A volte le cose non avvengono per caso.

di lasognatricenerd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 - William. ***
Capitolo 2: *** 2 - James. ***
Capitolo 3: *** 3 - William. ***
Capitolo 4: *** 4 - James. ***
Capitolo 5: *** 5 - William. ***
Capitolo 6: *** 6-James ***
Capitolo 7: *** 7 - William. ***
Capitolo 8: *** 8 - James. ***
Capitolo 9: *** 9 - William. ***
Capitolo 10: *** 10 - James. ***
Capitolo 11: *** 11 - William. ***
Capitolo 12: *** 12 - James. ***
Capitolo 13: *** 13 - William. ***
Capitolo 14: *** 14 - James. ***
Capitolo 15: *** 15 - William. ***
Capitolo 16: *** 16 - James. ***



Capitolo 1
*** 1 - William. ***


Il primo giorno di scuola del terzo anno di superiori era iniziato e William era già davanti alle macchinette del corridoio. Quella mattina si era svegliato troppo tardi – come al solito – e non era riuscito a fare colazione visto che era praticamente corso fuori casa come un dannato. Aveva preso la cartella che non aveva palesemente preparato il giorno prima, era inciampato due o tre volte per le scale e poi era corso fuori per evitare di perdere l’autobus. Ovviamente lo aveva perso, quindi si era dovuto fare tutta la strada di corsa, arrivando a pelo con la campanella, anche se tutto sudato. Non che gli dispiacesse; era il solito a fare una corsa pomeridiana per tenersi in forma, ma considerato che erano le sette del mattino, faceva un freddo bestiale e lui era ancora assonnato, non ci teneva poi così molto.

Le ragazze si erano subito appiccicate alle sue braccia senza un attimo di esitazione, chiedendogli come fosse andata la sua estate. Dio, ma quanto erano strazianti! Sicuramente la sua estate era andata meglio, visto che non aveva tutte quelle ochette attorno a rompergli il cazzo. Ovviamente fu molto più fine, anche se non troppo. Le liquidò con un “ragazze, nemmeno quest’anno vedrete il mio cazzo.” e poi entrò in classe con un certa nonchalance. Non aveva notato le loro facce e sinceramente nemmeno gli interessava vederle, per questo era passato avanti. Il professore, grazie al cielo, non era ancora arrivato in classe, quindi gli diede il tempo di riprendere almeno un po’ di respiro.

Salutò uno dei suoi migliori amici, Alastairs, e poi si girò verso l’altro. Era bello stare con loro; li conosceva da tre anni oramai, da quando… praticamente da quando Jem se n’era andato. Quel pensiero lo prese in contropiede, perché era successo ancora; lo aveva sognato ancora quella notte. Ogni notte di ogni primo giorno di ogni cazzo di anno, per lui era un trauma. Un giorno, una volta, non era così. Cominciare la scuola significava avere James come amico di banco, stare con lui a ricreazione, parlarci, giocarci. Significava tante di quelle cose…

Ma poi lui se n’era dovuto andare. Si era trasferito in chissà quale città, con chissà quale numero, in chissà quale casa e non si erano più visti. Non sapeva se la colpa fosse sua, o dei suoi genitori. Sapeva solamente che aveva una malattia, ma nient’altro. Jem non gliene aveva mai parlato ed il moro era rimasto ferito da tutto ciò. Eppure non aveva fatto domande, no. Si era opposto alla sua partenza, ma purtroppo non aveva potuto fare niente, perché sembrava necessario partire.

E così non si erano più sentiti. James era letteralmente scomparso dalla sua vita com’era entrato quella volta in cui il pallone era entrato nel proprio giardino, ed un bambino dal suo stesso colore di capelli, si era affacciato al cancello per chiedere scusa. Era stato quello il giorno in cui si erano incontrati per la prima volta e William non avrebbe mai potuto dimenticare. Poi, da quando era entrato nella sua vita, le cose avevano cominciato ad andare meglio, come se potesse essere felice per sempre.

E di nuovo, quando se n’era andato, tutto aveva cominciato ad andare male. William aveva iniziato le superiori ed aveva fatto amicizia con questi due ragazzi così diversi da lui, ma, piano piano, si era abituato a tutto. Non diceva di fingere, voleva bene ad entrambi, ma nascondeva ciò che era davvero. Non avrebbe mai detto loro che si divorava i libri, che studiava seriamente, che aveva un sacco di hobby che molti avrebbero chiamato “da secchioni.” Purtroppo, William, era un tipo che badava troppo a quello che le persone dicevano ed era per questo motivo che oscurava tutta la verità che gli girava attorno.

“Herondale?” Una voce fin troppo conosciuta lo richiamò, rendendosi conto che oramai la professoressa di inglese era entrata in classe. Dio santo quant’era brutta! Il ragazzo si rizzò sulla schiena ed alzò un sopracciglio in segno di sfida. “Che cosa ho detto?” Il moro fece spallucce, appoggiando poi entrambi i gomiti sul banco senza farci troppo caso. “In realtà non lo so.” Ribatté, cacciando una piccola risata dalle labbra, sentendo l’altro suo migliore amico, Marcus, ridere.

“Quest’anno ti voglio attento o in quarta non ci arrivi.” Ogni anno era la solita ramanzina del cazzo. “Sì, sì.” Disse a bassa voce, passandosi poi una mano fra i capelli per metterci i ricci apposto. Sarebbe stata una lunga giornata.

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“Ehy, Will, dai, vieni!” Un amico di Alastairs lo strattonò per la manica della maglia, trascinandolo verso il corridoio del secondo piano. “Che cosa c’è?” Si lamentò con fare quasi disperato, notando che c’era qualcuno accalcato infondo al corridoio. Non capì all’istante che cosa succedeva, finchè non notò Alastairs e Marcus prendersela con qualcuno che era le macchinette. “Dai, dacci dei soldi. Oppure la merenda.” William sorrise; erano i soliti a fare quel tipo di bullismo. Il moro si fece strada fra le persone, passando poi lo sguardo verso il ragazzo. Il suo cuore si fermò completamente, facendolo tremare.

– No, ti prego. No. – Le parole che si ripeté mentalmente furono orribili. Voleva morire, in quell’istante. Il ragazzo che stavano prendendo di mira, al quale avevano appena dato uno strattone, era James Carstairs. Era il suo Jem. Era lui, William ne era sicuro. “Ragazzi, basta. Non vedete che non ha soldi?” Alastairs e Marcus si girarono verso di lui con uno sguardo piuttosto interrogativo. “Forza, io credo che ci sia altra gente a cui spillare soldi. Perché perdiamo tempo con gente del genere?” Sperò vivamente che potesse convincerlo. Intanto il suo cuore batteva all’impazzata, ma faceva di tutto per non incrociare lo sguardo dell’altro. Se fosse successo, sarebbe crollato decisamente sul posto.
Gli altri due annuirono. “Ah, per fortuna che ci sei tu di intelligente!” Esclamò Marcus, mentre lasciava andare James e si dirigeva da qualche altra parte, seguito da Al. William sospirò, alzando finalmente gli occhi verso l’altro. Dio mio, dio mio, era davvero lì. Per un attimo fu tentato di parlarci, ma era meglio di no. Potevano vederlo. Dunque, con un cenno appena accennato del capo, si girò e se ne andò via.

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Capitolo 2
*** 2 - James. ***


“Guarda dove metti i piedi!” Stavo camminando per la mia strada, in cerca del corridoio che mi era stato indicato in segreteria, quando un ragazzo piuttosto corpulento urtò la mia spalla facendomi barcollare. Avrei potuto ribattere che era stato lui a venirmi addosso, non di certo io, ma decisi di starmene zitto e fare finta di nulla così liquidai lui e i suoi due amici con un gesto del capo e continuai per la mia strada anche se dopo neanche due passi veni nuovamente bloccato.

“Ehi, ma sei nuovo? Ragazzi, abbiamo un novellino!” i tre ragazzi si avvicinarono e mi bloccarono la strada sorridendomi con fare amichevole ed interessato, come che non avessi capito quali fossero le loro vere intenzioni.
“E’ il tuo primo giorno?” La voce del ragazzo che mi aveva urtato, quello con i capelli neri laccati e gli occhi castani, diventava sempre più fastidiosa ad ogni parola.
“Sì, sono arrivato oggi e sono già in ritardo, per cui se non vi dispiace…” dissi cercando di farmi largo tra i tre, senza riuscirci.
“Sì, ci dispiace. Ti accompagniamo noi alla tua classe!” disse l’altro ragazzo, quello più basso con i capelli biondicci e chiari problemi di acne. “Grazie, ma penso di riuscire a trovarla benissimo da solo.”

Il mio secondo tentativo di uscire da quella infelice situazione andò in fumo quando il ragazzo moro mi strinse il braccio e mi diede uno spintone contro il muro del corridoio: “Ehi, è così che ringrazi qualcuno che si offre di darti una mano?! Forse è il caso che mettiamo in chiaro come funzionano le cose in questa scuola, che dici?!” disse con una risata di trionfo, prontamente imitata dagli altri due.

“Temo di aver capito benissimo come funzionano le cose! Potreste cortesemente togliermi le mani di dosso e lasciarmi andare, ora?” I tre si guardarono con complicità, cosa che no mi piacque affatto. Ci risiamo. Non era così che avevo immaginato il mio primo giorno di scuola in Inghilterra, ma avrei dovuto aspettarmelo: quale preda migliore di un nuovo arrivato dall’aria pacifica e solitaria per un gruppo di liceali invasati? “Facciamo così, se ci darai il portafoglio e la merenda ti lasceremo andare!” Il portafoglio e la merenda. Sul serio? Se non mi fossi trovato in quelle circostanze probabilmente mi sarei messo a ridere: insomma, quelle erano cose che si chiedevano alle elementari! Mi sarei aspettato qualcosa più del tipo ‘se ci farai i compiti per il resto dell’anno potremmo anche decidere di lasciarti in pace’. Alzai gli occhi al cielo, stufo di quella messinscena, e con un ‘permesso’ sibilato tra i denti mi feci largo tra i tre ragazzi, lasciandoli per un attimo stupiti. Neanche due secondi dopo, però, mi ritrovai con la schiena attaccata al muro e un forte dolore al polso, che nel frattempo era stretto intorno alle dita del più grande, mentre l’altro gli dava manforte e il terzo mi strappava lo zaino dalle spalle.

“Non ho niente, potete cercare quanto vi pare!”

“Forse non sono stato chiaro! Voglio il tuo portafoglio, ora.” ripetè il moro. Il biondo mi diede un calcio nel polpaccio, facendomi stringere i denti dal dolore. Mio malgrado la situazione si stava mettendo male: ci ero già passato più di una volta e sapevo bene come funzionavano certe cose, per cui sapevo anche che in circostanze del genere c’era poco da fare. Se non fossi stato solo, forse … ma non conoscevo nessuno e la maggior parte dei ragazzi probabilmente non si sarebbe inimicato tre tipi del genere per un perfetto sconosciuto. Proprio quando gli spintoni cominciavano a farsi un po’ troppo violenti una voce fin troppo familiare mi fece spalancare gli occhi dallo stupore: “Ragazzi, non vedete che non ha soldi?”

Will. Non potevo crederci: William Herondale, il mio migliore amico, il ragazzo che da sempre avevo considerato come un fratello e che avevo sperato con tutto me stesso di rincontrare, era proprio di fronte ai miei occhi. Proprio come me, non era più un bambino: i capelli neri e ricci gli ricadevano scomposti sulla fronte, mettendo in risalto gli occhi azzurri e luminosi, mentre le spalle si erano allargate e un filo di barba quasi impercettibile gli decorava il mento e la mascella. Lo guardai ma non feci in tempo a sorridergli che lui distolse lo sguardo e disse che ‘non valeva la pena perdere tempo con uno come me’, suscitando l’ilarità generale degli altri tre che con riluttanza mi lasciarono andare. Li vidi sorridersi e scambiarsi pacche sulle spalle come si fa tra amici, ma la cosa che più di tutte mi spezzò il cuore fu vedere Will, il mio Will, voltarmi le spalle senza nemmeno battere ciglio. Rimasi in piedi, appoggiato al muro per riprendere fiato, mentre li guardavo allontanarsi e scomparire in fondo al corridoio: cosa era successo in quei cinque anni di assenza?

Ripensai al bambino dal volto angelico che abitava di fianco a casa mia, con cui avevo trascorso i migliori momenti della mia vita e che avevo cominciato a conoscere meglio di me stesso. Ripensai a quando ero stato costretto a lasciarlo da solo a causa del peggioramento del mio asma, per il quale mi ero dovuto trasferire in un luogo più adatto alle mie condizioni. Quel bambino non era più il ragazzo che avevo visto poco prima: qualcosa lo aveva cambiato, lo aveva portato a fare le amicizie sbagliate, forse, oppure … Troppi pensieri affollarono la mia mente impedendomi di ragionare lucidamente: dovevo capire quale fosse la situazione, come dovevo comportarmi con lui, cosa eravamo diventati … ma dovevo chiarire queste cose con lui. Mi chinai per recuperare i fogli che erano scivolati fuori dal mio zaino e, dopo aver rimesso tutto a posto, mi feci forza e avanzai lungo il corridoio in cerca dell’aula di scienze, chiedendomi se mai io e Will saremmo potuti tornare ad essere quello che eravamo prima che partissi.

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Capitolo 3
*** 3 - William. ***


Vedere James gli tolse completamente la concentrazione nell’arco delle altre quattro ore che seguirono. Non riuscì a stare attento nemmeno per un secondo e non ascoltò nemmeno quello che gli dovevano dire gli altri due. A dire la verità, del mondo circostante, adesso, non gliene poteva fregare un emerito cazzo. Continuava a pensare a quegli occhi che si erano posati sulla propria figura, occhi che non potevano davvero credere a quello che effettivamente stavano guardando. Perché William aveva reagito in quel modo? Perché non si era fermato ad aiutarlo? Cioè, molto implicitamente l’aveva fatto se si considerava il fatto che li aveva fermati nel fare qualcos’altro, ma… Poteva essere considerato un gesto dettato da tutt’altro che aiuto. Non sapeva cosa, ma aveva paura. Un terrore atroce si impossessò di William facendolo tremare sulla sua stessa sedia. Era stato uno stronzo a comportarsi in quel modo.

Non sarebbe più riuscito a guardarlo negli occhi, o a parlargli o ad avere anche solamente il più minimo contatto. Non ci sarebbe riuscito, perché molto probabilmente ora avrebbe fatto schifo a James. O forse no; conosceva bene quel ragazzo e sapeva quanto fosse una persona meravigliosa. Difficilmente lo si vedeva arrabbiato, o triste, o alterato. Non era mai successo, anzi, era sempre stato Jem a calmare William in qualsiasi situazione. Il moro era sempre stato quello più vivace o scalmanato, quello che si metteva sempre nei guai. Da quando se n’era andato, poi, era caduto in uno stato angoscioso dal quale era uscito solamente comportandosi in quel modo; da vero stronzo.

Solitamente William non badava troppo agli altri due e non faceva più di tanto. Preferiva rimanere in seconda fila, mentre diceva ad Alastairs di non fare troppo male a chi veniva preso di mira. Non dovevano toccarli, non potevano far male, dannazione, erano comunque in una scuola e sarebbero potuti finire nei guai! Loro invece, molte volte, ci andavano giù pesante, anche se William non era mai andato nei casini per loro due ed era davvero una cosa meravigliosa. Per fortuna nessuno dei due se l’era mai presa e più volte avevano chiesto a William di fare il lavoro sporco, perché se fosse stato richiamato non gli avrebbero fatto niente.

Lui, però, non ne voleva sapere niente. Per quanto fosse loro amico, comunque, ci teneva ad andare bene a scuola, ad avere dei voti alti e tutto il resto. Non aveva intenzione di perdere degli anni solamente per delle merendine; una cosa così idiota non si era mai vista. Eppure, William, non sapeva che fare. Da quando James se n’era andato, lui aveva preferito chiudersi in se stesso, non facendo più entrare nessun altro nella sua vita. Non voleva un’altra delusione. Che poi non aveva mai pensato fosse stata colpa di James la sua scomparsa, molto probabilmente erano stati i suoi. Sapeva quanto avessero paura di perderlo e dunque erano corsi via, senza dargli il tempo di salutare William.

“Herondale, per caso crede che il primo giorno di scuola sia solamente ora di ricreazione?” La voce del professore di matematica gli entrò direttamente in testa facendolo scattare. All’inizio rimase immobile, senza dire niente. Poi scosse il capo e si alzò, facendo un rumore assordante con la sedia. “Esco.” Disse senza aggiungere altro, correndo quasi fuori dalla classe. Non era certamente pronto a tutti quei pensieri, tutti in una volta. Già quella notte aveva fatto fatica a dormire, se significava vedere anche Jem… Il tutto andava letteralmente a puttane.

Si ritrovò in bagno, la porta chiuse a chiave e la schiena appoggiata alle piastrelle congelate. Più cercava di trattenere le lacrime più queste sgorgavano. Non poteva ritornare in classe con quella faccia sconvolta. Sarebbe stato un delirio. Che stupido! Aveva lasciato tutto in classe. Ma come gli era saltato in mente di fare una cosa del genere? Avrebbe dovuto prendere su la cartella, così sarebbe potuto uscire… Ed invece no, avrebbe dovuto aspettare. O forse no. Prese il cellulare dalla tasca e scrisse ad Alastairs. – Prendi la mia roba e portamela oggi pomeriggio a casa, grazie. x –

Si ritrovò, dunque, seduto a terra, la testa fra le gambe e le lacrime che gli colavano lungo le guance, bagnandole. Non si soffermò troppo a pensare se qualcuno poteva sentirlo, ma la voglia di piangere era troppo grande per non farlo. Tratteneva tutto da troppo tempo. La notte voleva piangere, ma poi non ci riusciva. Si alzava con gli occhi bagnati e nemmeno si era reso conto di piangere durante il sonno. Non poteva succedere ancora…

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Capitolo 4
*** 4 - James. ***


Il mio primo giorno in quella nuova scuola fu più lungo e devastante di quanto mi sarei mai aspettato. In genere ero un tipo socievole, mi piaceva conoscere nuove persone, fare nuove amicizie, ma dopo quello che era successo in corridoio non avevo per niente voglia di socializzare, né tantomeno di ascoltare quello che avevano da dire gli insegnanti.

La mia testa era piena di domande che necessitavano risposte e questo mi distraeva da qualunque cosa non fosse Will: cosa gli era successo? Perché si era comportato in quel modo? Mi era bastato guardarlo in faccia per capire che qualcosa non andava e se da un lato il suo comportamento mi aveva ferito, dall’altro ero seriamente preoccupato per lui. Ogni volta che suonava la campanella di fine lezione mi precipitavo nel corridoio: sapevo che così facendo avrei rischiato di ritrovarmi davanti ai suoi amici decerebrati, ma se questo significava rivedere Will avrei rischiato volentieri.

Dovevo parlagli, assolutamente. Lo avevo cercato ovunque, quella mattina, ma di lui non c’era traccia. Era ormai iniziata la quinta ora quando, preso dallo sconforto, decisi di uscire dall’aula per rinfrescarmi un po’ le idee: mi sembrava di esplodere e avevo bisogno di stare da solo così approfittai del mio essere ‘nuovo’ per convincere l’insegnante di inglese a lasciarmi uscire. I corridoi erano praticamente deserti e mi presi qualche attimo per godere di quel silenzio ristoratore, silenzio che venne ben presto interrotto dalla porta del bagno dei maschi che si spalancò di botto proprio davanti al mio naso. Non ebbi il tempo di scostarmi che qualcuno uscì di corsa venendomi addosso e imprecando tra i denti: avrei riconosciuto quella voce ovunque, sebbene fosse diventata più spessa e roca di come la ricordavo.

“Ehi, va tutto…” mi ci vollero pochi secondi per realizzare chi fosse il ragazzo contro cui mi ero scontrato, quello che aveva appena sollevato lo sguardo su di me con un moto di stupore. “Will!?” il mio volto si aprì in un sorriso sincero e spontaneo, sorriso che comparve anche sul suo volto prima che ci stringessimo in un lungo abbraccio.

“Ti ho cercato dappertutto…” la voce mi tremava, gli occhi pungevano e riavere il mio migliore amico lì, stretto tra le mie braccia, mi fece sentire immediatamente vivo come non mi sentivo da tempo. Era così strano ritrovarsi dopo tanto tempo, cresciuti e cambiati entrambi ma pur sempre noi stessi… Lo sentii sussurrare qualcosa e poi le sue mani mi spinsero delicatamente via: fine dell’incanto. Lo guardai con fare interrogativo ma tutto quello che ricevetti in cambio fu uno sguardo spaventato, confuso e carico d’angoscia.

“Will…?” Feci per andargli incontro ma lui scosse la testa e mise le mani avanti indietreggiando di qualche passo, intimandomi di non avvicinarmi. All’improvviso provai qualcosa che raramente avevo sperimentato, specialmente verso William: rabbia.

Come poteva allontanarmi così, dopo tutto quello che avevamo passato? Si era forse dimenticato di quanto fossimo legati? Si vergognava di avermi come amico, ora che ne aveva trovati di nuovi? No.. non poteva essere quello, ma qualunque fosse il motivo di quel comportamento non potevo fare a meno di sentirmi ferito e… arrabbiato. Arrabbiato con me e con lui, frustrato per quella situazione così anormale. Prima che potesse voltarmi le spalle, prima che potessi controllarmi, feci uno scatto in avanti e gli afferrai il braccio con una forza che non pensavo nemmeno di avere.

“Che ti prende, eh?! Ora non mi parli nemmeno più? I tuoi nuovi amici non ti vorrebbero più se sapessero che mi conosci, è così? Sei davvero disposto a mandare tutto all’aria per quei tre idioti?” forse stavo esagerando, non era da me comportarmi così, tanto che anche Will sembrò sorpreso di ritrovarsi con le spalle contro il muro e le mie mani strette intorno al bordo della maglia.

Il suo silenzio mi fece innervosire ancora di più: “Will, dannazione, guardami! Perché non vuoi parlarmi? Dammi una buona ragione e giuro che ti lascerò in pace, se è davvero quello che vuoi…” a quelle parole sentii le sue mani, rimaste inermi lungo i suoi fianchi fino a quel momento, stringersi intorno alle mie che ancora erano strette sulla sua maglia. Avrei voluto piangere, urlargli di smetterla di comportarsi in quel modo, di dirmi cosa non andava, ma tutto quello che riuscii a fare fu allentare la presa e lasciarlo scivolare lontano da me. Rimasi fermo in mezzo al corridoio, ancora privo delle risposte che cercavo, e lo guardai scomparire dietro l’angolo proprio al suono della campana.

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Capitolo 5
*** 5 - William. ***


William non riusciva a capire se volesse vedere o no, James. Riusciva a sentire il sangue scorrergli nelle vene, come se potessero scoppiare da un momento all’altro. Fino a quel momento aveva sempre pensato che morire nella giovane età non era il suo sogno, ma adesso sarebbe morto molto volentieri se significava disfarsi di quel dolore che lo aveva preso da quando il proprio sguardo si era scontrato con quello di Jem. Era come se una lama gli avesse trafitto il cuore, e non una volta, ma due, tre, quattro. Infinite volte. Non voleva pensarci adesso, ma la sua testa era completamente a puttane. Le guance erano bagnate e gli occhi rossi; non era mai arrivato a piangere a scuola, ma c’era sempre una prima volta per tutto. Prima volte vergognose, tra l’altro. Se qualcuno dei suoi amici l’avesse visto così, non voleva immaginare che cosa avrebbero potuto dirgli. Forse avrebbe dovuto inventarsi una scusa, ma la verità è che non ne aveva la forza. E nemmeno gli andava. Avrebbe evitato tutte le domande, i loro sguardi, le loro moine e sarebbe andato a casa, come al solito.

“Basta.” Si disse da solo, alzandosi subito dopo da terra cercando di asciugarsi il meglio possibile quelle lacrime che gli avevano rigato le guance. Si guardò per qualche secondo allo specchio e sentì il cuore premergli nel petto, come se non battesse più. Ebbe uno spasmo, mille spasmi ed il pianto lo prese ancora. “Cazzo!” Esclamò da solo, prima di correre verso l’uscita ed aprire la porta di scatto. Senza volerlo, si ritrovò fra le braccia di qualcuno. Imprecò. Una bestemmia, forse due, ma non ci fece caso. “La pross…” Stava per dirgli che la prossima volta doveva stare più attento a dove guardava, anche se la colpa era evidentemente di William che aveva aperto così di scatto la porta. “Lasciami.” Sussurrò con voce smorta, prima di allontanarsi da lui con poca delicatezza. Non capiva perché si comportava in quel modo. La voglia di stringerlo a sé era così forte da mandarlo letteralmente fuori di testa. Per non parlare del suo calore, del suo profumo…

Jem era cresciuto proprio bene. Fin troppo bene. Era bello, quasi non sembrava lui. Aveva sempre avuto quel viso così incredibilmente dolce, ma adesso c’era quella vena sexy che andava ad incorniciare il tutto. Era cresciuto e a William dispiaceva troppo non aver vissuto tutto il processo. Non aveva vissuto niente della sua infanzia. Non voleva crederci, faceva troppo male il solo pensiero. Ed era forse per questo che si comportava così male. Non riusciva ad accettare la cosa che lui fosse scomparso così dalla sua vita, senza preavviso, senza dire niente. La colpa non era di nessuno dei due, ma… ma non poteva comandare il cuore. O meglio, il cervello.

“Non avvicinarti.” Aggiunse poco dopo, facendo qualche passo indietro. Sentiva la presenza del muro a qualche passo di lui, ma se lo superava correndo, ce l’avrebbe fatta senza problemi. Non doveva essere poi così difficile, a quanto ricordava, era sempre stato il migliore nella corsa e sperava vivamente che fosse ancora così. Sperava che non fosse cambiato troppo fra di loro…
Quel pensiero lo fece ridere; lui stava facendo di tutto per non avvicinarlo e allo stesso tempo non voleva che le cose cambiassero. Che idiota che era! Almeno questo, negli anni, non era cambiato. William, senza dire niente, gli diede le spalle. Con calma cominciò ad andarsene, ma uno suo scatto lo sorprese e non poco.

Si ritrovò con le spalle al muro, una mano contro il suo polso e la sua faccia a pochi centimetri. Era arrabbiato, era arrabbiato da morire. Non lo aveva mai visto in quel modo. Certo, non che da piccoli ci si potesse davvero arrabbiare per cose importanti, ma Jem era sempre stato un ragazzo tranquillo. Adesso, invece, non lo era affatto. Aveva le guance leggermente arrossate per la rabbia ed il corpo quasi gli tremava. William ebbe l’impeto di tirargli uno schiaffo, ma non avrebbe MAI osato fargli del male fisico. Quello sì che non se lo sarebbe mai perdonato, nemmeno per un istante.

Non parlò. Alle sue parole, William preferì rimanere in silenzio. In realtà no, non si vergognava di conoscerlo. Non sapeva nemmeno lui perché lo stesse allontanando in quel modo, quando l’unica cosa che aveva fatto in quegli anni era aspettarlo, aspettarlo ed aspettarlo per sempre. Aveva bisogno di lui e adesso che finalmente potevano tornare insieme, William preferiva cacciarlo. Perché aveva un comportamento così? Perché non si capiva nemmeno lui? Che cosa aveva di sbagliato in quella cazzo di testolina di merda? Il moro gli prese le mani che erano appoggiate sulla sua maglietta e gliele strinse. Gliele fece abbassare. Jem si era arreso. “Jem.”
La sua voce fu debole, tremante. Non sapeva nemmeno perché l’aveva chiamato con quel nominativo che aveva usato fin dalla prima volta. Glielo aveva detto lui. - Tutti mi chiamano Jem, puoi farlo anche tu. – Era così che l’altro gli aveva detto. Si ritrasse, lo guardò e poi gli diede le spalle, correndo letteralmente fuori dalla scuola, con il fiato in gola ed il cuore che pulsava troppo. Gli veniva da piangere, avrebbe voluto urlare più di qualsiasi altra cosa al mondo. Eccome se avrebbe voluto.

Quando tornò a casa, non degnò di uno sguardo sua madre. Sperò vivamente che non venisse a sapere che James era tornato a scuola, perché a quel punto sarebbe stato un bel casino. Eccome, un casino bello grosso. Affondò il viso contro il cuscino del proprio letto, cercando in tutti i modi di ignorare le lacrime che continuavano a rigargli le guance. Venne anche Alastairs a lasciargli lo zaino, ma sua madre disse che William stava dormendo.
“Will…” Sua madre salì le scale e lasciò lo zaino davanti alla porta della sua camera. “Non so che cosa sia successo a dire la verità. Ma vedrai che starai meglio. Vengono ospiti a cena stasera…” William non capiva come quella notizia potesse farlo stare meglio, quindi annuì senza rispondere. Voleva solamente dormire, adesso.

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Capitolo 6
*** 6-James ***


“Dobbiamo proprio uscire?” guardai mia madre mentre spostava di lato i lunghi capelli corvini per infilarsi la giacca ricambiandomi con uno sguardo di rimprovero.
“Sì, James, è inutile che continui a chiedermelo! Che hai fatto, stai poco bene per caso?” subito nei suoi occhi a mandorla era comparso un lampo di preoccupazione. Avrei potuto benissimo dirle che sì, stavo poco bene, ma odiavo mentirle specialmente su quel genere di cose. Sia lei che mio padre erano sempre stati molto apprensivi sulla mia salute, tanto che quando le mie crisi respiratorie si erano fatte più frequenti avevano deciso di fare i bagagli e andarsene in montagna, lontani da inquinamento e stress.
Da un lato non li avevo mai perdonati per quello: avevo dovuto lasciare tutto quello che avevo costruito a Londra, avevo dovuto lasciare William senza neppure salutarlo, e tutto questo perché loro non me ne avevano dato occasione. Dall’altro lato, però, rimanevano pur sempre i miei genitori e non potevo fare a meno di amarli anche per quello, perché tenevano a me più di chiunque altro e perché avrebbero fatto qualunque cosa pur di proteggermi.
“No, sto bene, è solo che sono molto stanco e avrei preferito stare a casa…” La verità era che quel primo giorno di scuola era stato pessimo e non riuscivo a cavarmi dalla testa l’incontro con Will, il suo comportamento, il suo sguardo …
Quando lo avevo rivisto avevo pensato di poter ripartire da capo, di poter sistemare le cose, ma dopo quello che era successo probabilmente non c’era più nulla da sistemare.
“Tesoro, fidati di me, dopo la cena di stasera ti sentirai meglio!” Mi disse mettendomi una mano dietro la schiena e spingendomi lentamente fuori dalla porta.
“Ma se non so nemmeno dove dobbiamo andare!” protestai inutilmente.
“E’ una sorpresa, su! Ora andiamo che papà ci aspetta in macchina.” E ovviamente non avrei potuto fare più nulla per evitare quella fastidiosa uscita di famiglia.

Dopo un breve e silenzioso viaggio in macchina arrivammo davanti ad una villetta bianca e ben curata dall’aspetto molto accogliente. Non ero mai stato in quella zona e quando scesi dall’auto mi chiesi dove diavolo mi avessero trascinato i miei. Probabilmente a casa di una loro vecchia conoscenza con qualche potenziale futura sposa per il sottoscritto … non sarebbe stata la prima volta, dopotutto. Seguii i miei fino al campanello e mi preparai ad indossare uno di quei finti sorrisi che raramente ero costretto a mostrare: era andato tutto fin troppo storto quel giorno e mi dissi che non poteva andare peggio di così. Evidentemente mi sbagliavo.
Quando la porta si aprì ne uscì una donna dall’aspetto fin troppo familiare, il cui viso si illuminò di un radioso sorriso non appena mi vide: Linette, la madre di William. Il mio cuore smise di battere per qualche secondo e per un attimo pensai di scappare, chiudermi in macchina o tornare a casa a piedi. Non potevo crederci!
Fino a quella mattina avrei dato non so cosa per trovarmi in quella situazione ma in quel momento rivedere Will era l’ultima cosa che volevo: ero triste, arrabbiato, deluso, e non avevo avuto abbastanza tempo per riflettere e per elaborare tutti quei sentimenti così strani per me. Mi lasciai abbracciare da Linette, anche se non sapevo bene cosa dire o come comportarmi, poi lasciai che scambiasse due parole coi miei e la sentii dirmi qualcosa come ‘entra pure, Jem! Non vedo l’ora di vedere la faccia di mio figlio quando ti vedrà qui!’. Io le sorrisi per non smorzare il suo entusiasmo o quello dei miei genitori, convinti di avermi fatto chissà quale sorpresa quando in realtà mi avevano catapultato in una specie di incubo.
Pochi istanti dopo vidi William scendere le scale e bloccarsi di fronte a me: evidentemente la situazione doveva essere reciproca. Rimanemmo così, uno davanti all’altro, per qualche secondo, sotto lo sguardo estasiato dei nostri genitori: se solo avessero saputo che situazione imbarazzante avevano creato! Fu Will a rompere il silenzio: mi venne incontro e mi abbracciò, pronunciando frasi sconclusionate, soddisfacendo così le aspettative di sua madre e dei miei genitori. Io risposi all’abbraccio e stetti al gioco, anche se la cosa faceva più male di quanto mi aspettassi: avrei voluto che quegli abbracci fossero veri, non lo ritenevo un gioco, eppure non sapevo più cosa aspettarmi. Quando dal salotto arrivò anche Edmund, suo padre, la situazione si animò e in pochi minuti ci ritrovammo a tavola davanti ad una cena che sarebbe stata sicuramente deliziosa se non fosse stato per l’alone di imbarazzo che aleggiava tre me e William.
Mentre i nostri genitori parlavano e ricordavano i vecchi tempi, aggiornandosi su tutte le novità, noi fingevamo di mangiare, alzando lo sguardo dal piatto giusto ogni tanto per rispondere a qualche domanda o commentare qualche battuta. Non dovevamo essere stati molto convincenti, però, perché i nostri avevano cominciato a sospettare che qualcosa non andasse: “Allora, ragazzi, siete molto silenziosi! Non siete contenti di essere nella stessa scuola!?”
Alzammo entrambi lo sguardo e stavolta fui io il primo a parlare: “Oh, sì, ma certo! E’ che ancora non posso credere che ci vedremo tutti i giorni! Sarà divertente …” dissi bevendo un sorso d’acqua e incrociando lo sguardo di Will, che dopo un attimo di esitazione borbottò qualcosa, infastidito.
“William, smettila di borbottare…” lo rimproverò suo padre. Lui rispose con una battuta acida ma Linette intervenne prima che la situazione si riscaldasse troppo: “Quindi, Jem? Spero che il tuo primo giorno di scuola sia andato meglio di quello di Will! Quando è tornato a casa sembrava gli fosse passato sopra un camion … se ti avesse visto sono sicura che le cose sarebbero state un po’ diverse!”
La mia gola si fece secca, non sapevo come rispondere. Effettivamente guardandolo bene vidi che aveva gli occhi gonfi e pesti, che rendevano il suo sguardo ancora più tormentato di come lo ricordassi. Nonostante fossi arrabbiato non potevo non essere preoccupato per lui e questo mi faceva arrabbiare ancora di più: “No, direi che è stato grandioso! Ho conosciuto gente piuttosto simpatica e molto disponibile, devo dire. Penso anche di aver intravisto Will, ora che mi ci fai pensare, ma è cambiato talmente tanto che a malapena lo riconosco …”
Nemmeno io sapevo da dove uscisse tutto quel risentimento e quell’ironia ma dopo qualche battuta di risposta vidi William alzarsi e uscire dalla stanza, seguito da un coro di dissensi e proteste da parte dei suoi genitori. Non avevo mai voluto provocare tutto quello ma evidentemente le mie parole lo avevano colpito più di quanto avessi voluto.
“Scusate, forse ho detto qualcosa che non va. Temo che questo improvviso ritrovo ci abbia scossi entrambi più del dovuto.” E detto questo mi alzai e seguii Will, sperando di poter mettere una pietra sopra a tutta quella storia, in un modo o nell’altro.

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Capitolo 7
*** 7 - William. ***


Non capiva perché sua madre doveva essere così felice di invitare gente a cena. Sembrava davvero euforica e non ne capiva seriamente il motivo. Preferiva di gran lunga rimanere per sempre in quella camera; non voleva più uscire, voleva diventare misantropo, stare in silenzio, non parlare con nessuno al mondo. In quel momento era l’unica cosa che voleva. Il genere gli umano cominciava a fargli schifo dopo l’incontro di quella mattina. In realtà, William, nemmeno si capiva. Aspettava quel momento da secoli, da quando se n’era andato, da quando l’aveva abbandonato e adesso che ce l’aveva finalmente vicino, non riusciva nemmeno più ad avvicinarlo. Era impossibile. Perché si comportava in quel modo? Perché si sentiva così estraneo? Avrebbe voluto che le cose tornassero al loro posto, ma purtroppo non era così semplice. Non si sarebbe mai aspettato di essere così stronzo nei suoi confronti. Dopotutto, Jem, non aveva colpe per questo. Era stata colpa della sua malattia a farlo allontanare, colpa dei suoi genitori che l’avevano trascinato lontano da William, lasciandolo completamente da solo, senza amici…

E adesso se n’era fatto dei nuovi, anche se li odiava a morte. Okay, forse odiare no, ma diciamo che cercava di andarci d’accordo tanto per avere qualcuno e non stare da solo. Per il resto preferiva di gran lunga non averli fra i piedi, anche se era difficile. Erano fuori di testa, erano volgari, erano stronzi. Okay, anche William a volte lo era, ma non sempre. Riusciva ad essere anche una persona normale, ma purtroppo quella persona dolce e delicata era scomparsa insieme a Jem, lasciando il posto ad una persona del genere. E sarebbe stato troppo difficile cambiare, decisamente troppo. Avrebbe tanto voluto, davvero. Avrebbe voluto far capire a Jem che anche per lui era difficile, ma non appena lo guardava negli occhi, tutto veniva risucchiato in un vortice atroce di disperazione. Faceva male sapere di essere così vicino a lui e non poterlo toccare. Jem ci aveva anche provato ad avvicinarlo, ma non c’era stato niente da fare. Lui l’aveva bellamente ignorato, l’aveva allontanato senza una vera spiegazione.

La sera arrivò un po’ troppo velocemente. William era ancora nel letto, ma si era alzato già da una mezz’oretta. Era rimasto immobile a fissare il soffitto bianco, cercando qualche imperfezione. Ma non ce n’erano, no. Era bianco, era pallido, proprio come Jem. Quella pelle bianca che aveva imparato a conoscere, quella pelle senza nemmeno una cicatrice… Non era cambiata, era sempre così. E solo Dio sapeva quanto avrebbe voluto toccarla, stringere Jem fra le braccia. “Tesoro, forza, è pronta la cena!” L’incubo stava per iniziare. Il ragazzo si alzò dal letto e si passò una mano fra i capelli, cercando di metterli nel modo migliore possibile, anche se difficilmente, visto che non stavano da nessuna parte. Il suo aspetto faceva davvero schifo. Le occhiaie sotto agli occhi, le iridi leggermente rosse, il corpo un po’ curvato in avanti. – Riprenditi, William. Forza. Devi solamente stare giù qualche ora e poi, al dolce, te ne tornerai in camera sua. – Purtroppo non sapeva quanto si stava sbagliando.

Cominciò a scendere le scale, lentamente, pronto a mettere su un sorriso falso. La prima cosa che vide fu il tavolo pieno di cose buone da mangiare. Poi vide sua madre, suo padre – doveva essere tornato da poco dal lavoro – e poi… Poi Jem. Sì, proprio lui, James Carstairs. No, cazzo, doveva essere un incubo. Forse, in realtà, stava ancora sognando. Forse stava ancora dormendo. Strizzò gli occhi, ma l’immagine rimase proprio com’era. La madre del suo ex migliore amico, lo salutò, andando subito ad abbracciarlo con enfasi, facendogli mille domande, dicendogli che era diventato un gran bel ragazzo. Notava Edmund, suo padre, parlare con quello di Jem, e sua madre guardarli. No, non poteva essere. Ecco perché era così entusiasta: credeva di fargli una sorpresa! Certo, non potevano sapere che si erano già incontrati…

William si mise nel suo solito posto, cominciando a mangiare. Non aveva ancora guardando Jem in faccia e non ne aveva nemmeno il coraggio. Continuava a far finta di mangiare, mentre rispondeva a qualche domanda della madre di Jem, a qualche complimento, a qualche frase a scazzo. Non gli importava molto di quella cena. Voleva solamente urlare e andarsene, ritornare nella sua stanza, stare in silenzio, vomitare, dormire. Tutto, fuorché vivere. Non gli andava di vivere, non così, non in quel modo, non in quel momento.

“Allora, ragazzi, siete molto silenziosi! Non siete contenti di essere nella stessa scuola!?” William alzò lo sguardo verso la donna, cercando di non scoppiare a ridere. Certo, siamo contentissimi, avrebbe voluto dire, ma si limitò. Aspettò che fosse Jem a parlare. Alle sue parole, il moro borbottò qualcosa simile a “sì, divertentissimo”. Suo padre lo riprese. Oh no, non doveva osare riprenderlo in quel modo. “Borbotto quant…”

Linette, però, lo interruppe, chiedendo a Jem come fosse andato il suo primo giorno di scuola. Ed oltretutto le piacque aggiungere che quello del figlio, cioè di William, non sembrava essere andato particolarmente bene perché “quando è tornato a casa sembrava gli fosse passato sopra un camion”, testuali parole. – E che camion – pensò dentro di sé William, ritornando a guardare James, forse per la seconda volta nella serata. “No, direi che è stato grandioso! Ho conosciuto gente piuttosto simpatica e molto disponibile, devo dire. Penso anche di aver intravisto Will, ora che mi ci fai pensare, ma è cambiato talmente tanto che a malapena lo riconosco …” Quella frecciatina poteva anche evitare di tirargliela, eppure si limitò ad alzarsi dal tavolo e andarsene, correndo su per le scale.

Giusto, era lui lo stronzo della situazione, perché doveva comportarsi così? James aveva ragione! Eccome se aveva ragione. Sentì i passi del ragazzo dietro di lui, così si girò di scatto. “Torna giù. Perché mi segui? Non sono forse cambiato così tanto che a malapena mi riconosci?!” Urlò, sperando vivamente che i suoi e che nessuno lo avesse sentito, di sotto, perché a quel punto sarebbe successo davvero un gran casino e non ne aveva voglia. Come avrebbe spiegato quella situazione a sua madre? Ne sarebbe rimasta più delusa. “Bella battuta, James. Ti sei fatto sarcastico, eh? Vedo che sei cresciuto!”

Ogni parola che diceva, era una coltellata al cuore. Ogni parola, ogni frase, gli faceva male da morire. Poi lo prese per un polso e lo trascinò fino in camera, chiudendosi la porta alle spalle. Nessuno, lì, li avrebbe sentiti. O almeno, sperava. “Puoi evitare di parlare in quel modo? Di tirarmi delle frecciatine? Sono irritanti.” Commentò, dandogli le spalle subito dopo. Si passò una mano fra i capelli nervoso da morire, cercando in tutti i modi di non urlare troppo anche se non era una situazione difficile. “Sta lontano da quei due, intesi? Se ti vedono ancora e non ci sono io nei paraggi, non so che cazzo possono combinarti. Sono stato chiaro?” Non voleva che gli facessero del male, né che lo importunassero. Non voleva. “Lo sapevi? Sapevi che saresti venuto da me, stasera?” Aggiunse poco dopo, girando finalmente lo sguardo verso di lui.

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Capitolo 8
*** 8 - James. ***


Stupido. Stupido. Stupido.
Cosa mi era passato per la testa? Perché avevo dovuto dirgli quelle cose?
Non era da me comportarmi in quel modo, non era da me dire le prime cose che mi passavano per la testa … non  era da me infierire così sulle persone, men che meno su Will. Ferirlo era l’ultima cosa che volevo, solo che non ero riuscito a dosare le parole. Avrei fatto meglio a stare zitto ma ero pieno di una strana rabbia che mi aveva impedito di farlo. Era così che si sentiva Will quando no riusciva a trattenersi dal fare battute pungenti?
Era questo che si provava?
“Torna giù, perché mi segui?” lo sguardo di Will era indecifrabile: pur essendo freddo e tagliente vi si leggeva benissimo una nota di dolore. 
L’azzurro delle iridi luccicava nella penombra delle scale mentre lui cercava di trattenersi dall’urlarmi contro per non attirare l’attenzione dei nostri genitori. Ormai, però, era tardi per fingere che tutto andasse bene.
“Will! Will, ascoltami, mi dispiace! Non so cosa mi sia preso …” Nulla.
Continuò a salire le scale finché non arrivammo su un pianerottolo di fronte ad una porta bianca: “William!” lo vidi tendere i muscoli delle spalle e voltarsi di scatto verso di me con sguardo furente.
“Bella battuta, James! Ti sei fatto sarcastico, eh? Vedo che sei cresciuto!” Quelle parole mi raggiunsero come un pugno dritto allo stomaco: non c’eravamo mai parlati in quel modo, mai. Non avevo mai dovuto sopportare quello sguardo sconvolto, né tantomeno quel tono così freddo… forse me lo meritavo. Insomma, lo avevo provocato, ero stato io a cominciare. Eppure ripensandoci non ero certo stato io a scappare in quel modo, ad evitare qualsiasi tipo di contatto.
 “Ho cercato in tutti i modi di parlarti, di capirti, e tutto quello che sei riuscito a fare è stato voltarmi le spalle! Non era certo così che avrei immaginato di ritrovarti…” Non ebbi modo di finire la frase che sentii le sue mani afferrarmi il braccio e trascinarmi dietro alla porta. Rimasi sorpreso da quel gesto ma non appena lo sentii definirmi ‘irritante’ mi ripresi immediatamente.
“E’ vero, ho esagerato e ho già detto che mi dispiace ma sei l’ultima persona che può dirmi di smetterla!” l’astio che fino a poco prima sembrava aver lasciato posto alla preoccupazione ora era tornato a farsi sentire. Quante volte avevo dovuto sopportare il suo caratteraccio? Quante volte ero stato io a dirgli di darsi una calmata e di moderare i termini?
“Ma cosa pretendi, eh?! Pensi che perché sono sempre stato il più pacifico dei due non abbia il diritto di arrabbiarmi? Pensi che non soffra a vedere il mio migliore amico trattarmi come un estraneo? Anzi no, neanche un estraneo… come un noioso imprevisto.”
A quelle parole Will si era irrigidito e aveva allentato la presa sul mio braccio, prima di lasciarmi continuare con voce spezzata: “Non so cosa diavolo ti sia successo, non so se la tua sia solo rabbia perché me ne sono andato o se ci sia qualcosa di più sotto, ma mi rifiuto di pensare che tu stia bene con quella gente!” Silenzio. Avevo colto nel segno, oppure semplicemente aspettava che me ne andassi dalla sua stanza e non facessi più ritorno?
Gli occhi pungevano insistentemente ma non volevo piangere, non davanti a lui, non in quel momento: non volevo che mi rispondesse preso da compassione, volevo che mi rispondesse perché era la giusta cosa da fare.
“Qualunque cosa sia non lascerò che due scimmioni senza cervello distruggano tutto quello che abbiamo costruito in passato!”
A quelle parole lo vidi illuminarsi di preoccupazione. Aveva ancora le mani immerse tra i ricci scuri quando mi disse di lasciar stare, aumentando così la mia frustrazione.
“Ah, quindi dovrei ringraziarti per aver impedito che mi rubassero la merenda?! E’ per questo che non mi parli più?” Ero esasperato.
Lui, d’altra parte, ignorò bellamente la domanda e mi chiese se ero a conoscenza dell’incontro di quella sera.
“No, non ne sapevo nulla altrimenti te l’avrei detto o non sarei venuto. So riconoscere quando vuoi stare da solo e non ti ho mai imposto la mia presenza.”
Ed era vero: mi faceva male dire quelle cose ma non volevo essere un peso per nessuno e se dovevo stare co qualcuno volevo che la mia presenza fosse gradita.
“Mi dispiace che sia dovuta andare così… ce ne andiamo subito. Mi inventerò qualcosa per spiegarlo a mia madre …” Feci per andarmene, era inutile continuare quella farsa inutile, ma mi fermai quando lo sentii pronunciare il mio nome. Mi voltai e ascoltai tutto quello che aveva da dirmi, proprio come lui aveva fatto prima con me. In silenzio.
“Non puoi chiedermi di lasciar perdere. Non perderò mai le speranze con te, lo sai, ma se mi dici che preferiresti non vedermi mai più potrei anche prendere in considerazione l’idea di finirla qui.” Pronunciare quelle parole era troppo doloroso, ma non volevo passare il resto della vita a rincorrerlo se non c’era speranza di riaverlo indietro.
“Anzi. Dimmi che non sei contento di vedermi, che preferiresti non fossi mai tornato e che sei più felice senza di me. Dillo guardandomi negli occhi, Will, e giuro che ti lascerò in pace.” Aspettai quelle che parvero ora ma nessuna risposta vene dal moro.
Strinse i pugni lungo i fianchi e si mosse il labbro come faceva sempre quando era in difficoltà, e da quel momento capii che non doveva ancora perdere le speranze.
“Puoi dirmi quello che vuoi, William, ma saprò sempre se sei sincero o se ti stai nascondendo dietro una di quelle tue stupide maschere. E in questo momento la prima persona a cui stai mentendo sei te stesso.”
Gli dissi questo con la mano sulla maniglia della porta ma prima di aprirla e uscire la mia attenzione fu attirata da un oggetto poco distante dalla scrivania: “ Ti conviene stare più attento a come tieni i tuoi libri… non vorrei mai che i tuoi amici scoprissero questa tua passione e ti escludessero dal club per ‘eccesso di cultura’.” Dissi con un lieve sorriso.
Avrei voluto stringerlo e dirgli che andava tutto bene, che non volevo incolparlo di nulla, che avremo risolto tutto quanto … e quando lo vidi increspare le labbra in un sorriso capii che forse non era necessario. Per quell’attimo eravamo nuovamente Will e  Jem.

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Capitolo 9
*** 9 - William. ***


William cominciava a perdere la pazienza, anche se la colpa era tutta sua e solamente sua. Non era giusto che si comportasse in quel modo, quando voleva solamente abbracciarlo, stringerlo e dirgli quanto gli fosse mancato! C’era un conflitto interiore dentro di lui che non riusciva proprio a sconfiggere; da una parte, voleva solamente dirgli quanto fosse stato male per la sua scomparsa, quanto avesse pianto, quanto si fosse punito per non averlo tenuto ancor più stretto a sé. Dall’altra parte invece, desiderava solo che se ne andasse e che non tornasse più. Che scomparisse dalla sua vita, che non gli rivolgesse la parola né a scuola né da nessun’altra parte. Non riusciva a capire quale delle due parti stesse andando più forte, e quale delle due fosse più debole. Non riusciva a capire, non riusciva a decidersi. Stava andando totalmente in confusione e questo James l’aveva capito perfettamente! Per questo aveva tirato quella battuta sarcastica che William non si sarebbe mai aspettato…

James non era mai stato cattivo, né così… AH, non sapeva nemmeno come spiegarlo! Così brutale, più o meno. Era sempre stato calmo, pronto ad aiutare l’amico, ma soprattutto a calmarlo. Era sempre stato William quello scontroso, quello asociale, quello che non sapeva come rivolgersi alla gente, non di certo James! Ed invece era come se fosse cresciuto, come se il suo passato gli avesse fatto capire che non poteva continuare ad avere il carattere di una volta. Se solo il moro fosse stato nelle sue facoltà mentali, molto probabilmente gli avrebbe detto che aveva fatto un ottimo lavoro. James aveva un carattere così calmo ed altruista, che andando avanti avrebbero potuto fargli tanto male, proprio come stava succedendo adesso. Però, in qualche modo, si stava difendendo, ed era proprio quello che voleva William. Che si difendesse, che gli facesse vedere quanto il più piccolo lo stesse facendo stare di merda!

Non si capiva nemmeno lui, figuriamoci se James l’avrebbe capito. Non era possibile; nessuno poteva capirlo, nemmeno lo stesso William che stava, piano piano, perdendo la testa. Non riusciva più a pensare e a ragionare lucidamente. Era come se si fosse drogato. Avrebbe voluto dirgli che nemmeno lui si aspettava di reagire in quel modo alla vista del suo ex migliore amico. Voleva dirgli che non capiva che cosa gli prendesse, ma non riusciva ad aprire bocca, o meglio, ad aprire bocca per dire le parole giuste. Era come se le corde vocali non riuscissero a produrre i suoni che stava pensando. E faceva male, continuavano a rimanere incastrati in gola! Un colpo di tosse gli uscì dalle labbra quando lo vide di nuovo nella sua camera.

Aveva cambiato casa nel frattempo, ma si ritrovavano nella stessa stanza dopo tantissimo tempo e mille pensieri cominciarono a farsi strada in lui. Appoggiò una mano al muro per non cadere a terra. Troppi pensieri, troppi pensieri gli tornarono alla testa, facendolo stare ancora peggio. Più di quanto già non stesse. In quel momento era così egoista! Non poteva pensare a James, no, pensava solamente a se stesso. Una volta, invece, sarebbe stato molto diverso. “Un noioso imprevisto…” Sussurrò di rimando William e sembrò tanto un’accusa, ma in realtà non doveva essere così. Voleva essere solo una cosa del tipo “non penso che tu lo sia”, ma non era uscita dalle labbra come voleva l’Herondale. Sperava che il karma lo facesse stare peggio, davvero peggio. Che gli facesse sputare sangue.

Rimase in silenzio quando James disse che si rifiutava di pensare che William stesse bene con quella gente. Era ovvio che non stesse bene, no. Non li odiava, o forse sì, ma stava con loro per il gusto di fare. Preferiva stare da solo, a casa, a leggere o a studiare. Non gli importava molto di avere amici, alla fin fine, non se non c’era James con lui. E adesso che c’era, faceva l’idiota in quel modo! Possibile che non riuscisse a ragionare come una persona normale? Una persona con un cazzo di cuore?! “Lascia stare, James! Non è gente per te, quella!” – Non è nemmeno per me, in realtà. – avrebbe voluto aggiungere, ma restò in silenzio. Non era gente per nessuno dei due. Loro due erano simili. Avevano caratteri opposti, avevano poche cose in comune, eppure si erano voluti un bene dell’anima. Un bene che fino ad ora… Non aveva mai voluto a nessun altro. Ed era sicuro che non l’avrebbe provato con nessun altro.
“Tu lo sapevi?” Domandò con rabbia. “Sapevi che ci saremo visti questa sera?!” Doveva chiederglielo, doveva sapere se lo sapeva oppure no. Oppure se era un piano dei loro genitori e basta. Alla fin fine nessuno di loro aveva colpa, se non solamente lui. Se non fosse stato così scontroso, le cose sarebbero tornate come una volta. Con un po’ di difficoltà, ma ci sarebbero riusciti. Adesso, invece, era tutto confuso e tutto distrutto. Era terribile, gli veniva anche da vomitare. In più anche da piangere, ma non sarebbe mai crollato davanti a lui.

“James.” Sussurrò con voce flebile quando l’altro gli diede le spalle. “Per favore. Lascia perdere e basta. Continua la tua vita. Non immischiarti in gente come loro. Sanno fare solamente del… male.” – Perché, tu che cosa gli stai facendo? – Quella coscienza che sapeva prendere il sopravvento della sua mente nei momenti migliori – o peggiori, dipendeva dai punti di vista – della giornata. “Non voglio che ti facciano del male. Non… voglio che si avvicinino a te. Per favore, Je-James.” Lo stava per chiamare con quel soprannome che si erano dati anni prima. Will e Jem. Era così che si chiamavano. Sempre e comunque.

Restò in silenzio, ascoltando quelle parole che gli fecero male al cuore. Non poteva davvero chiedergli una cosa del genere. No. Non poteva dirgli di andarsene e di non farsi più vedere, cazzo. Non era possibile… Faceva troppo male. William aveva bisogno di James per vivere. E se ne rese conto solamente adesso. Da quando l’aveva visto quella mattina, aveva provato esattamente queste emozioni in successione: stupore, sorpresa, gioia, felicità, paura, tristezza, malinconia, paura ed infine rabbia. Aveva provato tutte quelle emozioni in una giornata, ed erano emozioni che non aveva più provato da quando lui se n’era andato. Aveva provato solamente apatia. Un’apatia che aveva paura non se ne fosse mai più andata, ma adesso era tutto diverso…

“Non mi importerebbe, a dire la verità. Stare fuori dal club per troppa cultura.” Un piccolo sorriso gli si dipinse sul volto, perché aveva amato quella battuta. In effetti nessuno dei suoi “amici” era mai entrato nella sua stanza; ma nessuno si era mai chiesto perché, quindi era meglio continuare in quel modo. “Non ti dirò… mai queste cose. Mai. Non posso dirtele. Non posso guardarti negli occhi e farlo, perché mentirei a me stesso. A te, a tutti. Non posso…” Quel guscio nel quale si era rifugiato fino ad ora, si stava lentamente schiudendo. “Sei riuscito, per la seconda volta, a penetrare in me con forza, senza darmi il tempo di difendermi. Sei sempre tu, James Carstairs. Ma come devo fare con te? Dimmelo…” Sospirò e gli si avvicinò. Appoggiò il viso contro la sua spalla, il petto contro la sua schiena e le braccia attorno al suo bacino.

Non era più il bambino di una volta e riusciva a percepire i muscoli sotto la maglietta. Riusciva a sentire il suo buon profumo, il suo respiro. Era cresciuto, proprio come William. Era un corpo diverso, era un corpo che non aveva mai sentito prima d’ora ma che avrebbe voluto conoscere. Come aveva fatto anni prima. Non voleva lasciarselo scappare. Non poteva succedere ancora; non poteva farlo scappare, com’era successo già. “Non posso perché ho bisogno di te, Jem.” Aggiunse poco dopo, affondando il viso contro il suo collo, annusandone per l’ennesima volta il buon profumo, sperando non se ne accorgesse. “Sono stato uno stupido. Ero preso dalla sorpresa, dalla tristezza e dalla rabbia. Non riuscivo a controllarmi. Ma ora che mi sono sfogato…” Lasciò la frase in sospeso perché non c’era bisogno di completarla. “Perdonami, Jem. Perdonami…”

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Capitolo 10
*** 10 - James. ***


Nessuno dei due avrebbe potuto immaginare che piega avrebbe preso quella sera.
Avevo ormai abbassato la maniglia della porta e mi ero preparato ad uscire dalla stanza, consapevole che la discussione non fosse conclusa e che ci saremo rivisti a scuola, forse, ma la voce di Will mi aveva bloccato: “Sei sempre tu, James Carstairs.” Quelle parole, il modo in cui le aveva pronunciate, o forse la consapevolezza che si stava rivolgendo a me per la prima volta quella sera con sincero affetto… forse fu per questa combinazione di motivi che provai un brivido lungo la schiena. O forse fu perché nel frattempo non mi ero accorto di quanto si fosse avvicinato ed ero rimasto sorpreso nel sentire le sue mani intorno alla schiena. Sentii la sua guancia contro la mia spalla e mi meravigliai di quanto quel contatto mi paresse… strano.
Ci conoscevamo da tanto tempo, avevamo condiviso tantissime cose, spesso ci eravamo addormentati insieme o ci eravamo rotolati per terra giocando per vedere chi era il più forte, eppure per quanto potessimo stare vicini, nessuno di quei contatti mi era mai parso ‘strano’. Quando stavo con Will era tutto naturale, semplice, non c’era nulla di complicato per quanto sia io che lui lo fossimo più del normale.
In quel momento, però, sentendo le sue braccia intorno a me, il suo fiato caldo sul mio collo… provai qualcosa di completamente diverso. “Non posso perché ho bisogno di te, Jem.” Piccoli brividi mi percorsero la spina dorsale, facendomi venire la pelle d’oca, mentre sul mio stomaco cominciò a gravare un peso non indifferente: mi aveva chiamato Jem, e la sua voce non mi era mai suonata tanto bella come in quel momento.
Perché mi sentivo così? Era Will, il mio migliore amico, dovevo essere felice che finalmente si fosse riavvicinato a me, dovevo gioire per essere riuscito a parlare con lui e a sistemare le cose. Invece non era gioia quella che provavo… era qualcosa di completamente diverso, qualcosa che non avevo mai provato prima di allora e che mai avrei pensato di provare davanti a Will.
“Perdonami, Jem. Perdonami.” Le sue labbra erano troppo vicine al mio orecchio, riuscivo a sentire il suo respiro intorno a me e… non andava bene, era troppo vicino, doveva allontanarsi! Ma quando mai Will era stato ‘troppo vicino’? Non ero stato io a desiderare che le cose tornassero come prima? Improvvisamente desiderai che non si fosse mai mosso da dove era prima, che fosse rimasto lontano.
“Will, non hai bisogno di scusarti, davvero. Voglio solo che le cose tornino come prima e …” dissi con voce incredibilmente incerta e tremante mentre scivolavo dalla sua presa e tentavo di mettere un po’ di distanza tra i nostri corpi. Fu proprio quando mi ritrovai a fissarlo negli occhi che capii una cosa: nulla sarebbe mai tornato come prima.
Eravamo cresciuti entrambi, eravamo diventati due persone diverse sia nel carattere che nell’aspetto… e lui era cambiato davvero tanto. O forse ero io che lo vedevo diversamente? Non potevo e non volevo rispondere a quella domanda: mi ritrovai perso nell’azzurro brillante delle sue iridi e tutto quello che riuscivo a pensare era a quanto fosse bello. Scossi impercettibilmente la testa e mi sorpresi dei miei pensieri: cosa stavo dicendo? Perché … perché il cuore batteva così forte? Perché all’improvviso tutto quello che desideravo era correre fuori da quella stanza? Era solo una mia impressione o si stava avvicinando…
“W-William… che stai facendo?” chiesi barcollando indietro di qualche millimetro mentre lui sussurrava qualcosa che non mi presi nemmeno la briga di ascoltare, troppo concentrato a fissare le sue labbra avvicinarsi sempre di più al mio viso. Poi accadde.
Fu impercettibile, un tocco leggero che però fu in grado di scatenare dentro di me le emozioni più forti e strane che potessi anche solo immaginare. Le nostre labbra si sfiorarono per una frazione di secondo prima di separarsi nuovamente.
Non so di preciso cosa accadde dopo, so solo che ci guardammo per quelle che sembrarono ore e il mio sguardo registrò ogni dettaglio del suo viso prima di realizzare che quelle che in quel momento si stavano attorcigliando intorno ai miei capelli erano le sue dita.
Ci baciammo di nuovo ma questa volta non fu per niente come prima: le mani di Will erano strette intorno al mio viso e le sue labbra erano premute con forza contro le mie, con un’urgenza che mi fece perdere l’equilibrio e mi costrinse ad appoggiare la schiena al muro. Mi sentii improvvisamente debole e instabile, il cuore andava a mille e mi mancava l’aria. Perché lo stavamo facendo?! Era sbagliato, ma allora perché era così bello?!
Dischiusi le labbra e lasciai che le nostre lingue si scontrassero mentre le mie mani si muovevano da sole attorno alle sue spalle molto più larghe e muscolose di quanto ricordassi. Sentivo il suo respiro caldo sul mio volto, i suoi ricci scuri solleticarmi la guancia, le sue dita strette intorno ai miei fianchi mentre il suo corpo solido mi schiacciava sempre di più contro la parete fredda della stanza. Tutto quello era troppo per me: avevo desiderato stringerlo a me sin dal primo momento in cui l’avevo visto quella mattina a scuola ma non in quel modo. Non così. Non …
Gli misi una mano sul petto e lo spinsi lentamente via: entrambi avevamo il fiato corto e lo sguardo di chi non sapeva cosa stava succedendo. Nemmeno lui sapeva perché l’aveva fatto. Nemmeno lui capiva cosa era appena accaduto. Ci guardammo come per chiederci scusa, spaventati da quello che stavamo provando, confusi e incerti su cosa dire. Lo vidi mordersi il labbro e tentare di dire qualcosa ma non potevo stare un secondo di più in quella stanza senza ripensare a quello che avevamo appena fatto.
“Io… io devo andare …” faceva caldo, non sapevo cosa dire e improvvisamente avevo perso la facoltà di parlare. Anche Will, però, sembrava d’accordo sul fatto che quella stanza fosse diventata troppo stretta per entrambi, così gli voltai le spalle e uscii cercando di non sembrare troppo sconvolto.
“Ragazzi! Stavamo cominciando a preoccuparci! Che era successo?!” chiese Linette non appena arrivai alla base delle scale. Cercai di rispondere come se nulla di particolare fosse accaduto, così sorrisi e le dissi che avevamo risolto tutto.
“Bene, l’importante è che sia tornato tutto come prima!” rispose lei con un altro sorriso.
Sì… tutto come prima. Tutto come prima.

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Capitolo 11
*** 11 - William. ***


Abbracciarlo, forse, era stato l’errore più grave che avesse mai fatto. Sentiva una sensazione nuova che mai prima d’ora aveva provato con nessuno.
Un calore nuovo l’aveva accolto, facendolo tremare in quella posizione; immobile, respirava leggermente, tratteneva il respiro, cercava di assaporare il buon profumo che il collo di James emanava.
Era incredibile come riuscisse a sentire ogni cosa, addirittura il cuore dell’altro che batteva così forte. Non l’aveva mai sentito così… vicino. Ma quando mai si era lamentato della sua vicinanza? Mai, non era MAI stato troppo vicino. Si era sempre beato della sua vicinanza, ma adesso era come se fosse diverso.
Non gli dispiaceva affatto, ma era qualcosa che… Dio, non sapeva nemmeno che cosa pensare! Era strano, semplicemente.
Una sensazione che sentiva come propria, ma nuova, terribilmente nuova. Qualcosa che veniva dal cuore.
Che cos’era? Attrazione, o qualcosa del genere? Sentiva davvero gli addominali contro le dita, seppur lo stesse abbracciando da sopra la maglietta.
Li sentiva, duri, ben fatti. James doveva aver fatto palestra o almeno, doveva averla cominciata, perché non si poteva avere quei pettorali se non si faceva palestra. Che cosa stava facendo? Perché continuava a stringerlo a sé, a dirgli che sarebbe andato tutto bene? Le cose non potevano tornare come prima, e William lo sapeva bene. Non dopo quella sfuriata che Jem non si sarebbe affatto meritato, ma che lui si era imposto di fare senza un motivo ben preciso. Avrebbe dovuto odiarlo, ed invece… Invece non lo stava facendo.
Perché era così buono? Perché continuava a volergli bene nonostante tutte le cose cattive che gli aveva detto fino a quel momento?
Jem era sempre stato così, con lui. Buono, dolce, delicato. Come se William fosse fatto di vetro… In realtà no, era James quello di vetro, non William.
Ma non poteva biasimarsi; amava le sue attenzioni, le aveva sempre amate. Ed amava dare attenzioni a lui, più di qualsiasi altra persona al mondo. Non che gli importasse, dopotutto se aveva Jem, aveva tutto.
A lui interessava la sua vicinanza, non quella degli altri. A lui interessavano le sue parole, la sua amicizia, lui. Nessun altro.
E adesso, dio, se ne rese conto: era troppo felice di averlo ritrovato. Troppo felice di sapere che avrebbero continuato quell’amicizia che non coltivavano da troppo tempo e se pensava che erano stati così tanto staccati, gli veniva da piangere ed anche il fiatone. No, forse il fiatone ce l’aveva già, ma per un’altra cosa…
Cosa che cercò di capire quando Jem si girò e lo guardò negli occhi. Non resistette; il proprio cuore andò letteralmente a puttane e fu come se il corpo si muovesse da solo. Si spinse verso di lui, lentamente, senza osare troppo. Ignorò le parole dell’altro. Che cosa stava facendo?
Non lo sapeva nemmeno lui! Sentiva la necessità di baciarlo, di sentirlo vicino, di assaporare quelle labbra che aveva adocchiato fin dal primo momento, ma fino a quel momento non le aveva mai fissate così intensamente. Jem aveva cercato di distanziare i due corpi, ma William non si era lasciato prendere dal panico e aveva continuato la sua strada, finchè non lo baciò.
All’inizio restò immobile, ma poi appoggiò le mani sui suoi fianchi e prese a baciarlo con più forza, le lingue a cercarsi, a danzare, a sentire quel calore che l’altro emanava con così tanta passione. Un mugolio gli uscì dalla bocca, un mugolio strozzato che andò ad affondarsi in quella di Jem senza il minimo autocontrollo. Che bisogno aveva di baciarlo così tanto! Quel sapore, diamine, era buono da morire.
Continuava ad assaporare non solo la sua lingua, ma anche le sue mani che continuavano a vagare sulle sue spalle molto più grosse delle sue.
William, nonostante fosse il più piccolo dei due, anche se solo di tre mesi, era più grande di lui.
Un po’ più alto ed un po’ più grosso, ma Jem… Cazzo, Jem era sexy da morire! Era cresciuto molto bene il ragazzo e Will ne era più che felice.
Cominciò a provare una gelosia estrema verso chiunque gli si fosse avvicinato in quegli anni in cui non si erano visti.
Chissà chi l’aveva baciato, chi l’aveva toccato, chi l’aveva fatto suo…
Quando si staccarono da quell’intenso bacio, il moro cominciò ad ansimare; respirare era diventata più che un’impresa.
Ma gli piaceva, eccome se gli piaceva. “Sì… sì. Hai ragione.” Sussurrò con un filo di voce, facendosi indietro di un passo. Non capiva che cosa fosse appena successo, ma era più che sicuro di averlo baciato. Baciato /seriamente/. Cazzo, ma che gli era preso? Non che Jem si fosse tirato indietro, però.
Doveva prenderlo come qualcosa di positivo oppure no? Non ne aveva idea, visto che James aveva appena detto di dover andare con quella faccia da cane bastonato. Forse pensava fosse solamente un errore che non doveva più ripetersi.
Forse aveva ragione, ma William non voleva ascoltarlo. Non c’era niente di sbagliato se si voleva qualcosa. Prese un grosso respiro quando James uscì dalla sua camera. Si appoggiò per un attimo alla porta e cercò di respirare.
Si passò una mano fra i capelli e poi su quel cuore che sembrava non volersi calmare nemmeno un secondo. Si guardò intorno, leggermente spaesato, nonostante fosse la sua camera. Che cosa gli prendeva? Perché lo aveva appena baciato? Doveva essere stata l’emozione e la felicità di rivederlo.
Felicità che non si era per niente smorzata, nonostante tutto…
Finalmente scese le scale dopo qualche minuto, anche se parvero secoli e Linette, sua madre, lo guardò.
“Va tutto bene?” Gli sussurrò, guardandolo in viso. Lei sapeva sempre quando qualcosa non andava. Di rimando, Will le sorrise dolcemente, facendo comparire ai lati della bocca due fossette. “Tutto bene, mamma!” Beh, non era certamente una bugia. Tornò al suo posto, cercando di non incontrare lo sguardo di James. Ma la cena andò per il meglio, grazie al cielo.

“Linette, la cena è stata fantastica! Siamo troppo felici di essere tornati qui. Sembra che le cose siano tornate come un tempo, solo che i nostri ragazzi sono cresciuti.” La madre di James era troppo dolce e lo era sempre stata, così anche suo padre, anche se sembrava più severo. Non di molto, però.
“Possiamo vederci quando volete! E dobbiamo ricominciare a fare shopping insieme, lasciando a casa i mariti a guardare le partite di calcio, che dici?” Si stavano già mettendo d’accordo. Fantastico.
“James, andiamo?” Jem e William erano dietro l’angolo, in cucina, e si stavano salutando.
“Ci… vediamo domani a scuola, mh?” Il moro si sporse verso di lui e gli lasciò un bacio sulla guancia, prima di dargli le spalle e correre su per le scale, richiudendosi in camera propria.

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Capitolo 12
*** 12 - James. ***


La mattina seguente mi svegliai con uno strano peso sullo stomaco che non faceva altro che rendermi nervoso e frustrato: da una parte volevo andare a scuola per avere modo di rivedere Will e capire se veramente qualcosa si era sistemato tra di noi, ma dall’altra il pensiero di ritrovarmi faccia a faccia con lui mi spaventava. Non potevo certo far finta di non ricordare cosa fosse successo poche ore prima: ci eravamo baciati e nessuno dei due si era tirato indietro. Come era potuto succedere? Insomma… la nostra amicizia era sempre stata particolare ma mai avrei pensato di arrivare a questo!
Eppure per quanto strano e sbagliato potesse sembrare, averlo così vicino mi aveva reso felice. Sentire nuovamente il calore del suo corpo vicino al mio, il suo profumo, sapere che ancora teneva a me … non mi era dispiaciuto. Certo, probabilmente era stata solo una reazione dovuta allo stress e all’ansia, eppure per quanto fossi scosso da quanto era successo non potevo dire con chiarezza se fossi felice o contrariato. E forse era proprio quello a rendermi così nervoso.
Mia madre mi aveva chiamato più volte quella mattina per svegliarmi, ma la verità era che avevo dormito si e no tre ore: dopo tutto il trambusto della sera prima non ero riuscito a chiudere occhio, assaltato da un’infinità di pensieri e congetture che non sembravano volermi abbandonare. Quando mi decisi a prepararmi dovetti fare tutto di fretta, cosa strana per uno che come me raramente si ritrovava ad andare di corsa: mi lavai, mi vestii con le prime cose che mi capitarono sotto tiro e dopo aver preparato lo zaino corsi fuori casa.
Una volta arrivato a scuola il mio sguardo subito si mise in cerca di Will, sebbene non fossi certo di come avrebbe reagito: per quanto ne sapessi avrebbe benissimo potuto comportarsi come la mattina precedente, ignorandomi completamente. Forse sarebbe stato meglio, insomma… non ero sicuro di volerlo affrontare dopo quanto era successo. Chissà come l’aveva presa…. Chissà cosa ne pensava, come si sentiva!
Le risposte alle mie domande arrivarono poco prima dell’inizio delle lezioni, quando due mani fin troppo familiari mi trascinarono fino all’entrata laterale del cortile, lontano da occhi indiscreti. “Will… che stai facendo?” lo vidi guardarsi intorno per essere sicuro di non essere seguito prima di tornare a guardarmi. Il suo sguardo era turbato, esattamente come il mio: forse nemmeno lui sapeva darsi spiegazioni di quanto fosse successo la sera prima, e forse non sapeva nemmeno come comportarsi. “Ascolta…” ma non mi lasciò il tempo di finire la frase. Mi interruppe per dirmi che non avrebbe mai potuto desiderare che me ne andassi per sempre ma che allo stesso tempo non voleva che mi mettessi tra lui e i suoi ‘amici’. A quanto pare era una situazione complicata e nemmeno lui sapeva come gestirla: aveva paura che le cose potessero ritorcersi contro entrambi, così aveva pensato che era meglio se ci fossimo visti in privato, senza dare troppo nell’occhio. “Ti vergogni così tanto di me da volermi nascondere al resto del mondo?” sapevo che non era così, non volevo infierire su di lui e avevo lanciato quella frase più che altro per fargli capire che la decisione mi lasciava piuttosto insoddisfatto, ma lui sembrò prenderla più seriamente del dovuto.
“Ma ti senti? Ti sembra normale doversi vedere di nascosto perché degli idioti di cui faresti meglio a liberarti non sarebbero d’accordo?! Non mi sembri più tu, Will…” effettivamente non mi sarei mai aspettato un comportamento del genere da William, non era tipo da farsi intimorire facilmente dalla prepotenza degli altri. Forse si era davvero affezionato a quei ragazzi, dopotutto erano state le uniche persone con cui aveva avuto modo di legare durante la sua assenza. Era stato lui a lasciarlo da solo, era colpa sua se si era avvicinato a quelle brutte compagnie … chi era per biasimarlo?
Oppure erano altri i motivi per cui si comportava in quel modo? Forse erano persone davvero pericolose… forse lo avevano minacciato, o forse sapeva cose di cui io ero all’oscuro. Qualunque cosa fosse potevo ben capire dal suo sguardo che era preoccupato e che anche lui non era pienamente convinto della sua decisione ma non vedeva altra via d’uscita.
“E va bene… se è l’unico modo in cui potrò tornare a parlarti me lo farò bastare. Meglio che niente, no?” gli feci un debole sorriso per fargli capire che sebbene non condividessi la sua decisione non ero arrabbiato. Dopo un attimo di esitazione lo vidi deglutire e mordersi il labbro e a quel punto capii cosa stava per chiedermi: voleva parlare della sera scorsa.
“Non devi scusarti… è stata anche colpa mia, non so cosa mi sia preso. Io…” Cosa potevo dire? “Potremmo semplicemente fare finta che non sia successo nulla? Insomma... è stato tutto un equivoco e …”
Nonostante quelle parole suonassero così stupide probabilmente furono sufficienti perché anche Will convenne che fosse la cosa migliore da fare. Il mio cuore improvvisamente smise di correre come aveva cominciato a fare poco prima e trassi un respiro di sollievo… niente più imbarazzo, niente più problemi. Forse…
“Allora, quando ci vediamo?”

 
**********

I giorni passavano e io e Will lentamente avevamo ripreso a parlarci: ci eravamo raccontati cosa avevamo fatto in quegli anni di assenza, avevamo ricordato alcuni dei momenti più belli passati insieme e ci eravamo fatti due risate riguardando alcune foto imbarazzanti che i nostri genitori avevano conservato per tutto quel tempo. Alcune sere io e i mie genitori andavamo a mangiare a casa loro e viceversa e così avevamo modo di stare insieme per diverse ore…
C’erano dei momenti in cui ero seriamente convinto che le cose si sarebbero sistemate per il meglio: risentire la sua risata mi aveva dato la forza necessaria per lasciarmi tutto alle spalle e ricominciare da capo, per far tornare le cose come un tempo. E ci stavamo riuscendo. Quando eravamo insieme sembrava che nulla ci avesse mai diviso: sembravamo tornati bambini, solo che ancora dovevamo imparare a conoscerci per le persone che eravamo diventate crescendo. Ero felice quando ero con lui, solo che… beh, non erano così frequenti i momenti.
Dovevo ancora capire per quale preciso motivo William volesse tenermi lontano dalla sua vita pubblica ma il fatto che potessimo vederci solo in sporadiche occasioni o durante le cene di famiglia stava diventando abbastanza invalidante. Insomma.. stavamo bene insieme, eravamo ornati quasi come quelli di una volta, eppure ancora non voleva farsi vedere in giro con me. Più di una volta avevo cercato spiegazioni ma aveva sempre cambiato discorso o deviato su improbabili scuse…
Erano passate ormai due settimane da quando ero arrivato nella nuova scuola e gli unici amici che mi ero fatto erano alcuni miei compagni di corso: Sophie, una ragazza carinissima e fin troppo educata, Thomas, palesemente cotto di lei, e Gabriel, un ragazzo dall’aria strana e non molto affidabile, che per certi versi mi ricordava molto Will.
Quello che non potevo sapere era che lui e Will, in comune, avevano anche una profonda antipatia reciproca che avrebbe portato a non pochi problemi.

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Capitolo 13
*** 13 - William. ***


Alzarsi la mattina dopo fu la cosa più difficile e tremenda da fare. Non ne aveva le forze, ne tanto meno voglia. Non voleva mettere piede a scuola, non voleva vedere i professori, i suoi compagni. Voleva solamente rimanere lì e dormire per tutto il giorno, senza essere disturbato. Sapeva, però, che sua madre l’avrebbe obbligato ad alzarsi, quindi tanto valeva farlo senza troppe storie. Si passò una mano fra i capelli, guardandosi poi allo specchio qualche minuto dopo. Era letteralmente distrutto. Aveva le occhiaie contro gli occhi, le iridi rosse e le guance leggermente rosse. Aveva dormito si e no due o tre ore a causa della sua mente troppo pervasa da quei pensieri che gli avevano riempito la testa da quando James Carstairs si era fatto vedere a scuola. Aveva pensato di non soffrire più nel modo in cui aveva sofferto da quando se n’era andato, ma aveva capito che adesso le cose erano molto peggio. Lui non sapeva davvero come gestire la situazione e per di più doveva parlarne anche con lui. Da un lato avrebbe tanto voluto mandare a fanculo qualsiasi cosa possibile, fra lui ed i suoi “amici”, ma dall’altro lato aveva paura di rimanere solo. Era un ragazzo che aveva sempre avuto paura di rimanere solo da quando Jem se n’era andato dalla sua vita, e mandare a fanculo quelle amicizie con la paura di rimanere completamente isolato, lo spaventava da morire. Questo, James, non poteva certamente saperlo e mai sarebbe venuto a saperlo. Era nascosto nei meandri della sua testa ed era una cosa alla quale non aveva pensato nemmeno una volta il giorno prima; motivo? Aveva avuto sempre i pensieri rivolti a Jem, quindi non c’era stato tempo di pensare alla sua solitudine. E forse era questa la soluzione. Fare da parte chi non voleva realmente e ricominciare da capo con Jem. Ma se poi le cose fossero andate di nuovo male? Se lui se ne fosse andato nuovamente? Come sarebbe rimasto lui? Forse non si sarebbe più rialzato e non si sarebbe più ripreso da quella perdita. Non voleva pensarci, non adesso che era appena sveglio, ma non poteva fare altro se non quello. Sentiva i muscoli già tesi e doveva ancora fare dei passi per uscire dalla stanza. La cosa cominciava ad essere davvero grave.
Dopo aver mangiato qualcosa al volo e aver fatto le corse, arrivò finalmente in classe e guardò verso Alastairs per salutarlo. Lui gli sorrise, e le cose finirono lui. Era ovvio che William aveva tutt’altro in mente, e riuscì a portare a termine la sua lezione all’intervallo, prendendo James da parte cercando di non farsi vedere da nessuno. Non voleva che qualcuno riuscisse a scorgerli, quindi l’aveva incantonato in un angolo della scuola, la parte più remota, dove nessuno poteva disturbarli. Ed i problemi erano cominciati. “Jem… Non voglio dire addio ai miei amici.” Sapeva che non era giusto chiamarli amici, ma per il momento era l’unica parola che poteva usare. Era quella che ci andava più vicino, in qualche modo, anche se alla fin fine non era propriamente vero. Socchiuse gli occhi, appoggiandogli le mani sulle spalle. “Vorrei solo che lo capissi…” Aggiunse, fermandosi lì. Non voleva aggiungere niente riguardo il suo senso di solitudine, né alla paura che aveva di perderlo per una seconda volta. Volta che l’avrebbe davvero ucciso e non lentamente questa volta. All’inizio Jem fu restio, gli chiese addirittura se si vergognasse di lui. “Diamine, no! Non potrei mai vergognarmi di te…” Ed era vero. Lui era il ragazzo più fantastico che avesse mai conosciuto in tutta la sua vita e continuava a pensarlo, poco ma sicuro. Adesso che era cresciuto, poi, Jem era diventata una persona migliore di quanto già non fosse. E lui non voleva perderlo.

 
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Le settimane passavano ed i due continuavano a vedersi di nascosto o più semplicemente l’uno a casa dell’altro. I loro genitori avevano ricominciato a frequentarsi come se niente fosse successo e William aveva cominciato ad amare la risata di James. E non solo. Amava il suo viso quando si apriva in un sorriso, amava il suo profumo, il modo in cui si abbracciavano ogni volta che dovevano salutarsi. In poche parole, si rendeva conto di volerlo baciare sempre di più, ogni giorno che passava. Quei pensieri non erano spariti nella sua testa, ma purtroppo non riusciva a dimenticarlo. Non poteva farlo, purtroppo. Ancora era come se sentisse il sapore delle sue labbra contro le proprie, ed era come se quelle di Jem lo richiamassero ogni volta che parlava. Sapeva che erano solamente sue fantasie, ma non riusciva a sopportare la situazione.
E fu ancora più difficile non appena venne a conoscenza che Jem era amico di Gabriel Lightwood. All’inizio aveva pensato fosse solamente uno scherzo, ma no, li vedeva. Erano a ginnastica per la precisione e William aveva avuto la (s)fortuna di condividere la lezione con la classe in cui risiedeva Jem. All’inizio la situazione sembrava essere meravigliosa, ma poi si era ritrovata l’idea più orribile del mondo. Aveva notato come Gabriel gli stava attorno, come lo aiutasse a riscaldarsi. Aveva le mani sulle sue ginocchia mentre Jem faceva venti addominali verso di lui. La situazione non era delle migliori. Ed avrebbe tanto voluto spaccare la faccia a Gabriel; cavolo, peccato che quella volta gli avesse rotto solamente il braccio!
“Woh, Lightworm, non ti vedevo da una vita! Vedo che te la passi bene. Come va il braccio?” William rise, mentre cercava di tirare un’occhiata a Jem. Magari poteva usare la scusa del bagno ed invece si trovavano negli spogliatoi. Non sapeva nemmeno che cosa volesse dirgli, forse solamente di badare al ragazzo e stare attento. William non si fidava di lui, nemmeno un po’. “Sinceramente stavo bene anche senza vederti. Se non ti dispiace, mi sto riscaldando, quindi mi faresti un favore se ti togliessi dalle palle.” L’Herondale alzò le mani in segno di arresa, ma rise in ogni caso, prima di prendere una ragazza da un polso e chiederle se le andava di allenarsi con lui. Non era difficile far cadere una ragazza ai suoi piedi; bastava uno sguardo dolce e queste si sarebbero messe in ginocchio anche all’istante. Mentre la ragazza si stendeva per terra proprio fra le sue gambe e cominciava ad allenarsi, il moro tirò un’altra occhiata al suo… mh, amico. Mimò con le labbra “bagno” per fargli capire di trovare una scusa ed andare verso il bagno. E forse non l’avrebbe capito se non avesse fatto la prima mossa. “Piccola.” Commentò ad un tratto, sfiorandole la coscia nuda. “Vado un attimo in bagno. Non scappare.” Le fece l’occhiolino, prima di andare dal professore e chiedergli se poteva andare. Come al solito non era un problema.
Si sarebbe dato anche una bella rinfrescata. I pantaloni corti neri che indossava erano appiccicati alle sue gambe ed era la stessa identica per la canottiera ed i capelli. Avevano già fatto 10 minuti di corsa prima ed era stato uno sforzo enorme, anche se non era poi così difficoltoso. Grazie al cielo faceva ginnastica. Così, tirò un’occhiata a Jem e poi scese le scale, per aspettarlo negli spogliatoi.

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Capitolo 14
*** 14 - James. ***


I giorni passavano e le cose tra me e Will sembravano essersi risolte completamente… o quasi. Il fatto che potessimo vederci solo in determinate circostanze mi rendeva le cose un po’ difficili da mandar giù: avevo capito quanto per lui fosse importante mantenere i contati con i suoi amici e io non ero nessuno per impedirglielo. Dopotutto ero stato io a lasciarlo da solo e loro, per quanto stupidi e rivoltanti potessero risultarmi, avevano in qualche modo riempito quel colmo che io avevo lasciato. Non potevo pretendere che Will abbandonasse tutto per me, ma la cosa mi innervosiva lo stesso, specialmente quando lo vedevo uscire con loro e fare lo spavaldo. Avevo notato che cercava di tenersi il più lontano possibile dalle bravate dei suoi amici, e apprezzavo molto questi suoi tentativi di distaccarsi da loro, ma ancora ogni tanto ero capace di vedere l’influenza che gli altri avevano su di lui. Avrei voluto fare qualcosa ma non sapevo cosa e soprattutto era una situazione che solo Will poteva risolvere: era lui a dover decidere cosa fare della sua vita, era lui che doveva dire se una cosa gli andava bene o no, io non avevo alcun diritto di interferire. I nuovi amici con cui avevo inziato ad uscire erano piuttosto simpatici, anche se non ero ancora riuscito a stringere con loro un gran rapporto di amicizia: diciamo che erano delle piacevoli compagnie ma che ancora dovevo capire bene come classificarli. Sophie era una ragazza dolcissima e avevamo diverse cose in comune, cosa che ci permetteva di dilungarci in lunghe e piacevoli conversazioni.
Thomas era un tipo piuttosto divertente, capace sempre di strapparti un sorriso. Gabriel era un ragazzo molto diligente e ambizioso ma ancora non ero riuscito a capire come approcciarmi a lui: in molte cose mi ricordava William, e forse era proprio per quello che mi ci ero avvicinato così tanto. Condividevamo diverse lezioni ed eravamo usciti insieme un paio di pomeriggi: sebbene fosse un ragazzo particolare e schivo, era pur sempre una compagnia gradita. Allo stesso tempo, però, William non sembrava condividere la mia simpatia. Per niente. Avevo notato come stringesse i denti e irrigidisse i muscoli ogni volta che ci vedeva insieme e avevo tentato di tirare fuori l’argomento più di una volta ma tutto quello che era riuscito a dirmi era stato ‘è uno stronzo e un idiota, dovresti stargli alla larga’. Forse non si era sentito in diritto di insistere, considerato che in fatto di amicizie lui non era messo meglio di me, perché il discorso era finito lì. Pochi giorni dopo, però, ci fu la lezione in palestra. Per caso la mia classe e quella di Will si erano dovute allenare insieme: da un lato ero felice di poter condividere la palestra con Will, dall’altro ero abbastanza nervoso. Come mi sarei dovuto comportare? Avrei dovuto far finta di nulla? Il professore ci fece fare 10 minuti di corsa individuale durante i quali non potei fare a meno di notare come quanto Will fosse diventato agile e … beh, agile. Diciamo che era in forma. Molto. Mi sentii immediatamente in colpa per quei pensieri e mi vergognai di me stesso: cosa stavo facendo? Perché pensavo certe cose? Ero stato io a dire di dimenticare tutto e ricominciare da capo, non potevo permettermi certe considerazioni sul mio migliore amico. Quando venne il momento del riscaldamento a coppie non feci tempo ad interrogarmi su chi sarebbe stato il mio partner che Gabriel mi aveva già prenotato.
“Ehy, Jem! Stai con me, vero?” aveva detto a voce forse un po’ troppo alta. “Certo, ma lasciami tre secondi per riprendere fiato!” dissi tra un sospiro e l’altro. Non ero più abituato a correre così tanto e non avevo certo un fisico robusto come quello di William o Gabriel. Seguendo le indicazioni del prof mi stesi per terra per fare gli addominali, mentre Gabriel teneva le mani sulle mie gambe per aiutarmi a mantenere la posizione. Non molto tempo dopo sentii la voce di Will in lontananza e capii immediatamente dal tono che non prometteva nulla di buono. Lui e Gabriel si scambiarono qualche battuta acida e gli occhi freddi di Will si puntarono per un attimo su di me, come a voler comunicare qualcosa. Proprio quando la situazione stava per diventare troppo impegnativa vidi Will voltarci le spalle e prendere come partner una ragazza della sua classe che non avevo mai visto. Io cercai di non farci caso e di continuare con i miei esercizi ma qualcosa dentro di me mi impediva di concentrarmi come avrei dovuto: Gabriel nel frattempo stava sputando qualche insulto tra i denti rivolto a Will ma io non lo ascoltavo nemmeno. Tutto quello che vedevo era Will che flirtava con la ragazza, lei che sembrava completamente persa nei suoi occhi, lui che mi guardava e mi diceva qualcosa… cosa? Ero troppo distratto per capire… cosa mi prendeva?
Era Will, poteva fare quello che voleva, no? Eppure… lo vidi sfiorarle la coscia e farle l’occhiolino prima di alzarsi e dirigersi verso il bagno. Fu allora che capii cosa aveva voluto dirmi e lo seguii con una scusa non troppo brillante. Una volta soli non feci in tempo ad aprire bocca che subito Will mi precedette con un ‘devi stargli lontano’, ‘non ci si può fidare’, ‘ti sta usando’ ecc…
“Oh, ma smettila! Sei stato tu a cominciare prima, lui non stava facendo proprio nulla! Non so cosa sia successo tra voi due e non voglio saperlo, ma se permetti sono capace da solo di scegliere le mie amicizie!” dissi avvicinandomi di un passo a lui e pentendomi subito di quella mossa. Lui continuò imperterrito in quella sua battaglia contro Gabriel, cercava di convincermi delle sue motivazioni ma io ero stanco: improvvisamente sentii di voler uscire da quella stanza che stava diventando troppo stretta per tutti e due. Non riuscivo a cavare gli occhi dai suoi, dalle sue guance arrossate per la rabbia e per la corsa, dal sudore che gli correva lento lungo una tempia tra i ricci bagnati…
“Will, non mi importa di quello che pensi di lui! Non puoi pretendere che rimanga da solo ad aspettarti mentre tu giri con i tuoi amici … anche io ho diritto ad avere qualcuno con cui parlare, e Gabriel mi sta simpatico, che ti piaccia o no! Perciò perché non torni a fare un po’ di addominali con la tua amichetta? Sono sicura che si starà chiedendo dove sei finito…” dissi forse con troppa acidità, voltandomi per uscire dal bagno e prendere aria. Prima che potessi aprire la porta, però, venni fermato da Will e dalle sue dita intorno al mio braccio.

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Capitolo 15
*** 15 - William. ***


Tutto ciò che William desiderava in quel momento era parlare con lui, in privato, ma sarebbe successo solamente se Jem avesse capito che William voleva che lo seguisse. Non c’era un posto migliore in giro, quindi doveva accontentarsi degli spogliatoi. Non era nemmeno il momento di pensare a cose come il corpo dimagrito di Jem che gli era slittato davanti durante i dieci minuti di corsi. L’aveva guardato di sfuggita, concentrandosi su quelle gambe così magre e sottili. Per non parlare della maglietta che, seppur larga, riusciva a mettere ben in mostra la forma della schiena a partire dalle sue spalle. Forse non erano larghe come quelle di William, ma gli piacevano da morire. Avevano qualcosa di affascinante che gli avevano fatto smuovere qualcosa dentro ai pantaloni, ma cercava di non pensarci. Non era davvero il momento giusto, anche se quei capelli appiccicati al viso…
- Dannazione William Herondale, ma che cazzo ti prende?! – Si chiese mentre aspettava l’altro negli spogliatoi. Si passò una mano fra i ricci sudati, sperando di non imprecare ad alta voce. Doveva resistere, per se stesso ed anche per Jem. Non era giusto che gli urlasse in faccia quanto quel ragazzo non fosse adatto per stare vicino a lui. O meglio, quanto James non facesse parte di quel gruppo. Sapeva che non aveva il diritto di dirgli niente, ma non poteva nemmeno stare con le mani in mano mentre vedeva il suo migliore amico fra le grinfie di qualcun altro! Migliore… migliore amico, sì. Non poteva succedere; nessun altro poteva portarglielo via. Nessuno. James Carstairs era suo e così doveva rimanere, non se ne parlava. E sapeva che non aveva diritto nemmeno su questo, ma era una cosa che non riusciva davvero a controllare. Al solo pensiero sentiva tutto il corpo tremare e non solamente dalla rabbia, ma anche dalla gelosia. Gelosia che aveva provato da quando era tornato a Londra. Era come se il bene che aveva provato per lui non se ne fosse mai andato… Ma era più che normale! Solo perché se n’era andato, non significava che William non provasse più niente per lui, anzi.
Gli era mancato così tanto e adesso non aveva nemmeno il coraggio di far vedere a tutti quanto in realtà fossero amici. Amici, poi, era la parola giusta da usare? Il moro non faceva altro che pensare al bacio che quella prima sera si erano scambiati. Era vero: non ne avevano più parlato e non era arrivato il momento di farlo, ma nessuno e niente gli impediva di pensarci. I suoi pensieri furono interrotti non appena Jem oltrepassò la porta degli spogliatoi. “Devi stargli lontano, Jem. Per favore. Non fa per te. Ti sta usando, è uno stronzo manipolatore. Credimi… Usa le persone per scopi subdoli.” Considerava davvero Gabriel una persona del genere e non se le stava inventando. Gabriel era così, solo che all’inizio era impossibile da vedere. “Se solo sapessi che cosa è successo capiresti.” Sarebbe stato brutto da dire in giro, non voleva rovinare in quel modo la reputazione del ragazzo. Non era giusto nei suoi confronti, anche se il Lightworm non si era di certo preoccupato di nulla quando aveva fatto girare il video di quella ragazza che gli faceva… beh ecco, un lavoro orale. L’aveva rovinata. Lui diceva in giro che adesso era diventato un ragazzo diverso, ma era davvero così? E se voleva portarsi a letto Jem e poi rovinargli la vita? William non era certamente la persona più forte in persona, ma sicuramente lo era più di James e voleva proteggerlo con tutto se stesso. Voleva che capisse come stavano le cose. Voleva che capisse che Will lo faceva solamente per il suo bene.
“Ascoltami, sono serio! Allontanati da lui, cazzo!” Non voleva incazzarsi, si era promesso di parlare in modo civile ma a quanto pare le cose non andavano mai come volevano lui e si incazzava ancora di più, anche se con se stesso e basta. Sentiva il cuore andare all’impazzata ed il corpo che si agitava senza che lui facesse niente per comandarlo. Stava uscendo fuori di testa, soprattutto per quelle parole che l’altro gli stava rivolgendo. “No, forse non ho il diritto di dirti quali amici scegliere, ma ho il diritto di proteggerti se voglio ed anche il diritto di darti dei consigli! Jem, dannazione!” Si passò una mano fra i capelli esasperato. Se qualcuno fosse entrato in quel momento, probabilmente sarebbe uscito immediatamente. Will aveva le guance rosse per la rabbia, ma Jem non poteva sapere che non era solo questa, ma era anche una grande gelosia che cominciava dal cuore e gli riempiva l’intero cervello.
“Dove cazzo vai?!” Velocemente lo prese per un polso e lo riportò dietro allo spogliatoio.
“Non andartene mentre ti parlo!” Sbottò. “E quella troietta, per quanto mi riguarda, può aspettare in eterno! I miei amici? Vuoi che li mandi a fanculo? Posso farlo anche adesso se ti aggrada! E’ questo che vuoi, Jem? Non mi importa più di niente, da quando ci sei tu. Più niente! Ma lo capisci?!” Stava sfogando tutto quello che si era tenuto dentro in quelle settimane che aveva passato a pensare e a pensare quello che effettivamente il ragazzo gli aveva rivoltato nello stomaco. Era qualcosa che non aveva mai sentito prima d’ora e non capiva nemmeno di cosa si trattava. Attrazione o qualcosa del genere? Poteva essere, ma non era così bravo in quelle cose. Non nella realtà, almeno. Quando si trattava di scrivere era tutt’altra cosa… era come se potesse esprimere il mondo intero. Ma quando doveva cominciare a parlare le cose si facevano molto più difficili.
Fu preso da un impeto di rabbia e desiderio insieme, così, senza pensarci una volta, lo attirò a sé ed appoggiò le labbra sulle sue, quasi volgarmente. Lo fece aderire con la schiena contro il muro della porta, mentre la lingua slittava contro la sua e Will si lasciava andare ad un piccolo mugolio, seguito subito da un sospiro leggero. Aveva avuto così tanta voglia di baciarlo che adesso che finalmente lo stava facendo, gli pareva così… strano. Aveva paura che tutto quello non fosse altro che un sogno dal quale non si sarebbe più svegliato. Da un lato voleva farlo, ma dall’altro preferiva di gran lunga di no. Non voleva smettere di baciarlo, né di desiderarlo. Aveva bisogno di lui, adesso, e solamente di lui. “Non mi importa più di niente, Jem.” Sussurrò a fior di labbra, staccandosi da lui con uno schiocco di labbra. Non respirava. Un po’ per l’allenamento, un po’ per l’adrenalina ed un po’ per quel bacio che non si era aspettato di dover compiere. “Se non di te” concluse, guardandolo direttamente negli occhi. Appoggiò entrambe le mani ai lati del suo viso, contro la porta. Voleva che gli credesse, perché non avrebbe mai mentito su una cosa così importante. “Credimi, per favore…”

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Capitolo 16
*** 16 - James. ***


Tutto accadde nella frazione di un secondo: le dita di Will strette intorno al mio braccio, la sua voce spezzata che risuonava tra le pareti dello spogliatoio mentre mi diceva quanto fossi importante, il suo sguardo lucido fisso nel mio e infine le sue labbra. Di nuovo. Stava succedendo di nuovo. Quel contatto improvviso e totalmente inaspettato mi fece barcollare indietro di un passo e spalancare gli occhi ma oltre a questo non riuscii a fare altro: ero come bloccato, avrei voluto allontanarmi, interrompere quel bacio, dirgli che era sbagliato, che doveva smetterla di comportarsi in quel modo… ma non ci riuscivo. Le sue parole risuonavano ancora nella mia testa, facendomi battere il cuore a mille: ‘Non mi importa più di niente, da quando ci sei tu.’. Mi aveva appena detto che per lui contavo più di ogni altra cosa, più della sua nuova vita, più della sua reputazione, più dei suoi nuovi amici. Era quello il Will che conoscevo, quello che non avevo mai smesso di cercare, quello che mi era mancato come l’aria in tutti quegli anni. E ora l’aria mi mancava per un altro motivo: l’urgenza e il bisogno di quel bacio mi avevano lasciato senza fiato e per un attimo pensai che forse se non stavo facendo nulla per allontanarlo era perché in fondo non volevo che se ne andasse. Volevo che quel bacio, così semplice, così spontaneo e sincero, durasse in eterno. Non mi ero nemmeno accorto di aver risposto al bacio. Poi, lentamente, sentii la stretta di William farsi sempre più debole: quando le sue labbra si staccarono dalle mie sentii un brivido corrermi lungo la schiena e puntai sconcertato i miei occhi nei suoi. Anche lui, come me, aveva il fiato corto e lo sguardo di chi non capiva cosa stava succedendo. Appoggiò le mani di fianco al mio viso, facendo aderire i palmi al muro, mentre lentamente abbassava lo sguardo scuotendo la testa come chi non riesce a trovare le parole per esprimersi. Quello che non sapeva era che non aveva bisogno di parole: il bacio che ci eravamo appena scambiati aveva parlato per entrambi. “ Non ho bisogno di nulla. Se non di te.” Per una volta anche io non sapevo cosa dire: tutto quello che volevo fare era abbracciarlo, dirgli che mi era mancato e che nonostante tutto non volevo che rinunciasse alla sua vita per colpa mia. Volevo che fosse felice, ma volevo anche stargli vicino come un tempo. ‘Credimi, per favore.’ Will aveva pronunciato quelle parole in un sussurro strozzato, senza guardarmi negli occhi, e di questo lo ringraziai mentalmente. Non volevo affrontare il suo sguardo, non in quel momento, non dopo quello che era appena successo. Non volevo vedere le sue guance arrossate, il suo viso incorniciato dai ricci corvini, le sue labbra arrossate … era già abbastanza averlo a così pochi centimetri di distanza, percepire il calore del suo corpo e il suo respiro sulla pelle. Non avrei potuto reggere alla vista dei suoi occhi blu, gli stessi occhi che da qualche giorno popolavano i miei sogni, gli stessi occhi che ora guardavano il pavimenti tra di noi. Ti credo, Will.” Gli dissi con voce tremante. “Ti credo perché provo le stesse cose.”
Fu allora che accadde l’inevitabile: gli occhi di William si persero nei miei, i miei si persero nei suoi, e tutte le mie paure di poco prima si dimostrarono fondate. Senza riuscire a fermarmi gli presi il viso tra le mani e tornai a baciarlo: non sapevo come esprimergli a parole tutte le emozioni che mi vorticavano in testa, probabilmente nemmeno io capivo come mai i miei sentimenti per lui fossero così… beh, così diversi da quando eravamo bambini. Will, dopo un attimo di spaesamento , rispose al bacio con altrettanta enfasi: schiuse le labbra lasciando unire le nostre lingue in una danza perfettamente sincronizzata, spostò le mani sui miei fianchi dapprima con una lieve incertezza e poi con sempre maggior determinazione. I nostri corpi si scontrarono, la mia schiena fu percorsa da un brivido mentre sentivo le mani di Will farsi sempre più bisognose sul mio corpo, mentre sentivo le sue labbra spostarsi sulla mandibola e poi più in basso, seguendo la linea del collo fino alla clavicola. Sentire il suo respiro affannato sulla pelle mi faceva lentamente sciogliere tra le sue braccia, mi faceva desiderare di più: volevo Will più vicino, volevo avere la certezza che non si sarebbe mai allontanato da me. Le mie mani si mossero da sole e presero ad esplorare la sua schiena da sopra la maglietta sudata e troppo, troppo aderente: riuscivo a percepire ogni sua forma, ogni suo muscolo sotto le mie dita. Mi spinsi in avanti con tutta la forza che avevo finché non riuscii a ribaltare la situazione: ora era Will ad essere schiacciato contro il muro dall’altro lato della stanza, con le mie mani sempre più frenetiche sui suoi fianchi e la mia bocca sul suo collo. Un suono gutturale uscì dalla sua gola quando senza nemmeno rendermene conto gli infilai una mano sotto la maglietta: era il suono più bello che avessi mai sentito in vita mia, lo avrei ascoltato per ore, era così… bello. Stavo perdendo la testa, il mio corpo si muoveva da solo, non avevo più controllo di me stesso e me ne rendevo conto ma non riuscivo a fermarmi… mi ero persino dimenticato che tutto quello stava accadendo in uno schifoso spogliatoio della scuola. Fortunatamente Will, che aveva un udito molto più buono del mio, aveva sentito le voci provenienti dalla palestra farsi sempre più vicine ed era riuscito ad allontanarmi prima che Gabriel irrompesse nello spogliatoio chiedendomi di uscire: “Jem, tutto bene? Il prof si è accorto che mancate..” In quel momento ero troppo concentrato a riprendere fiato per rispondergli per pensare al fatto che non aveva nemmeno pronunciato il nome di Will e che il prof si sarebbe probabilmente arrabbiato con me. D’un tratto tutto era diventato insignificante. Mi sentivo vuoto, freddo, come se mi mancasse il calore del corpo di Will contro il mio. D’un tratto realizzai cosa avevamo appena fatto, dove lo avevamo fatto e… mi vergognai profondamente di me stesso. Come avevo potuto perdere la testa in quel modo? Avevo promesso che non sarebbe successo nuovamente, che era sagliato, che doveva tornare tutto come prima… ma non potevo continuare a mentire a me stesso in quel modo. Quello che provavo per William era qualcosa di così complesso che non sarei mai riuscito a darne una definizione: si poteva provare qualcosa di così strano per una persona’ Era il mio migliore amico, ma allo stesso tempo era qualcosa di più… c’era qualcosa in lui che mi attraeva come una calamita, che mi faceva venire voglia di stringerlo e non lasciarlo più andare, che mi affascinava e mi faceva venire voglia di mettergli una mano tra i capelli… Non erano certo i sentimenti che provavo quando ero un bambino! Ma forse crescendo le cose erano cambiate, e la distanza aveva aiutato a renderle ancora più strane. “Digli che arriviamo subito!” dissi a Gabriel cercando di sembrare calmo e impassibile, bene attento a non incrociare il suo sguardo esattamente come stava facendo Will. Lui rimase un attimo a guardarci, sospettoso, poi fece come gli avevo chiesto e richiuse la porta alle sue spalle con un “Ok, ti aspetto..” che fece stringere i denti a Will. Dio, com’era bello. Non potevo fare a meno di guardarlo e di chiedermi se anche lui vedesse in me qualcosa di simile. Non ero mai stato splendente come lui e non mi interessava nemmeno esserlo ma non potevo fare a meno di domandarmi se anche io ai suoi occhi avessi qualcosa di speciale… e dal modo in cui mi stava guardando forse qualcosa ci vedeva in me. “Will… io… scusami. Dobbiamo andare…” ero ancora accaldato per quello che era successo pochi secondi prima ed ero in condizioni pietose. Sperai che nessuno, guardandoci uscire insieme, sospettasse nulla. Specialmente vedendoci così affannati e disordinati: avevo controllato non avere la maglia troppo stropicciata e mi ero sistemato i capelli alla meno peggio, ma il terrore che qualcuno notasse qualcosa di sospetto mi assillava. Fortunatamente erano tutti troppo impegnati a giocare a pallavolo per guardarci. Tutti tranne Gabriel che guardò prima me e poi Will con sguardo indagatore. Per la prima volta, forse, capii cosa intendeva Will quando diceva che Gabriel era imprevedibile. Perché si odiavano così tanto? Perché Will era così spaventato all’idea che girassi con Gabriel? Mi ripromisi di parlarne con Will dopo, anche se l’idea di stare nuovamente solo con lui mi spaventava. Non sapevo più cosa pensare… non potevo più nemmeno fidarmi di me stesso.

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