Le cronache di Narnia La storia vista dagli occhi di Vera Volume II

di Stella Dark Star
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bimbo sorridente ***
Capitolo 2: *** Ricordi che riaffiorano in sogno ***
Capitolo 3: *** Un nuovo passaggio ***
Capitolo 4: *** Di fronte alla realtà ***
Capitolo 5: *** Il piccolo Caspian ***
Capitolo 6: *** Il racconto più doloroso ***
Capitolo 7: *** Il palazzo di Edmund ***
Capitolo 8: *** Diciassette anni da recuperare ***
Capitolo 9: *** Primi imbarazzi e primi dissapori ***
Capitolo 10: *** Svelato il segreto della vergogna ***
Capitolo 11: *** La lotta interiore ***
Capitolo 12: *** Il combattimento dei Re guerrieri ***
Capitolo 13: *** Un amico fedele ***
Capitolo 14: *** Non c'è bisogno di dire addio ***



Capitolo 1
*** Il bimbo sorridente ***


Capitolo 1
Il bimbo sorridente
 
“Le ho detto che va cambiata la rotazione delle pulizie delle stanze.” Dissi convinta, puntandole contro il dito indice.
Mrs. McCready si sistemò gli occhialini sul naso e rispose stizzita: “Senti ragazzina, non hai mai gestito una casa. Io invece lavoro qui da prima che tu nascessi e nessuno ha mai avuto da ridire sui miei metodi. Né i tuoi nonni né tua madre.”
“Tanto per cominciare non usi questo tono con me. Seconda cosa, non mi dia del ‘tu’. E terzo, io ho un’enorme esperienza visto che per anni ho gestito un…”
M’interruppe alzando di più la voce: “Che cosa, signorina?”
Avevo una gran voglia di dirle che avevo gestito il castello di Cair Paravel e che me l’ero sempre cavata egregiamente, ma nonostante mi trovassi dalla parte della ragione, non potei far altro che ingoiare tutte quelle parole e tagliare corto: “Ne so più di quanto lei creda.”
Arricciando un angolo della bocca disse sarcastica: “Certo signorina, non ho dubbi!”
“Non creda che sia finita qui. Mi farò sentire ancora.”
Uscii dalla lavanderia, furiosa per non aver potuto dire quello che ero in grado di fare. Per sfogarmi, colpii una sedia del corridoio con un calcio: “Accidenti!”
In quel momento arrivò Lucy correndo, con addosso ancora il cappotto e il berretto: “Vera ti ho cercata dappertutto.”
“Lucy perché sei qui da sola? Dove sono gli altri?”
“E’ successo un disastro.”
 
Giunta davanti al bar, da cui provenivano schiamazzi e incoraggiamenti, lasciai cadere la bicicletta a terra ed entrai. Mi si presentò davanti uno spettacolo violento, con Edmund e Peter che facevano a botte con due ragazzi del paese. Tra l’altro, Peter era a terra e se le stava prendendo di santa ragione dal ragazzo più robusto di lui.
“Fermatevi! Sembrate delle bestie!”
Il ragazzo che lottava contro Edmund lo spinse a distanza e mi rispose con tono strafottente: “Che c’è Vera? Hai paura che ti rompo il fidanzato?”
I tipi della folla risero alla battuta, io invece lo fulminai: “Billy sei veramente un asino.”
Edmund approfittò della sua distrazione per atterrarlo con un possente pugno allo stomaco, quindi io andai dall’altro tipo e gli bloccai il braccio un attimo prima che colpisse il viso di Peter, che stava ancora piegato a terra: “Allora Dennis? Non hai ancora capito quanto sei ridicolo?”
Lui si liberò il braccio con uno strattone e rispose infastidito: “Sei sempre stata una guastafeste. Tanto non mi stavo neanche divertendo con questo pappamolle.”
Recuperò il suo amico Billy ancora a terra agonizzante e insieme uscirono dal bar, seguiti da un gruppetto di folla.
Io ed Edmund aiutammo Peter ad alzarsi.
“Vi ho mandato a fare una commissione nel negozio qui di fronte e vi ritrovo a fare rissa al bar?”
Edmund chiarì: “Tecnicamente era una lotta. E poi hanno cominciato loro.”
Uscimmo dal bar, dove c’era Lucy ad attenderci affiancata da Susan. Le ignorai.
“Che hanno fatto per scatenare la vostra collera?”
Peter parlò con disprezzo: “Ci hanno chiamato ‘fattorini’. Ci hanno deriso. Non potevo lasciare quest’onta impunita.”
Gli tesi una trappola: “Sei un re, devono portarti rispetto.”
“Esatto e poi…” Si accorse dei nostri sguardi e ammise la realtà: “Lo so che non siamo più a Narnia, ma io non riesco a riadattarmi a questo tipo di vita.”
Susan sbottò: “Non so che cosa sia successo dentro quell’armadio ma ormai sono passati sei mesi. Smettetela di nominare quella dannata Narnia. Non esiste.”
Confermai: “In un certo senso ha ragione lei. Dobbiamo dimenticare.”
Riprendemmo le biciclette e tornammo alla casa di mio nonno.
 
Susan posizionò l’ultimo cerotto sulla parte destra della fronte di Peter: “Ecco fatto! Stai attento quando farai il bagno.”
Mentre radunava i batuffoli usati di cotone dentro il catino, Lucy le si rivolse sorridente: “Ti avevo detto che con quella pomata il dolore delle ferite sarebbe passato subito!”
Lei disse pensierosa: “Già… Non so come sia possibile ma da un po’ di tempo t’intendi di erboristica e rimedi. Dovrai raccontarmi la verità prima o dopo.”
Anch’io terminai il lavoro mettendo un cerotto sotto al mento di Edmund: “Amore, sei fortunato. Un colpo più forte e ti avrebbe rotto l’osso.”
Presi tra le mani entrambi i catini: “Vado a buttare questa roba, torno subito.”
Finito di sciacquare i catini, dopo averli ben lavati, m’incamminai per il corridoio, ma una voce infantile mi sorprese: “Mamma!”
Mi guardai attorno senza vedere nessuno, quando la voce, lontana come un’eco, ritornò: “Mamma!”
Alzai la voce: “Chi c’è?”
Sentii una risata in direzione delle scale, allora mi voltai. Con mia sorpresa, vidi una piccola figura sbiadita raffigurante un bambino. Il suo volto sorridente mi fece scaldare il cuore, anche se non sapevo di chi o cosa si trattasse. Notai i capelli castani, folti e lisci, e l’abbigliamento medioevale. Chi era?
Emise un’altra risatina: “Mamma, mamma!”
“Vera!” Mi voltai di scatto, spaventata. Edmund mi si avvicinò con sguardo interrogativo: “Stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.”
Mi girai verso le scale ma la figura era sparita, così tornai a guardare Edmund: “Eddy, mi sembra di aver visto qualcuno sulle scale.”
“Qualcuno chi?”
“Non lo so. Un bambino. La cosa strana è che aveva dei vestiti in ‘stile Narnia’!” Cercai di accentuare le ultime due parole della frase.
“Credi che qualcuno sia riuscito ad entrare nel nostro mondo?”
“Era una figura sfocata, come dipinta nell’aria. Non era in carne ed ossa. E poi nessuno manderebbe un bambino a cercarci.”
Rimase in silenzio qualche momento, con lo sguardo fisso sulla scalinata: “Forse si è trattato di un effetto di luce. I raggi di sole che attraversano il vetro possono ingannare.”
Insistei: “Mi è parso di sentire che mi chiamava ‘mamma’!”
Mi guardò con un sorriso beffardo: “Sarà un desiderio di maternità! Amore, aspettiamo almeno qualche anno!”
Gli diedi una pacca sulla spalla: “Non lo è affatto, stupidone!”
Mi convinsi che si era trattato solo del frutto della mia immaginazione e non ne parlai più. Almeno, fino al giorno seguente.

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Capitolo 2
*** Ricordi che riaffiorano in sogno ***


Capitolo 2
Ricordi che riaffiorano in sogno
 
Mi ero appisolata tra le braccia di Edmund, mentre eravamo tutti in biblioteca. Susan e Lucy stavano facendo un gioco a carte sedute al tavolo, mentre Peter ed Edmund, seduti sul divano, ascoltavano le ultime notizie alla radio, riguardanti la guerra.
Ad un certo punto Peter si alzò dal divano e andò a spegnerla, poi si risedette pensieroso. Edmund gli chiese con tatto: “Ehi, a che pensi?”
Senza muovere lo sguardo da terra, rispose: “Tra un mese avrò diciotto anni.”
“E allora?”
“La guerra non dà segno di finire, quindi potrei arruolarmi anch’io.”
“Peter, è pericoloso! Centinaia di persone muoiono ogni giorno!”
“Lo so, ma pensavo di rintracciare papà e chiedergli consiglio su cosa fare. In ogni caso, appena compirò gli anni, sarò costretto a partire. Il rifugio in campagna è valido solo fino a questa età. E poi, non voglio passare per codardo.”
Edmund sospirò: “Ti capisco, sai. Io non avrò mai la possibilità di mostrare il mio valore sul campo di battaglia. Ma forse, chi sa, è meglio così.”
Peter alzò lo sguardo un istante su di lui, poi si fermò a guardare me: “Come mai è così stanca? Le hai fatto fare tardi in giochetti sporchi?”
La sua voleva essere una battuta, invece Edmund si mostrò un po’ preoccupato: “In realtà credo che non abbia dormito per niente stanotte. Forse c’entra la cosa che mi ha detto ieri.”
“Di che parli?”
“Ha detto di aver intravisto la figura di un bimbo narniano, non so dirti di più.”
Lucy, dalla scrivania lì vicino, s’intromise nel discorso: “Strano, la notizia non mi sorprende. E’ come se dentro di me sapessi dell’esistenza di un bambino così. Però non ho altro che una sensazione e nessun ricordo.”
Susan la derise: “Dovresti scrivere tutte le storie che inventi! Sei così buffa!”
Edmund scosse la testa come per cancellare le ultime parole pronunciate dalla sorella: “Qualunque cosa sia spero che passi presto. Non voglio che soffra di allucinazioni.”
Con la mano con cui mi avvolgeva le spalle, arrivò ad accarezzarmi i capelli che avevo vicino al viso.
Mentre loro parlavano, nella mia testa stava accadendo qualcosa che mi avrebbe fatto stare molto più male della precedente visione. Ricordo che iniziò come un sogno: mi vidi nei miei abiti da principessa, mentre accarezzavo il mio vistoso ventre in avanzata gravidanza, poi sentii lo strillo di un neonato e ancora, vidi un bimbo sorridente correre verso di me. In questo sogno le mie labbra pronunciarono il nome Caspian diverse volte. Terrorizzata da quel turbine di sensazioni, aprii gli occhi continuando a dire: “Caspian, Caspian!”
Edmund mi richiamò alla realtà: “Vera, stavi sognando!”
Improvvisamente tutta la vita vissuta a Narnia fece ritorno sia nella mia mente che nel mio cuore, tanto che le lacrime iniziarono a scorrere senza controllo e io mi ritrovai in piedi a gridare: “Edmund! Caspian è rimasto a Narnia!”
Lui mi guardò stranito: “Chi?”
“Non prendermi in giro! Dobbiamo tornare subito!”
“Vera, tesoro, riprenditi. Mi stai spaventando!”
Iniziai  a gridare come una pazza disperata: “Non capisci? Il nostro bambino è rimasto a Narnia! Il nostro bambino! Il nostro piccolo e indifeso bambino!”
Si alzò dal divano e mi afferrò alle spalle: “Smettila di vaneggiare. Cosa ti è preso?”
Mi liberai dalla sua presa e andai ad appoggiarmi sul tavolo dove Susan e Lucy avevano abbandonato la partita.
“Che razza di madre sono? Ho dimenticato mio figlio.” Mi voltai di nuovo verso di lui: “E anche tu l’hai dimenticato.”
“Adesso basta, Vera. Stai esagerando.”
Corsi fuori dalla biblioteca come un fulmine e mi precipitai all’armadio magico. Scostai i cappotti con violenza e premetti contro il fondo. Vedendo che oltre al legno non c’era altro iniziai a tirare pugni gridando: “No! No! Caspian!”
Peter ed Edmund erano subito accorsi e mi avevano spostata di peso da lì, tra i miei lamenti isterici: “Lasciatemi! Caspian!”
Con mia sorpresa, Edmund mi diede uno schiaffo per farmi calmare. Sentii le forze abbandonarmi e lasciai che lui mi abbracciasse, sussurrandomi: “Vedrai che si sistemerà tutto.”
Lo guardai dritto negli occhi e dissi con un filo di voce: “La verità è solo questa. Abbiamo dimenticato nostro figlio.”
Incapace di fare qualsiasi cosa, decisi di arrendermi all’idea che nessuno mi avrebbe creduto, fino a quando non avessero ricordato anche loro.
 
Come sempre, quella sera  Edmund era venuto nella mia stanza dopo che tutti gli altri si erano ritirati per dormire. Avevo deciso di restare arrabbiata con lui, ma quando mi si avvicinò, con quegli occhi imperscrutabili e quella chioma folta e nera, sentii il bisogno di stringerlo a me e fargli sentire che lo amavo. Credo che il sonno ci colse nello stesso momento, come un filo di collegamento che partiva da me, per andare da Edmund e anche da Peter. I ricordi riguardanti Caspian, vennero a noi in una serie di sequenze.
Ricomparve il ventre arrotondato, solo che stavolta, oltre alla mia mano ce n’era un’altra ad accarezzarlo. L’immagine si fece più nitida, mostrando che dietro di me c’era Edmund, sorridente. Entrambi eravamo così felici! Poi un’altra sequenza ci mostrò Edmund camminare nervosamente avanti e indietro di fronte alla porta di una stanza, le mie grida di dolore all’interno e poi, all’improvviso, il pianto di un neonato. Edmund entrò nella stanza, dove vide me distesa sul letto e con  un fagottino tra le braccia. Lui mi raggiunse, curioso.
“Amore, abbiamo avuto un maschietto.”
“Dici davvero? Il suo addestramento sarà eccellente e diventerà un cavaliere migliore di me. Te lo prometto.”
Si sedette accanto a me e allungò una mano per accarezzare il nostro bimbo. Col dito indice gli sfiorò la fronte, scese lungo la linea del nasino, fece la curva della guancia destra e risalì fino al piccolo neo che era sotto l’occhio: “Il nostro piccolo Caspian. Un giorno sarà lui il comandante incaricato di difendere il regno.”
In un’altra sequenza ancora, c’erano Edmund e Peter seduti a tavola, ed io che allattavo Caspian di fronte a loro.
Edmund chiese: “Sei davvero sicuro di volerlo fare? Potresti pentirtene.”
Peter scosse la testa: “No, non accadrà. Sento che è la cosa giusta da fare.”
L’immagine passò dalla sala dei pasti alla sala del trono. Era affollata come non mai. Peter sedeva sul suo trono, Edmund era in piedi a poca distanza da lui con una lunga pergamena aperta tra le mani e diretta alla folla. Io sedevo accanto a Peter, mentre Lucy teneva in braccio Caspian poco distante da me.
Peter si alzò e parlò con voce chiara: “Ministri e sudditi, so che molti di voi non hanno approvato la mia decisione, ma non tornerò indietro. Con questo documento, dichiaro che Caspian, figlio di Edmund e Vera, sia nominato mio erede. Dopo la mia morte o una mia abdicazione, verrà incoronato Re. Potrebbe passare come secondo nella linea di successione solo in caso di un mio figlio legittimo, nato da una legale unione in matrimonio. Però voi sapete che io non aspiro a prendere moglie e mai lo farò. Con questo, dichiaro chiusa la questione. Siete tutti invitati a ritirarvi, la riunione è terminata.”
Da lì ci fu un salto temporale fino al giorno del quinto anniversario di matrimonio mio e di Edmund. Entrambi abbracciammo nostro figlio, ormai in grado di camminare e correre sulle proprie gambe e di parlare con le prime frasi ben articolate.
Edmund lo accarezzò sulla testa bruna: “Quando sarai più grande verrai a caccia con papà.”
Io, in ginocchio, mi raccomandai: “Fai il bravo mentre sei con Karen.”
Caspian mi regalò un luminoso sorriso, socchiudendo i suoi occhi neri, come quelli di Edmund.
Noi ci allontanammo, mentre lui ci salutava con la manina: “Ciao mamma! Ciao papà!”
L’immagine del volto sorridente di Caspian si fece pian piano sfocata, finché non restò altro che il vuoto.
Edmund si svegliò di colpo gridando: “Caspian!”
Accanto a lui, lo pregai con sguardo sofferente e gli strinsi una mano.
Mi disse convinto: “Dobbiamo tornare.”
 
Indossate le vestaglie, ci avventurammo per il corridoio, dove incontrammo Peter.
Ci fermammo a guardare il suo volto segnato dal dolore: “Anche voi avete ricordato, vero? Abbiamo avuto lo stesso sogno nello stesso momento.”
Edmund lo informò: “Stiamo andando all’armadio.”
“Vengo con voi. Voglio aiutarvi.”
Provammo in tutti i modi a cercare il passaggio, ma invano. Il fondo in legno restò tale nonostante continuassimo a coprire e scoprire il punto dove eravamo sicuri si sarebbe aperto il passaggio.
Peter si sedette a terra incrociando le gambe: “E’ inutile. Non so cosa inventarmi.”
Edmund si appoggiò ad un’anta con il braccio: “Eppure deve esserci il passaggio. Lo ricordo perfettamente.”
Io mi allontanai sconsolata, allora Edmund mi raggiunse e mi abbracciò da dietro: “Ti prometto che troverò il modo di tornare.”
“E’ come se lo vedessi, povero piccolo. In attesa davanti alle porte del castello in attesa che tornino mamma e papà. E il suo visino triste non vedendoci più tornare.” Scoppiai a piangere: “Cosa gli avranno detto? Si è ritrovato da solo da un giorno all’altro. Manchiamo da sei mesi.”
Lui mi strinse forte: “Non disperare. Torneremo da lui.”
Peter, ancora seduto a terra, si sentì impotente: “Capisco quanto deve essere straziante il vostro dolore. Ma dovete avere fiducia. Potremmo tornare quando meno ce lo aspettiamo.”

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Capitolo 3
*** Un nuovo passaggio ***


Capitolo 3
Un nuovo passaggio
 
Erano trascorse tre settimane e ancora niente. L’armadio era un comunissimo pezzo di legno senza vita e iniziavamo a temere che non sarebbe cambiato più. Ogni ora del giorno e della notte, uno di noi provava a guardare se si fosse aperto il passaggio, ma fu tutto inutile.
A forza di piangere le mie lacrime erano quasi cessate ed Edmund aveva smesso di parlare completamente con gli altri.
Susan, che non capiva e non avrebbe mai capito, un giorno ci definì delle statue di pietra, con la conseguenza che si beccò uno schiaffo da Peter.
Quel pomeriggio ci trovavamo in giardino, in un punto lontano dalla villa, vicino a dove si estendeva una sorta di foresta vergine composta di alberi e piante aggrovigliate che non facevano filtrare nemmeno uno spiraglio di luce. L’unico passaggio era un buco nero di due metri di circonferenza dall’aspetto inquietante. Si diceva che attraversasse tutta la macchia, ma nessuno aveva mai avuto il coraggio di entrarvi.
Peter e Lucy giocavano a lanciarsi una palla, senza il minimo entusiasmo. Io ed Edmund eravamo seduti ai piedi di un albero, abbracciati a guardare nel vuoto, quando il mio sguardo fu attratto da un leggero movimento proveniente dal buco nero.
“Forse un colpo di vento ha fatto muovere le foglie.”
Edmund voltò lo sguardo verso di me: “Hai detto qualcosa?”
“No, mi era parso di vedere qualcosa muoversi. Niente d’importante.”
Alzò le braccia in aria e si stirò la schiena: “Che ne dici se facciamo una passeggiata? Stando seduti qui per terra finiremo per congelarci!”
Mi porse la mano per aiutarmi ad alzarmi.
Peter, con la palla in mano, ci chiese: “E se stessimo sbagliando?”
Vedendo i nostri sguardi interrogativi, continuò: “Intendo dire, solo perché la prima volta siamo passati per l’armadio, non significa che sia l’unico passaggio. Magari guardandoci attorno potremmo trovarne un altro.”
Io dissi con una punta di cattiveria: “Potremmo mandare Lucy in perlustrazione. E’ lei l’esperta nel ritrovamento dei passaggi dimensionali.”
Lei intese chiaramente il mio astio: “Lo so che sei arrabbiata con me e hai ragione. Quel giorno sono stata io a ritrovare il punto da cui eravamo venuti. E’ a causa mia se siamo tornati qui.”
Non risposi, a conferma che la pensavo esattamente così.
Fu la voce di Susan a richiamare la nostra attenzione: “La McCready ha preparato tè e biscotti per tutti. Se volete favorire venite dentro.”
Senza attendere una risposta, girò sui tacchi e tornò sui suoi passi.
Chiesi istintivamente: “E’ ancora arrabbiata  per quello schiaffo, vero?”
Peter fece spallucce: “In fondo se l’è meritato.”
Stavamo per incamminarci verso casa, quando uno strano odore nell’aria mi fermò: “Non lo sentite anche voi?”
Tutti annusarono l’aria e Peter confermò: “Sì, lo sento. Sembra… Non so, sembra…”
Edmund continuò: “Salmastra.”
Lucy intervenne: “Ma qui non c’è il mare.”
Io m’illuminai: “Viene dal buco nero! Sentite? L’odore s’intensifica verso quel punto!”
Ci avvicinammo a quel passaggio del terrore, ma nessuno aveva il coraggio di metterci piede per primo. Peter propose: “Ci prendiamo per mano ed entriamo insieme?”
Sbuffai: “Qualunque cosa ci sia lì dentro, sarà sempre meglio che stare qui con le mani in mano.”
Con passo spedito mi avventurai nel buio, seguita dagli altri. All’interno, il passaggio da cui eravamo entrati si chiuse e vedemmo che dalla parte opposta proveniva un’intensa fonte di luce. Corremmo in quella direzione, finché ci ritrovammo con la sabbia sotto alle scarpe.
 
Eravamo finiti in una spiaggia e il mare di fronte a noi era cristallino e profumato. Tutti noi ci togliemmo cappotti, guanti e sciarpe e riprendemmo la nostra corsa, tra sorrisi e risate.
Io aprii le braccia al cielo: “Ne sono sicura, siamo a Narnia!”
Edmund si guardò attorno: “Va bene, ma in quale parte?”
Peter disse saggio: “L’unico modo per scoprirlo è incamminarci.”
Edmund corse nel punto dove avevamo gettato i cappotti. Chiesi: “Eddy che fai?”
Lui cercò nel mucchio, poi sollevò una torcia di metallo: “La mia torcia. Ce l’ho sempre in tasca. Potrebbe servirci.”
Passeggiammo per un buon tratto, senza vedere niente di familiare. Poi sollevammo lo sguardo su un’altura ed Edmund disse: “Là sopra ci sono delle rovine.”
Peter confermò: “Nel nostro regno non c’erano. Possibile che siamo così distanti?”
“Certo che è buffo! Adesso che guardo bene, sembra Cair Paravel! Un castello costruito su un’altura affacciata sul mare!”
Io e Peter ci scambiammo uno sguardo impaurito a cui si unì anche Edmund: “E’ solo una coincidenza, vero?”
Non ci fu bisogno di una risposta, tutti e quattro scattammo in una corsa sfrenata verso quelle rovine. Ormai a poca distanza, riconobbi senza dubbi i resti del nostro adorato castello e gridai: “Caspian!”
Ci avventurammo tra le macerie, disperati.
Edmund si chinò su alcuni pezzi: “E’ chiaro che è stato attaccato. Tutto questo è causa delle catapulte.”
Gridai: “Catapulte? E chi è stato? Vivevamo in pace!”
Peter si guardò attorno: “Dobbiamo scoprirlo. Comunque non vedo oggetti tra le macerie, questo significa che qualcuno ha portato via tutto.”
Lucy, quieta quieta, si avvicinò ad Edmund e gli porse un pezzo dorato appartenente ad una scacchiera.
Lui lo rigirò tra le mani: “Questo era mio. Me lo ricordo bene. Giocavo sempre a scacchi con Arthur.”
Peter ci chiamò da dietro un muro: “Venite, ho trovato qualcosa.”
Lo raggiungemmo e ci ritrovammo di fronte ad una porta scavata nella pietra. Unendo le nostre forze, riuscimmo ad aprirla ed Edmund usò la sua torcia per guidarci giù dalla scalinata che portava ad un sotterraneo.
Si trattava di un piccolo sacrario diviso in settori, dove su ogni parete erano scolpiti i nostri volti sulla pietra, sopra a dei grossi bauli. Ognuno aprì quello sotto alla propria immagine.
Peter fu il primo a parlare: “Ci sono alcuni nostri effetti. Qualcuno è tornato qui dopo l’attacco e ha costruito questo posto in nostra memoria.”
Io ritrovai la mia fede nuziale, che mi affrettai ad indossare: “E’ stato il giorno più bello della mia vita. E’ giusto che questa promessa d’amore brilli al mio dito.”
Lucy sembrò divertita nell’accostarsi un suo vecchio vestito al corpo: “Ero adulta quando indossavo questi vestiti! Guardate com’è grande!”
Edmund le sorrise: “Accorcerai la gonna e le maniche finché non ne troverai un altro. Vera ti aiuterà.”
Udì il mio colpo di singhiozzo e si voltò a guardarmi, accucciata accanto al baule con una copertina tra le mani.
“Vera, tesoro, cosa c’è?”
Scostai le lacrime dagli occhi: “Questa era di Caspian. L’ho usata lo scorso inverno quando si addormentava in braccio a me.”
Peter sentì una morsa al cuore nell’udire quelle parole. Fece qualche passo per venirmi incontro e attese che io sollevassi lo sguardo su di lui. Disse fiero: “Ritroverò tuo figlio, Vera. Te lo prometto. Fosse l’ultima cosa che faccio.”

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Capitolo 4
*** Di fronte alla realtà ***


Capitolo 4
Di fronte alla realtà
 
Aiutai velocemente Lucy a modellare il vestito secondo le sue attuali misure. Per fortuna, io, Edmund e Peter portavamo all’incirca la stessa taglia di quando vivevamo a Narnia. A parte gli abiti, ci premurammo di caricarci addosso anche le nostre armi storiche, cioè le spade dall’elsa dorata e quella argentata, lo scudo con l’effige di Aslan di Peter, il pugnale e il liquido miracolo di Lucy e… “Dov’è il mio corno?”
Edmund allungò il collo verso il mio baule: “Sarà sepolto sotto ai vestiti, guarda meglio.”
Rovistai accuratamente, spostando o sollevando qualunque cosa il baule contenesse, ma del mio corno non vi era traccia. Sbuffai: “Spero non ci saranno emergenze.”
Come ultima cosa, riempimmo delle fiaschette di acqua e ci mettemmo in cammino.
Stavamo marciando verso Telmar, con volto cupo e sguardo basso, senza proferire parola, quando Peter si fermò e richiamò la nostra attenzione: “Aspettate.”
Noi tre ci voltammo a guardarlo, senza chiedere spiegazioni e senza seguire la direzione del suo sguardo all’orizzonte.
“Stiamo commettendo un errore. Se Cair Paravel è stato distrutto significa che gli invasori hanno conquistato il nostro regno e quindi anche Telmar. Se andiamo là e i nemici ci riconoscono verremo catturati e uccisi.”
Edmund chiese fiducioso: “Cosa pensi di fare?”
Peter parlò gesticolando con le mani: “Di percorrere la strada più lunga possibile prima di avvicinarci alla città e trovare dei sudditi o dei fuggiaschi che ci sappiano raccontare con precisione chi sono e cosa hanno fatto gli invasori.”
Edmund fece dei cenni positivi col capo prima di confermare a parole: “Sì, andiamo.”
Io e Lucy, troppo affrante per parlare o pensare qualsiasi cosa, ci affidammo completamente alla sicurezza dei ragazzi e alla loro intesa.
Dentro al bosco più vicino al nostro castello, o meglio quello che restava del nostro castello, infransi il silenzio rivolgendomi ad Edmund: “Non avranno fatto male al nostro bambino, vero?”
Lui si prese qualche secondo per trovare una risposta diplomatica: “Quale mostro potrebbe prendersela con un bambino? Vedrai che sta bene.”
“E’ l’erede al trono e quindi l’unico che potrebbe rappresentare una minaccia.”
“Sinceramente Vera, ho più paura che possano avergli fatto il lavaggio del cervello.”
“Che intendi dire?”
“Ha il mio sangue nelle vene, un indomito spirito combattivo. Una volta diventato adulto potrebbe essere utile agli invasori per mantenere il controllo nei territori che hanno conquistato.”
Una ruga di preoccupazione si creò al centro della mia fronte: “Potrebbe essersi dimenticato di noi? E’ questo che mi stai dicendo?”
Tenne lo sguardo puntato sui miei occhi: “Sto dicendo che dobbiamo essere pronti a tutto.”
Mi avvicinai a lui e lasciai che mi  prendesse sotto braccio per trasmettermi conforto.
A pochi passi da noi, la piccola Lucy aveva seguito la nostra conversazione e il suo viso era diventato un po’ più pallido. Davanti a noi, Peter non aveva sentito una sola parola, troppo impegnato a riflettere e a guardarsi attorno.
“C’è qualcosa che non va. Edmund,  lo hai notato anche tu?”
Lui mi lasciò un attimo per affiancarsi a Peter: “Notato cosa?”
“E’ da almeno due ore che siamo a Narnia e ancora non abbiamo incontrato nessuno.”
Edmund si guardò attorno: “Ora che ci penso, è vero.”
“Ma dove sono gli abitanti? Un tempo i boschi pullulavano di creature.”
“Forse si nascondono.”
“No, non credo. Non so cosa stia succedendo ma non mi piace per niente.”
Eravamo totalmente ignari di ciò che stava accadendo realmente.
 
Il nostro viaggio continuò attraverso altri boschi, fino a quando cominciammo a sentire l’affacciarsi della stanchezza. Lucy si lamentò con le lacrime agli occhi: “Peter possiamo fermarci? Sono stanca!”
Lui si voltò per guardare noi, chiedendo la nostra opinione con lo sguardo.
Io parlai in difesa di Lucy: “Non è necessario ammazzarci di fatica a forza di camminare. Facciamo una sosta  così possiamo pensare ad un luogo dove accamparci per la notte.”
Edmund intervenne: “A poca distanza da qui c’è il fiume. Potremmo riposarci sulla riva e fare scorta di acqua.”
Peter prese in mano la sua fiaschetta e la rovesciò, constatando che era vuota: “In effetti senza acqua non possiamo andare avanti. Forza, raggiungiamo il fiume.”
Riprendemmo a camminare e io azzardai: “Chissà che fine hanno fatto tutti quelli che conosciamo. Sacro Aslan, Oreius potrebbe aver combattuto fino alla morte lasciando Karen da sola con un figlio. E Arthur dove sarà? Si sarà sentito spaesato ritrovandosi senza la guida di un superiore.”
Edmund parlò con certezza: “Era un po’ timido, ma sono certo che abbia affrontato il pericolo nel migliore dei modi.”
Peter interruppe il discorso, accennando un sorriso: “Finalmente! Dietro quei cespugli e quelle piante rampicanti dovrebbe esserci il fiume!”
Tutti velocizzammo il passo, contenti di sapere che tra non molto avremmo potuto bere e rinfrescarci nell’acqua, ma le nostre speranze furono infrante quando udimmo il rumore di zoccoli di alcuni cavalli. Quando arrivammo ai cespugli, Peter ci intimò a bassa voce: “Nascondiamoci!”
Ci accucciammo il più possibile e, facendo attenzione, creammo dei passaggi tra le foglie per avere una visuale su ciò che stava dall’altra parte dei cespugli.
Vedendo un gruppo di uomini armati a cavallo e un altro numeroso gruppo di uomini che lavoravano a una diga, io e Lucy sussultammo.
Mi rivolsi a Peter: “Stanno abbattendo gli alberi e hanno interrotto il corso del fiume.”
Peter, continuando a guardare avanti, mi fece un gesto per indurmi a tacere.
Nel giro di pochi secondi arrivarono altri tre uomini a cavallo.
Uno di loro si avvicinò ad un altro che era già sul posto. L’uomo si voltò e lo accolse con occhi di ghiaccio: “Quali novità, Glozelle?”
Dal nascondiglio, mi illuminai di gioia: “E’ Miraz! E l’altro è Arthur! Raggiungiamoli!”
Stavo per alzarmi, ma le braccia di Edmund mi tennero stretta e mi impedirono di muovermi. All’inizio non capii il motivo per cui loro se ne stavano fermi e seri, ma quando tornai a guardare la scena mi si presentò la verità in faccia. La prima cosa che notai erano le folte barbe dei due, ma non mi sfiorò il pensiero che i loro volti erano più maturi rispetto a quando li avevamo visti l’ultima volta.
Arthur, in difficoltà, attese un po’ prima di rispondere: “Non l’abbiamo ancora trovato, mio signore.”
Miraz contrasse la mascella e poi alzò la voce: “Che cosa ci vuole per ritrovare quel dannato ragazzino? E’ tanto difficile?”
“Stiamo facendo di tutto, ve l’assicuro.”
“Volevo vedere Caspian morto prima della mia incoronazione, ma evidentemente non sarò accontentato!”
Arthur non rispose, allora lui continuò: “Per fortuna ho pensato di assetare quei pochi narniani sopravvissuti allo sterminio. Questa diga sarà un vantaggio per noi. Comunque sappiate, generale Glozelle, che mi avete deluso. E deludere un re non è mai una buona cosa.”
Con le redini incitò il cavallo a partire al galoppo e se andò in direzione della città. Arthur rimase immobile a guardarlo allontanarsi, il suo sguardo sembrava atterrito non per via del rimprovero ma forse per qualcosa che gli stava a cuore e stava tenendo segreto, poi fece un cenno ai suoi due uomini e tutti e tre partirono al galoppo nella direzione opposta.

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Capitolo 5
*** Il piccolo Caspian ***


Capitolo 5
Il “piccolo” Caspian
 
Con una rapida corsa ci allontanammo dal luogo dove i lavoratori e i guardiani avrebbero potuto sentirci o vederci. A debita distanza, mi rivolsi ai ragazzi in modo isterico: “Che significa tutto questo?”
Immediatamente puntai un braccio in direzione del luogo che avevamo appena lasciato e continuai a gridare, gli occhi spalancati come una pazza: “Perché Miraz vuole uccidere mio figlio? Come ha fatto ad auto-nominarsi sovrano? Di che sterminio stava parlando? Da quando in qua è stato inserito il grado di Generale nella scala militare di questo regno?”
Nel secondo in cui mi fermai per riprendere fiato, Edmund tentò di dire: “Dobbiamo analizzare la situazione con cal…” Lo interruppi strepitando e con gli occhi gonfi di lacrime: “Dov’è il mio bambino?”
Presi a camminare dando loro di spalle, inspirando per tentare di placare i singhiozzi che minacciavano di assalirmi e passando nervosamente le maniche dell’abito sugli occhi per asciugare le lacrime sul nascere.
Peter ed Edmund si scambiarono un’occhiata, poi Peter prese Lucy per mano dicendole: “Vieni, andiamo a vedere se troviamo dei frutti di bosco e dell’acqua.”
Edmund attese che si allontanassero, poi venne da me e mi abbracciò di spalle, affondando il viso tra l’incavo del mio collo e della spalla. Sospirò a fondo per mantenere il controllo, almeno lui, visto che io ormai l’avevo perso. Mi stampò un bacio sulla pelle fredda. Il contatto con le sue labbra calde mi fece tranquillizzare un po’.
Con voce camuffata dal pianto dissi: “Non riesco ad accettarlo. Prima il passaggio che non si apriva, poi la scoperta del nostro castello distrutto e ora…questo. Io non ce la faccio.”
Lui mi strinse più forte e mi sussurrò all’orecchio: “Lo so che sei sconvolta. Credimi, è lo stesso per me. Ma se perdiamo la testa non riusciremo a fare niente. Sono in agonia al pensiero che nostro figlio sia disperso e in pericolo di vita e per questo è necessario che io mantenga il sangue freddo. E’ ciò che devi fare anche tu, amore mio. Fallo per Caspian.”
Non riuscii ancora  a parlare, perciò chiusi gli occhi e mi concentrai a regolare il respiro, mentre con una mano carezzai la folta chioma nera di Edmund.
Per diversi minuti ci coccolammo così.
 
Poco dopo gli altri tornarono: Lucy teneva tra le mani lo scudo di Peter, il cui interno fungeva da recipiente per more, mirtilli e fragoline, mentre Peter stringeva in pugno le orecchie di una lepre che aveva cacciato.
La sollevò ad altezza del viso: “Non è molto, ma come cena può andare.”
Riprese a camminare e quando passò di fianco a noi, che eravamo ancora abbracciati, disse scherzosamente ad Edmund: “Alla legna per il fuoco ci pensi tu, Principe Comandante!”
Mi lasciai sfuggire una risatina, allora Edmund mi riprese giocoso: “Che hai da ridere tu?”
Mi sciolse dall’abbraccio e mi diede una maliziosa pacca sulle natiche,  quindi s’incamminò alla ricerca di ramoscelli.
Ad unanime consenso, decidemmo di accamparci nel bosco successivo a quello dove eravamo, in modo da mettere più distanza possibile tra noi e gli uomini di Miraz. Inoltre, nella radura da noi scelta c’era anche una piccola fonte di acqua pura. Ormai la sera era calata, noi quattro eravamo attorno ad un piccolo falò orgogliosamente allestito da Edmund, su cui avevamo gettato le ossa del coniglio dopo averlo mangiato. In quel momento, io e Lucy stavamo gustando i frutti da lei raccolti, mentre i ragazzi si erano distesi sul fianco per riposare.
Edmund parlò sopra allo scoppiettio del fuoco: “Non posso credere a quello che ho sentito.”
Peter disse con poco impegno: “Miraz non mi è mai piaciuto. E’ sempre stato perfido.”
“Non parlavo di lui.”
“Di chi allora?”
Edmund sospirò: “Di Arthur.”
Peter abbassò lo sguardo sulle pietre che circondavano il falò: “A volte gli amici non sono quello che sembrano.”
“Sembrerà assurdo, ma io mi rifiuto di credere che ci abbia traditi. Nonostante le apparenze, mi fido  di lui e lo considero ancora il mio più caro amico.”
Intervenni con voce serena: “Anch’io ho fiducia in lui. Non lo ritengo colpevole. Non sappiamo come siano andate le cose.”
Lucy  prese la sua fiaschetta, versò un po’ di acqua dentro allo scudo per sciacquarlo e lo ripose vicino al falò.  Mi si rivolse sorridente: “Posso acconciarti i capelli?”
La osservai con sguardo interrogativo: “Lucy, non stiamo andando ad una cerimonia di corte.”
“Con una treccia non ti saranno più d’intralcio. Domani potresti ritrovarti a combattere e hai bisogno di libertà nei movimenti, inoltre dormendo sull’erba rischi di sporcarli e di intricarli.”
Peter ed Edmund le donarono un sorriso di simpatia.
Mi girai in modo da darle di spalle: “Va bene, piccola. Fai la tua treccia.”
Usò le dita per pettinarmi i capelli con cura e cominciò ad intrecciare le tre ciocche, come se stesse giocando: “Ti arrivano solo a metà schiena. Ricordo che l’ultima volta che ti ho fatto una treccia erano lunghi almeno fino alle natiche.”
Dissi con un filo di nostalgia: “E’ stato grazie alle cure di Karen che erano cresciuti così tanto.”
In capo ad un’ora eravamo tutti entrati in un sonno profondo, stesi in modo da formare un quadrato attorno al falò che durante la notte si spense.
 
Al mattino, poco dopo il sorgere del sole, Peter fu il primo di noi a svegliarsi. Si guardò attorno qualche istante, prima di sbadigliare. Si alzò dal prato e si diresse verso l’interno del bosco a cercare un tronco che facesse al caso suo, per liberarsi di un’urgenza personale.
Durante il ritorno, sentì uno strano movimento a poca distanza, come di passi sulle foglie secche nei punti dove non c’era l’erba. Mentre lui era in esplorazione, anche Lucy si svegliò, in seguito ad un sogno riguardante Aslan. S’inoltrò nel bosco per cercarlo e per poco non si fece scoprire da un minotauro, ma Peter la fermò appena in tempo.
Tenendo Lucy riparata dietro ad una roccia, si lanciò per colpire il minotauro con un colpo di spada, ma un’altra spada gli impedì il colpo.
Un ragazzo poco più grande di lui, prese a combattere accanitamente contro Peter, nonostante Lucy gridasse a entrambi di smettere. Da diversi punti del bosco, giunsero le creature di Narnia, quali centauri, minotauri, nani e fauni armati. Molti di loro avevano un aspetto famigliare.
Io ed Edmund ci eravamo appena svegliati. Non vedendo gli altri due, mi offrii di andare a cercarli nei dintorni, mentre Edmund rimase lì ad affilare la spada con una pietra.
Sbucando dagli alberi, vidi Lucy immobile accanto ad una roccia e sorpresi Peter ed il suo avversario a combattere. In quel momento, Peter sembrava avere la meglio, visto che aveva bloccato il ragazzo contro il tronco di un albero e le loro spade erano incrociate davanti ai loro visi.
Lo ripresi: “Peter che sta succedendo?”
Il ragazzo, che stringeva i denti per resistere alla forza di Peter, volse lo sguardo verso di me e cambiò espressione in un lampo. Lasciò gradualmente la presa della spada, allora anche Peter si ritirò, non sentendosi più minacciato.
Il ragazzo disse con voce spezzata: “Mamma!”
A tale appellativo, corrugai la fronte: “Come hai detto, prego?”
Si fece avanti, lasciando cadere a terra la spada e facendo affiorare un sorriso sulle sue labbra: “Mamma sei davvero tu!”
Lo guardai perplessa: “Ti sbagli! Non posso essere tua madre!”
Si fermò e si portò le mani al petto: “Sono io, Caspian!”
Mi sentii tremare: “No. Non prendermi in giro. Mio figlio non ha ancora quattro anni.”
“Te lo giuro, sono io!”
Guardai attentamente il suo volto e riconobbi gli occhi scuri e profondi di Edmund, i capelli castani lunghi fino alle spalle lisci come i miei, i lineamenti del viso uguali ai miei, la carnagione bianca esattamente come quella mia e di Edmund. Ma soprattutto, il piccolo neo sotto l’occhio destro. Scossi leggermente la testa e parlai con un filo di voce: “Sono stata via solo sei mesi.”
Lui mi si avvicinò e mi cinse la vita con le braccia, gli occhi gonfi di lacrime: “No, mamma. Sono passati diciassette anni.”
Scoppiarono le lacrime dagli occhi di entrambi quando ci abbracciammo carichi di sentimento.
“Il mio bambino! Caspian! Il mio piccolo Caspian!”
“Oh mamma, non avevo più speranze!”
Di fronte a tale scena, gli sguardi increduli di Peter e Lucy erano più che giustificati, ma ancora di più lo fu il grido furibondo di Edmund quando comparve con la spada stretta in mano: “Ehi tu! Metti giù le mani da mia moglie!”
Si stava per catapultare contro Caspian, quando lui lo chiamò: “Papà, ci sei anche tu!”
Edmund si fermò di colpo tenendo la spada sollevata, passando lo sguardo da lui a me.
Io sorrisi: “Edmund, è Caspian!”
Lui sbottò: “Non ti aspetterai che io ci creda, vero?”
Vedendo la lama affilata di fresco, lo rimproverai severa: “Non sollevare quella spada contro nostro figlio, Eddy.”
Fece qualche altro passo verso di noi e balbettò spiazzato: “Ma ma… No, non è possibile.”
“Tesoro, qui a Narnia siamo mancati per diciassette anni.”
Poco alla volta abbassò la spada fino a lasciarla cadere a terra, proprio come aveva fatto precedentemente Caspian. Gli fece un cenno per chiedere conferma: “Caspian?”
I suoi occhi si riempirono ancora di lacrime: “Sì, papà! Sono io!”
Edmund gli posò una mano sulla spalla: “Il mio Caspian!” Inevitabilmente, si abbracciarono.
“Figlio mio, ti ho ritrovato finalmente!”
“Sono così felice che siate entrambi qui!”
Io, accanto a loro, mi stavo mordendo un labbro da quanto ero commossa. Intorno a me, Lucy sorrideva felice, Peter se ne stava appoggiato alla spada, con la punta conficcata nel terreno, in contemplazione della scena, senza manifestare alcun tipo di emozione, fino a quando parlò tra sé in modo compiaciuto e allo stesso tempo di sfida: “Il mio erede!”
Come sentendo il suo sguardo addosso, Caspian si sciolse dall’abbraccio di Edmund e si rivolse a Peter: “Ti chiedo perdono, zio Peter. Prima non ti avevo riconosciuto. Ti ricordavo con la barba. E ora ti ritrovo più giovane di quando ti ho veduto l’ultima volta.”
Peter fece un mezzo sorriso e disse con noncuranza: “Non scusarti. Non è successo niente.”
Caspian fece un cenno positivo col capo e si voltò verso Lucy: “Tu invece devi essere Lucy, la guaritrice e dama di corte.”
Lei fece un inchino con viso sorridente: “Sì, è esatto! Quando sei nato però non ero una bambina!”
In quel momento la mia voce strillò: “Il mio corno!”
Caspian  portò una mano al corno che teneva legato alla cintura in vita: “Oh, questo! E’ una lunga storia. E’ stato grazie a lui che siete tornati.”
“Pensavo fosse stato rubato o perduto. E’ un sollievo sapere che lo hai tu.”
Peter, dal suo posto, rinfoderò la spada e si avvicinò con aria regale: “Caspian, penso sia ora che ci racconti questa lunga storia. Dobbiamo sapere cosa è accaduto in questi anni.”
Lui rispose serio: “Sì, riuniamoci in privato e vi dirò tutto.” Poi si rivolse ai soldati che aveva portato con sé: “Voi continuate a perlustrare la zona e mandate un messaggero per avvisare che abbiamo ritrovato i sovrani di Narnia, il primo cavaliere e la guaritrice di corte. Tra qualche ora torneremo alla base.”
Ci spostammo verso un gruppo di rocce franate e ci accomodammo per ascoltare Caspian. Ovviamente io mi sedetti al suo fianco e gli strinsi una mano tra le mie, Edmund si mise all’altro lato, Lucy e Peter di fronte a noi.

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Capitolo 6
*** Il racconto più doloroso ***


Capitolo 6
Il racconto più doloroso
 
“Per quanto mi sia doloroso dovrò partire proprio dall’inizio, da quel lontano giorno del quinto anniversario di matrimonio dei miei genitori. A sole poche ore dalla vostra assenza, Arthur Glozelle aveva mandato una pattuglia a prendervi, immaginando che vi servisse aiuto per trasportare il cervo fino al castello. Quando i soldati tornarono da soli, anzi, accompagnati solo dai vostri cavalli, scattò l’allarme generale. Ricordo che stavo giocando con Roger, nelle mie stanze private, quando Karen entrò. Vidi subito il suo viso triste, le sue mani giunte come in preghiera, il suo sguardo lucido che mi fissava, e capii che era accaduto qualcosa. Venne da  me e mi prese in braccio, poi mi disse che i miei genitori erano scomparsi, assieme a mio zio e alla guaritrice.
Il mattino seguente Arthur organizzò una spedizione: divise l’esercito in due gruppi e ordinò che l’intero regno fosse setacciato, quindi partì al comando di uno, e assegnò l’altro ad Oreius. Rimasero fuori per settimane senza mai inviare un messaggio a palazzo. Alla fine, quando tornarono, analizzarono la situazione ed eventuali tracce, ma constatando che l’unica traccia era qualche ramo spezzato nella zona dove avevano trovato i vostri cavalli, dovettero arrendersi all’evidenza che non eravate più a Narnia.
Piansi migliaia di lacrime, trascorrendo le giornate tra le stanze di mia madre e quelle di mio padre.
Pochi giorni dopo aver reso pubblica la notizia della vostra permanente scomparsa, Miraz si ritrovò in riunione con gli altri ministri per decidere le sorti del regno. Tutti si mostrarono contrari ad eleggere un nuovo sovrano, specialmente perché io ero stato nominato erede al trono da mio zio in persona, perciò avrei preso il suo posto non appena fossi diventato adulto. Ovviamente la cosa lo infastidì molto, quindi continuò a dare riunioni finché non riuscì a farsi nominare mio tutore e quindi anche reggente del regno. Per alcuni anni non fece niente di male e io passai la mia infanzia serenamente, attorniato da persone che mi volevano bene e che mi crescevano insegnandomi sani princìpi. Più di tutti, fu Arthur a farmi da padre. Mi addestrava ogni giorno nell’arte del combattimento, della lealtà e della giustizia e fece di tutto per convincere i ministri ad assegnarmi il Dottor Cornelius come maestro e istruttore. Fu all’affacciarsi della mia adolescenza che le cose iniziarono a cambiare in negativo. Miraz prese in moglie la figlia dell’orefice, che era diventata una bella donna e aveva una buona dote. Non so nemmeno io come sia accaduto, fatto sta che da un giorno all’altro prese possesso del castello cittadino e lo rese la sua dimora. Subito dopo, attraverso sporche macchinazioni politiche, riuscì a dimezzare il numero nei ministri narniani e, di conseguenza, a spingere i narniani a lasciare il castello di Cair Paravel e la città un poco per volta e tornare a vivere nei territori selvaggi. Con questo distacco, tra loro e gli umani si creò una forte tensione che creò alcuni tumulti. Fu l’ultima volta che rividi il mio caro amico Roger e i suoi genitori.  Per altri anni ancora Miraz godette della sua posizione privilegiata e si arricchì sottraendo soldi al tesoro della corona. Una settimana prima del compimento dei miei diciotto anni, fece approvare una legge per cui non avrei potuto essere incoronato fino al compimento dei ventun’anni. Nonostante tutto quello che aveva fatto contro di me, io mi infuriai quando sentii alcune sguattere dire che quando avrebbe avuto un figlio mi avrebbe fatto cacciare per sempre. Ero convinto che mi volesse bene e riuscì a farmi credere che, il giorno in cui fu distrutto Cair Paravel, fossero stati i narniani a provocare l’attacco. Mi trasferii nel castello cittadino, ma il mio cuore piangeva all’idea che tutto ciò che mi ricordava i miei genitori fosse stato distrutto. Mi fu impedito di uscire dalle mura della città, perciò mi ci volle un po’ di tempo prima di riuscire a fuggire e tornare al luogo che era stato la mia casa, portando con me qualche provvista e qualche oggetto personale per trascorrere lì la notte. La mia sorpresa fu grande quando tra le macerie trovai un passaggio segreto che portava ad un sacrario. Vidi le vostre immagini scolpite e i bauli e capii che solo i narniani avevano potuto costruire quel nascondiglio in vostra memoria. Sbirciai tra gli effetti dei miei genitori, ritrovando abiti, spade, monili vari, insomma c’era tutto tranne il corno di mia madre. Lo credetti bruciato durante l’attacco e lasciai la mia copertina in sostituzione, come se potesse colmare il vuoto. Iniziai a dubitare delle parole di Miraz riguardo ai narniani e rimasi in guardia sulla mia sicurezza, soprattutto quando seppi che sua moglie era gravida. Nella mia mente continuavo a sperare che nascesse una femmina, così sarei riuscito a compiere i ventun’anni e a salire al trono come era mio diritto.
Una notte, Cornelius venne a svegliarmi. Mi disse che era nato un maschio e che io ero in serio pericolo di vita. In un lampo ci nascondemmo entrambi nell’armadio quando sentimmo un gran rumore di passi dirigersi verso la mia stanza. Vidi Arthur in testa ad un gruppo di soldati armati di balestre. Mi si spezzò il cuore nuovamente quando ordinò di puntarle verso il mio letto, chiuso dalle cortine, ed egli stesso fu il primo a sferrare il colpo. Si accorsero subito che io non c’ero perciò diedero l’allarme. Fortunatamente riuscii a scappare, con l’aiuto di Cornelius, e mi recai verso il bosco degli spiriti, dove sapevo che non mi avrebbero mai seguito. Lì fui sbalzato di sella da un ramo e, nel panico, mi ritrovai tra le mani un corno che suonai per chiedere aiuto, poi svenni. Quando mi risvegliai ero in un rifugio costruito da nani e altre creature del bosco. Mi raccontarono che si erano nascosti lì dopo lo sterminio, cioè quando mi era stato fatto credere che avessero attaccato Cair Paravel, in realtà erano stati i soldati di Miraz ad aver ricevuto l’ordine di distruggerlo e di uccidere quanti più narniani possibile si trovassero in zona.
Dovetti farmi coraggio. Purtroppo nel corso degli anni Miraz si era alleato con i capi di altri regni, di cui ignoravo l’esistenza, quindi per prima cosa mi sono riunito alle creature di Narnia per creare un esercito di alleati in modo da sconfiggere Miraz e riprendermi finalmente la corona e la mia vita. Giusto pochi giorni fa ho saputo che, approfittando della mia assenza, è riuscito a far credere ai popolani che fossi un codardo incapace ed ha ottenuto il consenso di essere nominato sovrano al posto mio.  Fu allora che un fauno mi rivelò la leggenda sul corno che avevo trovato. Era appartenuto a mia madre, questo lo sapevo bene,  e si diceva che Aslan l’avesse benedetto e che chiunque vi avesse soffiato all’interno avrebbe avuto il potere di richiamare i sovrani di Narnia. La speranza tornò a splendere in me. Inconsapevolmente avevo trovato il modo di far tornare la mia famiglia, solo non avevo idea di dove e quando sarebbe avvenuto l’incontro. Fino a quando… Bè, ci siamo incontrati! Ecco, questo è tutto. Ulteriori dettagli vi saranno forniti quando torneremo alla base. Spero di essere stato limpido e che abbiate capito com’è la situazione in questo momento.”
Sentendo le mie mani tremare, si preoccupò: “Mamma, ti senti bene?”
Dovetti deglutire per riuscire a rispondere senza strozzarmi: “Piccolo mio, hai vissuto l’inferno mentre non c’eravamo. Se solo esistesse un modo per tornare indietro io…”
Mi abbracciò: “Sono sicuro che un giorno dimenticheremo tutto il male. Ora siete qui e andrà tutto per il meglio. Giustizia sarà fatta.”
Edmund era paonazzo dalla rabbia: “Quel dannato Miraz. Gli staccherò la testa dal collo per tutto ciò che ha fatto. E in quanto ad Arthur…” Strinse i pugni, poi sospirò: “Come ha potuto fare una cosa del genere? Era il mio migliore amico.”
Caspian gli mise una mano sulla spalla: “Lo so, papà. Voglio capire perché ha agito in quel modo dopo avermi cresciuto come un figlio.”
Lucy intervenne dubbiosa: “C’è una cosa che proprio non riesco a capire.”
Peter disse sarcastico: “Solo una?”
“Ricordo che una volta Miraz venne da me per chiedermi aiuto. Aveva difficoltà ad onorare i suoi doveri di marito e temeva che sua moglie potesse cercare consolazione altrove, così mi chiese un rimedio medico.”
“E questo che c’entra?”
“Piantala, Peter! Il tuo sarcasmo è irritante. Il fatto è che poi lo visitai per capire quale fosse il problema. Per ovvie ragioni non vi racconterò i particolari, ma dovete sapere che Miraz era sterile.”
“Potresti esserti sbagliata.”
“No, affatto. Ne sono certa. E’ impossibile che abbia avuto un figlio. Dovrò fare luce su questa cosa.”
Caspian si alzò in piedi: “Bene, è ora di andare. Alla base ci stanno aspettando. E ci sono delle persone che avrete sicuramente piacere di rivedere.”

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Capitolo 7
*** Il palazzo di Edmund ***


Capitolo 7
Il palazzo di Edmund
 
Usciti dal groviglio di alberi, dopo due ore di cammino, notammo a distanza un edificio imponente, simile ad una piramide Azteca.
Caspian sorrise: “Eccola! Siamo arrivati!”
Edmund per alcuni minuti continuò a fissare la struttura, poi disse tra sé: “Che strano, ha un che di famigliare.”
Caspian suggerì: “Non ti viene in mente niente?”
Lo guardò sospettoso: “Dovrei?”
“Direi di si! Sei stato proprio tu a disegnare il progetto di questo edificio!”
Edmund rimase a bocca aperta qualche istante, mentre faceva mente locale, poi s’illuminò: “Ora ricordo! Avevo disegnato questo edificio nella speranza di poterlo costruire un giorno! Però la mia idea era di innalzarlo lungo la costa, non in una prateria!”
Chiesi curiosa: “Non me ne hai mai parlato. A cosa ti serviva un palazzo?”
“Bè, per la verità, l’idea mi è venuta dopo la nascita di Caspian. Volevo costruirlo per noi tre. Uno spazio dove trascorrere le vacanze con nostro figlio, lontano dalla corte. Volevo mostrarti il progetto proprio il giorno in cui…” S’interruppe, provando una fitta di dolore.
Caspian lo tirò su di morale: “Sarebbe stato bellissimo, papà. Pensa che è stato proprio Arthur a guidare i lavori di costruzione. Lo ha fatto costruire qui per dargli più importanza, destinandolo ad un altro scopo. Ha dovuto apportare qualche modifica, però. Come vedi, non ci sono finestre e l’unico ingresso è quello laggiù.”
Nel frattempo, all’entrata, si erano radunate due file di centauri ad accoglierci. Maschi e femmine, sollevarono le spade in aria al nostro passaggio, fino a che in fondo alla fila riconobbi Karen. Le corsi incontro: “Karen, amica mia!”
Subito dopo di me, Edmund corse al lato opposto: “Oreius, che piacere rivederti!”
Abbracciai la mia amica, poi la guardai bene, constatando che era rimasta la stessa di sempre, a parte il viso maturo e qualche capello grigio nella chioma rossa.
“Principessa, quanto tempo! Non immaginavo che vi avrei rivisto!”
“Anch’io ho temuto il peggio. Il passaggio non si apriva e non sapevo dove sbattere la testa. Ma ora non voglio più pensarci.”
Alle mie spalle, la voce di Edmund mi fece voltare: “Tesoro, c’è qualcun altro che vuole salutarti.”
Vedendo il fiero centauro, sorrisi: “Oreius, scusami non volevo essere maleducata.”
Un centauro più giovane, diede un colpo di tosse e parlò un po’ timidamente: “Principessa, sono io che vorrei rendervi i miei omaggi.”
Gli porsi la mano, che lui sfiorò con un bacio: “Chi sei, caro?”
Edmund scherzò: “Strano che non noti la somiglianza!”
Subito capii: “No! Oreius! Karen! Non ditemi che questo ragazzone è vostro figlio Roger! Come sei cresciuto! Ora che ti guardo bene, si vede! Hai i capelli di tua madre e il massiccio corpo di tuo padre! Spero che tu non sia severo e noioso come lui!”
Fui l’unica a ridere per quella battuta e in più dovetti abbassare lo sguardo quando Oreius mi lanciò un’occhiata fulminante. Dissi con tono basso: “Mi sa che non lo batterebbe nessuno in questo!”
Caspian si avvicinò a noi: “Coraggio, entriamo.”
All’interno, la grande quantità di torce accese forniva una buona illuminazione e da qualche parte arrivava il profumo di cibo in cottura. Riconobbi molti sudditi di un tempo, altri invece non li avevo mai veduti oppure li avevo veduti bambini.
Edmund chiese a Caspian: “Per ora lo usate come base e rifugio, ma oltre a questo per quale motivo Arthur ha avuto la premura di costruirlo?”
Caspian svoltò per uno dei tanti corridoi, facendoci gesto di seguirlo, poi ci indicò le pareti. Con nostra meraviglia, vedemmo che erano state disegnate tutte le nostre imprese dal primo momento in cui avevamo messo piede a Narnia, fino a quando eravamo scomparsi.
Perfino Peter ne fu entusiasta: “E’ un lavoro pazzesco! Ogni parete rappresenta una pagina di un libro illustrato! E’ favoloso!”
“Sì, lo è davvero! Per questo mi chiedo cosa possa essere successo ad Arthur, dopo essersi curato di ogni dettaglio per realizzare questo posto in vostra memoria.” Scosse un attimo la testa per riprendersi, quindi continuò: “Oh, ma c’è dell’altro che dovete vedere.”
Camminammo per altri corridoi, fino ad arrivare in uno spazio ampio illuminato di una luce soffusa.
“Credo che questo lo riconosciate.”
L’altare storica con sopra l’enorme pietra rettangolare spezzata, era inconfondibile. Lucy parlò come se fosse ad un’interrogazione: “La pietra sacrificale dove Aslan è deceduto e poi risorto.”
Presi Caspian per mano: “E’ un regalo bellissimo, davvero. Quanti anni avevi quando è stato costruito?”
“Circa cinque. E a lavori terminati ne avevo otto.”
Lucy si avvicinò a noi con viso preoccupato: “Caspian, speravo di ritrovare un vecchio amico ma non l’ho visto. Puoi aiutarmi?”
“Piccola, stai forse parlando del fauno?”
“Sì, di lui. Sai dove si trova?”
Lui si morse un labbro, poi la guidò mettendole una mano sulla schiena: “Vieni.”
Noi, per curiosità, li seguimmo a breve distanza.
Tornammo nell’atrio, dove Caspian chiamò: “Tum! Vieni un attimo, per favore.”
Un fauno adolescente dai capelli e la barba biondi, di qualche anno in più di Lucy, si avvicinò: “Posso esservi d’aiuto, sire?”
“Sì, lei è Lucy e sta cercando tuo padre.”
Il suo volto diventò un po’ più serio: “Oh, capisco. Se mi permettete, parlerò in privato con lei più tardi.”
“Permesso accordato.”
Mi informai: “Caspian, c’è qualcosa che non va?”
“Non proprio, ma non parliamone ora. Venite, vi mostro i vostri alloggi.”
Tornammo a percorrere i corridoi e sbucammo in un altro salone dove si trovavano alcune centaure che, vedendoci, s’inchinarono.
“Lucy, tu dormirai qui con loro. Sono le nuove guaritrici che hanno imparato molto dai tuoi libri di medicina.”
Una centaura bionda l’accolse: “Venite, abbiamo preparato un comodo giaciglio per voi. E ci sono molte cose che vorremmo chiedervi.”
Lasciata Lucy in buone mani, andammo in un'altra stanza, dove era stato messo qualche arredo: “Zio Peter, questa è la tua. Ho pensato che, in quanto  re, avresti gradito uno spazio tutto tuo.”
Peter fece un cenno positivo: “E’ perfetta, grazie. Starò bene.”
Infine, a poca distanza, Caspian ci fece entrare in una stanza confortevole, dove era stato allestito un giaciglio per due persone: “Siete i miei genitori, avete bisogno della vostra intimità.”
Prima che rispondessimo, andò verso una parete dove si trovava un passaggio segreto aperto: “Passando per di qua arriverete alla mia stanza. Per la mia sicurezza gli uomini mi hanno relegato in uno scomparto segreto. Con la mia approvazione, s’intende.”
Edmund si mise le mani ai fianchi soddisfatto, come se fosse l’autore di tutto: “Ottimo lavoro, figliolo. Hai organizzato tutto nel migliore dei modi. Hai indubbiamente il mio sangue nelle vene.”
“Grazie, papà! Ora vi lascio, vorrete rinfrescarvi prima di cena!”
Non appena si fu dileguato, mi gettai tra le braccia di Edmund, sospirando di gioia: “Oh Eddy, il nostro bambino è così in gamba! Ha perfino fatto portare una tinozza piena di acqua fresca solo per noi!”
Edmund mi scostò per guardarmi in faccia, malizioso: “Non aggiungere altro, piccola! Ritroviamo le gioie di Narnia!”

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Capitolo 8
*** Diciassette anni da recuperare ***


Capitolo 8
Diciassette anni da recuperare
 
La cena fu preparata da un gruppo di laboriosi nani, che si occuparono di cucinare vari tipi di carni, mentre dei fauni pensarono alle verdure crude con cui inventarono numerose varietà di fresche insalate. Per ricongiungere la famiglia, noi cinque cenammo in una sala privata, dove delle centaure ci portarono i vassoi e le brocche di acqua.
Vidi Lucy mangiare con poca voglia, il viso scuro e velato di tristezza.
Di fronte a lei, la richiamai: “Lucy, cos’hai piccola?”
Alzò lo sguardo su di me, ma dovette deglutire due volte prima di parlare: “Il fauno di prima, quello con cui ho parlato.”
“Sì, cosa ti ha detto?”
“Mi ha dato una tragica notizia. Il mio caro amico, cioè suo padre, è mancato anni fa a causa di una malattia polmonare.”
Nascose il viso tra le mani per tentare di fermare le lacrime, allora io allungai una mano fino a sfiorarle un braccio: “Sono cose che capitano. Purtroppo.”
Lei scosse la testa e si asciugò le lacrime con le mani: “Se io fossi stata qui avrei trovato una cura.”
Mi sentii colpevole: “Ti chiedo scusa per essermela presa con te quel giorno. Non è colpa tua se abbiamo lasciato Narnia.”
“Sì, invece. Ho causato dolore a tutti. Non mi fiderò più del mio istinto.”
Speravo che almeno uno dei ragazzi intervenisse per tirarla su di morale, invece continuarono a mangiare e tenere lo sguardo sul piatto.
Lucy poi fece un sorriso a stento: “Sarò obbediente. Ora che siamo tutti qui non farò niente per rovinare la quiete. Siamo una famiglia.”
 
Dopo cena assistemmo ad uno spettacolo improvvisato dai fauni, con danze accompagnate dal suono dei flauti. Io non ebbi desiderio di ballare, perciò rimasi seduta su una delle panche a muro in compagnia di Edmund e Peter. Lucy si era già ritirata nella sua stanza per riposare.
Vedere tutta quell’allegria mi fece quasi dimenticare che eravamo sull’orlo di una guerra sanguinosa a cui non potevamo sottrarci e soprattutto osservare mio figlio divertirsi in un girotondo danzante mi fece pesare meno il fatto di essermi persa la sua infanzia e la sua adolescenza.
Non era ancora tardi quando Caspian venne a sedersi accanto a me, posando la testa sulla mia spalla per riprendere lucidità dopo le giravolte.
“Ti stai divertendo, eh?”
“Era da tanto che non mi sentivo così!”
Edmund gli porse il proprio bicchiere: “Tieni. Un po’ di succo di pesca ti farà recuperare zuccheri.”
Caspian prese il bicchiere e lo ingurgitò tutto d’un fiato: “Adesso va meglio. Grazie, papà.”
Gli mossi i capelli bagnati a lato del viso: “Sei tutto sudato! Vai a rinfrescarti quando finisce la festa.”
“Lo faccio subito così posso dormire. Non fa bene stare svegli fino a tardi.”
Lo guardai sorpresa: “Chi te lo ha insegnato?”
Scherzò: “Karen è riuscita a mettermelo in testa dopo l’ennesima sgridata! Mamma, verresti con me finché non mi addormento?”
“Certo, tesoro!” Mi rivolsi a d Edmund: “Eddy, accompagno Caspian a dormire. Poi mi preparerò anch’io per la notte.”
Fece un cenno col capo: “D’accordo. Allora tra poco ti raggiungo. Buonanotte Caspian.”
“Buonanotte papà.”
Non appena gli passammo davanti, Edmund riuscì a tastare velocemente le mie natiche senza dare nell’occhio.
 
Come promesso, Caspian si sciacquò il viso con l’acqua fresca, si cambiò la camicia e si sistemò sul pagliericcio. Io mi inginocchiai accanto a lui e gli rimboccai la coperta fino alla vita.
Lui, con un braccio sotto la testa, rimase a guardarmi sereno: “Mamma!”
“Sì?”
“Davvero vorresti tornare indietro nel tempo?”
“Oh sì, se potessi lo farei!”
“Mamma!”
“Sì?”
“Mi accarezzi i capelli? E’ da anni che sogno di addormentarmi con te che mi accarezzi!”
Gli feci un sorriso materno e cominciai a passare le dita tra i fili di seta dei suoi capelli lunghi, sentendo il suo respiro rilassarsi man mano che continuavo.
Con gli occhi chiusi e un filo di voce, mi disse: “Mamma, c’è una cosa che forse non ti ho mai detto.”
“Cosa, tesoro?”
“Ti voglio bene.”
Si sistemò un po’ meglio nel giaciglio e io iniziai a canticchiare una ninna nanna per accompagnare il suo sonno: “Dormi dormi bel bambino, la mamma è qui vicino. Dormi sereno tra queste mura, la tua stanza è sicura. Sai che la luna ti protegge, come un pastore con il gregge. Dormi che qui c’è la tua mamma, stai tranquillo e fai la nanna.”
Nel silenzio della stanza, comparve Edmund sulla soglia del passaggio segreto. Prima che parlasse mi portai un dito alle labbra per fargli capire di fare silenzio, poi mi chinai per stampare un bacio sulla fronte di Caspian e, senza fare il minimo rumore, raggiunsi Edmund.
Lui socchiuse la porta a muro: “Si è addormentato in fretta!”
“Gli ho cantato una ninna nanna.”
“Che?”
Giunti nella nostra stanza, continuò: “Vera, non è mica un bambino.”
“Sono sua madre e gli sono mancata. Non c’è niente di male.”
“Forse non ti rendi conto di quanto tutto questo sia ridicolo. Noi abbiamo sedici anni e lui venti.”
Una mia occhiataccia lo zittì all’istante. Senza aggiungere altro, ci coricammo anche noi, stanchi da quella giornata ricca di emozioni.
 
La mattina seguente, poco dopo l’alba, Caspian si alzò e andò a fare colazione nell’atrio assieme agli altri uomini mattinieri. Con in mano un piatto di carne fredda, uscì all’aria aperta e trovò Peter seduto sul bordo della scalinata, rivolto verso l’esterno.
“Buongiorno, zio Peter!”
Lui si voltò: “Ben svegliato! Allora non sei un dormiglione come i tuoi genitori! Siedi con me.”
Caspian si accomodò sulle pietre, continuando a mangiare i pezzetti di carne: “Probabilmente questo lato l’ho preso da te.”
Peter fece una smorfia di nascosto: “Già, il sangue non mente.”
“Come mai sei qui da solo? A cosa pensavi?”
Si stropicciò le mani: “Bah, pensavo a tutto quello che ci hai raccontato ieri. E anche a…”
“Buongiorno ragazzi!”
Mi affrettai a salire le scale e mi portai di fronte a loro per baciare Caspian sulla fronte.
“Buongiorno mamma!”
Peter mi prese in giro: “E pensare che ho appena sparlato di te! E’ proprio vero che quando parli del Diavolo spuntano le corna!”
Gli diedi un colpetto sulla spalla, ridendo: “Ma quanto sei antipatico!”
Caspian si unì alla mia risata.
Spaziando lo sguardo mi accorsi di un’amichevole presenza: “Oh, c’è Karen che sta raccogliendo dei fiori. Vado da lei. Scusatemi, ci vediamo dopo.”
Rimasero a guardarmi mentre mi allontanavo e Peter disse: “Continuando il discorso di poco fa, stavo pensando anche a tua madre.”
“Cosa di preciso?”
“Alla prima volta che l’ho incontrata. Era così bella. Sai, hai il suo stesso sorriso, ho notato.”
Caspian si fece sospettoso: “Scusa ma, avete due anni di differenza e siete fratello e sorella. Che stai dicendo?”
“E’ troppo complicato da spiegare, comunque sappi che ci siamo incontrati poco tempo prima di scoprire l’esistenza di Narnia. Dal momento in cui l’ho vista non ho desiderato altro che stare al suo fianco. Proteggerla e vederla felice. Sento che potrei dare la vita per lei.”
Era così preso dal guardarmi mentre parlavo e sorridevo, che non si accorse di avere un’espressione persa e innamorata. Fu Caspian a destarlo con una pacca sulla spalla: “Ma dai, zio! Se non sapessi che siete fratelli direi che sei cotto di lei!”
“Pronto all’allenamento?” Stavolta fu Edmund a parlare e a raggiungerli con due spade tra le mani, di cui una la porse a Caspian.
“Allenarci? Io e te?”
“Certo!”
“Ma, papà, ora sono più grande di te.”
“Questo non ha importanza. Sono pur sempre un comandante. Avanti, vieni.”
Si distanziarono e fecero delle rotazioni col polso per prepararsi.
“Quando vuoi, Caspian.”
Lui esitò qualche istante, non sapendo bene in che modo attaccare, poi si fece avanti e sferrò un fendente diretto al fianco di Edmund, che lui parò con forza.
“Non male, figliolo. Inizi bene.”
Fecero delle altre mosse, senza esagerare in foga ma comunque fieri di dimostrare l’un l’altro quello che erano in grado di fare.
“In attacco sei molto bravo, me temo che in difesa tu sia un po’ carente.”
Caspian si adombrò: “La parola carente non esiste nel mio vocabolario.”
Edmund ogni tanto, per stuzzicarlo, abbandonava la sua virile espressione concentrata per fare degli sguardi beffeggiatori, a cui Caspian rispondeva con stoccate castigatrici, fino a quando decise di porre fine al combattimento: “Papà, dovrò darti una lezione.”
Partì alla carica con la spada puntata al petto di Edmund, ma in un attimo si ritrovò a gambe all’aria a causa di un improvviso sgambetto da parte di Edmund mentre lo schivava.
“Spiacente, figliolo. Ho una decina di anni di esperienza sulle spalle.” Lo aiutò ad alzarsi: “Arthur non te lo ha mai detto, evidentemente. Ma il tuo vecchio ha molte risorse nascoste riguardo al combattimento.”
Mi avvicinai, vedendo l’espressione di sconfitta sul volto di Caspian, e dissi gentile: “Fai tesoro degli insegnamenti di tuo padre.”
Poi mi voltai verso Edmund, gli misi un fiore lilla tra i lacci della scollatura della camicia e lo baciai maliziosamente. A guardarci bene, più che reali, sembravamo una ragazza di facili costumi che riempie di attenzioni il cavaliere più valoroso! Caspian guardò altrove, per non infrangere la nostra privacy, mentre Peter distolse bruscamente lo sguardo per invidia, volendo essere al posto di Edmund.
Quando mi staccai dalle sue labbra, i nostri sguardi erano ancora carichi di malizia, infatti io gli feci l’occhiolino e me ne andai ondeggiando i fianchi, seguita dal suo sguardo divoratore.

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Capitolo 9
*** Primi imbarazzi e primi dissapori ***


Capitolo 9
Primi imbarazzi e primi dissapori
 
Tutto iniziò con un grido femminile che rimbombò nella stanza segreta dove Caspian stava dormendo. Si destò lentamente, prima di comprendere ciò che aveva sentito. Sbarrò gli occhi al vuoto: “Mamma!” Afferrò la spada che teneva accanto al giaciglio e scattò in piedi.
Nella nostra stanza, io ed Edmund stavamo ancora ansimando, tanto forte era stato il piacere del rapporto. Edmund si buttò di schiena sul pagliericcio per riprendere fiato e io, in un ultimo attacco di erotismo, mi gettai sulle sue labbra per rubargli un ultimo bacio e poi mi lasciai ricadere stremata.
“Una di queste volte mi uccidi, stallone!”
Disse fieramente: “Modestamente, un’altra missione terminata con successo.”
Caspian piombò nella stanza, gridando: “Mamma!”
Stringendo l’elsa della spada, pronto ad attaccare, ci sorprese nudi e sudati.
Il tempo parve fermarsi: imbarazzo totale!
Si voltò di colpo con le gote in fiamme: “Per Aslan, ecco cos’era quel grido!”
Io mi tirai la coperta fino al collo e dissi stupidamente: “Caspian! Mamma e papà stavano giocando… A fare la lotta!”
Edmund corrugò la fronte: “Ma che dici?”
Senza guardarci, Caspian alzò le mani: “Scusatemi. E’ stato un incidente. Oh, per la miseria!”
Uscì rapidamente per tornare nella sua stanza, lasciandomi un po’ dispiaciuta: “Eddy, vai a parlargli.”
Lui rise e si sistemò su un fianco: “Sì, certo!”
“Vai a parlargli!”
Mi guardò sbigottito: “Ma allora dici sul serio.”
“Hai visto com’era ridotto? E’ rimasto scandalizzato.”
“Vera, ha vent’anni. Sono sicuro che qualcuno gli abbia spiegato cosa accade tra un uomo e una donna.”
Lo guardai severa: “Vai da lui o giuro che ti mando a dormire con i centauri.”
Lui fece una smorfia: “Come dormire in una stalla. Ok vado, ho capito.”
Si alzò e infilò i pantaloni.
“E torna solo quando avrai la certezza che si è addormentato.”
Uscì dalla porta a muro, rassegnato: “Sì. Ok. Va bene.”
 
Caspian sedeva sul suo giaciglio, parlando tra sé e sé, quando un rumore lo fece voltare: “Papà.”
“Ehi, come va?” Si sedette accanto a lui e guardò il suo strano comportamento: “Oh cielo, Vera aveva ragione. Caspian, dovrei parlarti di una cosa che riguarda le api e i fiori.”
“Non essere ridicolo, papà! Non sono mica nato ieri! E poi ho anche avuto le mie esperienze.”
Edmund fece un’espressione compiaciuta: “Ah, sì? Dai racconta!”
“Non dirai sul serio. E’ imbarazzante.”
“Ehi, siamo tra uomini. Quello che viene detto tra noi rimane tra noi.”
Caspian si rilassò un poco e azzardò: “Mi piacerebbe sapere come vi siete conosciuti tu e la mamma. Nessuno lo sapeva quando l’ho chiesto a corte.”
Lui sorrise ai lieti ricordi e iniziò: “Vedi, ci siamo conosciuti in un altro mondo. C’era una guerra e io ero stato mandato al sicuro nelle campagne perché ero troppo giovane per combattere. Ricordo chiaramente ciò che provai quando la vidi. Era bellissima, divina. Come ora.”
“E’ stato amore a prima vista?”
“No, mi dispiace. All’inizio provavo solo una forte attrazione fisica per lei e poi, lei sembrava interessata a tuo…” Si corresse subito: “Ad un altro ragazzo. Mi ci volle un po’ di tempo per rendermi conto che mi ero innamorato di lei, ma non volevo intromettermi nella loro storia.”
“Come hai fatto a conquistarla allora?”
“Beh, le cose tra di loro non funzionarono, così mi feci avanti alla prima occasione. Rimasi da solo con lei e…”
“Cosa accadde?”
“Passammo la notte assieme.”
“Mh. Direi che è andata bene.”
“Però la nostra storia non è sempre stata rose e fiori. Abbiamo passato dei momenti difficili e c’è stata anche una rottura, a causa mia. Caspian, il nostro amore è forte, non perché stiamo molto tempo insieme, ma perché abbiamo saputo affrontare gli ostacoli, cadere e risollevarci.”
“Io invece non mi sono mai innamorato. Insomma, sì, ho passato delle belle notti con una serva che proveniva da un altro regno, ma quando è tornata nella sua patria non ho sofferto. Poi  ho creduto che sarebbe nato qualcosa con una ragazza della città, molto gentile e molto carina, invece mi sono reso conto che c’era solo amicizia tra noi.”
“Capisco, figliolo. Non rassegnarti. Prima o poi incontrerai anche tu una ragazza con cui vorrai dividere ogni momento della tua vita.”
Si alzò dal giaciglio e scombinò i capelli di Caspian in modo giocherellone: “Ora dormi, campione!”
Caspian sorrise e si risistemò i capelli, mentre Edmund usciva.
 
Il giorno dopo, ci riunimmo tutti nell’atrio per discutere sul da farsi. Peter e Caspian erano in piedi al centro del cerchio e Peter stava illustrando la situazione con un monologo: “Siamo tutti consapevoli che le armi che avete rubato basteranno per ogni singolo soldato. Sappiamo anche che Miraz ha mandato in missione molte delle sue truppe per cercare mio nipote e il suo esercito di narniani. Ora, alla luce di questo, è evidente che la città non è protetta.”
Dalla folla, un topo parlante, chiese: “Cosa consigliate di fare, maestà?”
Sia Peter che Caspian si sentirono richiamati all’appello e parlarono all’unisono: “Io propongo…”
Si zittirono subito e si scambiarono degli sguardi di disaccordo, ma fu Peter ad avere la meglio, allora Caspian si fece da parte: “Scusami, zio.”
Peter continuò: “Dobbiamo attaccarli prima che loro attacchino noi.”
Caspian protestò: “E’ troppo rischioso. Potrebbero intrappolarci all’interno delle mura.”
Peter rispose politicamente: “Ascolta, Caspian. Questo posto è stato costruito con il cuore, ma resta comunque una tomba. Non possiamo restare qui ancora per molto.”
Edmund, seduto con me su una pietra, interferì: “Esatto. Se le truppe ci trovano qui di sicuro ci accerchieranno e noi, non potendo uscire, moriremo di fame e di sete.”
Peter si rivolse ad Oreius: “Se riesco a farvi entrare, vi occuperete delle guardie mentre noi uccidiamo Miraz?”
Oreius rimase impassibile: “Sarà mio figlio a parlare per me e per i miei simili. Alla mia morte prenderà il mio posto e deve saper prendere le decisioni importanti.”
Peter rifece il quesito: “Roger, sei con me?”
Il ragazzo si guardò attorno, con sguardo scrutatore, incrociò gli occhi di Caspian che gli consigliarono di rispondere di no, ma lui, tornando a guardare Peter disse deciso: “Fino alla morte.”
Peter, con volto soddisfatto, si rivolse a tutti i presenti: “La decisione è presa.”
Si creò un formicaio di creature che si sparsero verso più direzioni per tornare a svolgere i propri compiti. Caspian passò accanto a noi arrabbiato, allora Edmund lo fermò prendendolo per un braccio: “Caspian, io…”
Lo fulminò: “Tu potevi stare dalla mia parte o almeno avere il buon gusto di  tacere!”
Edmund lo lasciò andare, sospirando. 

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Capitolo 10
*** Svelato il segreto della vergogna ***


Capitolo 10
Svelato il segreto della vergogna
 
Nonostante Caspian fosse contrario, partecipò di buon grado ai preparativi per l’attacco a sorpresa di Telmar e non obiettò neanche una decisione di Peter.
Il piano sembrava semplice, fin troppo semplice, molto coordinato e prevedeva una nostra vittoria schiacciante. Come tutti i piani perfetti, si rivelò catastrofico a causa di un banale ritardo.
Era notte fonda, Edmund, sostenuto da un grifone, andò sulla cima della principale torre di guardia. Tolto di mezzo il soldato, ci fece dei segnali con la torcia elettrica da cui non si era mai separato da quando eravamo tornati a Narnia.
Come stabilito, altri grifoni scortarono me, Peter e Caspian nella torre accanto, dove altri soldati montavano la guardia. In assoluto silenzio, trafissi il corpo di un arciere che stava per uccidere Edmund.
Calandoci con una corda e infrangendo la finestra, entrammo nella stanza dove un tempo Caspian veniva istruito da Cornelius. Constatando che non c’era nessuno, ma che la stanza era evidentemente stata perquisita in malo modo, Caspian puntualizzò: “Devo trovarlo. Se sono ancora vivo è solo grazie a lui.”
Peter si infuriò: “Non c’è tempo. Ora tu vai ad aprire la grata come eravamo d’accordo, mentre io cerco Miraz.”
“No, non lo lascerò qui a morire.”
Peter mi guardò per esortarmi a dire qualcosa, ma io non potei far altro che scuotere la testa e alzare le mani impotente. Quando Caspian uscì dalla stanza con la spada sguainata, io mi affacciai alla finestra e chiamai senza troppo baccano: “Edmund! Edmund!”
Riuscì a sentirmi e mi fece un gesto per chiedere: “Cosa c’è?”
Mi misi a gesticolare come una matta e ad evidenziare il labiale per fargli capire: “Vado con Peter a cercare Miraz. Hai capito?”
Lui era evidentemente contrariato e quasi gridando disse: “No, tu non ci vai. Devi raggiungermi qui. Andrà Caspian con Peter.”
Io ripresi a gesticolare: “Caspian è andato a cercare Cornelius. Ora vado. A dopo.”
Mi accorsi che stava richiamando la mia attenzione, ma io mi voltai fingendo di niente.
 
Tenendo a mente le indicazioni che Caspian ci aveva dato riguardo alla nuova disposizione del castello, trovammo senza difficoltà la stanza di Miraz. Io e Peter entrammo dal passaggio secondario quasi senza respirare, con l’intento di coglierlo di sorpresa, per poi tagliargli la gola. Peter aveva già la spada pronta, quando dalla porta principale irruppe Caspian, subito seguito da Edmund.
Caspian puntò la spada alla gola di Miraz, che subito si svegliò e fece un ghigno strafottente. Mentre si alzava dal letto, senza temere la lama, sua moglie si svegliò: “Cosa succede? Caspian sei impazzito? E voi chi siete?”
Nessuno rispose, allora Caspian parlò a voce chiara e adirata rivolto a Miraz: “E’ vero che anni fa avevate intenzione di assassinare me e mio padre e poi violentare mia madre?”
Io ed Edmund scoppiammo all’unisono: “Che cosa?”
Miraz accentuò il suo ghigno: “Vedo che quel vecchio gufo ha parlato! Lo farò impiccare.”
“Non credo proprio visto che in questo momento è al sicuro, in attesa che i miei soldati lo portino via di qui.”
“Vedo che hai pensato a tutto.”
“Sto ancora aspettando la vostra risposta.”
“Ti accontento subito. Sì, è vero. Avevo elaborato un piano perfetto. Due sicari avrebbero dovuto uccidere te e tuo padre, quel lontano giorno. Durante il quinto anniversario dei tuoi genitori, in modo che fosse impossibile trovare dei colpevoli. Sfortuna volle che proprio quel giorno sia i tuoi genitori che il re e la guaritrice sparirono da Narnia.”
“Ma perché noi? A cosa vi serviva la nostra morte?”
“Semplice! Senza di te la corona non avrebbe più avuto un erede, dato che il re aveva dichiarato di non voler prendere moglie. E tua madre, rimasta vedova, avrebbe dovuto risposarsi.”
Edmund ringhiò: “Non lo avrebbe fatto. Non aveva il dovere di maritarsi.”
“Non siate ingenuo! L’avrei obbligata minacciandola di morte!”
Caspian chiese: “E chi pensavate di proporre come marito per i vostri loschi piani?”
“Me stesso, ovviamente. Mi avrebbe sposato e mi avrebbe dato un figlio che sarebbe così diventato il legittimo erede.”
Tuonai: “Mai! Avrei preferito la morte. E poi, vile carogna, i vostri piani sarebbero andati in fumo visto che all’epoca Lucy vi aveva detto che eravate sterile.”
“Quella sciocca ragazzetta! Riuscì quasi a spaventarmi. Se fosse stato vero, avrei lasciato il compito ad uno dei miei uomini più fidati e poi avrei dichiarato di essere il padre. Però, come ben sapete, ho recentemente avuto un figlio perciò è evidente che si era sbagliata.”
Sua moglie intervenne indignata: “Sei tu che sbagli, caro marito.”
“Zitta tu! Non dire assurdità!”
“La verità è che sei davvero sterile.”
“Cosa dici? Hai partorito mio figlio.”
“Ho partorito un bambino, sì. Ma non è tuo. Io ti amavo e sapevo che desideravi un erede più di ogni cosa. Per non infrangere le tue speranze ho pregato un uomo di congiungersi con me per donarmi il suo seme.”
Caspian si illuminò di vendetta: “Contento, Miraz? Cane che siete, meritate solo la morte.”
Nonostante il primo senso di sconfitta, lui ritrovò quel malefico sorriso: “Bada a come parli moccioso! Per quanto ne so potresti essere un bastardo!”
Edmund puntò la propria spada alla sua gola, affiancando la lama di Caspian: “Non vi permetto.”
Caspian osò: “Cosa state dicendo, demonio?”
“Non te lo hanno mai raccontato eh?”
Caspian spinse via Edmund col gomito e ordinò a Miraz: “Parla.”
Io gridai: “Caspian, no!”
Caspian gridò più forte: “Parla!”
Miraz, divertito dalla situazione, raccontò: “Ci fu un periodo in cui i tuoi genitori non andavano d’accordo. Lui era sempre in viaggio e la trattava con indifferenza. Indovina da chi si è fatta consolare, la povera principessa.”
Peter tuonò: “Maledetto, sta zitto!”
Non ci fu bisogno di specificare un nome, Caspian si voltò a guardare i nostri volti uno ad uno, con le lacrime agli occhi, poi tornò su Miraz: “State mentendo!”
Lui scosse lentamente la testa, soddisfatto, e bisbigliò: “No, ragazzo.”
Edmund, disgustato, tentò di difendere la posizione: “Caspian è stato concepito dopo quella faccenda. Quando io e Vera ci riconciliammo.”
“Anche se fosse, lei e il re hanno commesso un incesto.”
In quel momento udimmo suonare la campana dell’allarme. Edmund impallidì: “Hanno trovato i soldati a terra.”
Io intimai: “Dobbiamo scappare.”
Un gruppo di soldati si precipitò nella stanza, allora Peter afferrò Caspian per le braccia e lo costrinse a scappare con noi. Mentre correvamo disse ad Edmund: “Tu che sei venuto a fare qui? Dovevi rimanere sulla torre.”
“Ero andato a riprendere Vera per portarla con me, poi ho visto Caspian correre per un corridoio e l’ho seguito per vedere dove era diretto.”
“Ora muoviti, torna là a dare il segnale, noi nel frattempo andiamo ad aprire la grata.”
 
Altri imprevisti ci rallentarono: Edmund, per evitare un colpo mortale lasciò cadere la torcia a terra, col risultato che questa si svitò e non funzionò più; noi tre eravamo circondati da soldati che fecero di tutto per impedirci di aprire la grata.
Con un inaspettato pizzico di fortuna, la torcia di Edmund ricominciò a fare luce, proprio quando io e Peter trovammo il tempo di aprire la grata. In un lampo, i nostri soldati entrarono nella città ed ebbe inizio la battaglia più spietata che avessi mai visto. Non ci furono esclusioni di colpi, soprattutto da parte di Caspian, che tirava fendenti a destra e a manca con una ferocia spaventosa. Il segreto appena scoperto lo aveva profondamente sconvolto, tanto che a mala pena distingueva gli amici dai nemici.
Sopra le nostre teste, Edmund salvò la vita a Peter, facendo precipitare un arciere che lo aveva puntato, ma non ci fu tempo di ringraziamenti, perché Peter richiamò la sua attenzione su un’intera fila di arcieri di fianco a lui. Mi si fermò il cuore un attimo a quella vista, ma fortunatamente Edmund fece uno scatto felino e si gettò all’interno della torretta, chiudendo la porta giusto in tempo per fermare le frecce a lui dirette.
Miraz era affacciato al terrazzo ad ammirare l’imminente vittoria dei propri uomini, quando Arthur lo raggiunse: “Signore, tutti gli uomini sono a posto!”
Lui non lo guardò neanche: “Che spettacolo, Glozelle! Non trovate?”
Arthur guardò la scena, accorgendosi che anch’io mi trovavo nella mischia e si fece sfuggire: “Vera. Ma cosa ci fa qui? Perché è venuta?”
Sentendomi osservata, volsi lo sguardo al terrazzo e lo vidi. Il suo sguardo sembrava preoccupato, non per i suoi soldati ma per me. Scossi il capo e rimproverai me stessa: “Stai fantasticando.”
Nel frattempo, Edmund aveva dovuto usare la sua torcia per bloccare le maniglie di una porta, per non essere raggiunto dalle guardie e si ritrovò intrappolato all’esterno della torre più alta.
Il rumore della grata che si richiudeva segnò la nostra fine. Solo grazie all’intervento del minotauro più possente, potemmo scappare da quell’inferno. Mentre Peter gridava la ritirata, io corsi incontro a Caspian: “Fermati. Dobbiamo ritirarci.”
Parve non udire la mia voce, visto che continuò a combattere, e si fermò solo quando Roger ci affiancò: “Salite, presto.”
Durante la corsa mi guardai attorno: “Edmund. Dov’è Edmund?”
Roger mi consigliò di guardare la torre più alta, così potei vederlo gettarsi e atterrare sulla groppa dello stesso grifone che lo aveva portato lì all’inizio.
Miraz pensò bene di aggravare la situazione, scagliando una freccia nel collo del minotauro che teneva sollevata la grata, con la conseguenza che dopo pochi minuti questo crollò a terra morto. Mi voltai indietro e vidi che Peter era riuscito a fuggire con un cavallo che aveva preso dalla stalla più vicina all’uscita, ma mi vennero le lacrime agli occhi quando mi accorsi che dei narniani erano rimasti bloccati nella città, tra i quali c’era anche Oreius.
Gridai: “Roger, tuo padre!”
Lui fermò la corsa e si voltò a guardare. Il suo viso si trasformò in pura sofferenza, soprattutto nel vedere che Oreius gli fece un cenno positivo col capo come se non fosse prossimo alla morte. Seduta sulla sua groppa, lo sentii tremare, ma invece di gridare o scoppiare a piangere, si mise una mano sul cuore recitando un silenzioso addio.

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Capitolo 11
*** La lotta interiore ***


Capitolo 11
La lotta interiore
 
Era ormai l’aurora quando facemmo ritorno alla base. Lucy ci corse incontro con la boccetta tra le mani, per occuparsi immediatamente dei feriti più gravi. Roger avanzò verso Karen, lentamente e con volto affranto, facendole capire che Oreius non era tornato con noi. Sentii una morsa al cuore quando vidi che si abbracciarono, sfogando il pianto.
Caspian, a pochi passi da me, parlò a basso tono rivolgendosi a Peter: “Non avrei dovuto permetterti di realizzare questo piano.”
Peter si fermò e gli lanciò un’occhiata di sfida: “Di cosa mi stai accusando? Guardami in faccia quando parli con me.”
Caspian fece esattamente come gli aveva chiesto ed alzò il tono di voce: “Li hai mandati a morire inutilmente. Sapevo che sarebbe stata una battaglia persa.”
“Se non avessi fatto di testa tua avremmo vinto. Non solo hai dei morti sulla coscienza ma hai anche infangato il tuo stesso onore di cavaliere.”
Gli voltò le spalle, facendo infuriare Caspian che sguainò la spada e gridò: “Tu hai infangato l’onore di mia madre. Sporco peccatore.”
Peter, furioso quanto lui, sguainò la propria spada voltandosi e in un lampo scoccò la lama contro la sua.
Mi gettai alle spalle di Caspian per fermarlo: “Caspian, non è come credi. Ci sono delle altre cose che devi sapere.”
Tentò di liberarsi: “Non me ne importa niente.”
Edmund, seguendo il mio esempio, afferrò Peter e lo trascinò indietro in modo che la sua spada non potesse più minacciare Caspian: “Con quale coraggio combatti contro di lui?”
“Anche se è tuo figlio, Ed, mi ha offeso e non posso far finta di niente.”
Io feci appello a tutte le mie forze per impedire a Caspian di liberarsi, usando anche le mie gambe, finché con un calcio riuscii a far cadere la sua spada a terra e a voltarlo perché mi guardasse in viso: “Devi sapere tutto. La storia raccontata da Miraz non è completa.”
Con le lacrime agli occhi, disse: “Ha abusato di te. Ed è anche tuo fratello.”
“No. Anche se la leggenda parlava di due fratelli, nel mondo da cui proveniamo io e lui non siamo nemmeno lontani parenti.”
“Stai farneticando!”
Spostai lo sguardo: “Edmund, Peter. Aiutatemi.”
Edmund lasciò Peter solo quando si calmò e abbassò la spada a terra. Trovandosi libero, Peter rinfoderò la spada e si portò le mani al viso per resistere alla pressione psicologica. Nel frattempo Edmund fece qualche passo avanti, richiamando l’attenzione di Caspian che si voltò a guardarlo.
“Figliolo, non abbiamo mai raccontato a nessuno chi eravamo e cosa facevamo prima di arrivare qui a Narnia. Ci ritrovammo di fronte ad una nuova realtà dove a nessuno importava delle nostre vere origini. Ciò che era scritto negli antichi libri era ciò che contava e noi ci adeguammo fin da subito senza troppe repliche.”
Caspian deglutì: “Continua.”
“Ti ho raccontato di quando conobbi tua madre. Ricordi cosa ti dissi?”
“Sì. Hai dovuto aspettare a dichiararti perché lei era in atteggiamenti amorosi con un altro, ma questo cosa…?”
Il suo sguardo si portò su Peter, che aveva abbassato le mani e rialzato il viso per guardarlo negli occhi.
Caspian si voltò a guardare me ed io confermai: “Sì, piccolo mio.”
Edmund continuò: “Nel mondo da cui proveniamo, Peter è fratello mio, non di tua madre.”
Peter terminò il racconto: “Quando ci fu spiegato come funzionavano le cose qui a Narnia, io non mi ero ancora rassegnato all’amore dei tuoi genitori. Nonostante loro si adattarono presto alle nuove posizioni, io rimasi innamorato di lei e non mi arresi mai. Anche ora l’amo fino in fondo all’anima e niente potrà mai spegnere questo sentimento.”
Caspian si rivolse ancora ad Edmund: “Ma…non mi era nemmeno mai stato detto di quell’episodio in cui tu e la mamma vi eravate temporaneamente lasciati. E tantomeno ciò che era accaduto tra lei e lo zio. Eppure tutti lo sapevano.”
“Sì, tutti lo sapevano. Ma nessuno menzionò mai questa storia proprio perché i narniani aborrivano il peccato, ma allo stesso tempo non potevano commentare un atto riguardante la corona.”
“Quindi io adesso come devo comportarmi? Come devo considerare Peter?”
Lo abbracciai di spalle: “Resta pur sempre tuo zio. Da entrambi i punti di vista. E rimane colui che ti ha nominato suo erede.”
Non fu aggiunto altro, Caspian entrò da solo nel palazzo e andò nel salone della pietra sacrificale. Nessuno di noi si accorse che un nano, che un tempo aveva opposto resistenza a giurare fedeltà a Peter, lo aveva seguito si soppiatto.
 
Caspian si era appena seduto su una pietra quando una voce lo fece sobbalzare.
“Io ho la soluzione ai vostri problemi, principe.”
“Chi è là?”
Il nano si avvicinò con passo sicuro, così lui si tranquillizzò: “Ah, sei tu. Di cosa parlavi?”
“Conosco una forza più potente di quanto immaginiate. Una presenza che non vi abbandonerà.”
“Spiegati meglio, così non capisco.”
“Vi fidate di me, mio principe? Se me lo consentite vi mostrerò subito a chi alludo.”
Caspian, sfinito da tutto quello che era successo, sbuffò: “Hai il mio permesso. Sbrigati.”
Il nano infilò una mano in una sacca che teneva appesa al fianco e la ritirò fuori chiusa a pugno.
“Che cos’hai in mano? E’ forse uno scherzo?”
Lui recitò una formula in lingua antica, poi aprì la mano e lasciò che della polvere blu cadesse, ma la cosa strabiliante fu che, invece di cadere al suolo, la polvere si trasportò al centro di due colonne che erano dietro alla pietra sacrificale, e iniziò a solidificarsi.
Caspian rimase a guardare a bocca aperta, sentendo che l’aria stava diventando gelida. Poco alla volta, la polvere divenne una lastra di ghiaccio, spessa come le colonne su cui era incastrata, e alta da terra fino al soffitto. Come un fantasma, nel ghiaccio comparve una figura che Caspian non aveva mai veduto ma che gli era lo stesso famigliare. Scosse la testa: “No. Non volevo questo.”
Il nano gli ordinò: “Tacete!”
La figura nel ghiaccio parlò: “Principe Caspian, figlio di Edmund e Vera, legittimo erede al trono per volere di re Peter. Io sono la regina del ghiaccio, Jadis.”
“Non potete essere reale. Aslan vi ha distrutta anni fa.”
“Mi ha distrutta, ma io non morirò mai finché qualcuno continuerà a credere in me o a temermi.”
“Andatevene, non voglio avere niente a che fare con voi.”
Lei fece un cenno al nano e, in un batter d’occhi, Caspian si ritrovò con un taglio superficiale sul palmo della mano.
“Ma cosa fai? Perché?”
Jadis richiamò il suo sguardo a sé, incantandolo: “Una goccia del sangue di un figlio di Adamo ed Eva ed io sarò di nuovo libera. Vieni da me, principe.”
Tentò di ribellarsi, ma le sue gambe  e i suoi occhi non risposero ai suoi ordini: “Cosa volete fare?”
“Forse non ti rendi conto di quello che ti sto offrendo. Se mi darai la vita io ti prometto che realizzerò il tuo grande desiderio.”
“Non sapete niente di me.”
“Oh, invece so molte cose! So che desideri tornare indietro nel tempo, al giorno in cui i tuoi genitori sono scomparsi. Io lo farò accadere. Immagina, avere una seconda possibilità. Fare in modo che non se ne vadano e crescere con il loro affetto.”
Ormai Caspian era a pochi passi dalla lastra, ma io, Edmund e Peter piombammo nel salone. Mentre Edmund si occupò di trafiggere il nano traditore, Peter corse verso Caspian e lo scaraventò a terra, lontano dalla lastra, dove io andai a soccorrerlo.
“Caspian, ti senti bene?”
Ancora intontito, mi porse la mano sanguinante e mi chiamò con voce roca: “Mamma.”
Come già successo in passato, strappai un pezzo di stoffa dal mio vestito e gli fasciai la mano ferita.
Tutt’altro che adirata, Jadis trovò piacere nel tendere la sua trappola ad un nuovo malcapitato: “Peter, quanto tempo! Cosa posso fare per te, caro?”
Lui rispose brusco: “Sparisci per sempre da Narnia.”
Lei soffiò una leggera corrente gelida contro di lui e Peter si ritrovò incapace di fare qualunque cosa. Jadis continuò: “Se mi darai una goccia del tuo sangue io prometto che realizzerò il tuo desiderio.”
“Non puoi obbligarmi a fare niente, strega.”
“Sarai tu a offrirti di tua spontanea volontà, perché sai che io posso aiutarti. Posso fare in modo che lei s’innamori di te. Posso rimandare Edmund nell’altro mondo e fare sì che tu e la tua amata restiate a Narnia per sempre. Senza Edmund intorno, niente ostacolerà il vostro amore.”
La sua mano vitrea oltrepassò la lastra di ghiaccio e si allungò verso il viso di Peter. Continuò a guardarlo negli occhi: “Vieni, sì. Pensa a lei. Pensa a quanto l’ami.”
All’improvviso al centro della lastra si creò una crepa e, nel giro di pochi secondi, il ghiaccio si frantumò in mille pezzi, accompagnato dall’atroce grido della strega.
Peter riprese possesso di sé, accorgendosi che Edmund era di fronte a lui con la spada in mano.
Edmund era mortalmente serio: “Ti lasci corrompere facilmente, Peter.”
Raggiunse me e Caspian e lo aiutò ad alzarsi. Era ancora molto stordito per l’enorme potere che la strega aveva usato su di lui.
 
Li guardai uscire dalla sala, poi mi avvicinai a Peter che era rimasto immobile davanti ai frantumi di ghiaccio.
“Edmund aveva ragione, c’era ancora un seguace. La polvere che ha usato erano i frantumi dello scettro di Jadis. Avremmo dovuto capirlo anni fa, quando iniziò le ricerche per tutto il regno. Se penso che è stato a causa di quel nano che si è creato quel disastro, mi viene una rabbia.”
Peter, impassibile, mi guardò: “E’ stato grazie a quel nano se ho potuto stringerti tra le mie braccia per alcune notti.”
Dissi sarcastica: “Oh sì! Ringraziamolo anche per aver fatto in modo che Edmund imboccasse ancora la strada sbagliata!”
Parlò sotto voce: “Tu non puoi capire.”
“Capire cosa? Stai pensando ancora alle parole di Jadis? Lei è il male.”
Vidi il suo sguardo possessivo, poi con uno scatto mi strinse a sé e mi rubò le labbra con un bacio.
Ricordavo quanto fossero calde le sue labbra, ma giuro che in quel momento sembravano addirittura bollenti, mentre si muovevano fameliche sulle mie. Non potendo liberarmi, attesi che terminasse di saziare la sua voglia di me tenendo il mio corpo rigido in segno di protesta.
Allontanò le labbra dalle mie di pochi millimetri e disse con voce tremante: “Io ti amo.” Poi affondò il viso nell’incavo tra la mia spalla e il collo, tenendomi così stretta che non mi fu difficile capire che la cosa dura premuta contro il mio ventre non era il manico di un pugnale.
Scontento della mia decisione di non reagire, sospirò e mi guardò in viso: “Perché non mi vuoi?”
Mi limitai a rispondere con una punta di tristezza: “Sei cambiato, Peter.”
“Sono diventato esattamente come era Edmund quando ti sei innamorata di lui. Perché continui a rifiutarmi? Cos’ha lui più di me?”
“Non nego che hai assunto la prepotenza che lui aveva un tempo, ma c’è una cosa che ancora non hai. Ogni volta che Edmund mi stringe tra le sue braccia, io nei suoi occhi vedo passione. Nei tuoi invece vedo solo rabbia.”
Detto questo, mi liberai dalle sue braccia e gli voltai le spalle per andarmene. Alzai lo sguardo sull’arco d’ingresso e per poco non inciampai vedendo che Edmund si trovava lì in piedi. Aveva visto e sentito tutto! Pensavo che avrebbe fatto una scenata, invece mi prese sottobraccio e mi stampò un bacio sui capelli mentre c’incamminavamo verso la nostra stanza.

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Capitolo 12
*** Il combattimento dei Re guerrieri ***


Capitolo 12
Il combattimento dei re guerrieri
 
Pochi giorni dopo, mentre io aiutavo Lucy a preparare degli unguenti, Edmund entrò nella stanza di fretta: “Dovete venire a vedere.”
Peter era rimasto tutto il tempo seduto su una panca a muro a guardarci lavorare, senza proferire parola, come assorto nei propri pensieri, così, all’ingresso di Edmund, ebbe un piccolo fremito. Io e Lucy ci guardammo con sguardo interrogativo, non sapendo cosa fosse accaduto, e seguimmo Edmund, assieme a Peter.
Andammo fino all’entrata, Edmund ci indicò l’orizzonte, dove qualche centinaio di armature rilucevano al sole.
Istintivamente presi la mano di Edmund: “Gli alleati di Miraz.”
Peter, apparentemente più tranquillo, disse solo: “Si stanno accampando nel bosco. Non hanno intenzione di combattere subito.”
Edmund specificò: “Se non è adesso sarà sicuramente domani.”
Peter continuò: “Io non so davvero cosa fare. Dopo l’ultimo fallimento mi sento come svuotato.”
Lasciai la mano di Edmund e mi rivolsi a lui: “Peter, devi fare qualcosa. Sono almeno il triplo di noi. Ci distruggeranno fino all’ultimo.”
Caspian comparve accanto a noi: “Io avrei un’idea, però il prezzo è molto alto in caso di sconfitta.”
Gli chiedemmo all’unisono: “Quale?”
Lui guardò Peter con aria molto seria: “Zio Peter, riusciresti a vincere in un duello contro Miraz?”
 
Edmund fu incaricato di fare da porta voce. Io mi offrii subito di accompagnarlo e, per sicurezza, scelsi di farci seguire da un minotauro che avrebbe potuto aiutarci nel caso qualcosa fosse andato storto.
Fu piuttosto imbarazzante essere accolti proprio da Arthur, che ci guidò dove era stato montato un tendone aperto per le riunioni dei capi. Mi fermai sulla soglia assieme ad Arthur, lasciando procedere Edmund dinanzi a Miraz.
Ci squadrò entrambi e chiese in tono ironico: “A cosa devo la vostra visita?”
Edmund alzò la mano con la pergamena: “Ho un messaggio da parte del re. Ha una proposta interessante da farvi.”
Mentre lui leggeva il messaggio, il cui contenuto diceva che Peter lo sfidava in un duello all’ultimo sangue e che il vincitore sarebbe stato l’unico Re di Narnia, io ebbi quasi l’intenzione di rivolgere la parola ad Arthur. Mi voltai di continuo, ma ogni volta che aprivo la bocca mi bloccavo e così dovevo voltarmi dalla parte opposta. Credo che ad un certo punto anche lui tentò di rivolgermi la parola, ma entrambi fummo colpiti dal dialogo tra Miraz ed Edmund.
“Comandante, perché dovrei…?”
Principe Comandante, se permettete. Avete dimenticato che ho sposato la sorella del re, acquisendo così il titolo di principe? Eppure eravate presente anche voi alle nozze.”
Miraz disse a denti stretti: “Sì che lo ricordo, Principe. Dicevo, perché dovrei accettare? Col mio numeroso esercito siete praticamente già morti.”
“E’ proprio per evitare che ci siano altre vittime. In questo caso sareste o voi o lui.”
“E quale vantaggio avrei io se accettassi questa inutile sfida?”
“Direi, di mostrare il vostro valore. O avete forse paura di battervi con un ragazzo?”
Prima che Miraz potesse rispondere in modo brusco, Arthur intervenne: “Maestà, è senz’altro un’occasione per mostrare il vostro valore. Dovreste accettare.”
Mi sorprese quel suo intervento, sembrava quasi che lo avesse detto per dare un vantaggio a noi invece che per lodare il suo sovrano. Ad ogni modo funzionò, perché Miraz rispose: “Va bene, riferite al vostro re che accetto. E ditegli anche che dovrà meritarselo il nominativo di Peter il Magnifico.”
Il volto compiaciuto di Edmund fu evidente.
 
Entrambi gli eserciti si schierarono, pronti a combattere nel caso uno dei due sovrani commettesse una qualche sregolatezza durante il duello. Lucy e le altre ‘femmine’ rimasero all’interno del palazzo. Come luogo fu scelto un quadro di pietra su cui si ergevano quattro colonne, costruito a poca distanza dal palazzo e che un tempo era stato pensato come ingresso esterno.
Peter ed Edmund, con addosso l’armatura, scelsero le armi per il combattimento. Per l’occasione, io indossai degli abiti maschili e raccolsi la treccia attorno al mio capo, formando una sorta di corona.
Edmund mi vide: “Ehi, è la prima volta che ti vedo vestita così!”
Caspian arrivò alle mie spalle con aria rassegnata e lo informò: “Mi ha supplicato di prestarglieli. Sono i miei vestiti.”
Lui mi fece l’occhiolino: “Chissà come staresti con i miei!”
Peter, punto sul vivo, lo riprese severamente: “Ed, tra poco farò un duello all’ultimo sangue. Potresti evitare, per favore?”
Abbassò lo sguardo: “Hai ragione, scusami.”
Mi avvicinai a Peter: “Ce la farai. Devi farcela. Per tutti noi.”
Accennò un sorriso: “Per te potrei! Gli altri forse non sono così meritevoli.”
Mi uscì una risatina: “Sei davvero tutto matto!”
Dal lato opposto, Miraz stava già indossando l’elmo, attorniato da Arthur e da due capi alleati.
La sfida ebbe inizio.
 
Se da una parte Peter aveva il vantaggio dell’agilità, dall’altra Miraz aveva quella dell’esperienza. Il combattimento fu molto violento. Il primo punto fu in favore di Miraz, che riuscì a far volare a terra l’elmo di Peter e subito dopo gettò a terra anche lui in modo da calpestargli il braccio.
Strinsi forte la mano di Edmund.
Dopo un’altra breve sequenza, decisero per tre minuti di tregua.
Peter si sedette sullo sgabello, col braccio dolorante: “Ti prego Ed, dimmi che è solo slogato. Altrimenti sono spacciato.”
Edmund iniziò subito a tastarlo, mentre Peter si rivolse a me: “Vera, se io dovessi sopravvivere, mi curerai tu le ferite?”
Si sentì un forte schiocco e subito dopo Peter emise un grido. Edmund, con una punta di gelosia, disse: “Era solo slogato. E comunque ci penserà Lucy a curarti.”
Ripresero il duello. Stavolta fu Peter ad avere la meglio su Miraz, ma quando fu sul punto di ucciderlo, il vigliacco implorò la tregua. Peter, stringendo la spada con rabbia, alla fine decise di concedergliela. Si era voltato per tornare da noi, quando Edmund gridò: “Attento!”
Lui si voltò giusto in tempo per parare una stoccata a tradimento e per punizione lo infilzò dritto sotto l’ascella. Miraz si accasciò a terra e fu subito aiutato da uno dei capi alleati. Quello che nessuno di noi si aspettava, era che l’uomo prendesse una freccia che aveva nascosto sotto l’armatura e che la piantasse nello stomaco di Miraz. Lo vedemmo cadere a terra e spirare.
L’infame si finse sorpreso: “E’ stato colpito a morte! Sono stati i narniani!”
Edmund tentò di gridare: “Non è vero! Siete stato voi!” Ma ormai si era creata una tale confusione che nessuno avrebbe udito niente.
L’altro capo alleato montò a cavallo in fretta per chiamare l’esercito a combattere. Non potei fare a meno di guardare Arthur tentare di fermarlo, disperato: “No! Aspetta! Non farlo!”
Tutto inutile. Il nostro esercito di narniani decise di riunirsi distante dal palazzo, nella speranza che il nemico non lo invadesse.

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Capitolo 13
*** Un amico fedele ***


Capitolo 13
Un amico fedele
 
Non so di preciso quanto durò la battaglia, forse pochi minuti o forse delle ore, però so che durante la lotta accadde una cosa che ci riempì di nuovo di speranza.
Caspian stava combattendo come tutti noi, quando il suo avversario riuscì a disarmarlo e a gettarlo a terra. Fortunatamente, l’uomo fu portato in mezzo alla mischia da alcuni suoi colleghi, permettendo così a Caspian di salvarsi. Non fece in tempo a pensare di rimettersi in piedi che di fronte a lui comparve Arthur con la spada alta sopra alla testa e una luce folle negli occhi.
Caspian lo pregò, inerme: “Non farlo! Non tu!”
Lui emise un grido e conficcò la spada nel terreno, mentre una lacrima gli bagnava il viso: “Mi dispiace, Caspian. Mi dispiace per tutto.”
Caspian si rimise in piedi con l’intenzione di fare qualcosa per consolarlo, quando all’improvviso vide un pugnale volare e conficcarsi nel petto di Arthur.
Cadde disteso, subito affiancato da Caspian: “Oh no, Arthur!”
Si guardò attorno e chiamò forte: “Mamma! Mamma dove sei?”
Udendo la sua voce, lo cercai con lo sguardo e corsi da lui: “Che succede?”
Vedendo Arthur ebbi un sussulto: “No!” Caspian mi fece spazio, così potei inginocchiarmi e controllare la ferita: “E’ molto vicina al cuore, non resisterà a lungo.”
Con gesto sicuro, estrassi la lama, provocandogli un dolore atroce.
“E’ un pugnale di Telmar. Caspian, vai a cercare Lucy. Ho bisogno della sua pozione miracolosa per salvarlo.”
Lui scattò in piedi: “Volo.”
Portai una mano sotto al capo di Arthur e con l’altra tamponai la ferita, dopo aver strappato una manica della mia camicia.
Arthur, pur faticando a respirare, cominciò a parlarmi con voce roca: “Vera…”
“Non sforzarti.”
“Devo dirti una cosa. Io… Io non ho mai tentato di uccidere tuo figlio. Gli voglio bene davvero. Quella sera… Sono stato io ad informare Cornelius perché lo facesse fuggire. Sapevo che il letto era vuoto. Non avrei mai…potuto fargli del male.”
“Lo sentivo che ci eri ancora fedele. L’ho sempre saputo.”
“Io ti ho amata… Per tutti questi anni.”
“Ho sempre saputo anche questo.”
“Perdonami se non ho… Avuto il coraggio di… Di impedire che Miraz…”
“Non avevi scelta. Ti avrebbe ucciso. Sono felice che tu ti sia preso cura di Caspian quando io ed Edmund non potevamo.”
Caspian arrivò, seguito da Lucy e da Edmund, che tuonò: “Razza di idiota! Come hai fatto a farti colpire dai tuoi soldati?”
Risposi brusca: “Non adesso, Ed. Lucy hai la pozione?”
Lei aprì la boccetta: “Eccola.” Fece un passo per avvicinarsi e, non so come, inciampò sui suoi stessi piedi. Tenne la boccetta stretta in mano per non farla cadere, ma una goccia volò fuori a tutta velocità e, fatalmente, terminò la caduta sul mio labbro.
Mi ordinò, con occhi sbarrati: “Non ti muovere. Quella è l’ultima goccia rimasta. E prima che io possa prepararne dell’altra lui sarà già morto.”
Mi sentii gelare il sangue nelle vene per una tale responsabilità. Le lanciai delle occhiate  per supplicarla di dirmi cosa fare.
“C’è un solo modo. Devi appoggiare le labbra sulle sue affinché possa ingoiare la goccia.”
Un suono indescrivibile si levò dalla mia gola e con le mani indicai Edmund.
Lui tuonò spazientito: “Datti una mossa! Vuoi forse lasciarlo morire?”
Ottenuto il suo consenso -se così si può dire-, mi abbassai lentamente fino a sfiorare le labbra di Arthur. Fu un contatto così casto che nessuno avrebbe osato ribattere; avrei potuto baciare mio figlio nello stesso modo! Mi risollevai e restammo tutti in attesa.
Di lì a poco, Arthur ricominciò a respirare normalmente e non esitò a tirarsi su a sedere.
Mi venne spontaneo abbracciarlo, col sorriso sulle labbra: “Meno male, Arthur!”
Caspian lo aiutò a rimettersi in piedi, sorridendogli a sua volta, poi si accorse dello sguardo di Edmund e optò per lasciarli soli: “Mamma, Lucy, andiamo a vedere come è terminata la battaglia.”
Io non lo sapevo, ma mentre ero ad occuparmi di Arthur, Aslan era comparso per sistemare le cose, convocando le ninfe dell’acqua che crearono un’onda di tali dimensioni da distruggere la diga e scaraventare lontano i nemici più agguerriti.
Rimasti soli, Arthur iniziò a parlare con una punta di disagio: “Principe Comandante.”
Edmund gli sferrò un pugno alla mascella, facendolo cadere a terra: “Questo è per aver baciato mia moglie.” Continuò con un calcio allo stomaco: “Questo è per avermi fatto credere di averci traditi.” Partì con la mano chiusa a pugno, ma a pochi centimetri dal suo viso si fermò e la riaprì lentamente: “Questo invece è per essere rimasto un amico fedele.”
Arthur si aggrappò a quella mano e lasciò che lo aiutasse ad alzarsi.
Edmund lo abbracciò: “Grazie per aver cresciuto mio figlio. Te ne sarò per sempre grato.”
Lui gli diede qualche colpetto sulla schiena: “Era il minimo che potessi fare.”
 
Tra le mura di Telmar tornò a regnare la gioia, fin dal giorno seguente. Fu Arthur ad annunciare la morte di Miraz a quella che oramai era diventata la sua vedova. Non mi fu difficile capire chi fosse il padre del bambino, vedendo il modo in cui i due si guardavano. Non dissi niente per rispettare il loro silenzio, anche perché mi stavo recando nella stanza assegnata a Peter, dove lui mi attendeva perché gli curassi le ferite.
Entrai dalla porta e mi si presentò davanti uno spettacolo buffo, composto da Lucy che fasciava il braccio a Peter, sorvegliata da Edmund, che in quel momento disse: “Mi raccomando. Voglio che la fasciatura sia perfetta. Così non avrà motivo di rivolgersi a mia moglie.”
Peter aveva il viso un po’ imbronciato per quella situazione, ma cambiò espressione quando Edmund, vedendomi, disse: “Vera, amore! Ti ho risparmiato una fatica! Sei contenta?”
Io scoppiai a ridere e continuai fino ad arrivare a lui, che mi strinse in un abbraccio: “Sei tremendo, Eddy! Ma come ti è venuto in mente?”
Sorrise anche lui prima di baciarmi dolcemente, facendo ritornare il viso di Peter nuovamente imbronciato.
Trascorse così una settimana, ricca di bei ricordi assieme a nostro figlio, come scherzi, cavalcate, banchetti, partite a carte e sfide amichevoli con le armi. Il tempo sembrò volare e in un batter d’occhio arrivò il giorno del suo ventunesimo compleanno.
 
La cerimonia si svolse nella nuova sala del trono del castello di Telmar, per l’occasione agghindata con i famosi fiori viola che avevano incorniciato anche le mie nozze con Edmund nel castello di Cair Paravel.  Fu scelto il Dottor Cornelius per incoronare Caspian, in quanto saggio della città e suo maestro personale.
Affiancato da Peter, teneva tra le mani la corona alzata verso il cielo: “Per volere di Re Peter il Magnifico, io incorono te Caspian, Re di Narnia. Sarai conosciuto come Caspian il Coraggioso, per tutti i secoli a venire.”
Posò la corona, che un tempo era appartenuta a Peter, sul capo di Caspian. Subito dopo, Peter gli mise tra le mani la propria spada dorata. Lui rimase in ginocchio ancora qualche secondo, talmente era emozionato, poi si alzò fieramente accolto da una miriade di applausi e acclamazioni.
Con gli occhi lucidi e le lacrime lungo il viso, mi uscì la frase sdolcinata: “Il mio bambino è diventato re!”

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Capitolo 14
*** Non c'è bisogno di dire addio ***


Capitolo 14
Non c’è bisogno di dire addio
 
Il giorno seguente, noi e altri pochi sudditi, ci riunimmo nel cortile sul retro del castello, dove Aslan ci attendeva all’ombra di un antico ulivo.
“E’ giunto il momento di andare, per alcuni di voi. Chi attraverserà questo passaggio, tornerà nel suo mondo d’origine e vivrà la vita che un tempo fu dei suoi antenati. Chi desidera attraversarlo?”
Dal gruppo, Arthur parlò: “Io, grande Aslan. Parlo anche a nome della mia amata e di nostro figlio. Desideriamo ritrovare la pace in un mondo che ci appartiene.”
“Venite avanti.”
Lui prese sotto braccio la donna, che teneva  il bambino addormentato tra le braccia, e insieme si avvicinarono.  Dal tronco dell’albero si aprì un varco magico.
Io ed Edmund andammo loro incontro per salutarli. Dissi gentile rivolta a lei: “Meritate un po’ di felicità. Godetene il più possibile e crescete vostro figlio con tanto amore. E’ il dono più prezioso che si possa ricevere dalla vita.”
Mi sorrise con calore: “Vi ringrazio, maestà. Vi auguro la stessa cosa.”
Edmund cercò di mantenere un aspetto di comando: “E così ci salutiamo, Generale. Sappiate che per me questa nomina non è valida. Voi siete e sarete sempre il mio capitano.”
Arthur accettò lo scherzo: “Non dimenticherò mai ciò che mi avete insegnato, anche se siete solo un  ragazzo! Edmund, prima che io me ne vada, sappiate che nella mia stanza troverete la vostra scacchiera dorata. Quel giorno sono riuscito a salvarla, ma ho perduto un pezzo.”
“Non preoccuparti, amico mio. L’ho ritrovato tra le macerie. La scacchiera è completa.”
Si strinsero in una abbraccio tipicamente maschile, poi Arthur prese una pergamena da sotto la giacca e me la porse: “Ho scritto un’altra poesia. Parla di voi e di Caspian. Spero che riuscirete a scorgervi l’amore che provo per entrambi.”
Presi la pergamena e gli stampai un bacio sulla guancia: “Ti ringrazio. Sono certa che mi commuoverò.”
In ultimo, Caspian si fece spazio tra me ed Edmund per salutare a sua volta: “Siete due persone meravigliose. Se potete, non dimenticatevi di me, perché io non vi dimenticherò.”
Con passo tranquillo, attraversarono il varco e sparirono d’incanto.
Peter ci sorprese: “Anche per noi è giunto il tempo di tornare.”
Edmund lo contrariò: “No. Io non me ne vado di nuovo. Non lascerò mio figlio qui da solo.”
Io aggiunsi: “Peter, non puoi farci questo. Lo abbiamo appena ritrovato.”
Aslan tentò di farci comprendere: “E’ vero, lo avete appena ritrovato, ma quanti anni avete? Sarebbe innaturale che due ragazzi di sedici anni si prendessero cura di un re.”
Caspian s’inginocchiò: “Ti prego Aslan. Lo so che è una follia, ma ti supplico, non portare via i miei genitori. Non posso farcela senza di loro. Ho così tanto da recuperare degli anni in cui non c’erano.”
Dagli occhi del leone scese una lacrima: “Mi dispiace, ma purtroppo non posso permetterlo.”
Mi gettai tra le braccia di Caspian: “Il mio bambino. Con quale coraggio posso abbandonarti ancora? Non voglio andarmene. Non voglio dirti addio.”
Peter parlò chiaro: “Un giorno voi tornerete. Non c’è bisogno di dire addio. Io invece non farò mai ritorno, questo è stato il mio ultimo viaggio qui a Narnia.”
Edmund strinse i pugni nel tentativo di darsi la forza per fermare le lacrime: “Aslan, promettimi che un giorno rivedrò mio figlio. Ti prego, dammi la speranza.”
“Io lo prometto, perché è ciò che avverrà.”
Edmund venne da me per condividere l’abbraccio con Caspian, che stava piangendo a catinelle. Mi sciolsi dall’abbraccio e aprii la pergamena di Arthur, dove lessi con voce tremante:
“E’ iniziata come una sensazione
Che poi è cresciuta diventando una speranza
Che poi si è trasformata in un pensiero tranquillo
Che poi si è trasformata in una parola serena
E poi quella parola è diventata sempre più forte
Fino a diventare un grido di battaglia
Tornerò quando mi chiamerai
Non c’è bisogno di dire addio
Solo perché sta cambiando tutto
Non significa che non sia mai stato così
Tutto ciò che puoi fare è cercare di capire chi sono i tuoi amici
Mentre vai in guerra
Scegli una stella all’orizzonte
E segui la luce
Tornerai quando sarà finita
Non c’è bisogno di dire addio
Siamo tornati all’inizio
E’ solo una sensazione ma nessuno lo sa ancora
Ma solo perché non possono sentirla
Non significa che tu debba dimenticare
Permetti ai tuoi ricordi di crescere sempre più forti
Fino a quando saranno di fronte a te
Tornerai quando ti chiameranno
Non c’è bisogno di dire addio
Tornerai quando ti chiameranno
Non c’è bisogno di…”
Le lacrime mi impedirono di continuare, allora ripiegai la pergamena e lasciai che Edmund poggiasse il viso sul mio capo, bagnandomi i capelli di lacrime.
Senza dire niente, Peter prese per mano Lucy e insieme attraversarono il varco.
Caspian si strinse ancora a noi: “Sarete sempre nei miei pensieri. Giuro sulla mia vita che sarò un ottimo re, in modo che siate orgogliosi di me. Vi voglio bene.”
Continuammo a piangere tutti e tre con tanto sentimento che alle nostre spalle avvenne una magia: l’ulivo mutò forma e si trasformò in un salice piangente, le cui foglie toccavano terra. Trovando un minimo di coraggio, ci staccammo da Caspian e ci voltammo, mentre i ramoscelli morbidi si aprivano come una tenda per permetterci di passare.
Ci stavamo praticamente stritolando la mano l’un l’altro, per non cedere alla tentazione di ribellarci al volere di Aslan, ma proprio a qualche passo di distanza dal varco, Caspian ci chiamò: “Mamma! Papà!”
Non ebbi più freni, mi voltai e corsi come il vento tra le braccia di mio figlio: “Caspian ti voglio bene. Ti voglio tanto bene.”
Edmund venne a prendermi, però faticò non poco per staccarmi da lui. Quando riuscì a separarci, cedette a sua volta e avvolse le spalle di Caspian con un braccio, continuando a piangere: “Ti voglio bene, figlio mio.”
Caspian tentò di trovare un sorriso a stento: “Ti prometto che giocherò con la tua scacchiera ogni singolo giorno. Sarà il mio passatempo preferito.”
Stavolta, camminammo fino al varco con passo un po’ meno lento e ci voltammo solo un istante per sorridere un’ultima volta a nostro figlio, un attimo prima di sparire nel nulla.
 
Uscimmo dal buco oscuro, ritrovandoci nel parco della villa. Peter e Lucy ci guardarono, avvolti nei cappotti e le sciarpe. Lasciai che le ultime lacrime scorressero dai miei occhi per finire sulla spalla di Edmund, sapendo che anche lui aveva le ultime da sfogare. Poi inspirò a fondo e parlò con voce un po’ camuffata: “Dobbiamo pensare positivo. E’ nostro figlio, quindi lo sarà anche in questo mondo. Quando saremo più grandi ti metterò incinta, così riavremo Caspian con noi.”
“Allora venite o no? Il tè si raffredda se non vi sbrigate.”
La voce gracchiante di Susan mi fece sollevare lo sguardo. Era lì, spazientita come l’avevamo lasciata, ignara di ciò che era accaduto nell’arco di un secondo.
Peter rispose un po’ brusco: “Stiamo arrivando.”
Attese che si allontanasse, poi si rivolse a noi tre, più serio che mai: “E’ giunto il momento di dirvelo. Ho rintracciato papà nei giorni scorsi. Si trova in America, dove lo hanno trasferito i suoi superiori. Ha detto che mi aspetta là per l’addestramento militare. Partirò il giorno del mio compleanno, il 17 novembre.”

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