Il mondo dei sogni

di sushiprecotto_chan
(/viewuser.php?uid=59201)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***
Capitolo 3: *** Parte Terza ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Titolo: Il mondo dei sogni
Personaggi: Zazie Winters, Lag Seeing, Harrel Winters, Heater Winters, Connor Culh; Zazie/Lag, accenni Connor/Sunny.
Disclaimer: Nulla di tutto ciò è mio; i personaggi et l’ambientazione et-cetera appartengono tutti a Hiroyuki Asada.
Conteggio parole (solo capitolo): 3969 (fdp)
Introduzione: Ad Amberground si stanno presentando nuove “generazioni” di Gaichu, provenienti con tutta probabilità dalla grotta di Blues Notes Blues, e i Letter Bee migliori hanno il compito di occuparsene. Zazie, Lag e Connor non sanno cosa aspettarsi, quando Zazie e Wasiolka vengono aggrediti da un Gaichu che – come in seguito Zazie scoprirà – preferisce mangiare i cuori delle sue vittime lentamente. Per farlo le anestetizza con un particolare veleno, e queste, dormienti, finiscono con la mente in un mondo “ideale” che rispecchia tutti i loro desideri.
Note: sì, tutto ciò è ispirato a una (e più) puntate di Supernatural, ovvero alla figura mitica del djinn – jinn nella tradizione musulmana – ‘geni’ maligni che si nutrono della linfa vitale delle loro vittime (esseri umani) lentamente, anestetizzandole con un tocco e provocando in loro allucinazioni, tali che con la mente vengono mandate nel loro mondo dei sogni, dove si palesano in forma realistica i loro desideri più profondi – o al contrario, vengono mandate in un mondo in cui vengono loro mostrate le loro paure più intime –, creando un’illusione da cui non desiderano più svegliarsi.
Questa storia è la mia bambina e io le voglio bene. *cries* Non l
ho ancora finita, ma dovrei aggiornare puntualmente ogni mese, e non dovrebbe essere composta da più di tre parti.
N/A: 1. Partecipa alla Chapter Challenge di fiumidiparole.
2. La citazione e le seguenti che troverete nella storia sono prese da “Where I belong” dei Switchfoot.
3. La storia è ambientata qualche anno dopo gli eventi attuali del manga… diciamo che Zazie dovrebbe avere diciannove anni e Lag diciassette.
4. La cittadina in cui è ambientata la storia è Victorus Hagu, che nel mio headcanon dovrebbe essere il villaggio in cui abitavano i genitori di Zazie (vi ricordate? Nei flashback di Zazie quando i genitori vengono uccisi dal gaichu, c’è qualcuno che urla in città che due “stranieri” sono stati attaccati ai margini del paese). Undercurrent, invece, non è un nome di mia invenzione: la cita Zazie nel numero diciassette del manga (edizione italiana). Si trova nella zona sud di Yuusari. È la città in cui Zazie è cresciuto.
 
 
 
 
 
Parte I
 
Feeling like a refugee

Like it doesn't belong to me

The colors flash across the sky


This air feels strange to me

Feeling like a tragedy

Take a deep breath and close my eyes

One last time
 
 
 
Il paesaggio scorreva lentamente, attraverso i vetri della carrozza che avevano noleggiato, ma Lag non sembrava guardarlo, non davvero. Teneva lo sguardo fisso su un unico punto. Zazie tentò in tutti i modi di non chiedersi se il suo collega stesse pensando a Goos, e se avesse rimpianti a riguardo. Nonostante fossero passati diversi anni dalla fine della ‘guerra’ e dalla decisione di Noir di continuare a seguire le vittime degli esperimenti scientifici del comandante Balor, Lag ancora non riusciva a darsi una completa pace, all’idea di aver perso quell’amico che era stato una figura così importante nella sua vita. Certo, in realtà lo vedeva almeno una volta alla settimana, quando veniva a cena da lui e Sylvette – ormai cresciuta a dir poco – ma sebbene l’affetto e la stima che Noir provava per lui fossero rimasti invariati, dover passare da Goos a Noir non era stato semplice, così come non lo era stato accettare che il suo amato amico avesse perso quasi del tutto i ricordi legati al suo passato da ‘Goos’.
Zazie conosceva bene il dolore che implicavano i rimpianti, e non desiderava altro che vedere Lag focalizzarsi nuovamente sul presente e sulle cose belle che questo poteva offrirgli; sulle risate con Sylvette e Noir; sulla luce sempre più vivida negli occhi delle persone che incontravano durante le loro consegne; sull’essere di nuovo tutti e tre insieme in viaggio, com’era giusto che fosse.
«Ehi» lo richiamò, dandogli una leggera gomitata. «Posso darti un machete per la giungla dei tuoi pensieri?1»
Il suo collega si girò appena, guardandolo stranito. Aprì e chiuse ripetutamente le palpebre, come un bambino distolto da un sogno ad occhi aperti.
«Come?»
«Stai bene, Lag?»
«Sì» annuì lui, concedendogli un breve sorriso.
Poi Connor sembrò destarsi all’improvviso, e cominciò a lamentarsi sul fatto che Gas gli avesse sbavato su tutto il volto, cosa che provocò una sonora risata da parte di Zazie e, dopo un breve commento in cui mostrava empatia per il suo amico, il ritorno di Lag a osservare la strada.
 
 
***
 
Fu un sollievo uscire dalla carrozza, anche se Zazie doveva ammettere che con lei a raggiungere la meta prestabilita ci avevano impiegato metà del tempo – tempo in cui, tra l’altro, lui aveva potuto farsi anche una sana dormita.
Non gli sarebbe dispiaciuto percorrere la distanza dal Beehive a lì a piedi – l’avrebbe preferito, in realtà, perché muovere le gambe lo aiutava a non pensare, e forse il movimento avrebbe tolto un po’ di malinconia dagli occhi di Lag –, ma i suoi due compagni – specialmente Connor – avevano voluto sfruttare un po’ i ‘privilegi’ d’aver risolto il conflitto e d’essere i migliori nel loro campo, e così avevano noleggiato quella piccola trappola di legno, proprietario e cavallo inclusi.
Connor pagò il guidatore, mentre Daysi, la cavalla, tentava di rubargli una carota da dentro la tasca.
Quando finalmente si lasciarono alle spalle quei sedili scomodi che li avevano ospitati per tutto il viaggio, i tre si diressero verso l’unica casa che era in vista. Chi ci abitava era il signor Leo Goldenbolt, un infermiere – capace, a richiesta, di usare una pistola sparacuore – che Aaron Thunderland Junior aveva mandato a registrare e a studiare i movimenti dei Gaichu di quella zona.
Tempo prima, infatti, nelle vicinanze di quell’abitazione si erano trovati Gaichu dai comportamenti anomali, mai visti prima. Data la vicinanza con Blues Notes Blues, c’era da considerare la possibilità che questi fossero parte di quel gruppo di antichi insetti custoditi nel ghiaccio di quella grotta, ma potevano anche essere una ‘nuova generazione’ di Gaichu di cui Yuusari Central non sapeva nulla. Fatto sta che il dottor Thunderland in persona era sceso sul campo per osservarli, tempo prima, e, se Goldenbolt li aveva tenuti d’occhio fino a quel momento, ora toccava ai Letter Bee catturarli o eliminarli, studiandone i metodi con cui attaccavano e loro i punti deboli.
«Facciamo in modo di finire questo lavoro velocemente, neh, Wasiolka?» disse Zazie alla sua adorata pantera, con l’espressione di qualcuno che desidera liberarsi del mondo o vomitare. Gaichu speciali, davvero? Non ce n’era già abbastanza di quelli normali che andavano in giro indisturbati a mangiare i cuori della gente?
«Qual è l’ultimo Gaichu che ha avvistato, signor Goldenbolt?» gli chiese Lag, gentilmente.
«Si tratta di un Gaichu dalla grandezza media. Se ne sta a circa un chilometro da qui, verso la montagna. L’ho chiamato Acorn, per via della forma simile a una ghianda che ha su entrambe le chiusure delle ali. Non ce ne dovrebbero essere altri, in zona, per quanto ne so»
Con loro avevano portato anche delle scorte per lui provenienti dal Beehive, nonché qualche materiale e una lettera piena di raccomandazioni mandatagli da Thunderland. In cambio l’infermiere gli aveva offerto del tè caldo, che avevano accettato ben volentieri. Se il Gaichu non si fosse fatto vedere entro sera, avrebbero dovuto accamparsi alla bell’e meglio su una qualche grotta o altura, e dormire al freddo.
«Grazie. Ce ne occuperemo subito» disse Connor.
Si diressero di gran lena nella direzione prestabilita, lieti di potersi sgranchire le gambe. Si appostarono circa una mezzora dopo, quando credettero di aver trovato il luogo esatto indicatogli da Goldenbolt.
Mentre Zazie preparava il fucile, Connor rifletteva ad alta voce. «‘Gaichu Acorn’, eh? Speriamo che i suoi punti deboli siano come quelli di un normale Absinthe, almeno»
«Hai abbastanza bombe, con te?» Meglio essere previdenti.
Connor gli sorrise, mostrandogli un pollice un su. «Certo»
«Ragazzi, penso che stia arrivando qualcosa!» urlò loro Lag, indicando lontano. Una nuvola di polvere sembrava venire verso di loro sempre più velocemente, al che Connor corse verso la pianura per posizionare le bombe prima che il Gaichu arrivasse loro contro.
«Quando ci raggiungerà, teniamolo occupato finché Connor non avrà finito!» ordinò Zazie. Il suo compagno annuì, mostrando un’espressione concentrata e dando ordini a sua volta a Niche, che si mise sull’attenti, e a Steak, che proruppe con un «Gnu-gni, gnu-gni».
Il Gaichu arrivò, e velocemente.
La sua corsa sollevò le dune di terra sottile che si trovavano intorno alla zona in cui si erano appostati.
Tenere un braccio davanti al proprio volto li aiutò poco per evitare che quella roba finisse loro negli occhi. Nella confusione, Zazie intravide Connor fare salti mortali per evitare che le sue bombe volassero via.
Lag urlò e Niche lo aiutò a tenersi attaccato a una roccia, mentre la borsa delle lettere che una volta era appartenuta a Gauche Suede minacciava di essere strappata via dal suo proprietario per colpa del vento.
Wasiolka gli si offrì come scudo, mentre tutto intorno il mondo sembrava impazzire. Dannazione, non era cominciata bene, quella caccia al Gaichu.
«Lag! Stai bene?» chiamò Connor, spuntando da una coltre di sabbia.
«S-Sì»
«Ragazzi, muoviamoci, dobbiamo farlo fuori prima che ritorni sottoterra!» li esortò.
Ma Lag si era già ripreso, e correva verso l’insetto, sparandogli dei colpi a vuoto al ventre.
«Bene, ora vattene da lì! Connor!»
«Le bombe sono pronte!»
Lag intanto si era già allontanato; Niche lo aveva portato su un’altura in cui era possibile puntare il gaichu ma abbastanza lontana da non accusare i danni dell’esplosione. Stava andando tutto come previsto.
«Ora!»
La fame di Connor esplose con fragore, e l’insetto si trovò scaraventato in aria. Nel mentre, anche Niche aveva lanciato in su Lag, che puntava ad ogni zona del Gaichu che poteva corrispondere ad un punto debole.
L’Akabari risuonò più e più volte, ma non sembrava esserci nulla da fare.
Dannazione, pensò Zazie. È passato troppo tempo da quando abbiamo cominciato ad attaccarlo; se continua così perderemo tutto il Cuore prima di potergli infierire un colpo decisivo.
Ricaricò il suo fucile, correndo nella zona al di sotto dell’insetto, che intanto stava precipitando al suolo.
Lo so che sto rischiando a stare qui sotto, ma se riuscissi a trovare il punto…
Colpì l’insetto con la sua tecnica della pioggia di proiettili, per poi indirizzare il seguente tiro alla zona delle zampe anteriori. Bisognava solo trovare un punto vulnerabile che facesse entrare il Cuore nel corpo di quel mostro, oltre la sua corazza.
Sparò. E l’insetto prima puntò contro di lui dei fili acquamarina – come, acquamarina? Dov’è finito l’oro? Che razza di mangiatore di cuori è, questo? –, poi gli finì addosso.
Doveva aver urlato, a un certo punto, ma tutto, del mondo che lo circondava, gli sembrava ovattato e fastidioso, e lui si limitava a cadere, cadere, e cadere…
Zazie non poteva sapere che il Gaichu, avendo ceduto alla forza di gravità, aveva creato una conca nel terreno.
D’improvviso due artigli azzurri gli cinsero il corpo, tenendo ferme le sue braccia e facendogli perdere la presa sul fucile. Il dolore lo risvegliò d’un colpo, e gli diede appena il tempo per sentire le urla dei suoi compagni che chiamavano il suo nome. Poi qualcosa lo punse, e le tenebre lo circondarono.
 
 
Un’immagine confusa, appartenente al suo passato. Poi il giorno in cui si era presentato al Beehive per fare domanda per diventare un Letter Bee; il suo comportamento selvatico; i commenti su quell’enorme e altrettanto stramba pantera che se ne stava al suo fianco come se fosse un gatto…
 
Rivide il momento in cui, sporco di cenere, Connor gli aveva detto: «Sunny è viva!»
 
Infine eccola: la fenomenale serata in cui aveva voluto far provare del vino a Sylvette e Lag gli si era addormentato su una spalla, con Niche che a sua volta aveva deciso di usare la pancia di Seeing come un cuscino, provocandogli un russare piuttosto sincopato e comico…
 
 
Zazie si svegliò di soprassalto, accostando senza pensarci una mano alla testa.
Ma cosa diavolo era successo?! Un sogno…?
Accanto a sé avverti un minimo movimento, e vide che la sua pantera lo stava osservando. Ritrovarla sdraiata accanto a lui sul suo letto ebbe l’effetto di una doccia calda, e lo rassicurò immediatamente.
«Scusa, Wasiolka. Un brutto sogno» le disse, accarezzandole il capo.
Mentre faceva questo, si diede il tempo di far vagare lo sguardo sulla sua camera, pensando intanto al fatto che doveva andare in lavanderia per liberare la sua divisa da quel puzzo di fritto e di sudore causato dall’ultima missione con Connor e dalla sua brillante idea di andare a mangiare cibo alla piastra. Che rottura. Diresse lo sguardo nel punto della stanza dove di solito appoggiava sciarpa e camicia, ma non vi trovò nulla.
Poi si costrinse ad aprire gli occhi del tutto, e scoprì che nulla, effettivamente, corrispondeva a quello che si ricordava della sua camera.
C’era un non so che di vissuto, intorno a lui. Di solito anche dove dormiva era riuscito a creare un’atmosfera ‘vissuta’, ma più per il disordine e i calzini lanciati di qua e di là – a Wasiolka piaceva usarli come valvole di sfogo e ci giocava spesso – che per i mobili o la personalizzazione della stanza, che aveva un arredamento a dir poco frugale. Se Zazie fosse nato nel nostro mondo e avesse conosciuto Van Gogh, avrebbe ritrovato nei quadri che descrivevano la stanza da letto del pittore la fotocopia della sua. Una sedia; un letto; qualche altro mobile non ben definito e una finestra. Se non fosse stato per la grave mancanza della cuccia che aveva costruito per la sua pantera – e che lei non aveva mai usato –, i due si sarebbero potuti dire fratelli.
Ma quel posto non era ciò che era abituato a salutare al suo risveglio; c’erano quadretti e delle foto. Sebbene le sue coperte fossero un disastro e ci fossero parecchi peli di Wasiolka sul tappeto, era relativamente in ordine e pulito. Non c’era un numero straordinario di mobili, ma se ne trovavano abbastanza da vedere riempito lo spazio.
Doveva trovarsi in una qualche casa appartenente a una rara anima pia che aveva deciso di aiutare lui e i suoi due amici, evidentemente. Oh, Dio, doveva esser svenuto…
Per poco il suo corpo non ebbe uno scatto brusco quando udì un rumore deciso provenire da un punto in direzione della porta.
«Accidenti, Zazie, ti ho già detto che non ti fa molto bene dormire con quella pantera! Un giorno potrebbe decidere di usarti come cuscino e ti ritroverei schiacciato come una sardina, e allora cosa farei?»
Quando lui si voltò, si ritrovò davanti l’evento più terrorizzante, magnifico e assurdo che si potesse essere mai immaginato. Solo che quegli aggettivi non gli erano ancora chiari nella mente, e in lui vorticavano senza tregua un senso di agitazione, incredulità e sofferenza generale, mentre guardava in viso la persona che gli era entrata in camera senza curarsi della sua privacy.
Avrebbe potuto non riconoscere quel volto, una manciata di anni prima. Avrebbe potuto essere in dubbio su a chi appartenesse quella voce e quel modo di muovere gli occhi e le labbra, ma purtroppo o per fortuna, quel giorno di un po’ di tempo fa, Lag aveva colpito con la sua Akabari la lettera che Zazie aveva serbato con cura e che aveva tenuto per sé per tanti anni. E da allora lui non se l’era più sentita di considerarsi un senza cognome, e aveva preso con sé il nome Winters. Quel giorno, finalmente, aveva dato a quei volti senza nome – a quel ricordo sfocato – dei suoi genitori dei tratti netti; quelle facce avevano riacquistato un volto.
E fu per questo che, in quel momento, Zazie non poté fingere di non saper riconoscere sua madre.
«La colazione è pronta» Disse lei, e se ne andò com’era arrivata: di colpo.
 
 
***
 
Zazie si alzò dal letto repentinamente, disturbando alquanto Wasiolka, che fino a quel momento aveva continuato a sonnecchiare al suo fianco.
Dov’era? Doveva capire dove fossero finiti Lag e Connor, doveva… Cercò la sua pistola sparacuore nella stanza, ma non trovò né quella né la sua uniforme. Gli girava la testa.
Con passi felpati, si avventurò in corridoio. Dal piano di sotto provenivano rumori di pentole e di tegami.
Non conosceva quella casa, e non trovava nell’ambiente circostante nulla che si potesse definire pericoloso. C’erano pochi mobili, e il legno e il mattone con cui era stato costruito l’edificio sembravano aver visto parecchie decadi. In mancanza d’altro, Zazie si rifugiò in bagno, in cui si lavò il volto e si procurò un’arma rubando un rasoio da un cassetto.
Nascose l’oggetto in una delle maniche, pronto per essere usato all’istante se ce ne fosse stato bisogno.
«Ah, eccoti, Zacchan»
Ci volle un attimo al portalettere per scuotersi di dosso quell’appellativo, che mai in vita sua aveva sentito uscire dalla bocca di qualcuno.
La voce di sua madre era bassa, musicale.
«Zazie, allora, non auguri buongiorno al tuo vecchio e a tua madre?»
Lui allora si voltò, incontrando per la prima volta da undici anni lo sguardo tangibile di suo padre. L’altro gli rifilò un gran sorriso malandrino, un gesto che sapeva di vissuto.
Al vedere che suo figlio (“suo” “figlio”… Zazie non riusciva a pensarci) non rispondeva al gesto, gli rivolse un’espressione interrogativa.
«Come ti senti?»
Evidentemente come letter bee non valeva nulla, pensò, perché sua madre riuscì ad avvicinarglisi e a prendere il suo capo tra le mani senza che lui si accorgesse di nulla.
«Ti fa ancora male?»
Di che cosa diamine stava parlando?
«Il bernoccolo si è ingrandito parecchio, eh… lo dicevo, io, avremmo dovuto metterci del ghiaccio immediatamente.»
Che?
«Che?»
«Hai sbattuto la testa, ieri, non te lo ricordi?»
Zazie cercò di ricollegare il tutto. Ieri un Gaichu gigantesco gli era caduto addosso. Probabilmente in quel mondo il corrispettivo di ciò era prendere una craniata contro qualcosa.
Trovava difficile pensare quando i suoi genitori erano lì, in carne e ossa.
Si sedette a tavola, cercando di trovare la forza di comportarsi in modo normale. Dannazione, lui non era fatto per quelle cose, per trovarsi in una realtà soprannaturale in cui sembrava la normalità avere intorno persone morte e sepolte ormai da dieci anni.
«In effetti, mi fa piuttosto male» Provò a tastare il terreno, per vedere dove l’avrebbero condotto le sue parole. «Magari oggi potrei andare a farmi controllare dal dottor Thunderland»
Sua madre si voltò nuovamente verso di lui, interessata.
«Chi?»
«Il dottor Thunderland, di Yuusari» Al vedere degli sguardi straniti in risposta, rincarò la dose. «di Yuusari Central»
«Tesoro, non credo che sia così grave da percorrere così tanta strada. Già abbastanza viaggiatori e portalettere perdono la vita là fuori»
Porca-
Gli si seccò la gola. «In che città siamo?»
Quasi quasi gli venne l’istinto di chiedere in che epoca e in che mondo. Dopo aver posto quella domanda tacque, sentendo tutta la cucina incombere su di lui. Un senso di claustrofobia lo prese, e il suo corpo s’irrigidì.
Dici sul serio? e Stai bene? erano domande che si potevano leggere a chiare lettere sul volto di sua madre.
«Forse è meglio se ti portiamo a farti vedere da qualcuno, Zazie» fece suo padre, abbandonando la sedia.
 
Alla fine fecero visita al medico del paese; “solo per un accertamento”, disse suo padre. Intanto il loro figliolo studiava ogni loro mossa, tentando di capire di più quella situazione che non riusciva a vedere se non come assurda e impossibile. Ma dov’era finito?
Zazie non era fatto per i raggiri e gli interrogatori. Lui poneva sempre domande dirette o trovava le risposte che voleva agendo. Non aveva la pazienza del burocrate o la scrupolosità dell’impostore.
E così non sono un letter bee. Aveva controllato ogni angolo dell’armadio situato nella sua stanza: nessuna uniforme. Gli faceva strano l’idea di non lavorare come portalettere. Dopo tanti anni passati a portare quella giacca blu, aveva finito per non riuscire più a concepirsi senza.
Quando uscirono dall’ambulatorio del medico, Zazie si dileguò con la scusa di voler fare una passeggiata per prendere un po’ d’aria. Non riconobbe nessuna delle vie in cui passò. Aveva provato a tentare di ricollegare quelle case di sasso a qualcuna che aveva potuto vedere durante una delle sue consegne, ma nessuna immagine simile riusciva a tornargli alla mente.
Che era quel posto? Certo, i villaggi di Yuusari si assomigliavano un po’ tutti, ma non gli sembrava di essere mai passato di lì. Così impegnava il suo tempo in scalciare sassi per la strada, sperando d’incontrare per magia qualcuno di conosciuto. Doveva assolutamente trovare Connor e Lag.
Ecco due altre “cose” a cui lui si era abituato tanto da non riuscire a vedersi scisso da esse; senza di loro Zazie non era che Zazie il Randagio. Anche se, evidentemente, in quel mondo in cui i suoi genitori erano ancora vivi, Zazie il Randagio non era mai esistito.
A questi pensieri, immediatamente le case che si trovavano intorno a lui gli sembrarono opprimenti, e l’aria si fece irrespirabile.
«Scusi, conosce per caso Lag Seeing?» chiese a un signore che passeggiava lì vicino. L’uomo si appoggiava pesantemente a un bastone e teneva il capo ben infossato in un enorme cappello.
«Mi stai prendendo in giro, delinquente? Che è, avete forse litigato?» Dal tono si capiva che il vecchio stava insinuando qualcosa, ma Zazie non riuscì a capire.
«Forse. Sa dov’è?»
Ma l’altro lo liquidò con una smorfia e Zazie si ritrovò con un pugno di mosche, maledicendo a denti serrati quel tipo.
Fermò un paio d’altre persone per porgere loro la stessa domanda, ma questi non seppero rispondergli. Sembrava che tutti pensassero che la persona più adatta a sapere dove si trovassero Lag e Connor fosse lui.
Zazie si consolò, pensando che almeno ora sapeva che Zazie e Connor esistevano, e continuò a camminare. I suoi passi lo portarono nella piazza principale, dove si sedette su una fontana.
Tanto per fare qualcosa, si controllò le tasche e si guardò le mani. Erano ancora da lavoratore e piene di calli, ma sembrava che fossero state trattate meglio dei suoi arti “originali”. Nelle tasche non trovò altro che quello che si era già rigirato tra le mani una ventina di volte: un coltello multiuso, una mentina e qualche soldo.
Rimise tutto al suo posto e guardò il selciato che gli stava intorno con malcelato odio. Non sapeva che farsene di quella situazione, e neppure di quei pochi “mezzi” che avrebbe potuto usare per capire dove fosse finito.
Certo, il fatto che i suoi fossero vivi era fantastico, ma-… non doveva pensarci.
S’alzò di colpo, diretto verso un panettiere nerboruto che aveva visto spettegolare con un manico di vecchiette sue clienti.
Saltò sui cesti di pane fresco, puntandogli il coltellino direttamente alla gola. Probabilmente ne avrebbero parlato, in paese, i suoi si sarebbero preoccupati, e di sicuro quella sarebbe stata una cosa che Lag non avrebbe approvato, ma Zazie se ne fregò. Quella mattina Wasiolka non aveva preteso di seguirlo fuori. Quello non era il suo mondo.
«Dove posso trovare Lag Seeing e Connor Culh?» urlò.
L’uomo tremava. «Av-av…»
«Zazie! Cosa diavolo stai facendo?!»
In mezzo al vociare impaurito, sentì chiaramente quella voce concitata: impossibile da non riconoscere. Per un attimo assaporò il tono vagamente stridulo a lui familiare. Balzò giù dal cesto, sollevato.
«Lag.» Era salvo! Lui e Connor avrebbero saputo cosa fare.
«Cos’hai combinato?»
«Lascia perdere. Vieni, andiamocene da qui.»
Corsero lontano, raggiungendo un punto in cui le lamentele dei curiosi, del panettiere e dei suoi clienti non si sentivano.
«Ti cercavo. Mi dispiace, nessuno mi voleva dire dove fossi. Ma fa lo stesso. È successa una cosa assurda: vedi, il Gaichu-»
«Zazie, hai minacciato un uomo innocente! Te l’avevo detto dov’ero; oggi sarebbe passato di qui per una consegna Goos. Ma poi zia Sabrina mi ha detto che hai sbattuto talmente forte la testa da dover andare dal medico. Ero così preoccupato!»
Il suo amico lo fissava con uno sguardo abbastanza accusatorio, ma dai suoi occhi scaturivano di già anche delle lacrime.
Qual era stata l’ultima volta che Lag aveva pianto per lui? D’un tratto, si vergognò.
«Mi dispiace»
Lag ricominciò a respirare.
«Come stai?»
Le menzogne con Lag pagavano sempre, quindi Zazie provò con le mezze verità. «Non lo so» E poi: «A dire il vero, credo di essere vittima di un po’ di amnesia. Per esempio, non ricordavo nulla del tuo impegno di stamattina.»
«Amnesia?» gli occhi – gli occhi! Due, e niente ambra spirituale! – del suo compagno si fecero più grandi.
Zazie annuì. «Posso farti alcune domande, giusto per essere sicuro che nella mia testa sia tutto a posto?»
 
Quel Lag non era un letter bee. Scoprirlo aveva inquietato Zazie più che non vedere quell’ambra rossa nell’occhio sinistro dell’amico.
Sua madre era morta di parto e dalla sua più tenera infanzia aveva vissuto con sua zia Sabrina, vecchia amica di sua madre. Prima avevano abitato sul mare, a Yodaka; poi Sabrina aveva ottenuto un permesso di passare a Yuusari per lei e il suo figlioccio e si erano trovati lì, a Victorus Hagu. Nel tragitto avevano incontrato una bambina, Niche, che Lag aveva voluto adottare…
Sembrava una versione delirante della vita che aveva vissuto Lag nell’altro mondo. Una versione delirante, sì, e forse più decente.
Goos era un vecchio amico di Lag. Si erano conosciuti quando lui e sua zia abitavano ancora a Yuusari e dal quel momento Seeing l’aveva ammirato con tutto se stesso. Una volta aveva visitato Yuusari Central e aveva conosciuto Silvet. Quando poteva, Goos lo veniva a trovare. Nessun Noir, nessuna organizzazione di mutanti, nessuna madre-divina imperatrice costretta a sacrificarsi per la gente del suo paese in un modo orribile.
Una vita normale.
Connor era un letter bee. Zazie lo aveva conosciuto perché a undici anni aveva cominciato a lavorare per aiutare i suoi, e se l’era ritrovato tra i piedi mentre cercava di spingere il suo carretto per le vie di Victorus Hagu. La sua famiglia abitava lì vicino e, a detta di Lag, erano già inseparabili quando Connor lo aveva presentato a Lag.
«Fa tappa fissa a Yuusari, ovviamente, ma spesso viene a fare consegne qui» gli spiegò Lag. «Tutto questo… te lo ricordi, vero?»
«Per la maggior parte, sì. Mi sa che sono solo un po’ confuso. Ma quello che mi stai raccontando mi è di molto aiuto» mentì.
«Cos’altro vuoi sapere?»
«Per ora va bene così» Zazie gli sorrise. Non sapeva quanto della verità fosse meglio dire a Lag, e il suo amico sembrava davvero stanco dalla confusione e dall’accennato pianto di poco prima. Doveva ammetterlo: pareva bello, quel mondo.
La bocca di Lag andò da sud a nord. Era contento di vederlo così rilassato, dopo il pericolo corso di quella botta in testa?
Poi il suo amico si alzò lievemente sulle punte, gli prese la nuca tra le mani e lo baciò brevemente.
«Andiamo a pranzo?» Gli chiese, staccandosi.
E Zazie vide per la prima volta quanto poco spazio personale li divideva. E andò nel panico.
 
 
 

 
 
1= “Posso darti un machete per la giungla dei tuoi pensieri?” è una frase de I Pirati dei Caraibi (film del 2003).

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Parte Seconda ***


“Non dovete prenderlo alla leggera. Il purgatorio è un labirinto di tentazioni. La realtà che avrete davanti vi sembrerà del tutto vera. E ogni parte di voi desidererà abbracciarla. Ma se lo farete resterete intrappolati lì per l’eternità. Imprigionati per sempre.” – Sleepy Hollow
 
Parole secondo capitolo: 3751 (fdp)
Note: La storia partecipa al ChaCha (Chapter Challenge) di @ maridichallenge.
Informazioni di servizio: Buon Samhain a tutt@! Come ho precedentemente scritto, la storia è composta da pochi capitoli (o, per meglio dire, parti), e io in teoria e in pratica dovrei aggiornarla ogni mese (lo so, sono in ritardo ç_ç). Grazie mille per i commenti, mi avete commossa. ;_; Questa storia non è nulla di che, in realtà, ma è la mia bambina. A me piace lavorarci e limarla il più possibile, e per voi lavorerò più duramente e con più piacere! Di nuovo grazie, insomma ;_; Siete entrambe troppo gentili.
Vi chiederete perché dare un nome bizzarro come Victorus Hagu alla cittadina in cui abitavano i genitori di Zazie. La verità è che in questo periodo mi sto buttando a pesce nel fandom de I Miserabili – a mio rischio e pericolo, perché LesMis è un covo di angst – e mi ha sempre fatto molto ridere il modo in cui i mangaka giapponesi scelgono nomi in inglese per i loro personaggi o per i luoghi da loro inventati. ‘Ridere’ per via del fatto che successivamente nell’anime questi suddetti nomi vengono pronunciati in un modo assurdo. Per esempio, in Soul Eater uno dei miei personaggi preferiti è Death the Kid. Che nella versione giapponese diventa: “Deatho tha Kiddo”, così come Black Star è “Blaku Starru”, eccetera. Questa tendenza è presente anche in Letter Bee. Basta pensare a “Connah” (Connor), “Lagu” (Lag), Sylvetto (Silvet).
Ecco, Victorus Hagu è la versione ‘giapponesoide’ del nome Victor Hugo. Ovviamente. Questa cosa mi ricorda fin troppo le edizioni dei primi del Novecento italiane, e i vari Gustavo Flaubert e Giovanna Austen.
Harrel e Heather Winters dalle scene del manga mi sono sembrati due personaggi piuttosto intelligenti e pacati, ma ho voluto renderli più ‘strani’ per una questione di credibilità. Sono persone e genitori. I genitori sono inquietanti e imbarazzanti.
Detto questo, sushi-out.
 

 
 
Parte II
 
This body's not my own

This world is not my own

But I can still hear the sound

Of my heart beating out

So let's go boys, play it loud
 
 
 
Il Lag della dimensione-alternativa non era tanto diverso dal Lag della vita-di-tutti-i-giorni. Anzi, non lo era affatto. Forse era proprio questo a colpire Zazie più di ogni altra cosa.
Dopo quel bacio rubatogli così velocemente, Zazie aveva capito che non poteva assolutamente raccontargli tutta la verità. L’unica sua speranza era Connor, e mentre aspettava che arrivasse con passo pesante a Victorus Hagu per la sua prossima visita al parentado, aveva tutta l’intenzione di andarsi a cercare un modo per uscire da lì.
Anche se fuggire da quel mondo gli sembrava sempre più un obiettivo assurdo. Man mano che le ore passavano, infatti, si accorgeva sempre più di quanto non sapesse assolutamente come fare per trovare una via d’uscita. Non capiva neppure se ce ne fossero.
Lag si comportava con lui come se nulla fosse, chiedendogli ogni tanto come andasse la testa, se si sentiva meglio a proposito dell’amnesia, e promettendogli di trovare presto una soluzione. L’unica differenza rispetto a come si sarebbe comportato il Lag-normale era la vicinanza a cui si manteneva da Zazie e agli incontri casuali che avvenivano tra una via e l’altra fra le loro mani. Zazie non capiva cosa stesse succedendo.
Mangiarono un trancio di pizza in un negozio nella parte vecchia della città – o, almeno, così l’aveva definita il suo amico –, e Lag lo costrinse a scusarsi col panettiere innocente contro cui si era scagliato solo un paio d’ore prima.
«Le focacce più buone della città!» aveva detto Lag, indicando la panetteria O’Neal, una volta che ne furono usciti. «Mi sembra talmente strano che per così tanto tempo tu abbia ricordato così poco.»
«Lo so, ma sto bene ora. Ho solo bisogno di un’altra manciata di ore e d’informazioni. Non ti preoccupare, gattino.» Gli scompigliò i capelli, giusto per indispettirlo, dimentico per un attimo di quello che era accaduto fra loro.
«…Io di solito ti chiamo così, vero?»
«Sì!» Rispose deciso Lag. Sembrava sinceramente un po’ avvilito quando gli chiese, poi: «Non ricordi neppure questo?»
«No. Ma ora mi è più chiaro.»
Dopo Lag lo portò da sua zia, cosicché lei gli preparasse un intruglio che – a sua detta – avrebbe aiutato Zazie a riguadagnare la sua memoria.
Se lo teneva stretto, mentre lo portava per le vie della cittadina con l’atteggiamento di chi è sicuro che l’altro riconosca almeno la maggior parte del percorso. Per la prima volta da che si era svegliato, Zazie avrebbe voluto esserne capace.
 
**
 
Lag non sapeva più cosa stesse facendo e cosa ne fosse stato della sua testa. Girava in tondo in quella stanzina asettica, aspettando un responso o almeno un verso, un qualcosa dalla camera affianco. Per la prima volta da anni, gli sarebbe garbato entrarci e scuotere il dottor Thunderland solo per il piacere di farlo, al fine di poter sfogare quell’ansia che si sentiva montare in tutto il corpo. Non voleva restarsene a sedere con uno sguardo afflitto. Aveva bisogno di aiutare il suo amico; di sapere ma anche di rendersi utile al fine di attuare una cura per qualsiasi cosa avesse colpito Zazie.
Se in quel momento si fosse sparato un proiettile del cuore contro, le immagini che sarebbero scaturite sarebbero state le mille scattate nella sua mente di Zazie che rimaneva schiacciato sotto quel Gaichu, l’Acorn che gli rubava i ricordi, e poi… Lui e Connor avevano corso con tutto il fiato che avevano in corpo, dopo aver fatto esplodere l’enorme insetto.
Lag aveva ricordi confusi di come fossero riusciti a trasportarne il corpo – che respirava a malapena – fino alla capanna di Goldenbolt, eppure gli era molto chiara nella mente l’immagine di loro due scarpinare da un masso all’altro, e del suo respiro sincopato, mentre guardava il capo di Zazie rimbalzare su e giù per via di quel trasporto improvvisato. Scoprire lì che lo scienziato era solo un ricercatore e come medico non valeva nulla lo aveva trascinato nella depressione. Avevano preso in prestito il carretto di Goldenbolt e Connor aveva guidato tutti loro verso casa.
Yuusari Central gli si era presentata come la sua ultima spiaggia2: un punto in cui potersi mettere in salvo, ma anche dove non si può che aspettare che il peggio si ripresenti piombando anche lì.
Aveva come la sensazione che gli sforzi del dottor Thunderland non sarebbero bastati e che lui sarebbe dovuto intervenire in qualche modo. Solo che, a meno che non lo mandassero in giro per Amberground a cercare non si sa quale rimedio per guarire il suo amico, non aveva idea di come un intervento da parte sua potesse essere possibile.
«Gli resta ancora del Cuore?» Chiese senza preamboli al dottor Thunderland, una volta che fu uscito da quella maledetta camera.
«Non molto,» rispose sinceramente lui. Asciugandosi le mani con un panno. Una parte di Lag trasalì. Dove le aveva messe? «Ma gli è sufficiente per continuare a vivere. Con il vostro attacco avete impedito all’Acorn di mangiarglielo del tutto, ma il vero problema è che non sembra riuscire a riacquisire conoscenza. E se non si sveglierà entro le prossime quarantott’ore potrebbe rischiare di non farcela.»
«Che gli è successo?» Lag seguì il dottore dentro la stanza. Lui e Connor gli andavano dietro a ogni passo.
«Sembra che il Gaichu l’abbia punto qui,» Thunderland indicò un piccolo buco che si poteva vedere sulla parte sinistra del collo. «E che poi abbia tirato via il cuore poco a poco. Non ho mai visto un metodo del genere essere utilizzato da un Gaichu. Anestetizzare la vittima è piuttosto peculiare per loro.»
«Beh, non stiamo parlando di un Gaichu normale, ovviamente…» La sua stessa voce gli sembrò un po’ isterica, quando pronunciò queste parole. Si chiese cosa gli stesse succedendo.
«Dottore, ma noi cosa possiamo fare?» Disse Connor, non dopo avergli scoccato un’occhiata vagamente preoccupata.
Thunderland si passò le mani sul largo nido che gli popolava i capelli. «Venite, forse è meglio chiedere il parere di un’esperta.»
 
**
 
«Siamo a casa!» Vedere Lag pronunciare quella frase all’entrata di casa sua – una casa che non aveva mai visto né conosciuto, ma che in quel mondo, o qualsiasi cosa quella dimensione fosse, evidentemente era la casa in cui era cresciuto insieme a Harrel e Heather Winters – lo stranì alquanto. Gli tornarono alla mente i momenti in cui era rincasato da solo, senza dover dire una parola all’appartamento vuoto che lo ospitava a Yuusari, e altre giornate in cui aveva accompagnato Lag a casa di Silvet insieme a Connor, e lei aveva tranquillamente preparato la cena per ognuno di loro. Probabilmente anche Silvet e Lag si sentivano soli, e probabilmente lo erano, ma erano anni che non dovevano più salutare una casa vuota, e Zazie era grato che a loro fosse risparmiato tale senso di abbandono.
Probabilmente fra un paio d’anni potrebbero mettere da parte la loro comune timidezza e tra loro potrebbe succedere qualcosa. Potrebbero persino sposarsi. Noir ne sarebbe felice. Resterebbe tutto in famiglia. Mentre la sua mente partoriva tali pensieri e congetture, scorse suo padre armeggiare con chiodo e martello. Bestemmiava sonoramente e teneva in bocca due o tre chiodi.
«È caduta una mensola?»
«Ftu fte ne ftici?» Gli rispose l’uomo.
«No no no no no no no,» Heather intanto era corsa loro incontro, e puntava suo figlio. «Tu te ne torni fuori, giovanotto. Sei già vestito e qui per cena c’è bisogno di un bel po’ di ceci.»
Zazie si sentì quasi offeso. «Sono sparito per ore e tu ti preoccupi dei ceci?»
Lei alzò le sopracciglia. «Fruttivendolo. Ora.» La sua espressione era ridicolmente simile a quelle che di solito faceva Wasiolka. Assolutamente antiestetica. Adesso sapeva da chi aveva preso gli occhi sottili e l’aspetto ferino.
Girò i tacchi e tornò nell’aria umida della strada.
«Lag-kun, come stai?»
«Bene, signora. Zazie, aspetta-»
«Oi’, ragazzetto viziato, la lista della spesa!» gli urlò la madre, così forte che, data la porta aperta, diversi passanti si girarono.
«Okay, okay, sto tornando, sto tornando! Geez…»
Dieci minuti dopo – perché suo padre volle impegnare l’intera famiglia nel dibattito sul se-la-mensola-fosse-simmetrica-al-resto-dei-mobili-oppure-no («Che importa, tesoro, tanto tutti i muri della casa sono storti.» «Gnr… I lavori di casa bisogna farli bene!») e sua madre volle discutere su cosa comprare per la cena e i giorni seguenti, facendo domande a cui si rispondeva automaticamente da sola un secondo dopo e finendo per caricare i due ragazzi di una lista che conteneva il corrispettivo dei bisogni per una cena di natale – Lag e Zazie erano per strada, soldi e foglietti alla mano.
Dopo che si furono abbastanza allontanati dalla casa, Zazie si rivolse al suo amico. «È normale? Cioè, si comportano spesso così?»
«“Così” in che senso?»
Ecco, sapeva che Lag non gli avrebbe reso la vita facile. E poi, che stava pretendendo, Zazie? La sorpresa nello scorgere il carattere dei suoi genitori dal vivo per la prima volta in vita sua di certo non poteva essere compresa da quel Lag, per cui vivere a Victorus Hagu e andare a trovare i genitori di Zazie era una consuetudine. Tuttavia non nascose comunque una certa irritazione.
«Così; insomma, con mio padre che impiega ore per fare un lavoretto e mia madre che dà ordini a destra e a manca.»
Intravide negli occhi di Lag una luce sbarazzina. «Stai scherzando, vero? Queste sono scene che vedo in casa tua da che ti conosco.»
Se il comportamento precedente di Lag gli aveva ricordato una certa ottusità facente parte del carattere dell’amico, vederlo in quel modo, leggero e ironico, lo attrasse fortemente. Da quando Lag faceva delle battute? E da quando dimostrava veramente la sua età? Sebbene si stesse avvicinando velocemente ai diciassette anni, il suo viso era rimasto tondo e morbido come quello di una bambina, e questo non lo aiutava a venir considerato quasi un adulto da chi lo circondava.
«E da quanto mi conosci, eh?»
Lag gli sorrise. «Dai, andiamo, non abbiamo più molto tempo prima che arrivi l’ora di cena.»
 
**
 
«Non abbiamo più molto tempo, non è vero?»
La scienziata che aveva visitato Zazie aveva i capelli corti e un viso incredibilmente smunto. Portava degli occhiali da sole e si sorreggeva su un bastone, perché era cieca. Lag la conosceva bene; lo aveva aiutato a recuperare le forze e il cuore grazie ai suoi infusi, anni prima.3
«No, penso di no. Ma preparerò qualcosa che vi aiuterà a rallentarne gli effetti.»
Lag si pose davanti a lei. «Cosa?»
«Un infuso… Permetterà a Zazie di ricaricare il suo cuore per un po’ di tempo. Ma abbiamo bisogno che si svegli, e lo deve fare consapevolmente.»
«Se lo facessimo noi per lui non funzionerebbe,» spiegò Thunderland a lui e Connor.
«E poi che si fa?»
Thunderland e Connor si lanciarono un’occhiata che nulla aveva dello speranzoso.
Lag si sentì la gola secca.
«Si potrebbe tentare con delle scariche di adrenalina per vedere se avranno qualche effetto. Oppure… lo si potrebbe portare a uno stadio di pericolo di vita per vedere se il corpo reagisce con un sistema di difesa.»
«Non lo fareste,» buttò fuori Lag.
«Aspetta, Lag, il dottore non ha tutti i torti.» Connor gli si avvicinò, tenendogli una spalla. «È anche amico mio e sono in ansia quanto te, ma ci siamo tutti e tre già messi mille volte in pericolo. Sento che questa volta non avrà un esito diverso dalle scorse.»
Lo sguardo Lag passò da diversi punti della stanza più volte, prima che il suo proprietario potesse mettere da parte l’ansia che lo attanagliava per un minuto e fissare i suoi occhi di nuovo su Connor. Il suo compare aveva delle borse sotto gli occhi – non profonde quanto Thunderland, certo, ma c’erano – e stava sudando freddo. Lag ricollegò quel che aveva visto di Connor nelle ultime ore: ogni tanto il suo amico torturava la sua giacca con le mani e, soprattutto, da che erano tornati all’Alveare non aveva toccato neanche una briciola di cibo.
«Credo che tu abbia ragione.» Gli disse quindi. Ma lo terrorizzava quanto anche Connor fosse in ansia. Di solito nelle situazioni difficili Culh era sempre un punto di riferimento solido e sicuro.
«A-Arrivo subito,» esalò infine, uscendo dalla stanza con passo veloce, subito seguito da Niche, che gli trotterellò dietro con Steak al seguito.
Vagò per il BeeHive come un ammalato, prima di trovare la giusta direzione e dirigersi in biblioteca. Non era mai stato molto portato per fare affidamento sui libri. Aveva studiato tutti quelli che erano necessari a dare le giuste nozioni per diventare un Bee, certo, ma di solito chi in battaglia sapeva tutto di Gaichu era Connor, e, per quanto gli piacesse sempre imparare qualcosa di più sul loro mestiere, Lag non era mai riuscito a togliergli il primato. E non si era mai ritrovato tanto disperato da cercare una soluzione entrando alla cieca in un posto contenente migliaia di libri di duemila pagine ognuno.
Dopo dieci minuti passati cercando di prendere libri dagli scaffali più alti e rischiando di farseli cascare tutti pesantemente addosso – rischio che era stato ogni volta prontamente evitato da Niche, che per suo contro però passava il tempo ad annusare i volumi più polverosi e a chiedersi ad alta voce se sarebbero stati buoni da mangiare –, una voce familiare lo fece voltare di colpo.
«Moc Sullivan!» si lasciò sfuggire, a bocca aperta.
«Lag Seeing,» gli rispose quindi lui, con un sopracciglio alzato. E poi: «Ho sentito che tu e Culh avete portato da una missione quel vostro collega quasi morente.»
Lag si sentì come ferito da una freccia. «Non è- Non sta- morendo!» In qualche modo dirlo ad alta voce fece diventare quella situazione orribile ancora più reale.
Il serpente di Sullivan scelse quel momento per esprimersi con un sonoro “hisss”. A Lag quel suono servì per tornare alla ragione.
«Signor Sullivan, la prego!, mi servirebbe il suo aiuto per una questione di veleni.»
 
**
 
Il pomeriggio era passato in un battito di ciglia e, sebbene Zazie non sapesse assolutamente come fosse finito in quel posto e cosa fosse quella specie di dimensione in cui si trovava, alla sera era più deciso a vedere come poterla sfruttare al meglio più che al capire come uscirne.
Aveva l’occasione di avere i propri genitori a disposizione, in carne e ossa – se i suoi genitori erano davvero –; non poteva fuggire proprio in quel momento. Anni prima aveva potuto scoprire la verità sul perché era stato abbandonato ed era tornato dopo tanto tempo a visitare Undercurrent, la sua città natale, e la tomba dei suoi. Ora poteva scoprire chi fossero realmente sua madre e suo padre. Sia Connor che Lag l’avrebbero spronato a farlo, se fossero stati con lui. Doveva andarci a fondo.
«Manca altro?» Gli chiese Lag, stringendo a sé due delle grandi buste piene di cibo che avevano appena comprato.
«Aspetta, fammi controllare» Zazie si frugò nelle tasche, tirandone fuori una lista che il suo amico gli aveva consegnato un’ora prima. «No, siamo a posto.»
Si diressero nuovamente verso casa. Zazie fu impegnato per tutto il tragitto a passare lo sguardo dal selciato a Lag e viceversa. Saltava con solerzia ogni buca che trovava per la strada, ma non poteva evitare di lanciare occhiate al compagno e ai sacchetti che stava portando tra le mani.
Che cos’era, quel mondo, esattamente? Quale strano artificio l’aveva portato lì? E cos’era , poi? Dopotutto Zazie non aveva mai saputo neppure che posto fosse Amberground, e non era mai stato tipo da porsi domande filosofiche ed esistenziali – troppo tempo della sua vita passato a lottare contro quel che la vita stessa gli aveva portato, grazie tante – ma effettivamente non sapeva neppure se lui stesso esisteva, e se tutto il mondo che aveva conosciuto fino a quel giorno fosse reale e non un’illusione. E se Amberground non era un’illusione, allora perché quella versione di Victorus Hagus doveva essere fasulla? Dopotutto ciò che vedeva e ciò che toccava gli sembrava piuttosto reale.
«…bene?»
«Eh?»
Zazie si voltò verso Lag. Non aveva udito nulla di quello che l’amico gli aveva detto fino a quel momento. Vedendo la sua espressione preoccupata, gli fu facile indovinare cosa contenesse quella frase sentita per meno della metà.
«Sto bene. Non preoccuparti»
Decisamente, Lag era reale. Eppure era così assurda la situazione, con il suo amico che lo guardava con occhi così diversi da quelli a cui era abituato. Per un motivo che non riusciva a spiegarsi, la sua presenza lo metteva a disagio.
Lag lo guidò per le strade selciate che avevano percorso al contrario solo un’ora prima. Gli mostrò la strada, gli raccontò con maestria un episodio che era successo con Niche solo qualche giorno prima.
Zazie sorrise. «Quindi è scappata di nuovo dal fornaio?»
«Sì; è la quarta volta in una settimana. Penso che la colpa sia anche un po’ nostra.»
Alzare le sopracciglia parve quasi d’obbligo. «In che senso?»
«Continua a essere gelosa,» Lag fece un sorriso piccolo piccolo. «Magari starai pensando “mi pareva che vi foste già chiariti”, ma, anche se è migliorata, a volte la vedo ancora seguirmi per strada quando dico a zia Sabrina che devo raggiungere te.»
«Cosa intendi dire per ‘è migliorata’?»
«Cosa?»
«Niche.»
«Ah, beh, lo sai anche tu; almeno adesso non cerca più di buttarti addosso delle cose.»
«…Cose tipo cosa?»
A quanto pare degli oggetti che Niche gli aveva buttato addosso Lag si era fatto una lista mentale, tra cui comparivano anche manufatti come ‘cacca (si suppone) di cane’ e ‘un albero’, nonché una quantità enorme di cibi.
Prima che Zazie potesse scoprirne di più, un carretto pieno di libri passò e i due finirono col discutere amabilmente di “quali volumi della libreria dei suoi genitori avrebbe potuto prestare a Lag”.
Quando uno dei sacchetti della spesa si ruppe e i due si cimentarono in una breve litigata su se una mela caduta in una pozzanghera piena di fango fosse ancora mangiabile o meno, Zazie si era già quasi scordato di non essere a Yuusari.
Arrivarono a casa con le mani sporche e facendo più rumore del necessario.
«Siamo tornati!» fece Lag, trasportando con difficoltà alcuni dei sacchetti in direzione di quella stanza che doveva essere la cucina. Poi la sua presenza fu risucchiata dalla casa, e Zazie non seppe più dove potesse trovarsi il suo amico.
Sua madre lo tolse dall’inghippo di decidere cosa fare della sua vita. Con un «Zacchan, dammi.» parte della spesa che teneva in mano gli sparì dalle mani, e lui ebbe una guida che lo portasse fino all’angolo di cottura.
La cucina era fatta interamente di coccio, ad eccezione ovviamente dei fornelli. Era capitato spesso a Zazie – per via delle consegne, oppure semplicemente quando era andato a trovare un amico – di entrare in una casa non sua e d’incappare nel suo odore tipico – perché tutte le abitazioni ne hanno uno, anche se chi ci vive non lo avverte più –, nel disordine o nella sporcizia generale, che, per quanto potessero sembrare casuali, dettavano la natura di chi abitava quell’ambiente tanto quanto assaggiare il cibo preparato da quella persona particolare. Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino.4 Ed era molto strano ritrovarsi a classificare gli odori e gli stimoli visivi dell’abitazione sua e dei suoi genitori per la prima volta.
Molto strano e molto inquietante, a dir il vero, perché man mano che usciva dalla cucina e s’inoltrava nel lungo corridoio, scalandolo passo per passo, riusciva a rendersi conto che tutto quello gli era familiare. Già non avvertiva più l’odore tipico della casa. Quasi riconosceva le stanze.
Dio, dio, che mi sta succedendo?  Pensò, cercando di esiliare il panico che lo stava attanagliando in qualche parte del suo organismo dove potesse non essere udito. Perché rivedeva il rivestimento in qualche zona nella sua mente, e riconosceva le decorazioni, e un poco i mobili, e non sapeva il perché.
«Zazie,»
In qualche modo, ogni volta che si perdeva nelle sue elucubrazioni era sempre Lag a riportarlo alla realtà.
Il suo compare sorrideva. «Che combini?»
Zazie si bagnò le labbra. L’altro seguì quel movimento con gli occhi.
«Hai presente quando ti sembra di rivedere un posto per la prima volta?»
Lag lo studiò. «Sì»
«Più o meno il caso è questo»
«Beh, può capitare» Lag mise da parte la questione con un semplice sorriso.
«Suppongo di sì»
«Non credo dipenda dalla botta in testa di ieri sera» disse il suo amico con aria concentrata. Poi lo prese per i polsi, conducendolo verso il divano in una delle stanze – un salottino; Zazie se lo ricordava. Ricordare? Com’è possibile? «Però se vuoi posso aiutarti»
«Ehm; non ho idea del modo»
«Posso aiutarti a ricapitolare quello che stavi facendo negli scorsi giorni, se non lo ricordi… Zia Sabrina mi ha parlato dell’esistenza di una memoria selettiva-»
«Davvero non credo che mi sarà d’aiuto, Lag»
La fronte dell’altro si aggrottò. Fu con un poco di fastidio e di… timore di essere… rifiutato? Che il suo amico ricominciò a parlargli, lentamente e scegliendo le parole. «Zaj. Ne abbiamo già parlato, non devi avere nessuna ritrosia nel chiedere aiuto, se ne hai bisogno. E io sono qui con te»
Accompagnò l’ultima frase con il semplice gesto di accarezzargli lentamente la guancia a palmo pieno. Zazie si ritrovò a provare calore sul viso e in posti che avrebbe preferito evitare di risvegliare davanti a Lag. Il suo corpo era diventato rigido, e quasi lo sentiva tremare; il classico tremore di quando non si sa che fare o come muovere i propri arti.
Il pollice di Lag si soffermò sotto le sue occhiaie.
«Tutto bene?» gli chiese, facendo nuovamente incontrare gli estremi delle sue bianche sopracciglia.
Zazie prese l’altra mano dell’amico, quella che Lag aveva lasciato abbandonata al suo fianco. Le sue dita gli sfioravano il polso.
Pensò all’assurda possibilità che tutto quello fosse reale, che Lag fosse veramente lì come fisicamente sembrava, che quella fosse veramente la sua accogliente casa e che i suoi genitori fossero davvero ancora vivi. Che solo Connor fosse un Letter Bee, che le vie di Victorus Hagu e il cuore di Lag e dei suoi genitori gli appartenessero. Per un attimo, abbracciò l’idea, e si ritrovò quasi naturalmente ad abbassare le spalle e a rilassarsi. Accarezzò la pelle di Lag. Sì, non si poteva dire un sogno. La consistenza delle sue mani era reale, come il calore che poteva sentire provenire attraverso di esse. E Lag era proprio davanti a lui, era una presenza indubitabile. Anche chiudendo gli occhi, l’avrebbe avvertito lì affianco a sé.
Quando espirò, l’aria che buttò fuori sembrò contenere tutto il peso del mondo.
«Sto benissimo»
Lag gli raccontò esattamente cos’avevano fatto i giorni precedenti, e quello che, a detta di Heather Winters, Zazie aveva combinato il giorno dell’incidente in cantina. Zazie si ritrovò a ricordare quasi tutto.
 
**
 
Le macchine attaccate al corpo di Zazie impazzirono.
Lag, che stava al suo fianco, saltò sulla sedia, e la dottoressa specializzata in misture d’erbe smise subito di parlare con Moc Sullivan, precipitandosi al capezzale del ragazzo.
«Presto! Non ci rimane più molto tempo»
Connor riprese a schiacciare furiosamente le bacche datogli da Thunderland. Il suddetto aggiunse: «È meglio per noi preparare il veleno più velocemente»
 
 




2= “L’ultima spiaggia” (On the beach), romanzo post-apocalittico di Nevil Shute, reso poi film due volte, la prima nel 1959 e la seconda nel 2000.
3= Non ricordo il suo nome, ma questo personaggio l’ho preso da un paio di episodi filler dell’anime.
4= “Dalla conchiglia si può capire il mollusco, dalla casa l’inquilino” è una frase di Victor Hugo.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Parte Terza ***


Parole terzo capitolo: 6294 (fdp)
Note: Dovete pensare che il Zazie della dimensione alternativa (che questo mondo sia il frutto dell’immaginazione di Zazie o no ancora non si sa e intendo lasciarlo vago fino alla fine) è una versione ugualmente sospettosa ma più felice del Zazie che conosciamo. Quindi il suo comportamento diverso verrà notato anche dalle persone che lo circondano e in questo capitolo ci sarà qualche scambio in più.
Al contrario, il Lag della dimensione alternativa è più spigliato per quanto riguarda il suo rapporto con Zazie (stanno insieme da anni). E il fatto che entrambi abbiano diversi anni in più rispetto a quanti ne hanno ora nel manga ricade un po’ sulla questione IC.
In questo capitolo: Zazie non è abbastanza nel panico riguardo all’intera situazione e parla con sua madre, Lag cerca una soluzione e decide di mettersi in pericolo.
Informazioni di servizio: Questo è il mio primo tentativo serio di una Long. L’aggiornamento non sta procedendo in maniera molto seria e per ciò mi scuso.
Questo capitolo è lungo il doppio degli altri e non so bene come sia successo, ma non ho voluto separarlo in due parti. Il prossimo dovrebbe essere l’ultimo.
 
 



 

Parte III
 
Until I die I’ll sing these songs
On the shores of Babylon
Still looking for a home

In a world where I belong
 
 

Zazie, a piedi scalzi, si annodò l’accappatoio e attraversò l’ampio tappeto grigio che portava fino alla cucina.
Fare una doccia lo aiutava sempre a darsi una calmata, a rimettere insieme i pensieri. Avrebbe dovuto avere paura di quella sensazione d’incertezza che lo pervadeva – quello che viveva era vero? Era forse pazzo? Aveva sognato un’altra vita con Lag e Connor ma senza i suoi genitori e ora era tornato alla realtà? O era quello il sogno? –, ma dopo che Lag gli aveva preso le mani e l’aveva condotto sul divano per parlare, il suo spirito aveva potuto godere di una momentanea calma, e ora ci si trovava completamente immerso. Aveva persino considerato la possibilità d’essere entrato in coma, e di trovarsi quindi in un sogno particolarmente vivido per via della condizione del suo corpo “vero”. Ma nessun sogno sarebbe stato capace d’essere tanto realistico. E se neppure l’aver pensato a un’alternativa del genere lo aveva riempito d’ansia e terrore, quella calma che sentiva non era una cosa buona.
Arrivò in cucina strascicando i piedi. Sua madre lo guardò.
«Mettiti delle ciabatte, che stai lasciando una striscia di bagnato a terra»
«Non le ho trovate in bagno»
«Allora saranno in camera tua»
«No» disse, piccato.
«Le avrà prese Wasiolka. Dio, giuro che se fossimo stati più severi con lei ora non sarebbe così viziata. Non si è mai sentito di una pantera che vive dentro una casa. Non è un gattino»
In teoria sua madre stava sgridando Wasiolka, ma lo faceva con un tono talmente affettuoso da non essere credibile. Mentre diceva questo, trafficava con i tegami della cucina creando un gran trambusto.
«E che ci farebbe Wasiolka con le mie ciabatte?»
«Non saprei, quello che ci fa di solito suppongo. Da quando sono sparite? Stamattina, no? A quest’ora saranno tutte mangiucchiate allora. Guarda se le riesci a trovare nel suo nascondiglio in giardino»
Una pausa. «Wasiolka ha un nascondiglio in giardino?» Quello che intendeva dire era: Abbiamo un giardino?
Il volto di sua madre spuntò dalla porta di uno scomparto della credenza di legno. «Pensavo sinceramente che ti fosse già andata via l’amnesia. Mi dispiace» Venne verso di lui e gli toccò le braccia.
«Non ti preoccupare, mamma» Tremò inaspettatamente. Era la prima volta che la chiamava così. «Sto ricominciando a ricordare velocemente» Era vero.
«Cosa ricordi?»
Zazie si prese un attimo. Ci potevano essere due interpretazioni a quella domanda e lui aveva freddo, stretto in quell’accappatoio che gli stava piccolo. Poteva scegliere di scappare. Si sedette.
«La casa. Per il resto è tutto diverso: ricordo che sono un Letter Bee e lavoro a Yuusari Central con Lag e Connor, e che la mia dingo è Wasiolka»
Vide sua madre sedersi accanto a lui, corrucciata. Probabilmente, con la stessa confusione che Zazie provava verso quel mondo, lei si stava chiedendo cosa fosse un dingo.
«Zaz… Non potrebbe essere qualcosa che hai sognato?»
Abbassò lo sguardo e fece un movimento di diniego con la testa. «…è troppo radicato»
«Me ne vuoi parlare?»
Per un attimo si rese conto di quello che aveva appena detto e gli prese il panico. Cosa diavolo aveva fatto? Perché non era fuggito?
Sua madre non aspettò oltre una sua risposta. «Quanto è grave la tua amnesia? Cos’è che non ricordi di qui?» Il suo tono era preoccupato, e l’espressione tradiva la sua ansia e la sua concentrazione. Quando lei gli toccò un braccio che aveva lasciato scoperto, la sua mano era morbida e calda. Zazie non aveva mai provato i sentimenti che sentiva per quella donna prima d’ora.
Sarebbe dovuto scappare prima e non dirle nulla.
«Mi vado a cambiare» disse spiccio, staccandosi dalla sua mano e andandosene dalla stanza.
Gli parve di sentire sua madre protestare, ma fu al secondo piano e nella sua stanza prima di poter decidere d’aver udito alcunché.
 
**
 
Lag lo trovò sdraiato sul letto, mezzo nudo e con ancora l’accappatoio – che era aperto –, a far rimbalzare una palla di Wasiolka contro al muro.
«Tutto bene?»
Era entrato velocemente, senza farsi problemi, prendendosi giusto il tempo per chiudere appena la porta dietro di sé. Zazie saltò su e si chiuse in fretta e furia l’accappatoio.
«Perché me lo chiedi?» borbottò, un tantino scosso.
Lag scrollò le spalle. «Avevi un’espressione tutta seriosa in volto»
«Non è vero»
Lag alzò le sopracciglia. Zazie si scansò da dove stava seduto, lasciando dello spazio sul letto perché il suo amico si mettesse accanto a lui. Un’ala dell’accappatoio gli pendeva sulla fine della pancia, lasciando scoperto il suo petto. Lag sembrava completamente a suo agio a stare in una stanza con lui in semi-nudità – Zazie invece non lo era affatto, a suo agio – e l’unico segno che dava d’averla notata erano le occhiate sfuggenti che rifilava alle sue gambe e al suo petto. Erano occhiate semplici, che si prendevano il loro tempo. Era come se a Lag piacesse guardarlo.
Seeing gli si sedette accanto.
«Dovremmo farci un viaggio, tra un paio di mesi. Mi piacerebbe tornare a visitare il porto»
«Yodaka è piena di Gaichu»
Lag alzò le spalle. «Ci porteremo Connor con noi. Possiamo passare dalla sua ragazza a Lament, farebbe piacere a entrambi» Poi sorrise. «Ho ancora la vecchia pistola sparacuore di Goos, a casa; sto diventando abbastanza bravo a usarla. Sì, insomma, me la cavo» Lo guardò. «Dovresti davvero provarci anche tu, ogni tanto. So che impareresti in fretta»
Non hai idea di quanto, pensò Zazie.
«Meglio di no, bisogna stare molto attenti con quei cosi. Potresti perdere tutto il Cuore»
«Potremmo anche andare a Yuusari a fare visita a Sylvette e a vedere l’Alveare con Connor»
«Ma insomma, Yodaka o Yuusari?»
Lag rise, e anche Zazie a sentire quella risata che conosceva bene si sciolse un po’. Di solito Lag rideva quando giocava per terra con Niche, o quando loro tre si ritrovavano a mangiare da Sylvette e si divertivano molto – c’era stata quella sensazionale serata in cui Lag gli aveva mimato la sua avventura con Jiggy Pepper e dopo una battuta di Connor aveva cominciato a ridere moltissimo. Poche volte aveva sentito quel suono quando erano loro due da soli. Ma, dopotutto, di solito in quelle situazioni parlavano sempre con tono serio delle missioni o dei rispettivi crucci. Dopo la morte di sua madre Lag sembrava essere diventato una persona diversa, ancor più pronto a spendere tutte le energie e il Cuore per aiutare Amberground a prosperare. Questo Lag era simile, ma diverso. Gli sembrava come se in quella realtà entrambi avessero più tempo da dedicare all’altro.
Chissà cos’avevano fatto insieme. Cosa si era perso dei divertimenti e delle chiacchierate con Lag e Connor? Il tempo che aveva avuto con i suoi genitori, se l’era perso tutto. Eppure le memorie di quel posto gli stavano tornando, e forse avrebbe recuperato un po’ di quei momenti perduti. Se così sarebbe stato, avrebbe significato che quel mondo era reale, e che lui ci aveva veramente vissuto.
Lag si sdraiò e giocò placidamente con un filo del suo accappatoio, rotolandoselo tra le dita. A Zazie venne voglia di mettergli una mano tra i capelli, per saggiare la loro consistenza. Si alzò, cercando dei vestiti.
Nei cassetti e nelle ante dell’unico mobile della sua stanza trovò di tutto, un sacco di oggetti sconosciuti di cui non ricordava nulla. Prese delle mutande a righe e se le infilò velocemente da sotto l’accappatoio, sfilandoselo e lasciandolo cadere poco dopo per indossare una maglia e dei pantaloni. Questi gli andavano lunghi, e il bordo strisciava sul pavimento quando camminava per la stanza. Se li arrotolò.
«Non ho trovato i vestiti di oggi quando sono uscito dalla doccia»
«Sarà stato tuo padre, sai che non gli piace che si lasci la roba in giro»
Lag mosse le gambe su e in giù. «Stasera dormo qui, va bene?»
«Certo» rispose subito Zazie, intento a ripiegare l’accappatoio e metterlo da parte. Aprì la finestra e il rumore tenue della strada si riversò nella sua camera. «Come ti pare»
Poi si rimise accanto a lui, non sapendo bene che fare. Zazie lisciò con la mano un angolo del lenzuolo, leggermente imbarazzato.
«Ti va di controllare con me se le mie ciabatte sono in giardino?»
 
**
 
«Lag,» lo chiamò Aria, gentile. «Lag»
Lag si erse dalla sedia sulla quale era collassato dal sonno quelle che gli sembravano ore prima. Barcollò, spostando il peso da un piede all’altro. Sbatté le palpebre un paio di volte, passandosi una mano sul viso e cercando nel mentre di focalizzare Aria Link, che se ne stava chinata di fronte a lui. Si sentiva la pelle oleosa, e sapeva di puzzare. Quanto tempo aveva dormito su quella sedia scomoda, con la fortissima luce neon del corridoio nascosta dietro alle palpebre?
«Aria-san,» rispose, strofinandosi un occhio come un bambino.
Lei sembrava come in attesa. Gli scostò un capello dal viso, risistemandogli appena il colletto della camicia della sua divisa da ape. «Ci sono novità, Aria-san?»
Lei fece cenno di no con il capo. «Non proprio. È rimasto stabile per tutto questo tempo, lo troverai esattamente com’era dopo l’attacco. Ora un’infermiera è dentro a cambiargli una flebo. Penso che tu possa andare a casa, Lag… ti verrei a chiamare io se ci fosse qualsiasi tipo di problema, o se anche solo Zazie ci desse qualche segno. Devi riposare»
Lag guardò le porte chiuse vicino a lui e poi il bracciolo della sedia.
«Se ha avuto un attacco, significa che sta lottando contro qualcosa. Che non è ancora finita. Dobbiamo aiutarlo»
«Lag, bisogna avere fiducia» gli prese la mano. «La dottoressa questo pomeriggio avrà pronto il veleno. Dobbiamo essere pazienti però. Sono le quattro, hai tutto il tempo per tornare a casa e dormire. Non appena avremo il veleno ti verrò a chiamare»
«Preferisco rimanere qui»
Aria continuò a guardarlo. «D’accordo» disse infine, e lo lasciò lì, a fare i conti con la sua sonnolenza, il suo corpo sporco e la sua mente, che andava a mille.
Si costrinse ad alzarsi. Si stiracchiò, si lisciò le mani sui pantaloni e poi fece un passo verso la porta, dietro la quale Zazie dormiva. La socchiuse, sentendo il respiro debole e regolare del proprio amico. Non c’era nessun altro oltre a lui all’interno della stanza, che il dottor Thunderland, Aria Link o chi per loro avevano lasciato nella penombra. Si guardò indietro, sentendo la voce della dottoressa cieca provenire da una zona lontana del corridoio. Chissà che effetto avrebbe fatto su Zazie l’intruglio che aveva deciso di preparare. Voleva che succedesse presto qualcosa, che si facesse qualcosa di concreto per aiutarlo, e allo stesso tempo non desiderava assistere alla scena.
Provò a passare oltre la soglia della stanza. Non ci riuscì. Continuava a rivolgere la sua attenzione all’illuminato corridoio. Riprovò a entrare e un magone gli prese la gola e il petto. Si fece spazio nella camera con passi pesantissimi.
Era in preda al terrore. Questo lo sorprese, non capendo come individuare una causa specifica da incolpare per quel particolare sentimento tra i tanti fattori che componevano il fatto che un Gaichu aveva – e forse stava tuttora – mangiando il cuore a Zazie.
Era questo allora quello che provavano i parenti delle- vittime?
Si trattava di questi sentimenti orribili quelli che aveva visto assalire Zazie nei ricordi che lo vedevano aspettare senza piangere la morte dei signori Winters? Una volta il suo amico gli aveva raccontato di come si fosse sempre sentito un randagio, per tutta la sua vita, e come, col tempo, avesse imparato a fidarsi ciecamente di lui e Connor. Raramente Zazie rivelava qualcosa di sé verbalmente. Le uniche occasioni in cui lo faceva erano quelle in cui capiva che a Lag serviva una motivazione, delle parole che lo scuotessero e lo svegliassero. Non era l’unico amico a prendersi quest’incarico nei momenti appropriati, ma sapere che se si fosse trovato nei guai Zazie sarebbe sempre accorso ad aiutarlo lo aveva sempre rassicurato in particolar modo.
Quando era morto il Gaichu che aveva ucciso i genitori di Zazie, Lag e Connor avevano avuto modo di vedere i ricordi del loro amico, e così quel discorso sull’essere un randagio che Zazie gli avrebbe fatto successivamente Lag l’aveva potuto indovinare già da allora. Al momento era insopportabile pensare di avere davanti il suo amico in quello stato e non poterci fare niente. Loro tre tenevano l’uno all’altro, eppure ora lui e Connor erano perfettamente inutili.
Si fece forza e si avvicinò di più all’altro Letter Bee. Ormai era sdraiato su quel letto da quella mattina. Lo avevano spogliato della sua divisa e gli avevano messo addosso una camicia dell’ospedale. La sua carnagione, normalmente più olivastra di quella bianchissima di Lag, si era fatta pallida e stavano spuntando grosse occhiaie. Zazie era ancora vivo ma era difficile percepirne la presenza. Questo fece ricordare a Lag la prima volta che aveva visto un cadavere, la certezza che lo aveva colto del fatto che il corpo di quella persona fosse lì ma che la cosa più importante di lui mancasse completamente. Questo gli fece venire un’idea. Tornò fuori e guardò tra le sue cose, velocemente. Tempo di tirare fuori dalla sua borsa la pistola sparacuore e fu di nuovo accanto a Zazie.
Prese un respiro profondo e sparò. A ogni Akabari ripeteva tra sé e sé il nome di Zazie, come quando aveva tentato di far tornare i ricordi a Goos facendogli passare attraverso il petto i propri.
Se il suo amico stava perdendo il Cuore, allora forse l’unico modo per rallentare il processo era dargli il proprio.
Zazie, Zazie, Zazie…
 
**
 
«Wasiolka? Dove sei, bella?»
Lag stava chiamando a gran voce la sua pantera allo stesso modo che avrebbe usato per chiamare a sé un gatto. Fu abbastanza sorpreso quando da un cespuglio saltò fuori proprio Wasiolka, che andò incontro a Seeing, buttandoglisi addosso e leccandolo qua e là.
«Potrei diventare davvero geloso» disse loro, riferendosi un po’ a Wasiolka e un po’ a Lag. Il suo amico rise.
Il giardino che stava dietro casa dei suoi genitori era davvero un luogo piacevole dove stare. Qualcuno aveva attaccato al muretto dei frammenti di uno specchio, creando così l’immagine di un sole. I fiori si mischiavano alle erbacce, dando l’idea di un posto che nessuno era mai riuscito sul serio ad addomesticare. C’erano delle api che si concentravano su una parte del prato piena di fiorellini selvatici. Zazie fece qualche passo verso dove era spuntata la sua pantera e ne trovò la cuccia. Le sue ciabatte erano una lì e un’altra in mezzo al terriccio, inutilizzabili.
«E ti pareva»
«Hai trovato le infradito?»
«Sì! Ne dovrò fare senza, mi sa»
Lag rise ancora, poi parlò a Wasiolka. «Me lo aspettavo, fortuna che non ti sono mai interessate le mie cose»
«È perché le piaci» fece Zazie. «E perché ti considera un ospite. Ogni tanto non mi dispiacerebbe essere un ospite in casa mia»
L’altro lo guardò.
«Sono contento»
«Di che?»
«Anni fa ti consideravi ancora un ospite a casa dei signori Winters»
«Sono i miei genitori»
«È quello che ti dico da quando ci siamo conosciuti»
Le sopracciglia sottili di Zazie s’incontrarono a metà strada. «E io che ti rispondevo?»
«Che anche se lavori con loro e vivi nella casa in cui ti ha partorito tua mamma da quando avevi undici anni, Undercurrent è sempre a dodici chilometri di distanza» Fece un piccolo sorriso. «Ero sicuro che non ti sentissi più così, ma è da un po’ che non ne parliamo»
«Quindi… Io sono stato comunque abbandonato»
Fu il turno di Lag di accigliarsi. «Sì. Ma è successo tanto tempo fa»
«E sono finito comunque all’orfanotrofio di Undercurrent»
«Gestito da quella signora pazza. Poi i tuoi sono tornati a prenderti quando avevi dieci anni»
Zazie rimase in silenzio.
«Zazie? È-è ancora quella perdita di memoria che hai avuto? Come ti senti?»
«Sto bene, sto bene» Era strano. Fino a quel momento una parte di lui aveva pensato che in quel mondo tutto fosse come lui aveva sempre desiderato, ma l’essere cresciuto come un randagio non rientrava in quel quadro.
«I miei hanno ancora la casa in cui sono nato» Si limitò a dire.
Lag annuì. «Sì, hanno faticato molto per tenerla»
Guardò di nuovo il suo amico negli occhi. «Scusa, penso sia ancora la botta in testa. Ogni tanto mi scordo le cose, poi torno in me. Non ti devi preoccupare»
Lag si alzò, lasciando perdere Wasiolka, e lo prese per mano. Prima che potesse dire qualcosa, Zazie distolse lo sguardo. «Vieni, mi sa che stanno ormai preparando la cena»
Quando entrarono in cucina, trovarono Heater Winters che stava sventolando un ventaglio in direzione del marito. Harrel era tutto impegnato a cucinare, chino sui fornelli, mentre sua madre stava leggendo distrattamente una pagina di un giornale che teneva con la mano non impegnata, in piedi.
Zazie fu sorpreso di vedere che la tavola era già stata apparecchiata per quattro.
«Avete già preparato un posto per Lag»
«Certo, caro. Non si ferma anche stasera?»
«Sì, sì»
«Sissignora, grazie per aver pensato a me!» disse educatamente il suo amico, sciogliendo le loro mani intrecciate per aiutare a mettere i tovaglioli. Zazie si guardò per un attimo la sua mano vuota.
«Vado un attimo in bagno» fece, congedandosi in fretta.
Lì si lavò le mani e la faccia in modo veloce, passandosi una mano bagnata tra i capelli e guardandosi allo specchio. Si stava abituando alla situazione. Stava recuperando ricordi. E non poteva dire che tutto quello non fosse piacevole, avere una casa calda in cui tornare, con Wasiolka felice, i suoi genitori vivi e… Lag. Poteva essere che davvero quella capocciata gli aveva procurato una perdita di memoria e dei sogni particolarmente vividi? Non era forse incredibilmente reale quello che stava vivendo? Sorrise appena a se stesso, stordito.
Poi sentì una fitta potente al cuore. E un’altra. Poi un’altra ancora. Pensò a un infarto. Trattenne il respiro, stringendo i bordi del lavandino e aspettando che passasse, che gli tornasse l’ossigeno nei polmoni, che quei colpi atroci cessassero. Durò un minuto, poi più nulla. Recuperò fiato a fatica, asciugandosi il sudore freddo dalla fronte. Era una fortuna che quello non fosse successo davanti ai suoi genitori e a Lag, o si sarebbero preoccupati.
Turbato, setacciò il proprio corpo per controllare che il battito fosse tornato normale. Poi si rimise in ordine e tornò in sala da pranzo.
 
**
 
«Cosa. Stai. Facendo?!»
La voce del dottor Thunderland lo sorprese per la sua forza. Lag sobbalzò, facendo rimbalzare l’ultimo proiettile del Cuore sul fondo della camera.
«Non possiamo lasciarlo morire! Sta già meglio, ha ripreso colore!»
Aaron Thunderland junior lo prese per le spalle, urlando. «E per quanto riguarda te? Vuoi usare tutto il tuo Cuore?! Sai almeno che tipo di trattamento gli stiamo facendo ora?!»
«No, signore»
Il dottore sembrò calmarsi, allentando la presa. «La tua non era una brutta idea, ma cerca di non fare nient’altro di avventato, Seeing. I semi che gli abbiamo dato per stabilizzarlo servono a prepararlo per il veleno, e non possiamo alterare il suo stato con la tua Akabari; mi hai capito, ragazzo?»
Intanto il Cuore che aveva versato tramite la sua pistola dava i segni della sua esistenza spargendo ricordi per la stanza, ricoprendola di stelle bianche e d’immagini sfocate. Con la coda dell’occhio riconobbe il volto di Zazie mentre gli diceva di andare avanti nell’impresa di provare a recuperare Goos. L’aveva un po’ odiato quando aveva aggiunto “e se così non sarà ci penserò io, lo farò a mille pezzi con la mia Aotoge!”, ma l’abbraccio che era venuto dopo era stato esattamente quello di cui aveva avuto bisogno.
Non poteva lasciar morire il suo amico.
«Cosa posso fare?»
«Per ora, niente» Il dottore sospirò. «Se proprio non vuoi andarti a riposare c’è la doccia dei dirigenti, al terzo piano. Eccoti le chiavi» Gliele diede. «Ti schiarirà le idee. E poi sei un adolescente da un po’ di anni, ora, Lag Seeing, dovresti sapere che il tuo odore non diventa dei migliori dopo due giorni passati a correre e a dormire su una sedia o tra le rocce»
Lag arrossì. «Grazie, signore»
Quando uscì dalla stanza non poté fare a meno di guardarsi indietro, in direzione di Zazie. Poi raggruppò le sue cose e si diresse al piano superiore.
Lo faceva sentire un po’ solo non essere in compagnia di Niche, con Connor che chissà dove si trovava e l’emergenza-Zazie al piano di sotto.
Le docce del personale in carica erano tutte di marmo. Raggruppati in un angolo c’erano asciugamani di diversi colori, e vicino alla vasca una scelta abbastanza cospicua di saponi per il corpo e per la testa.
Lag si spogliò e prese un bel respiro. La vasca lo tentava, ma sarebbe stato molto più breve farsi una doccia. Voleva tornare giù il prima possibile. Dopo aver scelto la doccia, aprì l’acqua e aspettò che si facesse della temperatura giusta.
Ogni tanto quando si svegliava gli capitava di avere una piccola erezione, ed erano i momenti in cui risultava problematico vivere con una ragazza, perché mai avrebbe voluto che Sylvette capisse o si trovasse nella situazione di sapere dei suoi problemi mattutini. Quando non aveva tempo risolveva facendosi una doccia fredda, e quando invece Sylvette, Niche e Steak erano fuori si prendeva cura di sé a letto, facendo in modo di non sporcare nulla. La prima volta che era successo aveva dodici anni e mezzo, ed era stato molto imbarazzante. Col passare del tempo era diventato normale e naturale.
Avrebbe potuto avere una mezza erezione anche in quella situazione, ma fortunatamente tutto quello che stava accadendo faceva in modo che lui fosse tutto tranne che eccitato. Una volta, mentre si massaggiava, la sua mente era persino volata verso il sorriso storto di Zazie. Era riuscito ad evitare che il pensiero andasse oltre, e aveva dato la colpa agli ormoni in subbuglio. Poi, dopo che sua madre era morta, per mesi non era riuscito a provare altro che stanchezza, e non si era dovuto più preoccupare che i suoi pensieri volassero troppo perché le sue fantasie erano diventate molto più sistematiche, popolate da persone senza volto. Era stato il periodo in cui si era sentito più solo, e senza la volontà di integrare gli altri nelle cose che faceva, persino nelle sue immagini mentali.
Si sciacquò via il sapone prendendosi il suo tempo, provando a rilassare i muscoli.
Che poteva fare per aiutare Zazie, oltre che aspettare di vedere se il veleno avrebbe dato qualche risultato positivo?
Chissà dov’era la mente di Zazie, in quel momento. Aveva modo di scoprirlo, in qualche modo? Di riuscire a fare tornare il Cuore di Zazie alla loro realtà, a sé?
Certi pensieri sono delle preghiere. Ci sono momenti in cui, qualunque sia l'atteggiamento del corpo, l'anima è in ginocchio.5
Con queste domande uscì fuori dalla doccia sgocciolando, sperando di trovare di nuovo Connor o qualcun altro ad aspettarlo dal dottor Thunderland.
 
**
 
Tornato in sala da pranzo, si sedette accanto a Lag. Suo padre ormai aveva finito di cucinare, e mise presto sulla tavola una pentola piena.
«Spezzatino di pollo» disse, fiero.
«Almeno non è la zuppa ultraschifosa» disse Zazie, rendendosi conto solo dopo aver pronunciato questa frase di non sapere a quale sfilza di ricordi apparteneva quella parola. A quelli in cui i suoi genitori erano vivi o a quello in cui Lag viveva a Yuusari con Niche e la sorella di Goos?
«Direi proprio di no!» rise forte Lag.
Zazie si tranquillizzò. La zuppa ultraschifosa apparteneva a quel mondo.
Poi, vedendo che i signori Winters non capivano, Lag fornì al gruppo una spiegazione. «Goos-san va pazzo per una minestra che gli prepara sempre Sylvette-san a Yuusari Central; Zazie l’ha mangiata con me la volta che mi ha accompagnato da loro…»
«Ah, il tuo amico Letter Bee, Lag-chan!»
«Che lavoro duro il suo…»
«Sì, sì» annuì Lag. «I Letter Bee sono fantastici»
«Come mai non sei diventato un’ape operaia anche tu?» gli chiese schiettamente Zazie, incuriosito.
«No, no… Ne abbiamo già parlato, non ho ragioni per allontanarmi dalla zia Sabrina. E poi tu resteresti qui»
«Non è detto, potrei venire con te. Potrei diventare anch’io un Letter Bee se tu volessi compagnia»
Quindi Lag si tratteneva da seguire quello che – a Zazie sembrava di ricordare – era il suo sogno anche per non lasciarlo a Victorus Hagu. Che strana idea. Dopo aver pensato questo, si rese conto che gli occhi dei suoi genitori erano puntati verso di lui.
«Non puoi, ci sono i tuoi genitori qui, no? E io ho la zia Sabrina» gli fece Lag, inclinando leggermente il capo come a voler sottintendere qualcosa a denti stretti.
«Ma anche Connor ha i suoi parenti qui vicino, e non è fuori casa così spesso, giusto?»
Sua madre tossì. «Quello che intende dire Lag-chan penso sia che- beh» Tossì nuovamente. «Abbiamo avuto così poco tempo per conoscerci, e per essere una famiglia, e allora sarebbe meglio sfruttare quest’occasione finché è tra le nostre mani. Ho provato il più possibile a fare di ogni anno e ogni momento un tesoro, Zacchan, davvero ci abbiamo provato. Forse a volte ti siamo stati troppo addosso-»
«Tesoro…» la interruppe il marito, prendendole una mano.
«-ma le nostre intenzioni erano sempre buone, erano quelle di poter passare del tempo con il nostro bambino. Aspetta, Harrel, sto cercando di dire una cosa importante. Ora, Zacchan, non so dove tu abbia preso quest’idea-»
A questo punto Zazie non sapeva se essere confuso, irritato o sentirsi profondamente in colpa.
«-ma se vuoi davvero perseguirla noi siamo dalla tua parte, saremo sempre dalla tua parte. Solo… magari un lavoro che ti faccia stare meno lontano da casa e che sia meno pericoloso sarebbe meglio, no? Ma se vuoi restare con Lag… Sei quasi un uomo ormai, un ragazzo sveglio. Ti chiedo solo di pensarci un po’ più a lungo.»
Harrel strinse nuovamente la mano della moglie. Ci fu un silenzio pesante.
«Ora che ci penso, sono ormai due anni e mezzo che state insieme, non è vero? Tra un po’ mi aspetto quasi di vedervi invecchiare insieme» disse suo padre ridendo, evidentemente con lo scopo di cambiare argomento.
«Non esageri, signor Winters, è imbarazzante…» ridacchiò Lag rosso in volto, tenendo il gioco.
«Tra un po’ persino il signor Belladonna non baderà più a voi! Ricordo come criticava anche me e la mamma, quando eravamo giovani… non fa così solo con le coppie formate da due persone dello stesso sesso, vedete»
«Il signor Belladonna non cambierà mai!» fece Lag, scherzando ma in modo educato.
Allora avevano avuto problemi per il fatto di essere due ragazzi? Lo sapevano tutti che stavano insieme?
«Come ha scoperto la città di Victorus Hagu che noi due siamo una coppia?» chiese Zazie a Lag, curioso.
«Non ti ricordi?» chiese Lag, mentre suo padre diceva «Ah sì, quella è una storia interessante!»
Con sua sorpresa intervenne Heater, che era rimasta sulle sue fino a quel momento.
«Connor vi scoprì a baciarvi, e nella sua beata innocenza urlò un “finalmente” che si sentì per tutta la piazza principale» disse. «Eravate in una stradina laterale in penombra. Subito tutti i vecchietti pettegoli si sono messi a guardare in quella direzione. Avevate scelto l’angolo del club della bocciofila per nascondervi. Non una buona idea»
«E una delle finestre della casa del signor Belladonna stava proprio sulle vostre teste! Ma che stavate pensando?» Rise Harrel.
«Non pensavamo» Rispose Lag per Zazie, arrossendo dalla punta del mento fino all’inizio della fronte.
«Ah, lo credo bene!»
Dopo che ebbero mangiato e sparecchiato, Zazie si ritrovò a lavare i piatti insieme a Lag.
Se ne stavano in silenzio, quando sua madre gli picchiettò una spalla e gli fece segno di seguirla fuori dalla stanza. «Non voglio insistere…» disse, con il tono di chi sa esattamente di starlo facendo. «…ma quest’idea di fare il Letter Bee ti è venuta da quel sogno che hai fatto e di cui ti ricordi così bene? Non potrebbe avere a che fare con l’amnesia?»
«Forse,» rispose Zazie, sinceramente. Ora sua madre sembrava un gatto corrucciato e preoccupato. «Ma è solo un’idea, mamma»
Lei annuì e se ne andò in direzione del bagno. Zazie tornò da Lag.
«Mi sa che dovreste parlare, devi rassicurarla» disse il suo amico.
«Non è mio compito rassicurare proprio nessuno. Se si vuole fare venire le paranoie è benvenuta»
Lag lo guardò di lato.
«Ché mi guardi così? Sono serio»
«Devi farlo»
Zazie sospirò. «A volte non ti sopporto»
«Lo so»
 
**
 
Lag si rimise la camicia dentro ai pantaloni man mano che scendeva dalla scala, raggiungendo barcollando il piano di sotto.
«Aria-san, dov’è Niche?» chiese subito, non appena arrivò davanti alla stanza dove era ricoverato Zazie.
«L’ho rispedita a casa da Sylvette; si era addormentata accanto a te»
«Capisco»
«Lag, hai usato uno dei bagni?» disse, toccando le sue punte bagnate. Lag annuì, spiegando che era stato Thunderland a comandarglielo, e che ora si sentiva effettivamente meglio.
«Sono contenta»
A quanto pare sul fronte Zazie non c’erano notizie, se non che un collega del dottore, dopo essersi sottoposto a un trattamento simile a quello che avevano usato sul Letter Bee, aveva ingoiato una goccia del veleno del dingo di Moc Sullivan e i risultati non erano stati dei migliori.
Il Bee Sullivan aveva spiegato che di solito il morso del suo serpente rendeva più attivo chi colpiva, ma che da quel che sapeva fino a quel giorno aveva avuto successo solo con lui. E che per quanto fosse un serpente anche velenoso, non aveva mai portato in pericolo di vita nessuno, quindi entrambe le idee di Thunderland probabilmente non avrebbero portato il risultato sperato, né quella di dare una scossa ai neuroni celebrali di Zazie e neppure quella di portarlo vicino alla morte.
Non era colpa del reparto scientifico e medico del Beehive, avere in mano così poche opzioni: quella era una situazione piuttosto particolare.
«Pensiamo di sommistrarglielo a breve»
«Come, glielo vogliono dare comunque?!»
«Finché non verranno nuove idee al dottor Thunderland, è l’unica che abbiamo. Inoltre…» Aria Link sospirò. «Lag, come tuo superiore devo ricordarti il tuo ruolo di direttore del reparto delle Cold Letters, e che hai del lavoro da fare»
«Signorina Aria, mi permetta di organizzare l’archivio da qui, almeno fino a quando non saprò che Zazie sarà fuori pericolo»
«Avrai la mente abbastanza lucida? Non preferisci-?»
«La prego»
Aria annuì. «D’accordo, allora»
Lag ragionò. Se avessero fatto mordere davvero Zazie dal dingo di Sullivan, alla meglio si sarebbe svegliato grazie all’adrenalina contenuta nel veleno, oppure lo si sarebbe portato prossimo alla morte e allora se tutto sarebbe andato come previsto il suo corpo avrebbe reagito, portandolo fuori dal coma in cui stava. Ma le opzioni erano poste su un filo così sottile e i se erano così tanti che a Lag tutto quello non piaceva per nulla.
Bisognava raggiungere Zazie all’interno della sua mente, tirarlo fuori di lì e riportarlo tra loro, eliminando il processo di perdita del Cuore che gli aveva procurato la puntura del Gaichu. Ovviamente era impossibile da farsi in maniera letterale…
Fu colpito da una folgorazione.
Si piantò di fronte al dottor Thunderland, spiegandogli mezzo balbettante la sua idea. Non era molto, ma magari grazie all’aiuto della “dottoressa degli odori” si poteva fare. Glielo disse. Con sua sorpresa, Aaron Thunderland junior lo prese sul serio.
«È un’idea utopica. Nessuno ha mai fatto qualcosa del genere, entrare nei sogni di un’altra persona è assurdo. Però… Potrebbe esserci qualcosa, effettivamente»
Si rivolsero alla dottoressa, che lasciò la stanza per dirigersi verso il suo studio. Per quel momento l’idea di iniettare il veleno del serpente a Zazie era stata messa da parte.
Lei tornò una diecina di minuti dopo, col fiato che andava veloce e un contenitore di vetro in mano.
«Hai avuto una buona idea, Lag-kun» Presentò loro la Radice dei Sogni, un bulbo che lei e altri scienziati che l’avevano preceduta negli anni avevano mantenuto vivo. «Dovrebbe funzionare e mandare chi ne fa uso in un mondo onirico collegato a quello in cui la persona addormentata vicino al paziente dovrebbe essere. È stata testata solo due altre volte però, vent’anni fa, e punta ai sogni e non al Cuore. Non so se funzionerà»
La dottoressa si appoggiò al suo bastone, togliendosi gli occhiali e mostrando a Lag, Aria e il dottore i suoi occhi ciechi.
«Si può tentare» disse Thunderland, poi il suo sguardo passò a Lag. «In questo caso però sarebbe in pericolo colui che prenderebbe la Radice. E chissà che potrebbe succedere alla mente di Zazie se davvero l’esperimento riuscisse e l’altro penetrasse nei suoi pensieri o nel suo Cuore. Potrebbe risvegliarsi e non essere più lo stesso, subire danni celebrali o non tornare mai del tutto. Non abbiamo mai lavorato con un paziente o del materiale simile fino ad ora»
«Ma pensate a cosa potrebbe portare la riuscita della missione» Disse Aria Link. «A quante persone a cui è stato tolto il Cuore potremmo salvare»
«Zazie potrebbe morire da un momento all’altro se non facciamo qualcosa» proruppe Connor dalla porta. Lag sobbalzò: non l’aveva sentito arrivare. «Per me questo è tutto quello che c’è da sapere. Se volete lo farò io»
Thunderland stava già annuendo tra sé e sé, quando Lag si offrì al suo posto.
«Connor, per te… va bene?»
Connor gli regalò uno dei suoi sorrisoni. «Ma certo, è giusto che lo faccia tu, l’idea è stata tua. Fai attenzione, però, e riportaci il nostro amico» Una pausa. «E non perdere te stesso nel tentativo,» aggiunse poi, prendendogli le spalle.
«Sì» disse Lag, e lo abbracciò.
Aria sembrava allo stesso tempo preoccupata e fiera, Thunderland solo preoccupato.
«Fai attenzione, Seeing. Sei molto caro a tante persone»
«Zazie è uno dei miei amici più cari. Spero solo di riuscire a entrare nella sua mente»
Sorrise. «Gli audaci hanno sempre le porte aperte6»
«Non era “La fortuna sorride sempre agli audaci”?» gli chiese Aria.
«Qui ci vorrà un po’ più della semplice fortuna» disse lui sbrigativamente, facendo sedere Lag su una sedia che stava accanto al giaciglio di Zazie. «Sei pronto, Seeing? Prima ti si dovrà fare addormentare con della morfina. Durante il processo ti faremo respirare l’infuso della radice»
«Sono pronto» fece.
Connor gli teneva la mano.
 
**
 
Si svegliò leggermente infreddolito. Si era addormentato fuori dalle coperte, ai piedi del letto e in una posizione strana. Wasiolka non era nella stanza; l’ultima volta che l’aveva vista stava ronfando sul divano, e lui e Lag avevano preferito lasciarla lì. Dopo cena avevano giocato a carte sul letto e avevano parlato. Il suo amico, probabilmente, a un certo punto della notte, si era alzato per spegnere la luce.
Lo raggiunse sotto le coperte, provando a non fare rumore, poi appoggiò i gomiti al lenzuolo e guardò il soffitto.
Stette così per dieci minuti buoni, pensando a tutto e a niente, ascoltando il respiro del suo compagno. A un certo punto, Lag fece leva con il braccio sinistro per alzarsi un poco e si voltò.
«Zazie?»
«Mh-mh?»
«Sei sveglio?»
«Sì»
Al sentire questa risposta si voltò del tutto, guardandolo negli occhi. Infine si accoccolò sul suo petto.
Zazie guardò in giù, verso il suo volto. Poteva sentire il battito del suo cuore? Non avrebbe dovuto andare così veloce, non è vero? Non per una persona che in teoria faceva coppia con un’altra da almeno due anni.
Ma Lag alzò il viso e fraintese, perché gli sorrise e si spinse in su per baciarlo.
Questa volta durò più della prima. Lag gli baciava un labbro alla volta, spingendo il viso contro al suo, e Zazie ricambiava, con l’animo di chi giudica quello un miracolo destinato a sparire presto.
Aveva baciato altre persone prima. Persone con aliti migliori di quello che si poteva avere da appena svegli – e Zazie in quel momento era particolarmente preoccupato per il suo –, oppure persone con l’alito da sigaretta, terribile, ragazze carine e ragazze non così tanto prese da lui, ragazzi gentili e ragazzi cicciottelli. Col tempo aveva imparato un paio di trucchi per capire se un’altra persona potesse essere interessata e se il luogo in cui stavano era sicuro per stare insieme da qualche parte anche se erano persone dello stesso sesso. Altro però non aveva compreso, perché sinceramente non pensava d’essere tanto bravo in questioni d’amore – o d’incontri, comunque – e di solito non rivedeva la persona con cui era stato se non una o due altre volte massimo. Era qualcosa che per ora gli era capitata solo in missione, e comunque non sapeva se mai avrebbe voluto legarsi a qualcuno.
Restava sempre attratto da Lag, ma non si permetteva mai di soffrirci al punto di giudicare il suo un amore non corrisposto – o almeno, ci provava – e conservava la loro amicizia come fosse oro. Non poteva permettersi di perdere lui e Connor, quindi con Lag non ci aveva mai provato davvero. E poi aveva sempre pensato che se ci fosse qualcuno che potesse piacere a Lag, questi sarebbe stata Sylvette o, chissà, Niche, se un giorno avesse preso ufficialmente la sua forma cresciuta.
Baciare qualcuno che si aveva desiderato a lungo comunque era diverso, e il fatto che fosse Lag era assurdo, stranissimo, fenomenale.
Lag si alzò a sedere, senza mai staccarsi, portando anche lui a fare la stessa cosa, e Zazie si azzardò a mettergli una mano dietro la nuca e l’altra sulla guancia, per poterlo baciare meglio.
Poi Lag lo lasciò, e con un «Posso continuare?», dopo aver aspettato che il suo compagno annuisse, passò al collo. Intanto con una mano gli massaggiava la schiena, scendendo più giù. Zazie lo cinse con un braccio, ancora un po’ frastornato, e fece in modo che il suo amico riprendesse a baciargli la bocca.
 




 
5= “Certi pensieri sono delle preghiere. Ci sono momenti in cui, qualunque sia l'atteggiamento del corpo, l'anima è in ginocchio.” Victor Hugo
6= “Gli audaci hanno sempre le porte aperte” è una frase tratta da Il Sosia di Dostoevsky.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2839034