessuale, allora si liberano una serie di ormoni: l’adrenalina, la dopamina…- e via così, una serie di nomi scientifici trovati sui libri che però, a conti fatti, non la facevano arrivare ad alcuna conclusione. Per sentito dire, da compagne di classe ascoltate con poco interesse, sapeva che quando una ragazza è innamorata pensa sempre all’oggetto dei suoi desideri, e arriva a fare per lui praticamente qualsiasi cosa; in effetti, Mamori obbediva sempre a Nii-dick qualsiasi cosa le chiedesse.
“Bene, posso capirlo. A dire il vero, mi stupisce che tu sia la prima ad averlo fatto”
“Come dici, scusa?” chiese Mamori sbattendo le palpebre più volte
“Beh, Nii-dick è un bel ragazzo, affascinante dal punto di vista fisico. Ha una forte personalità, ed è sempre sicuro di sé. Istintivamente, una donna cerca questo in un maschio, no?”
“Uh… Sì… Credo di sì...” rispose l’altra, non capendo bene dove volesse andare a parare il discorso di Yoni “Ma quindi… Hai intenzione di dirglielo?” chiese, dopo molte esitazioni
“Se l’ho capito io, credo l’abbia fatto anche lui. Non è uno stupido, in genere…” commentò la bionda cupamente, e questo pensiero le fece salire un sentimento amaro fino in gola.
“Dici che ho qualche chances? Tu che lo conosci bene...”
Il tono e gli occhi della manager si erano riempiti di aspettative e speranza; Yoni distolse lo sguardo, e si alzò per andarsene, sempre con l’aria impassibile ma con un inizio di tempesta nel cuore.
“Sì. Le tue probabilità di sedurlo sono le più alte in assoluto fra le ragazze che Yoichi frequenta” disse in tono piatto, e senza aggiungere altro si allontanò lasciando Mamori da sola con i pasticcini da pagare e l’aria estremamente confusa.
 
-Si può sapere che cazzo mi è preso?-
Yoni si insultava da sola sulla strada di casa; i suoi piedi calpestavano l’asfalto velocemente, quasi con rabbia, mentre la sua testa vagava nei viaggi mentali più assurdi.
-A Mamori piace Nii-dick. Se anche a Nii-dick piacesse Mamori, si metterebbero insieme e sarebbero contenti, no? Eppure l’idea mi irrita. Sento che, se potessi fare qualcosa per evitarlo, starei bene!-
Il suo cellulare trillò in quell’istante; parlando del diavolo, era suo fratello.
“Muovi il culo e vieni in sede, devi darmi una mano con il montaggio dei video promozionali”
“E perché non lo fai fare alla tua manager del cazzo?”
Silenzio, dall’altra parte. Yoni si rese conto di aver risposto in maniera istintiva, cosa che non faceva mai, e che il suo istinto si era rivelato estremamente emotivo, condizionato dai pensieri irritanti ed irritati che aveva fatto fino a quel momento. Tutto ciò si era manifestato in una risposta estremamente acida, persino per i suoi standard.
“Che è successo?”
“Niente”
“Allora muovi il culo e vieni in sede” ordinò l’altro prima di riagganciare la cornetta.
-Merda...- pensò sconsolata la ragazza prima di girare sui tacchi e dirigersi verso il liceo Deimon.
Quando arrivò suo fratello era da solo; era quasi il crepuscolo, a scuola non c’era nessuno, ma naturalmente Yoichi Hiruma aveva dei permessi speciali per poter usare l’edificio scolastico a sua discrezione.
“Ce ne hai messo di tempo, Nee-shit”
“Fottiti. Ci ho messo il tempo necessario” brontolò lei appoggiando la borsa sul tavolo e sedendosi di fianco a lui “Allora, per cosa vuoi il mio aiuto?”
“Lascia stare, tanto ho già finito” rispose secco, irritando ancora di più la sorella
“Beh, e allora perché mi hai chiamata?”
L’altro sogghignò, guardandola di sottecchi; voleva dire tutto e niente, era il sorriso demoniaco che indossava sempre, quindi Yoni aspettò che aggiungesse qualcosa.
“Perché sta per piovere e non ho l’ombrello”
“Ah, e ti aspetti che ce l’abbia?”
Il ghigno sparì dalle labbra del ragazzo.
“Vorrà dire che ti bagnerai con me, sorella di merda”
La ragazza imprecò fra i denti, osservando com’era vestita quel giorno: gonna di lino azzurra e camicetta bianca. Proprio gli abiti adatti per girare quando piove!
Yoichi continuò a trafficare con il computer per un’altra mezz’ora. Intanto, come previsto, le nubi nere che già scurivano il cielo si addensarono, e grosse gocce di pioggia cominciarono a tamburellare sui vetri.
“Mi vuoi dire che t’è preso, prima?” chiese pacatamente il ragazzo, continuando a fissare il monitor. Yoni avrebbe voluto rispondere di nuovo che non era successo niente, ma il suo cervello aveva continuato a lavorare per tutto quel tempo, aggiungendo pensieri che non credeva di poter formulare.
Guardava il fratello, le sue lunghe dita che battevano sulla tastiera, e si ritrovava a desiderare che quelle stesse dita l’accarezzassero. Osservava le sue labbra sottili e si chiedeva che sapore dovessero avere.
E invidiava Mamori, che forse avrebbe avuto occasione di trovare le risposte a quelle domande.
“Nulla di che”
“Hai le tue cose?”
“Sai benissimo che non posso averle, idiota”
“E allora che ti è preso?”
“...Non lo so”
Il demone staccò gli occhi dallo schermo per posarli sulla sorella, che aveva appena usato un tono stranamente rassegnato; questa osservò che erano diversi dal solito, sembravano più seri ma anche più… dolci? No, stava esagerando, lui non era mai dolce, tenero, o tutti quei sentimentini lì; in quel momento era sinceramente interessato, ecco, tutto lì.
“Va bene, non importa”
Rimise il computer nella borsa poi si rivolse a lei, sorridendo.
“Dai, andiamo a casa. Magari riusciamo ad evitare il diluvio”
 
Non fu così; la pioggia cadde leggera solo per una decina di minuti. Poi si aprirono le porte del nubifragio, e i fratelli Hiruma si ritrovarono a correre, fradici, per riuscire a ripararsi a malapena sotto una pensilina troppo stretta per contenere entrambi, tanto che erano l’uno addossato all’altra.
“’Fanculo... Tempo di merda... Certo che potevi prendere l’ombrello, no?”
“Potevi farlo anche tu, Nii-dick! E se non era per te a quest’ora ero già a casa, all’asciutto!”
Era una situazione strana; entrambi erano zuppi d’acqua, i capelli ricadevano davanti al viso e i vestiti lasciavano poco spazio all’immaginazione. E a proposito di spazio, i seni di lei premevano contro il petto di Yoichi e i loro bacini si sfioravano, nel disperato tentativo di restare al coperto sotto quel metro quadro di tettoia. Insomma, la situazione era davvero strana.
Entrambi tenevano le teste ostinatamente voltate in direzioni opposte, per evitare di incrociare gli sguardi in maniera quasi istintiva, senza un’apparente ragione. Yoni sentiva che si sarebbe trovata in estremo imbarazzo se ciò fosse avvenuto, e questo le diede da riflettere.
-Non mi sono mai sentita così. Con lui, poi... Figuriamoci! Però... Non so... Oggi Nii-dick mi piace particolarmente!-
Mentre le parole di Mamori le tornavano in mente, quel sentimento strano e agre le risalì in gola, facendola rabbuiare. Come se le avesse letto nel pensiero (cosa che a volte credeva possibile) Yoichi le chiese, in maniera quasi disinteressata:
“Sei uscita con la Anezaki oggi, vero?”
“Sì, perché?”
“So che l’hai invitata tu. Come mai?”
“Bah, niente. Volevo chiederle un paio di cose da donne”
“Ah-ha, certo. Dai Nee-shit, non dirmi minchiate. So che non fai nulla senza uno scopo, ti conosco, sei come me…”
Yoni sbuffò, ma non lo guardò in faccia. Le parole che stava per dire erano incredibilmente pesanti, le facevano chinare il capo.
“Avevo notato che ti guarda in modo strano, quindi le ho chiesto come mai” confessò alla fine
“In modo strano? E... Cos’hai scoperto?”
Ora il ragazzo era incuriosito, e la guardava attento; lei però non si mosse, e con un filo di voce borbottò:
“Che le piaci, Nii-dick”
Un attimo di silenzio, poi la risposta.
“Beh, questo è positivo. Una manager innamorata è molto più propensa ad ubbidire. Penso che farò meno fatica a dare ordini, da oggi in poi!”
“Lei ti piace?”
“Come, scusa?”
“Ti ho chiesto se ti piace Mamori”
Era serissima, e finalmente aveva deciso di alzare gli occhi per piantarli in quelli dell’altro. Cercava contemporaneamente di capire cosa le stesse succedendo, a cosa fossero dovuti quegli sbalzi d’umore, e soprattutto perché si sentisse così in ansia nel sapere la risposta. Sapeva già che, se fosse stata positiva, le avrebbe fatto male.
“…Mi è utile” rispose infine, con un po’ di titubanza
“Non è quello che ti ho chiesto, fratello del cazzo”
“Senti un po’, mi dici che ti prende? Sei strana. E stamattina non eri così. Sembri...” esitò prima di parlare, ma poi finalmente pronunciò quella parola “…Gelosa”
Yoni digrignò i denti, fissando ostinatamente il petto di suo fratello.
“Sei gelosa, Nee-shit?” rincarò lui, non senza un sogghigno soddisfatto.
La risposta venne biascicata a denti stretti, ma era ugualmente comprensibile.
“Siamo fratelli. Non posso essere gelosa. Non si può...”
La bocca di Yoichi si avvicinò al suo orecchio; a voce bassa sussurrò, lentamente:
“Non si può cosa…?”
La ragazza gli strinse forte i fianchi con le dita; sapeva di fargli male, vista la forza che aveva nelle falangi, ma lui non si lamentò.
“Siamo fratelli, Nii-dick”
La voce, per la prima volta, sembrava spezzata. La cosa fece sogghignare ancora di più il quarterback, che appoggiò la sua fronte contro quella della sorella costringendola a guardarlo negli occhi.
“No, non è vero”
L’epifania colse la ragazza, che in un attimo vide tutti i suoi dubbi svanire; come se ad un fiume venisse eliminata improvvisamente la diga, le sue emozioni fluirono libere, senza più il giogo che aveva loro imposto.
Sorrise, dandosi abbondantemente della stupida per non esserci arrivata da sola.
“Hai ragione... E basterà che non lo sappia nessuno...”
“Ora ti riconosco, sorella di merda”
Le loro memorie erano, per natura, estremamente abili nell’incamerare informazioni di ogni tipo e mantenerle per lungo tempo. E quel momento, ne erano certi, era un altro di quegli eventi che mai avrebbero dimenticato.
Le mani di Yoni smisero di artigliare la vita del fratello per cingerla dolcemente, mentre quelle di quest’ultimo risalirono lungo le braccia della ragazza fino a fermarsi sul suo collo, spostandole dietro le orecchie i capelli bagnati. Ognuno sentiva distintamente il proprio cuore accelerare i battiti, che si mescolavano con quelli dell’altro, così vicini da sembrare una cosa sola.
I fratelli Hiruma erano abituati a prendersi quello che volevano: e lo fecero, poiché quello che volevano più di ogni altra cosa, in quel momento, erano l’una le labbra dell’altro. Si unirono in un bacio lento, studiato, ma non per questo privo di quella passione che si agitava nelle loro viscere e che solo gli anni di abitudine a dissimulare riuscivano a trattenere.
Non per molto, però: presto si ritrovarono a stringersi e a percorrere l’uno il corpo dell’altra con le mani, come a volerli esplorare per la prima volta. I loro respiri si fecero più affannosi, finché ad un certo punto si staccarono, quasi simultaneamente, e si guardarono negli occhi.
-Non qui- dicevano i loro sguardi, e senza bisogno di una parola si lanciarono di nuovo sotto la pioggia, diretti verso casa.

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Capitolo 4
*** A bit too hot ***


Yoni fu la prima ad entrare, finalmente all’asciutto, e il fratello subito dietro di lei si chiuse la porta alle spalle. Entrambi ansimavano per la corsa, mentre i vestiti bagnati gocciolavano sul pavimento di legno.
“Che palle... Mi toccherà asciugare tutto...” commentò con rammarico la ragazza osservando la pozza d’acqua allargarsi sotto i loro piedi
“Ottimo. Puoi farlo mentre vado in bagno!” esclamò l’altro, e sorpassandola di scatto si lanciò verso la seconda porta a destra, lasciando una traccia di indumenti fradici che si toglieva man mano che andava avanti.
“Asp... Aaah, vaffanculo Nii-dick!” gli urlò dietro lei, e decisa a non obbedirgli fece la sua stessa strada e spalancò la porta che Yoichi aveva appena chiuso. Il ragazzo se l’aspettava, come al solito aveva previsto tutto; infatti, si era appostato e le era saltato addosso, quasi letteralmente, non appena lei aveva superato la soglia.
“Confermo: vaffanculo, Nii-dick” ripeté lei, ma la frase si chiuse in un gemito quando il ragazzo le baciò l’incavo del collo, risalendo poi fino all’orecchio sinistro leccandolo maliziosamente.
Yoni strinse forte il fratello a sé, baciandolo con veemenza; dopo qualche istante sentì che le mani di lui stavano andando a slacciare la gonna, che, bagnata com’era, cadde a terra senza sforzo. Sentì il suo viso farsi più caldo, ma continuò a baciarlo; la risposta era positiva: quelle labbra avevano un sapore meraviglioso, con un retrogusto di menta dato dalle gomme americane che il ragazzo masticava in continuazione. Però ora non ne aveva, la sua bocca era riempita con qualcos’altro di sicuramente più appetibile.
Nel giro di poco avevano abbandonato il bagno, e coperti solo di bagnatissima biancheria avevano raggiunto il letto.
Il quarterback appoggiò la sorella restando in piedi a fissarla per un momento; lo sapeva già, ma in quell’istante si ritrovò a pensare che fosse davvero bellissima.
“Yoichi...”
Si sorprese, era raro che lo chiamasse per nome, ma ancora più raro che lo facesse usando quel tono: dolce, carezzevole, ma quasi timoroso.
“Dimmi”
“Tu l’hai mai fatto?”
Era un discorso che non avevano mai affrontato, in effetti. Date le loro vite, poteva essere successo qualsiasi cosa.
“No. E tu?”
“Sì...”
Lo stupore del ragazzo spinse Yoni ad aggiungere precipitosamente dettagli che non si rivelarono piacevoli.
“...Fammi finire, prima di pensare a cazzo! Non sono più vergine perché...”
Deglutì, mettendosi seduta.
“Mi hanno violentata. A dodici anni. È in quell’occasione che mi si è lacerata la parete dell’utero, e sono diventata sterile”
Yoichi non disse nulla, mentre una rabbia sorda gli montava dentro; sentiva che, per la prima volta, avrebbe voluto caricare proiettili autentici nella sua gatling e indirizzarla contro delle persone in carne ed ossa. L’abbracciò baciandole la chioma bionda, e un ringhio sordo gli uscì dalle labbra.
“Sono ancora vivi quei bastardi?”
“Sì, ma hanno una... Appendice in meno!” rispose con allegria, scatenando nel fratello una risata che riportò l’umore ad un livello adeguato alla situazione. Era una bugia, in parte: erano ancora vivi, ma incapaci di usare i loro organi riproduttori. Era stata la prima cosa che aveva voluto imparare, una volta iniziato lo studio sui punti di contrazione.
“Avresti potuto dirmelo”
“Avresti potuto chiedermelo”
Si sdraiarono entrambi sul letto, lei con la testa appoggiata sul petto di lui. Il fuoco che li animava fino a poco prima si era acquietato, diventando brace tiepida e rassicurante. Anche i loro respiri si fecero presto più regolari, finché Yoni non mormorò:
“Dovremmo asciugarci. Non ho voglia di sentirti tossire per una settimana”
Il ragazzo sogghignò, sfiorandole la punta del naso con un dito.
“D’accordo. Anche io preferirei sentirti gemere, in effetti”
Gli occhi verdi della sorella si spalancarono, mentre un pugno partiva diretto al costato; Yoichi lo schivò all’ultimo, scivolando giù dal letto ridendo.
“Dai, vatti a vestire Nee-shit, io mi metto a cucinare”
I due si guardarono per un lungo istante, sorridendosi quasi timidamente. Poi lei lo colpì in faccia con un cuscino e si diresse verso il bagno.
 
La loro vita non ebbe quel cambiamento epocale, causato dalla scoperta del grande amore, che i manga shojo cercando di vendere alle ragazzine. Fuori casa, il loro comportamento non si modificò di una virgola, poiché mantenere il segreto era essenziale. Grazie al temporale nessuno era in giro per vederli quell’unica volta in cui si erano baciati sotto la pensilina, ma non potevano più correre un rischio del genere.
Dentro casa, si erano tacitamente accordati per non lasciarsi prendere di nuovo dalla foga del primo momento: sia perché fare le cose in maniera impulsiva era contro la loro natura, sia perché nessuno dei due si sentiva veramente pronto a quel grande passo. Yoichi non lo rivelò mai alla sorella, ma erano solo pochi mesi che aveva cominciato a considerarla in maniera diversa; era ovviamente riuscito a nascondere tutto, ma più a fatica del solito. Non avrebbe potuto prenderla in giro per non essersene accorta prima, ma era un piccolo prezzo da pagare per mantenere la facciata.
Anche Yoni aveva i suoi tabù, che l’altro intuiva ma su cui non indagava. I ricordi dello stupro subito a dodici anni erano tornati tutti in una volta, e la ragazza trascorreva parecchie ore chiusa in sé stessa a ripercorrerli e a valutare quanto ancora la spaventassero. C’erano molte variabili che la turbavano, tra cui il senso d’impotenza, il dolore fisico, l’odore terribile dell’uomo che l’aveva sbattuta a terra e aveva fatto i suoi porci comodi tra le sue gambe. E il sangue che non smetteva di uscire, e la mancanza di forze per raggiungere un ospedale se non troppo tardi, quando il danno era ormai irreparabile.
Con gli occhi chiusi, Yoni riascoltava le parole del medico che decideva per una isterectomia, e all’orgoglio personale per conoscere quella parola si era contrapposta la paura per l’intervento. Fortunatamente era andato tutto bene, ma una sottile cicatrice le avrebbe marchiato l’addome per il resto dei suoi giorni.
Era riuscita a fuggire dall’ospedale prima che trovassero sua madre, e aveva cambiato completamente modo di pensare; si era fatta più scaltra, più fredda, e i suoi studi di anatomia erano passati alla fase successiva: conoscere i punti dove provocare maggior danno. Si poteva dire che la Yoni attuale, la Yoni Hiruma che tutti conoscevano, fosse nata quel giorno.
Eppure, per quanto si considerasse forte, non ce la faceva; aveva ancora paura, il pensiero del sesso la turbava ancora.
-Stupida, stupida, stupida! È una situazione diversa. Nii-dick non mi farebbe mai del male. E non puzzerebbe così. Il ragionamento fila tutto. Eppure, continua ad accelerarmi il cuore, e l’adrenalina scorre nel mio corpo e lo fa tremare. Quindi non è positivo, proprio per niente. Cazzo!-
 
Intanto la storia andava avanti; la vittoria contro la squadra americana andò come programmato, esattamente come il piano di portare tutta la squadra negli States per trovare Doburoku-sensei. Yoni era dietro il ciccione, mentre il resto del team, uno alla volta, strappava il proprio biglietto di ritorno.
“Non pensavo l’avrebbero fatto tutti” commentò quella sera, prima di andare a dormire “Soprattutto i Fratelli Eh-Eh. Ma li hai ancora i negativi con le loro foto?”
“Kekeke... Sono sempre stati in sede, e quegli idioti non li hanno mai trovati. Ma non penso serviranno più, da adesso”
Il ghigno del quarterback era sinceramente soddisfatto; il piano per la conquista del suo sogno procedeva liscio, e questo era sempre motivo di soddisfazione per lui.
“Già... Hai fatto un buon lavoro. Ma cercate di non farvi troppo male in questi mesi, io posso aiutarvi, ma i miracoli non li so ancora fare!”
“Miracoli da qualcuno col nostro cognome? Ma chi li vuole?”
Yoni rise. Effettivamente, “Demone Sanguinario” non era un nome che ispirava qualcosa di divino... Si chiese se Yoichi l’avesse fatto cambiare apposta per adattarlo alla sua personalità, o se fosse stato il contrario. Non si sarebbe stupita in nessuno dei due casi.

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Capitolo 5
*** Deathly march ***


“YAAA-HAAA! Correte, bastardi! Non osate fermarvi!”
“Dovete spingere tutti assieme! Portate avanti la pancia, così!”
“Funnuraba!”
Frasi di questo genere, spari, imprecazioni, sbuffi, gemiti: tale era il sottofondo musicale di quelle lunghe giornate a bordo del camion. Mamori passava il tempo a preoccuparsi per Sena, annoiarsi, e preparare cibo e medicamenti per la squadra da distribuire durante le pause. Per le ultime due, Yoni la aiutava volentieri, quantomeno per non ammalarsi di noia. Inoltre la Hiruma si occupava di rimettere insieme, per quanto possibile, i poveri Devil Bats massacrati dalla Marcia della Morte; sotto le dita percepiva chiaramente muscoli e ossa iperaffaticati, e per questa ragione ci andava molto cauta con gli interventi e i massaggi.
La maggior parte del tempo lo passava sotto un ombrellone, a leggere, dormire, o semplicemente a vagare con la mente. Si chiedeva quale buona stella avesse deciso di proteggere la squadra, visto che dopo un mese di quel ritmo nessuno si era ancora ammalato, ma sfortunatamente dovette presto ricredersi.
 
“Sei bollente, Nee-shit” disse dopo averle sfiorato la fronte con le labbra, la sera dopo cena. Tutti erano già crollati, ma come al solito il quarterback doveva controllare i suoi dati e lucidare le armi.
“Non è vero, semplicemente fa freddo e hai una percezione distorta”
“Come vuoi, sappi solo che se ti ammali ti prendo a calci e poi ti lascio qui”
“Non lo faresti mai”
“Tu non mettermi alla prova”
Sogghignava, dispettoso come sempre. Ma quel commento sulla sua temperatura le aveva messo una pulce nell’orecchio, e cominciò quindi a prestare più attenzione ai segnali del proprio corpo.
La mattina dopo, mentre i linemen spingevano e Doburoku li incitava, Yoni si rivolse all’altra ragazza del gruppo.
“Mamori, dov’è il pronto soccorso?”
“Eccolo, ma… Si è fatto male qualcuno? Non Sena, vero?”
“No, no, devo solo verificare un paio di cose...”
Incuriosita, la manager la osservò controllarsi la temperatura, la pressione, e le resse lo specchio mentre verificava la dilatazione della pupilla e lo stato delle tonsille.
“Mi servirebbero delle analisi del sangue...” borbottò, irritata per non aver a disposizione un laboratorio.
“Scusa Yoni-san, ma non stai bene?”
“Evidentemente no, ma non so cosa mi succede. Non ho abbastanza dati, capisco che è un’infezione, ma sono sintomi troppo comuni per fare una diagnosi”
Richiuse la cassa e la rimise al suo posto.
“E quindi?”
“Non dovrei morire all’improvviso, quindi vediamo come evolve la cosa” fu la risposta, tranquilla e pacata come se si stesse discutendo se prendere il succo d’arancia o di pompelmo. Ovviamente Mamori la prese molto peggio.
“Ma se stai male sdraiati, non far fatica, ecco, ti porto un ventaglio, vuoi qualcosa da bere, posso fare qualcosa per aiutarti?”
Yoni la guardò imperturbabile, per quanto, dentro di sé, la divertisse vedere il modo in cui quella ragazza cercasse sempre di proteggere tutto e tutti. Niente da dire, il suo nome era azzeccatissimo.
“Non dire niente a mio fratello, e basta. Pensi di potercela fare?”
Rimase un po’ perplessa, poi –incalzata dallo sguardo di Yoni- annuì e acconsentì a mantenere il segreto.
 
Tre settimane dopo, era divenuto impossibile persino per lei non far capire a Yoichi le sue condizioni fisiche; non riusciva a mangiare, aveva brividi di freddo alternati a vampate di calore, la febbre era perennemente alta, e le facevano male le articolazioni. Erano sintomi da decine di malattie diverse, ma nessuna che lei conoscesse li raggruppava tutti assieme. Quindi, oltre al malessere fisico, si aggiungeva l’irritazione per non poter controllare il proprio organismo.
Per la prima volta in vita sua, vide Yoichi preoccupato. Il ragazzo non alleggeriva ovviamente gli allenamenti, ma ogni pausa la passava vicino a lei, a cercare sul computer le malattie che la sorella gli indicava.
“Niente, nemmeno questa. Dev’essere un virus raro, oppure qualcosa in fase di scoperta...”
“Piantala di parlare, non devi sforzarti”
“E tu dovresti essere a sparare alla scimmia e al pelato, no?”
“Hanno ancora cinque minuti di pausa, Nee-shit. Col fatto che non riesci più ad aggiustarli, devo modificare il ritmo”
Un accesso di tosse le impedì di rispondere; si guardò la mano che aveva usato per coprire la bocca, e a fatica aggiunse:
“Prova tubercolosi e tisi, anche nelle loro varianti tropicali”
“Sei arrivata a sputare sangue?”
“Non ti interessa, cerca e basta”
Tossì ancora, e ancora nessun risultato. Le sue condizioni peggioravano di giorno in giorno, ormai la diabolica malattia era in pieno corso.
-Se sopravvivo al picco, poi dovrebbe decorrere e svanire... Se è di quel genere...-
Faticava a stare sveglia, figuriamoci a pensare. Fu un vero sollievo quando Yoichi annunciò a tutti che il giorno dopo avrebbero raggiunto Las Vegas; lì avrebbero dovuto fare più soldi possibili ai casinò, mentre lui avrebbe accompagnato la sua sorella inutile in ospedale.
Nel delirio della febbre, Yoni riuscì solo a pensare che finalmente avrebbe capito cos’aveva. Poi perse i sensi.
Si svegliò in una stanza candida e asettica; un medico parlava in americano con Hiruma, mentre un’infermiera le sistemava un flebo sul polso.
Yoni non capiva se non poche parole, ma dall’espressione sul volto del dottore intuì che non fossero buone notizie. Il viso del fratello era ovviamente imperturbabile, ma quando si avvicinò per spiegarle la situazione era parecchio irritato.
“Pare non sappiano nemmeno loro cosa cazzo tu abbia. Quindi hanno chiamato dalla California una dottoressa specializzata in malattie rare, che dovrebbe arrivare questo pomeriggio a visitarti”
“Mh”
“Tu... Come ti senti?”
“Ti eviterò le analisi cliniche e riassumerò con due parole: uno schifo”
Yoichi ridacchiò, accarezzandole i capelli.
“Hanno detto che è meglio se dormi, per qualche ora”
“Dubito riuscirei a fare diversamente. Tu non preoccuparti, e vai a sbancare il black jack”
“Già, quegli incapaci non riusciranno a fare nulla, e oltre al ritorno dobbiamo pagare le tue spese d’ospedale. Non potevi aspettare di essere in Giappone, per ammalarti?”
“Fuck you, Nii-dick”
Il quarterback sorrise a quella dimostrazione di amorevole inglese, e dopo aver lanciato un’occhiata in giro –no telecamere e nessuno nei paraggi- si chinò a darle velocemente un bacio. Le labbra secche di Yoni per un attimo ritrovarono la vita.
“Mi troverai qui, al tuo risveglio. Ora piantala di rompere e dormi”.
 
Ronzio di macchinari, gorgoglio di sostanze liquide dentro contenitori... Fin lì tutto bene, erano i suoni dell’ospedale. La voce di Nii-dick, anche quella andava bene, aveva detto che ci sarebbe stato e stava mantenendo la promessa. Parlava in giapponese con qualcuno, una donna, con il loro stesso accento di provenienza... Ma chi?
Yoni si sentiva troppo stanca per aprire gli occhi, quindi continuò ad ascoltare. Le parole giungevano indistinte, ma voleva concentrarsi sulla voce. Piano piano riuscì a metterla a fuoco, l’aveva già sentita, sì, ma dove?
Il rassicurante bip bip dell’elettrocardiogramma cominciò ad accelerare.
-No-
La riconosceva. La stava riconoscendo. E tutto il suo corpo reagiva negativamente, il battito accelerava, il respiro aumentava, la pressione del sangue si alzava.
-No, cazzo no-
“Yoni!”
Quella voce che pronunciava il suo nome, pur avendo un tono preoccupato, riuscì solo a farle spalancare gli occhi. Non riusciva a parlare, la gola le si era chiusa, e le sue mani avevano cominciato a tremare.
“Ehi, nee-shit, che ti prende? È la dottoressa, è arrivata per visitarti”
-No no no no no-
“Stai tranquilla tesoro, sono qua, ho già capito cos’hai”
Un gorgoglio rauco uscì dalle sue labbra, qualcosa di incomprensibile. Il medico, una bella donna bionda sulla quarantina, si chinò per capire meglio.
“Come hai detto? Riesci a parlare?”
“Vaf... Fanculo...”
Vide le sopracciglia del fratello corrugarsi, mentre questi si avvicinava al letto. Doveva aver intuito che qualcosa non andasse.
“Yoni, che ti prende? Puoi fidarti di lei. Purtroppo lo so bene, è mia madre”
La ragazza urlò. La sua schiena si inarcò all’indietro, e tutto il suo corpo si tese allo spasimo. Un suono unico, roco, usciva dalla sua bocca spalancata, mentre i suoi occhi non vedevano più nulla.
“Yoni! Cazzo… YONI!”
“Emergency call, bring sedatives, room...”
Poi, il silenzio.

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Capitolo 6
*** Fuck, I love you ***


Quando riaprì gli occhi c’era silenzio, fortunatamente; il ronzio delle macchine era rassicurante, e la figura di suo fratello intento a scrivere al cellulare ancora di più.
“Nii-dick...”
Subito i suoi occhi si alzarono, incontrando i suoi e mal celando irritazione e apprensione. Dall’altra parte, Yoni si sentiva stanchissima, e man mano che lo stare cosciente le portava la consapevolezza dei fatti questa stanchezza aumentava, assieme alla voglia di piangere.
“Sei riuscita a calmarti, nee-shit?”
“Sì, anche se mi è difficile capire se è per i tranquillanti o per altro...”
Yoichi prese uno sgabello e si sedette vicino al letto; la fissava con aria imperscrutabile, ma un accenno di sorriso riusciva ad addolcirgli il volto.
“Forse di questa cosa avremmo dovuto parlare, tu che ne dici?”
“Dico che è tardi per recriminare, ma non troppo per raccontare”
“Comincia, allora”
“Prima dimmi cosa quella stronza ti ha raccontato”
Il quarterback incrociò le braccia al petto, raddrizzando la schiena.
“Nulla. Mi rifiuto di parlarle finché non ho la tua versione dei fatti”
Un lampo di riconoscenza brillò negli occhi della ragazza, che quindi si rassegnò a vuotare il sacco.
“Yuriko Iwasaki è il nome che torna anche a te, vero?”
“Sì, solo che io la conoscevo come Yuriko Hiruma”
“Perfetto”
Si versò un bicchiere d’acqua dalla bottiglia sul comodino, e dopo aver bevuto cominciò a parlare.
“Non ho mai conosciuto mio padre; da quel poco che mi ha detto, si sono separati quando io stavo per nascere. Non ho mai avuto desiderio di incontrarlo, di aspiranti figure paterne ne avevo fin troppe...
Mia madre portava a casa un uomo diverso ogni mese o due; erano sempre persone molto gentili, di ottimo livello intellettuale, a cui finivo invariabilmente per affezionarmi. Poi succedeva qualcosa, si comportavano di merda –almeno, questo è quello che lei mi diceva- e sparivano, per essere soppiantati da qualcun altro.
Mia madre, come saprai, è un medico di fama mondiale. Era sempre in giro a fare conferenze, seminari, lezioni, interventi... A casa non c’era mai, mi lasciava dei biglietti con delle indicazioni su come scaldarmi la cena, e quando tornava era troppo stanca o irritata per parlarmi.
A infastidirmi non era tanto il crescere da sola, quanto il venire umiliata ogni volta che tentavo un approccio con lei. Quando le ho detto che da grande avrei voluto fare il dottore, sai cosa mi ha risposto? “No, è una pessima idea”. E quando le ho chiesto perché, ha detto che sarei diventata un medico scarso, e quindi avrei infangato il suo nome, oppure, nel remoto caso in cui un qualche Dio mi avesse assistita, avrei messo a repentaglio la sua fama.”
Yoichi annuì in silenzio, non perdendosi una parola. Per certi versi la sua crescita era stata simile, con l’unica differenza che lui non aveva mai ambito a superare suo padre, con un’unica eccezione: gli scacchi. Sfortunatamente già a sette anni era stato in grado di battere il genitore, quindi gli stimoli era andato a cercarseli altrove.
“Quella sera sono scappata di casa; ho girato a vuoto tutta la notte, poi all’alba avevo troppo freddo e sono tornata a casa. L’ho trovata in poltrona a leggere un libro, e questo mi ha fatto capire come se ne strafregasse di me, in ogni cosa”
Il ragazzo fece per aprire la bocca e fare un commento, ma lei non lo lasciò parlare e proseguì.
“Non pensare fossi così infantile da andarmene solo perché non venivo considerata. Ho deciso di fuggire, in maniera seria, quando mi ha annunciato che ci saremmo dovute trasferire in Malesia perché le avevano offerto un posto come primario di un importante ospedale. Non avevo nulla di particolare che mi tenesse qui, ma per principio non volevo che lei decidesse della mia vita, dato che non le interessavo e le ero di peso. Gliel’ho proprio detto, le ho chiesto se avessi una qualche importanza per lei...”
“La risposta non è stata positiva, vero?”
Yoni deglutì. Quelle parole erano incise nella sua mente, e bruciavano ogni volta che le guardava.
“In quanto madre single ho molte agevolazioni, mi ha detto. Era seria, non scherzava. Per lei ero solo uno sgravo fiscale”
“Sì, realistico” fu il commento piatto del quarterback.
“Me ne sono andata la mattina dopo, prima che si svegliasse. Le ho scritto “Non cercarmi”, ma tanto sapevo che non l’avrebbe fatto. E dopo un paio d’anni, ho incontrato te”
Deglutì ancora; la gola le si era stretta, sia per la malattia che per il groppo che le era salito. Odiava sentire la propria voce spezzata.
“E adesso... Scoprire che anche tu sei figlio di... Di quella strega... E che siamo davvero fratelli biologici... Io...”
Stava per perdere il controllo, quindi si fermò e respirò a fondo. Una, due, tre volte. No, non andava bene, ancora un paio. Intanto Yoichi si era alzato, e con una smorfia seccata stava fissando la finestra.
Passarono parecchi, interminabili secondi. Poi fu il ragazzo a parlare.
“Io sono cresciuto tenendo lontano mio padre, e consapevole del fatto che mia madre fosse una disturbata mentale che mi ha abbandonato a circa un anno dalla mia nascita. Ma adesso non me ne frega proprio un cazzo di chi siano i nostri genitori o cosa ci sia nel nostro sangue. Io ti amo indipendentemente da tutto”
Delle lacrime che premevano, una sola uscì dai suoi occhi verdi. Yoni si stava dimenticando di respirare, riascoltando nella propria mente le parole appena udite. Poi fu costretta a far uscire l’aria dai polmoni, ma un enorme sorriso le illuminava il volto. Un’altra lacrima, la gemella felice della prima, le rotolò sulla guancia.
Guardò Yoichi, suo fratello, il suo amore, il centro del suo universo. Lo guardò e lo trovò bellissimo.
L’altro forse se ne accorse, perché le lanciò un’occhiata vagamente imbarazzata; Yoni sapeva quanto quelle parole gli fossero costate, e per questo motivo le valutava ancora di più.
Alzò un braccio – e il movimento le costò parecchia fatica- tendendo la mano verso di lui. Non riusciva a parlare, solo a sorridere come un’idiota. Yoichi le accennò un sogghigno, poi si avvicinò velocemente a lei, si sedette sul bordo del letto e la strinse con delicatezza tra le braccia.
“Sai, per una volta non me la prenderò se vorrai specificare l’ovvio”
Yoni gli diede un pizzicotto, ma con poca convinzione. Era troppo felice per portare rancore, in quel momento. Lo guardò negli occhi e con un sorriso beffardo disse:
“Beh, potrei non averne voglia”
“Scommettiamo che te la faccio venire?”
Senza darle il tempo di replicare, le chiuse la bocca con un bacio. Sapeva di menta, come sempre, ma grazie agli ormoni in circolazione il sapore sembrava ancora più dolce; o almeno, questo si disse Yoni poco prima di lasciar perdere la ricerca scientifica.
Si separarono, continuando a sfiorarsi con le labbra, e in un soffio la ragazza mormorò:
“Ti amo, Yoichi”
Le fece uno dei più bei sorrisi che avesse mai fatto, prima di baciarla di nuovo.
“Oh my God, figli miei, pare che il problema sia più grosso del previsto...”

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Capitolo 7
*** I hate logic ***


Chiusa a chiave la stanza, madre e figli erano seduti a conversare. O meglio, i fratelli Hiruma guardavano in cagnesco la donna che, apparendo completamente a proprio agio, sedeva in fondo al letto di Yoni.
Nessuno aveva voglia di rompere il ghiaccio, per quanto i tre mantenessero un’espressione immutabile la tensione si tagliava con il coltello. Fu la dottoressa a farlo, infine.
“Dunque... Vediamo se ho capito bene da quel poco che Yoicchan mi ha detto e da quanto ho intuito guardandovi...”
Smise di fissarsi le unghie e spostò lo sguardo su sua figlia.
“Quando hai deciso di andartene, hai vissuto come una barbona finendo persino violentata, finché non l’hai incontrato e avete deciso di vivere insieme. Poi avete cominciato una relazione incestuosa, ma questi sono affari vostri. Hai tenuto la cosa nascosta a Yuya, vero?” aggiunse rivolgendosi a Yoichi, che si limitò ad un breve cenno affermativo.
“Affascinante. Sei proprio mio figlio... Ad ogni modo, tornando a noi mia cara, hai preferito farti asportare degli organi piuttosto che tornare a casa? Ammiro la tua tenacia e la tua testardaggine, ma oltre a quelle potevi ereditare da me la capacità di capire quando è giusto impuntarsi e quando no...”
Il suo tono, così tranquillo e sicuro di sé, infastidiva Yoni più di ogni altra cosa. Digrignò i denti, ma non disse nulla se non:
“Hai scoperto che cazzo ho?”
Glielo disse, una malattia dal nome impronunciabile che la ragazza non aveva mai sentito. Come aveva immaginato, era un virus raro ancora in corso di studi.
“Quindi sarà fantastico osservare il corso della malattia su un paziente con buone probabilità di sopravvivenza. E ti ringrazio per essere venuta proprio qui, così potrò essere io a condurre la ricerca”
Il quarterback storse la bocca e apostrofò la madre con tono decisamente collerico.
“La pianti di parlare di lei così? Si può sapere che ti ha fatto? Io ero la conferma del fallimento del tuo matrimonio, quindi capisco perché tu mi abbia lasciato indietro. Ma lei?”
Il sorriso svanì dalle labbra perfette della donna, i cui capelli biondi erano gli stessi dei figli, chi naturale e chi tinto.
“Tranquillo, anche lei è una prova di un fallimento. Quello di un anticoncezionale su cui stavo lavorando, e che ha diminuito i sintomi della gravidanza finché non era troppo tardi per abortire. Non l’ho mai detto a vostro padre, non sarebbe stato in grado di crescervi entrambi”
“E perché, tu sì?”
Si sistemò gli occhiali con un gesto studiato e rispose all’urlo di sua figlia.
“Evidentemente no, se sei finita così. Volevo vedere se crescere una femmina sana mi era possibile, ma è ormai scientificamente provato che non sono adatta a fare la madre. La scienza va avanti a forza di sacrifici, penso tu lo sappia ormai”
La rabbia di Yoni era ormai sul punto di traboccare; per quanto si fosse detta, in tutti quegli anni, che mai e poi mai si sarebbe lasciata trattare ancora così da sua madre, quando ce l’aveva di fronte non poteva fare altro che desiderare di scappare, o di combatterla. Purtroppo, era impossibilitata a fare sia l’una che l’altra cosa. E questo aumentava il putiferio dentro di sé.
Fu Yoichi, come sempre, a riprendere il controllo della situazione; era irritato quasi quanto lei, ma per fortuna di entrambi molto più bravo nel controllarsi.
“Ottimo. Allora fai quello per cui sei pagata, cura mia sorella e sparisci!”
La donna alzò gli occhi soffermandosi sulla figura del figlio, in piedi di fronte a lei con i pugni nelle tasche; lo guardò per un lungo istante, senza sorridere, senza un minimo di calore nella voce quando parlò.
“Sei cresciuto davvero molto, Yoicchan... Ma il tuo autismo non è guarito minimamente, mi pare... Tuo padre non ti ha mai fatto seguire da uno psichiatra?”
Yoichi si bloccò, restando in silenzio, mentre Yoni si voltava a fissarlo di scatto.
-Dunque è vero...-
Studiando i manuali di psicologia, la ragazza aveva formulato l’ipotesi che la genialità e l’impossibilità di stabilire relazioni non violente di suo fratello non fossero del tutto “normali”, ma imparando a conoscerlo meglio aveva capito che non era importante, e che se c’era davvero una malattia quella non era assolutamente dannosa per nessuno. Però, sentire quelle parole da sua madre, che poteva essere la peggiore infame del mondo ma rimaneva un luminare della medicina, era tutt’altra cosa.
“Sono un sociopatico iperattivo e fiero di esserlo. Ora lavora, o smamma”
Yuriko Iwasaki sogghignò, con la stessa luce malevola che aveva trasmesso ai suoi figli ma con molta più grazia nell’inchinare le labbra.
“Sono qui per questo”
 
“Quindi? Cos’hanno detto?”
A Yoichi era stato permesso entrare solo dopo l’intervento, durato due ore abbondanti. Yoni era sveglia, ma pesantemente intontita dall’anestesia, e faticava a parlare. Tuttavia questo non fermò il quarterback, ansioso di sapere.
“Che... Devi andartene, Nii-dick”
“Cosa?”
La notizia lo colpì come un pugno gelido; l’idea di abbandonare sua sorella in quelle condizioni, in quel posto, e con la loro genitrice in circolazione, era tra le meno gradevoli in assoluto. Tuttavia si sforzò di ascoltare le ragioni di quella scelta, che purtroppo erano spietate e inappuntabili.
“Voi dovete continuare ad allenarvi, io a subire interventi. Ne avrò altri due, nel giro di tre settimane. E poi i miei nervi non risponderanno correttamente per circa un mese, subirò delle paralisi progressive agli arti, non potrò muovermi e avrò bisogno di assistenza in praticamente tutto. Quindi, prendi la tua squadra e tornatene in Giappone, io vi raggiungo il prima possibile”.
Storse la bocca irritato; troppi sentimenti si affollavano nella sua mente, faticava a ragionare in maniera lucida. Yoni lo capiva, ma al contrario di lui aveva avuto le lunghe ore dell’operazione per riflettere e accettare la cosa. Con lentezza, allungò un braccio, accarezzandogli il dorso della mano.
“È la soluzione migliore, Nii-dick...”
“Sì, ma fa schifo comunque”.
Le loro dita si intrecciarono, mentre la consapevolezza della separazione imminente prendeva possesso dei loro cuori. La accettarono, ovviamente, ma il loro umore peggiorò in maniera drastica.
“Farò in modo di farti trasferire a Tokyo almeno per la riabilitazione. Per quanto la odi, la Iwasaki è la migliore e non ti farei operare da nessun altro chirurgo”
“Odio ammetterlo in questo caso, ma hai ragione... Tu vedi di vincere, ok? Non voglio tornare e trovarti depresso in un angolino!”
Si sorrisero, anche se con un velo di tristezza negli occhi, e Yoichi si chinò per stringere a sé la sorella. Yoni chiuse gli occhi e si appoggiò totalmente a lui, cingendogli la vita con le braccia prive di forza.
“Ci vediamo presto, ok?”
“Sì...”
Sapeva che se le avesse sfiorato le labbra non sarebbe più riuscito a staccarsi, quindi accarezzò i capelli di Yoni e si alzò velocemente, uscendo dalla porta senza voltarsi indietro.

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Capitolo 8
*** Pray for your freedom ***


“Pronto?”
“Lei è il signor Hiruma Yoichi?”
“Sì, chi parla?”
“Sono Dorothy Morgan, del Las Vegas City Hospital. È stata richiesta una telefonata a suo carico dalla paziente della stanza 208. Accetta?”
“Ovviamente, mi passi mia sorella”
“Prego, attenda”
“...Yoni?”
“Ciao Nii-dick”
In Giappone erano circa le due del mattino, e nel buio della sua stanza Hiruma sorrise.
“Ce ne hai messo di tempo”
“Non rompere, secondo i medici non sarei riuscita ad usare le mani prima di una settimana”
Ci fu un attimo di silenzio, poi di nuovo la voce di Yoni, poco più che un sussurro.
“Portami via da qui”
Lo sguardo del quarterback si fece serio, e smise di masticare la gomma che teneva in bocca.
“Che succede?”
“Voglio andarmene sulle mie gambe, e non posso. E lei lo sa. E ci gode. Portami via”
Lo stava praticamente implorando, e fu questo a colpire Yoichi più di tutto. Erano passati due mesi, e la sopportazione della ragazza doveva essere arrivata al limite.
“Cazzo, devo attaccare, sta arrivando. Ci sentiamo, ciao!”
“Cia-“ “Chiamata interrotta. Se desidera ricontattare il numero, resti in linea. Le tariffe sono...” “Aaah, fanculo”
 
Yoichi riuscì a telefonarle di nuovo solo dopo due settimane, ricavandosi degli spiragli notturni tra partite e allenamenti, e la beccò in un momento di probabile crisi.
“Nee-shit?”
“Ehi...”
“Hai visto la partita?”
“No, ero in sala operatoria, le gambe hanno smesso di funzionare. Com’è andata?”
“Abbiamo vinto, ovviamente”
“Ovviamente. Ah, Mamori mi ha mandato un messaggio. Mi chiede quando penso di tornare, ma giro la domanda a te, Nii-dick…”
“I moduli sono pronti, tutti i medici sono d’accordo... Tranne uno”
“Yuriko Iwasaki, vero?”
“Hai bisogno di chiederlo?”
Yoni appoggiò il telefono sulle coperte per qualche istante, facendo delle inspirazioni profonde. Il fratello attese di sentire di nuovo il respiro regolare, per parlare.
“Come stai?”
“Di merda. Di merda, Yoichi! Viene qua tutti i giorni, e dato che la ignoro mi parla in continuazione!”
“E che ti dice?”
“Cazzate, per lo più. Cose come “le malattie mentali sono ereditarie; curioso, vero?” e “stai facendo progressi, grazie per rendermi sempre più famosa”. Non resisto più. Ti prego. Ti prego, portami via. Vuole tenermi qui, sospetto che rallenti la mia guarigione per studiarmi, lo farebbe, è capacissima di farlo. Cazzo, portami via!”
Yoichi si morse le labbra, nel sentire la sorella pregarlo con voce spezzata. Doveva sbrigarsi, Yoni era davvero sull’orlo del crollo per arrivare a ridursi così. E i sospetti su sua madre non potevano essere totalmente frutto di paranoie e crisi di nervi, motivo in più per muoversi velocemente.
“Sarai qui entro la prossima settimana, te lo prometto”
“...E come?”
“Speravo di non doverlo fare, ma è arrivato il momento di giocare la carta Yuya”
 
Nessuno seppe mai veramente come Yuya Hiruma avesse convinto l’ex-moglie a lasciar andare la figlia, né cosa avesse chiesto al suo primogenito in cambio del favore. Ma l’importante era che la ragazza stava tornando in Giappone.
Hiruma aveva fatto di tutto per tenere il ritorno di Yoni segreto. Voleva che la sorella arrivasse all’improvviso a bordo campo un pomeriggio, ghignante e pronta a punzecchiarli di nuovo; avrebbe fatto molto bene al morale della squadra, piuttosto nervosa per l’imminente partita contro i giocatori più forti del Giappone.
A scombinargli parzialmente i piani era stata Yoni stessa, comunicando ad Agon e Rui che stava arrivando, ma dando loro un orario sbagliato. Così per ridere, era stata la giustificazione.
La verità era che le mancavano gli unici amici che poteva considerare tali, ma voleva vedere Yoichi prima di tutti gli altri, voleva il suo ghigno che si allargava mentre si avvicinavano, e voleva quella tensione da “voglio abbracciarti e stringerti e riempirti di baci ma ora non ho intenzione di farlo perché non è nel mio stile”.
Ebbe quasi tutto; il viso di Yoichi non riuscì a mascherare un’espressione colpita, mentre lei manovrava la sua sedia a rotelle di ultima generazione. Gli aveva detto che aveva problemi con le gambe, ma vederla immobilizzata su una carrozzina faceva un effetto ben diverso.
“Nee-shit...”
“Che c’è? Non ti piace il mio nuovo bolide?”
Riuscì a farlo sorridere, e approfittò di quel momento di debolezza per tirarlo giù in ginocchio e stringergli le braccia al collo. Il quarterback non poté fare altro che ricambiare, e nell’abbracciare la sorella si rese conto di quanto fosse dimagrita in quei mesi in America... Ma anche, e soprattutto, quanto gli fosse mancato il profumo della sua pelle.
“Stupido aereo in ritardo, abbiamo girato un’ora sopra Francoforte. Agon e Rui dovrebbero arrivare tra una ventina di minuti”
“Sì... Più o meno...”
“Che hai combinato, Nii-dick?”
“Beh, dato che tu hai mandato all’aria i miei piani io mi sono preso la libertà di fare lo stesso coi tuoi. Habashira è fuori che ci aspetta sulla moto, il rasta di merda penso arrivi a breve”
Yoni sorrise, felice per essere di nuovo a casa, anche se il peso di quelle settimane in ospedale gravava ancora su di lei. Non ultimo, odiava dover dipendere dagli altri anche solo per alzarsi in piedi, ma la situazione sarebbe stata quella ancora per un po’, quindi tanto valeva rassegnarsi.
Yoichi fece per spingerla, ma lei azionò il motore della sedia a rotelle e scattò in avanti.
“Non sono tetraplegica, tsk”
“Oh, meglio, tanto non avevo voglia di spingerti fino a casa. Per questo ho fatto venire i tuoi schiavi”
“Ehi, non sono veri e propri schiavi, io non li ricatto come fai tu”
Un lieve “Kekeke” fuoriuscì dalle labbra del ragazzo, che rallentava il passo per camminarle a fianco.
“No, in effetti tu sei molto peggio; sei riuscita a fare l’unica cosa che non sarei mai stato in grado di fare...”
“Ooh, shut up, lo sai che ufficialmente io non so nulla e non ho fatto nulla volontariamente”
“Ah-ha. Rimani una stronza, lo sai?”
“Ammettilo, ti piaccio anche per questo”
Con la gente che si spostava automaticamente per farli passare, chi per paura e chi per educazione, arrivarono in fretta all’uscita dell’aeroporto; lì fuori, in perfetto divieto di sosta, a cavalcioni della sua moto stazionava Rui Habashira.
“Yoni-hime!”
Si passò una mano sui capelli e scese dal veicolo, avvicinandosi senza smettere di guardarla imbarazzato; le sue lunghissime braccia erano rigide, e i larghi occhi da camaleonte non riuscivano a fissarsi su un punto solo.
“Rui, non comportarti da coglione, in un paio di settimane torno a camminare” lo canzonò lei, divertita dalla situazione.
Sorrideva, era contenta di rivederlo. Lei e l’Habashira avevano, per così dire, stretto amicizia durante il periodo in cui il ragazzo faceva da schiavo per suo fratello. La maggior parte dei lavori consisteva nell’aiutarla con la spesa, nel portarla in giro, nel farle da facchino e altro, e dato che Rui non si fidava dei suoi sottoposti per un incarico così delicato –idioti com’erano, avrebbero potuto combinare casini e allora addio libertà!- aveva sempre provveduto personalmente al benessere della “Demoniaca Principessa”, come veniva chiamata allo Zokugaku, finendo per abituarsi alla sua presenza e a trovarla quasi piacevole.
“Ehi, spazzatura, toglietevi di mezzo!”
Arrivato in quel momento a bordo di un rombante SUV, fregato a chissà chi, Agon Kongo aveva appena fatto la sua scenografica comparsa. Tirato a lucido, occhiali nuovi, sorriso scintillante, scese con un salto dalla vettura con enorme disappunto di Habashira.
“Keh! Che fai qui, bastardo?”
“Beh, che c’è di strano? Vengo a salutare una mia cara amica che è molto che non vedo” rispose lui, con la voce da innocentino che tanto gli riusciva bene. Diede una spallata a Rui, che si scansò per un pelo, si diresse verso Yoni, e dopo averla afferrata per la vita la sollevò in aria stringendola in un abbraccio molto poco rispettoso che si attirò le occhiatacce di metà dei presenti.
“Umh... Ciao Agon. Mettimi giù ora”
“Beh, e questa freddezza?”
“Hai ragione. Mettimi giù, testa di cazzo”
La risata dell’atleta risuonò forte, mentre, suo malgrado, obbediva.
“Bene, ora che ci siamo tutti ritrovati in maniera tanto simpatica... Nee-shit, scegli il cavaliere che ti porterà a casa!”
I fratelli Hiruma ghignarono, mentre tra gli altri due divamparono occhiate infernali.
“È ovvio che verrà con me, sono in macchina, dove pensi di mettere la sedia a rotelle su quella modo da due soldi?”
“E che ne sapevo io che non poteva camminare? E poi tu non sei maggiorenne, non puoi guidare un’auto!”
Ovviamente Yoni aveva già deciso, ma li lasciò a scannarsi per un po’. Poi, stufa dello spettacolo, portò la sedia a rotelle il più vicino possibile alla moto di Rui.
I tre ragazzi si mossero contemporaneamente per aiutarla, ma l’unico a bloccarsi in tempo fu Yoichi, che aveva già capito come giravano le cose nella testa della sorella. Gli altri due si beccarono un acido “Ce la faccio da sola!”, e quindi si limitarono ad osservare.
Yoni appoggiò le mani sulla sella della moto, fece leva con le braccia, e dimostrando una forza impensabile per un corpo così magro si tirò su completamente. Ruotò il bacino e si sedette, sistemandosi sulla parte destinata al passeggero, poi si sistemò le gambe e drizzò la schiena con aria di trionfo, dissimulando l’immensa fatica che le era costata salire.
“Keh! Ho vinto io, scimmione!”
La rabbia di Agon era palpabile, e mentre Rui tirava fuori un altro casco Yoni gli fece un ghigno.
“Mi spiace, ma ho voglia di sentire il vento sulla faccia. Nii-dick, il mio bolide è pieghevole, pensaci tu a caricarlo”
Gli fece l’occhiolino, mentre il teppista inforcava la motocicletta e accendeva il motore, poi si strinse al suo “cavalier servente” e osservò il mondo sfrecciare via sull’asfalto.
Libera. Era libera.

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Capitolo 9
*** Takoyaki ***


“Fermati qui, Rui”
Il centauro accostò la moto di fronte ad un chiosco con un polpo col cappello da cuoco sull’insegna.
“Eh? Perché qui?”
“Perché voglio dei dannati takoyaki, ho mangiato per mesi quello schifo che mi davano in ospedale, devo rifarmi la bocca!”
Habashira conosceva la prassi, e con uno sbuffo si tolse il casco e chiese:
“Ok, ok, quanti?”
“Tanti. Paga mio fratello”
-Bambina viziata- pensò l’altro, ma dentro di sé sorrise, e si mise in fila per eseguire l’ordine richiesto. Era contento fosse tornata, saperla in un letto d’ospedale lontano mille miglia non era un pensiero confortante. Si erano sentiti ogni tanto per e-mail, quando l’annoiatissima Yoni cercava contatti col mondo, ma le notizie sulla sua effettiva condizione erano sempre top secret. O meglio, quando Rui aveva provato a chiederle come stesse, o se c’erano miglioramenti, la risposta era stata “Sto benissimo, mi sto solo godendo il clima del Nevada”. Poco credibile data la posizione geografica di Las Vegas, ma sempre più gentile di un “Fatti i cazzi tuoi” nel più perfetto Hiruma style. Segno, questo, che la Principessa Demoniaca stava davvero male.
Il ragazzo tornò pochi minuti dopo con due confezioni da venti di profumatissime palline di polpo; si aspettava che Yoni vi ci si avventasse sopra, ma lei si limitò a prenderle e a dare un secco ordine di partenza. Sempre più perplesso, il leader dei Chameleon ubbidì in silenzio.
 
Quando arrivarono, Yoichi e Agon li avevano preceduti da un pezzo, e li stavano fissando in cagnesco.
“Quanto cazzo ci avete messo? Guidi come una nonnetta, rifiuto in carriola!”
“Non osare offendere la mia moto! Si è voluta fermare, prenditela con lei!”
“Agon, piantala di lamentarti e prendi questi, piuttosto” fece Yoni troncando la discussione, e mollando le scatole all’asso dei Naga “Nii-shit, il mio bolide, grazie”
“L’abbiamo già portato su, spiacente”
“E io come cazzo salgo, volando?”
Hiruma ghignò, si avvicinò alla moto e senza tanti complimenti prese in braccio la sorella.
“Sei un bastardo, Nii-dick”
“E dov’è la novità?”
“Fuck. Ehi, voi due, se vi piacciono i takoyaki potete salire a mangiarne un paio”
L’invito era secco e veloce, ma era una cortesia inaspettata. Istintivamente, i due sentirono puzza di trappola e rifiutarono.
“Nah, grazie, ma il polpo mi fa schifo” fu la scusa di Agon, mentre Habashira si inventò che aveva un allenamento con i suoi compagni e sfrecciò via sulla sua motocicletta.
“Toh, riprenditi questa roba fetida. E fatti sentire, se ti serve qualcosa”
Agon esibì lo splendido sorriso con cui conquistava tutte le ragazze che si portava a letto, poi restituì i takoyaki a Yoni e si rimise alla guida del fuoristrada.
“Bene, dato che ci tieni tanto, portami su”
“Prova a chiedermelo nel modo giusto, Nee-shit”
La ragazza sbuffò, poi appoggiò le labbra contro il collo candido del quarterback, le dischiuse piano… E gli diede un morso. L’altro non si mosse, continuando a sogghignare, finché alla fine fu lei a cedere, brontolando.
“I missed you so fucking bad”
“Kekeke, sei quasi un’americana ora”
Continuava a prenderla in giro, ma era sinceramente preoccupato dalla situazione; Yoni pesava pochissimo, aveva notato quanto fosse dimagrita nonostante indossasse abiti larghi e chiari per mascherare la cosa, ma adesso che la teneva stretta a sé e percepiva tutto il suo scarso peso si rendeva conto di quanto l’ospedale l’avesse debilitata.
Senza aggiungere commenti ulteriori, si infilò in ascensore e raggiunse la porta del loro appartamento.
 
Appoggiò la sorella sul tavolo della cucina, le gambe inerti che sporgevano dal bordo, e, finalmente soli, si concesse il lusso di guardarla negli occhi con la dovuta attenzione.
Quello che vide gli strinse la gola. Cercò di mantenersi impassibile, nonostante lo sguardo sospettoso di Yoni, e le sfiorò una guancia con le dita sottili.
“Cosa c’è, Nii-dick?”
-Nulla, a parte il fatto che ti sei rotta e che non ho potuto fare niente per impedirlo, che ho messo al primo posto me stesso e gli allenamenti, e che non ho considerato l’effetto che nostra madre avrebbe avuto su di te-
“Nulla”
“Perché mi dici balle?”
-Perché la verità è che sono un povero cretino che non ha saputo proteggere l’unica cosa davvero importante, e che adesso non trova niente di meglio da fare che farsi assalire dai sensi di colpa-
“Non lo sto facendo”
Yoni cominciava ad irritarsi. Era finalmente riuscita a tornare a casa, desiderava solo un momento tranquillo tra le sue braccia, e quel fratello idiota si comportava così?
“Nii-dick, dimmi che cazzo hai”
Il quarterback, in risposta, chiuse gli occhi e la abbracciò stretta, stringendola a sé e appoggiando il viso contro i suoi capelli biondi.
“Mi dispiace”
Yoni sgranò gli occhi, chiedendosi se la degenerazione avesse portato ad un indebolimento del canale uditivo, ma quando vide che Yoichi non accennava a spostarsi capì di aver sentito bene. Tuttavia, si trovò a rispondere “Eh?”
“Ti ho lasciato lì. Dovevo riuscire a farti tornare subito in Giappone. Non ho pensato a quanto male ti avrebbe fatto restare tanto a lungo con... Lei”
In silenzio, Yoni gli accarezzava i capelli, quasi distrattamente. Hiruma le stringeva la camicia, continuando ad insultarsi.
“Sono un idiota. Un’emerita testa di cazzo. E...”
“Piantala”
La ragazza gli tirò i capelli e lo fece spostare all’indietro, per guardarlo negli occhi. Era seria, quasi severa, ma il suo tono non riusciva a mascherare una nota di dolcezza.
“Sto bene, scemo. Se non fossi rimasta là, avrei perso l’occasione di essere curata da uno dei migliori medici al mondo. Ho rischiato seriamente di morire, e lei è riuscita a recuperarmi ogni volta. Ad ogni modo, sarebbe riuscita a farsi trasferire in qualunque ospedale fossi andata. Quindi piantala, va bene?”
Appoggiò la fronte contro la sua, sussurrandogli a fior di labbra:
“Mi sono indebolita, sì, lo ammetto. Dammi un po’ di tempo e tornerò più forte di prima... Ma tu stammi vicino, questa volta”
Lo baciò, per togliergli l’imbarazzo di rispondere. Era vero, si era rammollita fin troppo, ma poteva preoccuparsene più tardi; quelle labbra, quel sapore di menta, quel sentire i loro corpi così vicini... Ecco cosa le era mancato davvero. Yoichi che la stringeva a sé e la baciava, facendole dimenticare qualsiasi cosa, sprofondando con lei nel più dolce e desiderato degli oblii.
 
Due giorni dopo, Hiruma, accompagnato da Musashi e il suo furgone, si recò all’ospedale del quartiere –una costruzione di stampo simil-medievale che sembrava essere particolarmente apprezzata dai liceali che giocano a football- per andare a prendere sua sorella dopo la riabilitazione.
“Io vado da mio padre, fammi uno squillo quando volete andare”
“Tranquillo, non dovremmo metterci molto”
Masticando chewing gum alla menta, il quarterback raggiunse la palestra dell’ospedale, dove, attraverso una vetrata, vide sua sorella che si reggeva in piedi grazie ad una specie di manichino pieno di cinghie e maniglie. Era affaticata, era evidente che senza quell’affare sarebbe crollata, ma già il fatto che le gambe la reggessero era una notizia formidabile; significava speranza.
Quando Yoni lo vide entrare gli rivolse un’occhiata di trionfo, come a dire “Te l’avevo detto che non c’era da preoccuparsi!”. Riuscì perfino a staccare una mano dal sostegno per sistemarsi i capelli con noncuranza.
Yoichi sorrise, mascherando subito quel gesto con un ghigno.
“Allora, quando ricominci ad essere autonoma? Sono già stufo di portarti in giro”
“Fuck you, Nii-dick. Vieni più vicino e stai fermo un attimo, così vedo di darti un calcio”
“Ah-ha. Dottore, posso portarla via, vero? Avremmo da fare”
“Uh... Certo. Ci vediamo domani mattina, Yoni-san. Per oggi riposati, mi raccomando, o...”
“…O le capsule sinoviali si rompono e le articolazioni si bloccano, sì, lo so. A domani”
Mentre la accompagnava verso gli spogliatoi, Yoichi commentò sarcasticamente:
“Dev’essere appagante averti come paziente...”
“Ehi, non è colpa mia se ne so più di loro!”
“Quindi, dottoressa, com’è andata oggi?”
“Hai visto anche tu, no? Comincio a riacquistare sensibilità, vuol dire che i nervi stanno ricominciando a lavorare e che la malattia è in decorso. Con un sostegno, riesco a stare in piedi. Per domani voglio muovere le ginocchia”
“Ottimo. Sei più utile in piedi”
“Già, e mi annoio di meno. Ok, mi do una sistemata e possiamo andare, spero tu non sia venuto in autobus”
“Guarda, pensavo di venire a dorso di cammello poi ho scoperto che li avevano finiti”
“Segnati lo struzzo per la prossima volta, è più elegante”

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Capitolo 10
*** Time to start ***


In capo ad una settimana si tenne l’estrazione degli accoppiamenti per il torneo del Kanto. I fratelli Hiruma furono i primi ad arrivare assieme a Musashi, che aveva dato loro un passaggio. Vennero presto raggiunti da Kurita –che, neanche a dirlo, si mise a piangere come una fontana quando vide Yoni-, Mamori e i fratelli Taki –la manager sfoggiando un nuovo taglio di capelli che le stava molto bene, ma che non riscosse alcun commento dal quarterback, con suo sommo dispiacere-, e a poco a poco tutta la squadra. Si dimostrarono molto contenti di riavere l’esperta di muscoli e legamenti di nuovo con loro, ma in pochi riuscirono ad evitare espressioni imbarazzate e compassionevoli.
Sapeva sarebbe stato così, ma Yoni lo trovò ugualmente fastidioso.
Accolti da una sparatoria, arrivarono infine anche gli ultimi ritardatari. Potevano entrare.
 
Le squadre partecipanti erano tutte riunite in un’ampia sala formalmente decorata; uno alla volta, i rappresentanti di Seibu, Ojo, Deimon, Hakushu, e Tayo salirono per estrarre il loro abbinamento. Poi toccò agli Shinryuuji.
Yoni vide Agon sogghignare osservando Sena, e istantaneamente il mini-pallone da football con sopra il numero schizzò come un proiettile verso l’occhio destro del nano di merda.
-Fuck!-
Fortunatamente, lo schivò al pelo. Il cuore di Yoni riprese a battere normalmente, e smise di preoccuparsi di come far trapiantare a Sena un nuovo occhio funzionante e a farlo correre in campo prima della partita.
“Dannato rasta di merda…” sussurrò Yoichi, anche lui estremamente sollevato per i riflessi del loro running back.
Agon non aveva ancora finito di divertirsi, però; seguito dalla sua squadra si diresse dritto verso i Deimon, lanciò un’occhiata al nano di merda –che istantaneamente rabbrividì dal terrore- e marciò verso i fratelli Hiruma. Non degnò di uno sguardo il maggiore, mentre l’altra lo fissava perplessa e vagamente irritata per l’invasione.
Poi si chinò, fulmineo, bloccò i polsi di Yoni e la baciò.
 
“È riuscito a fregarci”
“Già. Non mi aspettavo sarebbe stato così audace, non in pubblico”
“Questo prova che avevo ragione io. Vuole solo portarmi a letto, come tutte le altre ragazze, ma non lo fa perché sono tua sorella e tua simile. E perché sa che finirebbe male”
Erano a casa, seduti sul divano a bersi una tazza di caffè e a riesaminare quanto era successo nelle ultime ore.
Agon aveva baciato Yoni di fronte a tutti, tenendo presenti alcuni punti:
A)     Yoichi non poteva fargli niente, così come il resto della squadra, pena la squalifica immediata dal torneo
B)      I suoi riflessi innaturali gli avrebbero permesso di anticipare ogni movimento delle mani di Yoni, che era in grado, volendo, di fargli esplodere il cuore alla Kill Bill Vol.2, ma per stare sicuro le aveva stretto i polsi per non farla muovere
C)      Calci non ne rischiava, era una dannatissima paraplegica ancora per un po’
D)     Nessuno sarebbe intervenuto, sia perché troppo sorpreso, sia perché non stava facendo niente di illegale
E)      Voleva farlo e si sarebbe divertito
Alla luce di questi fatti, gli imbattibili fratelli Hiruma erano stati fregati. Normalmente questo sarebbe stato considerato come una spinta a migliorare, sempre utile, ma essendoci in ballo questioni più personali facevano fatica a mantenere la normale lucidità.
“Ok, li stronchiamo sul campo e poi lo ammazzo”
“Ah-ha, molto maturo Nee-shit”
“Quell’idiota ha osato troppo, stavolta. O sono solo io a pensarla così? Non ti da’ fastidio il fatto che mi abbia baciata?”
Fissò Yoichi con sguardo di accusa; possibile che non fosse minimamente geloso? Lei, al suo posto, sarebbe esplosa. Internamente, certo, ma esplosa. E avrebbe fatto esplodere qualcuno.
“Più di quanto tu possa mai immaginare”
Meno male; Yoni appoggiò la schiena contro il bracciolo del divano, facendo distendere una delle sue inutili gambe e finendo l’ultimo sorso di caffè.
“E quindi? Cosa gli facciamo?”
“Beh, prima dovremo batterli sul campo. Sai come la penso. E poi, personalmente credo tocchi a te risolvere la faccenda. Agli occhi di tutti, rimango tuo fratello”
“E un bravo fratello maggiore non dovrebbe difendere l’onore della sua sorellina?”
“Avanti, Yoni, ti ha solo baciata, e per un attimo. Una reazione esagerata da parte mia sarebbe sospetta. Già Musashi non è mai stato troppo convinto. E ho forti sospetti che Agon stesso immagini qualcosa, o non si sarebbe compromesso tanto”
Di cattivo umore, Yoni si fissò con ostinazione le ginocchia. Il giorno dopo cominciava il nuovo ciclo di riabilitazione, e non vedeva l’ora di poter camminare di nuovo… Così da assestare un sonoro calcio nelle palle al rasta di merda.
Passarono qualche minuto senza parlare; erano una di quelle coppie che non hanno bisogno di riempire con parole inutili ogni attimo di silenzio imbarazzante, e ferventi sostenitori del “taci invece di dare aria alla bocca”. Tuttavia, qualcuno non era d’accordo.
“Era il tuo stomaco, quello?”
“I miei succhi gastrici, vorrai dire”
“Quel che è. Va bene, vedo di preparare la cena” concluse il quarterback ridacchiando, e dirigendosi in cucina. Yoni restò ancora qualche secondo sul divano, poi trovò la forza di fare il trasbordo sulla sedia a rotelle.
-Bah, almeno alla fine di questa storia avrò bicipiti e tricipiti fenomenali...- pensò mentre guidava il suo mezzo fino in cucina, dove suo fratello stava tagliando delle verdure.
“Ti tengo da parte una copia in anteprima dell’intervista che devo fare domani? Si prospetta divertente”
“Uh? Che intervista?”
“Riko Kumabukuro vuole giocare a fare la reporter, e sta intervistando le personalità di spicco delle squadre che partecipano al torneo”
“Di spicco? Intendi gli assi?”
“Diciamo di sì. Ha già fatto Shin, Kid, Marco e quegli altri due dei Wolves e dei Golem”
“Quindi mancate tu e… Oh, che palle, Agon?”
“Kekeke! Ovvio! Per questo dico che sarà divertente!”
 
“Il mio punto forte: non perdo mai. Il mio punto forte: vinco sempre. Siete una coppia di tamarri, lo sai, vero?”
“Kekeke!”
“Tipo di ragazza preferita... Ah, carino, “Una che posso usare”. Molto dolce, Nii-dick”
“Kekekekeke”
Gli tirò in testa la rivista, ovviamente senza successo, poi si avvicinò alle sue spalle per sbirciare lo schermo del computer.
“Uh? La scheda del pelato?”
Yoichi annuì, sempre col ghigno sulle labbra.
“Sarà lui la nostra arma segreta contro i Naga”
La perplessità cosmica di Yoni venne man mano ridotta dalla spiegazione del quarterback. Quando Hiruma ebbe concluso, la sorella sorrise e prese il portatile che le veniva porto.
“Ho capito, domani gli faccio il mio trattamento. Vediamo un po’ i suoi dati...”
 
“Ammassi casuali di cellule, toglietevi le protezioni e venite tutti qua!”
I Devil Bats, che stavano facendo una pausa durante gli allenamenti, si affrettarono ad obbedire. Nonostante si fosse fatta più mansueta, Yoni rimaneva una Hiruma, e quel marchio di fabbrica significava esecuzione immediata degli ordini pena conseguenze terribili.
“Uno alla volta qui da me. Domani voglio le vostre prestazioni al 100%, quindi fatevi dare una controllata”
In fila, con rassegnazione –non sempre le mani di Yoni dispensavano sollievo-, tutti si sottoposero a quel check-up finale. Per la prima volta, sotto le sue dita passò anche Yukimitsu.
“Umh... Ok, vista la tua struttura fisica e le tue abitudini è un miracolo tu non abbia la cifosi... Ma qua in alto...” disse dando un forte colpo all’altezza dell’atlante che strappò un gemito acuto al povero ragazzo “C’è un principio di gobba. Comprati un leggio per studiare, dannato secchione!”
“O-ok... Grazie, Yoni-san”
“Prego. Ok, vi ho fatti tutti, no? Forza, tornate ad allenarvi!”
Vide Kurita passarle di fianco in quel momento, tenendo fra le mani quella che aveva tutta l’aria di essere una divisa dello Shinryuuji Naga taglia XXXXXL. Perplessa, lo osservò mettere la giacca addosso ad uno degli ostacoli che usavano i linemen per allenarsi... E farla a pezzi un secondo dopo lanciandosi in avanti in uno dei suoi temibili smash.
Fu Musashi a spiegare quel gesto insolito; i membri fondatori dei Devil Bats avevano avuto la possibilità di entrare al liceo Shinryuuji, Musashi e Hiruma tramite regolare test, mentre quella capra di Kurita come beneficiario di una borsa di studio per meriti sportivi.
“Poi è arrivato Agon, ha deciso che gli pesava il culo entrare normalmente senza dare fastidio a nessuno, e addio posto per il ciccione, giusto?”
“Esattamente”
-Tipico di Agon. E tipico di Nii-dick non dirmelo. Strano che abbiano continuato a frequentarsi anche dopo questo gesto simpatico... Ma immagino che per entrambi sia più utile sfruttarsi a vicenda anche se si odiano...-
Il proverbio dice “Parli del diavolo e ne spuntano le corna”; coerentemente con questo, Agon Kongo apparve in quel momento all’ingresso del campo di allenamento.
Ci fu un momento di silenzio, qualche brivido, poi il commento seccato di Jumonji “Che diavolo è venuto a fare qui?”, mentre Kuroki già assumeva la posizione del teppista all’assalto.
Senza dire nulla, Yoni spinse la sua sedia a rotelle fino al cancello, fece un cenno ad Agon, questi lanciò un’occhiata di disprezzo totale alla squadra, e se ne andarono insieme.
Fu Monta ad esprimere il dubbio di tutti chiedendo a Hiruma, che lustrava in silenzio il suo fucile:
“Ma... Yoni-san è andata via con Agon?”
“La sta solo accompagnando in ospedale per la riabilitazione. Io devo tenervi d’occhio, mentre lui non si allena. Ed è questo che lo farà perdere domani”
“Sì, ma... Hiruma-sempai, non sei preoccupato per tua sorella? Insomma... È Agon! Tutti sanno come tratta le ragazze!”
Il quarterback sogghignò, fissando il punto in cui i due erano scomparsi.
“Non quelle di cui è innamorato”
 
Quando Yoni tornò a casa la sera, era già piuttosto tardi. Tuttavia Yoichi la aspettava alzato, smanettando come al solito con il suo portatile.
“Allora, le ginocchia?”
“Siamo sulla buona strada. C’è qualcosa per cena?”
“Ramen istantaneo”
“Yey... Vabbè, non ho così fame. Tu hai già mangiato?”
“Nah, non ho fame”
Era molto serio. I suoi occhi saettavano da un punto all’altro dello schermo, vibrando impercettibilmente quasi come Trinity in Matrix quanto scarica le informazioni.
“Sei nervoso?”
“Un po’”
La ragazza si fermò e spalancò gli occhi, stupefatta, esagerando la reazione.
“Non fare quella faccia da pesce idiota. Sono nervoso perché non riesco a stabilire le nostre percentuali di vittoria”
“Nemmeno uno zero virgola molti zeri e qualcosa?”
“Già, nemmeno quello”
Lesse ancora qualcosa, poi chiuse il pc con uno scatto. Si girò verso Yoni, che gli era di fianco e lo fissava quieta, e d’impulso la baciò.
Positivamente sorpresa, Yoni sorrise e ricambiò il bacio, accarezzandogli il collo e la testa mentre le loro labbra danzavano assieme. Fu qualcosa di molto dolce e passionale, ma calmo, di quella bellezza che può avere il tramonto sull’oceano o una montagna innevata in una notte limpida.
“Sono stanco. Andiamo a dormire?”
Tutta quella situazione era strana, molto strana, ma alla vigilia di una partita tanto importante ed emotivamente impegnativa Yoni non se la sentiva di indagare e rompere troppo le scatole. Quindi annuì, e una volta a letto lo prese tra le braccia e aspettò di sentire il suo respiro farsi regolare, prima di addormentarsi. Ci volle parecchio.

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Capitolo 11
*** Beat the Dragon ***


Mattina. Stadio. Torneo del Kanto. Match Naga-Devil Bats.
-Fuck fuck fuck fuck fuck-
Avevano già cominciato male. Ikkyu era palesemente più forte della scimmia di merda, per quanto questi si sforzasse con tutto sé stesso.
A bordo campo, Yoni sedeva di fianco alla panchina con Doburoku, la manager, l’irritantissima capo cheer-leader, e l’arma segreta dalla calvizie incipiente. E stringeva spasmodicamente la stoffa dei pantaloni, osservando il gioco e il pericolo che stavano per correre i Devil Bats.
Perché ora toccava ad Agon.
La prima vittima fu il braccio di Sena, colpito senza pietà perché colpevole per aver osato pensare di toccare il Genio dei Naga. Agon odiava essere sfiorato da mani maschili.
Poi di nuovo, sempre Sena, perché stava portando la palla.
Poi toccò ad Hiruma.
Col cuore in gola, Yoni vide suo fratello afferrare l’avversario per trattenerlo, venire colpito, non mollare la presa... Poi la mano di Agon si mosse, lo sbatté a terra, e gli trascinò la faccia sullo sterrato per due metri buoni.
“YOICHI!!!”
Furono secondi molto, molto lunghi. Infine il quarterback si alzò, si pulì il sangue che usciva dalla bocca, mandò via Mamori col pronto soccorso, e fissò la sorella con espressione sorpresa.
Yoni ci mise un po’ a realizzare che era in piedi.
 
-Stupido fratello... Guarda te se deve farsi malmenare così... –
Stavano sgocciolando gli ultimi minuti del secondo tempo. I Deimon le avevano provate tutte, Hiruma aveva messo in pratica tutti i suoi numerosi piani e bluff, compreso il farsi tirare un pugno da Musashi –che probabilmente aveva messo un certo gusto nel farlo-, e la partita continuava ad essere tesa al limite dell’angosciante.
Agon faceva davvero paura, nessuno l’aveva mai visto così. Anni prima, i fratelli Hiruma e il genio bastardo trascorrevano le serate assieme per riempire l’agenda dei ricatti, incrementare la precisione nei colpi delle dita, e ammazzare il tempo pestando dei poveri disgraziati. Il minore dei gemelli Kongo si era sempre divertito, a volte aveva lievemente faticato, e altre si era persino arrabbiato... Ma vederlo furioso era tutta un’altra storia. Col cuore in gola, fregandosene del piccolo miracolo che era successo alle sue gambe mezz’ora prima, Yoni non distoglieva lo sguardo dal campo di battaglia – perché chiamarlo gioco sarebbe stata ormai una presa in giro.
Il nano di merda era favoloso. Anzi, Sena, Sena era favoloso, se fosse sopravvissuto fino alla fine avrebbe cominciato a chiamarlo per nome. Se lo meritava, stava... Impossibile, stava dando filo da torcere ad Agon!
Yoni non poté trattenere una sonora risata quando, dopo uno scontro agguerritissimo, fu il piccolo running back a scattare in avanti, e il feroce semidio a mangiare la polvere.
Il suo grido di esultanza fu tra i primi a spegnersi, assieme a quelli di coloro che avevano ben chiara la situazione: cinque minuti, sette punti, Naga infuriati. Deimon a pezzi, nessun time out per cercare di rappezzarli.
Yoni digrignò i denti, affondando le unghie nei palmi. Odiava sentirsi inutile. Odiava essere impotente. Odiava...
“Yoni-san?”
Era Mamori, che le sfiorava gentilmente una spalla.
“Più tardi... Quando la partita sarà finita... Ti serve una mano per sistemare Sena e gli altri?”
La sua voce era delicata, apparentemente fragile; stringeva la fotocamera in una mano, mentre l’altra tormentava il bordo della maglia.
“Hai per caso perso le speranze, Mamori?”
“Ecco... Io...”
“Sena starà bene. Non lascerò che diventi uno storpio. Te lo giuro sul mio onore di futuro medico”
Quelle parole sembrarono rincuorarla; in fondo, il piccolo Kobayakawa non avrebbe mai lasciato, nel suo cuore, il posto di debole fratellino da proteggere.
“Grazie, Yoni-san”
“Tieni i ringraziamenti per quando avranno vinto, se li meriteranno”
La manager fissò il campo, dove i Naga si stavano posizionando per il Golden Dragon Fly.
“Quante speranze abbiamo, secondo te?”
La Hiruma non poté non sogghignare, nel rispondere. Aveva scoperto che le piaceva credere in qualcosa.
“Una piccola e molto veloce. Una stupida ma di mano svelta. Cinque robuste e inamovibili. Una totalmente idiota ma flessuosa come una ballerina. Una gracile ma totalmente imprevedibile. Una burbera ma dai calci d’oro. Una silenziosa ed invisibile. E una scheggia demoniaca di anarchia”
Le labbra della Anezaki si incurvarono, man mano che ascoltava e capiva.
“Sono abbastanza, secondo te?”
Con gli occhi che brillavano, Mamori si unì al coro delle cheer-leader.
“FORZA, DEVIL BATS!!!”
 
Il momento che seguì quel fatidico istante in cui Kurita aveva abbattuto le difese dei Naga, permettendo a Sena di volare libero, fu qualcosa di magicamente sublime. Tutto lo stadio, nessuno escluso, convogliò le proprie speranze, le proprie gioie, il proprio fiato trattenuto, in un urlo di pura libertà.
Chi era in campo, nonostante tutto il frastuono dei tifosi, poté sentire chiaramente un grido gemello risuonare alto e limpido.
“YAAA-HAAAAAAAAAAAA!!!!!!!”
Yoichi aveva attaccato a tutti quel suo modo di esultare, quindi il coro con Yoni era venuto naturale.
“Woo-hoo! Grande Kuritan!”
“Bravissimi! Bravissimi, ragazzi!”
“Sono ricco! Sono straricco! Non ci credo! Sono ricco!”
L’aria stessa sembrava essere diventata frizzante, e partecipava alla gioia di quanti volevano vedere lo Shinryuuji finalmente sconfitto dopo nove anni di vittorie consecutive.
Hiruma scacciò a suon di proiettili Sena e Monta che avevano teneramente avuto l’idea di provare a lanciarlo in aria per festeggiarlo, poi si avvicinò alla sorella con un ghigno a trentadue denti.
“Io ti ho mostrato il miracolo, ora tu fammi rivedere quello di prima”
“Uh? Di che parli?”
“Alzati”
Era serio. Sorrideva, aveva il cuore in festa, ma era serio, voleva che lei si alzasse in piedi.
“Nii-dick, è stata l’adrenalina che è partita all’improvviso quando ho visto la tua testa sfracellata sull’erba, non credo che ora...”
“Alzati e basta, Nee-shit”
Il resto della squadra stava cominciando a prestare attenzione a loro due, quindi Yoni si rassegnò e provò ad assecondare il volere del fratello. Prese fiato, spostò i piedi sul terreno –quello era già in grado di farlo- e cautamente si tirò su, prima facendo leva con le braccia, poi osando lasciare la sedia a rotelle.
Il cuore aveva aumentato i battiti, e lo sforzo, sia mentale che fisico, non le era indifferente. Sapeva che sarebbe durata poco, forse un’altra manciata di secondi.
“Soddisfatto?”
“Quasi”
Solo in quel momento la ragazza notò che l’onnipresente fucile era appoggiato a terra, e che i palmi del quarterback erano rivolti lievemente in avanti. Finalmente comprese tutto, e un veloce sorriso e spuntò sulle labbra.
“Quanto sei scemo, Yoichi”
Non finse di cadere, le ginocchia le cedettero davvero. Ma, casualmente, la sua caduta era diretta in avanti; non all’indietro sulla sedia a rotelle, bensì tra le braccia pronte del suo cavaliere demoniaco.
“Kekeke, te l’avevo detto di non sforzarti troppo!”
Stringendolo forte a sé, mentre lui faceva altrettanto e già Mamori si avvicinava preoccupata, la ragazza gli mormorò all’orecchio con voce appena percettibile:
“La prossima volta abbracciami e basta, no?”

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Capitolo 12
*** First down ***


 Ovviamente, il giorno dopo stavano tutti malissimo. Yoni era brava, ma non poteva fare miracoli; tra la tensione mentale e lo sforzo fisico, era difficile trovare nei membri del Deimon un fascio di muscoli che avesse i livelli di actina e miosina nella norma. Detta in termini meno medici, la squadra intera si lamentava pietosamente ad ogni movimento.
-Fortuna che almeno  Nii-dick è silenzioso- pensò Yoni, circondata dalle altre matricole della squadra che si prodigavano in gemiti e smorfie di dolore. Se anche in casa avesse dovuto ascoltare tali sinfonie, avrebbe dovuto faticare per mantenere l’autocontrollo.
Durante la lezione di inglese il suo cellulare vibrò, portando un sms di suo fratello.
“Nee-shit, ho fatto una scommessa che la manager deve vincere. Dovrebbero farlo spontaneamente, ma se il nano di merda, i fratelli Ha-ha, la scimmia e l’idiota non vengono in sede dopo le lezioni, convincili a farlo”
Aveva parlato abbastanza inglese da non aver bisogno di memorizzare i verbi irregolari che il professore stava scrivendo alla lavagna, quindi si mise a messaggiare indisturbata.
“Tranquillo, avevano già deciso di farlo. Cosa hai scommesso con Mamori?”
“Una delle lattine di cola che Doburoku mi ha dato come parziale risarcimento del prestito”
“Uh, insomma una posta pericolosa. E perché vuoi far vincere la manager?”
“Bastone e carota, Nee-shit”
“Mh-mh. Guarda che non c’è bisogno che tu la faccia innamorare ancora di più, è già sufficientemente persa”
“Ho notato, ma sempre meglio essere sicuri”
“E poi ero io la stronza, vero?”
“Kekekeke”
Dentro di sé Yoni sbuffò. Non poteva rimproverargli niente, lei faceva le stesse cose con Rui e, con più cautela, con Agon, e Yoichi non le aveva mai fatto scenate di gelosia o simili pesantezze. Inoltre, aveva completa fiducia nel fratello e nelle proprie capacità, e sapeva che non sarebbe mai stata rimpiazzata per nessuna “ragazza utile” al mondo.
Ma Mamori era più carina di lei, più gentile, più efficiente ed ubbidiente, perfetta per compensare la personalità di Yoichi. Ed era palesemente invaghita del quarterback. Quindi Yoni era gelosa.
“Io ho la visita di controllo, quindi sull’elicottero non ci vengo. Così non ci sono problemi con la sedia a rotelle”
“Ti porta Agon?”
“Come al solito”
Yoni era abbastanza in sincronia per percepire il brevissimo moto di stizza del fratello dall’altra parte dell’edificio scolastico. Sogghignò, almeno ora erano pari con i momenti di gelosia.
“D’accordo, allora ci vediamo stasera”
“Vai a fare la spesa, sono stufa del ramen istantaneo”
“Proverò a ricordarmelo”
Detta da uno con la memoria edetica, questa frase suonava estremamente strafottente. La campanella suonò in quel momento, e Yoni non si prese la briga di rispondere.
 
Quando Hiruma arrivò a casa la sera, portando le borse della spesa, si stupì nel vedere che Yoni non era ancora arrivata. Le mandò un messaggio, un veloce “Dove sei?”, che non ottenne risposta. Dopo mezz’ora provò a chiamare, ma rispose la segreteria; a metà tra l’irritato e il preoccupato, Yoichi lasciò un “Dove cazzo sei?” e si mise al tavolo della cucina a rielaborare i dati del giorno.
Dopo un’altra mezz’ora era decisamente preoccupato; giusto perché c’era Agon, un elemento che definire altamente instabile era usare un eufemismo di proporzioni epiche.
-Giusto, Agon!-
Il quarterback compose il numero del genio dei Naga; si aspettava di non ricevere risposta, ma stranamente dall’altra parte si sentì un “Yo”
“Rasta di merda, dove cazzo siete?”
“Ancora in ospedale”
Hiruma ascoltò in silenzio per un paio di istanti, riconoscendo i suoni dell’ambiente in cui si trovava Agon. Non stava mentendo.
“Perché cazzo siete ancora lì?”
“Yoni è svenuta mentre la esaminavano, quindi le stanno facendo una fottutissima marea di controlli”
Le labbra di Yoichi articolarono un muto “Fuck”.
“D’accordo, arrivo”
“Non ce n’è bisogno, stiamo bene senza di te. E qui è uno spasso, ci..”
Riagganciò senza lasciargli il tempo di finire la frase, afferrò la giacca e corse a prendere l’autobus.
 
“Ce ne hai messo di tempo, spazzatura”
“Dov’è Yoni?”
“L’hanno portata in sala operatoria un’ora fa”
Si trattenne dal chiedere perché non si fosse preso la briga di avvisarlo; già il concetto di “prendersi la briga” era pressoché sconosciuto al Kongo minore, in più si trattava di lui. Non è che i due fossero in buonissimi rapporti, la cosa più importante che avevano in comune era la ragazza che ora si trovava sotto i ferri dei medici.
“Dimmi cos’è successo” fece secco Hiruma. Agon storse il naso, ma parlò.
“Era in palestra, avevano appena verificato che riusciva a stare in piedi per qualche minuto di seguito. Poi le hanno somministrato dei farmaci, qualcosa di sperimentale credo, mi pareva perplessa. Sono andato a fare un giro, poi dopo una quarantina di minuti sono tornato e ho visto che le porte della sala operatoria si erano appena chiuse. Ho chiesto ad un’infermiera, e mi ha detto che probabilmente si è trattato di un arresto cardiaco, una complicazione di quella malattia del cazzo dal nome impronunciabile che tua sorella si è presa”
Si era tolto gli occhiali, e se li passava tra le mani con fare annoiato. Era nervoso, e probabilmente ad un livello di incazzatura discretamente alto; imprecò ad alta voce, poi si infilò le mani in tasca e guardò Hiruma con la coda dell’occhio.
“Io mi sono rotto le palle di aspettare. Dille che se non si riprende subito, col cazzo che la accompagno di nuovo in questo posto. Ho di meglio da fare, e decine di ragazze pronte a darmela come non fosse loro”
Yoichi rimase impassibile e lo guardò allontanarsi; 10 a 1, sarebbe andato a sfogarsi su qualche povero malcapitato. Il quarterback riprese a fissare le odiose porte chiuse sotto l’insegna rossa “Operazione in corso, non entrare”.
 
Passò altro tempo interminabile; Hiruma faceva di tutto per combattere il sonno, ma era stanco, teso e preoccupato. Non riusciva a pensare lucidamente, quindi si trovò più volte a sbattere le palpebre per recuperare il controllo. Non c’era nemmeno qualcuno di interessante intorno, qualcosa con cui tenersi occupato, e non era nelle condizioni giuste per pensare alla squadra. Quasi non sentì i discorsi di due medici che discutevano di una nuova dottoressa molto sexy, e ignorò completamente l’infermiera schizzata che era venuta per fargli un esorcismo dato che “sentiva una strana aura demoniaca”.
Quando la luce finalmente si spense sobbalzò, e si alzò in piedi pronto a torchiare il giovane chirurgo dall’aria stanca che si stava togliendo in quel momento la mascherina e il camice da operazione.
“Yoni Hiruma. Dov’è? Cos’ha?”
Il pesante accento americano rendeva il suo giapponese quasi incomprensibile, ma il ragazzo riuscì a capire che in pochi minuti l’avrebbero portata fuori, e che avrebbe passato i successivi giorni sotto osservazione. Comunque, pareva fuori pericolo.
 
Quando Yoni finalmente uscì, era sdraiata su una barella, pallida come un morto, con gli occhi chiusi e le labbra livide. Era una scena da far stringere il cuore, ma il capitano dei Devil Bats era abbastanza temprato da non lasciarsi scioccare facilmente.
“Nee-shit, ci sei?”
Gli occhi non si aprirono, ma la bocca articolò uno stanco “No, sono al bar. E il caffè fa schifo”
Leggermente sollevato, Yoichi accompagnò la lettiga fino alla stanza 42; quando il personale sanitario finì la sistemazione, prese una sedia e aspettò che Yoni avesse abbastanza energie per parlare.
 
“Fuck”
“Come stai?”
“Fuck, fuck, fuck, fuck”
Con quello che sembrava un grande sforzo, la ragazza aprì gli occhi. Fissava il soffitto con aria disperata, i denti stretti a lasciar trapelare solo imprecazioni, ma si rilassò un attimo quando Yoichi le strinse una mano con gentilezza.
“Ce l’avevo quasi fatta. Andava meglio. Andava molto meglio. Sarei riuscita a camminare in poco tempo. E invece no. Fuck!”
Si passò una mano sugli occhi, sospirando. Il fratello non parlava, incoraggiandola a spiegarsi un po’ meglio.
“Non so cosa sia successo. Un collasso improvviso. Un arresto cardiaco, ok, ma ho avuto almeno due secondi di cecità. Vedevo tutto bianco. E non so cosa sia, non ho una cazzo di singola idea su che minchia abbia il mio corpo di merda!”
Ok, era meglio calmarla. Yoichi si fece più vicino, le accarezzò i capelli, e pian piano il respiro della ragazza si fece meno affannoso. Rivolse finalmente gli occhi a lui, occhi che portavano uno sconforto e una rabbia enormi, ma anche tanta tristezza.
“Mi dispiace, Nii-dick...”
A quelle parole, il quarterback scoppiò in una risata nervosa.
“Ma che ti scusi a fare, scema? Non mi ero mica preoccupato, so che presto recupererai il controllo. Anche perché sei in ritardo con il tuo lavoro di preparatrice atletica della squadra, quindi ti voglio in forma il prima possibile!”
Un sorriso stanco fu la risposta, seguito da un secco:
“Il chirurgo era un macellaio, so già che mi rimarranno delle cicatrici orribili. Probabilmente avrei fatto un lavoro migliore da sola. Non poteva restarsene nello Utah? Bah...”
Provò a girarsi su un fianco, ma si accorse in fretta di non esserne in grado. Sbuffò –piano perché il petto era stato ricucito da poco- e fissò il fratello con sguardo esasperato.
“Temo ci vorrà un po’, questa volta. Quanto manca alla partita contro l’Ojou?”
“Esattamente due giorni in più di quelli che ti servono per riprenderti. Quindi ora dormi, per stanotte hai fatto abbastanza”
“Ti amo”
“Come, scusa?”
“Mentre stavo per svenire ho pensato che morire così, lontana, senza avertelo detto almeno un’altra volta, era proprio una fine di merda. Quindi non voglio rischiare di nuovo”
Yoichi non la lasciò quasi finire di parlare, chiudendole la bocca con un bacio che aveva del violento.
“Non dire queste stronzate, Yoni. Non le dire”
“Tu dimmi che mi ami, allora” brontolò lei.
“Ti amo. Ti amo, scema d’una sorella senza la quale la mia vita farebbe schifo. Ora piantala di rompere e dormi”
Si sorrisero, mutando subito le espressioni in ghigni gemelli. Erano tornati loro stessi.

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Capitolo 13
*** White knights, black nights ***


 Il giorno prima della partita Yoichi andò a trovare la sorella in ospedale; nonostante gli sforzi, le sue condizioni non le consentivano ancora di uscire, tanto più che per il giorno successivo era stato preannunciato un temporale con raffiche di vento e bruschi cali di temperatura. Lei a malapena si reggeva in piedi, quindi era meglio non rischiare... Per quanto sgradevole fosse il dover osservare un match tanto importante lontano dal campo.
Hiruma arrivò mentre Yoni, di pessimo umore, sbraitava contro un’infermiera che non era riuscita a trovarle la vena al primo colpo.
“Ma questo scambio del cazzo con l’America non potevano farlo con gente preparata? Tornatene nel Texas a frustare vacche se non sai tenere in mano una siringa!”
La poveretta, che capiva una parola su tre ma già era sufficiente, si scusò molte volte e uscì di corsa. Yoni sbuffò, guardandosi il braccio come se si aspettasse di vederlo cadere da un momento all’altro, poi finalmente salutò il fratello.
“Spero che siano tutti pronti per domani. Hai controllato che non abbiano ghiandole gonfie? E nessun legamento ingrossato? Approvo l’uso delle maschere bagnate, ma l’espansione polmonare non è andata in difetto, vero?”
Yoichi sogghignò, avvicinandosi al letto.
“Stanno bene, sorella di merda”
“Non sai neanche dove siano le ghiandole, vero?”
“Esatto. Ma stanno bene. E domani vinceremo”
La ragazza si rabbuiò, poi prese il laptop che il fratello le porgeva.
“Ho già hackerato il server della televisione, puoi guardare tutte le telecamere che vuoi. Nella cartella BigBrother trovi i collegamenti a quelle mie personali. Probabilmente vedrai più cose di me, quindi supporta la manager, se riesci”
“Grazie...”
“Ehi, non è da te ringraziare”
“Non è da me nemmeno il restarmene qui mentre hai bisogno là fuori”
Yoichi sospirò, tirando fuori un’altra gomma da masticare.
“Non abbiamo alternative, ricordi? Quindi stattene tranquilla, e riprenditi. Questa volta sul serio”
Yoni alzò gli occhi per piantarli in quelli del fratello; riusciva sempre a stupirsi del fatto che fossero così azzurri, un colore su cui normalmente erano gli angeli ad avere il dominio.
“Sei di cattivo umore, vero?”
“Pessimo. Ma migliorerà quando uscirai da qui”
L’altra cercò di ghignare, ma le uscì una smorfia triste.
“Tu vinci, ok? È scientificamente provato che le vittorie accelerano le guarigioni”
Riuscì a farlo ridacchiare un attimo, e nei suoi occhi tornò una scintilla di energia.
“Staccheremo la testa a quei dannati cavalierucoli. Ora è meglio che vada, devo ridefinire le strategie. Domani vinciamo e porto qua la squadra, così si esaltano ulteriormente e non si lamentano del male ai muscoli”
“Merda, è vero... Oh, no, non di nuovo!”
 
“Dai scimmia di merda, prendila, prendi quella cazzo di palla!”
Seduta sul letto, il pc sulle ginocchia, Yoni seguiva attentamente la partita Deimon-Ojo. Non era cominciata bene, e non stava proseguendo meglio, ma aveva fiducia nei Devil Bats, quindi si lasciava andare a commenti e imprecazioni da tifosa da bar.
-Ok, dunque questa è la Balista…- pensò dopo aver visto Shin che sollevava Kurita. Le sarebbe piaciuto molto esaminare i muscoli dell’asso dei White Knights, era convinta fossero qualcosa di molto simile alla perfezione.
Elliott, l’infermiera texana incapace, entrò proprio nel momento in cui Takami fregava Nii-dick col suo Everest Pass.
“Youni-san, la tua medifrina”
“Si dice medicina, capra. Lasciala lì”
“La dottoressa si è rac… Racco… Raccolta di prendere la medicheena subito ”
“RACCOMANDATA di prendere la MEDICINA. Speak English, if you don’t know Japanese”
“Ma devo... Must practice…”
Kurita stava per bloccare il kick dell’Ojo, e Yoni per perdere definitivamente la pazienza. Guardò la palla deviare grazie al ciccione, poi rivolse uno sguardo di fuoco all’infermiera.
“I DON’T GIVE A SINGLE BLOODY SHIT. NOW GO FUCK YOURSELF OUTTA HERE!”
Funzionò. Elliott sgranò gli occhi in un’espressione di terrore e fuggì di gran carriera.
 
Finalmente sola, Yoni poté sentire il suo cuore accelerare all’improvviso nel momento in cui Shin colpì con il suo Trident Tackle le costole di Yoichi. Le protezioni da football facevano il loro lavoro, ma il braccio del cavaliere era potente e il corpo di Hiruma fragile. Fu un vero sollievo quando lo vide –provando più angolazioni per essere  sicura- che si rialzava e respirava correttamente.
Quando dovettero per forza affidarsi alle corse di Eyeshield, fu inoltre evidente la supremazia di Seijuuro Shin anche e soprattutto in quel campo. Era un fulmine, qualcosa che Sena non riusciva a superare.
“Dai, nano di merda, sei riuscito a battere Agon, non farti sconfiggere da quell’essere dotato di una sola espressione facciale!”
Niente, nessun avanzamento. Gli unici punti che il Deimon aveva fatto erano grazie ai calci di Musashi, mentre l’Ojo conduceva per almeno una decina in più.
-Uh, che sta dicendo alla manager?-
Yoni zoomò su una telecamera che riprendesse bene i movimenti delle mani di Nii-dick, e quel che lesse le comunicò che Yoichi non aveva più idee, e che si affidava ad un video solo con le azioni di Shin per farsene venire altre.
-Merda Nii-dick, siete già messi così male?-
Altro zoom, stavolta sulle facce della squadra; erano preoccupati, il capitano stava spiegando che le chances per farcela erano poche, ma quando l’operatore inquadrò gli occhi del quarterback Yoni sorrise: quella luce, quella determinazione, erano troppo serie per portare al fallimento.
 
Fine primo tempo. Yoni si appoggiò al cuscino e sospirò, risolvendosi poi a prendere la stramaledetta medicina. La pastiglia era sempre la stessa, e il medico le aveva detto che era un farmaco sperimentale, ma che era la scelta migliore che avevano, dato che apparentemente c’era stato un crollo inspiegabile nelle sue difese.
-Stupido corpo... Cosa diavolo mi combini?- pensò stancamente, inghiottendo la pasticca bianca e svuotando il bicchiere d’acqua.
Durante la pausa, fu tentata dal cambiare canale per non assistere allo spettacolo di Mizumachi in gonnella da cheerleader, ma si costrinse ad essere forte. Aveva già visto le foto di Ootawara in abito da cameriera, quindi a confronto questo non era troppo agghiacciante… Per quanto rimanesse dannatamente inquietante. Cioè, ballava bene, niente da dire, ma c’era un motivo per cui erano solo le cheerleader ad indossare la divisa da cheerleader.
 
La partita riprese, e subito arrivò l’occasione per un confronto tra Shin e Sena. Non avendo ricevuto notizie da nessuno, Yoni osservò il piccoletto scattare in avanti verso la sua potente nemesi.
“No... Non è poss... Dio, ma siete scemi? Un confronto di forza?”
Era palese che Sena stesse andando addosso a Shin per bloccarlo... Ma era inconcepibile! Se la memoria di Yoni non difettava, il nano di merda pesava 48 kg e ne sollevava 40 in panca. Shin ne pesava 71, ma la sua forza gli permetteva di sollevarne più di cento in più. Praticamente poteva scagliare in aria l’avversario usando appena due dita. Eppure il nano di merda era più deciso che mai.
Ovviamente risultò in un fallimento, e in un piccolo Kobayakawa volante.
La ragazza si strofinò gli occhi, che cominciavano ad essere stanchi, poi tornò a guardare il monitor. Inutile, una partita andava guardata di persona, non attraverso dieci pollici.
“Uh? Devil Back Fire? Insomma, Nii-dick, un po’ di fantasia... I nomi che dai alle tecniche si somigliano tutti...” commentò con un ghigno, dopo aver gioito per il fenomenale catch all’indietro di Monta; galvanizzata, la scimmia di merda continuava a prendere una palla dietro l’altra. Il touchdown arrivò come un bicchiere d’acqua fresca dopo una corsa del deserto.
“Yaa-haaa! Finalmente!”
Come punizione per aver esultato, la testa cominciò a pulsarle ferocemente. Yoni si strinse le tempie fra le mani, respirando a fondo, finché il dolore riuscì ad attenuarsi.
-Fuck. Piantala, voglio vedere la partita-
Tornò a concentrarsi sull’azione. Ci fu un’escalation davvero rapida, dove Sena dribblava i giocatori avversari uno dopo l’altro… Ma quasi arrivato alla linea di meta, Shin riuscì a farlo cadere, e Sakuraba a portare via la palla.
“Aaaah, fuck!” esclamò, sbattendosi un pugno sulla coscia. I suoi nervi rincoglioniti non sentirono la botta, se non per una piccolissima percentuale. Se Yoni avesse prestato attenzione, si sarebbe accorta che quella percentuale era minore del solito, ma era impegnata a guardare il fratello che mostrava delle carte alla squadra.
Le riconosceva, le aveva disegnate lei (quando Yoichi aveva scoperto che era scientificamente precisa nel disegno, le aveva fatto fare di tutto, da video informativi a tonnellate di volantini e di maledette carte strategiche). Era una delle tattiche di tipo “nuota o affoga”, le più pericolose... Ma quelle più nello stile del Deimon.
Nel momento in cui Monta riuscì a placcare Takami, Yoni vide bianco. In un istante, la sua visione si annullò fino a mostrare un unico mare lattiginoso.
“FUCK, NO, NON ADESSO!” urlò, frustrata. L’ultima volta che aveva visto bianco, era svenuta a causa di un collasso circolatorio; non aveva intenzione di farlo di nuovo, voleva finire di vedere la partita.
Drizzò la schiena, tese le dita, e colpì due punti precisi vicino al mediastino. I suoi occhi ripresero a funzionare, anche se il cuore rallentò lievemente i battiti.
-Ok… Per stavolta è andata...-
Non poteva negare a sé stessa di essere spaventata, ma l’essere appena riuscita a riprendere il controllo era una notevole vittoria.
A proposito di vittoria, quella dei Deimon tardava a comparire. La partita era sempre più agguerrita, e a tre minuti dalla fine Yukimitsu cadde a terra, non riuscendo più ad andare avanti. Cosa peggiore, anche la scimmia sembrava essere ai suoi limiti.
-Merda... Se fossi lì...-
Bastava premere i punti giusti, e la riserva di emergenza di adrenalina sgorgava fuori. Sarebbe stata sufficiente per quegli ultimi due minuti... Ma, dato che nessuno aveva idea di come fare, non poteva essere utilizzata.
Era ammirevole come Monta cercasse a tutti i costi di non svenire, e continuasse a fare cose utili. Avrebbe dovuto smettere di chiamarlo “scimmia di merda”, a quanto pare.
La testa riprese a pulsare, questa volta più forte di prima; i metodi che Yoni normalmente usava non funzionarono per farla calmare, quindi provò ad ignorarla. In fondo mancava poco alla fine della partita, dopo avrebbe potuto riposarsi e svenire e tutto quanto. Ma tenere gli occhi aperti era così difficile, e il sangue rimbombava nelle orecchie…
“Dovresti chiudere il pc e riposarti”
Quella voce... Combattendo contro il suo stesso fisico, Yoni voltò la testa, e quel che vide le strappò un gemito.
“Fuck...”
Tese gli indici, e velocemente colpì dei punti di pressione posti alla base del collo e sotto i polmoni. L’adrenalina fluì rapida nelle sue vene, concedendole di afferrare il cellulare e comporre il numero di suo fratello.
Rispose la segreteria, naturalmente, e mentre Monta saltava la voce roca di Yoni venne registrata.
“È qui... Cazzo, è qui… Ecco perché ci sono tutti questi americani...”
La vista le si annebbiò di nuovo, ma riuscì a sentire il rumore dei tacchi che, con calma, si avvicinavano a lei.
“Yoi… Chi...”

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Capitolo 14
*** S h i ***


Dopo aver debitamente festeggiato la vittoria facendo finire l’intera squadra in piscina con addosso ancora le uniformi, e dopo essersi lavato e cambiato, Hiruma si prese finalmente il tempo per chiamare la sua inutile sorella.
“Oh, Hiruma-kun, durante la partita ti è squillato il cellulare. Quello giallo, mi pare” lo informò la Anezaki quando lo vide avvicinarsi alla sacca piena di telefonini di proprietà del quarterback.
Senza ringraziare, Yoichi notò un messaggio in segreteria. Si allontanò di qualche passo dai nani ancora esultanti, e fece partire la registrazione.
Mamori, che lo stava osservando, vide il suo viso paralizzarsi; non era mutato di un millimetro, ma la luce era scomparsa repentinamente dai suoi occhi. Tutta la gioia e l’euforia che animavano quei cinquantasette chili di demone ossigenato sembravano essere stati risucchiati dal piccolo apparecchio elettronico. Chiuse di scatto il cellulare e prese la sua borsa senza guardare nessuno in faccia.
“Dannata manager, assicurati che tutti vadano a casa e si riposino, concedo loro un paio di giorni poi si riprendono gli allenamenti”
“Ehi, Hiruma, cattive notizie?” chiese Musashi, che si era avvicinato annusando aria di tempesta.
“Nah, niente di che. Ho solo fretta”
Girò i tacchi e si incamminò velocemente alla fermata dell’autobus più vicina. Mamori e il kicker si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Cosa pensi possa essere successo, Musashi-san?”
“Mmh... Non saprei” rispose, evasivo.
“Visto com’è diventato serio, ho paura possa essere successo qualcosa a Yoni-san...”
L’altro non rispose per non compromettersi troppo; era una persona discreta e rispettosa degli spazi altrui, anche di quelli immensi di Hiruma. Se non aveva voluto dirlo, avrà avuto i suoi motivi.
“Beh, credo sia inutile preoccuparsi, ce lo dirà più avanti. Ora vediamo di andare, prima che Monta cada a terra svenuto”
“...Giusto”
 
-Cazzo merda cazzo merda cazzo merda-
I pensieri di Yoichi, mentre sedeva in un autobus fortunatamente non troppo affollato, erano abbastanza monotoni: insulti, imprecazioni, sua madre, insulti, Yoni, che cazzo le sarà successo, imprecazioni, le avrà fatto qualcosa, insulti, autobus di merda muoviti, preoccupazione, insulti.
Mancavano circa dieci minuti all’arrivo, quando il telefono squillò di nuovo, facendolo quasi sussultare. Lo aprì di scatto vedendo il numero del cellulare che aveva lasciato a sua sorella, e quasi con timore pronunciò un sottile “Sì?”
“Nii-dick...”
“Yoni, stai bene? Che...”
“Non… Interrompere”
Tacque subito, la voce della ragazza era da brividi; rauca, sforzata, quasi coperta da altre voci che parlavano in inglese e dal bippare e ronzare di macchinari ospedalieri. Riconobbe sua madre che dava ordini riguardo a qualcosa che non riuscì a capire.
“Lei... È stata... Lei... Sperimentare...”
“BIP... BIP… BIP…”
Ogni parola sembrava rappresentare per lei uno sforzo immenso, mentre per il fratello erano gocce gelide che scendevano lungo il collo, perforavano i polmoni e si depositavano nel cuore. Aveva una brutta, bruttissima sensazione.
Il bip bip di sottofondo si faceva sempre più lento, era uno stillicidio straziante. E ancora l’autobus non arrivava alla fermata.
“Yoichi...”
“BIP... BIP…”
-Non dirlo. Non dirlo. Cazzo, ti prego, non dirlo-
La sentiva sorridere, mentre faceva l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto fare.
“Ti… A...”
“BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII”
“Defibrillatore! 400 watt al secondo! Three, two, one... Now!”
Cadde la linea.
 
La canna di una calibro 42 sorretta da un ragazzo con l’aria da psicopatico e gli occhi allucinati era un ottimo metodo per farsi dire in fretta dove le persone si trovavano. Nello specifico, Yoichi irruppe nella stanza 18 in tempo per sentire sua madre pronunciare l’ora corrente.
“Ah... Ciao Yoicchan. Mi sa che sei arrivato tardi”
Dapprima il quarterback non capì, o meglio, non volle capire; la stanza era silenziosa, l’infermiera idiota stava facendo firmare un foglio a sua madre con aria seria, mentre Yoni, ancora attaccata alla flebo, sembrava dormire tranquilla. Nessun bip, nessun ronzio, finalmente un po’ di pace.
“Che le è successo? Come sta?”
Non le piacque lo sguardo beffardo di finta compassione che la donna gli rivolse, congedando Elliott con un cenno della mano.
“Yoicchan... Forse è meglio se ti siedi...” fece con voce mielosa, facendo stringere lo stomaco del figlio.
“Fottiti, donna. Rispondimi”
Yuriko Iwasaki guardò la sua progenie, prima uno poi l’altra, e con tono drammatico sospirò.
“La sua malattia era molto grave e praticamente sconosciuta... Ho seguito il suo caso personalmente dedicandoci tutta me stessa, tentando l’impossibile, anche quando tu e tuo padre siete riusciti a farla trasferire...”
Quel “era”.
“Piantala di dire stronzate inutili, rispondimi”
Seccata, la dottoressa abbandonò le maschere formali e riacquistò il suo sguardo e la voce di ghiaccio.
“Stavo pronunciando la risposta che cercavi nel momento in cui sei entrato. Cause accertate: arresto cardiaco. Ora del decesso: 17.31, data odierna”.
La razionalità di Yoichi, già messa a dura prova dal suo proprietario che si rifiutava in ogni modo di accettare i segnali che vedeva, saltò completamente. Alzò il braccio destro e puntò la pistola contro sua madre, che non batté ciglio.
“Non fare il bambino, Yoicchan”
Irruppero in quel momento quattro infermieri della corporatura di Bamba, richiamati dalla telecamera nascosta nell’angolo della stanza. Se fosse stata una partita di football, si sarebbe potuto dire che la linea avversaria al completo aveva fatto un blitz sul quarterback, facendogli perdere la palla.
In realtà, Hiruma non poteva sperare in un espediente migliore per mascherare il fatto che non riusciva a reggersi in piedi.
 
Erano circa le 19 quando a Musashi arrivò un sms del suo capitano. Conteneva solo un kanji, che era impossibile scambiare per un errore di battitura, un gioco di parole o un test di quelli che il demone biondo era solito fare.
死, “Shi”.
Morte.
Gli occhi del kicker si inumidirono, mentre il cellulare di Mamori, che sedeva di fronte a lui durante la cena celebrativa con la squadra, annunciava l’arrivo di un messaggio.
“Oh, Hiruma-kun dice che non ci sarà per un po’... Ma non spiega il perché, dice solo che sono motivi personali”
La manager alzò gli occhi verso chi di Hiruma era solito capirci di più; Musashi cercò di nascondere lo sguardo, ma la ragazza era stata troppo veloce.
“Musashi-san…?”
Kurita, preoccupato, si fece avanti.
“Ehi, è successo qualcosa?”
Niente, era tardi; le lacrime stavano già per scendere.
“Musashan, così ci spaventi…” mormorò Suzuna, che per quanto piccola e irritante era molto brava a percepire le emozioni delle persone.
Gen Takekura fissò il piatto con ostinazione, mentre le sue guance si bagnavano, presto imitato da chi era abbastanza sveglio da capire anche senza bisogno di quelle terribili parole.
“Yoni è morta”.

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Capitolo 15
*** You are late ***


I numerosi cellulari squillavano a intervalli regolari, e regolarmente venivano ignorati. Hiruma era sdraiato sul divano, fissando il soffitto e sbattendo a malapena le palpebre.
Cercava di recuperare la sua fottuta esistenza, che era stata mandata completamente a puttane nell’ultima manciata di dannatissime ore.
Cazzo, avevano pure vinto contro l’Ojo. Aveva perso il conto delle ore dedicate alle strategie contro quei cavalieri inarrestabili, e ora più nulla sembrava avere senso.
Doveva recuperare la squadra, stare attento che non si adagiassero troppo solo per aver vinto, perché -fossero stati i Seibu o gli Hakushuu- il prossimo avversario sarebbe stato temibile. Ma niente, fissava il vuoto e ripensava a tante, troppe cose inutili e sentimentali.
Il suo album mentale di foto con Yoni; troppo rischioso avere prove in giro, i due si erano sempre affidati alla loro ottima memoria. Più che ottima, nel caso del primogenito, che ora si ritrovava a ripercorrere ogni dannato, bellissimo, dolorosissimo istante passato con la ragazza che amava.
Yoni che gli urlava contro. Yoni che gli sorrideva. Yoni che gli rimetteva in sesto la schiena. Yoni che lo investiva di proposito con la sedia a rotelle. Yoni che lo baciava.
Yoni che aveva fatto l’unica cosa che mai, mai, MAI avrebbe dovuto fare.
Yoni che era morta.
Chiuse gli occhi, lasciando fuoriuscire lentamente l’aria dai polmoni. Sapeva che gli avrebbe fatto bene piangere, prendere a pugni il muro, sfogarsi in qualche modo, ma la sua emotività era completamente bloccata. In quelle condizioni non poteva né aveva voglia di fare o pensare ad alcunché. Si limitava a vegetare e a lasciar squillare i telefoni a vuoto.
Verso l’una di notte Musashi bussò alla porta.
“Hiruma, sei qui dentro?”
“No” fu la risposta piatta dell’altro
“Posso entrare?”
“No”
“Ti serve qualcosa?”
-Yoni che mi dà dello scemo e che mi dice di muovere il culo perché occupo tutto il divano-
“No”
“Ripasso domani?”
“No”
Il pomeriggio fu il resto della squadra a venire a rompere; li sentiva tutti, fuori dalla sua porta, che lasciavano a Mamori l’imbarazzo di bussare e chiedere gentilmente:
“Hiruma-kun?”
Non rispose, non ne aveva voglia; ignorò il bussare ripetuto. Suzuna chiese, con voce preoccupata:
“Da quanto You-nii è li dentro?”
“Quando Musashi è passato, stanotte, c’era...” mormorò Kurita, che sembrava sforzarsi parecchio per non scoppiare in lacrime. Dannato grassone emotivo.
“Hiruma-kun, volevamo dirti che i Seibu hanno perso... Kid-san e Tetsuma-san sono finiti all’ospedale per colpa di Gao...”
Nessuna risposta. Certo, non c’era da stupirsi. Kid era in gamba, probabilmente aveva pensato ad un buon piano, ma Gao era qualcosa che non si poteva fermare con solo “un buon piano”.
La scimmia di merda fece un po’ di baccano per arrivare fino alla porta, bussò forte e parlò a voce alta.
“Oh, Hiruma-sempai, sei vivo?”
Attimo di gelo.
“Coglione...” sibilò Hiruma, tra i denti, storcendo il viso in una smorfia disgustata. Fortunatamente, Jumonji, Kuroki e Togano si occuparono della cosa cominciando a prenderlo a calci.
“Deficiente! Ma ti sembrano cose da dire?”
“Ahia! Ma che ho detto?”
“Cretino! Usa il cervello!”
“Ma... Ahi, è solo un modo di dire... Ahia, quello faceva male MAX!”
“Hai una poltiglia di banane nella testa, altroché!”
“Ouch! Ho capito! Scusateeee!!! Mi dispiace MAX!”
Se ne andarono tutti, e tornò il silenzio. La manager aveva lasciato un ultimo lacrimevole messaggio, qualcosa riguardo al fatto che loro c’erano in qualsiasi momento e che non doveva affrontare questa cosa da solo.
Non aveva tutti i torti, ma le mancava una parte fondamentale; mancava a tutti loro, e nessuno avrebbe potuto capire. Ma poi, voleva davvero che capissero? No, desiderava solo che lo lasciassero in pace per un po’. Sarebbe tornato, tornava sempre, in qualche modo somatizzava la realtà e si rimetteva in piedi, più cattivo di prima; e allora avrebbero rimpianto i momenti in cui stava chiuso in casa e non li usava per il tiro al piattello.
Ma intanto voleva restare da solo.
Provò a chiudere gli occhi per qualche minuto, e fu il suo stesso dannatissimo corpo a spedirlo per raccomandata espresso in un sogno teso, freddo e vuoto dove in sottofondo c’era un unico bip continuo; poi il bip si intervallava alla voce di Yoni che diceva qualcosa, ma lui non riusciva a capire, e correva in avanti, in direzione della voce, nel buio più completo.
All’improvviso compariva una luce, piccola e verde, con un puntino nero al centro. Accelerando, Yoichi cercava di correrle incontro, ma bruscamente il terreno mancava sotto i suoi piedi, e lui cadeva, sbatteva per terra e cadeva di nuovo, sempre più velocemente, per poi risbattere e ricadere, quasi fosse una palla che rimbalzava.
Si svegliò sul pavimento, sudato e ansimante, mentre la porta veniva tempestata di pugni. Fuori, in strada, il rombo di diverse moto tenute col motore al minimo.
“Fuck...” mormorò, e in quel momento si sentì di nuovo bussare alla porta, e capì che la stavano prendendo a calci. Lanciò un’occhiata all’orologio e vide che erano le due di notte.
“Hiruma! Apri! Apri, dannazione!”
Era Rui Habashira -chi diavolo era stato a dargli la notizia?-, che aveva davvero scelto il momento peggiore per fare una scenata isterica. Poteva capire che si sentisse male anche lui, ma venire a irritarlo non avrebbe fatto bene a nessuno dei due. E perché quella voce così piena di urgenza? Cosa mai poteva accadere che potesse fregargli qualcosa? Il capo camaleonte non era un completo idiota, sapeva riconoscere i momenti in cui la sua presenza era di troppo, e quello lo era assolutamente.
Ne aveva davvero le palle piene; barcollò come un ubriaco fino alla porta, ancora intontito per il sogno agitato, e la aprì di scatto pronto a riversare il suo peggior vocabolario sullo scassacazzo di turno.
E invece si congelò.
Rui lo fissava con gli occhi spalancati -già erano abnormi di loro, quindi l’effetto era amplificato- e l’aria sconvolta, mentre reggeva tra le lunghissime braccia il corpo immobile di Yoni, ancora nella camicia da notte con cui era morta.
Hiruma venne colto dall’impellente bisogno di vomitare.
Perché? Perché cazzo stava facendo questo? Era impazzito? Era un necrofilo? Perché non capiva che se restava lì ancora per due secondi sarebbe stato sbranato vivo?
Poi Yoichi si costrinse a guardare quel corpo inerte, e notò suo malgrado qualcosa di insolito. C’era dello sporco sotto i piedi e all’altezza delle ginocchia, e anche sui palmi delle mani.
La nausea se ne andò gradualmente, lasciando il posto ad un’espressione perplessa e ad una luce attenta negli occhi che Yoichi non aveva da almeno ventiquattr’ore.
Vide l’Habashira sogghignare. E vide gli occhi di Yoni, verdi come la luce del suo sogno, aprirsi e guardarlo con un sorriso che era spuntato dalle iridi ed era poi germogliato sulle labbra.
 
Che non si dica in giro che Rui Habashira non è un buon amico; aiutò Yoni a mettersi in piedi, salutò in fretta e girò sui tacchi in trentaquattro secondi netti, lasciando i fratelli Hiruma da soli.
In trance, Yoichi indietreggiò per far entrare la sorella e chiuse la porta dietro di sé. La guardava, la percepiva, sentiva il suo odore e ascoltava il suono del suo respiro; eppure non poteva crederci. Si pizzicò un braccio, e provò dolore.
“Yoni...”
La ragazza si girò verso di lui; aveva i capelli scarmigliati, la camicia da notte sporca, e un sorriso stanco ma consapevole ad incurvarle le labbra. Ricordava molto il loro primo incontro, con un’eccezione: la Yoni di adesso gli appariva bella come la Madonna, e altrettanto miracolosa.
“Tutto questo è un sogno?”
L’apparizione mistica sogghignò, chinando appena la testa di lato.
“Vuoi davvero cominciare una discussione filosofica sull’esistenza umana?”
Gli si avvicinò, lui non riusciva a farlo. Temeva che, se si fosse mosso, quella realtà meravigliosa in cui Yoni era viva si sarebbe infranta, e lui si sarebbe ritrovato solo su quel divano.
Yoni alzò una mano e gli sfiorò una guancia, mentre il suo sorriso diventava il ghigno che aveva imparato ad amare tanto.
“Stai piangendo, Nii-dick?”
Questo sembrò svegliarlo, almeno un po’. Sbatté le palpebre, si accorse che in effetti le lacrime avevano cominciato a scendere senza che lui se ne fosse accorto, e a sua volta sorrise.
“Sai, ho pensato molto a cosa avrei voluto dirti...”
Yoni lo ascoltava, avvicinandosi ancora.
“...Sei in ritardo, Nee-shit”
La situazione era talmente assurda che la ragazza scoppiò a ridere, e Yoichi si innamorò di lei di nuovo, se possibile ancora più perdutamente. In un movimento sincronizzato al suo la strinse a sé con forza, strinse quel miracolo che era venuto a bussargli alla porta.
“Mi dispiace Yoichi... Mi dispiace tanto...”
“Scema… Non serve scusarsi...”
Nessuno dei due riusciva a smettere di piangere e ridere contemporaneamente, ma era una sensazione tanto bella che non avevano poi così voglia di farla finire. Avevano scoperto che non era così male come se lo ricordavano, se c’era qualcuno ad abbracciarli e a continuare a farli sorridere come idioti tra le lacrime.

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Capitolo 16
*** I fixed myself for you ***


Più tardi, Yoni decise che aveva bisogno di un bagno, e mentre faceva scorrere l’acqua calda nella vasca  e versava il sapone, fece notare al fratello che nemmeno lui profumava di rose. Yoichi alzò le spalle, sogghignò e cominciò a spogliarsi senza dire nulla, finendo per infilarsi per primo tra la schiuma.
Presa positivamente alla sprovvista, anche Yoni lasciò cadere a terra la camicia da notte e, con attenzione, superò il bordo dell’ampia vasca e si sedette all’altro capo rispetto a Yoichi.
Era la prima volta che stavano uno di fronte all’altra completamente nudi, per quanto le bolle nascondessero parecchio. C’era un lieve imbarazzo, ma nulla che i fratelli simulatori non potessero nascondere con facilità. E quello era un momento troppo importante per rovinarlo con commentini o occhiate in stile Hiruma.
“Quindi... Si può sapere cos’è successo veramente?”
Yoni appoggiò la testa contro il bordo, guardandolo negli occhi.
“Tu fin dove sei arrivato?”
“A: cause accertate, arresto cardiaco. Ora del decesso: 17.31”
“Lei, vero?”
“Chi altro?”
La ragazza non poté trattenere una breve risata malvagia.
“Oh, come ci rimarrà male nel venire sputtanata pubblicamente...”
Poi tornò seria e cominciò a raccontare.
“Ammetto di non saperne molto. Quando ti ho lasciato il messaggio in segreteria, sapevo che stavo per avere un altro collasso, perché i sintomi erano gli stessi. Lei è arrivata in quel momento. Mi sono svegliata con un’équipe di medici che mi stava iniettando qualcosa, forse adrenalina visto che il mio cuore ha ripreso a battere e il mio cervello a funzionare. È stato quello il momento in cui ti ho chiamato”
Yoichi emise un leggero sospiro; quella chiamata era già annoverata tra i ricordi più dolorosi della sua vita.
“Poi sono morta, clinicamente parlando. Cioè, se dici che alle 17.31 mia madre ha firmato il certificato di morte, vuol dire che le mie funzioni vitali erano sospese. Eppure... “
“Eppure sei qui”
“Già. Mi sono svegliata sentendo una canzone. Era Try, credo sia l’ultima di quella sciroccata di Pink. Faceva un freddo terribile, ed ero appoggiata su un tavolo di metallo. Ho aperto gli occhi, e ho confermato l’ipotesi di essere nell’obitorio dell’ospedale; mi sono tirata su, non c’era nessuno in giro a urlare allo zombie. La radio era accesa e c’era un camice appeso all’attaccapanni, quindi probabilmente il medico legale era in pausa da qualche parte. Ho guardato l’orologio appeso alla parete, erano le 23.45, quindi l’ospedale per la maggior parte stava dormendo. Potevo scappare”
Infilò la testa sotto l’acqua e si strofinò i capelli, poi riemerse, si sciacquò dal sapone e proseguì con la seconda parte del racconto, strofinandosi lentamente il resto del corpo.
“Il problema principale erano le mie gambe di merda. Stavo in piedi ma camminavo lentamente, e cadevo di continuo. Mi sono fatta le scale trascinandomi sulle ginocchia, poi ho preso l’uscita di emergenza che sapevo condurre in una strada secondaria. Nessuno mi ha visto, ennesima riprova di quanto gli ospedali pubblici facciano pena in quanto a sicurezza”
“È sempre stata la tua fortuna, direi”
“Ho cominciato a camminare per arrivare qui, era troppo rischioso prendere un mezzo pubblico. Ovviamente ci ho messo una vita, perché dovevo sempre controllare che non ci fosse nessuno, e in più cadevo ogni dieci metri. Una fottutissima seccatura”
“Non potevi chiamarmi, genio?”
“Secondo te non l’ho fatto? Ma non rispondevi a nessun numero!”
Yoichi si zittì, sentendosi colpevole. Yoni scivolò nell’acqua fino al collo e riprese a parlare.
“Ad ogni modo, ad un certo punto ho sentito il rombo della moto dell’amico di Rui, quello pelato e tamarro. È inconfondibile, l’ha modificata personalmente facendo un pessimo lavoro, quindi o gliel’avevano rubata o c’erano gli Zokugaku vicini. Dovevo correre il rischio, e fortunatamente uno di loro mi ha riconosciuta... Anche se ci ho messo un po’ a fargli capire che non ero un fottutissimo fantasma!”
L’altro sogghignò, immaginandosi la scena.
“In effetti, lasciatelo dire, posso capirlo”
“Sì, ma quando una ti dice “Chiama Rui Habashira” e quello continua a ripetere “Sei una banshee? Vuoi ucciderlo?”, capisci che le palle possono crescerti, cominciare a girare e poi cadere in tempi assai rapidi. Finalmente si è deciso a fare come gli dicevo... E si è pure beccato una sfuriata dal suo capo per fare degli scherzi così cretini”
“Fidati, quando ho visto il camaleonte di merda alla porta con te in braccio, la sua vita è stata davvero in pericolo”
“Gli voglio bene anche per questo”
“Beh, e quindi è arrivato, ti ha caricato in sella e poi ti ha portato qui. Fine della storia?”
“Più o meno. Rimangono ancora i capitoli “Come fa Yoni ad essere viva? Occorrono indagini e analisi del sangue” e “Yuriko Iwasaki è una psicopatica assassina, questa è la volta buona che la faccio radiare dall’albo dei medici e sbattere in carcere”. Che ne dici?”
“Dico che preferirei inserirci un altro capitolo, prima di questi due”
La tensione tra i loro sguardi, creatasi grazie a questa semplice frase, rendeva inutile qualsiasi domanda. Era quello che volevano. Che entrambi finalmente volevano.
Volere. Volontà. Qualcosa di scientificamente inspiegabile, ma che dà vita ad eventi straordinari. I fratelli Hiruma erano esempi perfetti di come la propria volontà fosse in grado di compiere miracoli, che fossero il portare una squadra scalcagnata a livello mondiale in sei mesi, o quello di camminare per venti chilometri quando i medici ti hanno classificata paraplegica, anzi, deceduta.
Yoni si spostò in avanti, e Yoichi sistemò le gambe per farcela sedere sopra. Nessuno parlava, si limitavano a guardarsi, mentre le mani della ragazza andavano a spostare con delicatezza i capelli dal viso dell’altro, e questi le sfiorava la schiena. Le nuvole di vapore sollevate dall’acqua calda contribuivano a rendere quel momento una sorta di immagine mistica, e aiutavano a nascondere il fatto che erano tutti e due arrossiti.
Yoni aprì la bocca per parlare, ma l’altro le premette un dito sulle labbra anticipandola:
“Se mi dici che mi ami ti tiro una testata”
Alé, fine del momento mistico. Che sollievo. Yoni sogghignò.
“E se ti dico che ti voglio?”
“Allora potrei farti qualcos’altro...” fu il sogghigno di risposta.
 
Il primogenito Hiruma era veloce ad apprendere, fulmineo nel memorizzare le regole, e altrettanto rapido nel capire come volgerle a proprio vantaggio. La sorella minore preferiva imparare in maniera più lenta e approfondita, studiando i vari punti di vista e le prospettive dello stesso argomento, e poi selezionare fra il mare di conoscenze le informazioni più adatte alla situazione. Le volte in cui si erano trovati in difficoltà erano poche, e ne erano sempre usciti brillantemente. Si potevano, insomma, inserire nell’elenco dei giovani geni, delle persone capaci di anticipare ogni mossa e non trovarsi mai presi alla sprovvista.
Eppure, nessuno dei due immaginava che fare l’amore fosse così impegnativo.
Nonostante l’efficientissima sincronia che c’era tra di loro, fu dapprima difficile capire la sottile meccanica dell’essere un tutt’uno. Si trovarono spesso a ridere, a sentirsi impacciati, a nascondere l’imbarazzo dietro baci ardenti e ghigni sarcastici. Poi, lentamente, le maschere e le difese riuscirono a cadere del tutto, e i due ingranaggi trovarono finalmente il loro incasso. E girarono assieme, felicemente sorpresi di quanto in realtà fosse facile, di quanto sembrasse giusto, di quanto fosse perfetto.
Cercarono a lungo, distesi l’uno accanto all’altra, qualche parola che fosse adatta a concludere quel momento. Poi capirono entrambi che quel silenzio, quello stringersi nel buio della notte, quel condividere le stesse profondissime emozioni, era tutto quello di cui realmente avevano bisogno.

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Capitolo 17
*** Dead is the new alive ***


Alla sede dei Devil Bats l’umore era decisamente cupo. Si erano trovati per allenarsi, come tutti i giorni, ma nessuno aveva veramente voglia di cambiarsi e mettersi al lavoro. La maggior parte della gente fissava il tavolo o il proprio ombelico, Kurita passava il tempo ad asciugarsi gli occhi, Suzuna tormentava i pompon da cheerleader, e persino Taki non alzava la gamba roteando su sé stesso ogni cinque minuti.
Mamori, che si sentiva responsabile dell’andamento della squadra in quanto manager, cercò per parecchio tempo qualcosa da dire per risollevare gli animi, ma il silenzio era troppo pesante anche per le sue spalle. Così si mordeva le labbra, sperando che qualcuno dicesse qualcosa, qualsiasi cosa.
“Dovremmo...”
A parlare era stato Yukimitsu. Teneva gli occhi bassi, ma la sua voce era ferma.
“Dovremmo allenarci. Se Yoni-san fosse qui, ci direbbe che stiamo perdendo massa muscolare. E Hiruma-san comincerebbe a spararci”
Togano storse la bocca, rispondendo bruscamente:
“Grazie per averci specificato l’ovvio, Capitan Testa d’Uovo. Forse ti sfugge il particolare che Yoni non possa più essere qui, e che Hiruma per un bel pezzo non verrà”
Jumonji, appoggiato al muro con i pugni in tasca, aggiunse cupamente:
“Conoscendolo, è andato all’inferno a recuperarla”
“Lo so bene com’è perdere una persona cara!” esclamò Yukimitsu, alzando di scatto la testa “È terribile. Ti senti impotente, ti fa male e non puoi farci nulla!”
Tutti lo guardarono con attenzione, sorpresi; il ragazzo si fece forza, tremando un attimo e chinando la testa, poi decise di continuare a parlare.
“Io... Ho perso mio padre quando ero alle medie. Aveva un cancro, l’ho visto consumarsi in un letto d’ospedale per mesi, poi un giorno sono tornato dal doposcuola e ho scoperto che era morto, così, all’improvviso, e non ho nemmeno potuto salutarlo per l’ultima volta. Per questo motivo... Posso capire come si senta Hiruma-san”
Deglutì, stringendo i pugni e fissando tutti con determinazione.
“E, sempre per lo stesso motivo, so che restare tutti qui a piangerci addosso non servirà a niente. Quando Hiruma-san tornerà, gli farà bene vedere che non abbiamo perso la speranza, che siamo pronti ad andare avanti verso quello che è anche il suo sogno...”
“...Il Christmas Bowl!” completò Sena, ricaricato dal discorso del compagno più grande.
Anche il resto della squadra, uno alla volta, sentì nuova energia nascere nel cuore. Erano facili da suggestionare, in fondo.
“La partita con gli Hakushuu è fra tre giorni. Abbiamo ancora tempo per migliorare!” esclamò Monta, e Taki alzò il suo dannato piede in aria e fece una piroetta.
“Ah-haa, lasceremo tutti di stucco!”
Presi dalla situazione, nessuno sentì dei passi avvicinarsi, per cui a molti venne un mezzo coccolone quando si spalancò di scatto la porta della sede; cadde il silenzio all’improvviso, rotto poi dalla voce quasi commossa di Kurita.
“Hiruma!”
Tutti fissavano il proprio capitano con apprensione, cercando di leggere sul suo volto indecifrabile qualcosa, qualche segno, una qualsiasi traccia dell’energia che sempre lo pervadeva ma che da due giorni sembrava averlo abbandonato. Avevano troppo timore per chiedere “Come stai?”, tutti avevano sempre troppa paura per farlo.
Il quarterback li fissò in silenzio, il viso immutabile e gli occhi privi di espressione; poi, lentamente, un sogghigno a tutti familiare comparve sulle sue labbra, e questo bastò a far sorridere molti dei suoi compagni.
“Beh, cosa sono quelle espressioni di sollievo?”
Mamori, quasi con le lacrime agli occhi, con voce dolce rispose:
“Siamo contenti di rivederti, Hiruma-kun. Eravamo preoccupati per te”
Il ragazzo lasciò uscire un breve “Kekeke”, seguito poi da “Scusate l’assenza, ma ero andato a recuperare qualcuno”.
Jumonji spalancò gli occhi terrorizzato, subito imitato da Togano e Kuroki.
“Cosa sono quelle facce idiote, Fratelli Eh-eh?” sogghignò il demone biondo, mentre al resto della squadra veniva in mente la battuta di poco prima.
“Ecco... Emh... Tu...”
“N-no, nulla, è che...”
“Inso-insomma, noi...”
Hiruma rise, stavolta di gusto, piazzandosi davanti alla porta in modo che la luce lo illuminasse da dietro, conferendogli un’aria ancora più mistica. La teatralità era un’altra delle armi in cui era maestro.
“È stato un viaggio complesso, ve l’assicuro. In confronto la Marcia della Morte era una passeggiata domenicale. Ma ce l’ho fatta”
“Hiruma, vuoi spiegarti una volta per tutte?” sbottò seccato Musashi, che aveva annusato qualcosa di strano ma non voleva crederci davvero. Eppure, gli occhi del quarterback erano troppo allegri...
Il sogghigno si allargò a dismisura.
“Venite fuori e capirete tutto”
La squadra si affrettò ad infilare l’uscita, molti restando bloccati per la fretta di passare tutti assieme, e quando finalmente tutti furono fuori, da sopra il tetto della sede si accesero due enormi fari, che accecarono i presenti per diversi istanti. La voce di Hiruma, ovviamente scomparso, rimbombò dalle casse degli altoparlanti disposti sotto l’insegna al neon.
“Deimon Devil Bats! Noi non ci facciamo fermare da niente e da nessuno!”
Un sottile filo di fumo rosso fuoriuscì da sotto la porta, che era stata chiusa da non si sa bene chi. Gli occhi dei presenti si abituarono alla luce, e osservarono perplessi e un po’ inquietati la scena di fronte a loro.
“La morte...”
Musica incalzante, un pezzo metal suonato con un quartetto d’archi, e fumo in aumento.
“...Non è un’eccezione!”
Quando il pezzo raggiunse il culmine, la porta si spalancò di nuovo. Ci fu chi urlò, chi si commosse, chi fece entrambe le cose.
Yoni, in piedi di fronte a loro con le mani incrociate sul petto, i capelli elegantemente acconciati, vestita con un kimono completamente bianco come quelli che si mettono ai defunti prima di seppellirli; con studiata lentezza aprì gli occhi e abbassò le mani, poi fece qualche passo avanti, mentre la musica si abbassava e il fumo scompariva lentamente.
Ci furono lunghi attimi di silenzio, dove nessuno, giustamente, credeva ai propri occhi. Poi la ragazza mutò il ghigno in un sorriso, ridacchiò e disse:
“Affascinante, un caso di paralisi collettiva istantanea...”
“YONI-SAAAAAAAAAAAAAAAAN!!!!!”
Kurita si lanciò in avanti per stritolarla, ma fortunatamente Suzuna la investì coi pattini spostandola in tempo di qualche metro, abbracciandola e cominciando ad inzupparle il petto di lacrime. Subito venne imitata da Mamori, che aveva approfittato dell’indecisione di Yoni sul farsi toccare oppure no.
-Cazzo... Che faccio? Umh... Oh, al diavolo!-
Discretamente, anche le braccia di Yoni si alzarono, appoggiandosi piano sulle spalle delle altre due ragazze. Yoichi sogghignò, mentre Musashi gli si avvicinava.
“Forza, voglio sapere come hai fatto questa volta”
“Di che stai parlando, dannato vecchiaccio?”
“Non era uno scherzo. Ho chiesto in ospedale, era morta per davvero”
Ci fu un attimo di silenzio, poi il quarterback abbassò la voce, anche se gli altri erano troppo impegnati a far festa attorno a Yoni, che si era già pentita di quel gesto così poco nel suo stile.
“Non lo so. Si è semplicemente alzata da sola e ha camminato fino a casa. Escludendo l’ipotesi dell’invasione zombie, e considerando assai poco probabile un intervento divino, l’unica risposta è una diagnosi sbagliata”
Il kicker sorrise nel vedere gli occhi dell’amico, di nuovo sereni e pieni di vita.
“Assurdo che un miracolo sia capitato proprio a voi...”
“Kekeke! Vero? Ora vediamo di farli calmare, adesso è nella fase gentile ma dubito durerà a lungo” rise, vedendo come Kurita non accennasse a mollare la presa su sua sorella, continuando a piangere come una fontana.
-Miracoli ad un demone... L’inferno dev’essere davvero pieno- pensò Musashi, grattandosi un orecchio mentre il quarterback sparava in aria diverse raffiche per richiamare l’attenzione.
“Signorine! La ricreazione è finita, ora sotto ad allenarvi. Prossimo obiettivo: annientare gli Hakushuu!”

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Capitolo 18
*** Preistoric crash ***


Si sapeva che la partita sarebbe stata difficile e pericolosa. Avevano visto come i Dinosaurs avevano letteralmente calpestato le squadre precedenti, anche colossi non da poco come i Tayo e i Seibu. Nessun match era terminato con tutti i giocatori sani, e la colpa era sempre, inesorabilmente, di Gao Rikiya.
Avevano guardato ogni video disponibile, analizzato ogni informazione, spiato lo spiabile. Quel ragazzo -per quanto sembrasse strano classificarlo così, era uno studente del liceo- costituiva una minaccia seria, era una macchina da guerra che si apriva la strada spianando il terreno e chiunque ci fosse sopra.
Ne avevano parlato a lungo, e alla fine erano arrivati alla conclusione che le probabilità che Hiruma terminasse la partita con tutte le ossa sane erano rasenti lo zero.
“Non c’è un’alternativa, vero?” disse Yoni da sopra un libro di ortopedia, mordicchiando una matita e fissando il fratello mentre questi sistemava l’attrezzatura per il giorno dopo.
“Sì, dare forfeit e rinunciare al Christmas Bowl”
“Ti ho chiesto un’alternativa realistica, Nii-dick”
“C’è sempre la possibilità che il ciccione faccia il suo lavoro fin da subito e metta a frutto gli allenamenti con il super-pelato”
“Ok, zero chances insomma”
Yoichi sospirò e chiuse la sacca da allenamento.
“Dobbiamo vincere. Non importa a che prezzo. E devono imparare a muoversi anche senza di me”
Lo capiva, ma non poteva essere contenta della prospettiva. E se Gao non si fosse limitato al solo braccio, come aveva fatto con Kid? Se fosse arrivato a compromettere anche le costole, o peggio, la schiena? E se quel dannato casco si slacciava (si slacciava SEMPRE, era inconcepibile) e Yoichi ci rimetteva il collo?
“Piantala di preoccuparti inutilmente, sorella di merda” la sgridò lui, dandole una schicchera sul naso che la prese alla sprovvista “Vinceremo. Tu porta dei fazzoletti di riserva per la manager, e, per favore, non lasciarci soli quando sarò in infermeria. Si è fatta fin troppo stucchevole ultimamente, vorrei evitare una dichiarazione d’amore improvvisa o scene di pianto isteriche”
Irritata, Yoni gli tirò la matita in testa, mancandolo per un soffio e scatenando nel fratello un accesso di ilarità.
“Kekekekeke, sai che sei uno spasso quando fai la gelosa?”
“Sai allora che domani gli antidolorifici te li puoi scordare?”
Come spesso avviene in questi casi, la discussione venne risolta con un bacio... Ma solo dopo la conclusione di una battaglia con i cuscini, che vide il primogenito come vincitore. Comodo, avere le braccia da quarterback.
 
“You-nee” fece Suzuna, che aveva ovviamente coniato un soprannome anche per lei e adesso aveva trovato il coraggio di usarlo “Ma è realistico che Kisaragi-kun abbia le braccia così snodabili?”
Yoni, seduta sulla panchina tra Doburoku e la manager, osservava in silenzio il campo dove gli Hakushuu si stavano predisponendo per un attacco.
“Sì, sono magre e lunghe, e deve aver seguito un allenamento volto a elasticizzare le fibre. Probabilmente ha fatto molto stretching” semplificò, notando l’espressione ovina negli occhi della piccola capo-cheerleader.
“Ok, ho capito! Ma... Tutto bene? Ti vedo seria...”
-Ummmmh, da quando siamo diventate così intime? Che stress...-
“È una partita pericolosa, Suzuna, quindi voglio tenermi pronta in caso quel cavernicolo faccia del male a qualcuno. Se i ragazzi si spaventassero troppo, potrebbero perdere la concentrazione e rischiare grosso...”
Effetto riuscito: la ragazzina si zittì e andò di corsa dalle altre cheerleader per un balletto di incoraggiamento alla squadra. Yoni si concentrò di nuovo sui movimenti dei giocatori, percependo istintivamente che qualcosa di brutto stava per accadere.
 
Ovviamente, dopo circa metà del primo tempo, Marco organizzò l’esecuzione del quarterback avversario. Fu un’azione elaborata, che sacrificò il delicato Kisaragi e permise alla bestia feroce di agire. Il quarterback dei Deimon venne schiantato a terra, e lì rimase, anche quando l’avversario si fu rimesso in piedi.
Yoni trattenne il fiato, sforzandosi di restare impassibile, ma era dannatamente agitata. Si alzò per guardare meglio, e vide suo fratello con le braccia distese, la testa fuori dal maledettissimo casco (possibile che quelle cinghie non reggessero mai?), immobile.
Contò i secondi, col cuore in gola, mentre veniva urlata l’interruzione di gioco. Si avvicinò a Yoichi alla massima velocità concessa dalle sue gambe.
Uno... Due... Tre... Quattro...
-Cazzo, alzati. Alzati, dai. Alzati-
Cinque... Sei… Sette…
Era arrivata; le fecero tutti spazio, essendo la cosa più vicina ad un medico presente in quel momento, e si chinò al suo fianco. Suo fratello sogghignava, mentre sudore freddo gli imperlava la fronte.
Otto... Nove…
Lo guardò negli occhi; lo vide perdere i sensi prima del ghigno.
“BARELLA!”
 
Dieci minuti dopo Yoichi si svegliava, trovando al suo capezzale una sorella irritata e una manager sconvolta.
“Keh! Come vanno le cose là fuori?”
Fu Mamori a rispondere, mentre Yoni si avvicinava per esaminargli il braccio; l’aveva fatto anche mentre lui era svenuto, e voleva controllare le differenze durante i vari livelli di coscienza. Di sicuro c’era solo il fatto che l’omero era rotto in due punti, una frattura fortunatamente composta, ma deleteria per il risultato della partita. E, naturalmente, parecchio dolorosa.
“Non gli ho detto niente... Come mi avevi ordinato...”
C’erano lacrime nei suoi occhi; c’erano SEMPRE lacrime nei suoi occhi. Yoni si chiese seriamente se Mamori non avesse un problema di iperumidificazione della cornea.
“Ma Sena ha preso il tuo posto... E stanno continuando, motivati a vincere... Anche per te...”
Yoichi sogghignò, congelandosi poi in una smorfia di dolore provocata dall’esame della sorella.
“Almeno non hai perso sensibilità. Quanto ti fa male, da uno a dieci?”
“Che domanda idiota, Nee-shit”
“Mamori, servono anche le bende di riserva. Puoi andarle a prendere?”
“Su-subito!”
Quando la manager fu uscita, Yoni sospirò e aiutò il fratello a mettersi dritto, togliendogli poi con attenzione la maglia e l’armatura, e tamponandogli il sudore in modo che i muscoli non si raffreddassero troppo bruscamente. Ci mancava solo un crampo improvviso, per completare il disastro.
“Sempre deciso a lanciare?”
“Solo se non si berranno il gargoyle”
“Non se lo berranno, Marco è troppo furbo, lo sai bene. Mi chiedo se sia diventato così per corrispondere allo stereotipo dell’italiano criminale…”
Il fratello alzò un sopracciglio.
“Sì, ok, lascio perdere le ipotesi sociopsicologiche. Adesso vedo di sistemarti il braccio per non fartelo cadere quando lanci, ok?”
“Fallo, ti ho assunta per questo”
Esaminò i muscoli ancora un volta, per essere sicura di colpire bene, poi stordì i recettori del dolore con parecchi colpi secchi degli indici. Yoichi dovette sforzarsi seriamente per non urlare, soffiando imprecazioni tra i denti, ma alla fine del trattamento sentiva molto meno dolore al braccio. La ragazza gli prese la mano destra e gli chiese di provare a stringerla, lentamente.
“Come va?”
“Formicola, ma la presa è abbastanza salda”
“Bene, almeno non ti sfuggirà la palla di mano. Questo stato permane se non imponi al braccio movimenti improvvisi. Ovviamente un lancio lungo è un movimento improvviso”
“Lo so bene Nee-shit, non preoccuparti”
Non era preoccupata nel senso tradizionale del termine; sapeva cosa sarebbe successo, e sapeva anche che Yoichi avrebbe sofferto come un cane. Era infastidita, più che preoccupata, ma c’erano poche alternative quindi doveva accettare la situazione.
Mamori arrivò di corsa con le bende, riportando le ultime notizie dal campo; Kurita sembrava aver preso forza, e la squadra stava resistendo egregiamente.
“Poteva svegliarsi prima, quel ciccione di merda... Ok, sotto coi bendaggi”
“Hiruma-kun...”
“Che c’è, dannata manager?”
Mamori chinò gli occhi, poi fissò Yoichi, poi la sorella, poi le bende che teneva in mano. Yoni percepì chiaramente che l’altra ragazza la voleva fuori da quella stanza, e proprio per questo non ci pensò minimamente a spostarsi. Col senno di poi, forse la manager l’avrebbe pure ringraziata; intanto si faceva fregare da uno dei soliti giochetti di Nii-dick, e di nuovo arrivava all’orlo delle lacrime. Che ripetizione.
“Forza, prepariamo il mio ritorno sul palco!” ghignò il quarterback, quando le due ragazze ebbero finito di fasciarlo come una mummia “Nee-shit, hai tutto l’occorrente?”
Mamori fissò perplessa la scena in cui Yoni tirava fuori una bottiglia di ketchup e la spalmava abbondantemente sulla testa del fratello maggiore, creando un effetto dannatamente macabro.
Inutile, quei due avevano un gusto per il teatrale che raggiungeva limiti assurdi… E lei era sempre una spettatrice, o al limite una comparsa. Invidiava la loro sincronia, la coordinazione che avevano, l’intesa reciproca... E sperava, anche lei, di potere un giorno almeno avvicinarvisi. Amava quel demone coperto di ketchup, era disposta a fare di tutto per lui... Ma adesso doveva farsi da parte, lasciare che sua sorella gli stringesse un’ultima volta le bende che lei aveva aiutato a sistemare, e fargli spazio per il suo ritorno sul campo.

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Capitolo 19
*** Gargoyle's roar ***


“Ok. Andato”
Finalmente poteva riprendere a respirare, il passaggio col braccio rotto era stato completato; poteva solo immaginare quanto dolore provasse suo fratello in quel momento, ma come al solito il ragazzo manteneva una facciata di imperturbabile malignità.
-Come diavolo fanno a non capire che sta patendo le pene dell’inferno? Diamine, è evidente! Bah...-
Tesa e silenziosa, Yoni osservò i Deimon pareggiare con gli spaventosi Hakushuu. Le scappò una risatina quando Hiruma andò ad aiutare il quarterback avversario che aveva appena subito un placcaggio piuttosto pesante, ma negli ultimi cinque minuti c’era poco di cui ridere.
La linea era diventata la terra di nessuno della Prima Guerra Mondiale. Attacco, difesa, lineman di punta che blocca, lineman di punta che sfonda. Avanzare ancora, verso la meta, da Nord a Sud, mentre il tempo scorreva inesorabile massacrando i poveri nervi di chi poteva solo assistere a quel match terrificante.
“Cazzo!”
Un touchdown dei Dinosaurs, grazie a Gao -ovviamente- che era riuscito a sfondare Kurita. Quel cavernicolo sembrava più motivato, doveva essersi svegliato in lui qualcosa in più del semplice istinto omicida. Notizia meravigliosa per i poveri Deimon sfiancati, e per il loro capitano che a malapena si reggeva sulle gambe… Ma che aveva ancora abbastanza energia da tentare un’ultima manovra.
-Pagherei per vedere la faccia di Agon in questo momento, quando gli stanno copiando il Dragonfly...- pensò divertita Yoni, mentre il fratello stringeva i denti e correva assieme a Sena per tentare un’altra azione imprevedibile.
Mamori urlò quando Gao spazzò via Sena, ma per fortuna il piccoletto stava bene; mancava solo quello, che si rompesse anche il running back! Allora sì che il sogno del Christmas Bowl poteva andare a brave donne di facili costumi!
Ma non era questo il caso, non ancora.
Touchdown. E meno di un minuto dopo, Kurita che mandava a gambe all’aria Gao, e Hiruma che segnava la trasformazione da due punti della vittoria.
Vittoria.
Vittoria.
Christmas Bowl.
“YA-HAAAAAA!!!!!!!”
 
Yoichi collassò sul sedile del taxi che avevano chiamato dopo la cerimonia di premiazione. Yoni non indagò su come fosse riuscito a farsi la doccia con un braccio rotto, ma sapeva che dovevano fare qualcosa per ingessarlo prima che l’osso cominciasse a saldarsi in modo sbagliato.
“Ci porti all’ospedale” fece la ragazza rivolta all’autista, ma di fianco a lei ci fu un secco e stanco “No”.
Sospirò.
“Nii-dick, bisogna sistemarti quel braccio. Vuoi compromettere la tua carriera da quarterback?”
“Non dire stronzate. Puoi farlo tu”
“Mi servirebbe una radiografia della frattura, e del gesso che a casa non abbiamo”
Un attimo di silenzio.
“D’accordo, allora ci porti allo Shiminbyouin”
Era l’ospedale dall’altra parte della città, ma le probabilità di incontrare la loro genitrice erano minori. O almeno così speravano. Yoni rimase di fianco al fratello mentre lo visitavano e gli steccavano il braccio -l’agendina nera era riuscita a far saltare loro la fila- guardandosi spesso intorno per timore di veder comparire la testa bionda che tanto odiava.
“Ok, aspettate qua per una quarantina di minuti che il gesso si solidifichi, poi firmate all’accettazione e potete andare a casa”
“Dottore, mi dica... In quanto tempo potrebbe guarire, il braccio?”
La risposta la sapeva già, ma voleva testare le capacità del medico.
“Beh... Se tutto va bene in un mese circa... Poi...”
“Sì, certo, la riabilitazione. Ma... Che mi dice dell’eparina e delle capsule a ossigeno?”
Il dottore spalancò gli occhi per un attimo, cercando poi di dissimulare il gesto sistemandosi gli occhiali.
“Dico che sono metodi validi, ma esagerati per una frattura di questo genere. Il ragazzo è giovane, guarirà in fretta e il rischio di complicazioni è molto basso...”
La ragazza bionda di fronte a lui aveva mantenuto un’aria tranquilla e docile per tutto il tempo, per questo gli fecero ancora più paura quegli occhi ardenti e quel tono che non ammetteva repliche.
“Vediamo di ridurre del tutto i rischi e accelerare il più possibile la guarigione, mh? Voglio che prescriva un’iniezione di eparina intramuscolare quotidiana, e un trattamento in capsula ogni due giorni”
“Ma... Veramente...”
“Nii-dick, l’agenda”
“Ok, ok, avete vinto! Va bene! Farò in modo che Hiruma-san abbia tutti i trattamenti richiesti!”
Yoni sorrise angelica; lungo la schiena del povero medico scorse un brivido.
“Lei è davvero gentile! Grazie per prendersi cura di mio fratello!”
 
“Cosa diavolo sarebbe quella roba che hai chiesto?” bofonchiò uno Yoichi mezzo addormentato.
“L’eparina è una sostanza che aiuta il muscolo a non atrofizzarsi nei lunghi periodi in cui non viene usato. La capsula ad ossigeno è una specie di camera iperbarica che accelera la rigenerazione di cellule e tessuti. Un po’ come quelle di Dragonball ma meno fantascientifiche e più asciutte”
“Uh, suona figo”
“Spero serva. Abbiamo solo tre settimane per far tornare intero il tuo braccio”
“Sei carina... Yaaawn, a preoccuparti per me”
Yoni fissò il fratello esibendo un’espressione di sarcastica perplessità, che si ammorbidì nel vedere quel viso esausto ma felice. Sospirò e gli accarezzò una guancia.
“Scemo… Hai rischiato grosso, oggi. Ma siete stati fantastici”
Con gli occhi chiusi e la voce impastata dal sonno, Yoichi arrabattò una risposta.
“Lo siamo sempre, ci sono io”
“Tsk, che modesto Nii-dick...”
“Preferisco... Il termine... Realista”
Sbadigliò ancora, facendo sorridere la sorella.
“Dormi, realista. Ti sveglio quando siamo a casa”

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Capitolo 20
*** Getting ready ***


“Gira”
Yoni mise da parte il pc, si sporse verso la capsula, e girò la pagina della rivista di Football che Yoichi, sottovetro, stava leggendo. Fortunatamente era un numero con un sacco di articoli e un po’ meno foto, quindi aveva il tempo di fare altro nel periodo che serviva a suo fratello per leggere le due facciate.
“Un altro articolo su Honjou Taka... Ricordati di tagliarlo, pagina 14”
“Guarda che non credo serva più...”
“Ah no? La scimmia di merda ha finalmente tolto il pannolone?”
“Quello non so dirtelo, ma lui, Sena e Suzuna sono andati a spiare i Teikoku ieri. Quindi Monta ha già scoperto che dovrà affrontare il figlio imbattibile del suo idolo”
“Oh, bene, un problema in meno. Gira”
Finita la rivista, mancava ancora mezz’ora al termine della sessione di terapia. Lasciò passare qualche minuto, poi cominciò ad annoiarsi e decise di molestare la sorella.
“Che stai facendo, Nee-shit?”
“Sto scaricando un po’ di musica. A proposito, hai un mp3 che ti avanza?”
“Sì, ma... Musica? Da quando ti interessa?”
Yoni mise di lato il portatile -aveva capito che Nii-dick aveva voglia di chiacchierare- e gli raccontò la scena vissuta poco prima.
“Ero seduta in autobus, e di fianco a me c’era questa tipa straniera con dei rasta rossi tipo Agon, e delle cuffie enormi verde flash che sparavano musica a volume altissimo. Non oso immaginare lo stato dei suoi timpani”
“Non colgo il nesso tra una gaijin molesta e te che mi chiedi un lettore mp3”
“Perché non mi fai finire! All’inizio ascoltava qualcosa di lagnoso in una lingua che credo fosse italiano, poi finalmente ho cominciato a sentire una canzone decente. Era qualcosa di ritmato, di americano... Vabbè, comunque, il fatto che mi ha colpito è che mi sono trovata a battere il piede a tempo. Capisci?”
Si sporse per guardare l’espressione del fratello, e vi trovò due occhi impassibili e un sopracciglio alzato. Sbuffò.
“Dai, Nii-dick, troppo ossigeno ti fa male. Resta connesso: io faccio ancora fatica a muovermi, per questo cerco di evitare ogni movimento inutile. Però la musica mi aiuta. Se mi concentro sull’andare a tempo, mi muovo meglio!”
Anche l’altro cominciava a capire, parzialmente.
“Hai quindi trovato un modo per aiutare la tua riabilitazione?”
“Esatto!”
“E cosa vuoi fare, tenerti sempre gli auricolari nelle orecchie e cambiare track ad ogni scena come in una fottuta colonna sonora?”
“Sarebbe figo ma no, pensavo a qualcosa di molto più semplice”
“Ovvero?”
Sulle labbra di Yoni spuntò un sorriso che poteva essere un sogghigno travestito.
“La danza”
Anche il quarterback sorrise o forse sogghignò.
“Tu sai ballare?”
“Quando ero alle elementari facevo danza moderna. Seguo bene il ritmo e il mio corpo è adatto, devo semplicemente allenarmi”
“Oh, per me va benissimo. Anzi, sarà divertente. Pensi di iscriverti a qualche corso?”
“Mh, a dire il vero no. Preferirei fare le cose per i fatti miei”
“D’accordo, allora domani ci trasferiamo. Avrai bisogno di una stanza adatta, ed è già troppo tempo che siamo fermi”
Stavolta Yoni sorrise per davvero. Aveva voglia di abbracciarlo, ma c’era una lastra a separarli.
“Bene, io ti supporto in questo progetto che ti porterà ad essere impegnata e non più disponibile come prima, e tu in cambio mi aiuti con il piano che ho in mente”
“E sarebbe?”
Con la mano sana picchiettò contro il vetro che lo teneva chiuso.
“Questo affare. Voglio farlo muovere. È possibile?”
“Fammi dare un’occhiata...”
Yoni esaminò la capsula ad ossigeno, verificò che poteva essere alimentata da batterie trasportabili, e che la posizione orizzontale non era strettamente necessaria.
“E se sto qui dentro tutto il giorno è un problema? Per il mio braccio, intendo”
“Sei disposto a farti trattare ogni sera per evitare la formazione di emboli?”
“Ovviamente”
“Non sarà piacevole”
“Fottesega, devo cominciare gli allenamenti con gli sfigati delle altre squadre che hanno firmato il contratto, perdo troppo tempo a stare qui dentro”
“Mi pare giusto. Allora ok, vado a chiamare il dottore, tu pensa a come procurarti un carretto a motore o qualsiasi altra cosa che possa trasportarti in giro... Credo che l’agendina ci sarà molto utile anche stavolta”
 
Mancavano cinque giorni alla partita. La temperatura si era ulteriormente abbassata, ma ovviamente questo non aveva fermato i Deimon e i loro allenatori speciali. Tutti i giorni ciascuno dei ragazzi veniva seguito dal miglior mentore disponibile. L’unico abbinamento che lasciava perplessi era Akaba con Taki, ma i risultati sembravano esserci, quindi nessuno si lamentava.
Cercava di non lamentarsi nemmeno Hiruma, quando la sera la sorella lo frollava come una bistecca, ma quando veniva il turno del braccio faceva davvero fatica a non urlare dal dolore. Per orgoglio, ovviamente, non si sarebbe mai messo a strillare come un maiale scannato, ma non rifiutò il paradenti che Yoni gli aveva procurato dopo aver visto in che stato era la sua bocca, a furia di digrignare e stringere i denti per non gridare.
Ne usciva sempre devastato, coperto di sudore e col fiato corto; sapeva che era necessario o rischiava di lasciarci la pelle, ma quel dannato braccio continuava a fare malissimo.
“Almeno sta guarendo in fretta. L’osso si è già saldato, dobbiamo solo dargli il tempo di ricostruire tutto”
“Perché cazzo fa così male, allora?”
“Nii-dick, ti avevo avvisato. Devo praticamente pestarti ogni cellula, perché se le lascio ferme l’aria che hai accumulato stando ore nella capsula ad ossigeno forma degli emboli, e ti blocca le vene”
“Fuck... Lo so, lo so...”
“Manca poco”
“Sicura?”
“Se continui così, sì”
“Mh. Allora ok”
Si sdraiò con la testa sulle gambe incrociate di Yoni, riprendendo fiato e rilassandosi un po’. La giornata era stata produttiva, e con l’aiuto di Kid aveva elaborato un’altra serie di strategie da usare contro gli Alexanders. Non appena il braccio avesse smesso di pulsare, gli sarebbe tornato il buonumore.
“I tuoi allenamenti come vanno?”
“Le braccia le muovo bene, le gambe mi ci vorrà ancora un po’, ma era previsto. E ho notato che Enya è perfetta per il riscaldamento e il defaticamento, mentre per la danza vera e propria mi sto muovendo prevalentemente sul pop... Ma conto di passare presto al rock”
“Chissà perché, immaginavo non fossi una da musica classica...”
“Ehi, cosa vorresti dire? Ti ricordo che allo Zokugaku mi chiamano Principessa!”
“Sì, Demoniaca. Dai, fammi ‘sta dannata iniezione di eparina, che voglio farmi una doccia”
“Chiedimelo gentilmente, fratello del cazzo”
Yoichi si alzò facendo leva sul braccio sinistro e immobilizzò Yoni con un bacio, sogghignando quando sentì che l’altra gli stava mordendo il labbro inferiore con quella dolcezza calda che aveva imparato a riconoscere come un segnale abbastanza inequivocabile.
“Ok, prendi la siringa”
“Umh, sono convinta che tu non abbia così fretta...” rispose lei, prima di spingere il quarterback sulla schiena e bloccarlo per le spalle.
“Ehi, ti approfitti di un invalido?”
“In amore e in guerra tutto è lecito, dice il proverbio”
“E da quando ti affidi alla saggezza popolare?” ribatté, ma la bocca di Yoni sul suo collo lo convinse presto a lasciar perdere la discussione.
 
“Perché ridi, Nee-shit?”
“Guarda la foto che mi ha mandato Rui”
Era la sera prima del match decisivo. Il braccio era guarito -Yoichi ci aveva fatto sopra flessioni e piegamenti- ma ovviamente ciò era ancora un segreto. La squadra era pronta e carica, ognuno a casa sua a prepararsi mentalmente alla partita.
I fratelli Hiruma stavano giocando a Munchkin, un gioco americano che avevano trovato su internet, stranamente con la minore in vantaggio.
“Kekeke, che scemo...”
“Dai, è un gesto carino!”
Yoichi guardò di nuovo lo schermo del cellulare, dove campeggiava la statua in neve della mascotte dei Devil Bats, alta almeno tre metri, eretta fieramente di fronte a quella degli Alexanders.
“Ma sì, dai, sono stati bravi, glielo concedo”
“Alleluia. Ah, ti lancio la maledizione del Pollo sulla Testa”
“Ne dubito fortemente: Anello del Desiderio!”
“Uff... Ok, svuoto la stanza. Tocca a te”
“Mostro errante... Ah, a proposito di mostri...”
Alzò gli occhi dalle carte che teneva in mano, giocherellando col bordo del suo Raptor Destriero.
“Vuoi chiedermi di lei, vero?”
“Yep”
Yoni abbassò gli occhi, fissando ostinatamente il Drago di Plutonio che aveva intenzione di giocare.
“Ho ricevuto le analisi del sangue che avevo quando mi sono svegliata. È poco, troppo poco per costituire una prova schiacciante”
“Per cosa? Ti aveva avvelenata?”
“Più o meno... I farmaci che mi davano erano sperimentali, e l’ultimo, quello che mi ha “uccisa”, per così dire, aveva un dosaggio troppo forte”
“Non ti chiedo di cosa, sarebbe un nome impronunciabile”
“Bravo. Comunque è una sostanza che rallenta gli impulsi elettrici. Non viene normalmente usata in medicina, è qualcosa che ha più a che fare con la meccanica...”
Si equipaggiò l’Elmo Manuto e con tono piatto proseguì, dato che lo sguardo di Yoichi la incoraggiava ad andare avanti.
“Però non posso denunciarla per questo. La mia malattia è unica, a conti fatti. Si sono registrati pochissimi casi, e nessuno con un decorso come il mio. Quindi i medici non sapevano che pesci pigliare, e a quel punto tocca sperimentare... Nessuna corte può condannarti per questo”
Yoichi appoggiò le carte, e allungò una mano per spingere il mento della sorella in su, costringendola a guardarlo. La vide sconfortata.
“Speravo di poterla incastrare, questa volta. Lo so che è colpa sua, lo sento! Secondo i suoi piani, sarei dovuta morire! Ma non posso dimostrarlo!”
“Ehi, ehi... Ti stai agitando”
Yoni sospirò profondamente, chiudendo gli occhi e calmandosi. Quanto invidiava la capacità che aveva suo fratello di mantenere il controllo in ogni situazione... Era una cosa che cercava di imitare da quando l’aveva conosciuto, ma ancora con scarso successo.
“Va meglio?”
“Sì. Scusa.”
“Non scusarti, scema. Piuttosto, cosa pensi di fare?”
Yoni si strinse nelle spalle.
“Starle lontano il più a lungo possibile, e mandarla a fanculo se la incontrerò di nuovo. Cosa che temo succederà, non è tipo da mollare la presa... E dobbiamo ricordarci che il mio certificato di morte l’ha redatto lei. Sarebbe capace di uccidermi, tenere nascosto il mio cadavere e farlo rispuntare in un fiume quando ormai è impossibile stabilire la discrepanza tra le date”
“Non la starai mettendo giù un po’ troppo tragica?”
“Forse. Ma meglio essere pronti al peggio, non trovi?”
Yoichi ridacchiò, e le accarezzò il viso con le dita.
“Non ti succederà nulla. Non di nuovo. Te lo prometto”
Lo guardò negli occhi; era serio quando prometteva, sapeva che avrebbe venduto l’anima pur di mantenere la parola.
Sorrise, stringendogli la mano.
“Tocca a te pescare”
“Equipaggio la Calzamaglia della Forza dei Giganti e apro la stanza”

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Capitolo 21
*** Mint Flavour ***


“Cazzo, di già?”
Un touchdown di ritorno a trenta secondi dal fischio d’inizio. L’esclamazione esasperata proveniva da una Yoni avvolta in strati e strati di lana, che osservava ad occhi spalancati la potenza e l’insuperabile grazia dei Teikoku Alexanders. Quel Taka, quel dannato piccione, riusciva a fare salti assurdi facendoli passare per cosette da nulla. Con quei capelli biondi al vento che avrebbero fatto invidia ad un Cavaliere dello Zodiaco. E quella faccia da pseudointellettuale annoiato dalla vita. Bah.
Insopportabile.
Per non parlare di Yamato. Era dannatamente... Perfetto. Correva, spingeva, scattava, placcava, tutto al massimo. I Deimon erano in braghe di tela, nemmeno contro gli Shinryuuji si era avvertito così tanto il divario tra le squadre.
-Dannazione- pensò frustrata Yoni, strofinandosi le mani per scaldarle mentre affondava il naso nella sciarpa. L’intera rosa del Teikoku era formata da assi, non come le scuole normali che potevano averne al massimo due o tre. Erano quasi irritanti, tanto erano sfacciatamente forti.
Touchdown. Touchdown. Touchdown. Tentativo di passaggio miracoloso terminato in una vittoria per il piccione biondo. Touchdown.
-Merda, 35 a 0 non va bene, non va bene per niente!-
Almeno il morale continuava ad essere alto, ma era una consolazione piuttosto magra quando c’era un divario così grande a così poco dalla fine.
Il primo fallimento dei Teikoku fu grazie a Komusubi, che era riuscito a spingere fuori dal campo quell’essere pansessuale con gli occhiali che correva lungo i lati... Anche se i Fratelli Eh-eh rischiarono di farsi espellere per averlo fatto notare con la loro solita grazia.
La panchina del Deimon tirò un sospiro di sollievo, piccolo ma meritato. 35 a 0 faceva sempre schifo, ma era meglio di 42 a 0. Yoni ricordava quel 99-0 contro gli Ojo, era stata un’umiliazione bruciante anche per lei che non aveva giocato.
Mancavano dieci minuti; era stato deciso che non si sarebbero più fatti huddle, e che avrebbero comunicato grazie al codice che Mamori aveva inventato basandosi sulle carte e le partite precedentemente giocate. Era abbastanza semplice come ragionamento, il difficile era ricordarsi in poco tempo tutti i dati necessari a risolvere il rebus... Yoni dubitava soprattutto di gente come Taki, ma per fortuna la strategia anti-piccione andò a buon fine, anche se tenne tutti col fiato sospeso fino all’ultimo.
“Yaa-haaa!!! Beccati questo, te e le tue previsioni!” urlò riferita a Yamato, che continuava a sorridere, forse favorevolmente impressionato.
Era impossibile non notare la differenza nel volto di Taka, adesso. Yoni immaginò che gente come lui e Yamato, geni insuperabili privi di avversari degni, si annoiassero fino alla morte per la maggior parte del tempo; i Deimon, quei novellini partiti come ultima categoria, stavano finalmente offrendo loro una sfida degna del loro talento.
“Li stiamo facendo divertire, sembra...” rifletté, ad alta voce, e vide Mamori sorridere ed annuire.
“Già. E mi sento molto orgogliosa per i nostri ragazzi. Non lo sei anche tu, Yoni-san?”
La bionda ci pensò un attimo, poi sorrise anche lei.
“Già. La vittoria se la meriterebbero proprio”
 
Stavano andando alla grande, recuperando poco a poco lo svantaggio, quando Yamato riuscì a segnare un altro touchdown, abbattendo pure Kurita. Yoni aveva voglia di prenderlo a schiaffi, era dannatamente TROPPO perfetto. Non sembrava nemmeno reale! Eppure era lì, a spingere il loro sogno sempre un po’ più lontano.
Cinque minuti, e venticinque punti di svantaggio, ma il morale ancora altissimo. L’entusiasmo dei ragazzi in campo era contagioso, sembravano emanare energia positiva. Yoni vedeva suo fratello divertirsi come mai prima, affidarsi per la prima volta a qualcuno che non fosse lei o i numeri, e non poteva fare a meno di sentirsi felice. Congelata, ma felice.
E la sua felicità aumentò quando Sena riuscì finalmente a passare il dannato predicatore, inserendo un dettaglio microscopico come un passo all’indietro al momento giusto, e creando così la tecnica che la telecronista battezzò “Devil Four Dimensions”. Ovviamente Yamato imparò in fretta a contrastarla, ma intanto la partita andava avanti e la fede di Hiruma nei suoi compagni veniva ampiamente ripagata. Yukimitsu era lì per il passaggio lanciato durante un blitz, Kurita era al suo posto a fermare la run avversaria.
Ma il tempo era tiranno più delle Caesar’s Charges di Yamato.
Dieci secondi, e dieci punti di differenza.
Nell’orecchio mentale di Yoni, chissà perché, risuonava il ritornello di “Every rose has its thorn” dei Poison. Buffo, non l’aveva nemmeno ascoltata troppo di recente, ma la melodia era perfetta per quel momento, quando tutto sembrava perduto...
E invece, proprio sul finale, un touchdown di Sena dopo una miracolosa schivata! Yoni quasi non sentiva più il freddo, in quegli ultimissimi tre secondi di gioco.
Kick di Musashi, presa di Monta.
Un secondo. Due punti.
 
-Uh? Perché diavolo stanno piangendo quelle due?-
L’orologio era fermo mentre le squadre si mettevano in posizione, ma sia Mamori che Suzuna avevano le lacrime agli occhi. Le osservò incuriosita, chiedendosi quali diavolo di ormoni fossero in grado di generare quelle due, se veniva loro da piangere in un simile momento, e perché lei non sentisse nulla. Era semplicemente nervosa, restava immobile a fissare il campo e quasi si dimenticava di respirare. E invece quelle due piangevano.
-Che sia perché non ho più un utero? Boh... Oh, ricominciano!-
 
Kick di Musashi, qualcosa di mai visto che doveva coprire 60 yards. Il dannato predicatore cercò di deviare la palla, ma venne tirato giù dalla squadra al completo. Il risultato della partita decisiva era affidato alla gamba destra del kicker dei Devil Bats, e alla speranza che la forza impiegata fosse sufficiente a far coprire alla palla quegli ultimi, preziosissimi centimetri.
Sembrava quasi di vederli al rallentatore, millimetro dopo millimetro. Il pallone toccò l’asta, e infine passò attraverso i pali.
Attimo di silenzio, cuore in gola, poi…
“Fiiiiiii! Partita finita. I vincitori sono i  Deimon Devil Bats!”
 
Ci fu un’immediata invasione di campo; tutti volevano congratularsi con i primi, in trent’anni, che erano riusciti a sconfiggere gli odiosi Teikoku Alexanders. Ora sì che Yoni comprendeva le lacrime di molti dei suoi compagni.
Gioia. Aveva un ottimo sapore.
Si alzò, con calma, e si avviò con passo studiato sull’erba che aveva fornito il campo di battaglia di questa gloriosa giornata. Ignorò il caos festante attorno a sé, puntava dritto a una sola persona, che si stava togliendo il casco e mettendo in bocca un’altra gomma da masticare.
La vide, sogghignò e le andò incontro, fermandosi a una ventina di centimetri da lei.
Era un momento teso, elettrico; Yoni avrebbe dato qualsiasi cosa per poterlo baciare lì, di fronte a tutti, sentiva il suo intero corpo fremere, ma ovviamente era proibito. Quanto bruciava, quella proibizione.
“Non possiamo, vero?” si udì chiedere, in un sussurro.
“No” fu il sogghigno di risposta
“Rovinerebbe tutto, giusto?”
“Giusto”
“L’incesto continua ad essere ritenuto un reato in Giappone?”
“E nella maggior parte del mondo”
“Cazzo”
Il sogghigno si allargò, mentre da non si sa bene dove si materializzava nella mano del quarterback un piccolo telecomando con un bottone rosso. Yoni lo fissò perplessa.
“Oggi ho raggiunto quello che per molto tempo ho considerato il mio sogno. Vincere il Christmas Bowl con i Deimon Devil Bats. Ma solo di recente ho capito che il mio vero sogno comprendeva un dettaglio leggermente diverso...”
Premette il pulsante, e istantaneamente da dispositivi simili a cannoni, piazzati sottoterra lungo tutto il bordo, fuoriuscirono getti di nebbia sparata ad alta pressione, che in un istante immersero il campo in una spessa coltre lattiginosa che impediva di vedere a più di un palmo dal naso.
“...Vincere il Christmas Bowl e baciarti mentre ancora lo stadio urla per la nostra vittoria”
Ecco, quella era la vera felicità, il vero sapore della gioia. Menta.

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Capitolo 22
*** Moshi moshi? ***


“Ma secondo voi cos’era quella nebbia improvvisa?” chiese Kurita una volta fuori dallo spogliatoio, mentre chi aveva finito presto aspettava i ritardatari.
“Un errore tecnico negli impianti di irrigazione del campo” spiegò rapida Yoni, mentre sia lei che il fratello mantenevano un’espressione ovviamente imperturbabile “Si sono guastati con il freddo, e sono andati in cortocircuito”
Non era del tutto una bugia; gli impianti si erano effettivamente guastati, ma non per il freddo. Non chiese a Yoichi chi avesse ricattato per fare quel lavoro, come regalo di Natale era stato il più bello che potesse desiderare.
Finalmente anche l’ultimo -Ishimaru, che stava per essere dimenticato come al solito- uscì, e la squadra si diresse verso l’ingresso dello stadio. Alcuni avevano i genitori per portarli a casa, altri semplicemente andarono ad aspettare l’autobus. Tutti si salutarono calorosamente; si sarebbero visti il giorno dopo, ma l’emozione per la vittoria li rendeva particolarmente uniti in quel momento.
Mentre Yoni salutava Mamori, sentì uno dei cellulari del fratello squillare, e lo vide allontanarsi di qualche metro. 
“Umh... Yoni-san...”
“Mamori, dai, chiamami Yoni”
“O-ok! Beh, ecco, questi li avevo... Cioè... Buon Natale!”
Arrossendo e sorridendo, consegnò alla ragazza un sacchettino di stoffa fermato da un nastro rosso. Erano anni che non riceveva un regalo di Natale (lei e Yoichi non erano fan della festività), si era quasi dimenticata come fosse. Presa alla sprovvista, Yoni lo osservò incuriosita e lo aprì. Quel che trovò dentro la fece scoppiare a ridere.
“Ahaha, sono bellissimi!”
“Davvero?”
Teneva tra le mani due portachiavi fatti a mano alti non più di cinque centimetri, che rappresentavano i fratelli Hiruma con la divisa dei Devil Bats, quella da capitano per lui e quella da cheerleader per lei.
“Assolutamente! E io che pensavo che non avessi abilità artistiche di nessun tipo!”
La Anezaki abbassò gli occhi, colpita brutalmente dalla troppa sincerità, poi cercò di ridere e aggiunse:
“Uno è per Hiruma-kun. Volevo darglielo di persona, ma... Emh... È impegnato...”
Una scusa piuttosto tenera per dire “non ne ho il coraggio e ho paura mi riderebbe in faccia”. Povera Mamori.
“Glielo do io più tardi, se preferisci”
“Grazie Yoni-sa… Yoni. Uh, il mio autobus! Ci vediamo, ciao!”
La manager corse via, e Yoichi la raggiunse in quel momento con una faccia da funerale che suggerì a Yoni di mettere via i portachiavi e farglieli vedere in un altro momento.

“Che succede?”
Il quarterback non rispose, si infilò in bocca un’altra gomma da masticare e lanciò il telefonino nella spazzatura.
“Nii-dick, che succede? Chi era?”
“Mio padre”
“Ah. E che voleva?”
“È qui”
“E..?”
Yoichi storse la bocca in un’espressione molto seccata.
“E vuole vederci”
“Ti devo tirar fuori le cose col cavadenti? C’è qualcosa che non mi hai detto, vero?” sbottò la ragazza, infilandosi le mani nelle tasche del cappotto. Aveva ripreso a nevicare.
“Tu vuoi vederlo?” chiese il fratello, ignorando il suo commento.
“E questo che cazzo c’entra, ora?”
“C’entra. Ti ricordi la carta Yuya? Quella che ho giocato per farti trasferire qui? Ecco, aveva un prezzo. Anzi, due per l’esattezza”
“E... Cioè?”
“Quella volta, ho dovuto incontrarlo di persona. E ho dovuto promettere che, se tu avessi voluto incontrarlo, io non ti avrei trattenuto né impedito in alcun modo”
Ci fu silenzio, mentre i loro fiati disegnavano nuvole bianche nell’aria gelida. 
“È una persona tanto orribile?”
“Chiediti perché tua madre l’ha sposato. Ma non farmi altre domande, non sono io a doverti dare un’opinione su di lui. Dimmi solo se vuoi incontrarlo”
Ancora silenzio. Yoni era divisa; da una parte era curiosa, dall’altra sapeva che Yoichi in tutta quella situazione ci entrava estremamente stretto.
“Tu verresti?”
“Se mi vuoi, non avevo in programma di lasciarti da sola”
La ragazza sorrise, quasi ridendo. Capiva quanto quel gesto fosse grande, quanto suo fratello stesse mettendo in gioco. Quelle erano prove d’amore, non i baci sotto il vischio che si stavano scambiando le coppiette di tutto il mondo.
“Allora mi piacerebbe averti vicino”
Yoichi sogghignò, togliendole un fiocco di neve dal naso.
“Sei prevedibile, Nee-shit”
“Me lo dici da anni. Dove dobbiamo andare?”

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Capitolo 23
*** Merry Xmas ***


Yuya Hiruma aspettava i suoi figli in una caffetteria poco lontana dallo stadio. Era un posto carino, non eccessivamente lussuoso, ma dove i tavolini erano separati da divisori chiari, che “facevano ambient” e concedevano una buona dose di intimità.
L’uomo, sulla quarantina, indossava un completo occidentale bianco con tanto di cappello coordinato. Aveva i capelli neri, gli occhi azzurri e lo stesso viso ossuto del suo primogenito. Yoni non vide nessun tratto genetico che potesse accomunarlo con lei, a parte il taglio degli occhi e forse le mani: quelle di Yoichi erano lunghe e affusolate, mentre le sue (e quelle dell’uomo) più minute e squadrate. Silenziosa e un po’ nervosa, si sedette di fianco al fratello, dall’altra parte del tavolo rispetto a quello che doveva considerare suo padre biologico.
L’aria era tesa, Yoichi aveva smesso di masticare la gomma, e per lunghi secondi ci fu un silenzio che nessuno pareva intenzionato a rompere. Poi fu il giocatore di scacchi a tentare un approccio amichevole.
“Tu devi essere Yoni”
Lo guardò negli occhi; aveva un’espressione intelligente, ma non minacciosa. Non ancora, almeno.
“Già” fu l’unica risposta che diede, e cadde di nuovo il silenzio. Una cameriera provò ad avvicinarsi, ma percepì aria di tempesta e tirò dritto istintivamente.
“Hai preso tutto da tua madre”
Yoichi ridacchiò, facendo notare con voce gelida:
“Proprio un ottimo inizio di conversazione, padre. Complimenti”
A disagio, l’uomo si affrettò ad aggiungere altro.
“Non sapevo che Yuriko fosse incinta, quando abbiamo divorziato. Non le avrei permesso di portarti via, e di... Di farti quello che ha fatto”
Yoni alzò un sopracciglio, ostile.
“Perché? Cosa mi avrebbe fatto?”
Yuya deglutì, sistemandosi la cravatta. Stava procedendo su un terreno estremamente delicato. Scelse di cambiare rapidamente argomento.
“Quando Yoichi mi ha detto che andavi trasferita, ho ripreso i contatti con la mia ex-moglie. Abbiamo parlato a lungo, mi ha spiegato chi eri, e cosa era successo. Mi ha detto che sei scappata di casa, e che poi hai incontrato tuo fratello e che… Beh... Siete molto intimi, per così dire”
-Cazzo. Ok, non mutare espressione. Impassibile. Bene, così- 
Yoni non batté ciglio, e questo spinse Yuya ad andare avanti.
“Ho pensato subito che avrei voluto incontrarti. Insomma, sei mia figlia... Se l’avessi saputo, avrei potuto essere un buon padre per te...”
“Come lo sei stato per Yoichi?”
Il commento era uscito ironico, sprezzante. Quell’uomo le stava dando fastidio, si sentiva a disagio e non riusciva a capire fisicamente perché. Cominciava a pensare che venire lì fosse stato un errore. Odiava sbagliare.
“È un discorso complicato, Yoni”
“Sono abbastanza brava a capire le cose complicate”
“Bene, allora mettiamola giù semplice: non ho intenzione di giustificarmi con te. Ho sbagliato, ma ho cercato di rimediare. Tuo fratello non mi ha dato nessuna seconda occasione, ha sempre rifiutato le mie chiamate, le mie scuse, i miei tentativi di sistemare le cose. Quindi non cercare di giudicarmi, ragazzina”
Ecco, ora c’era un po’ del sangue Hiruma che probabilmente era piaciuto a sua madre. Yoni sogghignò, per nascondere il suo disagio.
“Perfetto. Abbiamo finito qui?”
“A dire il vero no”
Yoichi alzò gli occhi, piantandoli in quelli del padre.
“Cos’hai escogitato, dannato fallito?”
Yuya ignorò l’insulto e fissò un punto sopra la testa di Yoni, fuori dal locale. In quel momento la porta si aprì, e un paio di tacchi fece il suo ingresso nella caffetteria.
“È Natale, bambini. Concedeteci questo regalo”
-ConcedeteCI?-
“Buon pomeriggio, tesori”

Yoni si girò di scatto, e istintivamente scivolò di lato verso il fratello. Yuriko Iwasaki fissava la sua ex-famiglia con sguardo dolce e materno, il che rendeva la scena drammaticamente inquietante.
“L’hai chiamata tu?” sibilò Yoni rivolta all’uomo in abito bianco, che non rispose e spostò una sedia per la donna in modo da farla accomodare al tavolo. I fratelli Hiruma si sentirono orribilmente in trappola, e si scambiarono una rapida occhiata nervosa.
“Ho sentito che hai vinto, Yoicchan. Bravo”
Nessuna reazione. Gli occhi azzurri della donna si posarono sulla figlia.
“E tu, Ninì... Sei stata la prima a dimostrare errata una mia diagnosi, lo sai? Devi sentirti molto orgogliosa per questo...”
Yoni cercò di fare come il fratello, ovvero restare impassibile, ma sentiva il suo corpo tremare e l’adrenalina scorrere. Le pareva quasi di percepire le sue ghiandole che la producevano, e le cellule incaricate che la trasportavano lungo tutto il sistema nervoso. Yoichi se ne accorse e le strinse una mano, ma era troppo tardi e aveva già quasi urlato.
“Hai cercato di uccidermi, stronza!”
“Ehi, ehi, moderiamo il tono e i termini, signorina. Siamo in un luogo pubblico” disse serio il padre, che cercava di dissimulare tranquillità ma era anche lui piuttosto teso. Yoni deglutì a fatica.
“Ho cercato di guarirti, invece. E di usarti per scoprire qualcosa di nuovo, lo ammetto. Volevo vedere che effetti aveva quel particolare cocktail di farmaci... Adesso so che è in grado di simulare perfettamente la morte. Sai che scoperta, per la scienza?”
“Sarei potuta morire, ti rendi conto? Ero sul tavolo da autopsie! Avevo il cartellino attaccato al piede!”
“Oh, giusto, quando ti sei svegliata? Sai, dovrei registrare quante ore impiega l’effetto del farmaco a svanire...”
Yoichi le strinse la mano così forte da farle male, e riuscì in quel modo ad ottenere l’effetto sperato. La mente di Yoni tornò lucida, respirò a fondo e rilassò le spalle, e la presa del fratello si allentò. Aveva ancora tanto da insegnarle, a quanto pare.
“Prima o poi troverò le prove per incastrarti, mostro” disse piano, fissandola con odio e ricevendo in cambio un sorriso angelico.
“Puoi sempre provarci, Ninì”
“Yuriko, ora basta” intervenne Yuya con gentile fermezza, appoggiando una mano sulla spalla della donna “Volevi dir loro qualcosa, mi pare”
“Oh, sì” trillò, gaia “Io e vostro padre abbiamo ripreso a frequentarci, quindi penso mi trasferirò di nuovo a Tokyo in maniera stabile. Non siete contenti?”
Sentirono simultaneamente una stretta alla bocca dello stomaco. Yoichi fece per alzarsi, dicendo con tono schifato:
“Guarda, così tanto che stiamo andando a vomitare. Vogliate scusarci”
Oltrepassò di malagrazia la madre, trascinandosi dietro la borsa del football, poi guardò la sorella e la incoraggiò a fare lo stesso. Questa aveva lo sguardo del riccio abbagliato dai fari che vede l’auto arrivargli addosso, e non accennava a muoversi. Rimase lì diversi secondi, fissandola, finché questa non ricambiò il suo sguardo e annuì appena.
La ragazza si alzò, e Yuriko Iwasaki si appoggiò al tavolino sorridendo amabile, senza la minima intenzione di farla passare.
“No-no Ninì, voglio sapere a che ora ti sei svegliata”
“Vaffanculo”
“Yoni, per favore, rispondi a tua madre”
“Vaffanculo anche a te. Non avrei mai dovuto accettare di incontrarti. Avrei dovuto immaginare che eri come lei... Anzi, peggio, perché scegli di... Stare con lei!”
Il pensiero le dava la nausea, voleva andarsene di lì il prima possibile, ma le uscite erano bloccate.
“Spostati”
“Dimmi l’ora, Ninì”
“Spostati!”
“Dimmi l’ora” scandì, gelida. Non sorrideva più.
“Cazzo, togliti di mezzo!” esclamò la ragazza esasperata, e fece per passare di forza. Poi ci ripensò, decise che le faceva schifo anche solo toccarla, e con un movimento rapido si issò in piedi sul tavolino e saltò dall’altra parte.
“Oh, vedo anche che ti muovi bene... Il tuo terapista dev’essere bravo...” commentò la donna con un tono fintamente ammirato. Yoni la ignorò.
“Non volete nemmeno il vostro regalo di Natale, bambini?” sviolinò mentre già stavano uscendo; aveva in mano un foglio di carta dall'aria vecchia e spiegazzata, dove solo il logo di un ospedale era visibile, il resto erano scritte troppo piccole. 
“Andiamo” mormorò secca Yoni, ma il fratello rimase qualche secondo a guardare. La madre sorrise.
“Avanti Yoicchan, so che sei curioso…”
-Nii-dick... Non accettare nulla da quella strega. Non ha nulla che ci serva- implorò mentalmente Yoni, troppo tesa per dirlo ad alta voce. Era lì sulla soglia e sperava, sperava con tutta sé stessa che suo fratello si voltasse e uscisse assieme a lei.
Yoichi fece di meglio. Sogghignò.
“Grazie del pensiero, non dovevi. Ora potete andare a farvi fottere entrambi. Buon Natale”
Poi uscì.

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Capitolo 24
*** Sis, do you even sing? ***


Arrivarono a casa senza dire una parola, controllando continuamente di non essere seguiti. Chiusa la porta e attivati i sistemi d’allarme, i loro nervi poterono finalmente rilassarsi un po’.

“Dunque?” chiese Yoichi, lasciandosi cadere sul divano. Pareva esausto, e nessuno avrebbe potuto dargli torto.

“Dunque ora so per certo, per mia esperienza diretta, che abbiamo dei genitori di merda” rispose stanca l’altra, sedendogli di fianco e togliendosi la giacca e la sciarpa “Ah, questi ce li ha fatti Mamori. Voleva dartelo di persona, ma non ne ha avuto il coraggio”

Il quarterback prese in mano i due portachiavi di pezza, e suo malgrado sorrise.

“In effetti, mi sarebbe dispiaciuto trattarla male anche in quel momento. È stata gentile”

“Mamori è sempre gentile, Nii-dick. Questo è mio!” disse, acchiappando quello con la forma del primogenito “Sarà divertente avere un chibi te sempre vicino. Potrei dotarlo di un mini mitragliatore, che ne pensi?”

“Penso che ogni tanto tu sia proprio scema, Nee-shit...” sospirò il ragazzo, ma poi allungò un braccio e strinse a sé la sorella. Yoni giocherellò un po’ col suo portachiavi, poi si stese appoggiando la testa sulle ginocchia dell’altro.

“Quella di oggi è stata una partita davvero bella”

“Dici? Ho sempre paura di fidarmi troppo di quelli là... Hai visto, no? Se il nano di merda non si svegliava, col cazzo che vincevamo”

“Però è stata la mossa migliore. E avete vinto”

“Già... Ma non mi piace l’idea che sappiano che mi fido di loro. Non è... Nel mio stile, ecco”

“A me lo dici? Tu almeno non hai Suzuna e Mamori che ti invitano al karaoke perché pensano che adesso siamo tutte grandi amiche”

Ci fu una risata sinceramente divertita.

“Aspetta, questa non me l’avevi detta... Siete andate al karaoke?”

“Ufffffff... Sì, e quindi?”

“Tu canti, Nee-shit?”

“Sono intonata” precisò lei “Non ho una voce troppo potente, avendo scarsa ampiezza toracica, ma ho un ottimo controllo delle mie corde vocali quindi raggiungo anche le note alte e le posso mantenere costanti”

Yoichi si piegò fino a sfiorarle il naso col proprio. A volte il fatto che fosse così atletico era irritante.

“Cantami qualcosa”

“Scordatelo”

“Allora fammi vedere come balli”

“Che ti prende, si può sapere?”

Il ragazzo sbuffò, continuando a sogghignare.

“Eddai, l’unica sera in cui mi sento coccoloso tu ti neghi così?”

Yoni si alzò di scatto, rischiando di dargli una capocciata sul naso, e lo fissò ad occhi spalancati. Il sogghigno che vedeva sulle labbra di Yoichi non mutava, ma finalmente la consapevolezza prendeva possesso del suo cervello.

Non disse una parola, semplicemente lo strinse forte a sé, e dalla velocità con cui venne ricambiato l’abbraccio capì di non essersi sbagliata. Gli accarezzò la schiena, lentamente, appoggiandosi allo schienale del divano mentre Yoichi si rintanava sul suo petto.

Non era l’unica ad essere uscita sconvolta da quell’incontro, anzi. Per lui doveva essere stato ancora peggio, gli anni sigillati dal silenzio dovevano essere tornati a tormentarlo. Lo sapeva, sapeva a cosa andava incontro quando le aveva detto che l’avrebbe accompagnata. Eppure lo aveva fatto lo stesso.

-Che egoista di merda che sono- pensò, mormorando “Ti piace Avril Lavigne?”

“Chi?” fu la risposta soffocata.

You're not alone 
Together we stand 
I'll be by your side, you know I'll take your hand 
When it gets cold 
And it feels like the end 
There's no place to go 
You know I won't give in 
No I won't give in

“Ah, lei. No, non mi piace.”

Keep holding on 
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through 
Just stay strong 
'Cause you know I'm here for you, I'm here for you 
There's nothing you could say 
Nothing you could do 
There's no other way when it comes to the truth 
So keep holding on 
'Cause you know we'll make it through, we'll make it through
” 

Yoichi rimase in silenzio fino alla fine della canzone, poi alzò la testa dal suo rifugio.

“Non canti male, dovrò pensare a come sfruttare questa cosa” gracchiò, strappando un sorriso a Yoni, che in quella frase lesse, in piccolo tra le righe, un ringraziamento sincero.

Yoichi si riprese subito da quel momento di debolezza; le diede un bacio, si rimise dritto, e chiese:

“Ok, ricreazione finita. Dov’è la valigia nera?”

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Capitolo 25
*** All-star in progress ***


“Dov’è che andresti, domani?”

“New York. C’è la conferenza stampa con Clifford e Panther, devo raccogliere informazioni”

Yoni lo fissò perplessa per un attimo, poi si strinse nelle spalle e lo aiutò a preparare i bagagli.

“Quanto starai via?”

“Dovrei cavarmela in due giorni, se non dormo”

“Vuoi che venga anche io?”

“Mi faresti comodo, ma è meglio che almeno un Hiruma rimanga a tenere d’occhio la squadra, casomai succeda qualcosa. Oggi Yamato e gli altri pezzi grossi hanno parlato coi nanetti, saranno sovraeccitati dalla notizia”

“Immagino... Scusa, e quello a che ti serve?” esclamò, osservando tra i vestiti stesi sul letto un costume da... Cameriera.

“Ci sarà anche Morgan. Devo sentire il più possibile quello che lui e Lewis si diranno, anche se per la maggior parte saranno discorsi idioti e gare a chi ce l’ha più duro”

Aveva evitato una risposta diretta, ma l’immagine di suo fratello vestito da cameriera era qualcosa di spassoso ed inquietante allo stesso tempo... Ci rifletté su qualche istante, poi scoppiò a ridere.

“Cosa ridi, Nee-shit?”

“Niente, niente. Quindi io devo tenere d’occhio la futura squadra di All-star del Giappone, mentre tu ficcanasi in quella americana?”

“Niente di più facile, no? Ah, occhio ad Agon, vorranno anche lui. Su, dammi una mano, trovami il brevetto di volo, dev’essere tra le carte del secondo cassetto...”

 

“Yo?”

“Ciao Agon”
“Yoni-chan! Che piacere sentirti, come stai?”

Yoni, dall’altra parte del telefono, sentì chiaramente la voce di due ragazze che mormoravano seccate qualcosa riguardo al suffisso che aveva usato per rivolgersi a lei.

“Sto una favola. Senti, hai sentito della proposta di formare una squadra di eccellenze?”

“No, sono in palestra adesso. Ehi, Hitomi, accendi la tv”

Ci fu un debole tentativo di protesta, poi la voce di Morgan che spiegava il premio in palio per il miglior giocatore di entrambe le squadre. Yoni aspettò pazientemente finché Agon non rivolse di nuovo l’attenzione su di lei.

“Beh? E che me ne dovrebbe fregare?”

“Agon, tu sei un’eccellenza, vogliono anche te. Non ti interessa il premio?”

“Come se me ne fregasse qualcosa dei soldi”

“Agon...”

“E poi non voglio giocare con la spazzatura tipo tuo fratello”

“Agon, tanto so che hai già deciso”

Attimo di silenzio. Una delle sgualdrine -perché quello erano, non aveva mai visto un altro genere di ragazza attorno ad Agon- si lamentò con voce piagnucolosa.

“Ma insomma, Agon-kun, chi è questa ragazza?”

“Chiudi il becco, oca! Dicevo... Senti, non ne potremmo parlare meglio faccia a faccia? Che ne dici?”

Se lo immaginava perfettamente, mentre si toglieva gli occhiali e sorrideva. Ma dato che il suo obiettivo era già compiuto, Yoni sogghignò e disse:

“Ti mando per email il numero di Sena Kobayakawa. Chiamalo. Ciao ciao!”

 

“Pronto?”

“Yoni-hime?”

“Ciao Rui, tutto bene?”

“Senti, per quelle selezioni che state organizzando... Sai, per la squadra che rappresenterà il Giappone...”

“Vuoi partecipare anche tu?”

“Ovviamente! Ma... Possiamo vederci un po’ prima del provino?”

“Uh? Che stai combinando?”

“Niente, niente... Ti spiegherò. Non dire niente a nessuno, però. Allora ci vediamo domani?”

“Ok... Devo preoccuparmi?”

“No, no, tranquilla...”

Yoni mise giù il telefono e lo fissò con sguardo perplesso, come se il piccolo apparecchio potesse dargli le risposte che cercava. Si strinse nelle spalle, dicendosi che l’avrebbe comunque scoperto il giorno dopo, e tornò da Mamori ad aiutarla col montaggio delle riprese fatte da Yoichi in America. C’erano troppe immagini di Morgan in slip per i suoi gusti.

 

“Psst! Ehi!”

“Rui? Ma come ti sei vestito?”

Il ragazzo indossava un completo occidentale con tanto di impermeabile e cappello a tesa larga. Sembrava un investigatore privato di un film americano degli anni Trenta.

“La vostra sede è vuota?”

“Sì, ma... Insomma, Rui, vuoi spiegarmi che succede?”

“Andiamo, non ho molto tempo”

Yoni sbuffò e lo condusse fino agli spogliatoi della squadra, che in quel momento non erano utilizzati. Lì Rui cominciò a togliersi in fretta i vestiti, e a quel punto Yoni perse la pazienza.

“Cazzo, Rui, vuoi dirmi qualcosa invece di spogliarti?”

“Eh? Ah, sì, ok...”

Rimase a torso nudo -Yoni notò che si era allenato parecchio dall’ultima volta in cui l’aveva visto- e frugò nella borsa, fino ad estrarre un lungo rotolo di bende che porse a Yoni.

“Non voglio che sappiano chi sono. Voglio entrare a far parte di quella squadra, voglio giocare ancora a football... Ma non voglio che mi vedano. Troppi pregiudizi, troppe domande, voglio partire da zero facendomi apprezzare per quello che so fare. Mi dai una mano con le bende?”

Fu molto tentata dal chiedere le motivazioni di un simile agire, ma si disse che, con tutto quello che Rui aveva fatto per lei, con tutte le volte che si era dimostrato un buon amico senza pretendere nulla in cambio se non un po’ di rispetto, poteva anche concedergli di tenersi i suoi segreti.

“Va bene. Spero per te sia garza buona, altrimenti non riuscirai a respirare e vedere correttamente”

Sorpreso da quella manifestazione di discrezione, l’Habashira sorrise.

“Mio fratello non si lascerà ingannare, lo sai, vero?”

“Pazienza. Spero solo di aver preso abbastanza bende”

 

Tre giorni dopo erano in partenza per l’America. Yoni non poteva fare pubblicamente i complimenti a Rui per essere stato l’unico a superare le selezioni, quindi gli mandò un sms quando erano in aeroporto, mentre il resto della gente si chiedeva dove diavolo fosse Agon. Vide le bende alzarsi all’altezza degli zigomi, e indovinò un sorriso nascosto.

-Chissà poi che diavolo starà architettando...-

“Nee-shit, il rasta di merda non mi risponde, chiamalo tu” ordinò Yoichi con aria seccata, infilandosi in tasca il telefono. Come previsto, a lei Agon rispose.

“Ciao Yoni-chan”
“Si può sapere dove cazzo sei? L’aereo decolla tra un quarto d’ora!”

“Ops! Devo aver dormito troppo... Prendo quello dopo, voi partite senza di me. Ci vediamo a New York!”

Tono falso quanto un Rembrandt a pennarello; Yoni comunicò agli altri che Agon li avrebbe raggiunti con un altro volo, ma non mancò di notare l’espressione perplessa e vagamente irritata di suo fratello. Gli restituì un’occhiata rassegnata; avrebbero scoperto i piani del mocio su due gambe una volta arrivati.

-La gente deve smetterla di copiarci. I piani malefici sono un marchio registrato Hiruma!-

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Capitolo 26
*** Say trash again ***


L’estrazione fu piuttosto rocambolesca; quel carro armato biologico comunemente chiamato Gao Rikiya riuscì a piazzare Russia contro Giappone al primo incontro. La cosa non era grave in sé, quanto il fatto che Agon avesse incoraggiato la cosa. I fratelli Hiruma ne discussero quella sera assieme a Kid e Marco, davanti ad un tavolo da biliardo.

“Non so cos’abbia in mente il rasta di merda. So che non dobbiamo fidarci, ma che ci serve”

“Immagino non dobbiamo aspettarci niente di buono...” sospirò il quarterback dei Seibu, con il suo inguaribile ottimismo “Yoni-san, tu che lo conosci meglio, non hai qualche dato in più?”

Yoni era concentrata sul cercare di non mancare la palla numero 16; giocavano a squadre, lei e Kid contro Marco e Yoichi, ma in un gruppo con tre quarterback era destinata fin dal principio a fare la figura più barbina.

“Vuole il premio; vuole entrare nella NFL; e sono convinta voglia anche fregarci tutti, ma si ostina a non dirmi come”

Colpì la pallina bianca, ma non riuscì a mandare in buca la 16. Lasciò il compito al suo partner di gioco, che completò l’opera senza particolare fatica.

“Non c’è modo di prevederlo, direi...” commentò Marco dopo essersi scolato l’ennesima Coca-Cola. Yoni dubitava seriamente che i livelli di glucosio nel suo sangue fossero nella norma, con tutto quello schifo americano che ingurgitava.

“Bah, prima o poi scoprirà le sue carte. Intanto vediamo di vincere domani, il tuo amico cavernicolo ci ha fatto finire contro i pesi massimi trinca-vodka. La linea dovrebbe reggere a lungo termine, ma prepariamoci a dei blitz nel primo tempo” disse Hiruma mentre posizionava la sua stecca e prendeva la mira.

“Il primo di voi che si fa rompere un osso riceve dei calci dalla sottoscritta, intesi?” li minacciò la ragazza, che non aveva assolutamente voglia di ripetere l’esperienza post-Hakushuu. Kid sorrise e si sistemò il cappello. Marco deglutì a fatica e andò al bancone a ordinare un’altra Coca-Cola. Yoichi sogghignò, e mandò in buca tre palle contemporaneamente, facendo finire la bianca in posizione ottimale per il colpo successivo.

 

Le carte di Agon vennero svelate il mattino successivo: aveva preso i migliori giocatori che non avevano superato le selezioni –Takami, Jumonji, Kisaragi, Komusubi e altri- e aveva creato una squadra autonoma. Poi aveva imboscato le uniformi dei titolari, e aveva fatto in modo che giocassero loro; tutto per ricoprire un ruolo di rilievo assoluto durante la partita, senza rivali del calibro di Shin e Yamato, e risaltare agli occhi di Morgan nella competizione per il titolo di miglior giocatore praticamente senza versare una sola goccia di sudore.

Yoni l’avrebbe picchiato, pur consapevole del fatto che non sarebbe riuscita a fargli niente, anzi, che avrebbe rischiato una distorsione. Gao stava già per entrare in campo senza uniforme, rischiando così la squalifica, ma per fortuna Sena si offrì di andare di corsa in hotel a prendere le divise per tutti quanti. Gli altri velocisti del team andarono con lui, mentre il resto della squadra sedette in panchina e aspettò, guardando gli “scarti” giocare.

Il piano di Agon avrebbe potuto funzionare, ma non aveva tenuto in conto il valore della “spazzatura” che aveva pensato di riciclare: Takami e gli altri avevano il loro orgoglio, e una dose non indifferente di abilità.

E poi avevano Chuubou, il ragazzino che riusciva a sbilanciare gli avversari colpendo contemporaneamente con testa, spalla e braccio. Nessuno avrebbe scommesso mezzo yen su di lui, eppure era riuscito a fermare Rodchenko, il campione di sollevamento pesi dal cervello sotto spirito. Era senza dubbio un elemento notevole, per quanto la combinazione che aveva creato –secondo Yoni- l’avrebbe portato ad un indebolimento dell’acromion, del trapezio e della corteccia cerebrale, riducendogli (o alzandogli?) il QI a 75 entro i trent’anni.

Quando i velocisti arrivarono -o meglio, Yamato, Shin e Riku arrivarono, Sena doveva essersi perso come suo solito- la partita era già vinta. E Yoichi stava già ridendo come un posseduto, mentre Agon bolliva di rabbia. I suoi rasta sembravano muoversi di volontà propria, come i capelli di Medusa, tanto il corpo dell’atleta vibrava di incazzatura poderosa.

-Non finisce qui... Ma almeno adesso possiamo prevedere come si muoverà- pensò Yoni, e andò a fermare suo fratello e la sua risata molesta prima che Agon decidesse di pestarlo sul serio.

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Capitolo 27
*** Hide the last dance ***


Finito il match la nazionale giapponese andò a vedere la partita Stati Uniti vs Nuova Zelanda. Il risultato era deciso fin dall’inizio, ma era necessario osservare in azione il Pentagramma, ovvero i cinque geni del football che avevano appena fatto il loro ingresso sulla scena nazionale. Sfortunatamente riuscirono ad osservare bene solo Panther, perché contro un avversario così debole come i Kiwi l’America aveva deciso di usare i sostituti. E anche così la partita terminò 105 a 0.

Shin e Sena, che meglio conoscevano Panther, erano i più impressionati. Il ragazzo era diventato ancora più veloce, stabilendo un nuovo record di corsa che i giapponesi non sognavano nemmeno di riuscire ad eguagliare.

Questo diede molto da pensare sia a Sena, che rimase silenzioso fino a sera, sia a Yoni, che cominciò a cercare un modo per potenziare in maniera naturale i muscoli della squadra che aveva in cura. Certo, Panther aveva il vantaggio “di razza”, nel senso che i suoi geni lo avevano dotato di una maggior quantità di fibre rosse che gli regalavano un’innata superiorità nella corsa, ma non poteva essere solo quello. Troppo facile dare la colpa alla genetica. Panther doveva aver seguito un allenamento speciale, qualcosa che gli aveva permesso di diventare ancora più forte. Tipo Agon.

“Ops, scala reale! Paghi tu il caffè, Hiruma”

“Chiudi il becco, vecchio di merda, sto pensando”

“Sì, certo, ma intanto paga”

Yoni abbandonò le sue riflessioni e si alzò dal divano, prima che suo fratello le chiedesse di andare fino al bar a prendere i caffè che lui stesso aveva deciso di offrire.

“Io passo da Kurita a dirgli di dormire, poi vado a letto. Nii-dick, non fare casino quando arrivi”

“Che ha Kurita? È nervoso?” chiese Musashi mescolando le carte.

“Più o meno. Si è legato al letto con la sacca delle uniformi, per paura che Agon gliele porti via di nuovo”

Entrambi i ragazzi risero, tornando però seri in poco tempo; Agon continuava ad essere un problema, e ok non preoccuparsi troppo, ma bisognava stare all’erta per evitare altri giochetti poco simpatici.

Yoni entrò nella stanza di Kurita, Komusubi e Mizumachi, rassicurò il primo sul fatto che era più importante essere pronti e riposati per la partita del giorno successivo contro Militaria, e si chiuse in camera.

 

-Ok... Qui c’è abbastanza spazio, direi-

Si tolse il maglione, rimanendo in canottiera, e indossò un paio di pantaloni corti da ginnastica al posto dei jeans, che ripose nell’armadio. Poi attaccò il lettore mp3 alla cintura, infilò gli auricolari, e si dedicò ai suoi esercizi. Aveva calcolato di avere almeno mezz’ora di tempo prima che arrivasse suo fratello, e aveva già saltato l’allenamento il giorno prima, quindi doveva recuperare.

Cominciò con qualcosa di tranquillo, Someone like you di Adele poteva andare per riscaldarsi. Era una donna un po’ lamentosa, ma aveva una voce molto bella e una musicalità perfetta per guidare dei movimenti lenti e armonici.

Davanti allo specchio, Yoni studiava le reazioni del suo corpo ai suoi ordini; per le azioni più semplici la risposta era immediata, quando cercava di fare qualcosa di più complicato, tipo una spaccata o una piroetta, ecco che i suoi muscoli se la prendevano comoda. Ma non c’era fretta, bastava mettere il lettore in modalità ripeti, e ripetere anche lei. La coreografia era semplice, ma non le dispiaceva -ovvio, l’aveva inventata lei- e ci teneva a farla bene. Un passo alla volta, un arco alla volta, un piegamento alla volta. Con calma e precisione, addomesticando i suoi muscoli ribelli e facendo capire loro chi comandava lì dentro.

Dopo che la canzone ebbe finito il suo loop per otto volte, si sentì un po’ più soddisfatta, anche se i quadricipiti le tiravano sul lato interno delle cosce; nessun problema, si sarebbe spalmata un po’ di unguento all’arnica dopo la doccia, e il giorno dopo sarebbe stata benissimo.

Si tolse le cuffie e si allontanò dallo specchio, e quasi le prese un colpo nel vedere suo fratello seduto sul letto, dall’altra parte della stanza, che la fissava con aria interessata.

“Quando saresti entrato, di preciso?”

“Abbastanza tempo fa da vederti ballare, finalmente. Potrà tornarci utile anche questa tua abilità, sai? Molti uomini impazziscono di fronte alle ballerine, ed è facilissimo far fare loro qualsiasi cosa”

Tradotto nel linguaggio comune, poteva risultare qualcosa di simile a “Sei brava” e “Ti trovo molto sexy”. Yoni sbuffò, sperando che il fatto di essere arrossita potesse passare per l’effetto dell’esercizio.

“Non credo. Faccio ancora fatica a muovermi come voglio. E poi... Insomma, mi hai visto? Non credo di essere il genere di ballerina per cui impazziscono gli uomini. Chiedi alle cheerleader per i tuoi piani. Non ho fianchi, porto una seconda e ho il culo piatto.”

Yoichi non batté ciglio, continuando a sogghignare.

“A me il tuo culo piace”

Yoni aprì la bocca, la richiuse, guardò male il fratello e andò ad imbarazzarsi in bagno chiudendosi la porta alle spalle. Sentì Yoichi ridere forte, dall’altra parte, e avvicinarsi poi alla porta del bagno.

“Sciò!” gli urlò “Devo farmi la doccia!”

“Kekekekeke! Dai, apri la porta Nee-shit”

“Scordatelo”

“Non ti sapevo così suscettibile su questi argomenti...” insinuò, sempre con un largo sogghigno sulle labbra. Yoni imprecò tra i denti e aprì uno spiraglio, giusto per guardarlo male e ottenere l’effetto di farlo ridere ancora di più.

“Sei particolarmente molesto stasera, lo sai?”

“È stato il mio piano fin da quando ho visto che non ti eri accorta di me. Ti ho vista ballare, sono soddisfazioni sai?”

Yoni alzò gli occhi al cielo, ripromettendosi di sigillare ermeticamente ogni stanza in cui si sarebbe esercitata in futuro.

“Mi hai vista allenarmi, Nii-dick. Quello non era ballare. E ora lasciami lavare in pace!”

Tentò di chiudere la porta, ma suo fratello ci infilò un piede in mezzo e fece forza con le braccia per aprirla. Imprecando, Yoni saltò indietro per non ricevere una portata sul naso, mentre il bagno veniva invaso dal demone sogghignante.

Incrociò le braccia al petto e non disse niente, limitandosi a fissarlo con un’espressione da “sei contento ora, bambino molesto?”. Yoichi si avvicinò, la prese per i fianchi e la baciò senza troppo complimenti.

Inizialmente Yoni tenne il broncio, non ricambiando e punzecchiandolo con le dita, ma troppo presto sentì gli effetti degli ormoni che venivano prodotti in grandi quantità ogni volta che quel ragazzo la toccava, e si trovò, sconfitta, a stringerlo a sé e contribuire a quel gioco di labbra.

“Kekekeke!”

“Uff... Che ti prende, stasera?”

“Mi è piaciuto vederti ballare, che male c’è?”

Gli morse un orecchio, con delicatezza per non fargli troppo male.

“Non puoi dirmi semplicemente qualcosa di carino e poi lasciarmi in pace?”

“Nah, troppo facile”

In effetti, lo amava anche per questo. Finì col sorridere, e con il dirgli con voce rassegnata:

“Va bene, hai vinto anche questa volta. Ora mi fai fare la doccia?”

Il sogghigno sul volto del quarterback si allargò, mentre la sua presa su di lei non si mosse di un millimetro.

“Posso farla con te?”

Questa volta fu Yoni a ridere soddisfatta, andando a sfiorare la cintura dei jeans di Yoichi.

“Adesso chi è il prevedibile, Nii-dick?”

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Capitolo 28
*** Towards the next step ***


Il mattino dopo, mentre si stavano radunando tutti fuori, Agon arrivò di corsa con una macchina rubata a chissà chi e senza troppi complimenti ordinò a Hiruma e Kid di salire, rombando via. Ignorando il panico generale di chi era rimasto, Yoni accese l’auricolare del microfono che suo fratello portava sempre in tasca e si mise ad ascoltare la conversazione.

-Umh... È arrivato a minacciarli di morte? Carino-

Dai rumori di sottofondo, riuscì a capire che stavano andando a velocità assurdamente elevata. Presto sarebbe arrivata la polizia, sperava per loro che l’agendina fosse abbastanza gonfia.

-Agon, pezzo di idiota, non funzionerà. Quei due vogliono diventare il numero uno almeno quanto te, con l’unica differenza che loro sono più allenati a combattere per conquistare quel titolo!- pensò, quando ebbe sentito la controproposta di Yoichi di cedere al rasta di merda i trecento milioni del premio.

Agon non capiva; non essendo il suo mondo, non riusciva proprio a comprendere come ci si potesse divertire combattendo fino alla morte per qualcosa. Anche l’unica cosa che non era ancora riuscito a conquistare, ovvero l’andare a letto con lei, non era sufficiente a fargli capire la volontà dei due quarterback che aveva coinvolto in un inseguimento di polizia.

Yoni sospirò, ma dentro di sé sorrise. Le piaceva sentire Yoichi ribadire i suoi sogni, e la luce che aveva negli occhi quando lo faceva. Era pronta a fare di tutto per continuare ad alimentarla.

 

Il loro pullman arrivò quando l’auto pirata era già ferma da un po’, e le macchine della polizia erano già state scacciate dalla semplice immagine del quadernetto nero che Hiruma sventolava.

La squadra giapponese entrò nello stadio diretta agli spogliatoi, e mentre passavano vicino ai giocatori di Militaria, tutti in assetto di guerra, accadde la scena più esilarante che si potesse prevedere.

Il numero 26, che evidentemente ricopriva un ruolo di rilievo nella sua squadra, dopo aver sbraitato contro un suo sottoposto adocchiò Agon, decretò che i suoi capelli lunghi erano un oltraggio anche per una nazione debole come il Giappone, e con un colpo di rasoio elettrico tagliò via un’intera striscia dei rasta che rendevano tanto fiero il Kongo minore.

Momento di gelo per tutti, che già si immaginavano una carneficina in piena regola. Yoni stava per rompersi due costole per lo sforzo di non ridere, ma anche così era davvero faticoso. Era... Semplicemente troppo assurdo. E spassoso. Soprattutto la faccia di Agon.

Stranamente il ragazzo reagì in maniera molto composta, rubando il rasoio e sbarazzandosi del resto dei suoi rasta. Allora Yoichi cominciò a ridere, e a prenderlo in giro per il fatto che adesso somigliava ad Unsui, quindi la ragazza poté nascondersi dietro Kurita e sghignazzare anche lei a dovere. Dei, come avrebbe voluto avere una macchina fotografica!

I giocatori si diressero verso gli spogliatoi per cambiarsi, ma Yoni, ancora ridendo, si attardò per parlare un attimo con il fanatico numero 26.

Questi la squadrò dall’alto in basso, ma non disse niente. Cercando di calmarsi e di farsi passare la ridarella, Yoni lo fissò, ridacchiò ancora, poi inclinò la testa di lato e con un sorriso disse:

“Sai che siete tutti morti dopo questo, vero?”

Gomery, il numero 26, terminò la partita con sei costole incrinate e due rotte. Poté definirsi molto fortunato, visto che era stato atterrato da Gao e Agon contemporaneamente. Militaria venne sconfitta 77 a 0, in una partita che fece sbadigliare Yoni per metà del tempo.

-Uuuh, spero almeno che la Germania sia un po’ più divertente…-

 

Si qualificarono alle finali battendo di dieci punti la squadra migliore d’Europa. Una partita lievemente più movimentata, ma nemmeno troppo. Yoni aveva passato parte del secondo tempo, quando era già chiaro il risultato finale, a disegnare sulla sua tavoletta grafica. Disegnare non le dispiaceva troppo, era un modo come un altro per memorizzare la realtà, magari modificata a piacimento. E poi avere immagini fighe dei giocatori era ottimo quando dovevano fare pubblicità alla squadra, stampare manifesti eccetera.

La parte più emozionante fu quando, a match finito, Bud Walker si lanciò da un elicottero per un’entrata d’effetto che impressionasse la squadra avversaria. Peccato che si risolse in un fiasco, dato che il suo “geniale” piano fu mandato in fumo da un Clifford poco collaborativo.

-Umh, paese che vai, Yoichi Hiruma che trovi- pensò Yoni sogghignando, ripassando le informazioni che già possedevano sul quarterback americano.

 

“Ok, faccio davvero fatica a crederci”

Yamabushi era arrivato di corsa urlando che Gao, Agon e Mr. Don avevano cominciato una rissa. Tutti i giapponesi erano ovviamente corsi a vedere, ma la scena davanti a loro era davvero assurda.

Gao steso a terra con il setto nasale incrinato, Agon con una mano tumefatta, e un’auto distrutta.

Yoni si avvicinò al colosso che giaceva sul pavimento brontolando che si sarebbe rialzato dopo un quarto d’ora di pausa, e si inginocchiò di fianco alla sua testa.

“Voglio controllarti il naso. Posso farlo senza che tu mi morda?”

“Mh. Ok. Fallo smettere di sanguinare, mi infastidisce”

Il colpo era arrivato dritto sulla cartilagine alare frontale. Non sembrava rotto, ma se non veniva rimesso a posto subito sarebbe rimasto storto per sempre, probabilmente compromettendo la respirazione.

“Devo darti un colpo sul naso in modo da rimetterlo a posto prima che si saldi in questa posizione”

“Ah! Non credo ne saresti capace. Ti romperesti una mano”

Poteva essere una spacconata, ma non era sicuro rischiare. Yoni si guardò attorno, osservò i presenti, poi fece un gesto all’asso degli Ojo.

“Shin, puoi venire un attimo?”

Gli indicò il punto preciso, e gli disse quanta forza utilizzare. Ovviamente senza mutare espressione, il ragazzo annuì e assestò un colpo fulmineo sul naso di Gao, che emise un ruggito preistorico che fece schizzare indietro chi gli era vicino. Per fortuna si calmò subito quando sentì che respirava di nuovo correttamente.

Manco a dirlo, si guardò bene dal ringraziare; Yoni si avvicinò ad Agon, che manteneva ancora una faccia stupita.

“Vuoi che dia un’occhiata alla mano?”

“Nah, non ce n’è bisogno. Non è niente”

“Beh, già solo dal colore posso darti torto. Ci servi intero, Agon”

“Ti ho detto che non è niente! Toh, guarda tu stessa!”

Le tese sgarbatamente la mano, che Yoni percorse attentamente con le dita. Non c’era nulla di rotto o incrinato per fortuna, solo un grosso livido, e per quello poteva fare poco. Frugò nella sua borsa, tirò fuori un tubetto di crema antinfiammatoria e ne spalmò alcune gocce sulla mano di Agon, che la lasciò fare stranamente quieto.

Quando ebbe finito, si accorse che si era tolto gli occhiali e la stava fissando con un sorrisetto.

“Hai le mani molto delicate, Yoni-chan. Ti andrebbe di farmi un massaggio, stasera? Ho le spalle un po’ indolenzite...”

“Ci hai provato, rasta di merda. Forza, muoviamoci, abbiamo perso fin troppo tempo qui” interruppe Yoichi, trascinando per un braccio la sorella mentre Agon lo fissava come se avesse voluto fargli esplodere la testa con lo sguardo.

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Capitolo 29
*** Rien ne va plus ***


Quando Yoni vide suo fratello tirare fuori il completo, capì che quella sera sarebbero andati al casinò. Prese anche lei dalla valigia il suo travestimento, ovvero un abito rosso scarlatto privo di maniche, con la gonna lunga su cui erano ricamati dei motivi floreali neri e oro e il collo che si allacciava alla orientale.

“Certo che non è giusto. Voi maschi basta che indossiate una camicia e una giacca, e siete a posto. Noi donne dobbiamo sbatterci un sacco per essere eleganti”

Ci fu un breve “Kekeke” dal bagno, poi Yoichi uscì per lasciarle il posto. Yoni ci mise un po’, ma poi riuscì ad acconciare i suoi capelli indomabili in uno chignon alto sopra la nuca. Era il momento del trucco... Aveva osservato e studiato diversi tutorial su internet, aveva comprato del make-up che si intonasse al vestito, e adesso era il momento della verità. Con tratti lenti e ponderati si spalmò l’ombretto grigio scuro, sfumandolo col nero, poi completò con matita e mascara, terminando l’affresco con una passata di rossetto sulle labbra sottili. Non aveva i buchi alle orecchie, quindi niente orecchini, ma completò l’opera con dei guanti di raso rosso che arrivavano fino al gomito.

“Non dimenticare queste, Nee-shit”

“Ouh... Devo proprio?”

“Se speri che ti facciano passare con le scarpe da ginnastica...”

“Fuck. Ok, da’ qui”

Si era allenata a camminare sui tacchi, ma ancora non le davano stabilità né sicurezza. Per quella sera aveva scelto un paio di décolleté nere non troppo alte, che si sposavano perfettamente col vestito, ma che non la facevano per niente sentire a proprio agio. Fece qualche passo per la stanza per prendere familiarità con quei trampoli e non sembrare un tirannosauro, e nel frattempo il fratello finì di darsi il gel, cambiò gli orecchini, e dichiarò che potevano partire.

 

Seguirono Yamato e rimasero celati, osservando come il ragazzo lanciava la sua sfida e la sua dichiarazione di vendetta contro Mr. Don, colpevole di averlo fatto espellere dalla scuola di Notre Dame anni prima. Il loro appostamento stava andando bene, quando una voce allegra anticipò un uomo di colore dalle spalle larghe e l’aria gioviale.

“Capelli a punta, sei tu! Ahah, ti ricordi di noi? Siamo quelli che ti hanno insegnato il poker alla base militare!”

“Ah, sì, mi ricordo”

“Dai, sii un po’ più emozionato! Sono passati anni! E questa bella signorina è la tua fidanzata? Ah, canaglia, con te evidentemente non vale il detto “fortunato al gioco, sfortunato in amore”, eh?”

Nessuno dei fratelli Hiruma si prese la briga di smentire la cosa, il primogenito si limitò a commentare che stavano rovinando il loro pedinamento. Un po’ stupiti, i due tizi abbassarono la voce, poi chiesero di essere vendicati dato che un altro ragazzino aveva vinto tutti i loro soldi.

Quel ragazzino era nientemeno che Clifford Lewis. In breve, si trovarono tutti attorno ad un tavolo per una mano di Texas Hol’dem. Yoni si era inizialmente piazzata dietro le spalle del fratello, ma appena fece per muoversi Clifford abbaiò.

“Non pensare di far muovere la tua spia, you bloody cheater”

Yoni e Yoichi alzarono in sincronia un sopracciglio, sfottendo amabilmente in coro l’americano.

“Hai già così paura di perdere?”

L’altro non batté ciglio, semplicemente disse “Don”.

Il colossale figlio del Presidente degli Stati Uniti appoggiò le sue enormi mani sulle spalle di Yoni, e con voce suadente disse in perfetto giapponese:

“Resta vicino a me, dolcezza. Vuoi qualcosa da bere?”

Mantenendo il sangue freddo, la ragazza sorrise e rispose “Non bevo, grazie”

“Oh, ma che scortesia. Pensavo che voi giapponesi foste più gentili... Il biondino che non rispetta i più anziani, tu che rifiuti i regali... Questo è molto triste...”

Yoni sapeva che, per quanto preoccupato, suo fratello si sarebbe concentrato sulla partita, quindi azzardò a tirare ancora un po’ la corda.

“Non produco gli enzimi necessari a digerire l’alcool, non è questione di scortesia. È genetica”

“Ma come siamo istruiti” la lodò ipocritamente, non smettendo di sorriderle “Sei così giovane e carina, pensavo andassi ancora alle superiori”

“Così è, Mr. Don. Semplicemente, mi interessa la medicina”

“Ammirevole... Ma triste. La filosofia ci annienta i sogni sull’anima, l’astronomia quelli sull’universo, la medicina quelli sul corpo. Triste, non trovi?”

“Non è necessariamente vero. I sogni possono essere rimodellati, se la realtà non è adatta a contenerli”

Don sorrise, sistemandosi la cravatta.

“Come ti chiami, dolcezza?”

“Di solito non mi chiamo, ma quando gli altri lo fanno usano Yoni”

Il lineman americano rise forte, e in quel momento la sfida di bluff tra i due quarterback terminò. Yoichi lasciò la posta e si alzò, mentre i presenti osservavano esterrefatti, soprattutto quelli che lo conoscevano.

“Piacere di averla conosciuta, Mr. Don. Ora mi scusi, ma devo andare”

Le era venuto spontaneo dare del lei a quello che poteva sembrare tutto tranne che un diciottenne. Il personaggio in questione sorrise e annuì.

“A presto, Yoni... Sei una fanciulla interessante, mi ricorderò di te”

-Devo prenderlo come una minaccia?- si chiese la ragazza, mentre seguiva il fratello e Yamato fuori dal casinò.

 

“E quello cos’era?” chiese Yoni, allarmata dal rumore di muro infranto che proveniva dal piano di sotto. Yoichi, che stava battendo qualcosa a computer vicino alla finestra, gettò appena uno sguardo di sotto e con aria apatica rispose:

“Niente, è solo il cavernicolo che ha sfondato una parete”

La ragazza sbatté un attimo le palpebre, poi decise di alzarsi dal letto. Era tardi, perché la gente non dormiva? Lei si sentiva stanchissima; prima erano andati da Kurita a tenergli la manina come ai bambini, perché era troppo nervoso per la partita del giorno dopo e non riusciva a dormire. Poi erano passati di fronte alla camera di Sena e avevano sentito un urlo, poi la voce di Sakuraba da più in basso, e avevano concluso che andava tutto bene. Finalmente erano in camera loro, ma Yoichi voleva finire di riguardare le ultime cose e dare gli ultimi ritocchi al video introduttivo.

“Quella roba imbarazzante devi per forza proiettarla domani?”

“Kekeke, ovvio, hai fatto un ottimo lavoro, non vorrai sprecarlo...”

“Bah… Cioè, sai che mi diverto un sacco a dare la voce a Minibat, ma l’ultima animazione che mi hai fatto disegnare è davvero grottesca...”

“Cosa? Ma se è la più spassosa! Il nano di merda con il corpo di Gao fa morire, ammettilo anche tu!”

Dovette concedergli che sì, in effetti, riguardando il video informativo, almeno un sogghigno era costretta a farlo. Yoni appoggiò il mento su una spalla del fratello, osservandolo in silenzio mentre si infiltrava nel server dello stadio dove avrebbero giocato, inserendosi nel software che regolava le immagini che apparivano sui megaschermi e caricandovi i propri file.

“Ok, fatto!”

“Ottimo. Vieni a dormire, ora?”

“Non ancora Nee-shit, non ho sonno”

“Yoichi, sono le quattro e mezza”

“Vedo benissimo l’orologio anche da solo”

La ragazza si strinse nelle spalle, scosse la testa e lo lasciò davanti allo schermo, infilandosi per prima sotto le coperte.

“Dieci minuti e arrivo”

“Buonanotte Nii-dick”

“Fuck, aspettami dieci minuti sveglia”

“Nah, spiacente, buonanotte” replicò seria, ma ovviamente quando Yoichi si sdraiò vicino a lei non si era ancora addormentata.

“Sei sveglia?”

“No”

Con un “Kekeke” soddisfatto, il ragazzo si girò su un fianco rivolto verso di lei, mentre Yoni fece altrettanto.

“Sei nervoso per domani?”

“No. So che sarà divertente, e tanto mi basta”

“Ah-ha”

“So anche che vinceremo e umilieremo quei palloni gonfiati a stelle e strisce, ovvio”

“Ah, ecco, ora va meglio”

“Vedi di non dare in escandescenze se Don mi accartoccia un po’, ok?”

Yoni sospirò leggermente; aveva già tenuto in conto i danni che il corpo di Yoichi avrebbe potuto subire, e probabilmente non erano inferiori a quelli della partita contro gli Hakushuu. Ma c’erano alternative? No, ovviamente. Faceva parte del gioco, rischiare il tutto e per tutto fino all’ultimo secondo; il trucco era avere qualcuno a bordo campo a riaggiustarti e la voglia di continuare a lottare.

“Io? Parlane con Mamori. A proposito, non si è ancora dichiarata?”

“No, e mi auguro vada avanti così! Per ogni evenienza, il piano rimane lo stesso”

“Va bene, va bene, ricevuto. Ora dormi, o domani lancerai a suon di sbadigli”

“Agli ordini, dottoressa!” la prese in giro lui, e si girò di scatto voltandole la schiena.

Yoni lo fissò qualche secondo, poi allungò un braccio e cominciò a fargli il solletico sui fianchi e sulla pancia. Il fratello maggiore cercò di rimanere impassibile, ma quella maledetta conosceva bene i punti più sensibili, e presto si ritrovò a ridere e a muoversi velocemente, cercando di bloccarle i polsi e riuscendoci solo dopo un po’ di lotta.

“Beh? Che c’è?” domandò, ancora col sogghigno sulle labbra. Yoni si sporse in avanti e lo baciò, prima di girarsi anche lei dall’altra parte. Il quarterback, nel buio, sorrise.

“Buonanotte Yoni”

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Capitolo 30
*** Flying with the Eagles ***


Lo stadio era per metà divertito e per metà allibito dopo la proiezione del video dei Deimon, ma qualunque emozione venne messa da parte quando le squadre di entrambi gli schieramenti scesero in campo.

La partita, come previsto, iniziò al cardiopalma; Hiruma aveva appena ricevuto la palla, e già Don stava per placcarlo brutalmente. Kurita riuscì a fermarlo, ma ricevette un colpo che lo mandò al tappeto col naso sanguinante. Dovette essere sostituito momentaneamente da Gao, e non erano nemmeno passai cinque minuti.

-Fantastico...- pensò sconsolata Yoni, prima di occuparsi dell’emorragia del grasso lineman. Dovette pure costringerlo a stare fermo, dato che si era tutto ringalluzzito per i complimenti ricevuti dal tirannosauro in forma umana, neanche fosse stata una debuttante al suo primo ballo che viene invitata dal miglior partito della sala.

“Mi ha chiamato amico, Yoni-san! Hai sentito?”
“Ho sentito, ma stai buono, dannazione!”

“Gao-kun... È... È così un onore...”

“Kurita, cazzo, stai fermo o rischio di staccarti il naso!”

Che scene imbarazzanti.

E a proposito di scene, quelle sul campo erano meno imbarazzanti, ma ugualmente tragiche. Sena non riusciva a scollarsi Panther di dosso, sia fisicamente che mentalmente: per un qualche malato motivo, si erano tutti fissati sulla superiorità del ragazzo di colore, per via delle fibre muscolari che quelli della sua etnia possedevano, e questo era diventato una sorta di giustificazione per i fallimenti.

“Dai Sena, corri, muovi quelle gambette, accidenti a te!” urlò Yoni, quasi arrabbiata, mentre Panther placcava Sena a pochissimo dalla linea di meta. Suzuna le si avvicinò con l’aria che aveva sempre quando voleva chiedere qualcosa sentendosi molto intelligente, e la bionda le rivolse un’occhiata che aveva dell’esasperato.

“You-nee” Ecco, per l’appunto “Ma davvero i neri hanno un’abilità innata nella corsa mentre noi giapponesi siamo svantaggiati?”

Yoni sospirò intimamente; in fondo era apprezzabile che si volesse informare, invece di credere in maniera ovina a quello che dicevano in televisione. Non per questo, però, le veniva voglia di spiegarle per filo e per segno la genetica delle etnie e ciò che questa comportava.

“Più o meno. I muscoli di Panther sono effettivamente più adatti, ma... Il fatto che sia di colore non è il fattore rilevante. Sena corre molto più veloce di tutti gli altri ragazzi neri, è Panther ad essere un talento innato”.

La spiegazione sembrò soddisfare i neuroni della piccola capo-cheerleader, e Yoni poté riprendere a guardarsi la partita in santa pace. Toccava agli States attaccare.

 

“Keh!”

Il fatto che persino la combinazione di Agon e Ikkyu avesse fallito non mise di buonumore la torre di controllo del Giappone, che guardò in cagnesco il cosiddetto “quarterback migliore d’America” sfidandolo in un gioco di sguardi torvi e carichi di risentimento... Anche se nulla poteva reggere il confronto con l’aria furibonda che aveva il Kongo minore in questo momento. Furono in diversi a guardarlo con apprensione, consapevoli della pericolosità dell’atleta in quei momenti... Ma Agon semplicemente si rivolse a Gao, che lo ascoltò in silenzio fino alla fine.

Yoni non riuscì a sentire cosa si dissero, ma gli occhi del lineman brillavano di una inquietantissima luce di morte.

-Com’è possibile che improvvisamente mi trovi a provare pietà per Mr. Don?-

 

I primi punti segnati dal Giappone furono ad opera di Musashi, che effettuò un calcio spettacolare dalle 57 yards. Peccato che l’America fosse ancora in testa, e che i tentativi da parte di Gao e Agon di abbattere Mr.Don continuassero a risultare in fallimenti e sentenze filosofico-pessimistiche di quest’ultimo.

-Ok, pietà passata, tutto a posto- pensò la preparatrice atletica dei Deimon, notando come, in qualsiasi situazione, l’espressione del figlio del Presidente degli USA rimanesse quella costante smorfia di compassione.

“Yoni-san, Yoni-san, ho smesso di sanguinare!”

La voce infervorata di Kurita richiamò la bionda dai suoi pensieri: stava osservando il tabellone, che segnava sempre più marcatamente il gap tra i risultati, dopo che anche Shin aveva fallito nel fermare Panther, e che le strategie di Clifford avevano avuto successo.

“E allora muoviti, che fai ancora qui?” gli abbaiò dietro, e il lineman si affrettò a rimettere il casco e correre in campo. Il sollievo negli occhi di Hiruma era quasi palpabile... E presto si trasformò di nuovo nel ghigno che doveva indossare sempre quando faceva qualcosa di azzardato, con parecchi contro e qualche sostanzioso pro. Praticamente sempre insomma, ma non era il caso di disquisire sui dettagli.

-Che cazz... Daaaai, ragazzi, sul serio? Ma vi sembra il caso di gonfiare i petti come dei piccioni? Fate ‘sto dannato Dragonfly e basta!-

A vedersi, Agon e Hiruma erano piuttosto divertenti: ognuno dava più o meno sottilmente dell’idiota all’altro, difendendo le proprie posizioni su quanto Kurita fosse o meno adatto al ruolo. Ma poiché, come sempre, Yoichi aveva ragione, il dio coi rasta dovette farsi domare, e accettare di collaborare come durante i “bei vecchi tempi”.

E si può dire che poche scelte, nella sua vita, furono tanto azzeccate. Quando l’arbitro fischiò la fine del primo tempo, il Giappone era sotto di “soli” 15 punti.

 

“Kekekeke, scommetto che sua altezza reale Clifford non se lo aspettava, un risultato del genere!”

“Mpf”

Agon, nonostante un barlume di soddisfazione avesse brillato nei suoi occhi viola, pareva serio. Guardò Hiruma con aria pensierosa, mentre si dirigevano verso la panchina dove il resto della squadra si stava già recando. Yoni, impegnata a controllare che il naso di Kurita avesse effettivamente smesso di sanguinare in maniera definitiva, colse solo uno stralcio della loro conversazione.

“...Ma come al solito sei spazzatura di poco conto”

-Uh? Un ma? Significa che la prima parte era qualcosa di positivo?-

Diede una pacca sulla spalla al ciccione, già con la testa rivolta altrove.

“Non abbiamo tempo da perdere per chiedere cose che non ci sono state date. Possiamo solo trovare il modo migliore per combattere con ciò che abbiamo, e continuare per tutta la vita”

Quando quel demone diventava filosofico, Yoni non poteva fare a meno di guardarlo ammirata, senza nemmeno provare a dissimulare la cosa. Il fratello se ne accorse, le fece un sogghigno in risposta, poi andò verso la manager che distribuiva bottiglie d’acqua fresca.

Ci fu chi si azzardò a fare dei complimenti ad Agon per aver imparato qualcosa ed essere migliorato, cosa che nessuno credeva possibile visto il livello del Kongo minore, sia in abilità che in fancazzismo. E infatti, la sua risposta fu un poco credibile “Non rompete fottuti maniaci delle sfacchinate, lo faccio solo per il premio”.

“Ah-ha”

Yoni non era riuscita a trattenersi; in piedi, con le braccia pigramente incrociate sul petto, osservava Agon con un sogghigno mentre questi la fulminava.

“Che cazzo hai detto?”

“Io? Nulla” fece spallucce lei, facendo per voltarsi, ma i rasta stavano già ondeggiando pericolosamente verso di lei.

“Pensi che mi stia divertendo, in mezzo a questo cumulo di merda?”

Si riferiva al resto della squadra, ovviamente. Yoni non mutò il sogghigno, e rispose:

“Oh, sì. Ti ho pure visto ridere, prima, in campo”

Per chissà quale ragione, si trovò il naso di Agon a meno di due centimetri dal proprio, con gli occhi che la fissavano incarogniti. Sembrò ponderare a lungo, anche perché, nonostante non gradisse quella vicinanza, Yoni non si era spostata di un millimetro e non aveva battuto ciglio. Era pronta a scansarsi se avesse tentato il giochetto del bacio, ma alla fine il ragazzo sogghignò a sua volta.

“Se vinciamo ti metti con me?”

“Se non vinciamo te lo metto in culo, vedila così”

La risposta pronta provocò un eccesso di risate nell’altro, che si allontanò facendole un sorrisetto poco rassicurante prima di rimettersi il casco.

 

“ALLACCIATI QUEL CAZZO DI CASCO, NII-DICK!”

Possibile? Possibile che si slacciasse anche quando a fare i blitz era Panther? Yoni aveva controllato mille e mille volte l’attrezzatura, ma le cinghie e le fibbie stavano benissimo. Eppure, ogni volta che entravano su Yoichi, il suo casco volava via.

Comunque, c’era voluto l’intervento di Agon, Sena e Shin, ma alla fine anche sua altezza di 'sti cazzi Clifford Lewis aveva subito un blitz. Erano soddisfazioni, almeno per chi guardava dalla panchina.

Certo, nulla avrebbe potuto eguagliare la tattica geniale di Mizumachi per far sì che Agon battesse il cinque a Shin e Sena, ma un bel touchdown era sempre gradito.

 

“Time out!” urlò l’arbitro, su richiesta della squadra americana; anche i nipponici ne approfittarono dunque per riprendersi un attimo, fare il conto dei feriti e mettere a posto le idee.

Di grave, nel senso relativo del termine, c’era Shin: il suo legamento crociato posteriore era stato danneggiato dall’impatto con Mr. Don, e Yoni lo fissò a lungo, tastandolo con prudenza.

“Puoi farci qualcosa?” chiese Sakuraba, la cui attenzione quasi maniacale verso il senpai aveva, per l’appunto, un che di maniacalmente inquietante.

“Forse...” borbottò la ragazza, poi premette due punti dietro il triangolo popliteo (la parte posteriore del ginocchio, esattamente dietro la rotula) e si vide Shin strabuzzare per un istante gli occhi... Finendo poi a guardarsi la gamba con fare perplesso.

“Ti fa ancora male?”

“No” fu la monosillabica risposta del monoespressivo giocatore.

“Bene. Sciò, ora. Chi altro si lagna di qualcosa?”

Spostò gli occhi da uno all’altro, finché non si fece avanti Gao; il colosso indicò la sua faccia, completamente tumefatta dai tocchi poco aggraziati della sua arcinemesi, e con un brontolio cavernoso chiese:

“Mi sistemi? Con l’occhio gonfio vedo male, e il casco stringe troppo la mascella”.

Yoni si trattenne dal ridere, perché la richiesta e il soggetto avevano un che di grottesco, e si limitò ad un cenno affermativo. Fece sedere Rikiya di fronte a sé, e con una serie di tocchi rapidi e massaggi veloci riuscì in qualche modo a far rientrare i gonfiori che rendevano il lineman ancora più spaventoso del normale.

“Mh? Che vuoi?”

Si era scoperta a guardarlo negli occhi, interessata da quello che ci aveva trovato. Sogghignò e rispose:

“Niente, bestiaccia. Vai e distruggi”

Ricevette in cambio un ghigno disumano, mentre la luce nelle iridi del tirannosauro si intensificava. Yoni aveva visto giusto, il bestione si stava divertendo come un matto a scalare quella vetta insuperabile che era Mr. Don... E non vedeva l’ora di arrivare in cima per poterla fare a pezzi e provocare una valanga. Perché se non sono violenti agli Hiruma non piacciono.

Il touchdown successivo fu segnato da Sakuraba, grazie ad un passaggio di Takami che definire alto sarebbe stato riduttivo. La difesa poi riuscì a muoversi bene, galvanizzata dalle recenti piccole vittorie personali...

...Ma poi Shin dovette fermarsi, perché nonostante le sue dita fossero magiche Yoni non poteva fare miracoli. E il legamento era davvero rovinato.

Certo, quel testone sarebbe entrato in campo comunque, a costo di rimetterci una gamba, ma per fortuna i suoi compagni lo dissuasero da tale follia; Yoni era già pronta a spiegargli come e in quanto tempo venisse ricostruito un legamento crociato, con tanto di dettagli tecnici sull’operazione, ed era sicura che avrebbe avuto un effetto non troppo positivo sulla risolutezza del Cavaliere degli Ojo.

Era il momento di un cambio inaspettato. Era il momento di Rui Habashira.

 

“Yoni-sa... Yoni. Ma tu lo sapevi che l’uomo mascherato era Habashira-san?”

“Tu che dici, Mamori?” fu la risposta, accompagnata da uno sguardo di sbieco

“Perché non l’avete detto a nessuno?”

La bionda si strinse nelle spalle con fare noncurante, decidendo di non rispondere. Sapeva mantenere i segreti, per quanto discutibili fossero, e non aveva intenzione di tradire Rui, nemmeno con una persona dall’animo puro come la manager dei Deimon.

“...Perché altrimenti quei culi pesi dei suoi compagni si sarebbero stravaccati a non fare niente”

Ecco, per fortuna che Nii-dick era un maestro nel prendere per i fondelli la gente, farla caricare a mille, e mandarla in campo con lo spirito al massimo. Gli occhi di Rui incontrarono per un attimo quelli di Yoni, e la ragazza alzò impercettibilmente gli zigomi in quello che il leader dei Chameleon interpretò come un sorriso incoraggiante. Entrò quindi in campo piuttosto baldanzoso, mentre Yoni si lasciava sfuggire il pensiero formulato pochi istanti prima, in un flebile sussurro.

“Ti ammazzeranno, Rui”.

 

E infatti, a due minuti dalla fine, il povero Habashira non riusciva più a reggersi in piedi. Shin gli fece da sostegno fino alla barella, dove Yoni già l’aspettava con l’aria impassibile e le braccia conserte.

“Yoni... Hime...”

“Taci. Manda giù questo”

Gli porse un bicchierino con dentro una polverina bianca molto sottile, quasi impalpabile. Senza preoccuparsi troppo del contenuto, Rui la buttò giù in un colpo solo, chiedendo solo in seguito cosa fosse.

“Cocaina”

Gli enormi occhi dell’Habashira la fissarono attoniti, chiedendosi se stesse davvero scherzando.

“Zucchero a velo, cretino. Il corpo lo assorbe molto più velocemente, e dato che sei riuscito a non avere un collasso cerebrale fino a questo momento, gradirei tu restassi vivo un altro po’”

Rui, a forza di frequentare gli Hiruma –suo malgrado-, aveva imparato a masticare un po’ del loro linguaggio. Tradotta, la frase di Yoni poteva diventare qualcosa come “Sei stato bravo, ora riposati”; cotanta dolcezza fece ridacchiare l’Habashira, che si beccò un’occhiataccia della bionda e poi si decise a rilassarsi, concentrandosi sul respirare regolarmente e guardare gli ultimi minuti del match.

I telecronisti la chiamavano “Sacra Trinità”: si trattava della combinazione perfetta tra tattiche, forza e velocità, e rendeva il football americano lo sport meraviglioso che tutti loro amavano. E forse, fu proprio tale Triade divina a concedere al Giappone di pareggiare con gli Stati Uniti, senza bisogno dei tempi supplementari.

“Eeeeh? Vittoria per entrambi?”

Yoni non ci poteva credere; d’accordo, doveva ammetterlo, non ci sperava più in una vittoria... Ma addirittura una cosa da “Bravi tutti, vince lo sport”? Assurdo.

E infatti, a nessuno dei giocatori pareva piacere una cosa simile; gli americani non volevano ammettere una tale umiliazione, i nipponici non volevano darsi per vinti a pochi passi da una possibile vittoria.

 

“Beh?”

Yoni li guardava con le mani sui fianchi, lo sguardo scazzato, e una sfumatura ironica nella voce.

“Cosa?” fu la risposta distratta di qualcuno

“Devo essere io a dirvi di andare dagli arbitri e riferire che non accettate un risultato del cazzo così?”

Monta alzò lo sguardo, e per una volta parve esserci un barlume d’intelligenza nei suoi occhi. Sena stava cominciando a recuperare le speranze. Yoichi sogghignava, e diede la sua silenziosa approvazione.

“Mamori! Con me!”

“Eh?”

La povera manager venne trascinata per un braccio in mezzo al campo, fino a raggiungere la panchina avversaria; gli americani guardarono le ragazze perplessi, finché la bionda non pose l’altra davanti a sé e fisso Mr. Don con aria decisa.

“Forza Mamori, diglielo”
“Eh?” ripeté la ragazza, desiderando sprofondare nell’erba e non uscirne più.

“Digli che non accettiamo un pareggio, e che se anche loro sono d’accordo chiederemo agli arbitri di proseguire”
Vide un ghigno soddisfatto aprirsi sulle labbra del figlio del presidente, imitato ben presto dal resto della squadra. A parte Clifford, che voleva mantenere la facciata di principino con un ghiacciolo su per il colon, e Panther, che era troppo buono e puro per ghignare.

“Uh... Ecco... Sì, come ha detto lei...” balbettò Mamori, che aveva capito il piano della Hiruma, ma si sentiva comunque intimidita dalle figure degli americani.

Don rise, appoggiando le mani sugli enormi fianchi, poi guardò Yoni negli occhi con palese soddisfazione.

“Non c’è bisogno di scomodare gli arbitri, signorine”

 

Nello stupore dell’intero stadio, entrambe le squadre si riallacciarono i caschi e rientrarono in campo.

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