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di spiritodellaspada
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Uccidi o muori ***
Capitolo 2: *** Pensieri ***
Capitolo 3: *** Proposte ***
Capitolo 4: *** Dubbi ***
Capitolo 5: *** Addio ***



Capitolo 1
*** Uccidi o muori ***


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Scegli.

Ora.

Uccidi o muori.

Uccidi o muori.

Uccidi o muori.
 

Uccido. Scelgo di essere un assassino.
È così.
Tutti fanno così.
È giusto così.
Così deve essere.

Lei, ancora tra le mie braccia, esala l’ultimo respiro. Perde le forze e la lascio accasciarsi a terra. Ecco. Sono un sopravvissuto. Oggi.
Non sono più un “Non ancora morto”.
 
Guardo il palmo della mia mano destra. La scritta rossa che è apparsa non lascia dubbi. L’ho uccisa. Ma non importa. Tanto sarebbe morta presto. Le mancava poco. Sul palmo la luminosa scritta rossa sembra scomparire lentamente. Non dimenticherò mai questo momento. Il passaggio da “Non ancora morto” a sopravvissuto. Il passaggio da puro ad assassino. Non dimenticherò mai il suo viso da bambina. Non dimenticherò mai il suo corpo privo di vita steso a terra. Non dimenticherò mai il palmo della mia mano con su scritto:  +1
 
Jen e Kima mi corrono incontro urlando e festeggiando. Altri miei amici applaudono a gridano qualcosa. Sono per la maggior parte  “Non ancora morti”. Ho un sacco di amici, ma quelli veri sono Jen e Kima. Jen è più piccola di tre mesi rispetto a me. Kima è ancora neonato, ma non lo sarà per molto, fra qualche settimana sarà il suo compleanno: compirà quindici anni e diventerà anche lui un “Non ancora morto”. Jen mi si butta addosso come fa sempre, io come sempre non sono minimamente in grado di reggerla. Kima la imita e finiamo tutti e tre per terra. Nel frattempo si è radunato qualcuno accanto al cadavere di…come si chiamava? Non me lo ricordo.  In fondo la conoscevo solo di vista. È venuta da me. Mi ha fatto vedere il palmo della sua mano, le mancavano dieci ore. Già, quando ti manca un solo giorno di vita ti appare il conto alla rovescia sulla mano. Parte da ventiquattro ore. Quando arrivi a zero, sei morto. Io le ho detto che mi dispiaceva e che non potevo darle nulla. Lei si è messa a piangere e mi ha detto che voleva darmi il suo anno. Dovevo scegliere. Ho scelto di sì. Ed è morta, o meglio, l’ho uccisa.

«Diavolo, Lime! Potevi essere anche un po’ più passionale eh!» mi dice Jen.
Ehm… sì, Lime è il mio nome. Si pronuncia “laim”, come il frutto. E…no. Non potevo essere più passionale.
«Jen, madonna, è diventato un sopravvissuto e tu vai a guardare come bacia? Diventi ogni giorno più perversa.» ribatte Kima.
«Lo dicevo per la ragazza eh. Siete voi che siete insensibili!» dice lei ridacchiando.
«Allora, sopravvissuto, come ti senti?» mi chiede Kima con un sorriso.
«…normale.»

Non mi sento diverso dal solito. Cioè, forse dovrei. Ho baciato una ragazza per la prima volta. Uhmm. Forse non mi ha fatto molto effetto perché qualche secondo dopo me la sono ritrovata morta ai miei piedi. Probabile. Ho ucciso qualcuno per la prima volta. Boh. Non sento niente in particolare. Dovrei essere felice. Sono un sopravvissuto. Ti chiamano così quando ottieni il tuo primo anno di vita. Funziona così. Tutti quelli che non hanno ancora compiuto quindici anni sono chiamati neonati. Io li ho compiuti sette mesi fa. Dal momento in cui li compi hai in dotazione un anno di vita. In quell’anno devi trovare qualcuno che ti ami. È così che il tempo passa da una persona all’altra. Se qualcuno è innamorato di te, baciandoti morirà. A volte capita anche con un abbraccio. Insomma, serve del contatto fisico. Quindi, per sopravvivere devi trovare qualcuno che ti ami a tal punto da morire per te. Il tempo che ricevi uccidendo qualcuno varia in base alla durata vitale dell’innamorato. Nel mio caso alla ragazza mancavano poche  ore. Per cui ho ricevuto un anno. Nel caso in cui avesse avuto un anno di vita, ne avrei ricevuti tre. Se ne avesse avuti  tre, cinque. E così via. Per i numeri intermedi si arrotonda per eccesso o per difetto. Per esempio se una persone possiede due anni e mezzo, essi varranno come tre, poiché sono più vicini al tre che all’uno, per cui il ricevente acquisterà cinque anni.
Abitiamo nella “periferia”.  Chi riesce ad acquistare dieci anni di vita ottiene il diritto di andare in città. Qui, fra noi poveri, i sopravvissuti al primo anno di vita sono pochissimi. Per questo si chiamano sopravvissuti, per questo quelli che non hanno ancora trovato nessuno che li ami si chiamano “Non ancora morti”, perché moriranno quasi sicuramente. Quando superi il primo anno e diventi sopravvissuto, cominci ad avere qualche possibilità in più. Voglio dire, quanti quindicenni ci sono disposti a dare la vita per un altro? Pochissimi, se non nessuno. Gli unici casi in cui si sopravvive al primo anno sono le coincidenze. Come la mia. È capitato che la ragazza stesse per morire. Io le piacevo e invece di morire da sola ha preferito darmi il suo anno. Ma solo perché sarebbe dovuta morire comunque, dubito che se le fosse mancato più di un anno si sarebbe lasciata uccidere da me. È per questo che più tempo manca alla tua vittima, più tempo ricevi. Per avere qualcuno che si lascia uccidere con più di un anno di vita, devi averlo fatto proprio innamorare. E per questo ricevi più tempo. Insomma, se vuoi sopravvivere, devi trovare qualcuno che sia disposto a dare la sua vita per te. Io ce l’ho fatta. Sono sopravvissuto, ma a volte penso che mi sarebbe convenuto di più rifiutare il suo anno e aspettare di morire.

Qualcuno sta piangendo sul corpo della ragazza. Chissà perché si era innamorata di me.  Mah. Non voglio vedere tutti i suoi amici piangere perché l’ho uccisa. Io non ho fatto nulla di male. Sarebbe morta entro poche ore. Anzi, è morta realizzando il suo sogno d’amore. Va bene così.
«Andiamo.» dico camminando dalla parte opposta a quella dove si trova la ragazza.
«Dove?» mi chiede Kima prendendomi sotto braccio.
«Ovunque, lontano da qui.» 



Ciao a tutti, innanzitutto grazie per aver letto questo capitolo. Vorrei chiarire alcune cose riguardanti la mia storia. L'idea originale a cui mi sono ispirata non è mia, ma del film "In time". Chi l'ha visto potrebbe trovare degli aspetti in comune, tuttavia ho pubblicato la storia fra le originali perchè solo l'idea degli orologi è tratta dal film, tutto il resto come personaggi, trama e tutto è inventato da me. La differenza fondamentale fra il film e la mia storia è che nel film, a differenza di come spiegato in questo capitolo il tempo passa senza problemi per chiunque da persona a persona, mentre nella mia storia i sentimenti svolgono il ruolo centrale. Spero di essere stata chiara, se trovate delle analogie o differenze che vi lasciano perplessi chiedete pure ;)
Ho intenzione di pubblicare un capitolo a settimana. Non ho ancora finito la storia ma sicuramente non sarà corta, penso anche più dieci capitoli, quindi buona lettura e grazie! Al prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Pensieri ***


Passano ore, giorni, settimane. Un lento ed inesorabile scorrere di Tic-tac che si susseguono senza sosta, senza pietà.
Il mio appartamento è piccolo e povero di tutti i comfort di una bella casa, ma pazienza, ha un letto comodo, acqua calda ed elettricità, il che non è scontato. Per fortuna invece Jen ha una bella casa, non che sia una villa, ma è accogliente . È lì che passo la maggior parte della mia giornata. Dopo i rispettivi lavori io, Jen e Kima ci riuniamo lì e proviamo a fingere che la nostra infanzia non sia mai finita, proviamo a far sì che tutto rimanga come era allora, quando eravamo all’orfanotrofio. Erano giorni davvero felici quelli, non che adesso stia male, ma quando ho compiuto quattordici anni e mi hanno assegnato una casa mia e mi sono trovato a dover arrangiarmi da solo, non è stato facile. Poi ho compiuto quindici anni e sono diventato un “Non ancora morto”. Quel giorno è stato orribile, segnava definitivamente che il tempo delle risate e degli scherzi era finito, e bisogna crescere in fretta qui, se non vuoi morire. Una volta diventato “Non ancora morto” non ho più ricevuto i soldi dall’orfanotrofio e mi sono ritrovato faccia a faccia con il mio destino. Per fortuna Jen è arrivata subito dopo di me, e un anno dopo anche Kima. Anche a loro sono state assegnate delle case, anche loro hanno trovato un lavoro, anche loro ora devono guardare avanti. Ma non credo che nessuno di noi abbia voglia di farlo, non io almeno. Non voglio sentire parlare di morte, non voglio pensare a quanto poco tempo ci rimane, voglio solo stare con loro due, ridendo e giocando come bambini, come i bambini che non possiamo più essere.

Kima è diverso. Lo vedo, lo sento. È qualche giorno che sembra addirittura evitarmi…non so perché. Forse perché sta per compiere quindici anni…forse perché se Jen non riesce a trovare qualcuno da uccidere morirà fra poco…non voglio pensare a tutto questo. Voglio che Jen sia allegra e vivace come sempre, voglio che Kima sia affettuoso e amichevole come al solito, nonostante sappia  che è pretendere troppo, nonostante sappia che è ingiusto che io che sono diventato un sopravvissuto pretenda che Jen e Kima mi tirino su il morale, nonostante sappia che sono loro a essere in pericolo, nonostante tutto questo, voglio che loro siano come sempre, perché io ho bisogno di loro.                                                     
All’improvviso mi rendo conto che mi sono di nuovo lasciato trasportare dai pensieri e che non sto ascoltando quello che Jen sta dicendo. Mi accorgo  solo ora che ho fissato Kima per tutto il tempo, lui se ne sta seduto scomposto, con la testa retta dal braccio, col gomito appoggiato sul tavolo, con gli occhi fissi su di me. Non dice nulla e continua a guardarmi con un’espressione indecifrabile, io non dico nulla e penso che tutto questo non mi piace. Perché non ha detto nulla quando si è accorto che lo fissavo? Al contrario, quasi per ripicca, se ne sta muto e mi guarda dritto negli occhi. Non è la prima volta che passiamo un po’ di tempo a fissarci negli occhi, ma erano situazioni diverse. Momenti speciali in cui eravamo solo io e lui, momenti in cui mi sentivo felice e allora lo guardavo negli occhi, incapace come al solito di esprimere qualsiasi mio pensiero a parole, e sorridevo, cercando di comunicare solo la mia testa sa cosa, e lui allora ricambiava lo sguardo e il sorriso senza dire una parola, non che non fosse in grado di esprimersi, certo, Kima è molto più bravo di me con le parole e riesce sempre ad esprimersi chiaramente, ma perché pensava che non ci fosse nulla da aggiungere, ci guardavamo, ci sorridevamo e basta, e così ho sempre cercato di dirgli che è l’amico migliore che abbia mai avuto, e che non ho bisogno d’altro, se non della sua amicizia. Non ho mai capito cosa lui volesse dirmi, ma il suo sguardo sembrava fatto a posta per ricambiare il mio, come a dire “Qualsiasi cosa tu stia pensando, bè, anch’io”. E questo mi ha sempre reso felice.                                                                                                        
Adesso invece, in questo modo mi irrita soltanto e mi viene voglia di alzarmi, piantarmi davanti a lui e dirgli “Bè? Sei hai qualcosa da dire dilla!” Quest’ultimo pensiero mi fa irritare ancora di più quando realizzo che probabilmente dovrebbe essere lui a dire questo a me, visto che sono io che ho cominciato a fissarlo. Bah, sbuffo e lascio andare lo sguardo altrove.
«Qualcuno qui dentro mi sta ascoltando?» chiede Jen sentendosi ignorata.
«Certo Jen! È interessante, dai continua.» ribatte Kima con il tono di qualcuno che è stato accusato più che ingiustamente.
Bugiardo, non stavi ascoltando una parola. E mi spunta sulle labbra un sorrisetto divertito. Lui ricambia con un altro sorriso complice  che quasi mi farebbe scoppiare a ridere, poi mi ricordo che sono arrabbiato con lui e comincio ad ignorarlo riprendendo a vagare tra i miei pensieri, questa volta assicurandomi di fissare un punto a caso della stanza.





Ok, scusate per il ritardo. Problemi con la connessione internet, ma d'ora in poi rigorosamente un capitolo a settimana, nel caso siano corti (tipo questo) ne pubblicherò due in una settimana. Grazie per aver letto questo capitolo. Lasciate pure commenti, idee, perplessità ed insulti nelle recensioni. Adiosss

 

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Capitolo 3
*** Proposte ***


Kima diventa un “Non ancora morto”. Quando compi quindici anni sei sempre indeciso se festeggiare o chiuderti in camera tua e sentirti un condannato a morte. Lui preferisce festeggiare. Spero solo di vederlo vivo quando compirà sedici anni, ma una volta arrivato a quest’età  devi abituarti all’idea che non rivedrai più i tuoi amici. Nella migliore delle ipotesi perché moriranno tutti, scaduto il loro anno in dotazione, nella peggiore perché sarai tu a morire, una volta scaduto il tuo. Quindi…non dovrei essere così affezionato a Kima, ma d’altronde qui gli amici sono gli unici da cui puoi ricevere un po’ di affetto e calore umano. Nessuno ha i genitori vivi. Quindi, se vuoi un abbraccio ti serve un amico.

Sta parlando con dei tizi che gli augurano buon compleanno, io me ne sto seduto accanto a Jen a bere un bicchiere di succo finché una ragazza si avvicina e mi chiede:
«Ci fidanziamo?»
Panico.
«No.» rispondo. È la prima volta che qualcuno me lo chiede. In fondo ormai ho quasi sedici anni. Comincio a non sembrare più un ragazzino.
«Perché le hai detto no? Era carina!» mi dice Jen che era seduta accanto a me.
«Perché…no…non la conosco…» dico arrossendo.
«AHAHAHAH!» si fa una risata di quelle epiche. Ed ha pure ragione, anche io avrei riso. Cioè, il fidanzamento si chiama così proprio perché i due non si conoscono. Perché quando arrivi ad una certa età ci sono due modi per non avere delle carenze di affetto. Perché con ampie probabilità i tuoi amici di infanzia sono morti. I tuoi parenti non li ha neanche mai conosciuti. Se ami qualcuno senza che ti corrisponda e lo sfiori rischi di rimanerci secco. Quindi, o trovi qualcuno che corrisponda il tuo amore o ti fidanzi. Nel primo caso diciamo che sei fortunato. Se qualcuno corrisponde il tuo amore puoi farci quello che ti pare. Nessuno morirà. Neanche volendo. Finchè non scade il tempo di uno dei due, ovvio. Quando due si innamorano e si mettono insieme si dice matrimonio. Se non trovi nessuno che ti ricambi, allora o ti rassegni e vivi le tue carenze di affetto, o ti fidanzi. Si dice fidanzamento quando ti metti insieme a qualcuno che semplicemente… non ti fa schifo. Se vedi qualcuno che ti piace gli chiedi se si vuole fidanzare e basta. Fine. Non sarà l’apoteosi del romanticismo, ma gli esseri umani ne hanno bisogno. Detto questo, dire di no alla sua proposta perché non la conoscevo è totalmente insensato. Perché è normale che due fidanzati non si conoscano.
«Tu sei proprio strano eh!» mi dice Jen cercando di smettere di ridere.






Ok, ok, il capitolo è indicibilmente corto. Potrei pubblicare questo pezzo ed il continuo insieme, ma si suppone che fra un capitolo e l'altro passi un po' di tempo, quindi pubblico il pezzo successivo nel prossimo. Questi capitoli sono di introduzione, quelli che verranno saranno più corposi, non temete. Detto ciò, grazie per aver letto questo capitolo e alla prossima!

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Capitolo 4
*** Dubbi ***


I mesi passano. Jen è nella fase: “Trova qualcuno da uccidere. Chiunque.”  Le mancano pochi mesi. Deve trovare qualcuno. Io e Kima passiamo il tempo a cercare potenziali prede per lei. Sinceramente è orribile cercare qualcuno da uccidere, ma se non vuoi morire, devi farlo. Io non l’ho fatto. L’occasione mi è capitata senza cercarla, ma non sono tutti così fortunati.                                       
Il giorno del mio sedicesimo compleanno, compleanno che in pochi riescono a festeggiare, a Jen mancano tre mesi. Non riesco neanche a festeggiare in modo decente. Lei sta uno schifo. Kima non sa che fare. Io non so che fare.
Tra l’altro le cose con Kima sembrano peggiorate, e non ho la più pallida idea del perché. Cioè, a parole è come al solito, amichevole, divertente e tutto, è il suo comportamento che è diverso. Ogni santa volta che mi avvicino per abbracciarlo è un trauma. Fa una faccia infastidita, mi scansa, e ha caldo, e non gli va, e questo, e quello, e duemilasettecento altre scuse senza senso. Non so cosa pensare. Cioè se non gli piace che lo tocchi basta dirlo, però diamine, non mi pare gli abbia mai dato fastidio come cosa. Mi pare che gli sia sempre piaciuto abbracciarmi, né mi ha mai respinto quando mi appiccicavo a lui tipo piovra. Voglio dire, siamo cresciuti insieme, vivo con lui e Jen da quando ho memoria, loro sono praticamente la mia famiglia, è sempre stata una cosa normale abbracciarci. E adesso è una cosa problematica…davvero non lo capisco. Gli ho chiesto più volte se era arrabbiato con me…se avevo fatto qualcosa di sbagliato. Ma dice sempre no, che non devo preoccuparmi, che è un periodo un po’ così, e allora mi passa una mano sulla testa accarezzandomi i capelli, mi dice di stare tranquillo e mi tiene la mano per un po’. Il che da una parte mi dà un bel sollievo e una piacevole sensazione, dall’altra mi fa arrabbiare ancora di più perché sembro il suo cane a cui dà un contentino. Dio, a volte ho voglia di picchiarlo. Non mi pare normale che devo supplicarlo per farmi tenere la mano e lemosinare un paio di carezze. Io voglio stargli vicino perché è il mio migliore amico e gli voglio bene, non è che mi sta facendo un favore. Non lo so. Tra l’altro  con gli altri è come al solito, ma con me non più. Forse è perché a Jen manca poco. Forse a lui un po’ piace. Non so. Ho paura che lui le dia la sua vita. Non voglio rimanere senza Kima. Ma neanche senza Jen. Non avrei  il coraggio a scegliere, ma poco importa. Questa non è una decisione che devo prendere io.





Bene, con questo dovrebbero terminare i capitoli indicibilmente corti xD. Alla prossima settimana per un nuovo aggiornamento!
 

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Capitolo 5
*** Addio ***



Jen sta fissando con gli occhi sbarrati il palmo della sua mano. Undici ore e venti minuti. Questa è la vita che le rimane.
Non ho la più pallida idea di come faccia Kima a non desiderare di scappare il più lontano possibile. Perché è questo che vorrei fare io. Uscire dalla sua stanza, correre fino a casa mia, nel mio letto, infilarmi sotto le coperte, addormentarmi e non svegliarmi mai più. Fisso il vuoto mentre Jen scoppia a piangere. Benedico ogni santo per l’esistenza di Kima. Lui la consola, l’abbraccia, le dice cose rassicuranti. Io sono in preda al panico, non riesco a dire una parola e vorrei solo piangere almeno quanto lei. Non sono forte. Non ce la faccio. Non ci riesco. Non sopporto tutto questo. Di solito, per noi ragazzi di periferia, il massimo della dignità è morire senza fare pianti o scenate. E il bello è che quasi tutti ci riescono. Sono pochi i casi in cui si vedono ragazzi impazziti che vanno ad infastidire gli altri in un ultimo e disperato tentativo. Ma c’è poco da fare. Se ci fosse stato qualcuno disposto a dare la sua vita per Jen, si sarebbe fatto vivo sapendo che sta per morire, ed è impossibile non saperlo. Ogni sera annunciano al telegiornale le morti avvenute e quelle previste per i giorni successivi. Chiunque sa che Jen sta per morire. Nessuno la vuole salvare. Fra undici ore morirà.                                                        
Kima tenta di convincerla ad uscire e godersi i suoi ultimi momenti. Propone di mangiare qualcosa. È più bello morire a stomaco pieno, no? Ma tanto si sa: se sai che stai per morire non ti va né di mangiare né di fare qualsiasi altra cosa.
Dopo qualche ora la convince a stendersi a letto. In effetti, visto che è nata alle cinque del mattino può addormentarsi e…semplicemente non svegliarsi mai più. Probabilmente non si addormenterà subito, ma abbiamo dieci ore a disposizione per favorire il sonno. Kima e Jen si infilano sotto le coperte e incominciano a parlare di qualche cosa che non riesco a capire. Mi sento intontito. Ho gli occhi velati di lacrime. Queste sono le ultime ore di Jen e non riesco a fare nulla. Ogni movimento mi costa uno sforzo immenso. Non sono mai stato più di un giorno senza Jen. Ora dovrò starci un anno intero.  Quel maledetto anno che ho sottratto a quella ragazza. E poi sarà la volta di Kima. Se non trova nessuno morirà fra cinque mesi, quattro mesi prima di me. E io con chi starò? Chi mi starà vicino?
«Lime, vieni anche tu…» mi dice Kima. Ha ragione. Dovrei stare anch’io vicino a Jen, ma non ce la faccio. Porto a raccolta le mie ultime forze per infilarmi sotto le coperte accanto a lei. Lei riscoppia a piangere, io la seguo a ruota. Non ho mai conosciuto qualcuno forte come Kima. Non solo riesce a confortarla, ma la distrae parlando. Saltano fuori vecchi ricordi. Tempi andati che non torneranno mai più. Ricordi felici. Io e Jen che correvamo per i prati. Io che insegnavo a Kima l’alfabeto. Jen che passava il tempo a raccogliere tutti i fiori del prato e poi li regalava a tutti i suoi amici. Era bello quando eravamo piccoli. Quando non dovevamo avere paura. Ogni secondo era un secondo in più, non uno in meno. Jen abbraccia forte prima me e poi Kima, ringraziandoci per tutto quello che abbiamo fatto per lei. Kima risponde con delle parole bellissime sulla nostra amicizia e tutto il resto. L’unica cosa che esce dalla mia bocca è un gemito di dolore. Alla fine Jen si addormenta. Le mancano ancora cinque ore. I muscoli mi fanno male. Ho bisogno di muovermi, ma non voglio in alcun modo rischiare di svegliarla. Nel caso in cui non si svegli più, terrò a mente le sue ultime parole: «Ci siamo diverti un sacco noi tre, vero?» Le ha dette in un sussurro, con le lacrime agli occhi, ma con un sorriso. Continuo a guardarla mentre dorme. Mi focalizzo sul suo orologio e faccio il conto alla rovescia insieme a lui. Lo faccio per mezz’ora, poi smetto perché mi viene sonno. Mi addormento e mi risveglio qualche ora dopo.
Adesso le mancano sette minuti. Sta ancora dormendo. Kima fissa il soffitto della camera di Jen. Forse mi sbagliavo. Se davvero gli fosse piaciuta le avrebbe dato la sua vita. In fondo neanche a lui manca tantissimo.  
Sei minuti. Jen dorme come una bambina. Non sembra star facendo brutti sogni. È meglio morire nel sonno.
Cinque minuti. Kima si gira, per un attimo incrocio i suoi occhi e ricomincio a piangere in silenzio. Forse quello che verrà distrutto dalla perdita di Jen sarò io.
Quattro minuti. Vorrei essere io a morire. Morire e basta, senza dover affrontare tutto questo.
Tre minuti. Sicuramente qua fuori ci saranno già gli addetti al cimitero. Ci lasceranno qualche minuto per salutarla e la porteranno via. Non la rivedrò mai più.
Due minuti. Mi concentro sul suo respiro, sul calore del suo corpo. Tutte cose che non sentirò mai più. La fisso e mi accorgo di particolari che non avevo mai notato. Piccole lentiggini sulle guance, un minuscolo neo vicino al naso.
Un minuto. È la fine. Provo a imprimere nella mia testa l’ultima immagine di Jen. La voglio ricordare così. Una ragazza frizzante e vivace che dorme dolcemente nel suo letto.
Una manciata di secondi. Riesco quasi a sentire l’impercettibile ticchettio.
Tic, tac. Il ticchettio che me la porterà via.
Tic…tac.
L’ultimo piccolo ed insignificante secondo di una vita…un tac che segna la fine di tutto.
E così, lentamente, ma quasi all’improvviso, Jen non respira più. Il suo cuore non batte più. I suoi occhi non mi rivolgeranno più uno sguardo.

Addio, Jen.







Eccomi qui con l'aggiornamento della settimana (disperatamentente di domenica sera).  Ebbene sì, la storia è appena cominciata ed è già morto un personaggio, che trauma. Fatemi sapere cosa ne pensate, alla prossima!
 

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