Elizabeth

di EvrenAll
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Intro ***
Capitolo 2: *** Guns and Roses ***
Capitolo 3: *** Routine ***
Capitolo 4: *** Skin ***
Capitolo 5: *** Honesty ***
Capitolo 6: *** Roads ***
Capitolo 7: *** Life on Mars ***
Capitolo 8: *** Galleggiare ***
Capitolo 9: *** Call ***
Capitolo 10: *** Visite ***
Capitolo 11: *** Zoo ***
Capitolo 12: *** Warmth ***
Capitolo 13: *** Mattina ***
Capitolo 14: *** Possibilità ***
Capitolo 15: *** Piano ***
Capitolo 16: *** Finchè la barca va... ***
Capitolo 17: *** Castigo ***
Capitolo 18: *** Bianco e Nero ***
Capitolo 19: *** Bocca di leone ***
Capitolo 20: *** Scossa ***
Capitolo 21: *** Tentazione ***
Capitolo 22: *** Affection ***
Capitolo 23: *** Muri ***
Capitolo 24: *** NonTalk ***
Capitolo 25: *** Riflesso ***
Capitolo 26: *** Complice ***
Capitolo 27: *** Porta ***
Capitolo 28: *** Consapevolezza ***
Capitolo 29: *** Nudi ***
Capitolo 30: *** Un Buon Giorno ***
Capitolo 31: *** Birthday ***
Capitolo 32: *** Vigilia ***
Capitolo 33: *** Notte ***
Capitolo 34: *** Grave ***
Capitolo 35: *** Intermezzo ***
Capitolo 36: *** Imprevisto ***
Capitolo 37: *** Distanza ***
Capitolo 38: *** Incrinature ***
Capitolo 39: *** Colpe ***
Capitolo 40: *** Ritorno ***
Capitolo 41: *** Appetite for Destruction ***
Capitolo 42: *** Dialogo ***
Capitolo 43: *** Cioccolato ***
Capitolo 44: *** Bastarsi ***
Capitolo 45: *** Motivazione ***
Capitolo 46: *** Londra ***
Capitolo 47: *** Rinascita - Prima Seduta ***
Capitolo 48: *** Rinascita - Seconda Seduta ***
Capitolo 49: *** Rinascita - Terza Seduta ***
Capitolo 50: *** Fine ***



Capitolo 1
*** Intro ***


Intro
(Blood Theme - Daniel Licht)





Risi.

Risi forte quando seppi che Lui aveva chiesto di me.

Soddisfatta, ma non incredula: non avrebbe potuto non precipitare anche Lui e non desiderarmi.



 

L'avevo visto per la prima volta poco prima che salisse sul palco. Lui e il suo gruppo non erano famosi, non ancora, e speravano solamente nel successo che li aveva travolti da quando la Geffen li aveva scoperti.

Ero lì perché una mia vecchia amica aveva un flirt con il batterista, una piccola storiella tira e molla che probabilmente interessava anche qualcuno degli altri ragazzi, fatta di sesso, sentimenti confusi e forse droga.

Forse.

O forse era qualcosa che funzionava e cercavo di distruggerla mentalmente nel mio piccolo spirito di sterminatrice di romanticismo, proprio perché di romantico nella mia vita avevo avuto poco o niente.

Adriana ed io avevamo lavorato insieme come cameriere in un piccolo e sfortunato locale: aveva chiuso dopo solo qualche mese ed eravamo state licenziate. Io ero finita in una libreria, Adriana in un nightclub.

-È stupendo!- ripeteva quando ci trovavamo -Pagano bene Ellie, dovresti venire anche tu!-

Io?

E che gusto c'era a stare tra le puttane?



 

-Poco ma sicuro l'hai incuriosito- Steven ridacchiò arraffando l'ennesima bottiglia di birra.



 

In ogni caso; buona musica, del Martini, inutili chiacchiere, anche se capitava molto più di frequente che io fossi l'ascoltatrice e non l'oratrice di discorsi più o meno strampalati ma che mi mettevano di buon umore.

Sembravano tutti bambini.
 

Non avrei mai creduto di esserlo ancora più di loro.


 

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Capitolo 2
*** Guns and Roses ***


Guns and Roses
(Guns and Roses - Lana Del Rey)





21.14

Steven si era avvicinato e si erano baciati appassionatamente, detta in modo meno elegante le loro lingue erano ficcate l'una della bocca dell'altro e le mani tiravano verso il proprio corpo il compagno, la compagna... Seguiva un ragazzo molto più alto, biondo, ma non naturale, con al collo un lucchetto alla Sid Vicious: let me guess... bassista.

Oscillava anche se non erano ancora le 21.30.

Rise guardandoli e mi puntò prendendo posto accanto a me -E tu bambolina sei da sola?-

Sospirai. Peggior tentativo di rimorchio di sempre.

Spostai piano il suo braccio dalle mie spalle allontanandomi del poco che serviva anche per evitare l'odore forte di alcol che lo circondava. Tutto sommato però sembrava reggere abbastanza bene.

-Sono con Adriana, non sono sola, grazie comunque…?-

-Duff, sono il bassista del gruppo che suona tra poco e non solo così scemo, so che sei l'amica di Adry ..Emily-

-È Elizabeth-

Lo guardai negli occhi, trovando i suoi un po' bassi e impegnati a giudicare lo scollo del mio vestito.

-Oh scusa, devo essermi sbagliato..- ridacchiò ancora rialzando lo sguardo e portando poi le labbra ad una bottiglia di vodka pura che sembrava come legata alla sua mano destra.

-E sei sola, bambola, perché quei due sono finiti di sicuro nel backstage- sorrise soddisfatto di avere ragione.

-Allora mi fai fare un giretto di questo posto Duff?- chiesi con tono vago: dargli soddisfazione, adularlo, ma infondo solo per gioco.

Si leccò le labbra mentre lo guardavo -Il posto migliore è davanti al palco, piccola- si alzò e mi porse la sinistra. Finii il Martini e mi alzai da sola.

-Ti seguo- gli sorrisi ed ebbi cura di umettarmi le labbra mentre guardava.

-Va bene..- iniziò a camminare e lo seguii tra la folla, le mie labbra piegate all'insù perché infondo era facile.

Dopo un breve giro davanti alla sua postazione avevo visto un po' di movimento e Lui venire alla carica: lampo rosso, nero, verde.

-McKagan muovi il culo ci sbattono fuori se non iniziamo nei prossimi dieci minuti-

-Man rilassati, che l'hai presa male sto giro?- Incrociai i suoi occhi verdi e ci fissammo per qualche secondo mentre Duff continuava a parlare -Scusami piccola, il dovere mi chiama, mi dispiace andarmene proprio ora-

A me non dispiaceva.

Non poteva esistere davvero un essere come lui: statua greca viva e a colori, dalle linee perfette, classiche e nella loro levigatezza così taglienti.

-Ci vediamo al backstage appena abbiamo finito bambola-

-Ciao Duff- risposi, anche se ero troppo impegnata: come fare a spostare lo sguardo da quegli occhi?

Improvvisamente avevano già voltato le spalle, ed io, impassibile, tremavo dentro.

Ero la sua preda, e non avevamo fatto altro che guardarci negli occhi.




 

21.33

Cercai di scappare prima che iniziassero a suonare ma Adriana mi intercettò davanti alla porta.

Non ero abituata a posti del genere, né a ragazzi del genere, volevo solo tornare a casa e dormire fino al mattino dopo ed evitare la sensazione di disagio che mi stava sommergendo.

-Hai promesso-

La guardai -Ma...-

-No tesoro, sei una persona di parola quindi non ora ci sediamo al bancone e assistiamo al concerto. E ringrazia la mia clemenza, volevo la prima fila-

-Grazie- sospirai, mentre mi trascinava dentro.

-Da chi fuggivi?- ci sedemmo ed iniziò ad interrogarmi.

-Da McKagan-

Voltai la testa mentre lo dicevo con la scusa del boato che si era appena sollevato dalla folla sotto il palco: eccolo lì. Rosso.

-Non mentire- Tornai a guardare Adriana.

-Come?-

-Qualcuno ti ha fatto una paura tremenda-

Risi. -Niente mi fa paura- Bugia.

-Solo perché non lo ammetti, ciò non vuol dire che non succeda. A me fanno paura i ragni, gli omoni cattivi, l'uomo nero, i fantasmi, i bugiardi, le persone che s'intromettono quando... -

-Adriana.. che c'entra?-

-Non lo so, sono cose che mi fanno paura- alzò le spalle.

-Anche se magari gli omoni e l'uomo nero te li porteresti a letto..- la guardai vaga e lei battè le mani sul legno del tavolo. -Non sai che disastro prima, stava per mettermelo dentro ed è arrivato quel gasato di Rose a rompere, che nervi essere interrotti proprio..mmh- dalle sue labbra uscì un suono molto poco aggraziato e frustrato che mi portò a ridere ancora e sciogliere la tensione che avevo accumulato prima per nulla.

Uno sguardo, che stronzata.

-Povera piccola Adry...-

La presentazione, ora iniziavano.


 

Non era solo lo sguardo, era anche la voce e il modo con cui si muoveva.

Era saltato dal palco e si era fatto strada tra le persone, diretto a me e mi aveva guardato: ero già ai suoi piedi, tremante, eccitata, mentre mi porgeva la mano e mi faceva sua.

Ma era ancora sul palco in realtà e non mi aveva trovata anche se i suoi occhi vagavano tra la folla, di testa in testa: probabilmente non vedeva nulla in mezzo al buio.

-Potresti permetterti di tutto, lo sai ma non sfrutti questa dote-

-Mmh...- aspettai che aggiungesse qualche parola di più.

-Sei particolare... Avresti il carattere giusto per prenderli tutti e farli pendere dalle tue labbra. Magari lo fai già ma non te ne rendi conto, oppure sì ma lo mascheri- fece una pausa.

-Anche se a dirla tutta sembri un po' fuori posto in questo momento, Ellie-

Tornai a guardare Adriana falsamente confusa -Perchè?-

-Sei..anonima e appariscente allo stesso tempo. Sarebbero bastati dei pantaloni aderenti ed un top ed invece sei andata a fare la sofisticata con il vestitino nero, gli orecchini di perla e i capelli raccolti-

-Anonima ed appariscente..- ripetei piano.

-Una nonna Ellie-

Alzai gli occhi al cielo.

-Io non credo-

Bevve ancora un sorso di Whisky -Una nonna o una delle bambole con cui giocavamo da piccole-

-Steven si è tolto la maglia tesoro…-

Ridacchiò guardando il palco ed iniziò ad enumerare i suoi numerosissimi pregi mentre scollegavo le orecchie dal cervello, anzi, mi concentravo sulla musica lasciando che coprisse quelle parole.

Il vestito che avevo scelto era semplice, nero, arrivava sopra al ginocchio lasciando scoperte le cosce per metà, poco scollato davanti, dietro scendeva appena più profondo, studiato. Le maniche e il corpetto sopra il seno erano di una stoffa velata che faceva intravedere il bordo di pizzo del reggiseno nero. Le scarpe erano alte, laccate, nere, l'eyeliner tirato verso l'esterno della palpebra, le ciglia coperte di mascara, l'interno occhio ripassato di bianco, i capelli raccolti in un cocon da cui cadevano poche ciocche, gli orecchini davano luce e attiravano attenzione, così come il rossetto scuro. Niente di casuale. Tutto studiato. Tutto perfetto.

Una bambola, non una nonna.

Una bambola.

Quel Rose non avrebbe mai dovuto sapere che cosa era passato nella mia testa quando l'avevo visto, anche se credevo di sapere quello che era passato nella sua.

Bambola.




 

23.01

-Prima dell'ultima canzone voglio vedervi, gente, accendete le luci-

La sala si illuminò a giorno in pochi attimi.

-Mmmh- ci contemplò portando una mano sopra la fronte come per ripararsi dal sole mentre quel suono basso, godurioso, usciva dalle sue labbra e qualcuna a sentirlo, si lasciava scappare un urlo o il suo nome.

-Axl!-

Mi morsi il labbro, agitandomi.

-Eccovi qua, finalmente posso vedervi- un lieve accenno di ironia e, sempre, quell'opprimente sottinteso che lasciava un enorme spazio a quello che la nostra fantasia poteva arrivare a concepire.

Alzai lo sguardo ed ecco, gli sfuggì una risata mentre affilava lo sguardo verso la mia direzione.

-Oh sì babe, quello è il mio nome. Ricordatelo, lo sentirete sempre più spesso-

Ogni parola come un lieve avvertimento.

Le luci si spensero dopo il suo saluto e nascosi dietro ad un bicchiere di liquore un sospiro di sollievo mentre suonavano l'ultima canzone.

 

No, non bambola.

Mia.



 


23.24
Salutai Adry appena ebbero finito, decisa di uscire da quel posto prima che fosse troppo tardi, ma poi mi fermai davanti alla porta.

Andarsene avrebbe voluto dire dargliela vinta.

Fuggire come un coniglio impaurito davanti alla volpe… ma le parole di Adriana mi rimbombavano in testa e più ci pensavo, più mi accorgevo che aveva ragione: ero la classica buona ragazza che si faceva ben volere da tutti senza fare nulla di particolare, rimanevo in disparte, preferendo osservare che agire, e sapevo quello che le persone volevano. Era difficile ammetterlo a me stessa ma infondo il sentirmi diversa, il sentirmi sopra le righe e superiore alle altre persone mi piaceva.

Prenderle in giro nella mia testa, facendo sempre buon viso al cattivo gioco e cercando di non ferirle perché, ahi, non ero cattiva. Solo un po' stronza e insensibile.

Mi ero innamorata una sola volta, e il brivido che mi aveva fatto provare Axl non l'avevo mai sentito: era per quello che avevo paura, perché era un'esperienza del tutto nuova e inaspettata.

Gli uomini hanno paura di quello che non conoscono o non comprendono, e come essere umano, potevo provare anch'io quella sensazione.

Feci un respiro profondo e mi voltai, diretta verso Adriana: Rose avrebbe avuto la sua fredda bambola di plastica. Non ne sarebbe stato soddisfatto, ma di certo sarebbe stato un bel gioco cercare di resistergli.


 

-Adry, ho cambiato idea-

Ridacchiò -Allora ti faccio conoscere i Guns and Roses, tesoro. Anche se McKagan ti aveva già puntata prima- mi fece l'occhiolino.

-Ahah, ti fermo in partenza: non ho intenzioni romantiche-

-Non devi averne!- non trattenne una risata mentre si alzava e mi prendeva sotto braccio.

-Perfetto-

-Sciogliti cara, sei rigida peggio di un blocchetto di marmo-

Sospirai mentre nella mia testa cercavo di crearmi un copione da recitare -Oh sì, ce la posso fare- iniziai a sorridere mentre entravamo nel backstage.

-Faccio tutto io timidona, non ti preoccupare di nien.. ragazzi siete stati magnifici!- emettè un urletto entusiasta e abbracciò il primo dei cinque a tiro: il chitarrista riccio che la strinse forte.

-Ovviamente, Adry, avevi dubbi?-

-Babe vieni qui…- Steven la tirò a sé baciandola ancora mentre lei ridacchiava -Oh ciao cucciolone..-.

Si baciarono ancora e ancora mentre alzavo il sopracciglio.

-Sei qui...- un sorriso storto e ancora quel fiato viziato misto a sudore e calore, e ancora quel braccio attorno alle mie spalle.

-Sì, sono qui…- sussurrai di rimando alzando la testa verso la sua.

-Ti siamo piaciuti?- parlava a bassa voce, confidenziale.

-Non poco-

-Vuol dire di sì?-

-Molto…- lo guardai e scostai il viso mentre lui tentava di baciarmi, imbattendomi nella nostra immagine riflessa in un lungo specchio appeso alla parete.

Avrebbe potuto sembrare una scena molto sensuale, forse lo era perfino, ma era come se avessi staccato la spina. Le emozioni sono come una scatola di colori da mescolare, giallo, verde, blu, nero, bianco… Avevo dimenticato il rosa, il viola, il rosso.

Ed eccolo lì, lo sguardo fulmineo di Rose che scendeva dal palco mentre le labbra di Duff si posavano sulla mia guancia. -Non mi sporcare il vestito, Duff…- sussurrai tenendo lo sguardo sul nuovo arrivato che intanto era andato a parlare con l'altro chitarrista.

-Chi è la moretta, McKagan?- la voce del riccio che si avvicinava. Mi voltai a guardarlo.

-Un'amica di Adry-

Il bassista si staccò bevendo ancora.

-Lavori con lei?- le sue labbra si piegarono maliziosamente, mentre i suoi occhi, quasi invisibili sotto quella capigliatura impossibile e ingombrante, si riempirono di curiosità.

-Ci lavoravo- sorrisi portando le braccia piano al petto e poi una mano su un fianco.

-Hai mollato?-

-No, ci hanno licenziate-

-Maccome, Adry, ti hanno lic-

-No, intendevo il lavoro precedente, al nightclub non ci sono stata-

Mi fissò sorpreso -Davvero? Cioè, insomma..- gli sfuggì un risolino ed un'occhiata complice con Duff.

-Sei una bambola, babe…- sorrise approcciandosi ed allungando una mano per accarezzarmi una guancia. Lo lasciai fare socchiudendo gli occhi. -Come ti chiami bambola?-

-Si chiama Ellie, Hudson e l'ho vista prima io-

-Oh ma fatti i cazzi tuoi e sposati quella bottiglia- rise e mi avvicinò a sé.

-Fanculo, Ellie digli qualcosa!-

-Allora Ellie piacere, sono il tuo principe azzurro per stasera…- il principe azzurro continuò a parlarmi senza badare all'ossigenato che ancora sperava ribattessi.

-Io credo che non sia il tuo tipo-

Sorrisi guardando i due e poi il terzo, appena spuntato.

Aveva la voce molto più profonda di quella di entrambi.

-Rose non iniziare a rompere i coglioni anche tu-

-Faccio quello che mi pare Slash-

Il quarto uomo, escluso Steven, se ne stava in disparte osservando.

-Ragazzi sono lusingata ma-

-Lei è Ellie, trattatela bene perché è il mio tesoro!-

Adry mi abbracciò da dietro stringendo le braccia attorno a me e poi appoggiando le mani sui miei fianchi.

-Me li presenti Adry?- sorrisi e guardai i ragazzi appoggiando le mani su quelle di lei.

-Non l'avete fatto? Che ragazzacci… Steven, il mio ragazzo-

Il ragazzo biondo sorrise -Ciao-.

Sorrise con il sorriso più bello del mondo, aperto, spontaneo in un modo tale da ritrovare sul mio viso la stessa espressione.

-Il riccio è Slash, l'alto ossigenato Duff, la primadonna Axl e l'asociale pensieroso Izzy- iniziai a ridacchiare.

-Asociale, per favore.. molto piacere, me ne vado da Amanda- fece un cenno ed uscì.

Slash rise -No, non si è offeso, ha semplicemente da fare-

-Primadonna?- Axl aveva un sopracciglio alzato e aveva ficcato le mani in tasca velocemente, smettendo di sistemarsi i capelli.

-Oh tesoro sì- Adry andò da lui abbracciandolo.

-Ciao...- sentii lei miagolare mentre lo guardava negli occhi.

-Adriana…- le baciò la guancia accarezzandole un fianco e mi guardò di sfuggita.

-Mi sa che vengo da voi stasera- lei si morse il labbro inferiore lanciando un'occhiata a Steven.

-Cazzo, e io illuso che volevo dormire-

-Mmh, al massimo puoi farti una sega se sei da solo..- Hudson ghignò ancora e poi si ricordò di me -Ops- rise ancora più apertamente.

-Di sicuro sai come scacciare le ragazze, Slash, sicuro che non sarai tu ad avere bisogno di una mano?- ribattè il rosso.

-Non sarà la mia- mi fece l'occhiolino e rise ancora.

-Ho finito la vodka, chi viene a prenderne un altro giro?-

Guardai Duff mentre gli altri si rianimavano ed uscivano dal backstage.

-Ellie vieni anche tu!-

Guardai le loro spalle, Adry che si era voltata qualche secondo per guardarmi, e poi lo specchio appeso alla parete.

-Vi raggiungo tra un attimo- sorrisi, ma lei era già persa.

La mia maschera crollò in un attimo mentre le mie labbra si abbassavano di nuovo e deglutivo convincendomi a non pensare. Feci qualche passo e mi guardai solo dopo aver sciolto la pettinatura.

Che occhi severi, che occhi persi e vuoti. A volte odiavo che fossero così azzurri, pronti a congelare qualsiasi cosa. Spostai i capelli in modo che scoprissero un po' di più le perle e soffermai lo sguardo sulle labbra che non erano più così rosse come quando ero partita qualche ora prima. Valeva la pena sistemarle?

-Molto meglio-

Sentii la sua mano spostare una ciocca nera dietro la mia spalla per scoprirmi il collo ancora prima della sua voce e mi maledii per non averlo visto prima.

-Tu dici?-

-Sì, se li tiri su dovresti lasciare anche le spalle scoperte, hai una bella linea-

Disse il dio greco alla bambola.

Sorrisi appena al pensiero guardando la sua immagine riflessa dallo specchio come stava facendo lui con me.

-Ma hai dei capelli stupendi-

Li accarezzò ancora spostandoli dietro l'orecchio sinistro e scoprendolo del tutto.

-E tu saresti?-

-Di sicuro non il principe azzurro- sussurrò appoggiando la mano destra sul mio fianco.

-Adriana non ti ha detto nulla di me?-

-No piccola, non sono molto in confidenza…-

Mi girai guardandolo. -Non sono piccola- sorrisi senza nascondere l'ironia e lui alzò appena le sopracciglia sorpreso.

-Non sei nemmeno Ellie- ribattè.

-Infatti- lasciai cadere la molletta nera nella borsa smettendo di guardarlo.

Strinse le labbra mentre rialzavo lo sguardo -Allora Elizabeth?-

Annuii -É il mio nome- non demordeva.

-E tu? Axl…?- lasciai in sospeso la frase, fingendo di non sapere.

-Sei stata così disattenta durante le presentazioni del gruppo?- affilò lo sguardo e alzai leggermente le spalle. -Axl Rose, Elizabeth…?-

-Credo non ti serva saperlo-

-No, non hai capito- mi trovai stretta tra lo specchio e il suo corpo e trattenni il fiato per un secondo anche se aveva fatto solo un passo verso di me.

-Stai iniziando a scherzare con il fuoco e sai cosa succede a chi lo fa?- abbassò la voce bisbigliando all'orecchio che mi aveva scoperto.

-Si brucia- sorrisi rispondendo e addolcendo la voce, provando a provocarlo ancora.

-Sei già cenere, Elizabeth- aggiunse e si staccò uscendo.

Mi appoggiai con la schiena alla parete.

-Non ancora…- sussurrai staccandomi, lasciando il backstage e poi il locale.




 

23.53

Anche svestirsi sembrava essere parte di un rito: sfilare le scarpe, sciogliere i capelli, togliere il vestito ed il reggiseno, infine gli orecchini. Lasciavo tutto sulla sedia davanti alla scrivania della mia camera e poi m'infilavo in abiti più comodi, in questo caso solo un'enorme maglia nera con la scritta I <3 LA, ed andavo a sciacquare il viso per togliere la matita e il rossetto.

Curiosa la sua analogia con il fuoco, curiosa e violentemente ironica, soprattutto per me che da tre anni stavo cercando di spegnere quello che sentivo. Volevo negarlo, ma era come se avessi scavato un enorme buco nella mia anima e ciò che facevo era riempirlo del dolore, delle lacrime, dell'amore, delle scintille, di qualsiasi cosa che avrebbe potuto cambiarmi. Il buco si riempiva sempre di più e sempre più spesso lo sentivo quasi trasbordare e spingevo ancora più giù tutte quelle cose, senza grande successo: se fosse trasbordato sarebbe uscito tutto e, travolta, il castello di carte che stavo costruendo sarebbe crollato.

Dopo il bagno subito a letto, sperando di non sognare, e prima di chiudere gli occhi mi perdevo a guardare il soffitto bianco, ripensando alla giornata.

Che brutto colore il bianco, così vuoto; che brutto mentre la mente si riempiva dei Se e dei Ma che avrebbero potuto cambiare qualcosa.

Poi solo buio.




 

Era il 23 marzo 1986.




 

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Capitolo 3
*** Routine ***


Routine
(La Canzone di Anna - Fabi Silvestri Gazzè)







Lunedì 24 marzo 1986

6.15

Suonò la sveglia e, svogliatamente, mi alzai dal letto.

Era già lunedì ed iniziavo il lavoro alle 7.30.

Lavoravo cinque giorni su sette in una libreria piuttosto fornita alle direttive di un signorotto di mezza età, tale Benjamin Walker, insieme ad un paio di ragazzi, Jane e Daniel. Lo stipendio non era male per quello che dovevamo fare: gestire la cassa, effettuare i nuovi ordini, raccogliere prenotazioni, sistemare i volumi per materia, genere, autore, cercando di renderli accattivanti, pulire le vetrine e gli scaffali, appendere volantini e conoscere quello con cui trattavamo, il che era probabilmente la cosa più difficile.

I libri sono tanti, di cui i classici più o meno conosciuti, ma che dire dei nuovi romanzi?

Che dire a quel cliente che sta cercando l'avventura più adatta a sé? Che cosa al bambino che sta imparando o allo studente già stanco della scuola?

Avevo finito il liceo solo due anni prima, due anni in cui erano cambiate tante cose e che sembravano un'eternità.

Mi spogliai prima di entrare nella doccia e mi guardai allo specchio: ero consapevole di non essere la bambola che gli altri volevano vedere in me.

Voltai le spalle ed iniziai a lavarmi.

Avevo bisogno dei soldi che guadagnavo.

Avevo concesso a mio padre di aiutarmi con il trasferimento: mi aveva pagato i primi sei mesi dell'affitto e le spese base, poi, avendo accumulato qualcosa, avevo rifiutato i suoi soldi e preteso autonomia.

Mi piaceva: ero riuscita a costruire delle abitudini mie e a diventare vera padrona di quello che avevo attorno, consapevole delle entrate, delle uscite, dalle bollette al cibo e ai vestiti, fino ai piccoli vizi come la busta di tabacco, le cartine e i filtri per le mie sigarette o il Martini che almeno ogni sabato sera prendevo in qualche locale, da sola o in compagnia.

Uscii e mi circondai dall'asciugamano prima di prendere il pettine.

O meglio ancora il vino rosso di quel locale italiano in cui mi sarebbe piaciuto così tanto cantare.

Era carino, scuro, con un pianoforte a parete ed un piano rialzato per le esibizioni.

Nulla di esagerato, nulla come i Guns and Roses, ma smooth jazz, blues, che ti prendeva e ti coccolava sensualmente sulla scia di quell'accenno malizioso…

I Guns e la voce di Rose invece ti portavano direttamente all'orgasmo.

Vestiti, trucco e poi al lavoro.







 

11.28

-Elizabeth!-

Sobbalzai sulla sedia mentre Adriana appoggiava violentemente le mani al bancone davanti a me. Alzai gli occhi verso i suoi per fulminarla, ma lei non cedette.

-Dove diavolo sei sparita ieri sera?!-

-A casa-

-A casa…- prese un respiro profondo cercando di calmarsi -A casa?! Ellie avevi promesso c-

-Che avrei assistito al concerto, anzi, che ti avrei fatto compagnia mentre suonavano, quindi non hai nulla da rinfacciarmi- sorrisi sfacciata.

-Stronza-

-Ti voglio bene anch'io Adry- ridacchiai piano tirandola dietro la cassa con me prima che i clienti e Ben iniziassero a lamentarsi.

-Giovedì pomeriggio terme e poi localino, dimmi che ci sei, dimmi che ci sei, non voglio andarci da sola con i due biondi e poi i biglietti me li regalano al lavoro..almeno il tuo e il mio-

-Ahi, mi spiace ma McKagan…- scossi la testa.

-Te lo sei perso ieri, era marcio… é stato divertente- si appoggiò con la schiena alla parete alla mia sinistra.

-Credo che sia molto meno probabile vederlo sobrio sinceramente-

-Malpensante, però hai ragione- mi prese una mano e mi guardò.

-Dai, ti prego-

Evitai il suo sguardo: potevo comportarmi da insensibile finché volevo ma avevo problemi ad esserlo davvero quando si trattava di amici, quando si trattava di Adriana.

-Ellie…-

-Ci penso, ok?- mi lasciai sfuggire a mezza voce mentre le lasciavo la mano e battevo il prezzo di Orgoglio e Pregiudizio per una ragazza poco più piccola di me.

-Può farmi un pacchetto?-

-Grazie Ellie-

-Certamente-

L'incertezza della ragazza, l'abbraccio indiscreto di Adry, il mio sorriso che voleva essere rassicurante.

-Un regalo quindi?-

-Per mia madre, compie gli anni tra poco e ha finito Ragione e Sentimento in un baleno, non riesco a credere che abbia scoperto la Austen solo ora- spiegò, più a suo agio.

-L'ha divorato insomma- accennai una risata piegando la carta con ancora più cura e cercando di essere ancora più perfetta del solito nell'essere parte di quel piccolo dono.

-Decisamente- mi porse il denaro, lo presi e le diedi indietro resto e pacchetto.

-Grazie-

-A te... buona festa-

Sorrise andandosene.

-Che brava che sei…- sussurrò. Mentre lavoravo aveva appoggiato il mento alla mia spalla guardando le mie mani e la ragazza.

-Gufaccio, è comoda la mia spalla?-

-Shi-

-Scoraggi i clienti-

-No, li attiro- si staccò piano sorridendo maliziosa e si sedette al mio posto tornando alla sua espressione di sempre.

-Mi insegni a impacchettare le cose? A vedere te mi sento una buona a nulla-

-Non dire sciocchezze- sistemai piano i piccoli oggetti di cancelleria sul bancone e riempii di nuovo il cestino di ovetti di cioccolato: li avevo scelti io come dolci della settimana. Era stupendo vedere lo sguardo dei bambini quando si accorgevano che potevano davvero prenderne uno e allungavano la mano, timidi.

Mi soppesò con lo sguardo.

-Lavoro in un nightclub per riuscire a campare, ovvio che mi sento una buona a nulla-

-Lavori in un nightclub e gli uomini ti desiderano, sei una donna di mondo molto più di me-

-Sì, solo perché papà se n'è andato… odio gli uomini-

-Non sembra, sai?- sorrisi tranquilla e mi dedicai ad un altro cliente mentre lei aspettava che se ne andasse per continuare a parlare.

-Non tutti gli uomini… però generalizzare è più facile e fa meno male-

La guardai -Già-

-Ma tu non odi tuo padre- concluse giocando con un pezzo di carta.

-No, non riesco a farlo e a dirla tutta nemmeno ne ho voglia- sospirai.

-Mi aiuti a cercare un altro lavoro?-

-Ma guadagnavi così bene…- sorrisi sotto i baffi.

-Gne- mi fece la linguaccia, eravamo come le bambine dell'asilo e un po' ci piaceva essere così.

-Sì, ovvio che sì, sai che non mi piace quel posto-

-Non è che tu ti sia preoccupata di nascondere molto il tuo disprezzo eh-

-Voglio che le persone a cui voglio bene siano al sicuro- le risposi semplicemente.

-Awww ti sposerei se fossi lesbica- un altro abbraccio e Ben che ci ordinava di chiudere per il pranzo.

-Adriana…-

Rise staccandosi e mi porse giacca e borsa -Adesso vieni a pranzo con me e parliamo di ieri sera-

-O mio Dio non voglio sapere che porcate avete fatto stavolta tu e il tuo ragazzo, proprio no, mi fai togliere la voglia di esistere- mi lamentai un po' ironica mentre mi addobbavo come un albero di Natale per uscire in strada e lei continuava a ridere.

Inevitabilmente sorrisi quando come un fiume in piena iniziò a raccontarmi come aveva vissuto la serata, come si era quasi ubriacata e come erano stati bene lei e Steven.

Le volevo un sacco di bene, anche se era estremamente travolgente e lunatica, strana in modo bello e positivo. All'apparenza stupida, ma attenta.






 

14.11

Eravamo finite al solito tavolo, davanti ad un paio di toast al prosciutto e formaggio, una lattina di tè al limone e una di Coca Cola.

-E quindi McKagan è rimasto sul divano con una canna e una birra, Slash in camera con una rossa tutta tette, io con Steve, Izzy con Mandy e Rose… Axl era un po' strano: s'è fatto una mora ma non l'ha portata a casa-

-Sembrano un po' libertini-

-Lo sono, meno chi ha la ragazza… nel senso, suppongo che se partono con l'idea di volere qualcuno con cui condividere la vita poi non facciano gli stronzi. Se ci si innamora sul serio non si riesce a fare gli stronzi- sorseggiò la Coca. Evidentemente pensava alla sua relazione.

-O lo si fa solo per avere conferme-

-Ecco, sì, e solo all'inizio della storia-

Finii il panino dopo di lei ed ordinammo il caffè.

-Steven credo mi voglia sul serio- guardava il bicchiere facendolo girare lentamente tra le mani.

-State bene insieme, mi piacete- e lo pensavo sul serio ora che li avevo visti.

-E il sesso è una bomba- sussurrò senza trattenersi.

-Sai che non sono la persona giusta per parlarne.. grazie- arrivarono velocemente e subito versai due bustine di zucchero mescolando.

-Grazie… Secondo me dici un sacco di balle e non sei vergine-

-E invece…- annusai la bevanda, tranquilla.

-Sei gnocca-

Risi scuotendo la testa.

-E ti ostini! Dai, perché non dovresti esserlo? E non rifilarmi le solite scuse, voglio la verità-

-Non ho molta voglia di parlarne-

Iniziai a bere per nascondere il leggero nervosismo che stava iniziando a prendermi. La verità, la mia vita… Sapeva che cosa era successo, perché voleva continuare a colpire quel punto che mi faceva ancora male? Non ero mai stata una bugiarda, e anche quella lieve e trascurabile accusa mi feriva, proprio perché veniva da Adriana.

-Ne sei certa?…- il tono della sua voce si era addolcito: aveva capito di essere entrata in un territorio pericoloso.

Sospirai e annuii lentamente, lei prese la tazzina ed entrambe ci trovammo a bere, in silenzio.

Ebbi coraggio di riaprire bocca solo qualche istante più tardi.

-Comunque grazie dell'invito, mi farebbe piacere-

-Se non vuoi non sei obbligata- la guardai, sorpresa per quel tono così giù di morale che le era uscito di bocca. -Adriana?-

-Mh?-

-Perchè dovrei rifiutare di andare alle terme per la prima volta in vita mia per un pomeriggio e con la mia migliore amica? Tanto per i ragazzi ci sarà uno spazio separato…-

-In realtà c'è anche una vasca comune, tipo piscina, e credo rimarremo lì per tutto il tempo-

Mi morsi il labbro frustrata: così come si era rattristata era tornata normale. Aveva recitato solo per farmi sentire in colpa.

-E poi chi è la stronza, Adry?-

-Oh nessuno, direi che siamo pari- sorrise apertamente, alzai gli occhi al cielo ed andammo a pagare il conto.



 

 

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Capitolo 4
*** Skin ***


Skin
(Skin - Sixx:A.M.)






Giovedì 27 marzo 1986

 

19.34
 

Adriana aveva guardato il mio costume intero con disprezzo in ogni istante di quell'eterno pomeriggio.

Eravamo appena uscite dal locale, che altro non era che un centro di bellezza con una piscina riscaldata, la nostra destinazione era un pub in cui McKagan aveva intenzione di spendere tutti i suoi soldi e Adriana stava continuando a tenermi il muso, ignorandomi e non dicendo una sola parola.

Abbassai lo sguardo sulle mie scarpe mentre l'unico che teneva alto il morale era Steven e in qualche modo faceva ridere Duff e sorridere Adry.

Io mi sentivo solo amareggiata e triste e cercavo di nasconderlo alzando ancora di più lo scialle sul viso, approfittando della pioggia che aveva iniziato a cadere.








 

23.16
 

A posteriori, sdraiata sul letto a fissare il soffitto, riuscivo a riconoscere che quel senso di tristezza e rassegnazione che mi aveva pervaso per tutta la serata era causato solo dall'umiliazione che mi stavo auto infliggendo.

Avrei dovuto adeguarmi ai canoni, sfoggiare un bikini, nero e sexy, mostrandomi a tutti per com'ero e infine farmi portare a letto da Duff, proprio come voleva Adriana che pensava che magari in quel modo sarei riuscita ad essere più felice.

Chiusi gli occhi e mi raggomitolai su un lato, abbracciando prima le mie gambe, poi arrendendomi e alzandomi da letto per prendere Cocco, il peluches a forma di coccodrillo che mi faceva compagnia da sempre e che mi ostinavo a far sparire, credendo di essere grande.

Lo strinsi rimettendomi stesa.

Infantile, stupida, vanitosa, egoista, invidiosa, stronza, insensibile,…

Stavo sbagliando tutto e adesso anche Adriana non mi avrebbe più parlato per un po': avevo paura che si dimenticasse di me, come papà che mi chiamava a malapena una volta a settimana, come mamma che…

Un tuono ed iniziai a piangere, sommersa dai ricordi.

No, mamma c'era, c'era sempre, doveva essere con me.

Mamma.

Strinsi di più il peluches.

Non sarei bruciata, sarei annegata tra le lacrime senza neanche provare a ritornare a galla.

Sarebbe stata una nottata infernale.












 

Venerdì 28 marzo 1986
 

10.46
 

-E Elizabeth si è presentata con un costume intero-

-Scherzi Adler?- il tono di Slash era sorpreso, per non dire scandalizzato.

-No, non scherza…-

-La cosa divertente è che Duff ha continuato a provarci lo stesso mentre continuava a ripetermi che allora poteva essere solo una pudica sfigata, per non parlare del suo faccino deluso quando l'ha vista- ridacchiai all'indirizzo di Michael mentre Slash continuava a fumare, stravaccato a petto nudo sul divano. Ricevetti una buona spinta da Duff e mi lagnai -Mi fai spandere, cretino…-

-Beh nonostante quello stupido pezzo di stoffa la signorina sembrava avere un corpicino niente male.. e due tette proprio della misura giusta- sorrise ebete e si sedette anche lui muovendo le mani come se stesse strizzando due palloncini.

-Non è così abbondante- sottolineò Slash.

-Della misura giusta, vero Pop Corn?-

-Mmh- Ero troppo concentrato su quello che stavo facendo per rispondere.

-In ogni caso, mi spiace deluderti McKagan ma non sembra avere intenzione di andare con te, soprattutto se in giro ci sono dei bei maschioni come il sottoscritto-

-E poi sono io il megalomane, vero Slash- Rose era uscito dalla camera e l'aveva fissato, gettando un'occhiata anche al resto del salotto e a me che, alleluja, avevo appena trovato un accendino che funzionava.

-Non starete ancora parlando di ieri?-

-Sì-

-Ellie non ci sta con Duff- cantilenò Slash.

-Seh, fa la bella puritana, ma sarà una troia come le altre-

-Adriana mi ha detto che è vergine-

Me lo lasciai sfuggire dalla bocca e alzando gli occhi dal cucchiaio vidi gli quelli di quei dannati accendersi.

-Oh questa sì che è bella…- Duff rideva piano, incredulo.

-Ma che ci fai con una così, poi la rompi se vai forte- Slash aveva fama per la sua irruenza, ma anche lui sembrava essere stuzzicato dall'idea di poter essere primo. Duff lo guardò -Allora non preoccupar-

-Direi che me la faccio io allora-

Risi sentendo la voce di Rose decretare il suo verdetto mentre riempivo la siringa.

-Rose, l'ho vista prima io!- Duff si alzò in piedi e risi ancora di più, mi veniva da piangere quasi.

-Allora prova a prenderla visto che ritieni che sia così tua- lo sorpassò, per nulla intimorito dal suo metro e novanta.

-Vado a preparare la macchina.. Vi siete dimenticati che suoniamo al Roxy stasera? Dai cazzo, peggio di neonati...-

Uscì e chiuse la porta.

-... É mestruato anche oggi?-

Scoppiai a ridere sentendo il commento di Slash e poi mi chiusi in bagno.



 

We've been dancing with Mr. Brownstone...



 

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Capitolo 5
*** Honesty ***


Honesty
(Honesty - SHINee)







18.37

Non ero riuscita a dormire, né avevo parlato con Adriana.

Daniel dimostrava la sua lieve preoccupazione gettando qualche occhiata verso di me dal bancone mentre sistemavo i nuovi arrivi e controllavo che il resto dei libri fosse apposto.

Mi sentivo uno spettro più del solito.

-Ho finito- mi avvicinai a Dani piano -É da stamattina che hai delle occhiaie spaventose… meglio se corri subito a riposarti- lui stava controllando gli ultimi clienti ed era ormai pronto a chiudere la cassa.

-Credo andrò fino alla spiaggia prima- iniziai a vestirmi.

-Se aspetti cinque minuti ti faccio compagnia- propose, sistemando dietro all'orecchio un ciuffo di quei suoi capelli scuri che gli arrivavano poco più su delle spalle -Altrimenti se vuoi stare da sola…-

Era prevenuto e aveva ragione: mi ero sempre tenuta un po' distante da lui e Jane, forse convinta di avere tutto quello che serviva e comportandomi da disinteressata. In realtà sembravano delle belle persone, soprattutto lui, che trattava i libri come fossero persone.

-In realtà non ho molta voglia... di stare da sola, intendo. Oggi è… una giornata strana-

Alzò gli occhi verso di me, sorpreso per quell'insolito tono arrendevole, poi sorrise.

-Allora vediamo di chiudere in fretta questo negozio-






 

19.35

Stavamo camminando piano, in silenzio, diretti verso la spiaggia più vicina.

-Di solito non esci con noi, è bello che tu ti sia fatta avanti- cercò di sbloccare la tensione e apprezzai lo sforzo.

-Devo ringraziare te che non ti arrendi- sorrisi piano.

-Forse è stato il fatto di inserirmi in un ambiente nuovo e che voi già conoscevate che mi ha frenata… Avevo paura di essere di troppo-

Mi guardò accennando un sorriso dall'alto del suo metro e ottantacinque.

-Paura un po' inutile, lasciatelo dire- poi sembrò riflettere per un attimo e si fermò.

-Facciamo così- smisi di camminare anch'io e lo guardai perplessa.

-Ripartiamo da capo e mettiamo da parte questo mese di non-conoscenza- mi porse la mano -Sono Daniel Adams-

-Elizabeth Moore- gli presi la mano e la strinsi lasciandomi scappare un sorriso.

-Molto piacere- mi fece un occhiolino e ridacchiai mentre ricominciavamo a camminare.

-Allora Elizabeth, che ti porta nella sperduta Los Angeles?-

-Semplicemente il fatto che sono nata verso la periferia di questa città e, beh, volevo indipendenza-

-Giovane donna in carriera allora?-

-No, direi di no- risi piano e lo guardai -Invece tu che ci fai qui?-

-Studio e lavoro, sono di qui-

-Cosa studi?-

-Mmh, Lettere, sembra ridicolo però vorrei diventare insegnante, al liceo-

Trovammo posto a sedere su una panchina davanti alla spiaggia.

-Non è per nulla ridicolo, anzi… é una responsabilità importante- sorrisi guardandolo ed iniziai a rollarmi una cicca.

-Stare con i ragazzi, intendi?-

-Sì… Da come maneggi i libri e parli con i clienti si vede che hai passione, quindi…-

-Voglio trasmetterla ad altri, sì, è vero. Ma sai anche perché? ..Qui a LA la gente si butta via, soprattutto i ragazzini. Un sacco dei miei vecchi amici si sono montati la testa e tra fumo, droghe, gente poco raccomandabile si sono rovinati-

Accesi e feci un tiro guardandolo.

-Ora non voglio dire che devono essere dei santi, ma che almeno in loro, alla base, ci sia qualcosa.. che riescano a trovare qualcuno che gli dia dei valori su cui costruirsi-

-E tu vorresti essere questo qualcuno-

-Beh, sì-

-Ambizioso- ridacchiai e sorrisi -Ma decisamente ammirevole-

-Grazie-

-Ti dà fastidio?…- accennai alla sigaretta e scosse la testa -Tranquilla-

-Quanti anni hai?-

-Ventisei-

-Credo te ne avrei dati un po' di meno- commentai espirando.

-É un bene?-

-Non lo so- sorrise, mi aveva messo a mio agio.

-Anche mia madre insegnava- aggiunsi piano e mi sistemai a gambe incrociate sulla panchina, più raccolta.

-Che cosa?-

-In genere si occupava di matematica e scienze, ma lavorava con i bambini delle elementari-

-É in pensione ora?-

Scossi la testa -No, è morta- me l'ero cercata.

-Mi dispiace-

-Facciamo finta che non te l'abbia detto, ok?- sorrisi piano per rassicurarlo.

-Non credo si possa cancellare una cosa del genere-

-No, ma fare finta che sia a ancora a casa a volte può essere una bella illusione-

Lui sospirò -Tu quanti anni hai?-

-Diciannove-

Non disse niente e tornò il silenzio rotto dalle onde e dal sottile rumore della sigaretta che si consumava e poi finiva. Vagai con lo sguardo cercando un posto dove buttare il mozzicone.

-Magari è anche per quello che sei così schiva-

Mi alzai e lo gettai nel posacenere più vicino alla panchina.

-Probabilmente sì- Tornai a sedermi e portai le gambe al petto guardando l'acqua e sentendo i suoi occhi addosso.

-Quando sei alle prese con un dolore grande la cosa più facile da fare è far finta che non ci sia, quindi lo nascondi e vivi lo stesso. L'unica pecca è che poi, ogni tanto, ti torna quella sensazione opprimente, proprio qui- indicai l'inizio della trachea appoggiando la mano sotto la gola -e sembra come di non riuscire a respirare, sembra di essere in trappola-

-Si chiama nodo alla gola- sussurrò e mi tirò piano verso di sé.

-Credo di sì, proprio lui- sussurrai appoggiandomi piano.

-Ma avevo solo 16 anni cazzo- aggiunsi.

-Ne hai mai parlato con qualcuno?-

-Nulla più di quello che ho detto a te… Solo alla mia ami.. ad Adriana-

-Dovresti sfogarti-

-Forse sì ma non voglio farmi compiangere, poi papà ha già provato a mandarmi dalla psicologa e non c'è riuscito-

-Che hai combinato?-

-Nulla, mi chiudevo in camera a chiave o uscivo- alzai le spalle.

-Ribelle, non l'avrei mai detto- ridacchiò.

-Non voglio che sapere che mia madre è morta cambi il modo che hai di vedermi-

-Prometto che non succederà-

-Mi fido-

-Grazie-

Sorrise -Senti, io ho fame ti va..?-

-Scelgo io dove andare-

Mi alzai sorridendo, dimenticando i brutti pensieri che mi stavano frullando in testa.






 

22.11

Era stato bello stare con lui e ora, camminando verso quella che chiamavo casa, potevo quasi dire di stare bene. Aprii il portone principale del condominio ed iniziai a salire, diretta al secondo piano.

-Mi hai fatto perdere il concerto al Roxy-

Una volta sul pianerottolo sentii una voce gelida alle mie spalle e mi voltai sorpresa, poi decisi di fare finta di nulla.

-Non so nemmeno di cosa tu stia parlando-

Aprii la porta del mio appartamento, ma prima che la chiudessi Adriana era già entrata.

-Del concerto del gruppo di Steven-

Andai prima in cucina a bere un bicchiere d'acqua e poi in camera, mentre rimaneva a fissarmi, rigida e alterata.

Slacciai i jeans e li tolsi appoggiandoli alla sedia.

-Mi stai davvero ignorando?-

Ora era sulla soglia della mia stanza.

Tolsi anche il maglione.

-Sei davvero una stronza allora, credevo di aver capito altro-

-Non sono io quella che ha tenuto il muso un intero pomeriggio per un costume intero- dissi piano.

-Ok, forse ho esagerato, ma mi sono spaventata prima... Ti stavo cercando per andare via stasera ma qui a casa non c'eri-

-Non mi avevi avvisata. Da quanto sei qui?…- tolsi piano anche gli anelli e gli orecchini e la guardai.

-Credo... un paio d'ore-

-..D..davvero?.. scusa...ero.. ero fuori…- balbettai, sorpresa.

-Lascia stare-

-Anche se te la sei presa parecchio… non abbiamo quasi parlato ieri-

-Mi da fastidio vedere come ti sottovaluti, è come se insultassi il tuo corpo Ellie…-

-Non ci posso fare nulla- abbassai la voce.

-Ce la farò ad aumentare la tua autostima… se sei vergine solo perché non vuoi mostrarti nuda sei proprio una sciocchina- sorrise piano.

-Già...-

-I love LA, che maglia fantasiosa- afferrò la maglia che usavo come pigiama ridacchiando.

-Ehi, ci dormo con quella…- mi scappò un sorriso.

-E con… questo?- vide Cocco, cioè, il mio peluches e scoppiò a ridere.

-Ieri sera è stato un po' un disastro addormentarsi…- ammisi piano e mi tolsi la maglia sovrappensiero rimanendo in slip e reggiseno, rigorosamente neri.

Mi sistemai i capelli all'indietro e vidi il sorriso scomparire dalla sua immagine riflessa dallo specchio e il suo volto impallidire mentre mi fissava la schiena.

Merda.

Chiusi forte gli occhi per un attimo.

Merda.

No, Ellie, mantieni la calma, non pensare, non pensare.

Mi girai e le strappai la maglia dalle mani mettendola con relativa calma.

Non pensare.

-Come...-

-Hai mangiato o per aspettarmi sei rimasta digiuna?- la interruppi infilando dei pantaloncini e poi andando in cucina.

-Io… - indugiò con la voce, ancora ferma in camera -...magari qualcosa di caldo- concluse e si alzò.

Tolse i tacchi e la giacca rossa appoggiandoli in entrata.

Presi un pentolino e lo riempii d'acqua.

Stupide mani, smettete di tremare.

Zampettò cauta nella stanza e si sedette a tavola, guardandomi con quei suoi occhi ben truccati, mentre ancora le rivolgevo la schiena, stavolta coperta.

-Ti piace infuso ai frutti di bosco?-

-Sì, è quello che fai sempre Elizabeth…-

-C'è anche alla menta o del tè alla pesca-

-Frutti di bosco mi piace, non ti preoccupare…-

Stavamo chiacchierando di cose inutili in modo così inusualmente calmo e fragile.

-Scusa per la faccenda del costume-

-Stai tranquilla, …ti offro la tisana del perdono e magari qualche biscotto- le provai a sorridere, ma la sua espressione rimaneva pensierosa e triste.

Sospirai piano sedendomi e sembrò come riscuotersi, guardandomi finalmente davvero.

-Solo se sono al cioccolato- accennò un sorriso.

-Ho solo quelli-

-Comunque sei una stronzetta, perché quei cinque tosi stanno suonando proprio ora e per colpa tua mi sono persa il magnifico paio di pantaloni che Axl mi ha detto voler indossare e mi ha mostrato ieri sera-

Chiusi gli occhi sollevata e mi alzai per mettere la bustina di infuso in modo che non notasse le due lacrime che erano sfuggite al mio controllo quando mi ero resa conto che non avrei dovuto nemmeno dirle che non volevo la sua pietà o commiserazione: l'aveva capito da sola e …

Cazzo, era davvero un'amica.

-Che pantaloni, di grazia?-

Quattro mesi per riuscire ad ammettere a me stessa che avevo legato con qualcuno, quattro mesi.

-Oh, farà sbavare tutta la popolazione femminile e metà di quella maschile- alzò le spalle.

-Gli lasciano il sedere in bella vista e anche una bella fettina di quelle cosce che si ritrova, per non parlare di come la pelle gli slanci le gambe e sottolinei il pacco- concluse soddisfatta.

-Osceno insomma- lasciai il pacchetto di biscotti sul tavolo e preparai tazze e miele.

-Come se tu non ci avessi fatto un pensierino l'altra sera: camicia e poi bretelle... pantaloni aderenti di pelle nera con quella cintura… bracciali ed anelli come se non ci fosse un domani…- iniziò vaga.

-Ti prego, preferisco i bravi ragazzi… magari nonnetti come dicevi tu- Bugia.

-Seh, farò finta di crederti. Quando sarai a letto con uno dei Guns, non Steven, stapperò una bottiglia di champagne, offertami da te, e la berrò con il mio amoruccio-

Versai l'infuso.

-Sai, proprio l'altra sera mi sono riproposta di non finire con nessuno di loro: sono patetici- altra bugia.

-Perchè?-

-Perchè i single ci provano con qualsiasi essere con le tette e un buco tra le gambe-

-Duff è buono- aggiunse del miele e mescolò piano, citando quello che era stato il più palese dongiovanni della serata -Buono come il pa-

-Ubriaco perso, quindi bocciato-

-Uff, ma regge bene-

-Eh, tante grazie- ridacchiai piano ed iniziai a sorseggiare.

-'Ho dimenticato gli occhiali da sole'- la guardai perplessa mentre lei maliziosamente stringeva le labbra.

- É marzo Adry, che diamine..?-

-Niente niente, citavo solo la scusa che ha usato Rose per tornare nel backstage e stare due minuti solo con te-

Tenni gli occhi bassi sulla tazza nascondendo qualsiasi cosa il mio volto stesse mostrando, poi li rialzai.

-Te l'ho detto, patetico- presi un biscotto e lo inzuppai.

-In ogni caso ero a cena con Daniel- aggiunsi, vaga, e mangiai.

Si fermò con il biscotto a mezz'aria prima di metterlo in bocca.

-Bene tesoro, è il primo passo-

-Come si fa ad ingraziarsi un ragazzo senza… cedere?-

-Credo che se vuoi metterti con qualcuno per forza andrete avanti un cedimento alla volta: non ci dovrebbero essere barriere o segreti…-

-Non voglio mettermici insieme, solo frustrarlo-

-Non stai parlando di Daniel allora-

Sorrise e mi morsi appena il labbro trattenendo un sorriso.

-Vuoi giocare alla bella e dannata con qualcuno?-

-...Ci conosciamo da un po'… credo che tu sappia come sono…-

-Prova ad autodescriverti-

-Versione sincera?-

-Del tutto, anche se non vorresti-

-Non lo vorrei solo perché ho paura di non piacere a chi ho davanti per come sono davvero-

-Lo so, ma che gusto c'è a stare con qualcuno portando sempre una maschera o stare con qualcuno che in realtà non ti apprezza?-

-Ok…- mi appoggiai alla sedia e chiusi gli occhi per un attimo tenendo le mani sulla tazza.

-Sono una ragazza di 19 anni, sono alta circa un metro e -

-Salta il preambolo-

-Sono silenziosa, sono sociale solo con le persone che voglio, con le altre passo dalla pacifica convivenza all'ignoramento totale...selettiva quindi, molto. Ma l'aria tranquilla che ho spesso spinge le persone, anche quelle che non conosco bene, a parlarmi e sfogarsi con me. Ascolto molto, cerco di dare consigli, ma sono insofferente. Sono vanitosa e voglio avere soldi per potere fare quello che voglio. I soldi non fanno la felicità, ma potrebbero aiutare. Mi piace sentirmi superiore, penso che ci siano molto persone stupide, ma allo stesso tempo che dovrei essere umile. Voglio essere la migliore, non dico nulla se non succede ma dentro rodo, soprattutto se sono cose a cui tengo. Mi piace che siano gli altri a cercarmi. Voglio essere desiderata-

Forse avevo finito.

-Sei una piccola bestiolina cattiva dentro- ridacchiò piano.

-Però provi anche tanto dolore, quando sei messa da parte e non cerchi di buttarti… resti in disparte… E quando trovi un amico ci sei sempre...-

-L'amicizia non è uno scherzo- sussurrai.

-Voglio dire… non so quale sia per te il significato di amicizia, ma per me.. è veramente importante. La differenza tra amico, conoscente… ho molti conoscenti, amici… una..?- ammisi piano.

-Ellie…- si avvicinò.

-Conta su di me, puoi farlo…-

-Grazie Adri…- mi appoggiai un po' a lei.

-Mmh...- mi strinse forte a sé, come probabilmente Steven faceva con lei quando stavano insieme e sospirai rilassandomi: era piacevole un abbraccio di tanto in tanto.

-É una parola così misera ma vale tanto- bisbigliai.

-Grazie?-

-Sì…-

Sorrise -Non sempre, ma in questo caso lo sento- tornò al suo posto.

-Allora, che intendiamo fare?-

La guardai accigliata.

-Non vorrai mica rimanere qui a poltrire?!- si alzò.

-Non mi sono vestita così per niente… o sì?- assunse un'aria speranzosa puntando gli occhi nei miei e addolcendo l'espressione.

-No, no, sto giro non ci casco- agitai una mano davanti al volto come per scacciare una mosca fastidiosa.

-Ellie...se partiamo ora becchiamo qualche pezzo ancora…-

Labbro tremulo. Occhioni.

Diamine come recitava.

Sbuffai.

-Adriana Smith-

-Elizabeth Moore-

Ci guardammo per qualche istante e poi iniziammo a ridacchiare.

-In macchina mi aggiorni su Daniel e sul tuoi piano spezza cuori, anche se, tesoro, credo sarà difficile trovare uno dei loro-

-Ahah, non voglio rompere cuori- andai in camera -Voglio giocare con Rose, anche se per il momento la mia è solo un'idea-

-Voglio proprio vedere chi si stancherà per primo- rise piano seguendomi.

-Adriana?- la chiamai, più seria.

-Sì?- tolsi la maglia, notando che il suo sguardo andava a posarsi sulla mia schiena solo per un secondo e poi tornava al mio viso senza indugiare. Sorrisi.

-Per piacere, non dirgli nulla-

-Io? Dire che cosa?- chiese circospetta e ridacchiai aprendo l'armadio.

-Sei adorabile-

Sapevo già che mettere.






 

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Capitolo 6
*** Roads ***


Roads
(Roads - Portishead)









22.46

-Sbrigati!-

-I tacchi Adry, porca zozza!-

Rise, lei ne portava un paio più alto dei miei ed era molto più disinvolta.

-No, non ridere, stai correndo, sei sleale- ridacchiai raggiungendola alla porta del locale.

-Attenta che poi sudi e rovini l'incanto- cinguettò ironica.

-Fanculo- la guardai sorridendo e mi sistemai la gonna e la giacca. I capelli erano sciolti e lasciati cadere, mossi, lungo la schiena.

Lei portava dei pantaloni aderenti neri, tacchi, giacca e maglia rossi come il rossetto che si era messa sulle labbra.

-Dai che stanno ancora suonando- mi prese per mano ed entrammo.

-Oh sì, li ha messi- squittì eccitata appena potè vedere il palco.

-Parli dell'oscenità?-

-Parlo di…-

Mi girò la testa puntandola sul rosso, che si era appena buttato a terra in scivolata per finire una canzone.

Arrossii di botto.

-...esatto Elizabeth- ghignò piano soddisfatta.

-Lo preferisco quando ha i capelli in ordine- dissi piano mentre le luci si spegnevano per un attimo.

-I capelli, certo- mi fece il verso.

Alcuni accordi accennati mentre Rose diceva qualcosa al microfono e Adriana che iniziava a sorridere di più -Amo questa canzone-

Di nuovo un po' di buio, Steven che dava il tempo e poi via.

-Come si chiama?-

-Rocket Queen-

Fissai Axl mentre iniziava a cantare con addosso degli stupidi occhiali da sole.

E le parole da chi venivano?

Rose era osceno tanto quanto l'assolo di chitarra che seguì.

Non avevo mai fatto sesso con nessuno, ma tutto mi faceva pensare a quello. Ed ero eccitata.

Per una canzone, una voce, una chitarra, per le sue parole che verso la fine iniziarono a parlare di qualcosa di più che solo corpi. E poi la gente urlava ancora.

-Steven!- Adriana che richiamava l'attenzione e Rose e Slash che incoraggiavano la gente a fare ancora più casino.

Ok, ok.

Anche se forse avrei preferito avere dei tappi per le orecchie, non era così male.

Izzy fumava sul palco ed era il più tranquillo dei cinque… mmh, avevo anch'io voglia di una cicca.

Finirono quella che per noi era la seconda canzone e si spensero di nuovo le luci. Non si vedeva nulla se non qualche movimento sul palco, cercai di avvicinarmi di più ad Adriana che era andata qualche metro più avanti di me.

-Ehi ragazzi, ne volete ancora?- la voce di una ragazza.

Rialzai subito lo sguardo.

-Fatemi sentire, forza, alzatevi!- dal suo tono si capiva che stava sorridendo e ne ebbi la conferma quando si riaccese il faro, illuminandola: biondina in costume intero che indossava un cappello da pirata.

Strinsi appena le labbra.

-Adria…-

-Ehi guarda!- si accese vedendo al microfono al posto della bionda il suo biondo.

-Fate un po' di casino, c'mon!- alzò le braccia sorridendo mentre anche gli altri riprendevano posto.

Mi sorpresi con un'espressione ebete sul volto: quel ragazzo era adorabile.

Ed ecco che una volta seduto al suo posto ricominciavano.

Anything goes.

E la biondina ancora lì.

E lei e Rose che ballavano.

E le mani di lui sulla sua vita e sulle cosce di lei.

Oh sì, di sicuro quel costume intero e mezzo bucato era molto più eccitante del mio.

E di nuovo lei all'attacco mentre lui presentava il gruppo.

-Urge un omicidio-

Un omicidio, cruento, per la bionda rovina piani.

Adriana si voltò sentendomi ed iniziò a ridere.

-Ti porto a bere, altro che, così lo fai veramente!-

-Mi irrita quella bionda-

-Sì, l'ho capito Ellie- rise ancora piano prendendomi per mano in modo che restassimo vicine.

-Pensandoci, meglio farci offrire qualcosa una volta che hanno finito…- Adry parlò piano ma io avevo gli occhi sul palco e guardavo il gruppo.

Si vedeva lontano un miglio che probabilmente quella ragazza sarebbe finita nel letto di uno di loro quella notte.

Quel qualcuno non sarebbe stato Axl Rose.








 

23.34

L'ultima canzone che avevano suonato era stata la seconda a colpirmi dopo Rocket Queen, al punto da chiedere ad Adriana se sapeva qualcosa sul testo o a proposito di chi l'aveva composta. La risposta era stata abbastanza misera e avevo deciso di lasciar perdere per il momento.

Ci era voluto parecchio per riuscire a raggiungere il backstage e ancora di più perché ci facessero entrare: a quanto pare i ragazzi stavano parlando del compenso con il gestore e poi occupandosi delle consumazioni già presenti lì.

-Amore!-

-Adry?!-

Steven si girò sentendola e la individuò subito sorridendo apertamente -Adry!- lei gli corse incontro e si abbracciarono. Come sempre erano sereni, anche se lui sembrava un po' pallido e decisamente sudato.

Avanzai anch'io nella stanza, facendomi vedere.

-Babe, sei ricomparsa?- Slash mi aveva individuata.

-Mmh che ne dici di fare un giretto con me questa sera?- sorrise ammiccando.

-Sono appena arrivata tesoro- cercai il rosso con lo sguardo ed eccolo, con la bionda.

-Potresti offrirmi qualcosa da bere…- sussurrai vaga e gli baciai la guancia avvicinandomi di più al suo corpo.

-Ok piccola, Jack?-

-Magari vino rosso-

-Sofisticata… Vodka?-

-Portami una bionda, meglio- ridacchiai e lui si allontanò da me andando al bancone, contento del compromesso.

Fu veloce e, passando accanto a Rose, gli battè una mano sulla spalla catturando la sua attenzione.

Due parole, degli occhi che si acuivano, Slash che rideva e poi mi veniva incontro.

Da dietro di lui vidi Axl guardarmi. Alzai piano una mano e la agitai piano al suo indirizzo, sfacciata.

-Alla tua salute, babe- il riccio sorrise passandomi la birra e mi prese sottobraccio.

Sorrisi -Alla vostra- portai alle labbra il boccale e bevvi piano, poi leccai il filo di schiuma rimasto su di esse cercando di sembrare discreta, anche se sapevo di avere addosso alcuni degli occhi dei presenti.

Avrei voluto essere ancora più deliberatamente provocatoria.

-Non credevo sarebbe riuscita a trascinarti fino a qui-

-Non abito troppo lontano- guardai Slash.

-Nemmeno noi in realtà- sussurrò mentre ripeteva il gesto fatto da Rose qualche sera prima: portarmi una ciocca di capelli lontana dal viso. Anche sue mani erano belle, ma quelle di Axl sembravano avere una cura particolare e quasi familiare che non capivo da dove venisse.

-Suoni le tue donne come fai cantare le tue chitarre?- piegai la testa e lui alzò il sopracciglio, dapprima perplesso, poi incuriosito e stuzzicato dalla domanda.

-Ti dirò, nessuna delle due categorie ha mai avuto da ridire stando in mia compagnia… Oh sì, cantano…-

Scese con la mano dalla spalla al fianco, un po' rozzo nei movimenti, ma passionale.

-Anche tu canteresti piccola…- sussurrò, più vicino.

-Mi è piaciuto l'assolo di Rocket Queen-

Strinse appena le dita della mano sinistra sul mio corpo come se stesse cambiando da un accordo all'altro, da una nota alla successiva, come se stesse tendendo le corde per un bending.

Probabilmente era così che poi le le donne finivano a letto con lui.

Annegai le mie sensazioni in un altro sorso di birra.

-Vuoi che suoni anche te, piccola?-

Avevo la gola secca e lo stomaco all'altezza della gola. Maledetti rocker.

-Non ora Slash- alzai la mano accarezzandogli una guancia e gli sorrisi.

-Ringrazia: sono un gentiluomo e non insisto- rise piano stringendomi più affettuosamente e facendo evaporare in un soffio la carica erotica che aveva accumulato.

-C'è un solo gentiluomo in questo gruppo-

-E sicuramente è Izzy- ribattei al rosso apparso al fianco di Slash, solo.

Buttai giù mezzo bicchiere in fretta.

-La moretta ci prende!- il chitarrista rise divertito, Axl ci guardò meno contento.

-Mmh Slash, non sono mora di capelli- precisai.

-Ah no?-

-Neri, del tutto neri-

-Neri, castani, io me ne vado dalla rossa dell'altra sera; adios!-

Ridacchiai mentre lui sorridendo usciva dal backstage.

-Penso di adorarvi-

Continuava a guardarmi, serio.

-Ciao Axl- gli sorrisi, più giocosa.

-Fuggitiva-

-Non sono stata io a fuggire l'altra sera dal nostro incontro a due o sbaglio?-

-Che faccia tosta- alzò gli occhi al cielo.

-É una constatazione la mia- inclinai la testa trattenendo un sorriso mentre tornava a mettere lo sguardo su di me.

Mi sembrò di sentire la sua carezza lungo le gambe nude fino a metà coscia, sui fianchi e il busto, fasciati da una camicia azzurra aperta quanto basta da far intravedere il bordo di pizzo nero del reggiseno.

Alzò un sopracciglio raggiungendo il mio volto.

-Chi devi conquistare, bambola?-

Non sapevo se considerare la domanda come un complimento. Lasciai correre, anche se il mio ego pareva essere momentaneamente preda di un black-out.

-Sono libera di vestirmi come mi pare- misi le mani sui fianchi guardandolo.

-Oh certo- abbozzò una smorfia divertita e, seccata, incrociai le braccia al petto.

-Non prendermi in giro, Rose, eri osceno su quel palco. E in ogni caso ho un nome-

-Sono solo curioso, Elizabeth-

Calcò il nome, quasi storpiandolo.

Insieme al mio, anche il suo venne pronunciato. Ci voltammo entrambi: la bionda stava agitando la mano all’indirizzo di Axl, che rispose allo stesso modo -Divertiti, bambola-
 

Un attimo ed era già lontano.

Un attimo ed ero già rimasta sola.








 

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Capitolo 7
*** Life on Mars ***


Life on Mars







30 marzo 1986

12.47

-No, non ti scuso-

-Come no, Ellie! Mi sono solo persa una giornata e ieri sera ero al lavoro… non ho trovato il tempo-

Arrotolai piano il filo del telefono attorno ad una delle dita.

-Mmh-

Trattenevo un piccolo sorriso, mentre implorava perdono per avermi persa di vista al Roxy e non avermi chiamata né essersi fatta sentire in alcun modo per chiedermi com'era andata.

-Elizabeth, dai, ti offro un gelato-

-Mi stai comprando?- ridacchiai.

-Sii- prolungò la vocale in un piccolo lamento.

-Con la panna?-

-Come vuoi, la linea è tua. Raccontami, l'hai fatto cadere ai tuoi piedi?-

-C'era la platinata, e, no, alla fine no, ero sovrappensiero e non ho combinato nulla- mentii piano con un sospiro -sono tornata a casa in autobus e ho dormito-

-Che pigra-

-Non sono un animale notturno- replicai e misi il vivavoce.

-Seh, lo vedremo cara- assunse un tono di sfida e ridacchiai afferrando dalla cassapanca vicino a me tabacco, filtri e cartine.

-Sono la persona più buona e meravigliosa che potresti mai incrociare nella tua vita- affermai ironica rollando la cicca.

-Non ti crede nessuno bella mia-

-Quando andiamo a prendere il gelato?- accesi, anche se ero nel corridoio d'entrata.

-Stasera lavoro-

-Uffa…-

-Ma i Guns dovrebbero essere liberi, se vuoi ti organizzo un incontro a due, tre…- rise piano mentre io quasi mi soffocavo con la seconda boccata.

-Anche no Adry, davvero- tossii.

-Ma chiedevano di te ieri, vuoi deluderli così? Stai fumando? Cerca di non morire-

-Sì, voglio deluderli così. Sì e no, ci sono ancora- mi schiarii la voce.

-Pooovero piccolo Duff- sospirò dispiaciuta.

-Amen- cercai di concludere soffiando il fumo verso il soffitto.

-Bambina cattiva, il karma ti si ritorcerà contro-

Rimasi un attimo in silenzio, chiusi gli occhi e risi senza riuscire a trattenermi.

-Il karma mi si è già ritorto contro- bascicai, ridotta quasi alle lacrime per la strana ironia della vita e per disperazione, mentre il rumore dei freni mi tornava per un attimo alla mente e in un soffio, spariva di nuovo.

Uno sbuffo da parte sua.

-Ok, lasciamo perdere Ellie-

-Mmm, meglio- sospirai, calmandomi e mi appoggiai alla parete con la schiena.

-Sto qui a casa, e domani sono in libreria tutto il giorno, un po' di straordinari non guastano-

Un po' di straordinari o un colloquio per ottenere un secondo lavoro.

-Ti trovo in libreria?-

-A meno di commissioni sì-

Non volevo che sapesse che avevo contattato il proprietario del caffè dietro l'angolo, non ancora per lo meno.

-Perfetto-

Lo facevo per scaramanzia.

-Ci sentiamo allora?- chiese ancora, potevo quasi vedere il sorriso sulle sue labbra mentre sentivo la sua voce.

Per scaramanzia e per non rischiare che si presentasse lì.

-Sì, mi faccio viva, a presto darling-

-Ciao-

Riposi la cornetta e mi stiracchiai prendendo un'ultima profonda boccata.

Espirai guardandomi attorno.

Bella la domenica, stupenda quando non si ha nulla da fare e il cielo minaccia pioggia.

Ancora più meravigliosa quando l'appartamento è a soqquadro, senti la necessità di riordinarlo ma non ne hai davvero voglia.

In entrata le scarpe erano abbandonate accanto alla porta, le ciabatte al loro fianco, simboliche, mai indossate: ai miei piedi c'era sempre un paio di calzini, più o meno arrotolati sulla mia gamba; invece di essere sull'attaccapanni, la giacca era appoggiata ad una delle sedie della cucina insieme alla borsa; da dov'ero potevo ammirare due piatti ed una pentola sporchi nel lavello della cucina e il burro dimenticato sopra la credenza; girandomi verso il corridoio la camera con il letto sfatto, vestiti ovunque, l'apice del caos.

Il mio perfetto caos.

Sorrisi piano.

-Allora, che ascoltiamo oggi?-

Fermai un attimo lo sguardo sulla foto appoggiata al mobile: da dentro la sottile cornice argentata, mia madre, vestita da sposa, mi guardava serena.

-Nulla che faccia troppo casino, sono d’accordo-

-Stairway to Heaven?-

Estrassi il vinile Led Zeppelin IV dallo scaffale e dopo averlo sistemato sul giradischi alzai il volume facendolo partire dalla prima canzone.

Iniziai a cantare Black Dog insieme a Plant prendendo altro tabacco.









 

21.26

-Arrivo!-

Mi alzai pigramente dal divano imprecando mentalmente contro chiunque fosse l’idiota alla porta, esclusa Adriana, ma Adriana era a lavorare.

-Chi é?-

Sbottai mentre in tutto l’appartamento risuonava il tintinnio del campanello, premuto al ritmo di una canzoncina natalizia.

-Sì?- aprii la porta di ingresso e la richiusi subito dopo, o per lo meno cercai di farlo.

E ci sarei davvero riuscita se Duff non avesse incastrato il piede tra lo stipite e la porta stessa.

Porca…

-Buonasera- sorrise a 32 denti mentre da dietro di lui si affacciava il riccio, ancora più allegro.

-Abbiamo portato la birra- soddisfatto, Steven fece una passo in avanti entrando in casa e seguito dal gigante.

-...-

-Wow, ma è carino sto posto- una rapida occhiata in giro e il più basso dei due si diresse in cucina, appoggiando una confezione di XXX sul tavolo mentre rimanevo sulla porta a fissarli, accostandola lentamente e chiudendola. -Permesso-

Duff, più tranquillo, mi rivolse un sorriso.

-Facciamo i bravi, promesso-

Sostenni lo sguardo per qualche secondo mentre Steve ci osservava e infine sospirai.

-Va bene… Datemi una birra-

 

Is there life on Mars?

 

Una parola anche a Bowie ovviamente.

Steven ridacchiò passandomi una lattina -Buongustaia..-

-Non ce l’hai qualcosa di più…?-

Puntai l’indice sullo scaffale della sala, dove avevo sistemati i miei vinili.

-Se li rompi ti uccido- sorrisi affabile a Duff guardandolo mentre aprivo la birra.

-Guardo e basta allora- si abbassò leggermente per leggere i titoli. Distolsi lo sguardo da lui per cercare Steven che intanto si era placidamente steso sul divano.

-Allora, ti sei divertita ieri sera?-

Occhioni azzurri, chissà se facevano anche i miei quell’effetto…

-Prima di questo, che ci fate qui?-

Si guardarono un attimo e Steve abbozzò una risata -Raccogliamo recensioni- disse Duff.

-E Adri ha detto di non farti abbandonare alla solitudine- aggiunse Steven -Ci ha portati qui prima di andare al lavoro- mi sedetti sulla mia poltrona a gambe incrociate -e appena stacca ci raggiunge-

-E io illusa che volevo dormire-

-Vi conoscete bene, tu e lei?-

-Abbastanza direi… mi piace, mi trovo bene con lei-

-A me da fastidio a volte- Steve bevve qualche sorso di birra mentre lo guardavo, perplessa.

-L’altra notte era talmente fuori che si è quasi fatta Slash-

-Non che tu fossi messo tanto meglio..- rise Duff.

-Bevuto troppo?- proposi piano.

I due si guardarono.

-Anche- concluse Steven.

-Fate i misteriosi?-

-Come fai ad avere dei dischi ancora con il cellophane addosso?!- l’ossigenato estrasse uno dei vinili dallo scaffale scandalizzato.

-Mio Dio piccola, non si fa-

-E non hai niente di punk, dovresti vergognarti..anche se mi aspettavo solo musica classica per come ti atteggi-

Steven rise.

Mi alzai -Dà qua- presi il vinile -guarda che lavoro, non sono sempre qui ad ascoltare musica…- lo rigirai tra le mani.

-Too fast for love dei Crüe- Steven annuì da sopra la mia spalla. -Credo di averlo preso perché mi piaceva la copertina- mi morsi leggermente il labbro, mentre osservavo l’immagine: come diavolo avevo fatto a dimenticarlo?

-Beh, lo ascolterò- affermai appoggiandolo affianco al giradischi.

-Si danno da fare quelli- ridacchiò piano Duff.

-Tra l’altro, credi che Izzy passerà da Sixx?-

-Decisamente sì-

-Li conoscete?-

-L’ambiente è quello piccola- Duff mi prese sottobraccio riportandomi sul divano.

-Dovresti venire a che tu con noi una sera, invece di filartela a casa da brava bambina-

-E che ne sai, eh?- mi alzai, prendendo il necessario per rollare e iniziai a preparare qualche cicca.

-L’altra sera sembravi un po’ dispersa, quando Rose è andato con Lara-

-Diciamo che non me l’aspettavo-

Lara eh?...

-Povera Ellie- Steve sorrise -Ma Axl è volubile, vedrai- ridacchiò.






 

E quel mongoletto da che parte stava?

Lo fulminai, mentre Elizabeth lo guardava assumendo una faccia perplessa.

-Volubile, eh?- bascicò lasciando che la cicca le pendesse dalle labbra, senza farla cadere.

-E aspetta che torni Erin-

Un’occhiata decisa mi fece capire che avevo di nuovo la sua attenzione, e magari l’opportunità per guadagnare qualche punto, o farlo togliere al rosso.

-Quei due sono svalvolati forte-

Distolse subito lo sguardo cercando qualcosa sul centro tavola: un accendino, blu.

-Più di voi?- chiese accendendo.

-Direi che siamo lì- rise Steven.

-Stiamo bevendo troppo poco- mi alzai prendendo un'altra birra e mi appoggiai alla parete.

Sembrava un animale selvatico.

Forse era la nostra estranea presenza a disturbarla: scattosa nei movimenti, il semplice aspirare fumo dalla sigaretta, così secco, tradiva nervosismo, come se non stesse davvero respirando, come se non sentisse davvero l’aria nei polmoni o il tabacco sulla bocca.

-Non voglio conoscere i vostri standard-

-Tu ti sei mai ubriacata?-

Un sospiro, più profondo.

-Sì-

Ah, ecco, stava in apnea.

-Più di una volta, ma non nell’ultimo anno-

-Rimedieremo- ridacchiai piano.

-Grave malattia astenersi-

Astenersi da qualsiasi cosa…

I miei occhi vagarono su di lei, che tornava a rivolgersi a Steven: aveva cambiato argomento tornando a parlare di Adriana.

Finii la bottiglia fissando quel pezzo di pelle nuda: la spalla destra, da cui pendeva, senza cura, la maglia nera, facendo in modo che rimanesse del tutto scoperta una cute liscia e chiara, interrotta da una striscia rossastra a malapena nascosta dalla spallina del reggiseno, la stessa striscia che avevo fatto finta di non notare in piscina.

Una vera e propria macchia, una cicatrice, di cui avevo visto un accenno. Finiva lì? Continuava ancora?

Non sapevo nulla, come di lei, non ne sapevo nulla.

Terza bottiglia mentre mi sedevo e le scroccavo la cicca, quarta mentre Steven si lamentava di Adriana e un po’ si raccontava; invece della quinta, chiesi direttamente un po’ della vodka che avevo visto nel mobile. Gustai qualche bicchiere mentre finalmente, suonava il campanello.














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Fatemi sapere che ne pensate!
Grazie ^^

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Capitolo 8
*** Galleggiare ***


Galleggiare
(Pensieri - Perigeo)





 

31 marzo 1986

18.43

Ero distrutta.

Ero piaciuta tanto agli italiani proprietari del bar che mi avevano fatta rimanere al lavorare tutto il pomeriggio, anzi, il mio turno sarebbe finito la sera, all’ora di cena.

Oltre alle presentazioni non mi ero esposta con nessuno: poche chiacchiere, molto girare tra i tavoli e servire panini, cocktail e caffè, vero caffè.

Il caffè italiano, talmente profumato e buono, che mi faceva quasi girare la testa.

O forse girava per la birra del giorno prima, anche se ne avevo bevuta davvero poca.

In ogni caso: il posto era ottimo, un po’ vecchio stile, ma frequentato e tenuto con molta cura.

Dava su una delle laterali ed era a 20 minuti di cammino dalla libreria.

Le vetrate, ampie, davano ad Ovest, lasciando entrare gli ultimi raggi di sole della giornata: quelli più caldi, arancioni, rossi, che si riflettevano sui vetri di bicchieri, bottiglie e boccali posati sugli scaffali dietro al banco, che sembravano accarezzare il legno dei tavoli e del pianoforte addossato ad una parete.

Avevo chiesto al proprietario che cosa ci facesse uno strumento così in quel posto, egli aveva semplicemente risposto che era inutile tenerlo in una casa dove nessuno sapeva suonare. Lì era a disposizione di tutti: ognuno dei clienti era libero di sedersi sulla panca e dar vita ad una qualche melodia.

In sintesi era il mio luogo ideale.

Paradossalmente poi, occupandomi della routine, o, meglio, nei miei turni di lavapiatti, mentre le mani svolgevano meccanicamente il loro lavoro, riuscivo finalmente a trovare spazio per pensare.

In realtà forse ne avevo già troppo, e pensare troppo fa decisamente male, ma avevo bisogno di riuscire a ricapitolare le mie idee, la mia situazione… magari fare qualche progetto o decidere di realizzare qualcosa di già deciso.

Avevo una lista, attaccata alla parete interna dell’armadio, forse l’unico lavoro che era riuscito a farmi bene dopo la morte di mia madre; aveva pochi punti, ma sinceri, e tutti mi sarebbero serviti per diventare la persona che avrei voluto essere.

O almeno, quella era l’intenzione con cui l’avevo scritta.

Una lista dei desideri.

Ero ancora lontana mille miglia…

Sospirai e, finite le faccende, chiusi un attimo gli occhi appoggiandomi allo stipite della porta che separava il bancone dal retro.

Mi servivano soldi e per quanto cercassi di essere cinica avevo bisogno di qualcuno di fianco, dovevo ammettterlo.

Axl Rose.

Sbuffai iniziando a togliere il grembiule.

Certo, sciocca, non lo conosci. Non conosci nessuno davvero.

Sì, sì, sono troppo esigente.

Una parte di me sarebbe scappata; l’altra si sarebbe tuffata in quegli occhi verdi.

Non c’era storia, il magnetismo che esercitava su di me era innegabile: anche se l’avevo visto solo un paio di volte. Dovevo scappare.

Mi misi ben dritta e salutai il proprietario accordandomi per i prossimi turni.

Mi avrebbe fatto più male che bene anche se sarebbe stato un antidoto infallibile alla mia paura più grande: quella di non sentire niente.

O meglio, quella di vivere in superficie, senza che niente davvero rimanesse dentro, nell’anima.

Galleggiare.

Uscii, a piedi, e presi una sigaretta dalla borsa accendendola e aspirando nervosamente, lasciando che il fumo arrivasse fino ai polmoni.

Volevo vivere con la pancia.

Tremare, sprofondare, nel bene e nel male, sentire davvero, fino a piangere, ad avere la nausea, a ridere fino a morire.

Con i suoi sguardi mi sentivo così…  viva.

Ma non lo conoscevo! Inutile pensarci.

Sarebbe stata come una di quelle stupide infatuazioni: il compagno di classe, il ragazzo carino sull’autobus…

Dimenticati in un soffio.

Espirai, lasciando che il fumo si disperdesse nell’aria.

Domani sarebbe stato già aprile.

Iniziai a camminare.

Il colmo era che però mi stavo avvicinando.

Adriana aveva invitato a casa mia Steven e Duff, ed erano rimasti da me fino all’una di notte.

A dire la verità non mi era poi così dispiaciuto: il piccolo biondo dagli occhi azzurri si era rivelato essere un buon oratore.

Mentre Duff era rimasto in silenzio a bere per la maggior parte del tempo, mi aveva raccontato di come si erano incontrati i vari componenti del gruppo e quindi lui ed Adriana, tramite amicizie comuni, erano arrivati a mettersi insieme… e a litigare.

Sì, perchè a quanto pareva, se con me Adriana era la persona più adorabile e tenera del mondo, beh, lo era anche con Steven e con la gran parte della popolazione maschile del globo.

Non era ancora arrivato a tradirlo, ma poco ci era mancato, e da entrambe le parti.

Quando Adriana era rientrata, la sera piuttosto tardi, erano volate diverse frecciatine ed ero fuggita in terrazza insieme all’ossigenato.

-Questo è amore- aveva riso appoggiandosi alla ringhiera.

-Steven e Adriana sono spesso così?-

-Più di quello che credi, o meglio, vanno a periodi alterni, come un altalena. Si molleranno e tra due settimane terneranno insieme. Non avevano mai resistito così a lungo.-

-Davvero?-

L’avevo guardato e lui aveva preso piano la cicca dalle mie labbra e l’aveva appoggiata alle sue facendo l’ultimo tiro.

-Davvero, mr. Brownstone probabilmente aiuta- era sembrato sovrappensiero e poi aveva lasciato cadere il mozzicone giù dal terrazzo.

Quindi in una sera avevo riazzerato le mie prospettive su quella che sembrava potenzialmente poter rischiare di diventare la mia compagnia di amici.

Compagnia di amici.

Brr.








 

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Capitolo 9
*** Call ***


Call
(Pheurton Skeurto - Sunny Day Real Estate)







5 aprile 1986

9.37

E poi, che idea stupida, giocare con Rose, non avevo bisogno di altre scottature, no, di certo.

Smettere di frequentare tutti, uscire con persone sane: tipo Daniel, Daniel era un bel ragazzo sano, intelligente, bene intenzionato, con un futuro chiaro, ed era pure carino.

Lo sbirciai per un attimo mentre si alzava sulle punte per sistemare uno dei volumi, poi tornai a controllare l’elenco dei nuovi arrivi.

-Ci siamo mollati-

Alzai lo sguardo dal bancone e fissai Adriana che, come fosse stata a casa sua, aveva appoggiato le sue borse davanti alla cassa.

-Mi farai licenziare-

-Ci siamo mollati, io e Steven, Steven e io, rotto, abbiamo rotto-

Aveva gli occhi spalancati, come se lei stessa fosse sorpresa dalle sue parole.

-La scusa ufficiale è che devono registrare l’EP-

Presi le borse posandole dietro al bancone.

-Almeno ogni tanto fai finta di comprare un libro Adri…-

-Registrano l’EP, capisci? E siccome deve concentrarsi mi molla-

La tirai in parte, stringendole forse un po’ troppo la mano attorno al polso.

-Adriana, torna in te-

Alzò lo sguardo, ancora un po’ persa, fino a puntare gli occhi nei miei.

-Dopo, diciamo, a mezzogiorno preciso, usciamo insieme e me ne parli, adesso proprio non posso-

Con la coda dell’occhio notai Daniel parlare con il proprietario: lo teneva impegnato.

Adriana annuì, gli occhi talmente limpidi e umidi da sembrare dei laghi, laghi da cui sarebbero cadute delle cascate a breve.

-Solo un paio d’ore, ok?-

Lei annuì ancora.

-Un pai-

Prima che potessi fare qualsiasi altra cosa, scoppiò a piangere seppellendo il viso sulla mia maglietta.

Tenni per un attimo sollevate le mani, sorpresa, incapace di reagire.

Perchè era venuta a piangere da me? Perchè lì al negozio? Perchè proprio ora? Perchè il mio corpo si rifiutava in modo così prepotente di…?

-Elizabeth-

La voce di Ben, un’occhiata di Daniel che chiedeva perdono, le mie mani che si appoggiavano finalmente alla schiena di Adriana mentre bascicavo qualche scusa e venivo mandata in pausa.









 

14.23

-Dammi ancora un po’ di vodka per piacere…-

-Tra te e McKagan l’ho finita la vodka, Adri!-

Singhiozzò ancora nascondendosi sotto la coperta -Perchè alzi la voce, cos’ho fatto?-

Era isterica, triste e decisamente brilla, ed io ero decisamente incazzata: le avevo offerto riparo a casa mia e mentre finivo il turno lei aveva finito i miei alcolici.

-Ti sei ubriacata Adriana, sei fuori?-

-Smettila!-

Ed erano solo le 2 del pomeriggio…

La lasciai in sala ed andai in bagno.

Davanti allo specchio portai le mani alla testa e feci un respiro profondo per poi fissarmi.

-Si, li ho avuti anche io i periodi no, e avrei pagato oro per avere qualcuno di fianco… Ma Cristo, non avrei svuotato lo scaffale degli alcolici, non in casa d’altri!-

Sbuffai.

Ci avevo davvero provato, ad abbracciarla, a consolarla, ma lei aveva continuato a piangere ancora ed ancora e a dire che non ce l’avrebbe fatta senza di lui, che era una persona orribile…

Ci stavo guadagnando solo una maglia umida ed un esaurimento.

-Che faccio, eh?- abbassai lo sguardo e per sbaglio finii a fissare la superficie di pietra affianco al lavabo. Ci passai le dita e le guardai: avevano catturato della polverina bianca.

Un altro respiro, ancora più a fondo.

Tornai in sala e presi la borsa di Adriana, trovai una bustina vuota e poi il biglietto che cercavo.

Corsi al telefono e feci il numero.

-Sono Elizabeth-













 

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Capitolo 10
*** Visite ***


Visite
(Too Young to Fall in Love - Motley Crue)









10 aprile 1986

20.27

Aprii la porta e non mi sorpresi alla vista del piccolo batterista.

-Scusa, ma nella Hell House non ci riesco a stare-

Entrò, appese la giacca e si sedette sul divano sospirando.

-Come se fossi a casa tua, Steve-

-Grazie Ellie-

Era la seconda, o forse terza volta che il biondino si presentava a casa mia senza preavviso.

-Come va?- mi accomodai sulla poltrona.

-Anche stasera è con Slash, al Whisky a Go Go- alzò le spalle.

-Non che me ne freghi molto, ma poi torna a casa fatta e ubriaca e, davvero, non ho voglia di vederla crollare nel salotto-

-Sei sicura che io non debba rapirla?-

Mi guardò un attimo in silenzio.

-Forse sarebbe meglio di sì… farò in modo che arrivi qui, magari quando non lavori-

-Sei un tesoro- sorrisi piano, anche se la prospettiva di tenere buona Adriana certamente non mi rendeva la persona più felice del mondo. Le volevo bene, ma fare da balia ad ubriachi non è il massimo.

-Direi che ti meriti una birra per questo-

-Io direi che mi merito una tirata, ma faccio il bravo perchè sono a casa tua- si lasciò stendere sul divano, lasciando le gambe a penzoloni oltre il bracciolo.

Risi: Steven Adler era probabilmente l’unica persona che riusciva a farmelo fare anche parlando di droga.

Non era più un segreto ormai.

Della cocaina, dell’alcol e del sesso mi aveva raccontato. Non era tutto, no, altrimenti non avrei saputo spiegare alcuni dei segni sulle sue braccia, ma almeno era qualcosa.

Infondo io non gli avevo raccontato niente.

Gli passai la birra mentre si grattava la pancia, pensieroso.

Mi rollai una cicca lasciandogli tempo.

-Siamo così disperati secondo te?-

Una nuvola di capelli biondi gli nascondeva in parte il viso, rivolto al soffitto

-No-

Girò la testa, rivolgendomi quegli occhi azzurro cielo, ora illuminati da un barlume di speranza.

Non ancora...

La maglia azzurra si era arricciata leggermente sul fondo, lasciando scoperta una striscia di pelle tra essa e i jeans slavati, stretti in vita da una cintura scura.

-Lo dici così per dire?-

-No, è… siamo giovani Steve, certo, ci sono modi più sani per divertirsi, ma… siamo giovani anche per sbagliare, credo. Basta… saper riconoscere quando il troppo è troppo-

Conclusi piano.

-Non è facile, Ellie… una volta nel giro mi sa che non se ne esce più-

Aprii la porta finestra sospirando, lasciando che l’aria primaverile entrasse nell’appartamento.

-Ti faccio uscire io, se è questo quello che mi stai chiedendo-

-Non ancora-

Si aprì in uno dei suoi sorrisi da angelo -Sono ancora troppo giovane per diventare un bigotto come te-

-Oh grazie, eh- mi passai una mano sul viso e trattenni un sorriso mentre accendevo la sigaretta.

-Prego-

-Pop Corn sei un’idiota- gli sorrisi tenendo la cicca tra le dita.

-Ti voglio bene anch’io- sorrise e si spostò ancora sul divano, stavolta appoggiando le gambe allo schienale.

-E a questo proposito, Duff sta iniziando a dare di matto perchè vengo qui da solo-

-Mi mancava il momento gossip, Steve- ridacchiai ammirando la posa in cui si era messo: a testa in giù, con i capelli che quasi sfioravano il pavimento.

-Sì, ti giuro, mi ha messo sotto processo stasera: probabilmente è dietro la porta ad origliare-

-Non dire baggianate-

-No, in effetti sarà con qualcuna al Whisky anche lui con Slash- alzò le spalle.

-Izzy è andato da Sixx a prendere roba- contò tre sulle dita -Io sono qui… Axl credo stia lavorando-

-Lavora?-

-Era così nero quando è uscito che mi sa che sì, stava andando a lavorare-

-Che fa?-

-Beh, porta a casa due soldi- iniziò vago.

-Dimmi che non si prostituisce-

-Ti piacerebbe, eh?- in un attimo era seduto composto e rideva aprendo la bottiglia.

-No, ha trovato da spacciare; non è il massimo, però- bevve piano.

-Però ci paghiamo l’affitto, finchè non avremo qualche guadagno dalla musica, s’intende-

-Capito-

Me lo vedevo molto di più sul ciglio della strada, pronto a darsi a qualche facoltosa bionda piena di soldi…

-Ahi- staccai di colpo le dita dal mozzicone bollente: distratta, non mi ero accorta di essere alla fine della sigaretta.

Mi ero bruciata.

...cenere, Elizabeth, cenere...

Steve allargò il sorriso -Sì, ti piacerebbe-

-In ogni caso devi sapere una cosa- aggiunse affabile.

-Dimmi caro- mi spostai in cucina e misi per un attimo le dita sotto il getto d’acqua gelida del lavabo.

-Poco ma sicuro l'hai incuriosito- Steven ridacchiò arraffando l'ennesima bottiglia di birra.

-Tu dici?- lo guardai mentre si appoggiava alla credenza della cucina.

-Se sapessi quello che so io ne saresti sicura anche tu- sorrise ammiccante e si avvicinò.

-E immagino che non mi dirai nulla-

-Nah, altrimenti non sarebbe così divertente-

-E’ che siete così criptici- sbuffò.

-Ma mi becco occhiatacce se ti nomino, è un buon segno-

Annuii, fintamente distratta.

-A te interessa qualcuno?-

-Come?-

-Massì, un ragazzo su, uno di noi-

Ridacchiai -Steven, sono troppo giovane per innamorarmi-

-Beh, mica devi innamorarti per forza-

-Ce l’hai Shout?-

-Shout?-

Si mise a frugare tra i vinili e ne estrasse uno dall’aria molto usata, i Guns erano capaci di trovare dischi di cui non ricordavo l’esistenza.

-Non è vero che non conosci i Crüe, questo l’avrai sentito mille volte…-

-O comprato a caso tra quelli usati…-

Alzai un sopracciglio mentre lo tirava fuori -Allora sei davvero un caso perso- scosse la testa controllando le tracce.

-Ascolta questa-

Trovò subito quella che gli interessava.

-Quindi questi sono i Motley Crue, Steven?-

-Sì, cocca, me li hai citati-

 

You say our love

Is like dynamite

Open your eyes

'Cause it's like fire and ice

Well you're killing me

Your love's a guillotine

Why don't you just set me free


 

-Steven, puoi spegnere?-

Non mi era chiaro il perchè, ma mi disturbava.

 

Too young to fall in love

I'm too young

Too young to fall in love

I'm too young

Too young to fall in love

 

-Perchè? Sono forti- si girò verso di me, ed il suo sorriso sembrò accasciarsi mentre mi guardava in faccia.

-Stai bene?-

-No-

 

Run for the hills

We're both sinners and saints

Not a woman, but a whore

I can just taste the hate

Well now I'm killing you

Watch your face turning blu-



 

Spensi.



 

Spense la musica e si sedette sul divano, più pallida del solito, barcollante.

Sembrava avesse visto un fantasma.



 

Il rumore dei freni che copriva le parole.

La musica che andava avanti, anche se noi ci eravamo fermate.



 

-Ehi, bella- mi inginocchiai davanti a lei.

-Che ti succede?-



 

La voce di Steven mi riportò alla realtà: ero salva, viva.

Ma continuava ad essere colpa mia.

-Niente-



 

Per quanto fossi consapevole che nel pieno delle sue facoltà mentali, in un momento del genere sarebbe stata capace di sbattermi fuori dalla porta senza indugi, mi avvicinai di più e la abbracciai, facendole nascondere quell’unica lacrima sfuggita al suo controllo.



















--- --- --- --- --- --- 

Ritardo galattico ^^'
Scusate, l'università chiama.... T.T

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Capitolo 11
*** Zoo ***


Zoo
(Seamus - Pink Floyd)











12 aprile 1986

21.34

-Usciamo per dimenticare!-

Izzy sbucò dalla sua stanza e diede un’occhiata in giro, di controllo.

-Dimenticare cosa?-

-Dimenticare i Crue!-

-Ossignore Steven…- sospirai mentre il chitarrista mi lanciava un’occhiata comprensiva e quindi tornava a farsi gli affari suoi.

Da quando avevo avuto quella reazione ascoltando Too Young to Fall in Love, il biondino si era autoproclamato mia guida, protettore e salvatore e stava facendo di tutto per ‘assicurarmi la felicità’ o cose del genere.

-Cazzo centrano i Crue?-

Così quella sera ero finita alla Hell House a prenderlo perchè lui era senza macchina e…

Aspetta, quello uscito dal bagno era Axl Rose in boxer?

Fu più forte di me: dovetti squadrarlo da cima a fondo e viceversa. Era in forma, pallido come tutti i rossi che si rispettano, ma in forma… gambe toniche, addominali accennati, la V che partiva dal bacino di cui non potevo vedere la punta...

-Rose, sono affari di Elizabeth i Crue: da qual che ne sai tu potrebbe essere stata stuprata da Neil e aver bisogno di qualcuno per superare il trauma- borbottò Steven finendo di allacciare la cintura dei pantaloni e cercando una maglietta.


Mio Dio, perchè erano tutti così nudi..?


Mi morsi appena il labbro mentre facevo nella mia mente un sottile confronto guardandoli senza dare nell’occhio.

-Stuprato chi? Oh, ciao moretta- la mano di Slash si infilò tra i miei capelli scompigliandomeli, poi il riccio si sedette sul tavolo della cucina come se niente fosse afferrando la sua chitarra.

Cercai di risistemarli alla meglio -Slash…- sbuffai.

-E avrebbe bisogno di te, per superare il trauma? Fammi un piacere, Pop Corn- sbottò Axl appoggiandosi ad una parete e passandosi l’asciugamano attorno alle spalle.

Lo guardai ancora.


Avevo bisogno d’aria.


-Ciao Ellie, questa giacca da metallara ti sta d’incanto- eccolo, il quinto, ora erano tutti.

Axl tirò un’occhiataccia a Duff che mi aveva lasciato un bacio sulla testa prima di entrare in bagno.



Aria.



Aria.



-Elizabeth, non trovo nulla, non possiamo uscire-

-Steven!-

-Okok- rise e sparì di nuovo.

-Oh mamma mia…- sussurrai senza riuscire a trattenermi.

-Hai davvero problemi con i Crue?-

Alzai lo sguardo dal pavimento tornando a guardare Rose, stavolta con la scusa che mi aveva effettivamente rivolto una parola.

-No, Steven si inventa cose…- sospirai.

-Meglio così-

Puntò gli occhi nei miei ed iniziò piano a sorridere, sempre più storto, sempre più perverso, sempre più…




Aria.




Distolsi lo sguardo e lui scoppiò a ridere.

-Oh ti piace quello che vedi-

Si staccò dalla parete e passò esattamente alle mie spalle, lento.

Sentii per un attimo le sue mani sfiorarmi, il suo fiato sul collo, caldo.

Mi chiedeva “Vuoi giocare?”, mi faceva rabbrividire perché sembrava che da un momento all’altro mi avrebbe morsa al collo, dissanguandomi.

Socchiusi gli occhi. C’erano solo le sue mani e il battito, forte, del mio cuore.

Poi all’improvviso, troppo velocemente, era finito tutto: era già sparito nella sua stanza.

Slash, che aveva assistito alla scena, iniziò a ridere piano -Piccola, sei fottuta-

-Io non ci scommetterei, Slash- riuscii solo a mormorare.

Rise di più, come ad una battuta che io non potevo capire mentre Steven tornava a salvarmi.

La Hell House era come una gabbia: lince, serpente, cane, lupo..e scimmia, forse?

Animali più o meno pericolosi; io non volevo essere mangiata.
















--- --- --- 




Capitolo breve, lo so, scusate ^^'
Riguardo all'ultima parte: associare uno dei ragazzi al suo 'spirito guida animale' o a 'cosa sarebbe se fosse un animale' per alcuni mi viene facile, per altri per niente... voi che ne pensate? Avete mai fatto questo gioco?






 

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Capitolo 12
*** Warmth ***


Warmth
(With a little help from my friends - The Beatles)









13 aprile 1986

12.33

Quando la porta si aprì mi trovai davanti Adriana, stanca come non l’avevo mai vista.

Sorrisi, mentre lei apriva la porta sbadigliando.

-Che ci fai qui?-

-Ti salvo dalla solitudine-

Entrai, senza nemmeno chiederle permesso.

-Mmm, mi fai un caffè?-

-Tesoro, è casa tua…- iniziai a ridere piano.

-Sì, ma lo sai dov’è il caffè, e anche dov’è la moka-

-Va bene cara…-

-Grazie-

Tornò a sdraiarsi sul divano letto e a coprirsi fino alla testa.

Alzai le persiane di qualche centimetro e iniziai ad impadronirmi della cucina.

-Elizabeth?-

-Sì?-

-Scusami, per la coca…-

-Amen- accesi il fuoco sotto la moka e guardai nella sua direzione.

-Quanto male stai piuttosto?-

-Non troppo, davvero-

I suoi occhi, anche se stanchi, sembravano sinceri.

-Ho bevuto, ho pensato ad altro… sto meglio-

-Mi fido- mi avvicinai fino a sedermi vicino a lei.

-Mmm- si tirò su facendo forza sulle braccia e mi abbracció -Mi mancavi..-

-Certo- sospirai ironica -mi hai un po’ snobbato… sempre con Slash-

-Anche tu, e non volevo fare improvvisate da te sapendo che avrei potuto incrociare Steven-

-Touché, scusami...-

Il rumore della moka mi costrinse ad alzarmi per spegnere il fuoco.

-La tua coinquilina?- l’appartamento sembrava un po’ vuoto dall’ultima volta in cui c’ero stata.

-É andata a vivere dal suo ragazzo, per ora-

Si stropicció gli occhi, sbavando il filo di trucco rimasto dalla sera prima. Versai il caffè e poi risi avvicinandomi -Sembri un piccolo panda..-

-Un panda molto sexy- aggiunse raggiungendomi piano al tavolo della cucina.

-Stra sexy- risi piano.

-Ho baciato Saul, cioè, credo di esserci stata a letto in realtà-

La guardai piegando la testa perplessa.

-Saul, il vero nome di Slash- specificò versando due cucchiai di zucchero nella tazzina, come se non fosse stato niente.

-Ah…-

-Non dirlo a Steven-

-No, tranquilla-

-É stato… bello-

-Ma a te piace Steve- continuava a guardare la tazzina mescolando, io invece avevo lasciato perdere il caffè per tenerla sott’occhio.

-Beh fisicamente i Guns sono uno meglio dell’altro. Ma ho un preferito, senza dubbi- accennó un sorriso e posò il cucchiaio, il tutto rigorosamente senza alzare lo sguardo.

-E anche tu ce l’hai- solo allora mi lanciò un’occhiata piena di sottintesi e bevve un sorso.

-Lasciamo perdere le mie preferenze- conclusi.

-Che hai intenzione di fare?-

-Non lo so…- sospirò.

-A dire la verità mi manca, ma vorrei che finissero di registrare, prima di… rimettermi in gioco- alzai un sopracciglio.

-Rimettermi in gioco con lui- specificó.

-Non fare cazzate con gli altri però-

-É solo un po’ di sesso, Ellie- sbuffò.

-Calma i nervi- annuì convinta e finì il caffè.

-A te, tesoro bello-

Mi sembrava incredibile che fosse più piccola di me. Forse era proprio quella sua apparente ingenuità che la faceva piacere agli uomini. I suoi capelli scuri con una lieve sfumatura rossastra erano spesso raccolti e sorrideva, sempre, quasi come Steven. Anche se il suo viso era leggermente un po’ troppo tondo per i miei gusti, gli occhi chiari, verdi, da gatta, attiravano su di loro tutta l’attenzione, magnetici.

-Fallo e ne riparliamo-

-In ogni caso vieni con me la prossima volta che suonano?-

-Li ascolto sempre volentieri- sorrise piano, già più sveglia di prima.  

-Li conosco bene, e quello che è successo con Steven non mi impedisce di essere una fan sfegatata- si alzò prendendo dai piedi del letto un reggiseno e una maglia bianca.

-Pensa che ho perfino tinto i capelli a Duff- rise tra sé iniziando a cambiarsi.

-Uuh, svelato l’arcano dell'ossigenato..- sorrisi.

-Sono dei cuccioloni- infilò anche dei jeans poi mi guardò -dimmi che hai il pomeriggio libero-

-Adriana, è domenica-

-Uh, davvero?- risi piano vedendola sinceramente sorpresa.

-Davvero- confermai.

-Shopping terapeutico?- batté le ciglia al mio indirizzo, irresistibile.

-Me lo stai chiedendo sul serio? Finisci di vestirti, lentona- sorrisi alzandomi e sistemando le tazze nel lavello.

-Yuhuu- afferrò la spazzola esultando e filò in bagno.

-E dobbiamo anche pranzare, Adri!-

-Sì, così ci fregano tutto! Sei poco furba tesoro!- sbottò, facendosi sentire da lì.

Ormai era assodato, constatai senza trattenermi dal sorridere: la mia migliore amica era una pazza.










 

18 aprile 1986

23.59

-Adriana me l’aveva accennato, che volevi stuzzicare Rose… beh, cara, tanti auguri- camminavamo piano per strada, appena usciti dal Roxy per sfuggire ai predatori.

Steven Adler stava davvero cercando di occuparsi della mia felicità, ma gli avevo impedito di parlare della canzone o di Axl, almeno, fino a quel momento.

-Non sono io a giocare con lui è lui che gioca con me, non c’è storia...- borbottai.

-E tu ti fai sottomettere, sciocchina- mi accarezzò la spalla -Anche stasera, di che vi siete fermati a parlare?-

-Non voglio davvero giocare con lui, riesco a tenergli testa a metà, e poi lui ha quegli occhi..-

-Novità: hai anche tu gli occhi, e non ignorare le mie domande, signorina-

-Ragazzi!-

Feci una linguaccia a Steven che alzò gli occhi al cielo, poi ci girammo: Duff ci correva incontro -Adler, avevo chiesto di aspettarmi!-

-Ops- ridacchiò l’altro, mentre l’ossigenato ci raggiungeva.

-Duff, devi assolutamente chiedere ad Adri di sistemarti i capelli- lo squadrai da capo a piedi, mentre lui faceva altrettanto e poi sorrideva.

-E se lo facessi tu?-

-Ti fidi?- lo sfidai.

-Sì-

-Domani?-

-Quando vuoi- mi prese sottobraccio.

-Se poi prenderò parole perché sono arrivata a farti la tinta in momenti poco opportuni, sappi che mi riterrò alquanto offesa-

Rise piano.

-Va bene, cercherò di ricordarlo-

-Ragazzi, ci sono anch'io qui, eh-

-Sei meno acida del solito comunque, Ellie- notò McKagan, fregandomi la cicca, di nuovo.

-Se mi freghi un’altra sigaretta senza chiedere lo diventerò, darling-

-Scuusa-

Me la rimise tra le labbra, allegro, ed io cercai inutilmente di tenergli il muso.

In poco tempo mi stavo abituando a Steven, a Duff, ad avere attorno quei pazzi dei Guns, anche se in un modo o nell'altro mi sconvolgevano sempre.

Mi sembrava di essere un po’ più viva: scaldata da un’ abbraccio di Steven, incuriosita dalla riservatezza di Izzy, divertita da Slash, lusingata dalle occhiate di Duff e trafitta da quelle di Axl…



Un po’ più viva.






 

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Capitolo 13
*** Mattina ***


Mattina
(Laguna Sunrise - Black Sabbath)










19 aprile

7.13

La casa era del tutto silenziosa.

Sembrava riposare, con le tapparelle mezze abbassate, illuminata dal sole, che ancora non scaldava troppo, lasciando respirare.

Dal suo interno proveniva un soffocato rumore di arpeggi, una melodia suonata alla chitarra, dolce, che sfuggiva dalla sala attraverso la finestra semi aperta.

Decisi di bussare comunque, anche se l’avrei interrotta.

Diedi tre colpi al legno con le nocche della mano.

La porta si aprì dopo poco, in silenzio: Izzy Stradlin, con una sigaretta accesa che gli pendeva tra le labbra e la chitarra nella destra, mi guardò dapprima perplesso, poi decise che andava bene così.

-Elizabeth-

Lasció la porta aperta ed entrai piano.

-Ciao Izzy.. permesso-

Lui trattenne una risata chiudendo e tornò a sedersi sul divano -Credo che tu sia l’unica persona a farsi un po’ di riguardo quando entra qui-

-Beh, educazione- dissi piano guardandomi attorno. Era tutto molto più in disordine rispetto all’ultima volta che c’ero stata.

-Che sei venuta a fare?-

Ancora in piedi, un po’ dispersa, tornai a guardarlo mentre inspirava e poi faceva cadere i mozziconi nel portacenere vicino.

-In teoria sono qui per ossigenare l’ossigenato- mormorai incerta.

-Buona fortuna a svegliarlo-

Sorrise lievemente, rimettendo la cicca in bocca e imbracciando la chitarra.

-Impresa ardua dici?-

-Non so a che ora siano tornati lui e Steven ieri, ma.. la sveglia alle 7, non andiamo più a scuola insomma- iniziò a pizzicare le corde sovrappensiero.

-Forse non ci siamo mai andati- concluse e ridacchiò piano.

-Beh ma avete la musica. Io non ho niente.. a volte mi chiedo se avrei dovuto fare il college-

-E te lo paga il papi?- fece notare, con una leggerezza poco adatta per questo tipo di domande viste le spese previste per frequentare.

Rimasi in silenzio per qualche attimo.

Non pensavo spesso a mio padre, paradossalmente in alcuni momenti i morti mi erano più vicini dei vivi, e papà era vivo.

Aveva una nuova famiglia, ed Annah ci andava al college.

-Non ho fatto il college, non mi pongo nemmeno il problema-

Voleva diventare medico, lei.

“Per aiutare le persone”, diceva, “Per salvarle dai brutti incidenti”.

Per pura vanagloria.

Istintivamente appoggiai una mano sulla borsa, tastandola per cercare il pacchetto di sigarette: le industriali mi facevano schifo, ma in casi estremi…

Erano lì.

-Hai risparmiato un sacco di soldi- rise piano.

Mi trattenni dall’estrarlo e raccolsi le braccia -Vero?- sorrisi.

-E il mio turno di lavoro è tra un'oretta per cui adesso lo sveglio-

-Che fai?-

-Aiuto in una libreria-

-Seconda porta a destra-

-Grazie Izzy- mi riavviai i capelli all'indietro e mi ci avvicinai.

Fa che non siano nudi...

Presi un respiro profondo ed aprii la porta.

Dormivano, come bambini, Duff e Steve, ciascuno nel proprio letto.

L’uno con un braccio penzolante oltre il bordo del materasso, l’altro con i capelli biondi un po’ nascosti dal cuscino, il viso contro il muro.

Mi avvicinai piano e mi abbassai, per essere alla sua altezza.

-Duff?-

-Mmh- mugugnò, aprendo appena gli occhi.

-Devo farti la tinta, tesoro…- forse addolcendo il tono…

In un attimo mi tirò a sè, sul letto.

-E se invece stessimo qui al calduccio..?- borbottò circondandomi con le sue braccia da gigante e chiudendo di nuovo gli occhi.

Eravamo distesi in un abbraccio tiepido e disordinato, tra lenzuola e capelli.

Le mie guance avevano iniziato a scottare, appoggiate così, sul suo petto.

-Duff- sentivo che si era avvicinato ancora. Inspirava tra i miei capelli, come se volesse capire che shampoo avevo usato, come se fosse proprio il suo preferito.

Alzai la testa.

-Sbrigati, devo andare al lavoro appena abbiamo finito-

Sbuffò, abbandonando le braccia alla gravità e mentre cercavo di alzarmi si stiracchiò, sbadigliando rumorosamente.

-Ma che ore sono?-

-Le sette e mezza di mattina-

Si mise seduto stropicciandosi gli occhi.

-Dì la verità: tu mi odi, vero?-

-No- sorrisi, finalmente in piedi.

Era carino, così. Sembrava un cucciolo appena svegliato; era un cucciolo appena svegliato.

Lineamenti morbidi, i capelli un po’ sparati. Portava una canottiera nera sformata e dei boxer.

-Che palle Elizabeth… Avrei dovuto soffocarti con il cuscino e tenerti sotto le coperte-

Si lasciò cadere, stendendosi di nuovo.

Ridacchiai.

-Niente omicidi stamattina- mi avvicinai e, appoggiando una mano sul suo petto, gli baciai la fronte.

-Ti aspetto in bagno-

Lo accarezzai appena sopra la stoffa, facendogli sentire la punta delle mia unghie, poi sorrisi guardandolo negli occhi prima di allontanarmi.

Come fui uscita dalla stanza, lo sentii tirarsi su.

Il pizzico di malizia con cui avevo condito l’ultima frase avrebbe fatto alzare qualsiasi uomo.








 

7.31

-Avevi detto quando volevo- sorrisi iniziando a tingergli i capelli.

-Ma sono appena le sette e mezza, ed erano le sette e mezza anche dieci minuti fa, quando mi hai svegliato. Qui qualcuno dice le bugie-

-Ops-

Risi piano.

Tramite lo specchio potevo vedere la sua faccia, ancora stravolta dal sonno.

Trattenne uno sbadiglio e chiuse gli occhi.

-Potrei dormire su questa sedia-

-Credevo mi volessi tenere compagnia...-

-Beh ma rispondo se mi chiedi qualcosa-

-Non se stai dormendo, McKagan- gli sfuggì un sorriso.

-Puoi chiamarmi per nome sai?-

-Duff?-

-Michael-

-Quindi se guardo la tua carta di identità sei Michael McKagan-

Concentrata, continuai a sistemare l’impacco, non pensando più allo specchio; ora però negli attimi in cui alzavo lo sguardo dalla sua chioma vedevo il suo sbirciare la mia espressione.

Mi piaceva da matti piacere alle persone.

Mi faceva sentire importante, e lusingava il mio egocentrismo, confermandomi che sì, ero bella. Ero stupenda.

-Michael Andrew McKagan, sulla tua che ci trovo?-

-Elizabeth Moore, il mio secondo nome non c’è scritto-

-È uno di quei nomi imbarazzanti? Tipo, non lo so, Ermenegilda, Geronzia..?- rise piano.

-No, in realtà mi piace parecchio, anche per la mitologia che ci sta dietro-

-Mitologia? Davvero? Se sai di quella materia vuol dire che andavi bene al liceo-

-Non ti scandalizzare, diciamo che ero brava fino al secondo o terzo anno, poi ho fatto un po’ di fatica a frequentare-

-Anch’io me la cavavo piuttosto bene, ma ho mollato prima di finire. Facevi la bulletta quindi?-

-Problemi in famiglia, mettiamola così- gli scappò una risata.

-La famiglia…-

Aggrottai le sopracciglia non capendo e lui sorrise notando la mia espressione.

-Noi siamo in dieci-

Lo guardai -Dieci?-

-Mamma, papà e noi otto, poi hanno divorziato e papà beve non poco, ma otto… sono il più piccolo-

-Wow… coraggiosa, tua madre-

-É una grande- sorrise.

Gli avvolsi i capelli con la stagnola.

-Dovrei andarla a trovare-

-Sì, dovresti, le mamme sono un portento- guardai l’ora, adesso bisognava solo aspettare un po’.

Un po’ di silenzio mentre si controllava e forse pensava ai suoi, sembrava abbastanza assorto, ma non sopportavo l'idea di avere il silenzio necessario per pensare ai miei genitori.

-Non capisco perchè tutti mi chiedano se sono una bulletta, non sei il primo che se ne esce con questa storia-

-Sarà che sembri sempre imbronciata, o stizzita-

-Non è vero!-

-Ecco, te la sei presa- alzò le spalle constatando e rise di me mentre sbuffavo.

-Sei permalosa- aprì il sorriso e, dopo essersi alzato in piedi mi appoggiò una mano sulla testa scompigliandomi i capelli.

-Smettila, ne va della tua mano-

-Senti che aggressiva!- rise ancora.

Regola d’oro per chiunque mi voglia essere simpatico: non toccatemi se non lo voglio. Non datemi pacche amorevoli sulle spalle, sanno di compassione; non toccatemi i capelli, non voglio disordine; ma soprattutto, non toccatemi la testa. È la cosa che mi dà più fastidio al mondo.

Un’occhiata truce e smise, alzando le mani per proclamarsi innocente, senza però smettere di sorridere.

-Sei proprio carina-

Ne allungò una fino a prendermi, piano, il mento, per fare in modo che alzassi il viso per guardare meglio il suo.

-Tu molto alto…-

-Genetica-

I suo occhi erano sulle mie labbra.

-Non vorrai mica baciarmi, Michael?-

-Chi lo sà…forse sei troppo bassa- ghignò, prendendomi in giro.

-Elizabeth-

Ci voltammo al sentire quella voce: Rose, appoggiato allo stipite della porta, ci guardava, divertito, tenendo tra le mani qualcosa.

-Ciao-

Ecco il mio magnete: sembrava fosse appena rientrato. Probabilmente se mi fossi avvicinata avrei sentito su di lui e sui suoi vestiti la frescura della mattina, quella che ti fa venire in mente la rugiada sulle foglie o una corrente d'aria in estate, o ancora l'asfalto umido il giorno dopo un temporale ed il cielo ancora più limpido rispetto a quando c'è il sole e basta.

Il mio rosso senza lentiggini...


-Rose- Duff si fece appena da parte, senza abbandonare però il posto al mio fianco.

-Tieni- si staccò e mi porse l’accendino con cui stava giocando, lo stesso che gli avevo prestato la sera prima.

-Grazie- lo presi e lo misi nella tasca dei jeans.

-Sei sopravvissuta per una notte senza nicotina, complimenti- spostò un ciuffo dei miei capelli in modo che non coprissero il viso.

-In realtà a casa ho altri accendini, Rose-

-Dipendente- mi beai di quel lieve contatto socchiudendo gli occhi, ma riaprendoli subito per guardarlo mentre rispondevo.

-Molto; finirò per prendere il cancro e morire giovane- accennai un sorriso, mentre Duff scuoteva la testa -E sarebbe quasi giustizia divina- conclusi.

-Questa me la devi spiegare-

Ora era Duff a guardarci, ma lui lo faceva con sufficienza risultando nel complesso abbastanza ridicolo, con tutto quell’alluminio in testa.

-Più avanti-

-Ci conto. Ci si vede- uscì, socchiudendo la porta.

Duff tornò più vicino e mi appoggiò una mano sulla spalla.

-Dov’eravamo?-

-Da nessuna parte-

Lo guardai.

-Devo toglierti quella cosa dalla testa ed andare a lavorare-

-Che stronzetta che sei, Elizabeth-

Si sedette, guardando il mio riflesso allo specchio.

-Ti spezzerà il cuore, se lo troverà-

Iniziai a scartarlo, come un cioccolatino.

-Lo so-

Sussurrai.

Duff sospirò, quasi arreso.

-Chi è, quella Erin che mi hai citato, qualche tempo fa?-

Sbuffò piano.

-Una tipa che sta dietro a Rose, e Rose sta dietro a lei. In realtà litigano spesso, non ho idea di come descrivere il loro rapporto, davvero.-

-Stanno insieme?-

-Non lo so-

-Grazie Micheal-

-Sei una stronza- lo disse con il sorriso sulle labbra e sorrisi di rimando.

-Che complimenti- ridacchiai e gli dissi di sistemarsi in modo che potessi sciacquarlo.

Mentre l’acqua calda scorreva rimanemmo in silenzio, come se avessimo messo in pausa.

Gli avvolsi poi i capelli con un asciugamano e li strofinai asciugandoli alla meglio.

Lo tolse lui e lo appoggió allo schienale della sedia. Mi guardò di nuovo.

-Però un bacio potrei rubartelo lo stesso, stai attenta-

-Sei troppo buono, Duff-

-Ah se?-

Annuii sorridendo.

Se anche non lo era, adesso forse l’avevo convinto.

-Siediti, ti asciugo-

-E poi mi fai anche la piega?-

-Li asciugo bene e basta, non sono una parrucchiera-

-Però mi pare un bel lavoro- rimiró la sua immagine mentre prendeva posto.

-Ciao ciao ricrescita…- afferrai il pettine ed iniziai a sistemarlo.

-Tu sei figlia unica?-

-Ni-

-Ni?-

-C’è Annah, ma è la mia sorellastra, non abbiamo neanche un gene in comune-







 

-Hanno divorziato anche i tuoi?-

-No-

Il tono asciutto indicava che la famiglia non era il suo argomento preferito. Continuavo a guardarla, cercando di riuscire a decifrarla, ma era dura.

-Simpatica almeno?-

-Credo di non averle dato molte possibilità per dimostrarlo-

-Eh, te l’ho detto che sei un po’ stronza-

Cercai di alleggerire la sua espressione provando a prenderla in giro.

-È entrata in casa mia, facendo la figlia amorevole. Mi ha spodestato, e mio padre la preferisce-

-Dolce- trattenni una smorfia mentre con un po’ troppa forza, disfava un nodo.

Se ne accorse e tornò più delicata.

-In teoria sta dall’altra parte della città, nel quartiere universitario-

-Magari me la presenti- proposi, anche se dubitavo che fosse bella come lei.

-Certo, certo-

Alzai gli occhi al cielo.

-Non è simpatica-

-Ah, ecco-

Che bambina era: presuntuosa, con eccessiva voglia di stare al centro dell’attenzione, in questo caso dei suoi a discapito della sorellastra.

-Ho le mie ragioni per pensare quello che penso della mia famiglia, fidati-

Alzai un sopracciglio, poco convinto.

-Ho le mie ragioni e loro ne hanno altrettante per non volermi tra i piedi-

I miei occhi caddero ancora sulla sua spalla segnata, anche se era coperta dalla maglia.

-Che avrai fatto mai di così grave…- sbuffai.

Accese il phon privandomi della possibilità di parlarle.

Sospirai e chiusi gli occhi lasciandola prendersi cura dei miei capelli.

Rose mi aveva impedito di baciarla, ma forse andava bene così; magari era meglio che non mi interessassi davvero a lei. Sarebbe stata piuttosto come una sorellina di cui prendermi cura, insieme a Steven, per fare in modo che la sua cotta non la portasse alla rovina.

Non che Axl fosse cattivo, ma, certo, non era nemmeno un santo.

Anche se Slash rideva per il nostro gioco, e aveva iniziato a scommettere con Steven, sapevo già che avrebbe vinto Will, e solo perchè si era infatuata di quel rosso, della sua aria da diva; solo perché era quello che voleva lei.

Sorrisi tra me.

Era tosta.

Riaprii gli occhi sbirciandola.

Straordinariamente, in lei sembravano convivere fragilità e sicurezza, alternandosi e combattendosi.

Lei e Rose si assomigliavano.

Forse sarebbero stati perfino bene insieme; forse si sarebbero guariti.

-Ti sei incantato, McKagan?-

Sbattei gli occhi.

-Ci sono, stavo solo pensando-

-Ah, pensi pure?-

-Sai che cosa sto per dirti?-

-Che sono una stronza che ha fatto un magnifico lavoro con i tuoi capelli-

Sorrise riappoggiando il phon.

In effetti sì.

In effetti se l’era cavata bene.

-Mah-

Ma magari lo tenevo per me, il complimento.

-Devo scappare adesso, Duff-

Iniziò a radunare le sue cose e mi guardò -Fai il bravo bambino-

-Buona giornata, cara-

Mi sorrise, stavolta anche con gli occhi.

-Grazie, ci vediamo presto-

Fuggì veloce da casa nostra, ed io rimasi ancora un po’ seduto davanti al lavandino.

Scompigliai il ciuffo portandolo di lato e mi guardai negli occhi.

Me l’ero giocata male, ma vabbè, ci avrei bevuto su.












----- ---- ----

Dovrebbe essere un capitolo un po' più lungo rispetto ai soliti, la non voglia di studiare mi sta facendo solo passare più tempo a scrivere.
Fatemi sapere che ne pensate ^^
Grazie :)


 

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Capitolo 14
*** Possibilità ***


Possibilità
(Possibly maybe - Bjork)







29 aprile 1986

21.52

-Lizzie, occupati di quelle birre-

-Certo Carlo-

Mi diressi subito dai clienti iniziando a servirli. Lizzie, Ellie… soprannomi che passione.

Avevo un nome così bello, era davvero necessario storpiarlo?

Porsi le bibite con un sorriso, i tre signorotti sulla cinquantina ringraziarono e rimasero seduti al banco, parlando di come faticosa la vita, e di come fosse faticoso il matrimonio. Dopo 5 minuti erano già passati alle partite di basket.

Risi tra me prendendo una spugna e dando una pulita alla superficie di granito.

Mi piaceva davvero stare lì.

Magari avrei potuto dire ad Adriana di sostituirmi al part-time in libreria e dedicarmi sempre al fare la cameriera. Era stancante, i clienti a volte erano davvero molesti, ma era come stare dall’altra parte di una sottile parete: dietro al bancone, tra i tavoli... passavo tra le persone senza problemi, senza intromettermi nelle loro vite, senza quasi che loro mi vedessero, però io potevo guardare loro ed ascoltare le loro conversazioni, annuire o dissentire silenziosamente ed ogni parola o espressione poteva farmi riflettere su un argomento nuovo o diverso dal solito.

Se poi c’erano persone sole davanti ad un bicchiere, alla faccia del mio cinismo, non riuscivo a non chiedermi cosa fosse loro capitato. Se erano vicini provavo a scambiare due parole.

Mi sento in empatia con le persone dall’aria pensierosa e triste, forse perchè occasionalmente mi riconosco in esse.

Ma non mi sono mai ubriacata da sola in un bar.

Appoggiai la spugna al lavabo, sospirando appena.

Un accordo suonato al piano mi distrasse dalle mie congetture: non erano pochi quelli che provavano a premere tasti per sentire se lo strumento funzionava davvero.

Poi inaspettatamente l’accordo si trasformò in melodia.

Una melodia tormentata, piena, liberatoria.

Alzai piano lo sguardo dal bancone puntandolo sul piano e mi imbattei in una schiena coperta dalla pelle nera di una giacca e, più su, una zazzera rossa.

Non una qualsiasi, proprio la sua.


Axl..?


Suonava il pianoforte.

Lo stava davvero suonando.

Feci un passo indietro e mi appiattii alla parete.

Mio Dio.

Era pure bravo.

Rimasi a guardarlo: era concentrato, i suoi capelli gli coprivano leggermente il viso, faceva oscillare piano la testa al ritmo della sua musica. Aveva sempre avuto delle mani così grandi? Delle dita così lunghe? Oh, ecco perché le sue mani mi ricordavano qualcosa: mani da pianista, come papà.

Mio padre però aveva smesso di suonare. Era davvero noioso, lui. Non lo sentivo da un mese, anche se continuava a versare un po’ di soldi sul mio conto, giusto per non sentirsi in colpa. Probabilmente era solo contento che lo aiutassi a dimenticare di avere una figlia.

-Lizzie-

Fui richiamata all’ordine e girai tra i tavoli a raccogliere qualche ordine.

-Porta anche un bicchiere di rosso al pianista, non se la cava affatto male-

Mi morsi il labbro annuendo a Carlo, anche se non avevo davvero voglia che qualcuno che conoscevo venisse a sapere che lavoravo lì. Soprattutto in quei momenti: mentre avevo addosso solo un paio di jeans sgualciti, una semplice maglia bianca e un grembiule allacciato alla vita, con appena un filo di trucco ed i capelli raccolti alla mal parata da un mollettone. Qualche ciuffo anticonformista continuava a volarmi sugli occhi.

Aspettai di essere certa che stesse suonando con abbastanza trasporto per avvicinarmi, quindi appoggiai il bicchiere sopra il piano.

-Offre la casa-

Che frase stupida da dire.

Non diede segno di avermi sentito, in un primo momento, poi mentre per sbaglio spostavo ancora lo sguardo su di lui, eccola: un’occhiata. Beccata al primo colpo, come una bambina con le mani e la bocca sporche di marmellata che dice ‘No, no, non sono stata io!’.

-Ciao Elizabeth-

-Ciao-

Allungò la mano per prendere il bicchiere e bevve un sorso, mentre il piede ancora premuto su uno dei pedali faceva risuonare le ultime note.

-Che sorpresa- mi squadrò, e gli sfuggì un sorriso da malandrino.

-Anche tu sorprendi, e spesso- strinsi appena le dita sul vassoio, mentre lo stomaco minacciava di salirmi in gola.

Ma su, Elizabeth, sei una sopravvissuta, tu puoi tutto.

-Il piano?-

Accarezzó con l’indice uno dei tasti d’avorio.

-Se mi avessi detto che sapevi suonare non ci avrei mai creduto-

-Viva la sincerità- rise piano e mi guardò negli occhi -Torna a lavorare, prima che mi caccino perché importuno la cameriera-

Sembrava sereno, finalmente aveva la guardia abbassata e non voleva saltarmi al collo.

Sorrisi anch’io.

Ecco, questi eravamo noi: se non c’era nessuno a ricordarci del mondo potevamo essere tranquilli, e smettere di battibeccare, anche se non riuscivo a tenergli testa.

O forse eravamo semplicemente di buonumore grazie alla musica.

Era una delle possibilità, tra le mille e più, in  cui i nostri modi di essere potevano entrare in contatto.

-Tu resti qui?-

-Almeno finché non ho finito il bicchiere-

Lo levó per un attimo in aria, mimando un brindisi, e tornò ad appoggiarlo al piano, senza smettere di guardarmi e senza togliere dalle labbra quel sorriso che mi faceva arrossire come una ragazzina.






 

Ci credete se vi dico che non lo finì?











-----

!! AVVISO !!
Allora ^^
Con l'inizio di giugno entro definitivamente ed irrimediabilmente nella sessione estiva, quindi probabilmente gli aggiornamenti avranno un rallentamento.
Conto comunque di riuscire a pubblicare qualcosa una volta a settimana, e, beh, è un passaggio invitabile, spero solo di finire al meglio e di riuscire ad avere un po' di vacanza ^^
A presto :)


 

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Capitolo 15
*** Piano ***











6 maggio

00.54

-Oh, e quindi tu sapresti cantare-

-Certo- incrociai il suo sguardo, mentre sorseggiava una birra, sfoderando il mio miglior tono di superiorità.

-Mpf- appoggiò il boccale.

-Fammi sentire-

-Quando vuoi-

Speranzosa nel fatto che facesse di nuovo la sua comparsa, mi ero curata di più quella settimana, ma il lavoro complottava contro la mia perfezione.

Asciugai gli ultimi bicchieri, riponendoli al loro posto, dando per un attimo le spalle ad Axl e sospirai sfregando le mani sul grembiule. Riaggiustai i ciuffi neri sfuggiti dalla coda e aprii il primo bottone della camicia rossa che portavo, in tinta con il filo di rossetto che purtroppo era già svanito.

Certo che sapevo cantare, certo.

-Adesso-

Lo guardai.

-Voglio l’accompagnamento, Axl-

-Spara, dimmi che cosa vuoi cantare-

-Cry me a river-

Alzò lievemente le sopracciglia.

-Forse ricordo gli accordi- accennai al piano.

-Suoni?-

-No, solo orecchio, non ho mai studiato musica, ma c’era un pianoforte nella casa dei miei-

-Prego allora- bevve ancora un sorso e mantenne il mento alto.

Era una sfida.

-Va bene-

Mi asciugai le mani sul grembiule ed andai a sedermi davanti al pianoforte.

A Carlo non sarebbe dispiaciuto, visto che ormai era rimasto solo Axl nel locale.

-Allora…-

Provai ad appoggiare qualche accordo, ma nessuno sembrava quello giusto.

Sospirai, mentre sentivo Axl ridere piano.

-Non è divertente- borbottai.

-Da quanto non provavi a metterti al piano?-

-Un paio d’anni… ma la sapevo suonicchiare, davvero-

Si sedette affianco a me.

-Sentiamo se questa tonalità va bene-

Deciso, appoggiò le dita alla tastiera ed accennò la melodia con la voce.


 

-Now you say you're lonely

You cried the long night through-


-Allora?- lasciò in sospeso le note e mi diede un colpetto con la spalla per incitarmi.

La sua voce pulita mi faceva venire la pelle d’oca, forse ancora di più di quando cantava con i Guns: riusciva a riempire lo spazio tra i semplici accordi che stava suonando.

Iniziai a bassa voce.


-Well, you can cry me a river, cry me a river

I cried a river over you-


Solo al ripetere la strofa osò aggiungere qualche settima o nona, non avrei saputo dire esattamente cosa, ma era perfetto.

Lasciai che fosse di nuovo lui a cantare.


-Now you say you're sorry

For being so untrue-


Risposi con più coraggio.

 


-Well, you can cry me a river, cry me a river

I cried, a river over you-


Ridacchiai quando al cominciare della seconda parte sbagliò qualche nota.

Trattenne anche lui un sorriso cercando di ricordare il testo.


-You drove me, nearly drove me, out of my head

While you never shed a tear-


Intervenii aiutandolo con le parole ed alzando piano la voce fino a renderla piena, lui chiuse la bocca e si concentrò nel ripetere la melodia con qualche basso in più.


-Remember, I remember, all that you said

You told me love was too plebeian

Told me you were through with me and

 

Now you say you love me

Well, just to prove that you do

Come on and cry me a river, cry me a river

'Cause I cried a river over you-

 


Lasciai che finisse.

Fischiò, per approvare.

-Dai bambola, seguimi-

Iniziò qualcos’altro: una canzone limpida e fresca.

E questa sì la conosceva bene, ogni parola cantata da lui era chiara, stampata nella sua memoria.

Che bastardo a scegliere proprio quella, solo per farmi tremare.

Chiusi gli occhi, lasciandomi cullare e mi unii a lui sottovoce solo nel ritornello.

 








 

2.04

-Cheffai?-

Rise -Niente-

Mi morsi il labbro afferrandogli la mano ed alzandola fino a portarla all’altezza della mia vita.

-Era il mio culo quello-

Si piegò leggermente all’indietro, come per controllare che effettivamente fosse lì.

-Carino-

-Smettila!-

Sospirò alzando gli occhi al cielo -Mio Dio, Elizabeth, ti ci vorrebbe una canna ogni tanto-

Prese le mie mani e mi guardò, da sotto un ciuffo di quel suoi capelli rossi.

-Rilassati-

-Parli tu- gli feci una linguaccia.

-Almeno sono sincero-

-Mr sincerità, allora…-

-Che hai ora? Quiz?-

-Sh, ho bisogno di relax-

Continuammo a camminare, l’uno affianco all’altra.

-Altrimenti non riesci a fare domande?-

-Altrimenti non riesco a fare domande- annuii.

Domande lecite, dignitose, ma soprattutto che ti tengano testa, anche se hai cantato con me e ora vorrei solo farlo ancora e ancora e ancora...

-Ms relax, sei lenta-

-Mr sincerità, vuoi davvero parlare di lentezza? Tu sei sempre in ritardo- lo guardai e lui sbuffò.

-Non sei stata ad abbastanza concerti per saperlo-

-Mi basta Adriana, per saperlo- sorrisi.

-Ho i miei affari, salgo sul palco quando voglio salire sul palco, punto.-

Categorico il ragazzo.

-Spiegami questi-

Indicai i due tatuaggi sul braccio destro.

-Questo sono io- indicò la rosa nera, con il suo nome sotto.

-Questa è Monique- puntò il viso della ragazza, poi tornò ad avvolgere il braccio attorno alle mie spalle.

-Non è una spiegazione-

-Non c’è molto da dire-

-La W sta per il tuo nome?-

-William, sì, ma preferisco essere chiamato Axl-

-Ok…- sussurrai, un po’ delusa.

Altri due minuti ed arrivammo sotto casa mia.

-Beh, inutile che tieni quel broncio: non ho mentito- estrasse una Malboro dalla tasca dei jeans portandola alla bocca.

-Verità parziali-

-Così gira il mondo, Elizabeth-

Si soffermò a guardarmi mentre cercavo le chiavi nella borsa.

-Mi piaci con i capelli raccolti-

Sfiorò con le dita la pelle del collo, la poca visibile oltre il colletto, e cercai di reprimere il brivido corsomi lungo la spina dorsale.

-Grazie-

-La prossima volta cerca di organizzarti in modo da non tornare a casa tardi a piedi da sola a quest’ora, se manca il sottoscritto-

Sorrisi furba.

-Ma il martedì vieni a suonare…-

-Troppo comodo così, Elizabeth- mi fece l’occhiolino e mi baciò la fronte.

-E poi non è mica detto che mi farei picchiare per proteggere te da gentaccia qualunque-

-Secondo me fai a botte più di quel che sembra- alzai un sopracciglio guardandolo.

-Un po’ come dire che sono gentaccia anch’io?-

-Certo- sorrisi a trentadue denti.

-Allora vai a chiedere una foto alla polizia, così te la metti in portafoglio e mi vedi quando vuoi- rise piano.

-La modestia- gli pizzicai il braccio e lui mi intrappolò addosso alla porta.

-Axl…- cercai di rimproverarlo, ma mi scombussolava.

Ci guardammo negli occhi mentre le sue mani si appoggiavano ai miei fianchi, leggere e mi accarezzavano. Com’era possibile che fossi così succube e che ogni volta che ero con lui finissi per scivolare lentamente?

Era la sua voce, profonda? Il suo tocco, delicato ma tagliente? I suoi occhi?

Ma il problema non era solo quello: era che mi divertivo con lui, mi divertivo a chiacchierare, a battibeccare, a cantare, e non riuscivo ad ignorarlo, anche se infondo stavamo imparando solo ora a conoscerci. Passo dopo passo, lentamente, piano.

Io non avevo mai creduto al colpo di fulmine, ma da quando l’avevo visto…

Appoggiai la testa al suo petto, lasciando che mi abbracciasse per qualche attimo, poi trovai la determinazione per risalire.

-Forse tu avresti bisogno di una foto- sussurrai e lo spinsi piano per allontanarlo dal mio corpo, anche se proprio il mio corpo mi diceva di premerlo ancora più a me.

Aprii la porta del condomino.

-Mi sono divertito stasera. Grazie-

Mi sfuggì un sorriso -Sei un musicista eccezionale, farai strada, Axl-

-Ovvio- rise.

-Megalomane- entrai, guardandolo ancora.

Scosse la testa ed estrasse l’accendino dalla tasca della giacca.

-Buonanotte Elizabeth-

-Buonanotte Axl-



 


Salendo le scale mi ritrovai a canticchiare ancora.



 

...And you can tell everybody, this is your song

It may be quite simple but now that it's done,

I hope you don't mind, I hope you don't mind

That I put down in words

How wonderful life is while you're in the world...









Piano
(Your Song - Elton John)









 

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Capitolo 16
*** Finchè la barca va... ***


Finchè la barca va...
(Walk This Way - Aerosmith)








7 maggio

11.52

 

Backstroke lover always hidin' 'neath the covers,

Till I talked to your daddy, he say.

He said you ain't seen nothin' till you're down on a muffin,

Then you're sure to be a changin' your ways.

I met a cheerleader, was a real young bleeder,

Oh the times I could reminisce.

'Cause the best things of lovin' with her sister and her cousin,

Only started with a little kiss.

Like this!


Ancheggiai verso il corridoio brandendo la scopa e a ritmo di musica iniziai a pulire, utilizzando occasionalmente il manico come microfono.


Seesaw swingin' with the boys in the school,
And your feet flyin' up in the air.
Singin' hey diddle diddle,
With your kitty in the middle of the swing like you didn't care.
So I took a big chance at the high school dance,
With a missy who was ready to play.
Wasn't me she was foolin' 'cause she knew what she was doin',
And I knowed love was here to stay.
When she told me to

Walk this way!

Just gimme a kiss.


A kiss, sì, un bacio.

Sorrisi tra me passando alla cucina e continuando a muovermi.

Mi sembrava quasi di vederlo lì, nella stessa stanza in cui ballavo, che rideva di me e con me; che poi si avvicinava, che mi stringeva le mani sulla pelle e poi...


Like this.


Diamine se avrei voluto un bacio.


Schoolgirl sweetie with a classy kinda sassy,
Little skirt's climbin' way up the knee.
There was three young ladies in the school gym locker,
When I noticed they was lookin' at me.
I was a high school loser, nev-


-Diamine Lizzie, sembri un’altra persona, che ti succede?-

Una risata divertita mi sorprese, così come il vinile che improvvisamente smetteva di girare.

-Adri!-

-Avevi lasciato la porta socchiusa dolcezza, e ti volevo scroccare il pranzo… Ma che bella vocina, comunque, i vicini non si sono ancora lamentati del volume esagerato?-

-I vicini hanno buon gusto- sorrisi sfacciata e mi avvicinai a lei facendo ripartire il giradischi.

-Mio Dio, tutta sta passione per gli Aerosmith-

Sbuffò e abbassò il volume per riuscire a parlare con me senza venire coperta dalla musica. Sorrise guardandomi -Stavi improvvisando un balletto e canticchiando, giuro, da quando ti conosco non ti ho mai vista così-

Rimasi per un attimo a guardarla.

-Beh, colpa di Tyler-

-Che hai fatto ieri sera, tesoro mio?-

Aprì il sorriso ammiccando, le voltai le spalle e mi limitai ad alzare le spalle dirigermi ai fornelli e sorridendo tra me.

-Lavorato!-

-Lavori di notte?-

-Ho trovato un posticino come barista-

Controllai l’acqua.

-Metto su pasta anche per te?-

-Certo… Clienti carini?-

La guardai.

-Diciamo di sì-

-Decisamente si, da come stai arrossendo. Bene, molto molto bene-

-Non ti illudere Adri, non è detto che le cose vadano in porto-

-Ma finchè la barca va…-

-Lasciala andare, sì, va bene-

Risi piano, allegra, tirando fuori dal frigo e dalla credenza quel che serviva per preparare qualcosa di decente.

-Senti e se facessimo una frittata che ci mettiamo meno?-

-Come vuoi- iniziò ad avvicinarsi, guardandomi.

Spensi il fuoco e spostai la pentola, posizionando al suo posto una padella.

Era palese come fosse incuriosita dall’improvvisa assenza di gelo dalla mia persona, per cui decisi di fidarmi di lei. Era la mia migliore amica dopotutto, mi conosceva e beh, magari aveva perfino già indovinato.

-Axl è il marinaio-

Ammisi piano iniziando a cucinare e proseguendo con la metafora.

Alzò le sopracciglia.

-Colpo grosso qui- mi punzecchiò il fianco sinistro.

-Mmh, è simpatico-

-È un pazzo Ellie- ridacchiò appoggiandosi alla credenza con la schiena.

-Probabilmente hai ragione ma è anche simpatico, quindi acquista punti-

Ruppi tre uova e iniziai ad amalgamare in un contenitore quelle con un pizzico di sale.

-Ed è sexy-

Aggiunsi un rivolo di latte per ammorbidire il composto e un po’ di grana per renderlo più gustoso.

-Hai notato le sue mani?- chiesi sovrappensiero mescolando il tutto.

Giallo, bianco… burro sulla padella calda.

-Sono grandi, mi piacciono le mani grandi, e mi piacciono le belle mani…-

Versai il composto e dopo aver abbassato il fuoco, coprii con un coperchio.

-Mi farei fare di tutto da quelle mani-

Mi voltai: Adriana sorrideva soddisfatta.

-Qui qualcuno si è preso una cotta-

Alzai un sopracciglio, scendendo dalla nuvole: forse mi ero lasciata sfuggire troppo...

-Chi, di grazia?-

-Dai, non fare finta di nulla, non tornare la Signora del gelo… è davvero bravo se è stato lui a scioglierti fino a farti ballare in casa-

-Senza dubbio-

-Però sei sempre una Signora del gelo, quindi attenta. E anche se sei una Signora del gelo devi stare attenta agli iceberg: insomma, non vorrete mica fare la fine del Titanic, tu e il pazzo marinaio?-

-Meglio di no-

Controllai la cottura e girai la frittata.

-Ma direi che potremmo scioglierli gli iceberg, o no?-

Le lanciai un’occhiata di intesa e lei ammiccò.

-Mi piace sciogliere iceberg- si morse il labbro.

-Il ghiaccio in generale è un elemento interessante se provi a farlo sciogliere addosso ad una persona…- continuò, allusiva come poche volte. O forse come molte altre in realtà.

Ultimata la cottura preparai i piatti mentre lei continuava a parlare.

-Dà un brivido sottile, e può essere manovrato… pensa: pensa a te che appoggi sulla sua pelle un semplice cubetto, magari sul petto, e lo fai muovere giù e giù… o ancora meglio: pensa a lui che lo fa scivolare tra i tuoi seni e poi più giù, molto più giù, e pensa al gioco di calore e brivido se a condurre il povero cubetto è magari una lingua calda…-

La guardai portandomi un dito alla bocca e mordicchiandolo.

-Bello, no?- concluse.

-Dovresti chiamare Steven e scaricare con lui la tua tensione sessuale, non con me-

Mi sedetti e riempii il bicchiere d’acqua.

-Era un incentivo alla tua immaginazione-

Ridacchiò piano, poi si mise tranquilla -Steven lo chiamo entro la prossima settimana, promesso-

Iniziammo a mangiare e nel mentre Adriana mi illustrò i suoi problemi al lavoro, i problemi che avrebbero potuto sorgere con Steve, i problemi che erano già sorti e di cui aveva parlato molte volte, i problemi che avrebbe potuto causare al gruppo se il gruppo non fosse stato di così ampie vedute o comunque i problemi eventuali nati nell’ipotetica situazione in cui Steven avesse saputo che si era fatta Slash, i problemi delle sue colleghe, tutte troie a detta sua, i problemi legati alla droga, i suoi problemi con la droga, insomma: un sacco di problemi.

Ascoltavo con distacco e rispondevo solo se era necessario o se sottoposta a domande dirette.

La mia mente viaggiava ancora nei mari del Nord, con un marinaio ed un cubetto di ghiaccio…




 

...Tongue like a razor...






 

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Capitolo 17
*** Castigo ***




Castigo
(Sweet Charlotte Pike - Transatlantic) 








13 maggio

-Pensavo…-

-Bravo Steve, incrementa le tue attività intellettive-

Mosse la forchetta per aria nella mia direzione come per scacciare una mosca e ricominció a parlare non appena ebbe deglutito il boccone.

-Pensavo che ho voglia di vedere Adriana-

-Sappiamo bene cosa vuoi vedere di Adriana-

Duff rise, e a me sfuggì un sorriso.

-Cheddici, guarda che Steven è un bravo ragazzo a differenza vostra-

-Grazie Ellie, mi rincuora che almeno tu pensi questo di me- il batterista annuì tra sè, usando un tono che esprimeva insieme ovvietà ed ironia.

Nascosi la bocca con una mano per non mostrare la mia espressione divertita.

-Su, Duff, per una volta che parliamo di qualcosa di serio-

-Serio- rise e bevve un altro sorso di birra.

-Dicevo- Steve si schiarì la voce.

-Buona questa carne Ellie, devo venire a scroccarti il pranzo più spesso-

-Merito della ricetta... dai Steven, parla, ora che ha la bocca piena-

-Se la chiamassi?-

Il batterista appoggiò la schiena alla sedia guardandomi.

-Beh- ricambiai l’occhiata e mi morsi il labbro, indecisa su che dire.

-Io credo che lei ci starebbe-

Alzò un angolo della bocca.

-Mi aveva fatto capire che anche lei, dopo l’EP, si sarebbe riavvicinata-

Sorrise ancora di più.

-Che bello-

-Però è un po’ troia, eh- Duff smorzò in un attimo l’entusiasmo del biondino, beccandosi da parte di quest’ultimo un’occhiata di traverso.

-Non vorrai dirmi che non hai sentito nulla l’altra sera…-

Ah, quindi probabilmente aveva approfittato ancora di un certo riccio, nonostante tutti i problemi...

-Che intendi? Non ero a casa probabilmente-

Io ed il bassista ci scambiammo un’occhiata di intesa, sapevamo di sapere.

-Niente, tranquillo-

Duff gli diede una pacca sulla spalla -Intendevo che sicuro non fa un lavoro da ragazza per bene-

-A me basta che non vada con altri, insomma, mi arrabbierei-

-Sei davvero capace di arrabbiarti, Steve?-

-Sì- rispose prontamente, ma il sorriso che seguì la sua affermazione fu la più grossa smentita che potesse darmi.

-Se facessero dei peluche con la tua forma, credo che me ne piazzerei uno in camera- decretai.

-Si chiamano bambole gonfiabili, Elizabeth-

Duff ammiccò trattenendo una risata.

-E non devi preoccuparti a comprarne una, sai che siamo delle persone disponibili-

-Grazie Michael, ma non ne sento l’urgenza-

-Proteggerò la tua virtù, tesoro- Steve si alzò, brandendo la forchetta come arma -Alla larga, filibustiere- guardò Duff e la puntò sul suo petto tentando di infilzarlo.

-Porca troia, Steve, ma quanto sei fatto?-

-Sono pulito, ragazzo, fatti sotto-

-Era una camicia pulita, cazzo-

Non riuscii a fare a meno di ridere, mentre quei due continuavano a battibeccare e finivano a fare la lotta sul divano come dei bambini troppo cresciuti.











 

0.31

Scappai fuori dal locale, montai sulla bici ed iniziai a pedalare.

Nonostante fossi riuscita a farmi concedere mezz’ora di uscita anticipata proprio all’ultimo momento, ero in ritardo, tremendamente in ritardo, e qualche giorno prima avevo detto ai ragazzi che ci sarei stata, al concerto. Solo in seguito avevo realizzato che si sarebbe sovrapposto perfettamente al mio turno di lavoro.


Corri Elizabeth, corri.










 

0.48

Agganciai il lucchetto della bici e ansimando per la corsa mi alzai in piedi, guardando la porta del locale.

Presi un fazzoletto tamponandomi il viso e subito dopo entrai, avendo come prima meta il bagno: necessitavo di uno specchio.

Non c’era più nessuno che suonava, ma la musica mandata dagli altoparlanti faceva ancora ballare la gente. Svicolai tra i corpi accaldati e senza dare nell’occhio arrivai alla mia meta.


Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più…


Che disastro.

Il poco trucco che portavo si era sciolto leggermente per colpa della corsa e le guance erano chiazzate di rosso in modo esagerato. Sotto gli occhi un’ombra più scura rimaneva lì e mi rimproverava in assoluto silenzio: avevo voluto fare le ore piccole? Tiè!

Sbuffai e mi sciacquai il viso con l’acqua gelata del rubinetto.

Ad occhi semichiusi riuscii ad afferrare uno degli ultimi fogli di carta assorbente messi a disposizione e dopo essermi asciugata la faccia lo gettai nel bidone pieno fino all’orlo.

Estrassi velocemente dalla borsetta un piccolo astuccio e da quello presi la matita nera e il mascara.

Esperta, tracciai una sottile linea sulla palpebra superiore, allungandola oltre la fine dell’occhio e aggiunsi un po’ di nero anche su quella inferiore. Sistemai le ciglia e afferrai infine l’unico rossetto lì presente. Rosa antico, colore neutro, naturale, appena più chiaro di quello delle mie labbra.

Bah.

Lo misi lo stesso, anche se preferivo il rosso.

Sciolsi i capelli dalla coda: avevano uno strano rigonfiamento all’altezza del collo, dovuto all’elastico.

-Mio Dio-

Soffiai e li scompigliai, cercando di sistemarli alla meglio; poi tutto in borsa e fuori, di corsa.

Magari erano al bancone.

Provai ad avvicinarmi ma lì nessuna traccia.

Magari no.

Provai a guardandomi ancora intorno, iniziando ad impanicarmi.

Maledizione.

Niente? Erano davvero già andati via dal locale?

Arresa, pensai di rimediare un Martini per consolazione e cercai di richiamare l’attenzione del cameriere più vicino, inutilmente.

-Sei in ritardo-

Mi sentii afferrare il braccio e poi trascinare leggermente in disparte rispetto a tutto il resto del mondo. Lo lasciai fare: la sua voce era inconfondibile.

-Non sono riuscita a staccare prima Axl…-

Girai su me stessa fino ad averlo di fronte a me e, mio malgrado, nonostante la sua espressione fosse corrucciata, non riuscii a trattenere un sorriso.

-Hai i capelli sparatissimi-

In modo quasi automatico ed inconscio allungai la mano destra fino ad infilare le dita in quel rosso e le feci scorrere piano, districando lentamente le ciocche e portando quei capelli lontano dai suoi occhi.

Era meglio, così: tramite i suoi sguardi il suo umore era più chiaro.

-Sei in ritardo-

Mi rimproverò ancora, fissandomi.

-Lo so…- allontanai piano la mano riportandola vicino al mio corpo e sospirai.

-Non continuerai a ripeterlo per tutta la notte, vero?-

-Potrei farlo-

Abbozzò un sorriso divertito sciogliendo in un secondo la sua espressione severa.

-E solo per il gusto di aumentare il tuo senso di colpa e farti sentire male per aver saltato di netto il nostro concerto- aggiunse. Solo allora tolse la mano dal mio braccio.

-Tra l’altro, dove sono gli altri?-

Guardai alle sue spalle, improvvisamente distratta.

-Duff e Slash portano gli strumenti a casa, Izzy si fa gli affari suoi e suppongo che Pop Corn sia a casa di Adriana proprio ora-

-Uuh, quindi…-

-Tornano a fare i piccioncini? Non lo so, ma intanto di sicuro si godono un po’ di buon sesso-

Sesso, sesso, probabilmente il tabù più frequente.

Rimanemmo un attimo in silenzio a guardarci e poi lo presi per mano.

-Balliamo un po’?-

Alzò un sopracciglio, mostrandosi esasperato alla sola idea -Dai Axl, non fare il guastafeste, tanto qui non ci conosce nessuno-

-Non ti conosce nessuno vorrai dire- commentò, seguendomi controvoglia.

-Che puntiglioso, però ammettilo, non fai una brutta figura in compagnia di una come me-

Alzai un angolo della bocca, sfoderando in un sorriso provato mille volte tutta la mia vanità.

-Chi è modesto, ora?- mi si avvicinò iniziando a muoversi.

Non aveva risposto, ma non mi era sfuggito lo sguardo che aveva lanciato ai miei pantaloni, particolarmente stretti, ed al mio collo, particolarmente candido ed evidente tra il nero dei capelli e quello della maglietta dalla scollatura generosa scelta per quella sera.

-Ho mai detto di esserlo?- feci un altro passo verso di lui e provai a mettermi un po’ sulle punte, per guardarlo negli occhi ed essere alla sua altezza.

-No-

Quanto verde.

Sorrisi e gli presi una mano, improvvisando una giravolta e facendolo ridere.

Non eravamo per niente bravi, ma era divertente agitarsi un po’.

E mentre ci scioglievamo, l’allegria innocente spariva: le sue mani sui miei fianchi ed i bacini sempre più vicini giocavano a sfiorarsi, facendo crescere l’eccitazione e la voglia di essere ancora più vicini.

Appoggiai le mani alle sue spalle e poi alla sua schiena, stringendole per sentire contro le dita la sua presenza. Ballava con me, si muoveva con me.

Ognuno guardava l’altro. Io la sua bambola, lui il mio marinaio.

Lasciai che le mie dita sentissero, sotto la cute, la consistenza dei muscoli.

Spalle, avambracci, schiena.

Inevitabilmente il mio sguardo cadeva spesso sul suo viso, sui suoi occhi socchiusi e sulla linea netta del mento che mi faceva ogni volta pensare alla perfezione delle statue greche e neoclassiche.

Lui faceva lo stesso, saggiando la morbidezza dei miei fianchi e scontrandosi con la colonna vertebrale, leggermente in rilevo, o passando il pollice sull’estremità dell’anca, nascosta dai pantaloni.

Volevo fosse mio.

Le mie unghie avrebbero graffiato la sua pelle se fosse stata nuda sotto di esse.

Mi spinse addosso al suo corpo, premendo la sua mano alla base della mia schiena e fece scorrere la guancia sulla mia. Il suo naso sottile si intrufolava tra i miei capelli inspirando.

Chiusi gli occhi, mentre si avvicinava sempre più alla mia bocca e in questo modo, proprio ad un passo da lui, sentivo il suo profumo fermarsi su di me ed entrare nei miei polmoni.

Ti prego, ti prego, ti prego...

Allontanò il viso e rise, beffandosi delle mie labbra socchiuse che non aspettavano altro che venire rapite dalle sue.

-Io volevo un bacio- lo guardai, sussurrando, mentre ci fermavamo.

Forse ci eravamo già fermati.

-Però sei arrivata in ritardo, quindi per me sei in castigo-

Mormorò abbassando la voce, avvicinandosi al mio orecchio e ghignò al mio indirizzo.

-Che bastardo-

Gli diedi un pugno sulla spalla, sperando di dargli almeno metà del fastidio che mi aveva dato la sua finta.

-Adori questo bastardo- aggiunse accarezzandomi i fianchi e lasciandosi sfuggire un sorriso più dolce.

-Purtroppo sì-

Lo strinsi di nuovo, appoggiandomi a lui, e chiudendo gli occhi contro il suo petto.

Solo per un momento...










 

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Capitolo 18
*** Bianco e Nero ***


Bianco e Nero
(Burn the Witch - Queens of the Stone Age)






 

20 maggio

0.44

Aveva preso a venire al locale a suonare, ogni martedì, come un appuntamento fisso.

Veniva da solo, gli portavo sempre un bicchiere di vino; mi ringraziava, riservando a me il suo lato più umano.
Era pazzo? Sembrava lo fosse solo sul palco, checchè ne dicessero gli altri.

Restavamo a guardarci, ogni tanto. Una manciata di secondi che mi faceva sciogliere il cuore e dimenticare per un attimo cosa stavo facendo.

Poi, più tardi, si sedeva al bancone e rimaneva lì. Chiacchieravamo del più e del meno: della musica, del lavoro, dei progetti che aveva con i Guns, del futuro, e cantavamo, se rimanevamo davvero da soli.

In quel momento stava parlando con Carlo.

Alzai gli occhi su di lui, vedendolo sorridere, chissà per quale ragione.

Magari anche oggi mi avrebbe aspettata.

-Axl! Sapevo che ti avrei trovato qui-

Spostai lo sguardo, seguendo il richiamo, ma non dovetti guardare troppo lontano: era una ragazza.

Era una bella ragazza, dagli occhi chiari ed i capelli lunghi e mossi, tra il biondo scuro e il castano. Portava un bizzarro cappello, come da cowgirl, che, anche se credo avesse la mia stessa età, la faceva sembrare ancora più bambina.

-Erin?-

Il bicchiere che tenevo tra le mani rischiò di cadere a terra.

Era lei? Erin Everly?

-Sono qui- lei sorrise e lo abbracciò, cingendogli la vita e baciandogli una spalla.

-Che ci fai qui?-

-Volevo vederti… per un po’ sono qui a Los Angles-

Non riuscivo a non guardarli.

-Queste improvvisate-

Che tono tagliente Axl… perchè fai così? Siete belli.

Siete belli uno vicino all’altra.



 

...Ma io lo sarei molto di più.






 

Le avrei rotto il bicchiere in testa.

Sempre come voleva lei, spariva, riappariva, come le andava.

Ed io, dannato, finivo per leccarle le scarpe.


Un po’ l’amavo, la mia Erin.


Mi portava di qua e di là, dando strattoni al mio cuore perchè tornava sempre quando iniziavo ad affezionarmi a qualcuno che non era lei, riprendendolo tra i suoi artigli.

-Il tuo tempismo è dannatamente perfetto, come sempre-

Il suo sguardo si acuì fermandosi su Elizabeth.

-Ti volevi scopare quella lì, Axl? Mi dispiace- abbassò la voce,rendendola quasi sfacciata.

Potevamo davvero vivere insieme, io e lei? Avvelenandoci della gelosia che ognuno provava per l’altro?


Un po’ l’odiavo, la mia Erin.


Evitai le sue labbra.

-Pensavo di trovarti al piano…-

Lei ancora ci guardava, il bicchiere ormai asciutto sospeso a mezz’aria.

Non riuscivo a sopportarlo, anche se una parte di me godeva, perchè era la conferma: tenevo tra le mani quella piccola bambola.

-Ho già suonato abbastanza stasera-

Erin si morse il labbro guardandomi con quegli occhi da cerbiatta.

A guardarle sembravano così simili: entrambe esili, dallo sguardo chiaro e capelli lunghi in cui immergere il viso. Ma gli occhi di Elizabeth erano ghiaccio, quelli di Erin un cielo; il mare nero di Elizabeth sapeva di ebano, pregiato, di sere di inverno passate a nascondersi al mondo, Erin sapeva d’estate, di sabbia, di festa.

Bianco e nero.

Strinsi le labbra.  

-Va bene. Scusa se ho rovinato i tuoi piani- mi accarezzò la schiena, lenta.

Erin era il mio serpente; Elizabeth cos'era?

-Ti aspetto a casa- mi baciò la guancia e uscì, così com’era riapparsa, non prima di aver lanciato ad Elizabeth uno dei suoi sguardi atti a marcare il territorio.

Erin però era un pezzo del mio passato: c’era lei, c’ero io, c’eravamo noi, ma non eravamo soli. Noi e la droga, noi e la gelosia, noi e la paranoia. Mi faceva tornare in mente tutto quello che non volevo essere e tutto quello che avevo lasciato dietro di me, era passato che tornava, passato nel presente.

Passato nel presente.

E nel futuro?

Il passato sarebbe tornato?

La sola idea che potesse succedere mi faceva imbestialire.

Svuotai il bicchiere in fretta, mettendolo con decisione sul bancone. Il tintinnio fu troppo acuto e troppo forte: sperai di non averlo rotto, ma non mi importava davvero. Anzi, forse un po’ ci avevo sperato.

Appoggiai la testa alle mani.

Maledetti pensieri.

Maledetti ricordi.






 

Abbassai la testa, e ricominciai a pulire.

Che stupida, ero davvero stupida.

Finii il mio lavoro e all’una, puntuale, lasciai il grembiule nello stanzino e mi preparai ad uscire.

Non ce la facevo, a giocare.

Non ce la facevo.

Dicevo che ero forte, che ero la migliore, ma non ce la facevo, ed ero caduta tra le braccia di Rose senza accorgermene. Anche se le sue braccia già stringevano un’altra.

Non mi interessava che fossero una coppia fissa o che facessero tira e molla.

Strinsi la mano a pugno.


Io non sono una ruota di scorta.


Rialzai la testa e presi la borsa uscendo dallo sgabuzzino ed avvicinandomi a lui.

-La tua ragazza è davvero bella-

-Non è la mia ragazza- sbottò, senza metterci troppa forza.

-Siete belli insieme-

-Un po’ la odio-

Lui aveva lo sguardo rivolto al bicchiere di vino, ma sembrava non lo stesse guardando veramente.

Assorto.

Assente.

-Axl?- interruppi i suoi pensieri con un sussurro.

-Dimmi Elizabeth-

-Torno a casa-

Mi ero dimenticata che non c’era nulla di scritto, che non era mio è che era stato di qualcun altro. Da stupida avevo sottovalutato questo aspetto ed ora mi ritrovavo lì, a stringere i denti per nascondere una rabbia nascente, rivolta a me e a lui, perchè non aveva messo le cose in chiaro.

Ah, ma aspetta: “Non era la sua ragazza”.

Si voltò senza aver ancora pienamente afferrato la realtà che lo circondava.

-Buonanotte, allora-

Rimasi a guardarlo un attimo di troppo: era pallido, nemmeno un ciuffo dei suoi capelli sembrava voler obbedire alla legge di gravitazione universale, per la quale avrebbe dovuto essere attirato verso il centro della terra. Chissà, magari per lui valevano delle leggi speciali, magari era la luna ad attirarlo.

-Buonanotte-

Sussurrai, avvicinandomi.

Nonostante tutto gli lasciai un bacio sulla guancia, piano, come per paura che si potesse rompere, poi tornai a casa.







 

1.39

Dovevo ammettere a me stessa una cosa.

Ammettere a me stessa una cosa davvero importante e scrivere su un foglio di carta che ero consapevole di quello che stavo provando.

Poi, magari, stracciandolo sarei riuscita ad esorcizzare quei sentimenti...

Mi alzai, aprii il cassetto del comò ed estrassi un piccolo quaderno.

Che la tregua concessati stasera ti faccia pensare, Elizabeth Moore.

Scrissi.

L’inchiostro nero sembrava troppo marcato.

Tregua... Solo perchè non aveva scherzato ed era sembrato così perso al momento di salutarci.

Sospirai, quasi al punto di cancellare, poi però voltai semplicemente pagina.

Io, Elizabeth Moore, in data 20 maggio 1986 e nel pieno delle mie facoltà mentali anche se sono quasi le due e ho sonno e beh, forse non sono davvero così apposto, dichiaro di

Sospirai, di nuovo.

Essere consapevole che Axl Rose è davvero un bel ragazzo; di non conoscerlo abbastanza per fare cazzate, ma di conoscerlo abbastanza da poter immaginare che molto probabilmente potrebbe davvero piacermi, e non solo fisicamente.


(credo mi piaccia già)

Ammisi, in piccolo, chiudendo la parentesi sul limite destro del foglio.

 

Dichiaro di essere consapevole che mi potrei scottare, che innamorandomi di lui potrei soffrire tanto se le cose non dovessero andare come spero.

Dichiaro di essere solo una stupida ragazzina in cerca di noie.

E sono consapevole che alla fine nella mia testa risuonerà forte un 'te l'avevo detto'.


Firmai il mio discorso senza senso e lasciai uno spazio bianco.

 


Sono già cenere.

 

La odio.

 

Sistemai tutto, cercando di non pensare al breve saluto e alla fragilità che avevamo avuto entrambi, spettri di persone chiuse nel loro spazio e tempo paralleli a quella notte, spazio e tempo paralleli che però erano solo le nostre realtà.


Non avrei giocato, ero una fifona a cui si gonfiavano gli occhi al solo pensiero che lui avesse un’altra, per rabbia e per tristezza.


Non una bambola, ma solo una marionetta ammaccata nelle sue mani.


 

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Capitolo 19
*** Bocca di leone ***


Bocca di leone
(Burnin' for you - Blue Oyster Cult)









25 maggio

11.12

-Adri, credo di essere gelosa-

-Spiega-

Non mi stava nemmeno guardando, intenta a sistemare lo smalto sulle mie unghie. Avevo scelto il turchese.

-Ho visto Erin-

-Ah, quella lì- mormorò senza nessuna inflessione particolare nella voce.

-Axl non può provarci con me e stare con lei, vero?-

Sbuffai per la sua mancata risposta -Voglio dire, non può-

-Rose ci prova?- sembrava troppo concentrata per prestarmi attenzione.

-Sì- un attimo di silenzio.

-Però Erin esiste- conclusi, storcendo la bocca.

Invece mi accorsi che non era così quando in risposta al mio commento trattenne un sorriso.

-Da quando esistere è diventato un reato?-

-Da quando ad esistere è la ‘non ragazza’ del ragazzo che mi piace-

-La tua dolcezza infinita mi colpisce sempre-

Finì il lavoro e presi la boccetta viola, iniziando a pensare alle sue mani.

-C’è da buttarsi?-

-Per me fatti desiderare-

-Come?-

-Se lui decide di tenere il piede in due scarpe fai un po’ l’offesa, ignoralo un po’ ...insomma, ne hai tutto il diritto-

-Ignorarlo? Davvero?-

-Sai perfettamente di cosa parlo e come fare la superiore, non fare la finta tonta-

La guardai finendo di dare la prima mano di smalto alle unghie della sua mano destra.

-Non dipingermi così male- ridacchiai piano mentre lei controllava il mio operato.

-Eh, ma Ellie, sei fatta così- ampliò il sorriso.

Una parte di me sperava che lei stesse scherzando: non volevo essere la tipica ragazza che se la tira, quando quello che sentivo dentro, a discapito dell’apparenza, a volte sembrava un fiume in piena.

La mia noncuranza per il mondo era semplice autodifesa.

-Avremmo bisogno di una spia dall’interno- aggiunse.

-Di che parli?-

-Del mio biondino- si morse il labbro e soffiò sullo smalto, come se quel piccolo getto d’aria decretasse il tocco finale della manicure.













29 maggio

8.07

-Steve?-

Mi baciò la fronte continuando a tracciare circonferenze sulla pelle della mia schiena -Dimmi piccola-

-Sai se Erin è tornata nei paraggi?-

Si abbandonò sul letto sbuffando, lasciando che la sua testa sprofondasse nel cuscino. I suoi capelli biondi erano sparsi su di esso e sulle lenzuola colorate di un lieve azzurro che facevano risaltare ancora di più i suoi occhi.

Quant’era bello…

-L’ho vista qualche tempo fa a casa, credo fosse accampata da Axl e che abbia sfrattato Izzy facendolo dormire sul divano per un paio di notti. Credo sia stato… la settimana scorsa?-

-Ha levato le tende?-

Avvicinai il viso a quella nuvola bionda e sorrisi quando sentii i suoi capelli sfiorarmi la punta del naso e le guance. Feci scorrere le mani sul suo petto villoso fino ad appoggiarle sui jeans.

-Sì, Axl non la voleva nei paraggi e non aveva voglia di coca-

Mi lanciò un’occhiata apparentemente rilassata, ma infondo ai suoi occhi scorsi una scintilla di malizia.

Lo toccai, poi slacciai il bottone ed abbassai la zip.

-Axl preferisce Elizabeth..?- invece di suonare decisa, la mia frase assunse un tono lievemente interrogativo. Avevo il beneficio del dubbio, non avendone mai parlato nè con il Rosso, nè con coloro che gli erano più vicini.

-Axl vuole scopare Elizabeth- sottolineò.

Gli abbassai i pantaloni con decisione e lo aiutai a sfilarli dalle gambe.

-Non mettiamola solo su questo piano, anche se alla ragazza farebbe bene…- li lasciai cadere infondo al letto, poi, a gattoni, avanzai verso di lui.

-Lui le piace, e lei è più fragile di quello che mostra-

Lo guardai negli occhi rimanendo a quattro zampe, sospesa su di lui.

-L’ho vista piangere una volta… è stato come vedere un bicchiere frantumarsi a terra-

Sospirai e nascosi il viso sul suo collo facendo aderire per un attimo le labbra alla sua pelle.

-Gli ultimi anni della sua vita non sono stati una passeggiata- mormorai.

-Beh, guardati attorno, Adriana; guarda noi. A quanto pare qui siamo sulla stessa barca.-

-Complessati, alcolizzati, drogati…- mi morsi il labbro trattenendo una risata ed ammiccai incrociando il suo sguardo.

-Mmh, dopo- fece aderire le mani alla mia schiena spingendomi contro di sè.

-In ogni caso dovremmo aiutarla: io le voglio bene- la sua frase fu più volte interrotta mentre le sue labbra iniziavano a lambirmi la spalla, il collo…

Terminò stringendo lievemente tra i denti il lobo del mio orecchio sinistro e percorrendo insistentemente le mi curve.

Mi sedetti su di lui in modo tale da far aderire il mio bacino al suo e di sentirlo contro di me.

Sfacciata, alzai un sopracciglio e strinsi una mano sulla sua spalla.

-Vuoi più bene a me-

Si morse il labbro guardandomi il seno, già libero dai vestiti, e quindi il viso.

-Vi voglio bene in modo diverso- concluse ed alzò piano il busto fino a prendere uno dei miei capezzoli tra le labbra.

Immersi una mano tra i suoi capelli sentendo il familiare brivido dato dall’eccitazione percorrermi dalla testa ai piedi.

-Mi mancavi, Steven- sussurrai, iniziando a sfregarmi contro di lui.

-Anche tu…- mi strinse contro di sè e raggiunse le mie labbra mentre le sue mani scostavano anche gli ultimi pezzi di stoffa che avevamo addosso, e, senza nemmeno assaggiare l’antipasto, passavamo subito al piatto forte.
















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Chiedo perdono per l'assenza e per questi ultimi capiltoli, un po' brevi e forse superficiali.
Volente o nolente qusta orribile sessione è comunque finita, per cui ora avrò più tempo per tornare di nuovo a scrivere di Elizabeth.
A presto :)

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Capitolo 20
*** Scossa ***




Scossa
(Once Upon a Dream - Lana Del Rey)








3 giugno

0.47

Dalle informazioni avute da Adriana, Erin aveva già lasciato Los Angeles da qualche giorno.

Anche se ciò mi rassicurava, non avevo la certezza che fosse così ed avevo deciso di rimanere impassibile nei confronti del mio Endimione.

Avrebbe funzionato.

Doveva funzionare.

Come sentii la piccola campanella appesa alla porta tintinnare, volsi gli occhi all’entrata.

Eccolo.

Era arrivato tardi anche per i suoi standard. Raggiunse subito uno degli sgabelli davanti al bancone dove lavoravo senza degnare il pianoforte della minima attenzione.

Strinsi i denti, sforzandomi di non guardarlo più dello stretto necessario.

-Elizabeth, portami una birra-

Elizabeth, portami una birra.

Gli feci il verso mentalmente: ma che modi erano?

Sbuffai, riempiendo un boccale del liquido dorato. Senza aspettare e con un po’ troppa foga lo appoggiai esattamente davanti a lui: che bevesse la schiuma.

-Ciao anche a te, Axl-

Lo vidi trattenere a malapena un sorriso dato dalla sorpresa.

-Buonasera-

Aveva colto la mia ira mal celata, ed il vedermi così stizzita per causa sua lo divertiva invece di preoccuparlo. Non era Endimione, Endimione dormiva, non mi prendeva in giro!

Mi allontanai, dedicandomi alla pulizia dei tavoli: pochi minuti e avei staccato; pochi lunghissimi minuti sotto il suo sguardo e sarei tornata a casa.

...

Almeno Erin non c’era.

Guardai per un attimo la porta ricordando come fosse entrata nel locale solo un paio di settimane prima, così chiara e sicura. Mi asciugai le mani sul grembiule lasciando la spugna umidiccia sul tavolo e mi raccolsi si capelli in una coda di cavallo. Passai le mani sul viso e stropicciai gli occhi, per un attimo dimentica del trucco sulle palpebre.

-Merda-

Borbottai tra me cercando di correggere alla meglio il pasticcio facendo scorrere gli indici sotto l’occhio verso l’esterno del viso in modo che raccogliessero la matita, sicuramente spalmata come se avessi voluto travestirmi da panda. Lo feci due, tre volte, senza che la situazione sembrasse migliorare.

Mi bloccai a guardare le dita annerite.

Bene, basta, mi arrendo e dichiaro conclusa la serata.

Raccolsi la spugna e la appoggiai al lavello andando a cambiarmi.

Axl avrebbe passato una bellissima serata in compagnia di Carlo, dopotutto.

Bastava che non ci fosse lei.









 

1.02

Mentre lasciavo il locale il tintinnio della porta non suonò come mi aspettavo, ma si fece per un secondo più forte.

-Non sarai ancora a piedi tutta sola?-

Axl aveva aperto la porta mentre questa si stava chiudendo, facendo suonare ancora la piccola campana.

-Sono in bicicletta Axl, non serve che mi accompagni, davvero-

Dissi, cercando di suonare decisa, ma ora ero solamente assonnata e infastidita.

Mi fermò, prendendomi per il polso e lasciandomi subito dopo, essendo riuscito a catturare la mia attenzione.

-Hai paura?-

Alzai le sopracciglia perplessa dalla sua domanda -Come?-

-Hai paura?- continuava a non staccare gli occhi dai miei.

La paura era l’ultima cosa a cui avrei rivolto il pensiero: l'intensità che traspariva dal suo sguardo mi aveva catturata.


-Perchè dovrei averne?-

Familiare, intenso.

-Perchè sembri una bambina, nonostante il trucco- rimaneva lì, ad un passo da me, non mi toccava ma sembrava tenermi in pungo. Mi guardava in faccia. Chissà cosa stava vedendo, oltre alla matita sbavata.

-Axl, sono stanca, ho lavorato fino ad ora… E tu sembri leggermente sopravvalutare te stesso, credi di leggermi così?- ribattei cercando di mettere una distanza tra noi. Lui sorrise.

-Sono la persona più umile di questo mondo-

-Non credo proprio…-

-Non mi conosci, Elizabeth-

-Neanche tu Axl-

-Touché-

Approfittai del momento di stallo per chinarmi e slegare la bici, poi mi rialzai.

-Beh, Rose, ci si vede-

Io torno a casa, e tu? Vai da Erin?

-Esci ancora con Duff e Steven?- aggiunse, rimandando ancora di un attimo il nostro saluto.

-Forse sabato, di solito usciamo sabato o domenica-

-Sabato suoniamo anche, lo sai?-

Annuii. -Usciremo dopo il concerto infatti, credo finiremo a casa mia-

Ghignò -A fare?-

-Ovviamente sesso sfrenato, tutti e tre insieme; anzi, in quattro se c’è Adriana ..potrei occuparmi del caro Michael che di sicuro non rifiuterebbe - ribattei ironica guardandolo in viso.

Si fermò a guardarmi, senza nascondere la sua espressione, d’un tratto fattasi più tagliente.

-Vediamo se capisci meglio così-

In un momento sentii la sua mano sulla nuca e quelle labbra, oh, quelle labbra erano addosso alle mie che inermi si schiudevano per lasciar passare la sua lingua, vorace ma precisa.

Finalmente.

Come se un fulmine mi avesse attraversato da capo a piedi, mi sentii improvvisamente molto più sveglia.

Si staccò guardandomi negli occhi.

-Vai, vai da Duff e Steven, bambola…- sussurró, piegando appena la bocca all’insù, poi si avvicinò ancora, rubandomi un bacio a stampo, più leggero ed estremamente dolce, come per dimostrare che lui poteva tutto, spaziava dall’infinita dolcezza al fuoco.

Prima di allontanarmi da lui leccai le sue labbra ed in risposta alla mia lieve provocazione, tornò ad avvicinarsi. Mi lasciai divorare e mi scoprii senza fiato quando fummo di nuovo lontani.

Senza fiato, ma con l’anima in pace.

-Forse non sei stanca come hai detto di essere- mi sfiorò una guancia con le dita.

-Buonanotte, Elizabeth, stai attenta con quel catorcio di bicicletta-

Sorrise.

-Buonanotte- risposi a malapena, mentre iniziava a camminare verso casa.

La mosca Erin, era stata appena schiacciata ed io non avevo fatto nulla: era stato lui a prendere la paletta e a scoccare il colpo fatale.

Dovetti aspettare due minuti prima di essere sicura di poter montare in sella senza cadere, poi scappai pedalando verso il mio appartamento.











 

1.17

Chiusi la porta alle mie spalle e strinsi un braccio sulla vita. Mi sembrava di non riuscire a formulare un pensiero coerente: se da una parte tutto ciò che avevo sperato era successo ed il mio senso di possesso nei suoi confronti era stato placato da questa diretta rassicurazione, mi ero agitata talmente tanto che lo stomaco sembrava essersi stretto in una morsa e la testa... la mia povera testa.

Mio Dio.

Forse era solo la stanchezza.

Andai in bagno e accesi la luce, cercando di non pensare e insieme sforzandomi di risentire ancora come quelle labbra avevano baciato le mie. Mandai indietro i capelli, confusa ed eccitata. Tutto insieme, tutto in un momento.

Dannazione, se baciava bene...

Duff? Steven? Sembrava ne fosse geloso ed aveva messo in chiaro che lui sarebbe stato molto meglio. Avevo avuto un assaggio, o magari una piccola promessa?

Se l’aveva fatto, se davvero mi aveva baciata, allora…

Ma che valore aveva per lui, un bacio?

Chiusi gli occhi quasi per impedire a me stessa di immaginare il futuro o ricordare il passato, ma sembrava che quelle labbra fossero ancora sulle mie.

E se un solo bacio mi aveva fatta sentire così, come sarei stata di fronte al resto? Di fronte a di più?

Ridacchiai guardandomi finalmente allo specchio, impallidita, con le labbra più rosse del solito.



...Sarebbe stato come morire.







Hai paura?

Mi aveva chiesto.

Sì, ne avevo, ma in quel momento avrei dato tutto per rischiare ed averlo.







 

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Capitolo 21
*** Tentazione ***



Tentazione
(Be my D
ruidress - Type O Negative)








17 giugno



 

Welcome to the jungle

We take it day by day

If you want it you're gonna bleed

But it's the price you pay

And you're a very sexy girl

That's very hard to please

You can taste the bright lights

But you won't get them for free



 

Sollevai un angolo della bocca sentendolo pronunciare quelle parole.

Il maledetto cantava e si muoveva come un ossesso sul palco, tenendo addosso gli occhiali da sole che tanto odiavo e facendomi venire i brividi, come prima del concerto, quando fuori dal locale mi aveva infilato le mani tra i capelli e mi aveva baciata.

Non voleva che gli altri ci vedessero, era davvero geloso e ciò mi mandava ancora più su di giri.

Poi aveva lasciato le dita scendere fino ai miei fianchi e fino al mio sedere stringendo la pelle e raccomandandomi di non farmi nessuno quella sera. Avevo riso e gli avevo consigliato lo stesso prima di mordergli il labbro inferiore.

Era frustrante.

Limonare come dei tredicenni alla fine dei miei turni, magari vedersi di mattina o pomeriggio tra un impegno e l’altro… era stupendo, così come lo era la sua sfacciata audacia che aveva già portato le sue mani sotto la mia cintura, ma...



 

In the jungle

Welcome to the jungle

Feel my, my, my serpentine

I, I wanna hear you scream



 

Esatto Axl, esatto.

Mi stava portando ai limiti di ciò che potevo sopportare.

Lo desideravo ed insieme avevo paura di quello che mi stava facendo provare.

Eravamo bravi ragazzi infondo, e stare insieme da meno di due settimane non sembrava essere abbastanza per il sesso.

Razionalmente non lo era, psicologicamente… lo volevo.

Sembrava che Adriana avesse ragione ora, ma non riuscivo ad affrontare la tematica con la sua stessa serenità. Axl mi avrebbe vista, avrebbe visto la mia schiena e poi se ne sarebbe andato, disgustato ed allontanato dalla vergogna che provavo io stessa.

Mi avrebbe rifiutato.

Portai le mani alle spalle, correggendo come potevo a posizione delle maniche e dello scollo della maglia che avevo addosso: era nera e scendeva morbida fino alla vita. Faceva troppo caldo per portare qualcosa che non fosse a maniche corte e che non fosse una gonna. Quella in jeans che indossavo arrivava a metà coscia.

Alzai lo sguardo fino lui.

Avrebbe dovuto meritarsi la mia fiducia prima di quel passo: non volevo stare male, non ora che finalmente qualcuno mi aveva rapito.

Finita la canzone sollevò gli occhiali sulla testa e ghignò al mio indirizzo.

-Yeah, I’m gonna bring you down-










 

Mi rivolse lo stesso ghigno non appena entrato nel corridoio del backstage: l’avevo preceduto insieme ad Adriana che si avvicinò subito a loro e si intrufolò tra Steven e Duff abbracciandoli.

-Andiamo a bere!-

-Come se non lo stessero facendo da ore- risi piano guardandoli.

-Io ho bisogno di una doccia- concluse Izzy, sparendo in un attimo nella stanza in cui avevano lasciato i loro effetti.

-Moretta!- un sudaticcio Slash mi si avvicinò e feci un passo indietro -Prova solo a toccarmi i capelli Slash, e sei finito-

Ampliò il sorriso, avvicinandosi pericolosamente.

-Ah si?-

-Sì, mordo-

-Guarda che morde davvero- Axl si leccò le labbra appoggiandosi al muro e prendendo una delle bottiglie a disposizione. Con l’altra mano lo vidi indugiare per un attimo sulla spalla, ma il segno lasciatogli qualche giorno prima era già sparito.

-Vuoi essere il primo, Rose?- lo fulminai e lui inclinò la testa.

-Fatti sotto, Lizzie-

Slash approfittò della distrazione per scompigliarmi i capelli in un gesto piuttosto disordinato e per far scivolare la sua mano fino al mio fianco.

-Sei proprio carina-

Mi svicolai da lui e mi indicai.

-Sono proprietà privata, mi dispiace- sbottai puntando gli occhi tra la matassa di capelli che gli nascondevano il viso.

-Adesso scusatemi, ho bisogno di una superficie riflettente-

-Ellie, guarda che stai bene anche così!- ignorai il commento pacificatorio di Steven e scappai in bagno con l’urgente e paranoico bisogno di sistemare la mia capigliatura. La mia testa era sacra!

Arrivai allo specchio e cercai di ripettinarmi alla meglio usando le dita ed ignorando la fastidiosa sensazione rimastami addosso.

Feci una smorfia guardandomi, per nulla soddisfatta, poi sentii la porta chiudersi e la serratura scattare alla mia sinistra.

-Proprietà privata, mi piace-

-Non intendevo tua-

Spostai una ciocca di capelli andando a ricreare la riga sul lato destro della testa e la fermai con una forcina: l’avevo incastrata nel cursore della zip della borsa proprio perchè fosse accessibile in occasioni come queste.

-Ah no? Che antipatica- mi arrivò alle spalle e immerse il viso tra i miei capelli e le mani tra le pieghe della maglia.

-Intendevo mia, di me medesima-

Piegai la testa all’indietro, appoggiandomi a lui e rilasciando la tensione.

-Ew, sei tutto sudato-

-Stai un po’ zitta-

Mi attirò a sè baciandomi e sentii il suo corpo addosso a me mentre una delle sue mani mi alzava la gonna e si appoggiava prima sulle cosce, poi su di me.

Era eccitato.

E lo ero anch’io.

-Sempre più frequenti questi appuntamenti clandestini...- borbottai appena ne ebbi la possibilità, mentre mi lambiva la pelle del collo con la lingua.

-Lamentati, sai- la sua voce arrochita dal concerto appena eseguito e dal desiderio mi faceva impazzire.

Scostò la stoffa, accarezzandomi direttamente.

Ridacchiai tra me, scossa dal piacere e dalla sua sfrontatezza.

-Sei pessimo-

-Mi sto trattenendo, Elizabeth, altrimenti saresti già addosso al muro e ti starei prendendo come nemmeno oseresti immaginare- sussurrò contro la pelle del mio collo continuando a giocare con me.

Quella visione e le sue dita che si intrufolavano in me con decisione.

Non riuscii a trattenere un lieve gemito, neppure mordendomi le labbra.

Rischiavo di cadere a terra da un momento all’altro, vittima delle mie gambe, rese tremanti e fragili per merito suo.

-Sarebbe meglio di questo, Elizabeth, sarebbe molto, molto meglio-

-Axl…-

Il picchiettare di una mano sulla porta mi fece riaprire gli occhi e intercettare la sua espressione.

Cercai di allontanarlo, ma mi sostenne continuando a darmi piacere e muovendosi contro di me mentre guardava il mio viso riflesso dallo specchio, ignorando completamente la richiesta di Izzy di entrare.

-Sei bellissima-

Esalai un ultimo sospiro stringendo le dita attorno al suo braccio e dimenticandomi per un attimo di ogni cosa. Dopo poco, soddisfatto, rimise i miei vestiti apposto e mi baciò la spalla.

-Se c’è una cosa che adoro è vedere una donna avere un orgasmo-

-Mmh-

Mi girai guardandolo. Sorrideva, sfacciato.

Lo baciai stringendomi addosso al suo petto mentre le sue braccia mi avvolgevano.

-Buono a sapersi- sussurrai.

Anche se non era sesso vero e proprio, poteva andare benissimo così.

Per ora.

-Axl, libera il dannato bagno: non ho intenzione di fare la coda a casa per una semplice doccia-

-Tanto vai comunque dalla tua bella stanotte- precisò il rosso, portando poi le dita vicino alle sue labbra.

-Esci-

Consapevole che gran parte della mia attenzione era catturata da lui fece guizzare la lingua per un attimo su di esse, quindi, avvicinatosi a me, mi spinse verso l’uscita.

-Non imbambolarti-

Sbloccò la serratura rimanendo alle mie spalle ed aprì la porta.

-Adesso capisco-

Izzy mostrò i denti sorridendo.

-Infondo hai avuto un buon tempismo- mi circondò con le sue braccia decretando il suo possesso su di me, che rossa d’imbarazzo avevo spostato lo sguardo alla parete dietro il chitarrista, alla ricerca degli altri.

-Ottimo, ottimo, a domani- ci oltrepassò scambiando un gesto d’intesa con il suo migliore amico.

-Buonanotte Jeff-

-Divertitevi- concluse con un cenno della mano e sparì all’interno della stanza.

-Seguiamo il suo consiglio, che dici?- abbassò la voce.

Presi un profondo respiro.

-Mi tenti, mr Rose...-

-Sei pure buona, lo sai..?- una delle sue mani si portò piano all’altezza del mio seno, tentennando giusto il tempo necessario perchè comunicassi la mia decisione.

-...Ma domani lavoro-

La abbassò e d’un tratto non sentii più il calore del suo petto sulla schiena.

-Scherzavo, sei decisamente una noia-

Mi girai per vederlo meglio e feci un passo verso di lui, afferrando un lembo della sua maglia.

-Prova a dirlo di nuovo-

Arrivai a toccare la sua pelle mentre si esibiva in uno dei suoi sorrisi migliori.

-Sei una noia, Elizabeth-

Strinsi le mani addosso a lui, facendogli sentire la lunghezza delle mie unghie, ma invece di lamentarsi si morse il labbro.

-Ti accompagno a casa, magari cambi idea-

Si avvicinò, rubandomi l’ennesimo bacio, ma dopo non molto mi staccai, respirando addosso a lui.

-Non ci contare-








 

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Capitolo 22
*** Affection ***


Affection
(Echoes - God Is An Astronaut)








24 giugno

1.47

Percorremmo gli ultimi passi arrivando davanti alla porta d’entrata della mia palazzina.

Si allontanò quel che bastava per poter accendere la luce sotto il piccolo portico, come ormai era abituato a fare e si appoggiò al muro piegando la testa.

-Siamo arrivati-

Rialzò lo sguardo, complice, aspettando che aprissi la porta anche a lui.

-Eh, no che non ti faccio entrare, non da solo-

Feci scorrere la zip della borsa sbirciandolo e sorridendo delle sue aspettative: mi ero ripromessa di non accontentarlo subito, quindi sarebbe rimasto in bianco. Di nuovo.

-Maddai piccola, che vuoi che sia…-

-Sei pur sempre una specie di animale selvatico e quindi pericoloso e quindi rimaniamo qui, ancora per un po’-

Mi avvicinai a lui, appoggiando il palmo di una mano sul suo petto.

-Animale selvatico?-

Annuii e sollevai il viso fino ad incrociare il suo sguardo, mentre cominciavo ad accarezzarlo: mi piaceva sentire la consistenza ed il calore del suo corpo sotto le dita. Parlai con noncuranza.

-Aggredisci le giovani donne indifese, cercando di rubare la loro innocenza...-

Alzò un sopracciglio.

-Aggredisco te e nemmeno ti dispiace- sottolineò.

-E tu non sei per nulla innocente- aggiunse.

Sorrisi sorniona fermando le mani sui suoi fianchi.

-Ah no?-

-No per niente-

Sbattei le ciglia al suo indirizzo cercando di contraddirlo, ma a giudicare dal modo in cui le sue labbra si curvarono dedussi di avere semplicemente assunto un’espressione che confermava la sua tesi.

-Forse un pochino- azzardai.

Rise di me mentre cercavo di recuperare dalla borsa le chiavi del portone principale.

-Mi piacerebbe fare del buon sesso con te, non c’è nulla di male-

Sollevò le braccia stiracchiandosi.

-Quanto sei esplicito-

Sbuffai, trovandole in un insulso angolino: mi ero ripromessa di metterle nella taschina laterale per evitare di perdere le ore ad esplorare l’interno della borsa, ma a quanto pare non ero riuscita a farlo nemmeno stavolta.

-Meglio così che poi essere accusato di falsa testimonianza o malinterpretazione-

Lo guardai.

-Non ti basta, ora?-

Strinse le labbra facendole formare una linea sottile e si avvicinò.

-Non mi piace fare le cose a metà- puntualizzò, aggiustando la posizione del ciondolo che portavo al collo.

-Voglio spogliarti, Elizabeth; guardare ogni centimetro della tua pelle, accarezzarla, annusarla e sentirne il sapore sulla lingua-

Trattenni un sospiro. Adoravo il suo modo così diretto di dire le cose.

Mi faceva sentire voluta, mi faceva desiderare ancora di più che lui le mettesse in pratica.

Tornò ad alzare lo sguardo per intercettare i miei occhi -Ma infondo sono cose che sai senza che io le dica ad alta voce-

-Lasciami ancora un po’ di tempo-

Lo spostò di lato, in un moto di disappunto.

-Come vuoi- proferì, asciutto.

-Non farmi sentire in colpa, stronzetto- provai a pizzicarlo ma intercettò la mia mano prendendola con la sua e stringendola.

-Martedì prossimo abbiamo un concerto, verrò mercoledì a trovarti- mi baciò la fronte.

-Va bene- sospirai, delusa. Suonavo arresa anche alle mie stesse orecchie.

-Buonanotte- lasciò la presa facendo un passo all’indietro e mentre iniziava ad allontanarsi abbassò gli occhiali da sole nascondendo il viso.

Sentii montare dentro di me un senso di vuoto e di angoscia per quel saluto a metà e per l’improvvisa paura di perdere quell’uomo a causa del mio rifiuto.










 

-Axl!-

Trattenni un sorriso mentre mi giravo.

-Dimmi, bambola-

-Non si saluta così la propria ragazza- balbettò, stringendo più forte la presa sul mazzo di chiavi e provando a congelarmi con i suoi occhi.

La mia ragazza.

Suonava molto bene.

-Ah no?-

Con fare ridicolosamente incerto e lento tornai sui miei passi fino ad essere di fronte a lei, ormai chiaramente spazientita.

-No-

Alzò gli occhiali, mettendoli in equilibrio sulla mia testa.

-Un giorno, giuro, te li spaccherò a metà-

-Dolce come sempre-

Rimanemmo a guardarci, poi la baciai, accontentandoci per l’ennesima volta.

-Va bene così?-

-Mmh-

Mi sorprese abbracciandomi e nel contempo nascondendo il viso addosso alla maglia di cotone che portavo quella sera. Non esitai nemmeno un secondo: la strinsi a mia volta come se le nostre membra potessero fondersi così, tramite la semplice forza delle nostre braccia.

-Ti voglio bene, Axl-

La strinsi con più forza, mentre inaspettatamente il mio respiro si faceva più veloce e una leggera vertigine si impadroniva di me. Codardo, nascosi dietro un bacio la mia incapacità di rispondere.

La guardai, accarezzandole la nuca, ed infilando la mano tra i suoi capelli la baciai di nuovo con più convinzione.

Dirlo avrebbe voluto dire diventare inermi.

La mia difesa sarebbero state le parole non dette.

-Buonanotte piccola-

-Buonanotte-

Sciolsi quell’attimo salutandola e finalmente sorrise entrando nel palazzo.

Rimasi a guardarla sparire oltre la porta, quindi iniziai ad allontanarmi afferrando in modo quasi istintivo una delle amate Malboro dalla tasca dei jeans.

Accesi ed inspirai nervosamente, sperando che il fumo placasse quel misto di terrore e leggerezza comparso alla bocca del mio stomaco.


La curiosità ammazza il gatto.


Mi aveva detto così Jeff, dopo avermi sentito parlare della scommessa.






 

Porca troia se aveva ragione.

















-- -- -- -- -- -- -- 

Un grazie a tutti quelli che continuano a leggere, so che ci siete ;)

 

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Capitolo 23
*** Muri ***


Muri
(Skinny Love - Birdy)









 

27 giugno 1986

23.46



 

-Vedete di divertirvi, visto che ci state sfrattando così platealmente-

Slash rise sotto i baffi abbassando la maniglia della porta di casa mia.

I ragazzi se ne stavano andando dopo la cena organizzata a scrocco da Adriana proprio a da me, ma Axl era rimasto fermo, a braccia conserte, appoggiato al muro del corridoio, dietro di me. Come se fosse lui il padrone di casa.

Mi feci sfuggire un sorriso: in realtà non mi sarebbe dispiaciuto.

-Hai qualche dubbio, riccio?- lanciai un’occhiataccia al rosso, disapprovando il suo tono sfacciato ed intercettai lo sguardo di Duff mentre li accompagnavo all’uscita.

-Elizabeth, buonanotte!-

Una brilla Adriana mi si appese al collo e mi schioccò un bacio sulla guancia.

-Voglio sapere ogni singolo particolare- aggiunse sottovoce al mio orecchio e, dopo un occhiolino si precipitò in corridoio, dove tirò un sonoro schiaffone al sedere di Steven.

-Ehi!-

-Hai un culo meraviglioso tesoro, andiamo a casa mia adesso, vero? Vero?-

Risi piano mentre anche Izzy usciva ringraziando.

Michael indugiò sulla porta.

-Ragazzina, cerca di ricordarti quello che ti ho detto-

-Di non esagerare con il Whisky?- non avevo proprio voglia che mi facesse qualche sorta di predica quella sera.

-Di non cadere nella tela del ragno- guardò un attimo alle mie spalle e poi tornò a me.

-Immagino di sapere di che ragno parli… Ci sono già caduta, Michael-

Sbuffò chinandosi a baciarmi la guancia.

-Speravo di essermi sbagliato-

-Buonanotte McKagan-

Il tono definitivo di Axl mise un freno alla voglia di parlare del biondo.



Ero contesa! Mamma mia, che brivido, che segreta soddisfazione!

Ma i miei pensieri erano chiaramente indirizzati ad uno solo di loro ed ero più che sicura che se Duff avesse ceduto al suo istinto spostando le sue labbra sulle mie, la serata si sarebbe conclusa con una magnifica rissa.

...

Meglio finirla subito.

-Dormi bene Michael-

Mi alzai sulle punte per ricambiare il bacio.

-Buonanotte- concluse. La sua voce tradiva una nota di disappunto e preoccupazione, ma che preoccupazioni ci dovevano essere se anche Axl ricambiava il fuoco che sentivo di provare?


Chiusi la porta e sentii le sue mani appoggiarsi sui miei fianchi e la sua bocca baciarmi i capelli.

-Finalmente, oserei dire-

Sussurrò infilando il naso tra i miei capelli, ad inspirare il mio profumo.

Finalmente soli.

Mi morsi il labbro.

Sì, finalmente, proprio come volevi.

-Che pena stare qui tutta la sera e non poterti toccare- sussurrò stringendo appena la presa.

-Perché non l’hai fatto?-

-Non volevo volevo casini, e non voglio che gli altri ti vedano così-

-Così come?-

Mi girai piano fino a guardarlo.

-Così persa per il sottoscritto- sorrise infilando le mani appena sotto la maglia per accarezzarmi la pelle.

-Non sono persa- alzai piano la testa per baciarlo, ma lui evitò le mie labbra ridacchiando -Ah no?-

Ci guardammo negli occhi, entrambi troppo orgogliosi, così persi il mio bacio mentre lui si allontanava ridendo e prendendo un bicchiere di birra.

-Che bel caratterino Elizabeth-

Io ero frustrata, lui estremamente allegro perché sapeva di avermi in pugno.

Avevamo accumulato tensione per tutta la serata, fin da quando aveva varcato l’entrata del mio appartamento. Ora io mi rendevo conto di non farcela più, ma lui… Non volevo cedere per prima.

-La sai una cosa?-

Ci guardavamo.

-Non potrei mai essere tuo amico, come fa Steven, come prova a fare McKagan- concluse.

-Nemmeno io…- dissi piano e mi avvicinai al divano, sedendomi.

-Lo so- ghignó sfacciato.

-Un altra parola e non sarei più riuscito a trattenermi…- aggiunse sovrappensiero, riferendosi palesemente alla breve conversazione avuta con l’ossigenato.

Alzai gli occhi al cielo sdraiandomi più comodamente sul divano.

-Non ti smentisci mai mr Rose-

-No…- confermò.

Sentivo il suo sguardo vagare su di me, mandandomi su di giri anche solo spogliandomi con gli occhi. Non volevo cedere. Doveva venire lui da me, volevo che si avvicinasse, che mi baciasse, poi chissà.

Magari sarebbe stata la sera giusta per qualcosa di più.

-No, affatto- abbassò la voce, appoggiando il bicchiere e finalmente avvicinandosi.

Un gatto che girava attorno al passerotto ignaro.

Mi appiattii allo schienale tenendolo d’occhio e quando fu abbastanza vicino allungai una mano fino ad accarezzargli una delle guance.

Te l’avevo detto…

Si era abbassato ancora, lentamente: aveva lasciato tutto il tempo necessario affinché il mio corpo in ogni sua fibra lo volesse, ancora.

Baci, strette, carezze, ma ora?

Non m’importava. Volevo solo che quelle labbra si appoggiassero alle mie.

Indugiò ad un centimetro da me e fui io a raggiungerlo.

Un bacio ed un sorriso mescolati: non riusciva a nascondere la soddisfazione datagli dalla mia impazienza.

Infilò un ginocchio tra le mie gambe, allargandole leggermente mentre la sua lingua iniziava a farsi strada nella mia bocca.

-Mmm…-

Approfondii.

Si staccò spostandomi i capelli dal volto -Baci bene Elizabeth-

-Meglio di te di sicuro- sussurrai, piccola provocazione che lo incoraggiò a farmi perdere la testa.

Scese a mordicchiarmi il collo mentre piano mi accarezzava i fianchi, la pancia, e, leggero, il cavallo dei pantaloni.

Chiusi gli occhi, lasciandomi perdere grazie a lui, lasciando che mi facesse stare bene.

Era molto meglio lasciare che fossero gli altri a toccare…

-Bambola…-

-Non sono una bambola, Axl- ribadii sottovoce.

-Lasciami fare- sussurrò per rassicurarmi e mi baciò le labbra, continuando a toccarmi piano da sopra la stoffa -Permettimi di guardarti-

Involontariamente mossi il bacino e lui aumentó la pressione stringendo l’interno coscia.

-Credo ti mangerò- concluse infilando le dita oltre il bordo dei leggins per abbassarli e lasciare la pelle scoperta sul ventre. Senza indugi mi baciò la pancia mentre le sue mani salivano e scendevano stringendo la mia pelle, mentre si fermavano a solleticare i capezzoli.

Alzai il busto e gli permisi di sfilarmi la maglietta.













 

00.09

La luce giallognola della sala era rimasta accesa, e a quel punto, quando ormai le sue mani avevano slacciato il mio reggiseno e, curiose, si erano fermate ad accarezzare la strana consistenza della mia pelle dietro la spalla destra, mi congelai.

Continuava ad accarezzare la cicatrice cercandone il confine.

Mi aveva fatto dimenticare tutto ed allo stesso modo, forse ancora più bruscamente, mi aveva riportato alla realtà.

Cercai i suoi occhi: in risposta alla mia rigidezza stavano già guardando i miei. Cercava di capire continuando a passare le dita con dolcezza sui segni del mio passato, ma era come se quelle mani, con quella ricerca trasformata in massaggio, stessero tradendo le sue buone intenzioni.

-Smetti, ti prego…- le parole uscirono in un bisbiglio confuso senza che potessi trattenerle.

Inarcò un sopracciglio verso l’alto rimanendo fermo.

-Qual é il problema?-

-Non ci conosciamo, no, davvero non ci conosciamo- sussurrai alzando il busto, cercando di allontanarmi e non dargli le spalle -D..dov’é la maglietta?-

La individuai sul poggiolo del divano e la afferrai in fretta.

-Qual é il problema, ho chiesto.-

Cercai di raddrizzarla -Io.. i..io sono il problema-

Me la tolse dalle mani.

-Hai per caso in mente di fuggire da casa tua?-

Coprii il seno con le braccia, umiliata, rimanendo in silenzio.

-Puoi darmi.. la maglietta, per piacere…?-

Continuava a fissarmi senza fare nient’altro.

-Axl…- abbassai lo sguardo, respirando piano, arresa: lo stavo implorando.

Sentii un sospiro, e le sue dita si portarono piano sulle mie spalle.

-È per questa?- solleticò il briciolo di pelle rossastra alla destra del mio collo.

Rimasi in silenzio, gelata.

-Elizabeth-

-É orribile, scusami, non avresti dovuto spogliarmi- indossai la maglia, nascondendomi.

-Non dire cazzate-

Mi accarezzó piano facendomi stendere, ed appoggiando piano la testa sul mio seno.

-Un giorno te ne parlerò, ma non oggi, no, non voglio che mi guardi-

-Bambola, calmati…-

-Non sono una bambola, non sono perfetta- il tono della mia voce aveva iniziato ad assumere una sfumatura fragile ed isterica insieme. Avrei dovuto smettere di vivere delle bugie che raccontavo anche a me stessa: che ero bellissima, che i miei lineamenti ed il mio corpo avrebbero fatto invidia a chiunque… Ci credevo, lo pensavo davvero, ma era una bugia: valeva solo per quando avevo i vestiti addosso e non si parlava della mia testa: delle insicurezze, delle paure, delle paranoie.

Non ero perfetta, dovevo arrendermi.

-Nessuno lo è-

Alzò il viso.

-Ma tu…- si zittì, guardandomi, e fece scorrere l’indice lentamente sul mio viso. Una pennellata per cancellare la tristezza della mia espressione.

-Dannati armadi pieni di scheletri- sussurrò.

La sua espressione era cambiata: c’era? Non c’era? Forse pensava ai suoi scheletri.

Quante cose ancora non conoscevamo l’uno dell’altra?

Il nostro rapporto sembrava fatto solo di corpi e di una sorta di dipendenza da presenza, odori, da fuoco ed adrenalina che nutrivamo vicendevolmente... si fermava lì.

Saremmo sopravvissuti se ci fossimo separati perchè ancora il nastro che ci legava non era stato stretto abbastanza. Quel filo sottile si inerpicava su muri che non erano stati abbattuti: essi torreggiavano tra di noi, circondando, inespugnabili, entrambe le nostre persone per ripararci da tutto il resto del mondo.

Infatti il mondo non avrebbe avuto pietà di noi se fossero stati tolti.

Non l’avrebbero avuta nè lui, nè le emozioni che ci avrebbero raggiunti immediatamente.

Certo, sarebbero state più vere, ma anche forti come non mai: avrebbero rischiato di distruggerci.



Gli avrei raccontato della cicatrice più avanti. Ora non volevo ricordare e non volevo essere la sola dei due a togliere la corazza che mi riparava.



Ancora con le dita appoggiate al mio viso continuava a guardarmi senza vedermi.

Più che una statua greca sembrava una scultura di sale in balia dell’acqua o una di sabbia, spazzata dal vento.

Immersi una mano tra i suoi capelli e lui socchiuse gli occhi beandosi della mia carezza.



Mio fragile William… cos’è che ti fa così male?



-Axl..?- mormorai, cercando di riportarlo a me.

-Sono qui-

Mi baciò dolcemente e mi abbracciò in silenzio.

Riuscimmo così ad ingannare il tempo e trasportarci per un attimo in una breve e tutta nostra eternità.











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Un enorme grazie a chi continua a leggere e recensire e ha messo la storia tra le preferite o le seguite: siete fantastici!
Gli aggiornamenti potrebbero diventare un pelino più frequenti nelle prossime settimane, tenetevi pronti :D
A presto ;)

 

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Capitolo 24
*** NonTalk ***


NonTalk
(Silenzio)










29 giugno 1986

17.56



-Pronto?-

-Elizabeth?-

-Cosa vuoi?-

-Come stai? È da molto che non ti fai sentire…-

-Bene, molto bene. Lavoro, vivo.-

-Non torni a casa?-

-No-

-Ci manchi-

-Papà, non dire cretinate-

-Lei non avrebbe voluto che te ne andassi, non così-

-Non parliamone-

-È fiera di te, ricordala, almeno oggi-

Il suo compleanno.

-La ricordo sempre-

-Hai sentito Annah? Ha detto di averti visto in una libreria-

-Sì, sì, l’ho vista bene-

Maledetti tutti quanti.

-Senti, ho gente a casa, ci sentiamo-

Attaccai rifiutandomi di sentire la risposta.

La casa era deserta.

Andai al mobile degli alcolici ed afferrai una delle bottiglie dimenticate da Duff.

Mancavano ancora 4 giorni all’anniversario, ma niente mi impediva di cominciare a bere in quel momento.










 

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Capitolo 25
*** Riflesso ***


Riflesso
(
Carmen - Lana Del Rey)










3 luglio 1986

00.56


 

La mia testa era un inferno ed il tre luglio era arrivato, per la terza volta era arrivato.

Sospirai, cercando di ignorare il senso di vomito che provavo sia per le emozioni represse, sia per gli assaggi che avevo volutamente spillato dai clienti.

Riempii l’ennesimo bicchiere di birra della serata per uno dei pochi rimasti e guardai la porta, aspettandolo, ancora, per l’ennesima volta.

Aveva tintinnato, ma ad entrare non era stato Lui, era solo un altro uomo, che venne dritto al bancone.

-Dammi qualcosa di forte, dolcezza-

-Vodka?-

-Sìsì, andiamo sul classico-

Lasciai perdere la birra e, aspettando che la schiuma si sciogliesse, feci scivolare un po’ di quel liquido trasparente in uno dei bicchieri da shot. Lo posai sul tavolo davanti a lui.

-Solo un bicchiere- lo prese, lo rimirò per un attimo bisbigliando a sè stesso e poi giù, in un sorso.

-Devo ricordarglielo?-

Cercai di interrompere i suoi pensieri: potevo chiacchierare per non pensare al mio ritardatario cronico.
In genere i clienti notturni erano interessanti, e poi lui.. lui aveva un’aria familiare.

-Meglio di sì- si appoggiò al bancone e notai che sbirciava la mia scollatura da sopra gli occhiali da sole mentre mi sporgevo a servire la birra ad uno dei clienti abituali.

Pervertito.

Sorrisi tra me, controllando che gli altri fossero apposto, poi riportai a lui la mia attenzione.

Che poi, occhiali da sole a quell’ora? Forse io non ero del tutto lucida, ma in teoria era tardi.

-Qualcosa di più leggero?-

-Un buon tè caldo? O una camomilla? Sono perfetti a quest’ora-

-Non per me- ghignò alzando gli occhiali.

-Senti, davvero, un altro shot lo reggo e te lo pago bene pure, stasera non ce la faccio a stare sobrio-

A chi lo dici...

-Io non ho visto nulla ok?-

Acconsentii piano, riempiendogli di nuovo il bicchiere.

-Sei un tesoro-

Bevve.

-Perchè bevi?-

-Quando capitano brutte cose, serve-

-Già-

Annuii, ne sapevo qualcosa.

Lo guardavo, senza riuscire a staccare gli occhi da lui. Non capivo dove…

-Non sembri uno a cui possano capitare brutte cose- aggiunsi.

-Neanche tu dolcezza, ma ognuno ha i suoi scheletri-

-Ti conosco?-

-E chi non mi conosce?- rise porgendomi ancora il bicchiere.

Indugiai.

-Li leggi i giornali, su- mi incoraggiò, e tolse gli occhiali da sopra la testa.

-Non credo di aver capito-

-Oh, babe, Razzle degli Hanoi Rocks, incidente d’auto a cui non so come diamine ho fatto a sopravvivere…- la sua voce si inasprì.




Oh.

Ora ricordavo.

-Che ci fa un cantante famoso in un localino come questo?- cercai di cambiare argomento.

Quante dannate volte avevamo scherzato su quei quattro io e Steve?...

-Beve, per dimenticare di aver ucciso una persona e di essere appena uscito dalla galera-

-Non dovresti bere-

-Lo so-

Silenzio, poi udii il pendolo suonare la fine del mio turno.

 




Le casualità della vita.



 


Feci il giro del bancone e mi sedetti affianco a lui versando un bicchiere anche per me.

Bevvi. Giù, tutto d’un fiato, senza pensare.

Volevo spegnere il cervello: ciò che avrei provato ascoltando ragione e ricordi mi avrebbe stravolta, quindi meglio lasciare spazio all’incoscienza.

L’alcol mi bruciava la gola, ma non me ne importava: ne avevo estremo bisogno.

...ed Axl non era arrivato.

-Perchè bevi?-

-Quando capitano brutte cose, serve-

-Non sembri una a cui possano accadere brutte cose, dolcezza-

Risi, per il nostro dialogo rovesciato.

Ne versai un altro, intercettando l’occhiata di rimprovero del capo che iniziava a chiudere baracca.

Chissenefrega.

-Che fa una bella ragazza come te in un localino come questo?

-Beve, per dimenticare di aver ucciso una persona-

-Smettila di farmi il verso bambola…- rise piano dandomi una leggera pacca sulla spalla.

-Non ti faccio il verso, Neil, è solo il caso che gioca con noi uno strano gioco-










 

-È solo il caso, che gioca con noi uno strano gioco-

La sentii parlare e poi ridere, amara come non mai.

-Ti racconto una storia, non l’ho mai raccontata a nessuno, sai?-

-Dimmi bambola, sono tutt’orecchi-



Bambola.



Digrignai i denti e mi sedetti al tavolo più prossimo al bancone, maledicendomi per non essere arrivato in orario.

-Parla di una ragazza di 16 anni, che imparava a guidare-

Potevo vederla, la smorfia di disperazione che piano, si formava sul suo volto.

-E al ritmo di Too Young to Fall in Love finiva addosso a un tir, perchè stava andando troppo veloce, o forse il tir stava andando troppo veloce ...la corsia sbagliata, non lo so, non… non lo so...-

I suoi occhi che si spalancavano e le mani che cercavano qualcosa da stringere.

-Parla del rumore dei freni e del botto che copriva le tue parole, di una madre, sul sedile del passeggero che non rispondeva più-

Dovetti mordermi la lingua per non saltare addosso a Neil, che aveva già portato una mano sul suo fianco.

-Di un caldo d’inferno e della musica che continuava ad andare mentre prendevo fuoco-

-Per fortuna il fuoco mi ha mangiato solo la schiena… la schiena e i capelli, che però sono un po’ cresciuti- bascicò talmente piano che non riuscii quasi a capire le parole.

-Parla di non riuscire più a stare in casa, di non riuscire più a salire in auto, se non dopo mesi e mesi… di sedute dallo psicologo a cui mi sono rifiutata di andare, di mio padre, che mi ha lasciata andare-

-Parla di una cicatrice che non se ne andrà più via. È qui, guarda-

Scostò i capelli e abbassò la maglia e le spalline, mettendo in mostra quella macchia rossastra che tanto odiava.

-Questo è solo un pezzettino, e non riesco a sopportarlo-

Si coprì di nuovo.

Cercava di non sbattere gli occhi per non far cadere le lacrime.

-Le cose brutte possono capitare anche alle ragazze belle-

-Senti Axl, lo so che eri venuto per farle il filo, ma credo che stasera sia un po’ una causa persa- Carlo mi battè una mano sulla spalla parlando piano.

-Sì, me ne vado-

Tra le due alternative, prenderlo a cazzotti o andare, optai per la seconda.

L’avrebbe scelto la stronza, cosa fare.

Non potevo sopportare di vederli affianco, non potevo sopportare di sapere che lei si era rifugiata in qualcuno che non ero io.


Lei era mia.


Mi alzai prima di cambiare idea, mentre lui la stringeva di più: vedevo solo le loro spalle farsi più vicine, quelle di lei scosse dai singhiozzi che non riusciva più a trattenere e coperte, come sempre.

-Me ne vado- sbottai, troppo piano, ed uscii.

Calciai il bidone più vicino, rovesciandone a terra il contenuto: ero incazzato.

Non me ne aveva parlato, non mi aveva detto nulla mentre ora si era confidata ad un completo sconosciuto dalla pessima fama, si stava facendo accarezzare, e poi si sarebbe fatta spogliare e fottere.


Tradimento..? Non avevamo firmato nulla.


Le cose sarebbero andate nel più ovvio dei modi, e mi saliva il vomito solo a pensarci.








Avevamo perso tutti.









 

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Capitolo 26
*** Complice ***


Complice

(Sweet Dreams - Emily Browning)











 

3 luglio 1986

4.47




Sono sveglia? Sono davvero sveglia?



Ad occhi spalancati, guardo il soffitto bianco della stanza da letto.



È un sogno ad occhi aperti.



Non sono pentita di nulla.

Una delle sue braccia mi circonda il ventre e i suoi capelli mi solleticano il petto.



Che cosa ho fatto..?



È stata una bella notte.

Bella, calda, liberatoria.

Forse ora riuscirò ad ascoltare i Crue senza pensare all’incidente.

Mi sfugge un sorriso a quel pensiero.

 

Aveva baciato la mia cicatrice, l’aveva accarezzata e mi ero sentita bene anche se ero nuda.

Finalmente ero riuscita a guardarmi e a farmi guardare.



Ma lui era uno sconosciuto… ed eravamo come complici di un delitto. Forse era quella la ragione per cui l’avevo accettato: era complice, era come me. Forse poteva capirmi.

Lui invece non c’era.

Lui non avrebbe capito...

 


È stata una bella notte.

Una notte perfetta, senza pensieri.

Limpida, anche, chiara come il bianco del soffitto, nessun dettaglio dimenticato, tutto presente e a me e a lui. Anche se ci sono stata trascinata senza essere del tutto in me, guidata dal paio di shot di Vodka che mi aveva offerto per aiutarmi.

Una notte per dimenticare.

 


E il senso di colpa per Lui lo dimentichi?

 


Sospiro.

Forse so lo ripeto ancora, se lo ripeto sarà davvero così.

 

È stata bella notte.

 

Anche se alla luce del giorno, tutto sembra più squallido.

 

-Sei ancora qui, dolcezza?- un sussurro e le sue labbra che si appoggiano leggere al mio petto per un bacio.

-Sì-

La sua mano si muove cercando un lembo del lenzuolo per coprirci alla meglio.

-Mmm- inspira sulla mia pelle avvicinandosi di più.

È incredibile come il mio corpo risponda anche solo al suo accavallare una gamba, nuda, alle mie.

 


Non lo saprà, dopotutto questo è un sogno.

 

Ne voglio ancora e ancora, voglio perdermi per sempre, rimanere sempre in questa bella notte.

 


Solo per non affrontarlo.

 


-È ancora presto Elizabeth- mormora -Però l’alba è l’ora più bella…-

-Davvero?-

-Quella poca luce che entra dalla finestra, e fa vedere tutto un po’ meglio-

Mi accarezza i seni, senza fretta.

-Non avere fretta perchè sono ancora tutti a letto, tutti a dormire, a parte noi-

Apre gli occhi ed alza la testa, guardandomi, parlando, piano, sulla mia pelle.

-A parte noi…- ripeto ricambiando lo sguardo ed appoggiando una mano alla sua schiena, mentre torna su di me.

-A parte noi.- conferma.

Mi bacia, facendomi perdere di nuovo, e accetto l’illusione senza indugiare.

 





Ma lo so, presto dovrò svegliarmi per davvero.

 


..dal sogno in cui non ho madre, né padre, né un passato e uno sconosciuto bacia la mia pelle come se fosse perfetta.

 



Avrei voluto che fossi Tu al suo posto, anche se qui l’amore non c'entra.















-- -- -- -- 

Don't kill me, please.

Un grazie speciale a GioMegan che ha recensito gli ultimi capitoli, e ancha a tutti quelli che in silenzio, leggono.

A presto ;)




 

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Capitolo 27
*** Porta ***


Porta
(Lucifer's Chorale - HIM)











4 luglio

8.16



 

Suonai alla porta.

Mi aprii lui -Che vuoi?-

La sua voce sembrò una doccia fredda ed un brivido percorse la mia schiena da cima a fondo mentre lo guardavo negli occhi, congelati.




Lo sa.




-Non sei venuto...-

-Senti, Elizabeth, non è giornata, e probabilmente non lo sarà neanche domani, o dopodomani-

-Axl, che cosa s-

-Ciao-

Il brivido si disperse ovunque, lo stomaco finì in gola, il rumore della porta chiusa sembrò uno schiaffo sulla pelle.

-Ciao anche a te…- bisbigliai al legno, muto e sordo, mentre mi lasciavo sedere sul gradino lì affianco.








Lo sa.














 

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Capitolo 28
*** Consapevolezza ***


Consapevolezza
(Dazed and Confused - Led Zeppelin)














6 luglio 1986




 

13.03

-Siamo dei guastafeste-

Steven esordì in questo modo portando tra le mani il vassoio con le nostre ordinazioni per il pranzo.

Mi aveva obbligata ad uscire di casa per parlare di cose serie: avrei approfittato di lui per conoscere la verità sul malumore di Axl o per dare conferma al mio sesto senso.

Il vero problema era che le due cose potevano coincidere.

-Che hai fatto tu?-

-Finito a casa di una certa Sybille ieri notte, svegliato completamente nudo e con un paio di chiamate perse da Adriana-

-Quella ti ammazza-

-Non lo saprà, e di sicuro tu sei in guai peggiori se ti fai vedere da Axl-

Iniziò a distribuire il cibo, appoggiandolo sul tavolo e liberando il vassoio.

-Beh, mi ha sbattuto la porta in faccia, non sono io a non volerlo vedere-

-Un secondo-

Si alzò andando a prendere un paio di tovaglioli al bancone.

Traditori, eravamo dei traditori.

Solo una ragione sembrava essere abbastanza forte da portarlo a non volermi vedere: lui sapeva quello che avevo fatto…

Il peggio era che, fosse stato vero o no, il senso di colpa che provavo era in ogni caso abbastanza forte da farmi sentire una merda e da togliermi il coraggio di affrontarlo: anche solo guardandolo mi sarei lasciata scoprire e allora si, mi avrebbe sbattuta fuori di casa e non avrebbe più voluto vedermi.

Abbassai la testa, sperando ancora che la causa del suo malumore fosse da attribuire ad un litigio con qualcuno o ad una delle sue stranezze.

-Eccomi qui-

Si sedette davanti a me ed assunse un aria pensierosa.

-Allora...-

Lo fissai insistentemente, fino a quando, soddisfatto dell'avermi fatto aspettare, iniziò a raccontare.

-L’altra sera aveva le palle girate perchè le prove non erano andate bene-

-L’altra sera quando?-

-Mmh, mercoledì-

Deglutì innervosita ed aspettai ad esultare perchè Steven sembrava avere ancora qualcosa da dire.

-Poi gli hai dato il colpo di grazia-

Aggrottai il viso senza capire -Ma se non lo vedo da domenica....- sospirai.

Lui alzò un sopracciglio ed afferrò il toast, dandoci un morso e cominciando a parlare, incerto.

-Tu non hai visto lui, ma lui ha visto te...E il fatto che probabilmente tu ti sia scopata Neil di certo non aiuta-

Soffocai con il tè freddo che stavo bevendo ed iniziai a tossire.

Steve mi battè qualche pacca sulle spalle e piano, mi ripresi.

-Come?-

-Pensavo vi foste trovati invece quando è rientrato era intrattabile. E il resto della settimana non è stato meglio... Ha anche picchiato Slash perchè ti ha dato della troia-

Guardai Steven in trance.

-Ripeti da capo, scusa-

Sbuffò tirandosi indietro i capelli e guardandomi come se fossi una bambina delle elementari.

-Giovedì mattina sembrava più schizzato ed aggressivo del solito, ma non ci siamo preoccupati troppo perchè a volte gli capita di avere la luna storta. Poi Duff ti ha citata perchè dovrebbe rifarsi la tinta, Axl è diventato di ghiaccio e si è chiuso in camera. Per fortuna Izzy era a casa e quindi è riuscito a parlarci… nel senso che lui parlava, Axl ha alzato un po’ la voce ed abbiamo sentito tutti-

Si grattò la testa imbarazzato mentre tenevo il bicchiere di tè sospeso a mezz’aria.

-Ha detto che ti aveva vista con Neil, che lui ti avrebbe portata a letto, e che avevamo tutti perso la scommessa. Slash si è fatto sfuggire un insultino nei tuoi confronti e ...beh, saltiamo questa parte-

Ridacchiò nervosamente e cercò di sviare il discorso.

-Il succo è che al di là della scommessa, il rosso sembra stare davvero male-

Sapeva. Sapeva, ma io invece no.

-Scommessa?- appoggiai il bicchiere al tavolo e portai le mani sulle gambe.

-Prima puoi dirmi se sei davvero finita a letto con Vince Neil?-

-Che scommessa, Steve..?- alzò gli occhi al cielo.

-Promettimi che non ti arrabbi-

Incrociai le dita di una mano ed annuii.

-Era un gioco. Avevamo scommesso tra noi su chi di noi avrebbe preso la tua verginità, ma ormai Rose era dato vincitore, insomma, fino ad una settimana fa eravate una bella coppietta… io avevo puntato su Duff, ma perchè lui è...- si perse nelle sue considerazioni al riguardo fino a zittirsi sotto il mio sguardo.

Ecco perchè Axl aveva insistito tanto.

Ecco perchè aveva così tanta fretta.

-Era qualche mese fa: mica pensavamo che saremo diventati così amici!-

Provò a scusarsi senza ottenere molto successo.

-Che stronzi- inaspettatamente al posto del tono arrabbiato che avevo in mente, uscì a malapena un soffio di parole.

-Ellie, dai, scusa…-

Raccolsi le braccia al petto cercando di rimanere intera.

-Non sono una pietra, Steven, non avete minimamente pensato che qualcuno avrebbe potuto rimanerci male?-

-Elizabeth…-

Si sporse e mi abbracciò alla meglio mentre rimanevo rannicchiata.

-Sì, sono andata a letto con Neil… Ma ci ha visto: poteva avvisarmi che era arrivato, poteva portarmi via… Io ero ubriaca e poi...-

E poi era l’anniversario.

-...lo picchio.- riacquisii la mia risoluzione ripensando all’incidente. Stavo male e lui non aveva fatto nulla. Non aveva fatto nulla!

-Tesoro, calmati-

Mi accasciai sulla sedia, sentendomi in un momento prosciugata: il mio tremore e la mia rabbia non erano nulla rispetto al fatto che mi si era appena presentato davanti agli occhi.

C'era una sola ragione per cui tutto ciò che sentivo era dannatamente forte.

-Io sono innamorata di lui Steven- ammisi.

-Sono innamorata di Axl Rose, Axl Rose mi ha fatto perdere la testa, ho fatto una cazzata e lui non mi ha fermata. Ho rovinato tutto e lui ha lasciato che lo facessi… così è colpa mia-

Annuì per evidenziare l’ovvietà delle mie affermazioni, intervenendo subito dopo.

-Io credo… che abbia voluto metterti alla prova-

-E ora stiamo male tutti e due- sospirai, cercando di ignorare la sensazione infondo al mio stomaco.

L’avevo tradito, ero stata a letto con un altro nonostante tutto ciò che mi ero ripromessa. Mi facevo schifo. Venni inondata da un senso di nausea e strinsi una mano sulla pancia, provando a trattenerlo.

Ma non potevo essere la sola ad avere sbagliato.

-Aspetta però-

Mi illuminai.

La scommessa: eccolo, il cavillo a cui potevo appigliarmi per provare a dargli torto e ad avere almeno un minimo di ragione.

-Lui voleva solo scoparmi, quindi non è che abbia molto da lamentarsi o da fare l’incazzato perchè ha perso- ridacchiai istericamente e mi alzai prendendo la borsa.

Sì, era così: io ero innamorata e lui, da brava futura rockstar del cazzo voleva solo approfittarsene e fottermi. Un po’ come aveva fatto Neil, ma almeno lui non mi aveva illuso con abbracci, gelosie e sentimenti: aveva sfruttato la mia voglia di dimenticare e non essere me stessa.

Axl mi aveva fatta innamorare per arrivare alla meta e ciò rendeva la cosa ancora più grave ai miei occhi.

Steven scosse la testa guardandomi - Siete degli idioti, secondo te perchè sta così di merda a sapere che sei stata con un altro?-

Ignorai la domanda ed uscii.

Avevo bisogno di parlargli.












 

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Capitolo 29
*** Nudi ***


Nudi

(Hide and Seek - Imogen Heap)













6 luglio 1986




18.33


-Axl apri-

-Avanti, so che sei lì dentro-

Nascosta dietro le spalle di Izzy, aspettavo che Lui aprisse la porta per…

-Che vuoi, Jeff?-

-Scusami, fratello- il chitarrista alzò le mani, mentre, prima che se ne rendesse conto, entrai nella stanza di Axl.

-Che..?!-

La porta si richiuse.

Rose mi dava ancora le spalle, aveva i capelli sciolti e addosso dei bermuda sgualciti.

Non portava niente sopra la vita: il caldo di luglio faceva sudare anche all’ombra.

-Ti avevo detto di non farti vedere-

-Incazzato perchè hai perso la scommessa, Rose?-

Mi lanciò uno sguardo così cattivo che lo sentii quasi perforarmi il petto.

-Sì-

-Sei uno stronzo-

Si era solo girato, e già avevo voglia di rimangiarmi ciò che avevo detto, perchè ero io la stronza che era andata a letto con un altro, perchè infondo sentivo che nell’ultima domanda posta da Steven c’era tutta la verità di cui avevo bisogno, perchè i suoi occhi mi facevano quasi paura.

-Perchè non esci di qui?-

-Voglio stare qui-

-Non vai da Neil?-

-Axl, io…-

Ma quell’autorevolezza sembrò sparire in un attimo. Nascose lo sguardo girandosi verso la finestra.

-A farti fottere ancora un po’?-

C’era qualcosa di strano.

-Tu…-

-A divertirti, a dimenticare le brutte cose-

E ironico.

-Hai sentito tutto-

-E come mai con lui non hai avuto troppi problemi a raccontare quanto fosse orribile la tua vita?

Come mai ti sei fatta spogliare?

Perchè Elizabeth?

Perchè a lui sì e a me no?-

-È come me- l’unica e stupida ragione sembrava essere quella.

-Ah e quindi devo ammazzare qualcuno in un incidente d’auto per stare con te?-

Trattenni il respiro mentre il veleno che stava spuntando mi entrava dalle orecchie nella testa.

-Ma la sai la differenza tra te e quel coglione?

Tu non eri ubriaca né fatta, il tuo è stato un vero incidente, lui l’ha ammazzato-

Tornai a riempire i polmoni. Non capivo.

Mi difendeva e mi attaccava.

-Sei proprio una stupida-

-Volevi proprio vincere-

Riuscii a malapena a parlare, provando ad attaccarlo a mia volta.

-Davvero? Davvero tiri in ballo la scommessa?-

Scosse la testa esasperato -Io volevo vincere Te, ma tu ti nascondi, sempre-

Alzai lo sguardo fino a fissarlo.

Voleva davvero parlare di nascondigli? Bene, l’avrei fatto anch’io.

-Vuoi spogliarmi, Will?-

-Non chiamarmi così-

-Chi è che si nasconde, William?-

Calcai volutamente il suo nome senza cedere di un millimetro.

Lo sentii prendere un respiro profondo, probabilmente per evitare di prendermi a pugni.

Poi alzò lo sguardo.

I nostri occhi si incatenarono per un lunghissimo istante.

Verde, azzurro.

Avevo voglia di mordere quelle labbra da cui sapevo poteva uscire la grazia o la sentenza di morte.

Morderle, farle mie.

Mie, mio.

Non era una discussione la nostra. Le parole che stavamo dicendo non servivano nè a me nè a lui perchè entrambi avevamo già capito molte cose, in noi e nell’altro. La cosa più difficile era ammetterlo, soprattutto a se stessi.

Nervosi, arresi, non so cosa fossimo.

Avevamo solo bisogno di un momento per spogliarci, non dei vestiti, ma di tutte le maschere messe davanti a quello che sentivamo, e che servivano proprio per non sentirlo.

Si sedette sul letto sospirando. Continuava a guardarmi.

-A 17 anni ho scoperto che quello che chiamavo padre non lo era davvero. Il tatuaggio… Rose è il cognome del mio vero padre: William... Bill Bailey è morto quel giorno. Io sono William Bruce Rose… Axl Rose- si corresse pronunciando il nome con cui l’avevo conosciuto e che aveva decretato l’inizio della sua nuova vita.

-È stata una della ragioni per cui sono andato via di casa-
 

Come per un tacito accordo, slacciai il primo bottone della camicia.


-Il mio vero padre se n’è andato quando avevo 2 o 3 anni, non ricordo nulla di lui-


Poi il secondo.


-Il mio patrigno era ossessionato, ci faceva frequentare la chiesa anche otto volte a settimana-


E il terzo.


-Mi picchiava se sgarravo, ed accadeva piuttosto spesso che lo facessi- ammise, facendomi venire voglia di sorridere nonostante la tensione fosse ancora palpabile nell’aria.

Testardo, testardo ed orgoglioso fino all’osso.


Slacciai il quarto.


-Abusava di mia sorella-



Quinto.


Lui raccontava la sua storia, io ascoltavo ed in silenzio mi spogliavo dalla vita in su: era sulla pelle che lui avrebbe letto la mia.



Basta nascondersi.

Anche se è difficile.

-Axl…-

Abbassai la testa.

Ero nuda dalla vita in su, ma la cosa più difficile da fare non era togliere i vestiti: era girarsi, dargli la schiena e lasciare che lui la vedesse.

Dargli la possibilità di pugnalarmi.

Io gli avevo fatto male, lui avrebbe potuto… avrebbe dovuto...

Si alzò in silenzio, avvicinandosi.

Aveva finito.

-È solo pelle Ellie- mormorò, appoggiando le mani alle mie guance.

-Non è vero…-

-Shh…-

Piangevo.

Non l’avevo fatto quando Vince mi aveva spogliata.

Mi posò un bacio sulla fronte, mentre i pollici raccoglievano le lacrime dal mio viso.

-Quando sei pronta-














 

Mi girai.












 

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Capitolo 30
*** Un Buon Giorno ***


Un Buon Giorno
(Sunday Morning - The Velvet Underground)










 

7 luglio 1986





5.37

La cosa che più mi aveva preoccupato da quando avevo fatto entrare Elizabeth nella nostra camera da letto, era il non aver sentito nessun rumore, urlo, strepito o pianto.

Forse si erano ammazzati ed il litigio era finito nel tempo necessario ad affondare il coltello nella pallida carne della ragazza; nella sua perchè William non si sarebbe mai fatto uccidere facilmente.

Io e gli altri eravamo rimasti in attesa di qualcosa davanti alla porta e Slash aveva provato a perfino ad origliare usando il vecchio metodo del bicchiere di vetro.

Aveva sentito solo un bisbiglio confuso, che si era spento dopo qualche minuto.

Ora erano le cinque del mattino, e continuavo ad essere preoccupato, oltre che scocciato dal fatto di aver dovuto passare l’ennesima notte sul divano.

Sospirai ed abbassai la maniglia, pronto a qualsiasi cosa.

Le persiane non erano state chiuse del tutto: dalla finestra provenivano alcuni fasci di luce del sole appena sorto. Feci qualche passo in avanti entrando in quel chiarore fresco e soffuso.

Il mio letto era vuoto, sfatto come al solito, ma appoggiati ad esso vi erano alcuni insoliti elementi: una camicia ed un reggiseno nero.


Beh, in effetti non troppo insoliti.


Bill ed Elizabeth dormivano sull’altro letto.

Mi avvicinai e mi sedetti al mio posto sospirando.

Steso sul fianco, il mio migliore amico mi dava le spalle, circondando con un braccio il corpo della ragazzina. Aveva dato rifugio al suo viso, permettendole di nasconderlo contro il suo petto.

Erano nudi dalla vita in su.

Nessuno era morto e soprattutto William stava dormendo.

Mi abbandonai contro il materasso, incrociai le braccia sopra la testa e chiusi gli occhi.


Alleluja…


Stavano solo dormendo.

Sbuffai, scocciato dalla mia inutile preoccupazione e riaprii gli occhi per guardarli ancora per un po’.

Vedere Bill così rilassato era decisamente inusuale.

Non conoscevo lei, non avevo ancora capito come avesse potuto attirare l’attenzione di lui in maniera così profonda ed ossessiva.

Quei due si erano accalappiati come gatto e topo.

Sovrappensiero aprii il cassetto del comodino di William ed iniziai a rollarmi un po’ della sua roba: avevo fatto anch’io la mia parte e quindi meritavo una ricompensa.

Un sospiro particolarmente profondo del cantante mi fece sorridere mentre accendevo la canna ed inspiravo la prima boccata.

Certo era che si assomigliavano spaventosamente: testardi, belli e dannati, con una passione smodata per le sigarette, una tendenza all’autolesionismo psicologico, problemi di famiglia ...ma di quelli chi non ne aveva tra noi?

Espirai rilassandomi.

Da quel poco che mi aveva accennato Bill inoltre entrambi sembravano abbondare di perversione…

Lasciai che le mie labbra si piegassero in un sorriso mentre allontanavo per un attimo la canna dalla bocca e contemplavo la stanza alla ricerca di qualcosa.

Avevo voglia di suonare.

-Mmh…-

Un mugolio attirò la mia attenzione e vidi le braccia della ragazzina spostarsi lungo il corpo di Axl fino a stringersi sui suoi fianchi. Un altro rumore mi fece capire che si era allontanata leggermente da lui.

Chissà se ricordava dov’era.

Continuai a fumare senza problemi.

Fece scorrere una mano fino a raggiungere il suo viso.

Alzai gli occhi al cielo: l’avrebbe svegliato a forza di carezze… ma quanto romanticismo.

Il rumore inaspettato dello schiocco delle labbra sulla pelle però mi fece ricredere e ghignai, sentendolo ripetere ancora più volte.

-Lizzie…?-

Axl non sembrava troppo assonato a giudicare dalla sua voce.

Non si schiodò da lui, nemmeno per salutarlo.

-Mmh, quello è il mio piercing…-

-Mi piace il tuo piercing-

-Mmh-

Con uno scatto fu sopra di lei. La fece aderire contro il letto e la baciò, appoggiando una mano sulla sua pancia nuda.

Erano magri e pallidi, altro punto in comune.

Oltre la tenda di capelli rossi li vidi scambiarsi un bacio che di tenero aveva ben poco: labbra mangiate, una delle mani di lei che risaliva lungo la sua schiena mentre una gamba si apriva e si accavallava a quelle di lui. La mano di Axl strinse di più la pelle e si spostò veloce a stringere uno dei suoi seni facendola lamentare a bassa voce.

Mi morsi il labbro.

Carini...

-Buongiorno Elizabeth- ghignò guardandola e scese a baciarle il petto.

-Buongiorno Axl- lei si limitò a sorridere e a tenerlo più stretto.

Buongiorno Jeff…

Cercai di trattenere una risata, ma il rosso fermò la sua lingua ed intercettò il mio curioso sguardo.

Alzò un sopracciglio in moto di disappunto e sbuffò, tornando a frapporre il suo corpo tra me e quello della sua ragazzina.

-Buongiorno Jeff- concluse.

-Jeff?- il tono stranito di lei fece finalmente esplodere la mia ilarità, mentre facevo cadere la cenere nell’apposito contenitore sul comò.

-Bella nottata ragazzi?-

-Di sicuro il risveglio sarebbe stato migliore con meno persone in camera-

-Volevo il mio letto-

-Ed io voglio la mia privacy-

-Nostra- corresse lei.

-Ti stai fumando una canna?- aggiunse curiosa sbirciandomi da oltre la spalla del rosso.

-Mi sono fatto un regalo-

Alzai le spalle, decidendo che sarebbe stato meglio per la nostra serenità che Axl scoprisse da solo e in un altro momento che gli avevo rubato l’erba. La guardai.

I suoi occhi azzurri sembravano enormi e limpidi nonostante la dormita non fosse riuscita a nascondere del tutto le tracce del pianto della sera precedente; qualche ciuffo nero si allontanava dalla sua chioma, disordinato, tracciando un’onda sottile. Ma era pur sempre una ragazza appena svegliata, all’alba: quel disordine non faceva altro che esaltare la sua naturale bellezza.

Bill aveva occhio.

-Buon per te- sorrise e poi arricciò la bocca in una smorfia.

-Axl…- lo rimproverò a bassa voce tornando a porre la sua attenzione su di lui.

-Sono innocente-

-Mi hai morso-

-Te le cerchi- iniziò a tirarsi su e a stiracchiarsi, così potei vedere il segno a corona lasciato dai suoi denti sul seno di lei.

-Elizabeth, devi sapere che Bill ha un bisogno patologico di attenzione- sghignazzai mentre lui si sedeva e mi inceneriva con un’occhiata.

Probabilmente Elizabeth era ancora troppo addormentata per rendersi conto di essere mezza nuda davanti a uno sconosciuto.

-Credo di essermene accorta- sorrise e fece aderire il petto alla schiena di lui, tenendogli le mani sulle spalle, mentre lui, da seduto faceva vagare lo sguardo nella camera.

Si sporse fino ad afferrare il suo reggiseno e glielo offrì sospirando.

-Dolcezza, cerca di non sbandierare le tue grazie in giro per il mondo-

-Le mie grazie?- rise piano e se lo sistemò addosso, disinvolta, per poi alzarsi in piedi e guardare fuori dalla finestra.

-Le tue tette-

Mio Dio, e quel mostro che aveva sulla schiena?

Inspirai. Allora il famoso incidente non era uno scherzo.

-Credo che a Jeff non dispiacciano-

La pelle sopra la scapola sembrava quasi essere stata masticata.

-Lizzie- la rimproverò.

Si girò allegra ed afferrò la camicia infilandola senza chiuderla.

-Credo andrò in bagno-

-Stai attenta a non inciampare- la avvisai.

-Ok..?- ridacchiò perplessa ed uscì dalla porta.

-Alla faccia della scottatura- sussurrai ad Axl.

-Ora capisco le paranoie… Tutto apposto?- aggiunsi.

-Parlare con lei è stato più facile di quel che mi aspettavo- ammise.

-Dovevamo solo… chiarire un po’ di cose-

-E per Neil?-

Lui alzò le spalle e sospirò aprendo il cassetto, iniziando a cercare.

-Mettiamola così: per stavolta eviterò omicidi, la prossima sono finiti. Entrambi. Soprattutto lei. E lui. No, non lo so, però omicidio plurimo mi pare una bella accusa con cui finire in carcere- specificò, ritrattando. Trattenni ancora per qualche attimo il fumo in bocca gustandone il sapore e lasciandolo uscire lento dalle labbra.

-Oppure sequestro di persona per prevenire- soppesò un opzione meno cruenta e scossi la testa arreso.

-Quanto sei possessivo… Datti una calmata- gli allungai la canna commentando e lui fece subito un tiro rilassandosi.

-Grazie fratello… Sì, sì, a questo proposito: evita di rifarti gli occhi o di intrufolarti in camera se la trovi occupata da me e lei. I porno li vendono, sai?-

-Tanto è roba tua… Sì, lo so-

Lanciò un’occhiata a me, al cassetto e alla canna e assottigliò le labbra.

-Ringrazia che sono di buon umore-

-Siete ben assortiti e potenzialmente pericolosi- lo avvisai.

Annuì.

-I muri sono caduti-

Goditela, vecchio, per quanto forte potrà essere il vostro legame, sappiamo come rischia di finire la faccenda quando si parla di uomini come noi in un mondo come il nostro.

Rimanemmo a guardarci per un lungo istante e sorrisi al capire che non aveva paura dell’intensità di quello che gli stava accadendo.

Infondo era comunque più sana di Erin.

Ci voltammo entrambi sentendo la porta della camera chiudersi e vedemmo Elizabeth guardarci con gli occhi spalancati.

-Ma questa casa è un bordello-

Trattenemmo una risata.

-Siamo i Guns N’ Roses, tesoro- Axl si alzò, camminando verso di lei e le appoggiò una mano su un fianco. Proprio non riusciva a starle lontano.

-Mi sa che dovrai farci l’abitudine- sorrise e la strinse a sè, travolgendola nell’ennesimo bacio.














--- --- --- --- --- --- 

Ok gente: con questo capitolo posso decretare conclusa la prima parte di questa storia.
Ma non disperate, vi aspettano 
ancora almeno una quindicina di capitoli ^^

Un grazie a tutti quei silenziosi lettori che seguono, ed uno in particolare a Caskett_Always, che puntuale continua a recensire :3

A presto!





 

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Capitolo 31
*** Birthday ***


Birthday
(Axl Rose Husband - Lana Del Rey)










22 settembre 1986


 

 

-Assomigli a Biancaneve.-

-Come scusa?- una risata si soffermò sulla mia bocca per qualche istante, mentre Axl, disteso sul mio letto, continuava ad osservarmi.

Sembrava non stancarsi mai.

-Biancaneve: pelle candida come la neve, capelli neri come l’ebano e labbra rosse come una rosa-

Indugiai con lo sguardo su quella che mi aveva portato a mezzanotte: un’unica rosa rosso scuro, con ancora qualche spina sul gambo. Non era avvolta da nessuna confezione, non aveva nastri addosso.

Poteva averla sgraffignata in un qualche giardino o dagli espositori di un qualche fioraio, ma non mi importava: rimaneva splendida semplicemente in quanto rosa regalatami alla mezzanotte del mio ventesimo compleanno dal mio ragazzo.

Sorrisi ed espirai, lasciando che il fumo che tenevo in bocca uscisse fuori, diretto alla finestra.

-Quello è colpa tua-

Inclinò la testa e si appoggiò con la schiena nuda al muro adiacente al letto.

-Troppi baci?-

-Tanti, mai troppi-

-Se smetti di fumare, magari…- alzò gli occhi al cielo in modo vago, allora, accigliata, mi avvicinai a lui offrendogli un tiro.

-Aiutami a finirla, principe azzurro-

Inspirò mentre la tenevo vicina alle sue labbra e mi soffiò il fumo sul viso.

-Non mi piace-

-E a me non piace Biancaneve-

-Però è un bel gioco di parole…- alzò le spalle.

-Ok, non ti seguo…- feci l’ultimo tiro e gli passai la cicca perchè la finisse.

Trattenne un sorriso sbieco mentre mi bloccavo a guardarlo, capendo finalmente a cosa riferisse gli epiteti di ‘neve bianca’.

-So che le tue intenzioni erano romantiche, ma davvero, davvero Axl, no- scoppiai a ridergli in faccia spegnando il suo entusiasmo.

-Tesoro, risparmiati queste battute la prossima volta-

-Beh, sarà il tuo soprannome ufficiale-

Sbottò gonfiando le guance offeso.

-Come se io fossi l’unico a fare battute squallide- alzò gli occhi al cielo e mi morsi le labbra, colpevole.

-Ops-

-Biancaneve, hai intenzione di venire dal tuo principe o no?-

-Non trovi che l’uso del verbo venire sia sottovalutato o improprio a volte?- tentennai rimanendo sul bordo del letto.

Mi dondolai piano sul posto, tentandolo e godendomi la sua espressione soffermarsi addosso a me, e non solo quella: era pur sempre un uomo nudo steso sul mio letto, pallido come un cadavere ma caldo come l’inferno; addominali leggermente segnati, muscoli guizzanti sotto la pelle e gli innumerevoli bracciali, capelli scompigliati dalla sottoscritta che non aveva più sistemato che nascondevano a malapena il suo viso. Un disegno di linee decise e perfette da cui emergevano delle labbra sottili e delle perle verdi e vigili che mi fissavano.

Rabbrividii di eccitazione, scottata dal suo sguardo da predatore.

Spense la sigaretta sul posacenere in un gesto leggermente scocciato distogliendo gli occhi dai miei.

-Lizzie…-

Non badai al suo rimprovero e lo provocai ancora.

-Perchè non vieni tu?-

-Piccola maniaca-

Mi tirò su di sè con forza e ridacchiai.

-Mi piace questo compleanno, Azzurro-

-Ci sono io, ovvio che ti piace-

Mi distrassi nel guardarlo ed accarezzai il viso della ragazza sul suo braccio.

-Alla fine questa chi è?-

Sbuffò.

-Una che mi piaceva… L’ex di Izzy-

Spalancai gli occhi, sorpresa.

-Scherzi?-

-Non l’ho mai toccata, neanche con un dito- allontanò le braccia intrecciandole dietro la testa ed appoggiandosi ad esse.

-Voglio troppo bene a quello scemo-

-Avete davvero un bel rapporto.. Tu, così donnaiolo che ti fai da parte per rispetto del tuo migliore amico…- Allargai il sorriso, cercando di prenderlo in giro.

-Resto sempre un donnaiolo, quindi attenta a te- ghignò al mio indirizzo.

Mi sdraiai meglio addosso a lui, lasciando che i nostri corpi nudi aderissero completamente.

-Sono in una botte di ferro-

Mi morsi il labbro sentendo che iniziava ad eccitarsi di nuovo.

-Sono decisamente troppo magnifica perchè tu possa allontanarti da me-

Leccai lenta il profilo del suo mento. Alzò la testa assecondandomi e finii a mordergli il collo.

-Manca solo un tatuaggio sexy da cattiva ragazza e poi non potrai stare a più di 2 metri dalla sottoscritta- ridacchiai, ad un respiro dalla sua pelle, smettendo di attaccarlo.

-Megalomane, adesso ti faccio vedere io come si fa-

Mi ritrovai di nuovo sotto di lui che, imitandomi, strinse i denti sulla mia spalla e poi si soffermò sul mio collo.

-Axl…-

Niente succhiotti: i succhiotti sono antiestetici e non vanno bene sul palco e sulle scollature delle ragazze.

Alzò gli occhi al cielo -Che palle…-

-Fai il bravo bambino-

-Sì, sì, tu parlami del tuo tatuaggio sexy per piacere- acconsentì con tono fintamente interessato.

Scese sul mio seno e mi allargò le gambe appoggiando le mani sulle ginocchia e spingendole con decisione.

-Magari sulla schiena-

Si abbassò, baciandomi il ventre, e scese ancora fino a lasciare un morso all’interno della mia coscia destra.

Lo guardai e lui alzò il busto leccandosi le labbra.

-Ti ho detto di smettere di parlare?-

Lo maledissi mentalmente per i suoi giochetti, ma mi arresi.

-Per nascondere quella dannata cicatrice, visto che la chirurgia esteti…-

Mi interruppi di nuovo mentre posava le labbra sopra al passaggio dell’arteria femorale e succhiava.

Trattenni un brivido e cercai di fare finta di nulla stringendo una mano sul lenzuolo.

-La chirurga... costa… chirurgia-

Smise, soddisfatto di sentire la mia voce così incerta e incapace di formulare parole concrete.

-Però…-

Soppesò la macchia rossa accarezzandola con la mano, che spostò lentamente fino a me, di nuovo.

-Però?- Mi incoraggiò, indaffarato.

-Dovrebbe… senso.. avere senso-

Inarcai leggermente il bacino andandogli incontro.

-Tipo?-

Ansimai, frustrata.

-Ma quanto cazzo ti godi a farmi.. a non… a impedirmi di dire cose con un senso?-

Sbottai più scocciata che potei mentre lui come risposta rideva, portando di nuovo le mani sui miei fianchi ed aprendosi in un’espressione allegra che contagiò anche la mia.

Non ero mai stata felice come negli ultimi tre mesi.

-Tanti auguri a te…-

Iniziò a canticchiare, scivolando piano addosso a me e continuando a guardarmi con quella sua aria da eterno complice.

-Tanti auguri a te…-

Mi prese le spalle e mi baciò il viso, iniziando ad entrare con una lentezza esasperante.

Trattenni un gemito mentre si appoggiava di più e mi stringeva forte, fortissimo.

-Sei mio…-

Lo strinsi di più, tremante.

Non era sesso, non era solo sesso questo.

Non c’erano più confini, non c’erano più muri.

Non saremmo finiti mai.




 

-Tanti auguri Biancaneve, tanti auguri… a te...-













 

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Capitolo 32
*** Vigilia ***


Vigilia
(Afraid - Motley Crue)







 

24 dicembre 1986



17.43

-Carino che tuo padre ci abbia invitato a passare il Natale da lui-

-Anche no-

Rise, cambiando marcia e fermandosi al semaforo.

-Mettiti tranquilla, tuo padre non è mio padre-

-Ma nemmeno lo conosco tuo padre!-

-E non lo conoscerai- ripartì, divertito. Neanche lui conosceva suo padre.

-Sembra tutto così ufficiale- sbuffai.

-Credevo di essere io quello a doversi fare scrupoli: mi stai per presentare ai tuoi… - guardava la strada continuando a guidare verso casa mia seguendo le mie sporadiche indicazioni.

-Qui a sinistra?- aggiunse avvistando un incrocio.

-Continua dritto… Dai, non hai un sacco di paura di loro?-

Conoscevo già la risposta: sarebbe stata negativa. Avrebbe sfoderato la sua capacità di farsi piacere dalle persone. Carisma ne aveva da vendere, gliene avanzavano a tonnellate: quelle non usate con i poliziotti di Lafayette.

Alzò un sopracciglio -Per niente- rise.

-Se poi davvero tuo padre non ti sopporta non sarà altro che felice di vederti al fianco di uno sregolato come il sottoscritto- aggiunse.

-Ti presenterai con una bustina di coca in mano per confermare la sregolatezza?-

Inclinai la testa provocandolo.

Mi aveva ammesso di sniffare ogni tanto, magari prima di salire sul palco, e di aver usato la droga per cercare di sfuggire ai periodi più bui. L’eroina l’aveva fatto vomitare e stare davvero male, quindi alle cose più pesanti aveva rinunciato, a differenza di Steven, Slash, Izzy…

Lui aveva controllo.

-Nah, non credo che apprezzerebbe- mi guardò di sfuggita.

-Tieni gli occhi sulla strada per piacere-

Voleva semplicemente guardarmi, sì, ma la mia paranoia era troppo forte.

-Sì capo- acconsentì, trattenendosi dal togliere una delle mani dal volante.

-È sono che sono uno dei cantanti con più fama di Los Angeles: potrei cercare di fare finta di essere un bravo ragazzo, ma se legge i giornali giusti gli basterà vedermi per capire in che guaio ti sei cacciata-

Sospirò tra sè e sbuffò per allontanare una ciocca di capelli dal viso, un’unica ciocca ribelle sfuggita dall’elastico che li teneva raccolti in una coda bassa.

Mi allungai piano verso di lui e gliela sistemai piano dietro all’orecchio destro.

-Ti dirò, mi sono scoperta molto amante dei guai-

-E io molto amante della tua tranquillità: da quando sto con te mi sembra di respirare aria pulita ogni giorno-

-Devo ricordarti i nostri esperimenti di ottobre?-

Sorrisi storta: sapevo che stava cercando di limitare le sue trasgressioni perchè c’ero io, ma ciò non gli impediva di essere straordinariamente sè stesso in tutto e per tutto o di coinvolgermi nelle sue strampalate idee.

Lo conoscevo sempre meglio e giorno dopo l’altro imparavo ad apprezzare sempre di più ogni sfaccettatura di ciò che era.

Egocentrico, romantico, possessivo, schivo, attento, bisognoso di affetto, perverso, gioviale, sarcastico, incazzato, esaltato, diva, bambino… tutto insieme o a momenti alterni.

Non era un santo, per niente, ma almeno non si era più fatto fermare dalla polizia.

Si morse il labbro inferiore.

-Quanto sei divertente quando sei fatta… Non sei riuscita a reggere neanche una canna-

Rise tra sè, prendendomi in giro per l’ennesima volta.

-Che poi non hai bisogno nè di quella nè dell’alcol per essere fuori come un pallone-

-Sei sempre un tesoro quando è ora di fare complimenti- alzai le sopracciglia puntando alle Malboro infilate nel vano della porta.

-Lo so, darling. Mmh, sei davvero davvero eccitante quando ti prende la libido.. da sobria-

Ridacchiò piano facendo riaffiorare l’ennesimo ricordo dalla nostra mente.

La settimana prima, al termine del loro concerto, alla loro festa, avevo bevuto talmente tanto nel backstage che una volta rientrati a casa ero crollata dal sonno completamente nuda, senza nemmeno riuscire a finire di spogliarlo.

Arrossii.

-Beh, volevo festeggiare per la notizia del contratto…-

-Anch’io avrei voluto festeggiare-

Cercai di giustificarmi mentre continuava a sghignazzare, ma mi arresi lasciandomi cullare dal suono della sua risata.

-A proposito di aria pulita… credo ti scroccherò una sigaretta-

-Apri il finestrino almeno, piccola nicotinomane-

Presi il suo pacchetto e accesi la cicca, inspirando dopo aver abbassato il vetro dell’auto.

Tornammo seri in poco tempo e mi persi di nuovo nel pensare a lui.

Era diventato così vecchio da quando era morta mamma.

Spento, annoiato… solo Natalie riusciva a farlo sorridere, ma troppo poco spesso.

Avevo paura che tornando a casa mi avrebbe contagiato di nuovo con la sua malattia di disperazione e malinconia. In me erano solo latenti ora, intimorite dal fuoco che avevano portato i Guns e dalle scosse continue datemi da Axl.

Axl mi teneva viva, Logan… mio padre mi avrebbe soffocata.

-Non ho voglia di vederlo-

Ammisi.

Volevo continuare a fare finta che non esistesse.

-Hai più paura tu di me quindi-

Constatò, ed allungò una mano per sfiorarmi la gamba.

-Non è paura… È il modo in cui mi guarda e non mi guarda. Lo so che sembra una contraddizione… Non riesce a guardarmi negli occhi, ma quando sono occupata in altro lo sento: mi squadra dall’alto in basso... ed anche se prova ad essere gentile finisce per risultare irritato, sempre. Non mi vuole lì, non so perchè ci abbia invitati-

-È pur sempre Natale, Ellie…-

La strinse, e quindi tornò ad appoggiarla al volante.

-Non sento lo spirito natalizio, e credo di non sbagliarmi nel dire che non lo senti nemmeno tu-

Sbuffò.

-Beccato-

-Appunto…-

Appoggiai il braccio al bordo del finestrino e la testa su di esso, guardando il panorama: eravamo sempre più vicini.

Odio il Natale.












--- --- ---

Ricomincia l'avventura, alè, università. 
Gli aggiornamenti proseguiranno ogni martedì, puntuale ^^
Grazie a tutti coloro che continuano a leggere e recensire :3
Alla prossima ;)




 

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Capitolo 33
*** Notte ***


Notte
(If - Pink Floyd)











24 dicembre 1986

23.17


 

Fissai il letto pieghevole aperto in camera di Annah con astio.

Separati: ovviamente i miei volevano che io e il mio ragazzo dormissimo in letti separati, in stanze diverse e l’unico posto in cui potevo passare la notte per soddisfare queste condizioni era lì, in camera con lei.

Maledizione.

Solo perchè non avevamo una camera per gli ospiti.

-Ti levi dalla porta?-

Mi scostai, lasciando che la mia sorellastra passasse.

La guardai arrivare davanti allo specchio e rimirare di sfuggita la sua immagine: capelli castani e dritti, occhi scuri, poche tette e troppo bassa.

Patetica.

Si sedette a letto sbuffando e piantò gli occhi alle mie mani, strette convulsamente sul cuscino che tenevo tra le braccia.

-Avrei dovuto fare la psichiatra- commentò sottovoce, togliendosi le scarpe in modo svogliato.

Certo Annah, fai come se non avessi le orecchie.

Dopotutto amo l’odio che c’è tra noi, perchè non alimentarlo ulteriormente?

-Tranquilla, sei talmente fragile che saresti ammattita prima di laurearti-

Prendi il coltello dal manico e pugnalala tu, prima che lo faccia lei.

Riferimenti al fatto che anche lei aveva avuto dei piccoli problemi quando i suoi avevano divorziato?

Io? Suvvia!

Sono una brava bambina.

Trattenne una smorfia e si alzò.

-Aiutami con la zip, dai-

Mi avvicinai e dopo aver abbandonato il cuscino le scostai i capelli dalla schiena: pur essendo corti avrei rischiato di intrappolarli nel cursore. Non ero così cattiva.

Iniziai a far scorrere la zip, portandola dal collo fino alla vita.

-Fatto-

-Grazie Lizzie-

-Elizabeth, hai preso tu il mio asciugamano?-

Ci voltammo entrambe al sentire Axl.

Stava davanti alla porta, girato in modo da non guardare nella stanza.

-È nella valigia nella mia camera Will-

Mi sbirciò, incuriosito dal tono sostenuto della mia voce.

-Sotto la tua roba?-

Annuii -Quello bianco-

Aveva la camicia slacciata a metà.

-Il tuo ragazzo cerca di fare il guardone a quanto pare-

Commentò mia sorella, accennando alla sua schiena scoperta.

Uh, invidia, vero Annah?

-In realtà ne ho viste abbastanza di donne nude, non mi serve allungare la vista-

-Sarà meglio-

Mi lasciai sfuggire mentre lui intercettava lo sguardo di Annah.

-E tu invece?-

Sfoderò una delle sue migliori espressioni da palcoscenico, sfiorando casualmente con la mano il petto nudo. Sapeva benissimo come fare a provocare qualsiasi essere vivente che posasse lo sguardo su di lui, specialmente se donna.

-Io? Sono affari miei-

Spostò il suo cuscino cercando la camicia da notte, scocciata.

Sorrisi ad Axl e lui mi fece l’occhiolino tornando nella stanza accanto.

Perchè, perchè?

-In effetti...  il tuo ragazzo dov’è Annah?-

-Almeno non mi faccio un drogato come quello-

Tolse con noncuranza il vestito mentre mi giravo e la guardavo con sufficienza.

-La mia compagna di stanza è andata a qualche loro concerto- alzò le spalle.

-Axl non ha problemi di droga- sbottai sottovoce.

Alzò lo sguardo fino ai miei occhi storcendo la bocca in un’espressione divertita.

-Va bene, va bene, piccola Elizabeth, come vuoi tu-

Strinsi i denti ed iniziai a svestirmi.

Prima degli stretti pantaloni neri, poi dei gambaletti che avevo usato al posto delle calze per far si che il mio paio di tacchi s’infilasse ai miei piedi senza problemi.

Sospirai, facendo finta di essere sola, e tolsi anche il maglione rosso bordeaux e la maglietta sotto di esso.

-Hai continuato ad usare la crema che ti hanno dato al reparto?-

Ecco, mi stava guardando.

Anzi, non guardava me: stava guardando la cicatrice, la mia orrenda cicatrice.

Afferrai la maglia del pigiama e la indossai in fretta.

-Elizabeth?-

Era frustrante.

-Sorellina?-

Il suo tono sarcastico mi fece alzare lo sguardo.

-La crema favorire la cicatrizzazione, hai continuato ad usarla?-

-Che te ne può fregare, mi chiedo…-

Misi addosso i pantaloni di una vecchia tuta e li allacciai per evitare che mi cadessero.

-Curiosità professionale-

Mi morsi il labbro, cedendo al nervosismo.

-Cara dottoressa-

Puntai gli occhi nei suoi, cercando di toglierle dalla testa la sua stupida voglia di fare la attaccabrighe.

-Sì, l’ho usata, e come nove volte su dieci succede con le vostre indicazioni mediche, non ha avuto un cazzo di effetto-

A guardare il suo viso, così insulso, mi veniva voglia di lasciare la stanza.

Il suo modo di fare ed i continui accenni ai miei problemi invece mi tentavano a prendere napalm ed accendino. Sì, anche se il fuoco mi faceva paura.

-Buonanotte-

Conclusi e le diedi le spalle, nascondendomi sotto le coperte.












 


Rimasi immobile per un attimo, senza sapere niente.

Dov’ero?

Dov’erano?

Il fumo? Il caldo?

 


...Mamma?

 

Strinsi le labbra in una smorfia ed incollai le palpebre tra loro, cercando di appigliarmi al buio che vedevo e all’inconsapevolezza che mi stava scivolando di dosso, scoprendomi, come un’onda ritrattasi dalla riva.

Dovevo davvero aprire gli occhi?



 

Lo feci, con ancora addosso il terrore di vedere il suo corpo straziato incastrato tra lamiera ad airbag.

Il nero venne sostituito da un’oscurità quasi totale: nonostante Annah avesse chiuso tutto prima di mettersi a letto, sulle pareti ed addosso al mobilio era riflessa una strana luce rossiccia.

Proveniva dalle cifre luminose della sveglia sul comodino.

Strizzai gli occhi cercando di metterle a fuoco.

2.19

 

Un brivido mi percorse dalla testa ai piedi mentre il mio cuore continuava a battere all’impazzata, memore di ciò che avevo appena rivisto nell’ennesimo incubo.

Essere svegli non bastava mai a dimenticare.

Essere svegli era solo peggio perchè oltre alle sensazioni rivissute nel sogno sopraggiungeva tutto il resto: la realtà delle cose, il modo in cui fatti si erano evoluti dopo l’incidente, il dolore fisico e quello dentro di me, ancora presente, ancora latente.

Animale che mi illudevo di riuscire a tenere al guinzaglio e che mi si rivoltava contro, ferendomi a sangue e rubando dei pezzetti di me.

Non tutto subito, ma un frammento alla volta…

Mi ero ritrovata vuota senza neanche essermene accorta.

 

Mi misi seduta, cercando di trattenere il tremito delle mani.

Le strinsi a pugno e mi alzai, sperando che le gambe mi avrebbero sostenuto.

 

Camera di Annah, il letto di fortuna...

Giusto, non ero a casa mia: questa era la casa vecchia e mi ci ero persa, di nuovo.

Il solo varcare la porta d’ingresso e venire a contatto con le persone che avevano fatto parte di quella fetta di passato che non volevo riportare alla mente aveva fatto aizzare quell’animale nascosto nel profondo di me ed ora non sapevo come farlo assopire di nuovo.

 


Ma un po’ di Casa c’era con me.

Un po’ della Mia Casa.

 

Axl.

 

Camminai a tentoni, cercando di arrivare al corridoio senza svegliare la rompicoglioni.

Avevano lasciato il balcone aperto lì: oltrepassata la soglia della camera di Annah, mi immersi nella sottile luce bianca del lampione che filtrava attraverso la tenda.

Era abbastanza per vederci, ma tutto sembrava tremendamente sfocato.

Quante dannate volte avevo camminato percorrendo proprio quegli stessi passi?

Arrancando, trascinandomi da una stanza all’altra, nascondendomi dagli altri, saltando scuola, coprendo le foto, cercando di sparire dalla vita di tutti, come avevo fatto sparire Lei.

Alla fine ce l’avevo fatta: ero sparita andandomene.

Tenni una mano sulla parete, cercando di non cadere, e raggiunsi la porta della mia camera.

Tentennai.

Papà si sarebbe arrabbiato.

Natalie si sarebbe arrabbiata.

...ma lì c’era la Mia Casa.

Abbassai la maniglia e spinsi, mi infilai nel sottile pertugio che avevo aperto e richiusi il battente dietro di me.

-Axl?-

Sussurrai.





 

I pochi attimi di silenzio mi riempirono di panico.

 




Che anno era?

83? 85? 86?

 



E se fosse stato tutto un sogno? Un sogno lungo mesi?

 



-Axl, sei qui…?-

 



Parlai per non soffocare nella paura ed avanzai lentamente fino a raggiungere il letto.

Accesi la lampada sul comò lì affianco, accostandomi alla luce come se la sua presenza potesse cancellare il buio che avevo sentito dentro.

-Mh…-

Rosso.

Era lì. Esisteva.

Allora a Los Angeles c’ero arrivata davvero.

Spostò il braccio in modo che gli coprisse gli occhi, infastidito.

Passai una mano sul mio viso, accorgendomi solo allora che era umido.

Non ricordavo lacrime.

Spostai la coperta, mi infilai al suo fianco e spensi la luce, in modo che la notte ci avvolgesse di nuovo. Non era di quella che avevo paura: lì c’erano la luna e le stelle, ma dentro… dentro di me ondeggiava, disordinato, un mare di inchiostro nero come pece, assoluto, senza luce. Ed ora, gonfio e in tempesta, rischiava di farmi annegare.

Mi rannicchiai addosso a lui, cercando di farmi piccola, piccola.

Volevo cancellarmi.

 




Presi un respiro più profondo.

Le notti erano eternamente difficili per entrambi.

Mi girai e guardandola feci scorrere una mano sul suo corpo. Era talmente familiare ormai: i fianchi, le spalle, il viso... bagnato?

Raggiunsi i suoi occhi, chiusi ermeticamente nei confronti del mondo.

-Ero appena riuscito ad addormentarmi…-

Sussurrai, spostandole i capelli dal viso.

-Scusami-

Era bella anche quando piangeva.

-Sh… sai che sono solo sogni, siamo degli esperti, ad affrontarli...-

La strinsi a me con complicità.

Le parole non servivano a niente quando gli incubi ti facevano gelare il sangue nelle vene, il più delle volte bastava sapere che non eravamo lasciati da soli ad affrontarli.

Si lasciò scappare solo un sottile singhiozzo.

-Stare qui… Non riesco a dimenticarlo…-

Io non volevo tornare a Lafayette mentre lei aveva avuto il fegato di mettere piede nella sua vecchia casa, ed ora ne pagava il pegno. È pericoloso tornare in luoghi così impregnati ricordi.

Sapevo che lì, proprio sul letto su cui eravamo distesi in quel momento, aveva provato a dormire, notte dopo notte, per troppo tempo, continuamente sfidata e derisa dai suoi mostri.

Ossessionata dai sensi di colpa.

Lì, nello stesso letto in cui probabilmente sua madre era venuta mille volte a darle il bacio della buonanotte.

-L’ho uccisa-

-Non sei un’assassina-

Io non avevo mai avuto nulla del genere.

Provavo invidia, a volte, poi ripensavo a come quell’amore le fosse stato strappato via.

Era meglio conoscerlo ed esserne privati o non conoscerlo affatto..?

Appoggiai la fronte alla sua e le baciai la punta del naso.

-Non volevo farlo…-

-Biancaneve, proviamo a dormire-

Le accarezzai il viso.

-Siamo più forti dei nostri incubi…- bisbigliai piano.

-...e non siamo soli- aggiunsi.

Nascose il viso sul mio petto stringendo le mani sulla mia pelle fin quasi a farmi male.

Continuai ad accarezzarla finchè fui certo che stesse dormendo.

Mi fermai nel sentire il suo respiro diventare più profondo e la presa delle sue dita allentarsi.

Diamine se era bella.

Indugiai per un attimo di troppo sulla sua schiena, fino ad arrivare alle curve dei suoi glutei.

Mi schiaffai una mano sul viso prima di lasciarmi trasportare dall’istinto e trasformare la dolcezza in frenesia: come potevo anche in quel momento pensare a farla mia?

Voltai il viso verso l’alto, rimanendo a pancia in su a guardare il soffitto e pensare.

Fare l’amore per noi due era confortare corpi ed anime, per quello la volevo.

Anch’io non stavo bene.

E lei era rifugio sicuro.

Lei: bollente fuoco vivo per me e neve indifferente verso il resto del mondo.

-Elizabeth?-

Mi morsi il labbro affondando le mani su di lei per stringerla ed infilai il naso tra i suoi capelli, cercando di soffocare i miei pensieri nel suo profumo prima che prendessero forma nella mia mente.

-Mmh-

Mugolò e mi si addossò di più, in un’abitudine costruita durante le numerose notti in cui avevamo dormito assieme.



 

Troppo tardi.



 

-Non riesco a chiudere gli occhi-

 



Serrai la bocca mentre questi si aprivano a fissare il vuoto.

Improvvisamente mi trovavo paralizzato, come se l’agitazione di Elizabeth mi si fosse gettata addosso, nutrita dalla mia insonnia, dai pensieri sul Natale, sulla famiglia.

Mia madre.

Dov’era lei?

Mio padre?

...Io ce l’avevo un padre, vero?

William Rose, non Stephen Bailey.

Rabbrividii mettendomi a sedere.

Era la notte di Natale, ed io non avevo una famiglia.

Il pranzo insieme, pesante; i regali la mattina, che fosse Natale o compleanno, rimanevano una bella favoletta per bambini, anche se Amy e Stuart erano stati sempre trattati un pochino meglio del sottoscritto.

 

Dovevo chiamare a casa.

 

Per quanto detestassi quel posto volevo comunque bene a quelle due pesti e a mia madre.

 

Chissà perchè non aveva mai fatto nulla.

 

Un movimento alle mie spalle mi disse che Elizabeth non stava più dormendo.

 

Forse avrei dovuto denunciare anch’io qualcosa, testimoniare contro Stephen.

 

-William…-

Chiusi gli occhi mentre sentivo il mio petto squarciarsi al suono del mio stesso nome.

 

Impedire che le mie ragazze fossero trattate così.

 

-Tesoro, vieni qui…-

Mi prese un braccio, cercando di farmi stendere, ma ero un blocchetto di ghiaccio, congelato dal casino nella mia testa.

Si alzò piano, fino a baciarmi il viso.

Avevo desiderato per tutta la vita che mia madre mi parlasse in quel modo.

Elizabeth non era lei, ma mi dava pace, mi permetteva di illudermi, credendo di essere capace di provare affetto, protezione, amore che andavano oltre a quelli tra noi, semplici amanti.

Provarli ed essere ricambiato.

-William, non piangere-

Abbandonai la testa sulla sua spalla nascondendomi.

-È la mia canzone quella-

Borbottai sottovoce, fingendo un po’ di risentimento.

-Stanotte provo a cantartela io-

Alzai gli occhi, incrociando i suoi, stanchi.

-Che casino quando non si capisce chi di noi abbia più bisogno di essere consolato- affermai sconsolato, vedendo in quegli specchi azzurri ancora le tracce del pianto appena concluso.

Si limitò ad avvicinare il viso e baciarmi la fronte.

Sfiorai con le labbra la sua pelle chiara, passando dalla guancia al mento, dal mento al collo.

Lì mi fermai un attimo in più, concedendomi il tempo per riuscire a sentire il suo battito vitale.

-Posso piangere un po’, lo stesso?- sussurrai, decidendomi a lasciarmi sopraffare ed affidarmi completamente alla sua cura. Avrei lasciato scorrere via la dannata malinconia che mi aveva preso senza cancellarla o tenerla in sospeso.

Percepii la sua bocca piegarsi in un flebile sorriso.

-Solo se poi stai meglio-

Le afferrai una mano portandola sulla mia guancia e ci appoggiai la testa chiudendo gli occhi.

La mossi piano su e giù come animale in cerca di coccole.

-Miao-

Scherzò, facendo passare l’altra sui miei capelli con dolcezza.

-Miao- conclusi a bassa voce.

Mi accoccolai vicino al suo petto tenendo la sua mano ancora stretta nella mia.

Avevamo abbattuto i muri ed ora il suo fuoco arrivava con tutta l’intensità che era capace di dare senza che io lo ostacolassi. Però non mi feriva: mi scaldava con lieve tepore risanandomi l’anima.

Ci avevo scherzato, la prima volta che l’avevo vista.

Le avevo detto che si sarebbe bruciata, invece ci eravamo sciolti entrambi.










 

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Capitolo 34
*** Grave ***


Grave
(Song or Suicide - HIM)










25 dicembre 1986




14.47

-Tu non vieni Elizabeth?-

Spalancò gli occhi, sorpresa dalla mia domanda e scosse in fretta la testa -No-

Si sentiva ancora in colpa, talmente tanto da non voler nemmeno mettere piede nel cimitero dove era stata sepolta sua madre.

-Va bene- mi avvicinai e le baciai la fronte.

-Ti aspetto qui, o in camera.. sì, credo mi rifugerò in camera- sussurrò, tesa.

-Faremo in fretta-

Nel suo sguardo riuscii a leggere tutta la voglia che aveva di fuggire da quel posto.

Era vero quello che mi aveva detto: suo padre non riusciva a guardarla se non quando lei era occupata in altro e i suoi deboli tentativi di comunicare con lei non facevano altro che spaventarla e farla ritirare ancora di più in sè stessa.

-A dopo- conclusi mentre lei annuiva e seguii suo padre fuori dalla porta.

Arrivammo al cimitero dopo una passeggiata di una decina di minuti in cui a fare da padrone era stato il rumore delle nostre scarpe contro l’asfalto.

Logan Moore si trascinava sul marciapiede, avvolto in una giacca scura, con la schiena leggermente ricurva sotto il peso che Elizabeth mi aveva fatto conoscere.

Nella mia lettura affrettata, lo ammetto, potevo però rischiare di confondere la fatica per sopportare la storia alle sue spalle con il tentativo di proteggere contro il suo petto il sottile fiore bianco che aveva tra le mani.

Togliendo quell’insolito particolare, rimaneva anonimo.

Se ci fosse stato qualcun altro oltre a noi, avrei seriamente rischiato di perderlo di vista tra gli altri uomini di mezza età: tutti uguali, dai colori tenui e senza alcun segno di fantasia o libertà.

Però mi piacevano i suoi capelli. Anche se qualche sottile filo bianco spiccava tra il resto, il corvino della sua capigliatura era lo stesso colore di Elizabeth. Ma non era da lui che aveva preso il modo in cui le ciocche le si arricciavano sulla schiena creando un magnifico mare: i capelli di Logan erano indubbiamente dritti.

Chissà come era stata Lei.

Per quanto mi sembrasse un sentimento poco adatto alla situazione non potevo fare a meno di essere curioso. Dannatamente curioso.

In casa loro, nelle stanze in cui ero stato, non avevo trovato nessuna foto della donna ed ero riuscito a dare un’occhiata solo a qualche immagine raffigurante le bambine nei loro primi anni e la nuova famiglia.

Avevo letto un sacco di tristezza negli occhi di quell’Elizabeth di quasi diciott’anni che fissava l’obbiettivo, tentando di nascondersi nella sua giacca invernale e di sfuggire all’apprensione della sua madre adottiva, all’imporsi della sorellastra, all’indifferenza di suo padre.

Varcando la soglia del cimitero mi ritrovai a tracciarmi addosso un impacciato segno della croce.

Storsi la bocca: credere? Avere la speranza che ci fosse qualcosa di più oltre a questo schifoso mondo?

Sì, ero convinto che esistesse qualcosa di più, qualcosa che andava oltre la logica e ci guidava verso il nostro destino, ma la religione…

Elizabeth non era la sola ad avere dei fantasmi, e quello della cinghia di mio padre sulla schiena mi aveva appena teso un agguato inaspettato.

Stephen era riuscito a rovinare anche la mia fede.

Ignorai l’impulso che mi diceva di toccare la zona lesa come avevo fatto innumerevoli volte: tutto pur di non fargli capire che stavo soffrendo enormemente e mantenere intatta la mia dignità.

Il dolore fisico era una passeggiata, la mente no.

Dopo qualche passo sul ghiaino Logan si fermò.

-Eccoci-

Affilai lo sguardo, squadrando la semplice tomba in granito chiaro.


Hazel Walker

29 giugno 1944 - 3 luglio 1983

Madre sempre amata


39 anni appena compiuti.

Porca vacca.

Dannatamente giovane.

Realizzai in quel momento che avessimo continuato così, noi Guns N’ Roses non saremmo arrivati a quell’età. Ed eravamo solamente all’inizio di una possibile carriera...

-Non era mai stata una ragazza difficile prima.

Sai, aveva il suo gruppo di amici, era senza preoccupazioni-

Interruppe i miei pensieri e strappò con accuratezza i fiori ormai secchi, lasciando nel vaso i più belli.

-Poi si è accorta che si può anche morire-

Infilò il giglio bianco in mezzo al mazzo e si tirò in piedi.

-Ha passato un bel po’ di tempo in ospedale, per la scottatura ed un paio di costole rotte-

Scottatura, come se stessimo parlando di troppo sole.

Mi chinai, avvicinandomi alla foto. Ci passai un pollice in modo da ripulire il vetro dal sottile strato di polvere.

Hazel.

-Poi ha iniziato a fumare, e invece di farsi aiutare ha rifiutato tutti-

-Fino a che non si è trasferita a Los Angeles- conclusi.

Sentii il suo sguardo perforarmi la testa ma decisi di ignorarlo: aveva trovato di meglio stando lontana da loro, era riuscita ad essere felice da sola, quindi meglio per lei.

Se noi, Guns e Adriana, eravamo stati migliori di suo padre, lui poteva dare la colpa solo a sè stesso.

-Le assomiglia spaventosamente-

Eccole: onde castane ai lati del viso e stesse piccole fossette sulle guance nel sorridere.

-So cosa pensi di me, probabilmente mi detesti per come la tratto-

Continuai a guardare l’immagine.

Sì, mi faceva abbastanza schifo.

-La amo con tutto me stesso, ma anche se ci provo non riesco quasi a guardarla in faccia da quando è uscita dall’ospedale. Rivedere in lei sua madre ogni giorno è un’illusione che spezza il cuore-

Trattenni un sospiro più profondo.

Se io avessi perso il mio amore probabilmente non avrei saputo fare di meglio, anzi.

-L’ho lasciata andare- ammise.

-L’ha perdonata?-

-Non c’è nulla da perdonare-

Mi rialzai, sorpreso dalla tono della sua voce, improvvisamente cambiato in pura convinzione.

-Elizabeth è mia figlia-













--- ---- --- -- --- -- --- --- --- 

Sì, mi sento particolarmente volenterosa oggi, quindi aggiorno prima ^^
Grazie a chi continua a recensire e a seguire la storia: siete meravigliosi :3

A Natale siamo tutti più buoni, si dice; che succederà con l'arrivo del nuovo anno?

A presto ;)




 

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Capitolo 35
*** Intermezzo ***


- Intermezzo -








-A cosa pensi?-

-A niente, ti capita mai?-

-Sì-

-È proprio Niente? Con la N maiuscola?-

-Perchè secondo te esiste davvero Elizabeth?-

Alzai la mano verso il soffitto, provando a stringere tra le dita l’aria inconsistente.

-No, probabilmente non esiste il Niente, c’è sempre Qualcosa-

-Voglio comprare un pianoforte-

Sorrisi e girai la testa per guardarlo.

Aveva le braccia incrociate sotto la nuca e, steso, guardava verso l’alto.

I miei piedi, coperti da un paio di calzini chiari erano incastrati tra il suo petto e lo schienale del divano, i suoi pendevano oltre il bordo dei cuscini. Riportai la mano sul suo polpaccio, solleticandolo piano con le unghie.

-Ah sì?-

-Ho una voglia di suonare che nemmeno ti immagini-

Chiuse per un attimo gli occhi e si alzò di scatto.

-Dove nascondi la carta in questa casa?-

-Scrivania in camera-

Mi misi a pancia in giù, seguendolo con lo sguardo e soffermandomi sulle sue gambe, fasciate dai jeans, prima che sparissero, nascoste dal muro del corridoio.

-Non c’è niente qui- si lamentò con urgenza.

-Cassetti?-

Inclinai la testa, in ascolto: scorrere delle ruote sulla corsia, fruscio e chiusura.

Ticchettio di plastica.

Legno che cadeva per terra, sottile, e uno sbuffo, il tutto accompagnato dal coro delle gocce di pioggia che cadevano fuori dal nostro nido.

Sorrisi.

Che bella la pioggia.

Il grattare dei piedi della sedia sul pavimento.

-Lizzie, ma una penna che funzioni mai, vero?-

Trattenni una risata.

-E una matita con la punta?-

Un tonfo più disordinato.

Probabilmente aveva rovesciato l’intero portapenne sulla scrivania.

-Finalmente! Dolcezza, sei patologica-

Silenzio.

Appoggiai la fronte al bracciolo del divano chiudendo gli occhi e continuai a rilassarmi, come prima che si alzasse. Sospirai, cercando di cogliere il rumore della penna sul foglio ed allungai una mano verso il tavolino prendendo il pacco delle sue Malboro Rosse.

Il mio amore iperattivo stava scrivendo una canzone in camera mia.

Aveva talmente tanta fretta da non tornare in sala, oppure era solo bisogno di privacy.

Mi misi seduta ed incrociai le gambe sul cuscino mentre stiracchiavo le braccia verso l’alto.

Sbadigliando mi sporsi per afferrare lo zippo, quindi sfilai una sigaretta dalla confezione quasi vuota e la accesi.

Ne rimanevano tre dentro.

Fumavamo così tanto?

Inspirai prestando ascolto al sottile crepitio del tabacco bruciato e chiusi gli occhi.

Le sue sigarette.

Un piccolo piacere che mi concedevo quando capitava.

Non avevamo ancora abbastanza soldi per un pianoforte, ma probabilmente con il successo crescente dei Guns avrebbe avuto presto l’occasione di prenderne uno tutto suo.

Il pensiero che sarebbe stato il suo primo acquisto mi faceva sorridere come una deficiente, però mi tornava in mente anche il pianoforte che ci aveva fatto conoscere.

Quel vecchio pianoforte al locale.

Chissà come aveva fatto a capitare proprio lì Axl quella sera, a suonare e dare il colpo di grazia al mio cuore.

-Anch’io ho voglia di sentirti suonare- dissi ad occhi chiusi.

-Ma non hai neanche un minimo strumento musicale in questa casa. Sei una persona triste-

Spalancai le palpebre sentendolo troppo vicino. Alzai il viso ed era lì: i suoi capelli mi solleticavano la pelle e le spalle. Si chinò ancora di più fino a baciarmi.

Un bacio storto, a testa in giù, ma non meno bello degli altri.

Sorrise accarezzandomi una guancia.

-Smettila di rubarmi le sigarette-

Mi morse leggero un orecchio ed immerse una mano oltre la scollatura della mia maglia, appoggiandola alla mia pelle.

Era meraviglioso stare così, pelle contro pelle.

-Mi spiace, non credo lo farò-

La fece scorrere tra i miei seni e quindi fino al collo e sulle spalle.

-Sono le tue sigarette-

Specificai mentre abbozzava un massaggio sulla mia schiena rovinata.

-È quasi come respirare un po’ di te, o ricordare che sapore hai-

-Sai cosa sarà divertente, in studio?-

Si fermò, appoggiando i gomiti allo schienale e dovetti girarmi di lato per guardarlo.

-Che volente o nolente, per quanto le abbia scritte in momenti diversi, non potrò fare a meno di pensare almeno un pochino a te cantando.-

Affilò lo sguardo sulla mia figura mentre soffocavo un sorriso.

-Ah si? Anche con Michelle? O Sweet Child?-

Scavalcò il divano e tornò a sedersi vicino a me.

-Un pochino penso a te comunque, sciocchina-

Mi avvicinai di più fino a sedermi in braccio a lui.

-Che tesoro-

Gli scoccai un bacio sulla guancia.

-Pensi un pochino a me oltre che alle tue ex. Dolce, davvero-

Ridacchiai prendendolo in giro.

Incrociò le braccia al petto facendo l’offeso e mi feci avanti per spostare i ciuffi che nascondevano anche se di poco la sua espressione corrucciata.

-Se ho successo con le donne mica dobbiamo farne un dramma-

-Guarda che anch’io sono possessiva-

Inclinai la testa, appoggiai la cicca al posacenere e montai a cavalcioni su di lui.

-Perchè sei mio-

Non c’era dolcezza nelle parole che stavo dicendo.

Erano dati di fatto.

-Sei mio e basta-

E lui dimostrava di averlo capito arricciando il labbro in un’espressione sfrontata quasi quanto la mia e guardandomi dritta in viso.

Posai le mani sulle sue braccia, sciogliendo il loro intreccio lentamente e mi avvicinai affondando il viso nell’incavo del suo collo.

Il rombo di un tuono gli fece stringere le mani su di me e ridere.

-Strega-

Leccai la pelle per rispondere al nomignolo.

-Hai idea del nome della canzone che stavo suonando la prima volta che mi hai sentito e che mi è tornata in mente oggi?-

-No-

Continuai a tormentarlo, mordicchiandolo sul collo.

-November Rain-

-Però non è novembre-

-Ma piove-

Sorrisi addosso a lui e posai un bacio sulla sua pelle.

Se non fosse stato così freddo e non fossi stata così comoda addosso a lui gli avrei chiesto di spostarci in terrazza per farci avvolgere ancora di più da quel tempo.

-November Rain- soppesai le due parole ripetendole sottovoce.

-E di che parla?-

-Ancora non ne sono sicuro-

Si appoggiò di più allo schienale e prese ad accarezzarmi la schiena ed i capelli con dolcezza.

-Me la canti?-

-Non ora, ma ti prometto che lo farò-

-Non so se sperare nel presto o nel tardi- confessai, trepidante di conoscere le parole scritte su quel pezzo di carta che sporgeva di un sottile tratto dalla tasca anteriore dei suoi pantaloni, la melodia della sua voce, il piano che l’avrebbe accompagnata.

Presto avrebbe voluto dire conoscerle subito; tardi che saremmo rimasti insieme ancora a lungo.

Chissà.

Ma non volevo pensare al futuro.

C’eravamo solo noi ed il presente.

-Diamo tempo al tempo, Elizabeth. Adesso non abbiamo fretta-

Noi e adesso.












--- --- --- --- ---

Sì, avrei dovuto aggiornare martedì prossimo, ma il capitolo era pronto quindi...
Un grazie a tutti quelli che seguono, in particolare a Tetide e Caskett_Always che continuano a recensire :3
Alla prossima settimana.
Anita


 

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Capitolo 36
*** Imprevisto ***


Imprevisto








3 febbraio 1987



-Annah?-

-Ho bisogno di un favore-

-Da me?-

-Sono fuori dalla tua libreria-

-Eh, grazie tante, io sono a casa e non ho intenzione di venire a prenderti-

-Dammi il tuo indirizzo allora, idiota-

Risposi, sperando quasi che si perdesse tra i palazzi prima di trovare il mio, e riattaccai.

Che diamine voleva ora quella?




 

-E quella maglietta è tua?-

Fissai per un attimo la stampa di Mickey Mouse sulla stoffa ed incrociai le braccia davanti ad essa, come per proteggerla.

-È di Axl-

-Stiamo messi bene, stiamo-

Sbuffò, entrando senza chiedere il permesso e chiudendo la porta alle proprie spalle.

-Dimmi che non è qui-

-È a registrare, i Guns manderanno fuori un album quest’anno, se tutto va come deve andare-

Sospirai.

Era via da un bel po’ ormai, mi mancava, ma lui e i ragazzi stavano lavorando.

Quindi bisognava avere pazienza.

-Buon per loro-

Si guardò attorno con sufficienza e andò in sala, sedendosi sul divano.

-Devi giurarmi che non dirai a nessuno quello che ti sto per dire. Devi giurarmelo-

Sibilò, abbassandosi.

La seguii lentamente, cercando di comprendere di che cosa avesse bisogno e mi sorpresi nel provare preoccupazione vedendo in lei i segni di qualcosa che non andava.

-Annah?-

-Giuralo!-

Aveva abbassato la testa e incrociato le dita in una morsa.

Le stringeva, le une tra le altre, strette, e le sue unghie erano ridotte al minimo di lunghezza che avevo mai visto.

Sapevo che aveva il tic di mangiucchiarle per il nervosismo, ma mai così.

Mai così.

-Lo giuro…-

Separò le mani e le portò ai capelli in un gesto di disperazione.

-Lizzie, sono nella merda-











-- -- -- -- --


Lo so, non c'è una canzone, ma va bene così.
Inizia una nuova parte della storia.
A presto ;)





 

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Capitolo 37
*** Distanza ***


Distanza
(Happy Birthday Mr. President - Marilyn Monroe)









6 febbraio 1987


 

-Tanti auguri a te, tanti auguri a te-

Cercai di modulare al meglio la mia voce.

I compleanni non gli piacevano eccessivamente, ma volevo pensarlo sorridente nonostante ci fossero troppi chilometri tra di noi.

-Tanti auguri, caro Axl, tanti auguri a te- conclusi la canzoncina sedendomi sulla panca in corridoio.

-Ciao dolcezza-

Sì, sorrideva.

-Ciao Tesoro, come si sta a venticinque anni?-

-Non diversamente dai ventiquattro, ti dirò-

-Sei vecchio- lo presi in giro lasciando che il mio sguardo vagasse nell’ingresso e poi si posasse alla mia sinistra.

-E me la faccio con una bimba come te-

-Sono una bimba bellissima-

Accarezzai lieve la cornice del suo regalo di compleanno, ancora da impacchettare.

Era una baggianata, molto clichè, però magari gli sarebbe piaciuto.

-Non vedo l’ora di vederti-

-Sì, a questo proposito…-

Presi un bel respiro preparandomi. Non l’avrebbe presa bene.

Infondo però non potevo fare nulla: Annah era già quasi oltre il massimo limite per quello che voleva fare.

Rabbrividii: per quanto comprendessi la sua logica, la sola idea continuava ad impressionarmi.

-Dimmi-

Mi morsi il labbro.

-Farò di tutto per esserci la prossima settimana, ma non credo che Carlo mi concederà ancora ore-

-Abbiamo quasi finito Elizabeth, è da troppo tempo che non ti vedo-

-Mi dispiace-

Stavo davvero coprendo Annah?

Tanto non sarei riuscita a convincerla a tenere il bambino. Sarebbe stato inutile…

-Devo tornare dentro-

-Non mi piace quando prendi le distanze-

-È da un mese che mi ripeti che verrai qui, ma prima è per non distrarmi, poi è perchè lavori. Porca puttana, è il mio compleanno, non posso passarlo con te e mi vieni a dire che non ti farai viva? Ancora?-

-Scusami-

-Lasciamo stare-

Trattenne malapena uno sbuffo.

-Axl, posso fare qualcosa..?-

-Essere qui-

Categorico.

-Faccio quello che posso…-

-Sì, sì, buona giornata, ok?-

Chiuse la comunicazione.

Una parabola, anzi, un pendolo.

Appoggiai la cornetta al suo posto e mi chinai, inginocchiandomi sul pavimento e guardando la nostra foto.

L’aveva fatta uno dei Guns mentre eravamo distratti ed ero riuscita miracolosamente ad impadronirmi del rullino.

Non eravamo in posa, nè particolarmente acconciati bene, ma non era per quello che l’avevo scelta.

Lui era semplicemente seduto per terra nel salotto della Hell House, la sua schiena appoggiata al divano; di me si vedevano i capelli, riversi verso il basso contro la sua spalla destra e un accenno appena del viso, ma eravamo collegati.

I suoi occhi non guardavano l’obbiettivo, ma me.

Brillanti, complici.

Guardavano me anche se i miei erano chiusi.

Non avevo parole per esprimere cosa significava.

Guardava me.



 

Sospirai, lasciandomi sedere per terra e stringendola tra le mani.

Potevo ancora scegliere.

Annah? Axl?

Ma c’erano in ballo cose importanti su entrambi i fronti…

Axl avrebbe capito.


Vero?
 

Vero?





 

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Capitolo 38
*** Incrinature ***


Incrinature








 

9 febbraio 1987

 

-Adriana, non posso venire allo studio-

-Come mai?-

-Lavoro, e… un problema con Annah-

-Non centrerà mica la discussione di qualche giorno fa? Non è che per quella scaramuccia non vuoi più vederlo, vero?-

-Sei matta? Venire lì sarebbe l’unico modo per risolvere le cose se il problema fosse quello… No, devo accompagnarla in ospedale-

-E non può andarci con mammina o con i suoi magnifici compagni di facoltà o il suo magnifico ragazzo?-

-No, no e l’ha mollata male-

Dopo averla messa incinta.

-Ha preso appuntamento per la visita il giorno dopo della partenza che avevamo previsto, quindi mi tocca rinunciarci. Ed andare ad accompagnarla vorrà dire bruciarmi le ferie per questo mese-

-Andarci da sola non può?-

-Meglio di no, non sta bene…-

Mentii piano. Non poteva per legge andare da sola a fare l’operazione.

-Che palle… Sai che Axl si incazzerà, vero?-

-Lo so… ma tornerete comunque tra un paio di settimane. Noi... Noi ce la faremo-

-Guarda che non è mica un ragazzo facile se se la prende per qualcosa-

-Serve davvero che me lo ricordi?-

Strinsi i denti.

-Già mi sento una merda per quello che sta succedendo, se mia sorella si è fatta mettere incinta da un coglione ed ora le serve qualcuno per avere compagnia mentre ammazza suo figlio mica è colpa mia-

Esplosi.

-Ah… Che dolce-

-Scusami- sbuffai.

-Aborto, quindi. Bella malattia essere incinta-

-Non voglio parlarne. È un affronto. Se ne pentirà per sempre. Sta uccidendo un essere umano…-

E non te lo dimentichi più se uccidi qualcuno.

-Però d’altra parte portando avanti la gravidanza avrebbe dei bei problemi-

-Si chiama adozione, Adriana, adozione.-

-I morti proprio non ti piacciono, ne? Neanche se non sono ancora persone vere e proprie-

-No, i morti non mi piacciono-

Conclusi.

-Axl lo sa?-

-Annah mi ha fatto giurare di non dirlo a nessuno- borbottai.

Ridacchiò -Io sono nessuno quindi, divertente-

-Idiota- sibilai seccata.

Ero nel panico. Non sarei riuscita davvero ad arrivare allo studio ed Axl aveva già iniziato a fare il sostenuto evitando di chiamarmi.

Stavo diventando matta.

-Io comunque domani prendo quel che serve e vado dal mio bello-

-Divertiti, almeno tu- sospirai.

-Certo, Ellie. Mi divertirò anche per te-

Sorrisi piano, sentendo il suo tono allegro.

-Grazie bella, ti chiamo presto-

-Bye bye-










 

10 febbraio 1987

 

-L’hai sentita?-

-Sai com’è: lavoro, asocialità, i Crue che tornano a LA…-

Proposi vaga, tenendo sott’occhio Axl, misurando la sua reazione e giocando con i sottintesi.

-Che cazzo, non essere in città proprio quando il miglior spacciatore ci torna-

Sbottò Steven sottovoce.

Eccolo lì: eroina e sesso.

Poco importava che teoricamente fossimo una coppia: si sentiva libero di stare con chiunque a fare qualsiasi cosa in ogni ora del giorno e della notte.

E nonostante l’avessi trovato solo qualche ora prima in stanza con un’altra, faceva lo gnorri.

Beh, dopotutto con uno che ti tradisce e che ti propone di unirti per una bella cosa a tre che diamine può fare se non finta di nulla?


Il rosso spense la sigaretta nel posacenere ed abbandonò la stanza.


Per cui avevo deciso di giocare anch’io.


Steven ed Axl avevano sempre fatto un po’ a gara tra di loro, ed Axl sprizzava di gelosia ogni volta che sapeva che Steven ed Elizabeth dovevano incontrarsi. Erano praticamente migliori amici, sì, ma poco importa: i due amiconi erano comunque un uomo e una donna da soli.

Elizabeth… lei non poteva non sapere che Steven non era serio con me. E zitta zitta aveva parteggiato per lui, senza dirmi nulla.

Una piccola ferita non poteva che farle bene e rivalutare i suoi rapporti con gli esseri umani e con i Guns.

Ciò di cui avevo bisogno era quindi un Axl incosciente ed incazzato, e sapevo dove colpire per averlo.

Le mie parole avrebbero dovuto essere la goccia per traboccare il vaso già pieno a causa della frustrazione provata per la loro distanza. Non si vedevano da un mese, ed Axl era sul piede di guerra: solo una goccia...

C’era solo da pregare che non gli balenasse in mente l’idea di chiamarla e che se l’avesse fatto lei fosse stata impegnata… ma si, era martedì sera.

Lei stava lavorando.

Tensione, tensione… stava per scoppiare ed io sarei stata lì ad accoglierlo a braccia aperte.









 

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Capitolo 39
*** Colpe ***


Colpe
(I Hate Everything About You - Three Days Grace)









11 febbraio 1987


 

-Axl…- Adriana mugolò il mio nome mentre con la lingua facevo titillare la punta del suo capezzolo, incoraggiandomi a fare di più.

Era venuta a trovarci mentre registravamo, ed era finita così: con noi, in sala di registrazione, lei un po’ fatta, io no. Io presente.  

Mi spostai sopra di lei premendo con il bacino sul suo: volevo che sentisse, volevo che mi sentisse, ma non ero di buon umore. Le passai le mani sul busto e tolsi una volta per tutte quella striminzita maglietta che le si era arrotolata fin sopra al seno, lasciandola nuda dalla vita in su.

-Mh- sussultó quando con le dita iniziai a giocare con il suo piacere, sotto gli slip bianchi che sembravano così innocenti.

Lei no, lei non lo era, lei era un po’ stronza.

Finii di spogliarla e tornai a darle piacere, con le dita e con la lingua. Ma non volevo che venisse.

Anch'io ero un po’ stronzo.

Solo quando la vidi persa iniziai a slacciare i pantaloni. Mamma mia, mi era venuta davvero voglia ora.

Animale.

Ero un animale, ma era colpa Sua, era Lei che mi faceva diventare pazzo.

Un pazzo determinato, incazzato e decisamente più stronzo di tutti gli altri.

-Axl- mi chiamò, quasi implorandomi.

-Credo tu sia pronta per qualcosa di meglio, rispetto al tuo caro Steven- mormorai e lei annuì.

-Facciamo vedere noi a quella troia come si gioca, che ne dici?- mi ritrovai a sorridere, pensando a quanto dolore avrebbe provato. Forse tanto quanto io ne avevo sentito quando avevo saputo che non sarebbe venuta perchè c’era il concerto dei Crue proprio a Los Angeles.

-Sì..sì..-

Aveva ancora voglia di passare la notte con quel tipo?

Aveva ancora bisogno di farlo?

Iniziai subito a fotterla, come un automa. Lei godeva oscenamente.

Avevo anch’io i miei bisogni.

E quando alzai gli occhi dalla faccia di Adriana e constatai che la spia, rossa, era accesa, mi ritrovai a pensare che sarebbe stato davvero perfetto, per la mia canzone, per la mia Rocket Queen.

Gemetti con lei e la strinsi, sperando che i suoi capelli si scurissero e che i suoi occhi diventassero di ghiaccio, ma niente. Non era davvero la mia Regina.

 

Tutto quello che avevo di lei era la sua distanza, la sua assenza ingiustificata, le parole di Adriana, una gelosia mai svanita e la paura che quello che temevo potesse essere accaduto di nuovo a mia insaputa.

Ma cosa mi diceva la paura? Ma cosa mi suggeriva quella voce cruda e tagliente al mio orecchio invece di farmi trovare un nascondiglio dove ripararmi o provare a cancellarla con una semplice telefonata?

Avevo paura anche di quello: che la telefonata avrebbe portato solo conferme.

Come il il telefono che aveva suonato a vuoto quella stessa mattina.

Cosa mi aveva detto la voce?


 

Falla soffrire.

Falla soffrire e pentirsi di quello che ti ha fatto.


 

E io l’avevo ascoltata.


 

Ero un coglione, ed Elizabeth si sarebbe decisamente incazzata.

Se l’era cercata però.

Se l’era davvero cercata.









 

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Capitolo 40
*** Ritorno ***


Ritorno
(Please, please, please, Let me get what I want - The Smiths)










2 marzo


 

-Scusami per non essere venuta-

Immersi il viso nella sua maglia e lo strinsi.

-Mi sei mancato da morire-

-Anche tu piccola-

Mi trattenni dal dirgli che avrebbe dovuto chiamare di più e rispondere al telefono, mi cucii la bocca per non urlargli in faccia che ero stata male, che si stava comportando come uno stronzo e che avevo bisogno di lui a tutti i costi.

-È stato un periodo pesante-

Sentii il suo petto gonfiarsi in un sospiro ed inspirai a fondo.

-C’è stato un sacco di lavoro, Lizzie, e sarà così ancora per un po’-

Alzai lo sguardo sentendo una morsa di sconforto stringermi all’altezza della gola.

-Un po’ quanto?-

-Fino a quando avremo il cd in mano e non solo una demo-

Mi staccai da lui stringendomi nella giacca.

-Ok…-

-Buongiorno! Axl, sei scappato prima di...-

Adriana si era appoggiata di peso alla schiena di William, ancorando le sue mani sui suoi fianchi come in atto di possesso. Sembrava su di giri ed affilò lo sguardo una volta accortasi della mia presenza.

-Ciao Elizabeth-

Ignorai il brivido che mi aveva attraversato da capo a piedi e feci un altro passo all’indietro.

-Vado a salutare…- indicai la porta da cui avrebbero dovuto uscire gli altri e mi ci avvicinai per inerzia senza volgere lo sguardo verso di loro.







 

-Adriana-

Smorzò il mio entusiasmo con il solo tono della sua voce.

-Metti i piedi per terra ora e non rompere le palle-

-Sei davvero il migliore degli stronzi- cercai di non abbandonare il sorriso, anche se stava andando tutto una merda da quando avevo acconsentito a scopare con lui.

Oh, si, avevo goduto come non mai, e l’episodio si era ripetuto anche fuori dalla sala di registrazione: Steven l’aveva scoperto solo il giorno prima della partenza e si rifiutava di parlare con noi.

Ero davvero riuscita a farlo ingelosire, ma la sua reazione non era stata quella che volevo.

Sapevo che avrebbe fatto pace in qualche modo con Axl, ma io e lui…

Avevo mentito ad Axl per averlo tutto per me, pieno di rancore verso Elizabeth, perchè mi usasse come strumento della sua vendetta. Sapevo che lui non avrebbe indagato di più parlandone direttamente con lei per paura e senso di colpa, conferma ne era il fatto che aveva cercato di impedire a chiunque di comunicare con lei durante la permanenza in studio.

Elizabeth… facendo così avevo allontanato anche lei.

Conferma era stato il suo sguardo perso di pochi attimi prima, perso perchè sa che qualcosa non sta andando ma non vuole nè conoscere nè provare ad immaginare la realtà.

-Però scopa bene il migliore degli stronzi- commentò acido e si diresse alla porta d’uscita, lasciandomi da sola ad immergermi nella vergogna fino ad impregnarmene anche le ossa, come fossi un frollino in un bicchiere di latte.







 

Mi rifugiai tra le braccia di Steven non appena lo vidi.

-Ellie-

Che tono strano.

Mi strinse addosso a sè e chiusi gli occhi lasciando che la forza delle sue braccia quasi mi soffocasse.

Sembrava mi volesse proteggere, ma non come faceva di solito.

Alzai lo sguardo e gli sorrisi piano.

-Come stai, bestiolina?-

Si scompigliò i capelli ed arricciò le labbra in una smorfia.

-Sembri smagrita!-

-Diciamo che non è stato un bel periodo-

Sospirai abbassando le maniche dell’enorme felpa che avevo messo addosso: non aveva nascosto la mia fragilità come avevo sperato facesse.

-Senza di noi dura la vita, eh?-

Ignorai la nota forzata della sua risata e lo seguii al ritiro bagagli.

A qualche metro da noi Slash e Duff parlavano tra loro con aria animata, lasciandosi sfuggire delle occhiate preoccupate verso la nostra direzione.

Adriana se n’era andata ed Izzy aveva raggiunto Axl.

-Non è andata bene allo studio?...-

Ipotizzai, preda di un senso di sconforto.

-Il disco bene, una figata, ma diciamo che abbiamo un po’ esagerato-

Si grattò un braccio in un gesto eloquente e feci una smorfia.

-Spero vivamente che non finirete morti di questo passo-







 

-Perchè la stai punendo così?-

-Perchè è andata di nuovo con Neil-

-E questo l’ha detto..?-

-Basta fare due più due, ha continuato a rifiutare di venire e quei dannati hanno fatto un sacco di date lì a LA-

Lo guardai con sufficienza.

Si era scopato Adriana per il disco e per un istintivo senso di ripicca, assecondato senza un minimo di ragione.

-Sei riuscito a mandare anche questa storia a puttane, complimenti vivissimi-

Gli battei una mano sulla spalla nelle mie finte congratulazioni e recuperai le valige.




 

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Capitolo 41
*** Appetite for Destruction ***


Appetite for Destruction
(Rocket Queen - Guns N' Roses)









3 marzo 1987

00.03







 

Le parole di Think about you rimbalzavano tra le pareti del mio appartamento.

Seduta in braccio ad Axl ascoltavo per la prima volta quella che sarebbe stato finalmente il loro primo album. Eravamo vicini, ma sembrava come se un sottile strato di pellicola trasparente ci stesse separando.

Mi faceva paura, sentirlo accondiscendente, costruito, innaturalmente sorridente ed apatico.

-Mi è sempre piaciuta un sacco-

Lui canticchiava tra sè facendo da coro a se stesso.

-Ci siamo sentiti così poco… che non siamo neanche riusciti a parlare come si deve-

-Recupereremo-

Appoggiò le labbra alla mia fronte.

-Sembra quasi che tu non mi voglia toccare oggi-  

Risi, cercando di sconfiggere il senso di panico.

-Sciocchina, sto aspettando…-

-Io ho bisogno di sentirti adesso, sei troppo lontano...-

Non rispose.

Continuava a non rispondere.

Soffocai i miei stessi pensieri appoggiando la fronte sulla sua e poi baciandolo come non avevo ancora fatto da quando era tornato, con un ardore che aveva in sè più disperazione che vero e proprio desiderio.

-Non starai mica piangendo?-

Non aprii gli occhi e scossi la testa mentre le mie lacrime gli bagnavano le guance.

-Mi sei mancato tanto-

-Ti amo- aggiunsi sottovoce.

Ero riuscita a dirlo, ci ero riuscita davvero.

-Vieni qui- mi strinse a sè e nascosi un singhiozzo contro la sua spalla

Mi accarezzò la schiena, ma ancora, mi sembrava di non sentirlo.

Cosa ci stava succedendo?

 





 


-Ultima traccia?-

-Ultima traccia- confermò, stampandosi in faccia uno strano sorriso, mentre la batteria suonata da Steven riempiva l’aria.

Rocket Queen.

Mi avvicinai a lui piegando la testa dopo aver appoggiato la tisana rilassante con cui ero riuscita a calmarmi al tavolo del salotto.

-Canti bene, Axl- mormorai, sedendomi piano a cavalcioni addosso a lui.

-Io sono il migliore, tesoro- mi accarezzò la schiena.

-Questa canzone fa male- sussurrai ad un centimetro dal suo orecchio, ruotando appena il bacino in avanti, in modo da aderire di più a lui e sentirlo contro di me.

-Non immagini nemmeno quanto, Elizabeth-

Non mi toglieva gli occhi di dosso.

Avevo paura, ma volevo essere capace di far sparire la tensione che torreggiava su di noi.

Iniziai a baciarlo, sul viso, sul collo e gli slacciai la camicia in modo da avere ancora più pelle a mia disposizione. Il panico, sordo, mi faceva agire senza riuscire a pensare davvero.

-Già con Welcome to the jungle mi sono trattenuta abbastanza, adesso ho voglia di te- sussurrai accarezzandogli il viso.

Era vero, anche se il peso della distanza mi stava tenendo a guinzaglio anche in quel momento.

-Babe..?- aggiunsi, non percependo in lui il minimo turbamento.

-È tutta la giornata che sei strano…-

-Anche tu-

Venni improvvisamente distratta dal brano e mi sfuggii una risata iniziando a sentire dei gemiti di una donna sotto l’assolo di Slash.

-L’avete fatto davvero?- Lo guardai, per un attimo distratta dai miei pensieri.

-Chi ha avuto l’onore?- aggiunsi, divertita.

-Io-

Mi si spense il sorriso sulle labbra quando, l’attimo dopo sentii proprio lui sospirare dal piacere.

-Axl?-

-Dimmi, tesoro?-

Voce distante, come prima, come da quando era sceso dall’aereo.

Strinsi una mano sul suo braccio, piantandogli le unghie addosso fino a quasi sentire la pelle cedere sotto di esse.

-Che cosa hai fatto?-

Non potevo essermi sbagliata, l’avevo sentito troppo volte.

-Chiedilo alla tua migliore amica-

Concluse, sfidandomi.

Mosse il braccio bruscamente per scioglierlo dalla morsa della mia mano e, presa una cicca dal pacchetto sulla mia scrivania, la accese.

Mi alzai, cercando di inghiottire in nodo che mi si era formato in gola.

Ballava il tip tap sulle mie viscere dopo avermi sventrata con un machete.

-Esci-

Inspirò.

-Esci da casa mia adesso-

Urlai. Non riuscivo a piangere ancora: troppo sorpresa per credere davvero a quello che avevo sentito.

-Lo sai come sono, Elizabeth-

Rimaneva seduto, guardandomi.

-William, perchè?-

Non riuscivo a capire.

-Non c’eri. Paletti, muri, lavoro.. mi dispiace ma non sei credibile-

Avrei dovuto dirgli di Annah.

-Scusa…-

Strinse le labbra stringendo le dita sul filtro della cicca, incassando la mia ammissione.

-Da quando Neil ha la precedenza su di me?-

-Cosa diavolo centra?-

Sbigottita, da arrendevole ritirai su la guardia e mi avvicinai a lui.

Che cazzo centravano i Crue ora?

-Il concerto-

-Non l’ho più visto dall’anno scorso!-

-Sì, grazie- si alzò, ironico.

-Grazie un cazzo, Axl…- mi tirai indietro i capelli raggiungendolo, ed iniziando a collegare i pezzi.

Quindi è per quello che sei stato irraggiungibile, allo studio, anzi, irraggiungibile nell’ultimo mese!-

Lo strattonai ed afferrai un lembo della sua maglia piazzandomi di fronte a lui.

-Ero arrabbiato, sono arrabbiato e la tua scenata di pianto non sembra altro che manifestazione di senso di colpa per quello che hai fatto- inasprì il tono evitandomi e dirigendosi verso la porta.

-Apri bene le orecchie, William perchè non lo ripeterò altre volte-

Gli afferrai il polso obbligandolo a fermarsi e a guardarmi.

-Ero con Annah, a salvarle il culo e la faccia di bronzo. È rimasta incinta di uno stronzo della magistrale e tra tutte le persone che ci sono al mondo ha chiamato me, per sostenerla con l’aborto. Perchè un assassinio in più sulla coscienza, dopotutto che male può farmi?

E giustamente, convincere quella cocciuta a tenere un bambino è troppo...-

Avevo fallito anche su quello.

-I miei…- sospirai -papà non sa niente, ripeto, le ho salvato il culo e lei rimarrà per sempre la sua amata e perfetta figliastra. Mi aveva fatto giurare di non dirlo. Sei libero di crederci come no-

Colpì il mio braccio per allontanarmi. Svicolatosi così dalla mia presa uscì, sbattendo la porta.

La riaprii alzando il tono.

-Sì! Vattene! Fai l’incazzato Rose! E io? Io che dovrei essere?!-

-Era la mia canzone preferita, cazzo!- aggiunsi, e richiusi, rifiutando di sentire l’eco della mia stessa voce deformato dalla rabbia e dalla delusione risalire le scale.








 
 
....Don't ever leave me, say you'll always be there,
All I ever wanted was for you to know that I care...








 

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Capitolo 42
*** Dialogo ***


Dialogo
(W.L.S.T.D. - HIM)









5 marzo 1987


 

 

-Annah O’Brien?-



 

-Io voglio una spiegazione-

Guardai Adriana negli occhi mentre lei abbassava le maniche della maglia per nascondere i segni sulla pelle all’interno dei suoi gomiti.



 

-Sì, con chi parlo?-

-Sono il ragazzo di Elizabeth-

Strinsi la cornetta del telefono. Mi spacciavo ancora come tale, come il suo ragazzo, nonostante lei mi avesse cacciato da casa sua e nonostante il dolore che le avevo causato.



 

Aveva ricominciato a farsi.

Magari proprio insieme a lui.

Da come lo conoscevo avrei detto che Axl non si sarebbe mai fatto di eroina, ma basandomi su quello avevo creduto anche che non mi avrebbe nemmeno tradito.

Ogni possibilità era aperta, ora.



 

-Oh, si! Axl, giusto? Eri da noi a Natale se non sbaglio...-

-Sì, senti… Sei stata da lei a febbraio?-



 

Abbassò lo sguardo per nascondere la nebbia dietro la sua espressione.

Sembrava stare male, sembrava non riuscire ad esprimersi e fare fatica nel trovare le parole, ma non me ne importava!

Si meritava il male che si stava procurando ed io avevo sempre sbagliato a pensare di potermi fidare di lei!



 

-Te ne ha parlato?-

Il suo tono sorpreso e fragile fu come un pugno allo stomaco.



 

-È sempre stato Axl il mio preferito-

Lo disse con il tono di una bambina che parla delle sue bambole e mi dovetti tappare la bocca ed incollare le mani ai fianchi per non aggredirla.

-Adriana, perchè?-



 

-No, no, sono stato via, non abbiamo avuto occasione di parlare di niente-

Era vero, era estremamente vero, anche se le non occasioni le avevo create io stesso.



 

-L’ho fatto per il gruppo e per fare ingelosire Steven, sai che quei due sono in competizione e lui mi stava-

Sentii lo schiocco prima ancora di rendermi conto di averla schiaffeggiata.

-...tradendo- concluse la frase ad occhi spalancati, fissandomi come se non mi avesse mai veramente vista. Non riuscii a capire se le sua lacrime fossero causate dal dolore o da un sincero pentimento per ciò che mi aveva fatto.



 

-Io… Ho avuto dei problemi di salute per cui ho dovuto fare una piccola operazione-

Aveva ammazzato suo figlio, la troia.

Piccola operazione un paio di palle.

-Ho chiesto a Elizabeth di sostenermi visto che lei abita qui vicino e.. beh, conosce gli ospedali quasi quanto me… non volevo disturbare i nostri genitori-

Non riuscii più a trattenermi.

-Che merda…-

-Tutto ok?-

-Grazie-

Le sbattei il telefono in faccia e tirai un calcio contro il muro, ignorando il dolore.



 

-Sei una troia. Non venire più a piangere da me-

Mi voltai e tornai a casa.

Mi faceva male la mano.















 

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Capitolo 43
*** Cioccolato ***


Cioccolato
(Courtesy Call - Sixx:AM)










13 marzo 1987



 

Fragilità, panico e arrendevolezza avevano preso piede dentro di me sostituendosi gradualmente alla rabbia.

Sopravvivere, ce la facevo anche da sola.

Non mi serviva sentire Duff o Steven per sapere che Lui se ne faceva una diversa a concerto per provare a trovare qualcosa che aveva perso, o che da quella sera andava tutto peggio.

Andava tutto peggio: lo dicevano i miei occhi sempre un po’ gonfi o arrossati, i miei continui mal di testa, la fatica che facevo a respirare perchè stavo colmando i miei polmoni di catrame. Lo dicevano i vestiti che portavo, scuri, cadenti. Lo diceva la tonnellata di trucco che mettevo addosso quando uscivo di casa per nascondere che stavo male e far credere a tutti che nonostante quello che Lui mi aveva fatto e quello che avevo vissuto, potevo ancora essere una splendida, perfetta, inanimata bambola. Di quelle da cui a volte esce quella voce registrata, finta, sempre uguale; di quelle programmate per camminare, muoversi, fare pochi gesti.

Lo diceva il perpetuo nodo allo stomaco e lo dimostrava la bilancia.

Non ero così magra da anni.

 



Continuai a fissare la lancetta e le cifre sul piccolo schermo analogico ai miei piedi per tempo indefinito.

Bastava che non calasse troppo la pressione, quello non sarebbe stato bello.

Scesi dalla bilancia e cercai nel mobiletto del bagno la macchinetta per misurarla.

Era un po’ come quando avevo preso la tonsillite, solo che la gola non mi faceva male.

La spossatezza mi stava riducendo ad uno straccio.

Andai in cucina e, seduta, fissai la fascia al braccio ed attesi il risultato.

89/63.

Siamo al limite insomma…

Sospirai, lasciandomi appoggiare alla sedia.

-Magari stavolta muoio davvero…- accennai un sorriso chiudendo gli occhi.

Figurarsi.

Non sarei morta per Lui.






 

Il rumore del citofono mi fece alzare la testa.

-Chi sei?-

Sbuffai, ed, alzatami, afferrai la cornetta, appoggiandomi alla porta.

-Sì?-

-Spiaggia?-

La voce di Daniel mi strappò un sorriso.

Lo stavo facendo preoccupare un sacco: lui, Jane, Carlo…

-Scusami, non ne ho la forza-

-Non dovresti chiuderti in casa...-

Rimasi in silenzio, chiudendo gli occhi.

-Ti lascio una sorpresa nella cassetta della posta, vedi di venire a recuperarla presto se non vuoi che sparisca. Elizabeth, non ti meriti questo-

-Però è successo-

Sentii confusamente il suo sospiro tra il gracchiare dell’apparecchio.

-Ricambia, allora: incazzati, spaccagli la testa, o meglio ancora eviralo con un bisturi-

-Sta già abbastanza male anche lui, ma la nostra regola sembra essere “Fai finta di nulla e cerca di non mostrare quanto stai di merda, non cedere un passo e andrà tutto bene”-

-Chiedere scusa è più efficace…-

-È troppo mainstream, ti mostri debole, cedi terreno… non sarebbe capace di farlo.-

-Lo perdoneresti?-

-Non mi pongo il problema, non lo farà-

-Ti troverò qualcuno di meglio, Ellie; magari più sano-

Risi piano.

-Va bene, chiamami quando troverai qualcuno con abbastanza fegato da tenermi testa-

-Che montata- percepii il sorriso dietro la sua presa in giro.

-Grazie Daniel-

-A domani cara-

Riattaccai e mi appoggiai per un attimo alla panca, aspettando qualche minuto.

Sospirai e scesi fino alle cassette della posta.

Aprii: ci aveva lasciato dentro una barretta al cioccolato fondente, il mio preferito.

Lo ringraziai mentalmente e dopo aver preso il resto salii.















 

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Capitolo 44
*** Bastarsi ***


Bastarsi
(Creep - Radiohead)










19 marzo 1987

3.54

 

Mi svegliai di soprassalto, portando le mani alla gola.

Per quanto provassi a respirare, l’ossigeno sembrava non bastare.

Gemetti di terrore senza riuscire a soddisfare il mio bisogno d’aria e proruppi in un singhiozzo iniziando a ricordare il sogno da cui mi ero appena svegliata.

Scoppiai a piangere, rendendo ancora più complicato il mio tentativo di prendere fiato; ingannata dal mio stesso corpo, tradita anche da quello.

Ma questo cos’era? Il fumo mi aveva davvero tappato i polmoni o era solo la sua mancanza a portarmi in quella condizione?

Ti prego basta…

Un altro singulto mi obbligò a deglutire e riuscii finalmente a far arrivare l’aria fino infondo alla gola.

Basta…

Presi un altro respiro profondo, iniziando a rilasciare la tensione, anche se dagli occhi continuavano a cadere scie di gocce salate.

Appoggiai la fronte alle ginocchia e strinsi le gambe con le braccia piantando le unghie sui polpacci per cercare di cancellare dalla mente ogni parte di ciò che avevo visto durante il sonno, senza essere capace di riuscirci.

Mi trascinai fino al corridoio ed afferrai la cornetta.

Era una follia, una follia bella e buona, chiamare a casa dei Guns, a notte fonda…

Ma c’era ancora Steven, lui e Duff erano i più vicini, loro erano miei amici, loro...

Digitai quelle cifre, stampate nella mia memoria, e mi lasciai sedere e rannicchiare di fianco alla cassapanca, sperando che il fato non ce l’avesse ancora con me.

-Non ce la faccio…-

Il telefono mi sfuggii dalle mani finendo sul mio ventre, mentre venivo di nuovo sommersa dai singhiozzi.

-Elizabeth?-

Come poteva essere così chiara la sua voce, tanto da coprire le mie lacrime?

-Smettila di essere dappertutto- strinsi una mano a pugno, sforzandomi di ignorare i ricordi ed il sogno in cui le sue mani erano sulla mia pelle, tra i miei capelli, il suo fiato sul mio collo, la sua bocca torturava con i morsi le mie labbra e soffiava parole che solo noi avremmo conosciuto…

E in cui finiva di nuovo tutto.

-Ti passo Steven, vado a svegliarlo-

-Smettila di essere dappertutto...-

Ripresi la cornetta appoggiandola contro l’orecchio.

-Non piangere…-

-È tardi...-

È tardi per smettere di piangere e di soffrire, e per riuscire a scappare da te.

-Stai ancora piangendo, Lizzie…-

-Mi manchi- mi si spezzò la voce.

Abbassai il viso, anche se non avevo nessuno da cui nascondermi.

Ero sola e le parole mi stavano sfuggendo dalla lingua

Il rumore sordo della linea interrotta mi fece sussultare.

-Axl?...-

Ecco, basta.

Posai il telefono e mi strofinai gli occhi con le mani.

Dovevo chiudere quel capitolo della mia vita ed andare avanti.

Dimenticare i Guns, ma soprattutto dimenticare Lui.

Anche se era davvero tardi.

Accesi la luce del corridoio e, alzata in piedi mi diressi in cucina e tastando il mobili nella penombra fino a trovare la busta del tabacco.

Tabacco, filtri e cartine.

Mi riportai alla luce iniziando a rollare, ma il tremore delle mani ridusse il mio tentativo ad un cumulo ai miei piedi.

-Dannazione...-

Alla terza volta la misi in bocca e l’accesi usando l’accendino sulla panca.

Il fumo colmò i polmoni, scaldandoli e soffocandomi.

Tossii, con le lacrime agli occhi, appoggiando tutto il mio peso contro il muro.

-Vaffanculo…-

Inspirai ancora, riuscendo finalmente a trovare un ritmo.

Dentro.

Fuori.

Un altro po’ e avrei dimenticato com’era fare l’amore con lui, fino a non vederlo più la notte.

...Mi ero illusa che sarebbe successo lo stesso dopo l’incidente, che avrei smesso di avere incubi, paranoie, paure e che sarei stata finalmente bene.

Sapevo che non ci sarei riuscita: i gemiti del loro amplesso mi tormentavano anche se avevo nascosto il cd in uno degli ultimi cassetti della casa. Ma dovevo sperarci per avere almeno una possibilità di recuperare.

Il rumore del campanello del citofono mi fece trattenere il respiro.

Alzai la cornetta.

-Ti prego-

Decisi di immergermi sott’acqua: cliccai il tasto per far scattare il portone d’entrata ed allungai una mano fino alla maniglia dell’ingresso.

Aprii anche quello.

Nemmeno il mozzicone, bollente, tra le dita, riusciva a destarmi dall’intorpidimento che mi aveva assalito non appena l’avevo sentito. Avevo staccato la spina su tutto, decidendo di lasciarmi guidare da quello che provavo e basta, incapace di controllarmi e di reagire. Con dei passi incerti, liquidi, posseduta da qualcosa che non era la mia volontà mi portai infondo al corridoio ed aspettai.

Abbassai lo sguardo quando sentii che il suono delle sue scarpe contro il pavimento cambiava, passando dal granito delle scale al legno del mio appartamento.

Appoggiò la porta e la chiuse a chiave cercando di nascondere il fiatone.

-Anche tu-

Alzai gli occhi verso di lui.

-Mi manchi anche tu-

Quante volte mi hai tradito nelle ultime notti?

Quante volte?

Pregai che ogni mio singolo pensiero potesse riversarsi in lui percorrendo la strada creata tra i nostri sguardi.

-Ci basta, questo?-

Sussurrai.

Rimase in silenzio e fece qualche passo verso di me.

-Credevo mi odiassi-

-Ci ho provato…-

Mi strinsi nella maglia e gli diedi le spalle tornando in camera ed abbandonando il mozzicone nel primo posacenere trovato.

Tastai il comò fino a trovare l’interruttore della lampada e mi rannicchiai sul letto.

-Dormi?-

-Non voglio dormire-

Si chinò davanti a me ed incrociò le braccia sopra il materasso, a pochi centimetri dalla punta dei miei piedi.

-Io non ci riesco più-

-Perchè sei qui?- chiesi, insistente.

-Perchè stavi piangendo…-

-Ho sognato di fare l’amore con te- sbottai.

Scappò un altro po’ di mare dai miei occhi; i suoi erano fin troppo vigili e mi fissavano cercando di vedere ogni cosa, mentre la sua mano tentennava nel raggiungere la mia pelle.

Non ero sicura di volere che mi toccasse e allo stesso tempo ne avevo un assoluto bisogno.

-Mi perdonerai mai?-

Allontanò le dita ed inclinò la testa, lasciando che i capelli gli coprissero il volto. Dopo un attimo di silenzio si sedette sul bordo del letto, dandomi le spalle, come se gli avessi già risposto.

-Ho provato ad ignorarti e fare finta di essere nel giusto… Ma ho voglia solo di te-

-Quante ne hai scopate prima di capirlo?-

-L’avevo già capito quando ho scelto di farlo con Adriana- ammise incurvando la schiena.

-Sarebbe stata… la mia vendetta- aggiunse, stringendo le mani sul copriletto disordinato.

-Porca puttana, sono una merda-

-Vattene se sei qui per autocommiserarti-

-Non parlarmi così!-

Si mise in piedi, alzando la voce, e guardandomi come se con quella piccola frase l’avessi insultato a morte.

-Stavamo costruendo qualcosa e non voglio buttarlo nel cesso anche se è appena iniziato!-

-L’hai buttato tu nel cesso, Axl! Hai fatto tutto da solo!-

Mi spaventava quando gridava, ma il panico mi dava solo la forza per arrabbiarmi di nuovo.

-Ma sono qui, porca troia! Sai anche tu quanto sia difficile per me venire da te e anche se sono nel torto chiederti…-

Smise di parlare, come se una mano invisibile lo avesse iniziato a strozzare.

-Chiedermi cosa?-

Lo sfidai. Non ne aveva il fegato, non sarebbe mai riuscito a dirlo ad alta voce.

-Vaffanculo…-

Sbuffò, e si allontanò andando verso la sala.

-Non avrei dovuto chiamare…-

...e allo stesso tempo non sarei riuscita a vivere con i miei sogni affrontandoli da sola, di nuovo.

Mi abbandonai contro il cuscino.

Non riuscivo a sopportare tutto questo…

Lo sentii tornare e camminare avanti e indietro per la stanza nervosamente.

-Ho fatto una cazzata-

Mi morsi il labbro.

-Ero convinto mi avessi tradito e il solo pensiero mi ha fatto andare fuori di testa-

Strinsi le coperte.

-E sono fuori da quel giorno, perchè non riesco a parlare con te, perchè mi sembri irraggiungibile e perchè ho ripreso con la coca-

-Altra stronzata perchè il caso vuole che io ne abbia bisogno molto a breve e che grazie alla chiamata di qualcuno mi sia completamente dimenticato di prenderla-

Girai la testa per guardarlo.

Non smetteva di camminare.

-Diamine, con la droga in corpo quasi sembrava che le altre fossero te, ma no! Breve illusione, solo una breve illusione- digrignò i denti.

-Che diamine mi hai fatto per farmi arrivare a questo punto? A farmi venire qui ad elemosinare il tuo perdono, come se fossi acqua nel deserto…- sputò, animato e sarcastico.

-Maledetto il giorno in cui ti ho vista-

Infilò le mani nelle tasche della giacca ed iniziò a svuotarle sulla mia scrivania: sigarette, accendino, qualche spicciolo.

Prese il portafoglio dai jeans e lo aprì, controllandone ogni pertugio.

Una bustina.

Vuota.

-Bene tesoro, grazie per avermi fatto impazzire-

Si accasciò sulla sedia e mise le mani tra i capelli.

-È tutto uno schifo- sentenziò.

-Credo che prima o poi proverò a suicidarmi-

No, ritratto: adesso era spaventoso, e la sua affermazione aveva fatto sublimare la mia rabbia in un secondo.

-Axl, che diamine stai dicendo?-

-Niente pistole o coltelli, troppo violento… magari un sacco di pasticche e via-

Mi alzai.

-Tornerei a casa a prenderla, ma su, è una fase, ne ho presa tanta negli ultimi giorni e ne voglio ancora di più, come al solito. La conosco la coca, è proprio una troia-

Strinsi una mano sulla sulla sua spalla.

Era sempre lui, era sempre il mio Axl.

-Ne ho un dannato bisogno ma ora che mi sono presentato e non mi hai sbattuto la porta in faccia voglio riuscire a chiederti scusa prima di andarmene-

-Non dovevi ricominciare…-

-Colpa tua… mia, mia; è stata colpa mia-

Si corresse sbuffando.

-Ho parlato con Annah… Dovevo fidarmi di te-

Sospirai e lasciai che le mie mani corressero sul suo corpo fino ad abbracciarlo da dietro.

Nervoso, difficile.

Volevo che lo dicesse, volevo sentirlo, avevo bisogno di lui...

-Scusami-

Sussurrò.

Nascosi il viso tra i suoi capelli, confusa.

-Adesso te ne andrai?- bisbigliai.

-Coca o te? Mi stai chiedendo questo?-

Lo strinsi.

-Silenzio assenso... - commentò.

-Sarebbe meglio per te che io andassi a casa, la prendessi e tornassi. Se inizio a svalvolare per l’astinenza mi cacci di nuovo-

-Hai già svalvolato… Non voglio coca e me, voglio coca o me. Prendila come una punizione se vuoi, ma è o coca o me… Anche perchè non voglio che tu ti riduca così, non voglio che tu ti distrugga-

Mi separai da lui tornando sul letto.

-Biancaneve, giochi sporco-





 

La guardai.

Aveva gli occhi rossi dal pianto ma era splendida, avvolta nella sua camicia da notte che la copriva troppo poco.

Tirai indietro i capelli.

Ne avevo bisogno: tutta quell’euforia, quella libidine che faceva dimenticare le cose importanti era scomparsa. Ero rimasto solo con il mio senso di colpa, il mio schifo di passato, e volevo solo andare a casa e prenderne ancora per sentirmi di nuovo come superman e riuscire ad ignorare la ragazza che mi stava davanti, che però era anche l’unica cosa bella che mi era capitata nell’ultimo anno.

La mia aria pura.

-Sarò insopportabile-

Davanti ai suoi occhi mi sentivo un verme.

-Non dormirò, non mangerò, sarò lunatico più di te e ipersensibile a tutto-

-L’hai già fatto?-

-Smettere? Un paio di volte, anche se una tirata ogni tanto ci vuole, lo sai...-

Ammisi.

-Che palle-

Abbassai la testa e abbandonai le braccia lungo i fianchi, lasciandole penzolare oltre la seduta.

Avevo voglia di piangere.





 

Strinse i denti, nascondendo la smorfia di disperazione sul suo volto.

-La prossima volta mollami prima di farti qualcun altro-

Lo rimproverai a bassa voce, vedendolo arrendersi al casino che stava succedendo nella sua testa.

-Ti amo, stronzetta, smettila di farmi la ramanzina, ora-

Si passò una mano sul viso ed afferrò una sigaretta.

-Mi piace sentirtelo dire…-

-Che sei una stronza? Sì, è un dato di fatto… Mmh, voglio andare a casa-

Sbuffò ed alzatosi, iniziò a togliersi la giacca e la maglietta tenendo in bocca la cicca.

-Che mi ami- lo corressi mentre si toglieva le scarpe e i calzini.

-Ti detesto, sei una marmocchia orrenda-

La lasciò cadere a terra, cambiando idea, e tolse la cintura dai jeans.

-Ti amo anch’io Axl…-

Si arrampicò sul letto e si rannicchiò addosso a me, legando le sue braccia, strette, alla mia vita e appoggiando la testa alle mie gambe.

-...Voglio andare a casa-

-Che stupido sei…-

Gli accarezzai i capelli.

Se avesse rinunciato di nuovo alla droga per me, allora forse sì, mi sarebbe bastato.

-Parla per te, stronzetta-

Perchè nonostante tutto quello che cercavo di raccontare a me stessa, il suo semplice esserci mi faceva vivere.

Fragile, in balia della mancanza, del bisogno. Ero persa.

Mi chinai baciandogli la fronte e lui mi strinse come se fossi la sua ultima ancora di salvezza.

-Perdonami Elizabeth…ti prego...-

-William, ho detto che ti amo, non ti basta?...- sussurrai, rannicchiandomi addosso a lui, come per lasciare il resto del mondo fuori e proteggerlo.

Insieme non eravamo persi.

-Grazie…-

Mi strinse.




 

Ci bastava.





 
 

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Capitolo 45
*** Motivazione ***


Motivazione
(Hate To See Your Heart Break - Paramore)









2 aprile 1987


 

Allungai le braccia e sbadigliai.

Che scomodità: dove diavolo avevo dormito?

-Mmh…-

Il peso di Axl mi schiacciava le gambe e la sua testa era ancora appoggiata al mio ventre. Nella luce del mattino il colore chiaro della sua pelle spiccava rispetto al resto della stanza e alla coperta che aveva finito per arrotolarsi addosso allo schienale del divano.

Trattenni un sorriso trovandomi a fissare il suo fondoschiena.

Bello lui.

Mi stropicciai piano gli occhi e mi guardai attorno.

Eravamo indiscutibilmente nel salotto della Hell House, cosa un po’ strana in quanto in genere le nostre serate si concludevano o in camera sua o da me…

Ah, Izzy e Mandy, giusto. Avevamo lasciato loro un po’ di pace.

-Non vi siete trattenuti, stanotte-

Alzai lo sguardo, incontrando gli occhi scuri del bassista. Dall’alto del suo metro e novantuno mi fissava con un sopracciglio alzato.

-Mmh, buongiorno…-

Proruppi in un altro sbadiglio, nascosto a malapena da una mano.

Trattenne un sorriso e si appoggiò con le braccia allo schienale.

-Credo che vi abbiano sentito circa tutti, soprattutto te-

-Non credo sia la prima volta che succede…-

-Io invece credo di sì. Da camera di Axl si sente poco e in genere non ci state mai, nel tuo appartamento non ci siamo quando vi date da fare-

-In effetti…-

In effetti forse era la prima volta che ci lasciavamo andare lì mentre gli altri erano a casa.

Portai una mano sul mio seno, sovrappensiero.

-Dov’è finito il tuo pudore, moretta?- Rise piano.

-Mmh, è roba mia, tocco quello che voglio- mi lamentai e lo guardai.

Stava cercando di evitare di guardare il mio corpo, ma i suoi occhi continuavano a scivolare addosso a me. Sorrisi, apertamente maliziosa.

-Mi lusingano le tua attenzioni, Duff-

-Se Axl viene a sapere che ti ho vista così mi cava gli occhi-

Accarezzai la testa del rosso e nascosi il seno con l’altro braccio.

Una delle sue mani si strinse lieve sulla mia pelle, facendomi capire che si, era sveglio e sì, probabilmente aveva voglia di cavargli gli occhi.

-Non ho ancora capito come tu abbia fatto a perdonarlo-

-Non è razionale, Michael, ho semplicemente un bisogno estremo di lui-

-Spero non solo per soddisfare la tua libido-

Sbuffò.

-Ecco, da questa tua frase si capiscono molte cose sai?-

Strinsi appena le labbra, senza togliere delicatezza nelle mia carezze per Axl.

-Che non sei soddisfatto sessualmente, che non ti va giù che io sia qui con lui, che non sei mai stato davvero innamorato di qualcuno-

-Accuse pesanti, Lizzie-

-Vedi in noi una sorta di incarnazione della lussuria e, beh, non posso dire che il nostro rapporto sia platonico… Ma il sesso è solo la massima espressione della nostra complicità. Stare sdraiati, sul divano a parlare per tutta la notte, ridere come degli idioti per idiozie, parlare del gruppo, di voi, di noi, piangere anche… Svegliarsi piangendo e trovare rifugio. Avere qualcuno a cui raccontarsi e a cui mostrare se stessi a trecentosessanta gradi; che ti capisce al volo anche se non hai detto nulla. Duff: il sesso è solo una parte, e non viene bene se manca tutto il resto-

Stette in silenzio, guardandoci.

-Abbiamo adottato una piccola poeta insomma…- concluse piano.

Le mani di William si erano allacciate di più alla mia vita e il suo respiro si era fatto più intenso, ma non voleva far capire al biondo di essersi svegliato.

-Dico solo quello che sento… e a fronte di questo… Lo conosci: per avere me è riuscito perfino a mettere da parte il suo dannato ego- trattenni un sorriso stringendo e tirando affettuosamente una ciocca dei suoi capelli rossi.

-Non so tutti i retroscena tesoro, fattostà che sentirvi scopare sul divano di casa mia e vederti nuda al mattino… un po’ lo invidio-

Ridacchiai.

-Uh, si, sono decisamente sexy-

-Già, già- confermò mettendosi dritto e stiracchiandosi.

-Corri in camera ora, ho intenzione di vestirmi-

-Credo di averti già vista nuda da capo a piedi quella volta che Slash e io abbiamo sbirciato nel bagno mentre ti stavi facendo la doccia-

Affilai lo sguardo mentre lui incrociava le braccia dietro la testa, innocente.

-Ah si?-

-Il neo che hai sulla chiappa sinistra piace anche a Rose?-

-McKagan, corri-

La voce di Axl lo sorprese: trattenne una risata e si nascose nella zona notte.

Sospirò, scaldando con il suo fiato la pelle della mia pancia e, finalmente alzando la testa.

-Il mio dannato ego?-

-Il tuo dannato ego-

Confermai sorridendo.










-- --- -- ---

^^
Sulla scia dell'entusiasmo per l'acquisto di oggi ecco qui il nuovo capitolo^^
Manca poco ormai alla fine, anche se la parola fine è difficile da mettere ovunque...

Grazie a tutti quelli che continuano a leggere e recensire, siete meravigliosi <3

A presto!

 

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Capitolo 46
*** Londra ***


Londra
(Mogwai - Take Me Somewhere Nice)

 










28 giugno 1987


 

-Credo ti fregherò questo-

Sfilai uno degli anelli che portava dal lobo del suo orecchio e lo infilai al mio.

-Mi piace, bello-

Mi contemplai allo specchio del backstage, mentre lui sbuffava e finiva di allacciare la cintura attorno alla vita, sopra i pantaloni di pelle che avrebbe portato quella sera.

Pantaloni viola.

Viola.

Viola!

-Ladruncola che non sei altro-

-Ti sei mai chiesto come mai ho così tanti accendini?-

Lo vidi alzare un sopracciglio e alzare il labbro in un ghigno.

-Cattiva ragazza… Sai che si fa alle cattive ragazze?-

Si avvicinò pericolosamente a me e strinse una mano sul mio sedere.

-Mmh, preferisco che tu me lo spieghi-

-Subito?- con l’altra sbottonò i miei pantaloni ed abbassò la zip.

-O mio Dio, ragazzi, vi prego, basta!-

Steven aprì la porta della stanza e vedendoci alzò gli occhi al cielo.

-Avrete fatto sesso in ognuno dei locali in cui ci siamo esibiti ultimamente, datevi una calmata! Dov’è finita la decenza? Il buonsenso? Elizabeth, su, che sei una brava ragazza!-

Scambiai uno sguardo complice con Axl e mi morsi il labbro perchè sì, il fatto che avessi iniziato a prendere la pillola ci aveva incoraggiato ad aumentare la nostra attività, ora che non servivano preservativi e si poteva arrivare fino…

-Axl mi ha corrotto-

Ridacchiai.

-Ormai è una donna di mondo, Pop Corn- non spostò le mani da me, anzi, ne cacciò una oltre la stoffa, provocandomi. Il tutto era furbescamente nascosto dal bordo troppo alto del mobiletto a cui eravamo davanti.

Alzai un labbro, eccitandomi e sorridendo storta.

-Ma voi parlate oltre a fare sesso, vero?-

-Da quando sei così preoccupato per la nostra relazione, Steve?-

-Da quando nove volte su dieci, quando vedo la mia migliore amica, ha la mano del suo ragazzo nelle mutande, se non altro- ci guardò pieno di sottintesi.

Axl sbuffò.

-Guastafeste-

Tornò a mettere le mani apposto, accertandosi però di farle scorrere esattamente dove sapeva non avrei potuto resistere.

Socchiusi gli occhi e sospirai profondamente, nascondendo alla meglio un sottile verso di apprezzamento.

-Dovevamo metterci in bagno- sussurrò al mio orecchio ed annuii.

-Bravi bambini-

-Ehilà moretta! Rose- Slash entrò esuberante battendo una pacca sulla spalla al rosso.

-Era sicuro che vi avremmo trovati qui- rise sotto i baffi.

-L’ha traviata, Slash: Axl ha traviato anche lei- affermò Steven con tono di disappunto, ma Slash si aprì in un sorriso complice rivolto al cantante.

-Ci sono se decidete di fare cose a tre- mi soppesò con lo sguardo, come aveva fatto già altre volte.

-Mi spiace, animale, ma al massimo potrei concederlo ad una ragazza, non a te-

Axl appoggiò il mento alla mia spalla tenendo quelle mani perfette sui miei fianchi.

-Io non credo potrei concederlo ad un’altra ragazza-

Inarcai un sopracciglio contrariata.

-Rimarrei a guardarvi-

Specificò a bassa voce solleticandomi leggero il lobo dell’orecchio destro.

-Temo di essere leggermente etero-

Portai le mani su quelle di Axl e le strinsi forte.

-E io temo che potrei scoprirmi deluso se sapessi che qualcuno ti sa soddisfare più di quanto faccia io-

Mi baciò la pelle e strusciò la guancia sulla mia prima di allontanarsi da me e mettere una delle sue magliette.

Lo guardai dall’alto in basso senza badare a Steven che giocava con le bacchette dall’altro lato della stanza e a Slash che si era comodamente stravaccato su una sedia aprendo senza alcun pudore il bottone dei suoi pantaloni.

-Devi proprio spararteli così i capelli?-

-Sì, devo proprio-

Sorrise tra sè, guardandomi attraverso lo specchio, ed iniziando a trafficare con un pettine.

-Biancaneve, passami la borsa-

-La mia?-

-Io non ne ho una-

-No, hai solo una specie di valigia…-

Alzai gli occhi al cielo prendendo la mia tracolla e posandola davanti allo specchio.

-...e come ci dovevo venire a Londra? Nudo?-

Rise piano rubando il mio beauty.

Gli pizzicai il sedere passandogli vicino.

-Tutto questo glam ti farà del male- commentai divertita e mi appoggiai alla parete dietro di lui.

-E non hai ancora visto la pelliccia-

-Hai davvero intenzione di metterti quella roba addosso Rose?-

Slash storse la bocca ravvivandosi i capelli all’indietro.

-Vado sul palco come cazzo voglio…-

Trattenni malapena un sorriso venendolo afferrare il contenitore degli ombretti ed applicarne un po’ sulla palpebra. Non ero così abituata a vederlo truccato.

-Stasera registriamo-

Aggiunse Steven battendo terzine sul mobile davanti a sè.

-Sì, ecco, cerchiamo di fare bella figura, grazie-

Quella sera registravano.

Già.

Lasciai che il mio peso andasse tutto a posarsi addosso al muro e mi rinchiusi nel silenzio mentre i ragazzi parlavano tra loro e i pensieri prendevano il sopravvento su di me.

Stavano diventando grandi, enormi.

Da dove eravamo poteva essere percepito il flusso di energia ed il vociare proveniente dalla folla in attesa, malapena soffocato dalle pareti e dalla porta chiusa.

Avevo paura.

Era fine giugno ormai.

Non riuscivo a staccarmi da loro ed avevo paura che loro iniziassero a scivolarmi dalle mani.

Axl decretò conclusa la sua opera sistemandosi al collo il fischietto per Paradise City e ripose i trucchi al loro posto.

Avevo paura che Lui mi scivolasse dalle mani.

Ricordavo in maniera perfetta il dolore che avevo provato quando avevo saputo del suo tradimento, e a volte avevo paura che il mio cuore avrebbe ceduto perchè lo volevo troppo, lo desideravo troppo, avevo troppo bisogno di lui.

Della sua semplice maniera di spostare i capelli dietro alle orecchie e del suo viso corrucciato, della sua voce profonda e della risata talmente palpabile da poterci sprofondare. Delle sue labbra, della sua pazzia. Della sua timidezza e sfrontatezza.

Di quei suoi occhi verdi che solo ora avevo realizzato essere fissi nei miei.




Stai bene?
 



Alzai l’angolo sinistro della bocca, stampandomi in faccia un sorriso di circostanza e scossi lieve la testa per dissolvere i miei pensieri e dare una risposta silenziosa alla sua domanda.

Eravamo rimasti soli, un po’ come quella prima strampalata volta in cui avevamo parlato.

In un backstage.

Chiusi gli occhi quando sentii le sue labbra addosso alle mie.



 

Annegami.

Dimmi che ci sarai.

Dimmi che non ti farò allontanare.


 

-Dopo facciamo un giro. Voglio godermi Londra con te, solo con te- bisbigliò, specificando al mio orecchio come avremmo trascorso la serata dopo il loro concerto.

-Va bene Will-

-Ora saliamo bimba-

-Ti amo-

Strinse una delle mani tra i miei capelli baciandomi ancora e rimase un attimo fermo, con la fronte appoggiata alla mia.

-Non devi avere paura Elizabeth. Non averne. Mai-

-Smettila di leggermi dentro, Mr. Rose-

Rise tra sè.

-Vado-

Mi salutò con un occhiolino e sparì sul palco.

 





 

Ora potevo piangere un po’.








 

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Capitolo 47
*** Rinascita - Prima Seduta ***


Rinascita - Prima Seduta
(Fix You -Coldplay)









 

3 luglio 1987


 

10.07
 

Era persa, dalla sera prima non riuscivo a farla tornare sulla terra. Non aveva dormito, quella notte, alzandosi ogni paio d’ore, uscendo in terrazza e tornando ogni volta dentro a svuotare il posacenere quasi pieno.

Avevo provato a distrarla, ma lei non voleva scendere dalle sue nuvole.

-Elizabeth, cosa fai?-

Continuò a svitare il tappo della bottiglia di sambuca, senza dar segno di avermi sentito, poi, una volta aperta, mi guardò e sorrise.

-Sono le 10.10-

-Un po’ presto per bere- le andai alle spalle e le baciai la testa.

-È questa: l’ora perfetta del giorno perfetto- rise piano, smettendo solo perché volevo rubarle un bacio.

Come temevo.

-Hai bevuto altro?-

Non poteva essere sobria.

-No- ridacchió, mentendo spudoratamente.

Presi la bottiglia e la richiusi.

-Axl io non ce la faccio senza un po’ di alcol in corpo oggi-

-Oh, si, ce la fai benissimo-

Si lasciò scivolare a terra mentre la svuotavo nel lavabo.

-William-

-No Elizabeth, se il patto è che tu non lasci che mi autodistrugga, beh, non permetterò che lo faccia tu-

-William, ti prego-

Appoggiai la bottiglia vicino ai fornelli e mi avvicinai a lei.

Era orrendo, il suono dei singhiozzi che cercava di soffocare; mi guardava negli occhi, con i suoi pieni di lacrime, pregandomi di farle dimenticare che stava vivendo, pregandomi di cancellarla.

-Non voglio sentire, non voglio pensare, e invece non riesco a farne a meno- squittì, abbassando il viso e lasciando che venisse coperto dai suoi capelli: una tenda nera che la separava dal mondo.

-Puoi spegnere la musica?...-

-Non c’è musica-

-Spegnila!- sbottò, poi si rannicchiò, come per nascondersi.

Le presi i polsi usando una sola mano e le baciai la testa, accarezzandola con l’altra.

-Non c’è musica- sentii le sue mani correre su di me e stringere convulsamente la mia maglietta.

-Non posso bere?- chiese, più piano, nascosta sul mio collo.

-Solo acqua o succo di frutta-

-Fumare?-

-Ti prenderai davvero il cancro, Elizabeth- sospirai.

-Almeno possiamo fare l’amore? Fare l’amore tutto il giorno?-

Mi guardò, implorandomi ancora.

Aveva gli occhi cerchiati per la notte insonne e per il trucco sfatto della sera prima, umidi, come le sue guance. Sulla carnagione, ancora più pallida del solito, erano evidenti le chiazze rossastre dovute all’emozione, e le labbra, tremanti. Le aveva mangiucchiate, spellandole quasi a sangue, ma mi mettevano voglia di prenderle, subito.

Nonostante agli occhi di chiunque altro sarebbe apparsa solo una ragazzina disperata, io sì, avrei fatto l’amore con lei tutto il giorno, pur di farle dimenticare il dolore, ma ero sicuro che non sarebbe stata la giusta medicina.

-Quando torniamo-

-Da dove?-

-Da un posto-

Non avrebbe accettato se glielo avessi detto in faccia.

-Vestiti, Biancaneve, dobbiamo fare un sacco di cose oggi-

Le baciai la fronte e mi alzai.

-Mi aiuti?-

La sollevai piano, senza proferire parola.

Entrai con lei nella doccia e la aiutai a lavarsi.

Mi soffermai sui suoi capelli e sulla sua schiena, passandole le mani sulla pelle cicatrizzata, massaggiandola, cercando di darle sollievo, ma inutilmente: non era il corpo in pericolo, era la sua mente.

L’acqua calda metteva ancora di più in rilievo il rossore della sua ferita: partiva da metà schiena, e si espandeva come fosse essa stessa fuoco. Una delle lingue terminava sulla sinistra, oltre la spina dorsale, una raggiungeva quasi il collo, la terza e più alta invadeva la spalla terminando sull’inizio della clavicola destra. La scapola era distrutta, lì sì, la pelle era più spessa.

La abbracciai.

Era la mia ragazza, e la ragione per cui avevo deciso di smettere di fare troiate troppo eclatanti, come farmi di coca. L’avevo ferita inutilmente, avevo giocato con lei un po’ troppo.

Ma lei mi aveva perdonato ed era rimasta.

Le dovevo il mondo.


Partimmo dopo esserci vestiti, diretti verso casa sua.









 

14.01
 

-Siamo in un cimitero, Will?-

Rimasi in silenzio tenendole la mano, finchè giungemmo alla lastra di granito davanti a cui ero stato insieme a suo padre il pomeriggio del Natale precedente.

-Eccoci-

-Perchè mi hai portata qui?- bascicò.

-Non c’eri mai stata, Ellie-

Inclinò la testa, abbassandola per nascondere un tremolante sospiro.

Strinse forte la mia mano per un attimo prima di lasciarla, quindi si avvicinò fino a sfiorare la fotografia.

-Ciao mamma-

Proferì in un soffio.

Uno, due, dieci, venti, trenta secondi di silenzio interrotti solamente da respiri pesanti.

Assicuratomi che ce la faceva a stare in piedi da sola feci qualche passo indietro.

Si stavano incontrando di nuovo. Madre e figlia.

Sperai che il suono della ghiaia sotto le scarpe non coprisse le sottili parole di aria che si stavano scambiando: volevo credere che tornando lì sarebbe finalmente riuscita ad affrontare sua madre e quello che era successo in modo diverso.

...e magari superarlo.

Strana riunione familiare.

Puntai gli occhi addosso a lei.

Cercai di osservarla tralasciando la preoccupazione che provavo, la paura che i suoi armadi potessero rimanere abitati dai soliti scheletri e lei perseguitata dalle sue ombre buie.

Dopo il primo attimo di sorpresa ed analisi si era abbassata fino ad appoggiare le ginocchia sulla pietra ed era scoppiata.

Mi feci forza per non soccorrerla.

Ce la poteva fare.


Ce la puoi fare.


Rimase china, per qualche minuto, piangendo, mentre le sue labbra si muovevano come se stesse bisbigliando qualche parola. Le sue spalle tremavano, scosse dai singhiozzi che quasi non le lasciavano il tempo di respirare.


Dopo quel che sembrò un’eternità, si asciugò le lacrime e rizzandosi, portò una mano al petto sospirando profondamente.

Finalmente calma, finalmente in pace.

Portai una mano alla bocca, nascondendo un sorriso di soddisfazione: stava funzionando.

Stava meglio, ed il merito era anche mio.


Mia.


Quando si voltò verso di me, sembrava più leggera.


Si avvicinò, congedandosi dalla tomba con una lieve carezza, e mi strinse di nuovo la mano.

-Avevi ragione-

Mormorò a bassa voce appoggiandosi al mio petto.

Ora non avevo più scuse per nascondere la mia espressione.

-Come sempre-

La circondai con un braccio stringendola a me e lei sospirò, riempiendo i polmoni di aria nuova.


Ed ora il resto.












 

18.37


-Dove siamo?-

-Ci vuole il migliore per te-

-Axl, dove siamo?-

-A Los Angeles, tesoro-

Mi teneva ancora per mano. Avevo parcheggiato sotto il suo appartamento e poi avevo iniziato a camminare con lei, impedendole di salire e di protestare.

-Grazie- sbuffò e si passò la mano libera sul viso.

-Ho mal di testa, Will-

-Perchè hai pianto troppo e bevuto troppo…-

La avvicinai di più e poi mi fermai davanti al negozio.

-Ci siamo-

Alzò lo sguardo sulla vetrina e spalancò appena le labbra, incredula.

-Ricordi, ne avevi parlato qualche tempo fa. Ora credo che tu sia pronta-

-Credevo che non mi avessi ascoltato- sussurrò.

-Tu sottovaluti il mio potere-

Sorrisi tra me e la strinsi.

Solo perchè la stavo facendo stare bene ed avevo la sua pelle e tutta lei a portata di lingua, ciò non voleva dire che avessi dimenticato quello che aveva detto.

-Avanti, entra-

Le tenni la porta e lei mi precedette all’interno, guardando i quadri e le foto alle pareti.

-Io non so cosa fare Axl… Non c’è un significato, non c’è un senso-

-Sì, c’è, devi solo fidarti ...prendilo come un regalo da parte mia-

La strinsi da dietro e le baciai una spalla, prima che il proprietario si avvicinasse a noi.

Ci continuavo a pensare da quando eravamo saliti in auto e un’idea si era impadronita di me in maniera prepotente: era suo, avevo chiaro in testa quello che volevo per lei, quello che lei era.

-Ti amo, lo sai?- mormorò.

Risi piano.

-Spero me lo dirai anche quando sarà finito-









 

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Capitolo 48
*** Rinascita - Seconda Seduta ***


Rinascita - Seconda Seduta
(Fifteen Fathoms, Counting - Bring Me The Horizon)








 

Continuavo a rifiutarmi di guardarmi allo specchio e di togliere la benda.

Non volevo sapere che cosa Axl avesse pensato per me fino a che non fosse stato finito.

-Sta venendo bene?-

Joe rise continuando ad armeggiare con i suoi attrezzi.

-Sì, decisamente sì. Il tuo ragazzo ha scelto un disegno perfetto-

-La cicatrice non è un problema?-

-Bisogna stare più cauti, l’inchiostro e il colore sono leggermente diversi rispetto a ciò che userei di norma, ma è perfetto-

-Chissà cos’è…- sospirai, chiudendo gli occhi.

-Raccontami la tua storia, intanto-

-La mia storia?-

-Sì Elizabeth, voglio provare a capire se davvero è questo il disegno per te-

Strinsi le labbra indugiando per un momento, poi sbirciai la zazzera scura e mossa di Joe e mi scappò un sorriso. Quel ragazzo era un personaggio, ed era parecchio bravo nel suo mestiere a giudicare di com’era gestito l’ambiente attorno a noi.

E poi si stava occupando lui di me.

-Va bene-

Presi un bel respiro ed iniziai a raccontare, dal principio fino a quando lui ebbe le mani troppo stanche.

-Finiamo la prossima volta, manca poco tesoro-

Crema e fasciatura.

La scapola mi doleva, ma non mi importava.

-Grazie-

Tornai a casa.











 

Axl era dannatamente impegnato a promuovere il nuovo album con concerti, interviste, servizi.

Faceva base a casa mia perchè diceva che solo lì riusciva a trovare il riposo che gli serviva.

Rientrava tardi, stanco, ma riuscivamo a cenare insieme, a parlarci ed a confortarci l’uno con l’altra.

Gli avevo confessato di voler lasciare in sospeso i miei lavori e partire: provare a parlare con papà, con Annah, recuperare Adriana dalla tossicodipendenza sempre più grave. Ricostruire i nostri rapporti e ricostruire me, sperando che farlo mi avrebbe indicato una strada da seguire nella mia vita come lui aveva trovato quella dei Guns.

Loro sarebbero partiti presto e la paura che avevo provato al concerto di Londra si faceva sempre più presente.

Non ne parlavamo.

Godevamo i nostri ultimi giorni come se ci aspettasse una vita insieme davanti, ma non era così, ed entrambi, in ogni attimo passato insieme, ne prendevamo sempre più consapevolezza.








--- --- ---

Perdonate l'immenso ritardo. 
Vi lascio così per la fine dell'anno, a due capitoli dalla fine di questa storia. 
A dir la verità oltre ad essere presa da questo periodo di pausa, forse sto cercando di rimandare l'ultimo momento che beh, arriverà molto presto.
Grazie a tutti quelli che continuano a seguire la storia e fanno sentire la loro voce.

Buona fine, buon inizio 


Anita

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Capitolo 49
*** Rinascita - Terza Seduta ***


Rinascita - Terza seduta
(Infinite Horizon - God is an Astronaut)










 

-Un mese fa, all’anniversario, stavo per ridurmi ad un’ameba, come facevo sempre da quando è successo, incapace di sopportare il ricordo, invece Axl mi ha fermata. Mi ha impedito di farmi del male e inaspettatamente mi ha portata al cimitero del mio paese-

Quattro anni dopo l’incidente avevo rivisto mia madre.

-Mi ero sempre rifiutata di andarci, sommersa dal senso di colpa. Come ti dicevo l’altra volta, non avevo avuto neppure il coraggio di andare al funerale: mia mamma era morta per colpa mia, dopotutto…-

Sospirai.

-Invece quando mi sono trovata da sola davanti alla tomba ho sentito che non era colpa di nessuno. Ho sentito che era inutile scavarmi la fossa. Ho sentito mia madre perdonarmi e dirmi di vivere al meglio quello che ho, e di ricordarla viva, non riversa nell’auto, solo corpo senz’anima-

Era stato strano.

Sapevo di non averlo spiegato bene, ma non potevo descrivere a parole quello che avevo sentito.

La forza di mamma che avevo dimenticato, le sue parole che avevo lasciato seppellire insieme a lei erano improvvisamente riapparse. Non c’era solo la perdita, non c’era solo l’incidente: c’era tutto quello che mi aveva insegnato i bei momenti, da ricordare ridendo, non tra le lacrime; c’era la persona che ero diventata e c’era William, che mi dava forza anche solo sostenendomi con il suo sguardo.

-Ho smesso di piangere-

-E poi… Axl mi ha portata qui- finii il racconto.

William… Axl.

Non avevo omesso nulla, descrivendo tutto ciò che ricordavo di quello che avevo vissuto.

-Ha scelto la cosa giusta, è il tuo disegno, sei davvero tu-

Appoggiò gli strumenti, pulendomi la pelle.

-Abbiamo finito Elizabeth-

Mi alzai.

-Davvero?-

-Ora credi che ti guarderai allo specchio?-

-Sì dannazione, sì-   









 

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Capitolo 50
*** Fine ***


Fine
(Please Don't Cry - Cigarettes After Sex)






 

4 agosto 1987
 

 

Era arrivato.

Era arrivato il giorno della partenza.

L’avevo convinto a fare le valigie la sera prima in modo da poter trascorre la mattina con relativa calma. Relativa perchè entrambi continuavamo a fare finta di niente mentre i nostri cuori si sforzavano e battevano ancora più forte, cercando di prevalere sui nostri pensieri.

 

L’aeroporto era colmo di persone.

Mettendo piede nell’atrio però distinsi immediatamente il profilo dei quattro pazzi che insieme all’uomo al mio fianco, avevano contribuito a cambiarmi la vita.

-Elizabeth!-

-Ciao Steve- salutai con una mano, mentre l’altra rimaneva incollata a quella di Axl.

-Moretta, parti con noi?-

Slash si sistemò in testa il cilindro e si sfregò i palmi soddisfatto.

-Magari-

-Siete in ritardo comunque, il boss ci vuole già all’imbarco-

Izzy sbuffò spiegando la situazione.

-Allora io, beh…-

Lasciai la presa in fretta, come se mi fossi appena scottata.

Ignorando totalmente Axl iniziai a salutare i ragazzi a partire da Slash, Izzy…

Duff mi strinse sollevandomi. Risi, ma stavo soffocando.

Paura.

Panico.

Stavano andando via.

Stava andando via.

Steven aggrottò le sopracciglia quando mi presentai davanti a lui.

-Ragazza, beviti una camomilla-

Mi piazzai un’espressione felice sulla faccia, cercando di essere convincente.

I primi tre stavano iniziando a trascinare via i bagagli, Lui era ancora al mio fianco, faceva oscillare il peso del suo corpo spostandolo da un piede all’altro.

-Sono tranquilla, so che farete i bravi-

Bugia.

-Guarda che ti conosco bene-

Alzò gli occhi al cielo.

-Ok che sono svampito, ma non così tanto- mi punzecchiò un fianco e mi fece l’occhiolino.

-Ci sentiamo per telefono cara. Vi lascio soli-

Fece qualche passo indietro e si girò dandomi le spalle.

-Bimba, dobbiamo parlare-

Eccoci.

Annuii in silenzio abbassando la testa.

Mi prese per mano e camminammo fino a nasconderci dallo sguardo indiscreto dei suoi migliori amici, che ancora non erano abbastanza lontani da noi.

-Sarà un tour lungo e una vita piena-

Sciolse l’intreccio di dita ed appoggiò l’indice sotto il mio mento applicando una lieve pressione.

Una volta che il mio viso fu rivolto totalmente verso il suo, fece scontrare per l’ennesima volta il suo verde e il mio blu, spostando le mani sulle mie spalle ed avvicinandosi perchè nel nostro campo visivo non ci fosse nient’altro se non noi stessi.

-Siamo dei ragazzini che si stanno per avventurare in una realtà in cui rischiamo di annegare, tu lo sai, io lo so e non voglio mentirti-
 

Mi stava lasciando.


-Perchè potrebbe succedere in ogni momento, di essere ubriachi, incoscenti, di trovare altre persone ed altre cose.. io non voglio sminuire te ma non voglio nemmeno finire come a gennaio. Quando sono scoppiato e ti ho tradito... - si passò una mano sul viso, incapace di proseguire.

-Sei la persona più importante della mia vita e guarda cosa cazzo mi tocca fare adesso: scegliere tra te e…-

E la musica, e il successo ...il sogno della sua vita.

Portò la mano alla bocca in un gesto di stizza e poi entrambe sulle mie guance, facendo aderire la fronte alla mia e chiudendo gli occhi come sempre quando i nostri pensieri erano troppo forti e non sapevamo che parole usare.

-Elizabeth, io…-

-Va bene così- conclusi al posto suo, flebile, interrompendolo.

Smise di cercare parole e mi guardò in faccia.

-Va bene così- ripetei, già più sicura di me, anche se le lacrime che stavo trattenendo rischiavano di soffocarmi da un momento all’altro.

Era il suo sogno. Era per lui.

Lo vidi squadrarmi e quindi convincersi che ero sincera, poi fui sorpresa dal suo abbraccio.

Le sue braccia attorno al mio corpo, strette, per rimettermi insieme un’ultima volta e per assicurarsi che la colla si fosse saldata tra un pezzo e l’altro erano calde, forti. Il suo viso si nascose tra i miei capelli, inspirandone il profumo ed impedendomi di vedere la smorfia che sentivo chiara mentre lo appoggiava alla mia pelle; il mio fece lo stesso sul suo petto e le mie lacrime iniziarono ad inzuppare la sua maglietta.

Sentii la mia pelle inumidirsi: stava piangendo anche lui.

-Ti amo Elizabeth-

-Anch’io William…Ti amo-



 

Eravamo stretti come mai prima di quel momento, ma ora eravamo liberi.


















-- -- -- -- -- -- -- -- 



Bene gente: sappiate che rischio seriamente di bagnare la tastiera scrivendo queste ultime righe.
Io vorrei ringraziarvi tutti per essere arrivati fino a qui: grazie a chi ha letto, a chi ha recensito, in particolare a Tetide e Caskett_Always che si sono fatte sentire con costanza, a chi ha messo tra le seguite, tra le preferite... 
Questa è la prima long che porto a compimento, e dannazione, sono schifosamente emozionata: scrivere di Elizabeth mi ha fatta crescere, mi ha fatto iniziare un progetto e portarlo a termine, mi ha fatto incontrare delle persone speciali ed avvicinarmi ancora di più a chi era già vicino. 
Grazie per aver condiviso tutto questo con me.


Alla prossima.. Elizabeth ed Axl hanno ancora una vita davanti a loro, no?

Un abbraccio

Anita








...I want to stay but now it's time so
Please don't cry my love...






 

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