A Few Yards From the Love

di Ermal
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** First Down: Incontro ***
Capitolo 3: *** Second Down: Prova ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dunque dunque bella gente!

So di essere sommersa dagli impegni e dalle fanfic, ma questa veramente mi ha ossessionato per un mese intero, e alla fine non ho potuto non scriverla. *w*

La domanda è molto semplice: cosa sarebbe accaduto se Sena non si fosse iscritto alla Deimon, ma all'Ojou? *-*

Pairings: ShinxSena, TakamixSakuraba.

WARNING: YAOI, e annuncio fin da subito che ben presto il raiting si alzerà bruscamente per presenza di esplicite scene lemon. Quindi chi si sente offeso dalle coppie o dalle tematiche omoerotiche, clicchi sulla X rossa in alto a destra e si levi dalle scatole. ^w^

A chi resta, buona lettura! ^3^





A few yards from the love


Prologo







Era mattina e i ciliegi, meraviglioso spettacolo di grazia e bellezza, davano con le loro chiome fiorite uno strano aspetto esotico a quella prestigiosa scuola simile ad una cattedrale gotica. La pietra grigia come ammorbidita dai soffici petali dei fiori degli alberi, l'aspetto austero, eppure di un'impressionante magnificenza, reso quasi accogliente.

Kobayakawa Sena ebbe quest'impressione solo per un momento, prima di sentirsi definitivamente schiacciato dalla mole di quella scuola incredibile, e non solo dalla mole delle sue guglie altissime, ma anche e soprattutto dalla sua fama di istituto di altissimo livello, ed estremamente, mortalmente selettivo nelle sue ammissioni.

Ojou Private Senior Hight School. E già il nome non era incoraggiante.

E Sena entrò dai cancelli altissimi in ferro battuto con il cuore pesante, l'angoscia della certezza che gli pesava sul capo e rendeva amara la saliva. L'aspettativa era quasi nulla, anche perché, effettivamente quante possibilità c'erano che uno come lui fosse passato e fosse stato ammesso in quella scuola il cui solo nome bastava per far cadere le mandibole degli adulti in delle “O” impressionate?

Nessuna, di certo.

Anche perché Kobayakawa Sena non si sarebbe mai iscritto di propria volontà all'Ojou: era stata sua madre a costringerlo, affermando senza possibilità di replica che non avrebbe accettato nulla di meno da parte del proprio figlio. Eppure sapeva che Sena non era una cima in nessuna materia, e che faceva veramente schifo tanto in inglese (l'arabo sarebbe stato più comprensibile), quanto in matematica.

Ma a casa Kobayakawa la parola di sua madre era incontestabile, e chiedere aiuto a suo padre sarebbe stato tempo perso. In definitiva, a Sena non era rimasto altro che andare al macello da bravo agnellino.

E pur avendo l'assoluta certezza che nemmeno dopo mille anni di studio sarebbe riuscito a superare i test d'ingresso, Sena aveva studiato. Molto, davvero molto, come non aveva mai fatto, come un disperato. Aveva chiesto spudoratamente aiuto a Mamori-nee-san, si era ammazzato sui libri, aveva passato notti in bianco per finire di studiare il programma, prendendosi la testa fra le mani e colpendo il libro con la fronte quando, dopo nove ore di studio, si accorgeva di non essere arrivato a nulla, assolutamente a nulla. Solo occhi rossi per la fatica e per quelle crisi di pianto nervoso che a volte lo coglievano di sera quando la stanchezza era troppa e lui si sentiva sempre più inetto e sempre più incapace.

Non era mai stato bello per Sena sentirsi un buono a niente. Ma quando glielo dicevano gli altri nella vita di tutti i giorni in qualche maniera faceva meno male, perché nonostante l'umiliazione e l'amarezza, Sena concordava con loro e accettava i propri limiti. Ma ritrovarsi faccia a faccia con tutto ciò e capire che quelle persone malevole avevano sempre avuto davvero ragione, e che lui era realmente un incapace buono a niente e che proprio per questo motivo avrebbe finito per deludere tutti, era davvero un'altra cosa. Nessuno aveva mai avuto delle aspettative nei suoi confronti, e se per questo di certo nemmeno fiducia; ecco perché il ritrovarsi a fare i conti con le inaspettate e pesantissime aspettative di sua madre era stato per Sena un vero e proprio shock.

Aspettative, siamo sinceri, solo e soltanto aspettative. La fiducia era per qualcun altro.

Forse era per questo che Sena si era ammazzato di studio senza avere nessuna speranza, ed ora sembrava avanzare verso il patibolo, senza alcuna speranza di vedere il proprio nome fra quello degli ammessi. Conosceva le aspettative, e sapeva di averle deluse, come al solito. Anche perché nessuno aveva mai avuto fiducia in lui, né sua madre, che nonostante tutto gli aveva imposto quel peso, né Mamori-nee-san, che lo aveva aiutato come poteva, ma con la sconfitta già dipinta in faccia, né tanto meno lui stesso.

Cosa ci stava a fare lì fra quei ciliegi in fiore e all'ombra di quelle guglie imponenti, troppo alte per i tappetti incapaci come lui?

Sena non sapeva darsi una risposta, ma sapeva che questo era ciò che gli spettava per aver osato bussare alla porta dei re. Quindi si lasciò trascinare dalla folla di studenti eccitati, fino alla bacheca.

Lì c'era davvero troppa gente, tutti più alti e più grossi di lui, e il fastidioso odore di sudore gli torturava le narici. Un breve ma acuto dolore alle scapole gli annunciò di essersi preso una gomitata. Incapace di fare altro, lasciò che la gente davanti a lui avanzasse e la seguì come un sonnambulo, finché non trovò un varco fra quei corpi accaldati e oltre ad esso una grande bacheca bianca. Sopra di essa c'erano dei numeri neri.

Sena aveva in mano un cartellino e si premurò di guardarlo per sicurezza.

021

Sospirò una volta, poi un'altra per essere sicuro di essere pronto, e poi una terza per accertarsi di non essersi sbagliato. Non era comunque convinto, ma la folla dietro di lui incalzava e non c'era tempo per un quarto respiro. Si alzò sulle punte dei piedi per vedere meglio e scrutò la parte della bacheca per trovare il proprio numero nel posto che meritava: fra i bocciati.

Quando arrivò a metà e ancora non aveva trovato il proprio numero pensò che il destino era veramente crudele a volergli prolungare le sofferenze in quel modo. Quando superò la metà senza aver trovato nulla il dubbio diede una timida bussata alla porta del suo cervello. Quando raggiunse la fine senza aver visto neanche l'ombra di uno 021, non sapeva cosa pensare. Se non di essersi sbagliato. Ripercorse tutta la tabella, una, due, tre volte, ma dello 021 non c'era traccia.

Sena sapeva che ad un passo dalla sua mente la speranza si stava già preparando ad entrare per fare baldoria, scombussolargli tutte le sue aspettative e illuderlo irrimediabilmente, ubriacandolo di sogni, quindi si impose di rimanere lucido, di non concedersi il lusso di nessuna, dolorosa illusione.

Appurato di non essere fra i bocciati, Sena si voltò con gli occhi vitrei verso la parte del tabellone che contava i promossi. Nella prima metà superiore non vide il proprio numero, eppure, stranamente, questo non sembrò scoraggiare la scintilla di fede che ancora si agitata in un angolo della sua testa. All'inizio della seconda metà non trovò nulla, e per un attimo Sena temette di non trovare affatto il proprio numero in quella bacheca, e che forse i suoi risultati erano stati così pessimi da non essere degni neppure di essere esposti alla vista di tutti.

Poi lo vide. Piccolo e scuro, proprio nell'angolino.

021

Promosso.

Controllò non sapeva nemmeno quante volte di aver visto bene, di non aver sbagliato tabellone o numero, o di essere diventato pazzo o di stare sognando.

Ma lo 021 era lì, piccolo ma sicuro, e non c'erano illusioni a tendergli un agguato o disillusioni a prenderlo a schiaffi.

Era passato.

Era passato veramente.

La consapevolezza lo afferrò come una mano guantata d'acciaio e mentre la folla impaziente lo spintonava via, Sena sentì che in qualche modo quella marea di gente stava trascinando via assieme a sé anche una parte di lui. E Sena non ne era triste. Perché quella parte pesava più del piombo ed ora, finalmente dopo molte settimane, il ragazzino si sentiva finalmente libero di respirare.

Si ritrovò le guance bagnate. Ne fu felice.

Una piccola bolla di felicità gli si gonfiò nel petto, e Sena sorrise assieme ad essa: per una volta, per una piccola e stupida volta, finalmente poteva essere orgoglioso di sé stesso.

E non gli importava se i tre anni seguenti sarebbero stati durissimi per lui, perché in quel momento ce l'aveva fatta e anche un piccoletto inutile come lui poteva concedersi un minimo di speranza per il futuro.







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Capitolo 2
*** First Down: Incontro ***


Ed eccoci qui con il primo vero capitolo! ^w^

Suppongo che i capitoli di questa fanfic saranno un po' più corti rispetto a quelli delle altre mie storie, ma va bene così. ^w^

Sinceramente, gente, sarei davvero curiosa di sapere cosa ne pensate, visto che è la prima volta che scrivo su questo manga, e destreggiarmi fra due tizi come Sena e Shin, che finalmente qui fa la sua comparsa e che spero di aver reso decentemente, maledetto lui (XD), non è poi così facile e scontato come sembra. °-°

Quindi se commentate mi farete davvero felice, anche solo per dirmi che la storia non vi piace: offese a parte, è sempre costruttivo ricevere delle critiche. ^^

Intanto però, buona lettura! ^3^





First Down: Incontro




Sena si guardò criticamente allo specchio con occhi inquieti: la divisa bianca dell'Ojou gli andava leggermente larga sulle spalle e le maniche gli scendevano fino alle nocche delle mani. In qualche modo, il ragazzino si sentiva come uno scudiero novello o un monaco apprendista con tutto quel bianco addosso. Rimpicciolito, quasi. Più piccolo di quello che era, comunque.

Distolse lo sguardo dalla propria immagine per impedirsi di piangersi ancora addosso e si affrettò a prendere la cartella pesante di libri: ancora il solo ricordare i titoli spaventosi di quei grossi volumi dall'aria ostica gli metteva i brividi. E dire che aveva fatto così tanta fatica solo ad entrare, figurarsi a stare al passo con il programma!

La felicità di qualche settimana prima, quando aveva scoperto di essere stato miracolosamente ammesso al liceo Ojou, era svanita in fretta con la consapevolezza di dover affrontare uno dei tirocini più duri e impegnativi delle scuole del Kanto. Neppure Mamori-nee-san se l'era sentita di affrontarla, e lei era una delle persone più intelligenti che Sena avesse mai visto.

In confronto a lei, Sena si era sempre sentito privo di valore.

Lo stava ancora pensando quando scese dal treno alla fermata vicina alla sua nuova scuola. Ora che finalmente poteva vederla come propria, doveva ammettere che era un edificio veramente impressionante, che parlava di grandezza, di mete alte quanto le sue guglie. Non era una scuola adatta a tutti e non era una scuola che mirava a poco. Sena lo capì, e se ne sentì affascinato e intimorito assieme. Si chiese se quella sarebbe diventata davvero come una seconda casa per lui, o se quell'enorme edificio altero lo avrebbe sputato fuori come una nocciolina andata a male.

Poco a poco, le persone attorno a lui furono solo vestite con la sua stessa divisa bianca a bordi azzurri, e in qualche maniera Sena si sentì leggermente rassicurato di non essere l'unica persona in strada vestito in quel modo bizzarro. Quando fu ai cancelli della scuola, iniziò a vedere i primi esponenti dei club che cercavano di attrarre quanta più gente possibile, distribuendo volantini a destra e manca, rivaleggiando gli uni con gli altri per stupire con maschere, divise, cartelloni e chissà quant'altro i nuovi arrivati. Sena vide diversi ragazzi della sua età fermarsi interessati a questo o a quel padiglione, e si chiese se sarebbe stata una buona idea per lui iscriversi ad un club pomeridiano.

La risposta gli giunse quasi subito durante il discorso di benvenuto del preside.

- Se siete venuti in questa scuola, e soprattutto se siete stati ammessi in questa scuola, avrete certamente capito quale sia la sua portata e la sua grande difficoltà. L'Ojou come vi imporrà dei grandi sacrifici e molte fatiche, vi aiuterà a raggiungere dei grandi obiettivi e vi darà nelle basi solide sulle quali potrete costruire il vostro futuro. Siate orgogliosi di appartenere a questa scuola. Buona fortuna a tutti voi-.

Sena se l'era aspettato, e mentre saliva con i propri nuovi compagni di classe ai piani superiori, gli fu chiaro che, a meno di ricevere per miracolo un'intelligenza prodigiosa, in quei tre anni avrebbe fatto meglio a scordarsi dei club e a mettersi sotto con lo studio. La prospettiva lo rese triste.

La prima mattina di lezione confermò i suoi sospetti sulla severità dei professori: ognuno di essi tenne un breve discorso prima di incominciare a spiegare la propria materia e tutti, uomini o donne, giovani o vecchi che fossero, avevano un'aria severa e assolutamente non disposta a tollerare sgarri alle regole o nello studio. Sena tentò fin da subito di non mostrare i tremiti che gli percorrevano le mani e si premurò di rimanere concentrato e di tenere una faccia seria e diligente per tutto il tempo. A metà mattina, però, durante l'intervallo delle undici, si rifugiò subito nel bagno più vicino per calmare l'ansia.

Merda.

Era inutile quanto tentasse di convincere sé stesso: quella scuola era decisamente troppo sopra la sua portata. Lui, che era così abituato a distrarsi e a far vagare la mente fuori dalla finestra durante le ore di lezione, o a poltrire di pomeriggio per finire i compiti di sera. Erano passate solo tre ore, e già aveva un carico non indifferente di esercizi e test da svolgere entro quella settimana.

Iniziava a sentire le tempie pulsare dolorosamente.

Le tre ore successive furono dedicate alla matematica. E Sena si sentì disperato quando scoprì che il programma di quell'anno prevedeva argomenti spaventosi. E si sentì ancora più disperato quando capì che no, in quelle tre ore non aveva capito praticamente nulla dell'argomento spiegato. E aveva cinquanta esercizi da svolgere entro tre giorni.

L'unica cosa positiva in quella mattinata, era il fatto di essere capitato in una classe formata da persone tranquille e dalle facce gentili.

- Sena, vai a comprarci dei toast-.

L'ordine perentorio, e nemmeno poi così velatamente minaccioso, era uscito proprio dalla bocca di una di queste persone dal viso pulito, curato e amichevole. Ma se le labbra erano rivolte all'insù, gli occhi gelidi del suo nuovo compagno di classe erano chiari: o ubbidiva, o ne avrebbe pagato delle care conseguenze.

- Ci trovi nel cortile sul retro. Hai cinque minuti-.

Merda.

Sentendo anche quell'ultima nota positiva crollare in mille pezzi, l'unica, piccola speranza che si era mai permesso di avere di non essere in classe con quei bulli che puntualmente lo usavano come schiavetto, Sena corse a perdifiato verso quello che aveva riconosciuto subito come bar della scuola. Si chiese perché toccasse sempre a lui, perché lo prendessero sempre, puntualmente di mira.

Forse era il suo fisico gracile, forse era il suo ridicolo metro e cinquanta di altezza, forse era la sua faccia da bambino, o forse era la paura che non era mai veramente riuscito a reprimere e a non far trapelare dai propri occhi, dai propri gesti. Forse era questo che li rendeva così aggressivi con lui. Perché lo vedevano come una preda facile, un preda naturale che era scontato sottomettere, o schiacciare.

Sena non era felice di essere uno schiavo, ma preferiva essere usato così, piuttosto che essere pestato a sangue, come già altre volte, in passato, era accaduto.

Quasi urlò di disperazione quando vide che tutti i toast, di qualsiasi tipo fossero, erano finiti.

Non potendo non tornare, sfrecciò verso il cortile sul retro per avvertire i suoi nuovi padroni di quel disastroso imprevisto, zigzagando come una scheggia fra la folla, cercando di non far caso alle urla spaventate delle ragazze e alle imprecazioni dei ragazzi e di qualche professore. Sperò solo che non lo riconoscessero.

Era ormai nel cortile sul retro, quando per poco non si scontrò con due persone che stavano parlando sulla porta. Notò di sfuggita che uno doveva essere un professore, con tutti quei capelli bianchi, mentre l'altro lo riconobbe come uno studente dalla divisa.

Non potendoli raggirare, scheggiò a tutta velocità nello stretto varco che c'era fra loro, superandoli come un fulmine e girando l'angolo per trovare i suoi nuovi padroni.



-L'hai visto, Shin?-.

- Sì-.

- Dio santo...-.

- Vado a prenderlo-.

- Prima che lo faccia qualcun altro, sì-.



Sena aveva il fiatone quando raggiunse il gruppetto dei suoi compagni di classe, riuniti a cerchio a chiacchierare tranquillamente, chi mangiando dal proprio bento e chi semplicemente in piedi. Alcuni stavano fumando. Sena li trovò un gruppo ben affiatato: probabilmente avevano frequentato le medie assieme.

- Allora, tappetto? Dov'è il nostro pranzo?- lo apostrofò uno di loro, vedendolo tornare a mani vuote.

- M-mi dispiace tanto...-incominciò pigolando Sena, torcendosi le mani- ...i toast erano tutti finiti e...- non fece in tempo a finire che uno di loro lo afferrò con forza per un braccio.

- Ti sembriamo così idioti da crederci?- gli ringhiò ad un palmo dal viso- Anche se fossero finiti, hai impiegato troppo poco tempo per essere credibile, idiota!-.

Sena si sentì gelare e cercò disperatamente di spiegarsi, di essere credibile- N-no! Ve lo giuro, erano finiti sul serio! Ne sono sicuro!- vide uno di quelli che stavano fumando sbuffare incredulo e avvicinarglisi con la sigaretta fra le dita- Fa-faccio lo schiavetto dall'asilo, sono abituato ad essere ve-veloce!-.

Il tizio con la sigaretta lo guardò con le sopracciglia inarcate- Ma senti!- fece- Allora avrai bisogno di un incentivo per far meglio il tuo lavoro!-.

Prima ancora di poter replicare, Sena sentì il ragazzo che lo stringeva afferrarlo saldamente per le spalle, abbastanza forte da tenerlo fermo, da fargli male; l'altro tizio invece gli afferrò il polso destro e gli sollevò velocemente la manica della giacca, scoprendo la tenera pelle dell'interno del braccio. La sigaretta ora era tremendamente, spaventosamente vicina alla sua pelle, proprio sotto il gomito, e già lo scottava con il suo calore. Sena sgranò gli occhi, incredulo e terrorizzato, il cuore che gli batteva all'impazzata: lo avevano picchiato ben più di una volta durante la sua carriera scolastica, lo avevano riempito di lividi fino a farlo zoppicare, ma mai una cosa del genere. Per quanto piccola ed insignificante, ora la punta di quella sigaretta gli pareva spaventosa come un ferro arroventato.

- Credi che così riuscirai a ricordartene?- ghignò il ragazzo, e abbassò la cicca accesa sul braccio scoperto della sua vittima.

Sena aveva già chiuso gli occhi, pronto al dolore, alle lacrime e ai singhiozzi, forse persino alle botte che sarebbero venute subito dopo, giusto quel che ci voleva per rendergli un inferno il primo giorno di scuola e ricordargli come sarebbero stati tutti i giorni dei tre anni successivi. E maledetto lui che aveva avuto la sfrontatezza di superare l'esame, e più che maledetta sua madre che lo aveva costretto ad andare in quella scuola per piccoli, ricchi genietti.

Era pronto a tutto e ne era terrorizzato, ma non ci fu nessun bruciore sul suo braccio, nessun dolore, nessun fastidio. Semplicemente, nulla.

Sena aprì gli occhi lentamente, come per paura che il dolore sarebbe arrivato se lui avesse osato guardare, e ciò che vide lo lasciò privo di parole.

La mano del suo carnefice era ora ad un palmo di distanza dal suo braccio, aperta, tesa, le vene a fior di pelle, e la sigaretta giaceva dimenticata a terra. Sulla pelle abbronzata del suo compagno di classe spiccava quella più chiara della mano che gli aveva afferrato il polso. Per un attimo Sena non riuscì a guardare nient'altro a parte quella mano, quelle cinque dita che lo avevano appena salvato: in confronto alla tensione dell'altra, quella mano sembrava quasi rilassata nella sua stretta, assolutamente calma e prima di aggressività. Eppure il ragazzino capì che la morsa sul polso dell'altro doveva essere davvero ferrea, se lo stava trattenendo persino ora.

- E tu chi diavolo sei?-.

Solo al ringhio nervoso del proprio compagno di classe Sena si riscosse e, finalmente, alzò lo sguardo.

Il tizio che aveva cercato di bruciarlo aveva gli occhi sgranati, le sopracciglia aggrottate e già una certa inquietudine aveva preso a nascere nei suoi occhi.

Davanti a lui c'era un ragazzo dai capelli scuri e dal viso calmo, i tratti eleganti e leggermente affilati, virili; nonostante stesse tenendo saldamente stretto il polso dell'altro giovane, nel suo corpo non c'era traccia di tensione o di aggressività. Sembrava una statua greca, o un cavaliere in armatura.

- Shin Seijuro, del secondo anno- fu la semplice risposta- Stavo cercando questo ragazzino-.

E Sena capì subito che si stava riferendo proprio a lui.

- Non ti conosco- ringhiò il più giovane, cercando di liberare il polso dalla presa ferrea dell'altro, inutilmente- E anche se sei un mio senpai dovresti imparare a non intrometterti in faccende che non ti riguardano!-.

Shin inarcò leggermente un sopracciglio- Gomen. Ed ora posso avere questo ragazzo?-.

La prima risposta che l'altro aveva pensato probabilmente non ebbe il coraggio di uscirgli di bocca, forse perché all'ultimo momento vide una leggera luce di minaccia negli occhi scuri del ragazzo più grande e bastò un'occhiata veloce alle sue spalle larghe per scoraggiare qualsiasi tentativo di rissa. Per qualche strana ragione, dubitava di poterla vincere.

- Fai quel che ti pare- sbottò il tizio, liberandosi con uno strattone dalla presa del suo senpai e dirigendosi nervosamente verso l'entrata della scuola, seguito a ruota dagli altri, tutti assolutamente non desiderosi di approfondire la conoscenza con quel ragazzo spaventoso.

I due rimasero soli nel cortile, circondati da alti alberi di chissà quanti anni, ombre morbide e fresche e voci lontane di altri studenti. Sena, finalmente libero, fece vagare nervosamente e con ancora un po' di incredulità gli occhi nei pressi della porta nella quale erano spariti i suoi aguzzini. Poi, come attratto da una calamita, il suo sguardo si alzò sul ragazzo che lo aveva salvato, e come lo guardò timidamente in viso scoprì che l'altro lo stava fissando a sua volta. Colto alla sprovvista, Sena sentì il cuore saltargli in gola, le guance diventare leggermente rosse, e, per qualche strana ragione, di non riuscire a distogliere lo sguardo da quello dell'altro. Nella penombra del cortile, gli occhi del ragazzo più grande erano neri come l'inchiostro.

- Tutto bene?- gli chiese... Shin, aveva detto di chiamarsi?

Sena deglutì un paio di volte prima di riuscire a parlare- Sì- disse a bassa voce, poi aggiunse- Grazie- e si precipitò ad inchinarsi il più profondamente possibile- Grazie mille. Non so come sdebitarmi, davvero...-.

Se in quel momento avesse potuto, Sena si sarebbe gettato al collo di quel ragazzo e si sarebbe messo a piangere come un moccioso, tanto era il sollievo e la gratitudine che provava: era da quando aveva finito le elementari e Mamori era andata in una scuola diversa dalla sua che nessuno prendeva le sue difese contro i bulletti di turno che quotidianamente lo perseguitavano. E Mamori-nee-san era una sua cara amica d'infanzia, mentre questo ragazzo... Sena era sicuro di non averlo mai incontrato prima.

- Non hai nulla per cui sdebitarti- replicò stoicamente Shin, insensibile a qualsiasi forma di ringraziamento- Posso invece sapere come ti chiami?-.

Sena si rialzò all'istante, il cuore che gli batteva all'impazzata per la felicità e le ginocchia leggermente molli- Kobayakawa Sena, del primo anno!- disse con gli occhi che brillavano- P-piacere di conoscerti, Shin-san!- e gli tese una mano tremante, stupito di tutta quell'intraprendenza.

- Piacere mio- il suo senpai ricambiò la stretta e il ragazzino la scoprì incredibilmente forte, ma rimase stupito quando si accorse che non gli stava facendo assolutamente male: era forte, sì, ma non brutale. Per un momento Sena sentì la propria mano enormemente fragile contro quel palmo molto più grande del suo, leggermente ruvido, e caldo.

Poi il ragazzino sorrise, per la prima volta veramente felice in quella giornata, e fu quasi come se quel sorriso illuminasse la penombra attorno a loro.

L'unico che però non sorrideva era proprio Shin, e Sena se ne chiese mortificato il perché: non che il ragazzo più grande sembrasse triste, o crucciato, solo non sorrideva. Il suo viso era calmo, tranquillo, ma c'era una strana luce nei suoi occhi, attenta e quasi predatrice, e il ragazzino si sentiva come spogliato sotto di essa. Come se Shin gli stesse guardando dentro, dietro alla faccia da bambino spaventato che ormai Sena era così abituato ad indossare, come se stesse cercando di portare alla luce qualcosa di profondamente nascosto nell'intimo del ragazzino. Questi arrossì, imbarazzato come se fosse stato nudo davanti all'altro.

- Ti stavo cercando- disse improvvisamente Shin, senza smettere di fissarlo- Devi venire un attimo con me-.

A quelle parole, Sena sgranò gli occhi, il respiro bloccato in gola: lo stava cercando? Doveva andare con lui? Deglutì. Cercò di calmarsi, ma si rese conto di non riuscirci, di avere improvvisamente paura.

Cosa poteva volere quel ragazzo da lui? Aveva davvero fatto qualcosa di male solo il primo giorno di scuola? Poteva essere così disgraziato?

Gli tornarono subito in mente le imprecazioni dei professori mentre lui sfrecciava disperato nei corridoi, le due persone sulla porta che non aveva travolto per puro miracolo.

- Mi-mi dispiace molto di essere stato così maleducato e imprudente prima nei corridoi!- disse ancor prima che il suo senpai avesse modo di spiegarsi, certo come non mai di aver sbagliato proprio lì- Ma quei ragazzi mi avevano chiesto dei toast, e i toast erano finiti e dovevo assolutamente tornare da loro entro cinque minuti e...-.

- Non era questo che intendevo- lo interruppe Shin, con l'aria leggermente sconcertata, forse sbalordito da quella sbrodolata di parole mortificate.

Sena tacque di colpo e alzò il viso, stupito e anche leggermente preoccupato, chiedendosi cosa diavolo avesse fatto di peggio, oltre al tentativo di travolgere una mezza dozzina di persone nel giro di cinque minuti.

- Parlavo della tua velocità- gli spiegò Shin- Mi interessa-.

Per qualche assurdo motivo, Sena si sentì arrossire fino alla punta delle orecchie.

Da parte sua, in quel momento Shin non sapeva davvero cosa pensare.

Intimamente, si chiedeva se non si fosse sbagliato, se non avesse trovato la persona sbagliata; ma la precedente sequenza di scuse disperate pronunciata da quel ragazzino aveva fugato ogni singolo dubbio: quel turbine di vento che per poco non si era scontrato con lui e Shoji-sensei era veramente quel ragazzino imbarazzato. Imbarazzato e spesso, anche senza motivo, spaventato. Quando si era visto passare davanti agli occhi un'arruffata chioma castana, così veloce da togliergli il fiato, Shin per un singolo istante si era sentito gelare dalla testa ai piedi, ma l'attimo dopo una scarica di adrenalina lo aveva fatto voltare per cogliere giusto il profilo di una schiena piccola, di una spalla magra e di un braccio sottile sparire dietro all'angolo dell'edificio. In quel momento il ragazzo si ritrovò senza fiato e senza parole, anche se il resto del suo corpo praticamente smaniava di muoversi, di inseguire quel ragazzo così spaventosamente veloce per scoprire chi fosse. Se per volerlo sfidare o per volergli chiedere di unirsi ai White Knights, nemmeno lui lo sapeva. Semplicemente non aveva mai visto nessuno correre in quel modo, ed era sinceramente curioso di accertarsi quanto quel ragazzo fosse veloce, e soprattutto, se fosse più veloce di lui.

Ora quel ragazzo era davanti a lui e si era rivelato un ragazzino dal viso da bambino, di un'altezza irrisoria e incredibilmente sottile. Un ragazzino timido, spaventato, insicuro, nei cui occhi si leggeva subito una diffidenza intimorita, rivolta inconsciamente verso chiunque, amico o nemico che fosse.

Shin era semplicemente sconcertato, e improvvisamente non si sentiva più così sicuro che portare la sua preda al campo di allenamento fosse una buona idea. Assomigliava più ad un buco nell'acqua. Perché, onestamente, come sarebbe mai stato capace di sopravvivere un ragazzino del genere in una partita di football americano? Non a causa della sua stazza, ma per quel suo continuo timore e per quella... cos'era? Totale mancanza di autostima?

Decisamente, era quasi una scelta penosa portare con sé quel piccoletto, ma Shoji-sensei glielo aveva chiesto esplicitamente, e nel dubbio Shin preferì attenersi agli ordini.

Anche perché, in qualche modo, ancora sperava di aver finalmente trovato un compagno che gli fosse pari, o superiore, in velocità.

- M-ma...- balbettò Sena, improvvisamente preso da una strana ansia, un nervosismo non del tutto spiacevole, leggermente lusingato- Ma... ma in che senso ti interessa? Per cosa, intendo?-.

- Faccio parte della squadra di football americano di questa scuola, i White Knights. La tua velocità ci serve- gli spiegò stringatamente Shin, sperando di non spaventarlo più di quel che già era.

Sena era senza parole. Forse era perché si sentiva allo stesso tempo intimorito, terrorizzato e, cosa più incredibile e spaventosa di tutte, assurdamente lusingato.

Nessuno gli aveva mai detto di aver bisogno di lui, che la sua presenza serviva per qualcosa e a qualcuno, che lo aveva rincorso proprio per una sua abilità, per qualcosa di importante e che lui poteva, a differenza di tanti altri, dare. Per un club sportivo, poi. Sena non sapeva cosa dire, come reagire, se accettare e andare con quel ragazzo dalla faccia seria, fidandosi di lui e accontentando il suo neonato ego, oppure rifiutare ed evitare di illudersi, rimanendo con i piedi per terra e ricordandosi quindi di essere solo Sena Kobayakawa, un ragazzino assolutamente inutile, senza nulla di cui vantarsi e di cui nessuno si era mai fidato veramente dopo averlo visto in faccia e averlo automaticamente siglato come inetto.

Da una parte Sena voleva crederci, ma dall'altra aveva paura di ritrovarsi davanti ad una porta chiusa, di ritrovarsi di nuovo sotto gli occhi di Shin-san, ma di vederli delusi, pieni di compassione e di malcelato disprezzo. Di sentirlo dire che no, si era sbagliato, e che lui, piccolo moccioso incapace, avrebbe fatto meglio a tornarsene alla sua piccola, squallida vita smorta.

Il pensiero gli provocò un profondo dolore all'altezza del petto.

- Non so se ce la farei a star dietro anche ad un club- dovette ammettere alla fine, abbassando gli occhi- Non sono una cima di mio, e il programma è così difficile...-.

- Se hai bisogno di più tempo per studiare, puoi semplicemente andare a casa prima nel pomeriggio, e nel periodo dei tornei siamo giustificati dopo ogni partita- se da un lato le parole di Shin gli accesero una piccola luce di speranza, dall'altro fecero crollare l'ultima difesa che Sena aveva eretto per potersi evitare nuove umiliazioni.

Il ragazzino alzò lo sguardo per incrociare quello del ragazzo più grande, sperando di poter capire in qualche modo se si potesse fidare davvero del suo senpai, se avesse veramente potuto affidarglisi.

E negli occhi di Shin, per quanto li scrutasse, non riuscì davvero a trovare qualche traccia di malevolenza, di cattiveria, di crudeltà. Non sembrava quel genere di persona.

- Credi davvero che io sia veloce?-.

Lo disse stupidamente e senza rendersene conto, ma non seppe trattenersi, e le parole gli uscirono basse, fioche, quasi spaventate, timidamente speranzose.

Qualche attimo di silenzio, in cui Shin si ripose quella domanda, cercandovi una risposta sincera e onesta, fermamente deciso a non mentire a quel ragazzino che in quel momento, stranamente, gli stava dando fiducia e gli chiedeva una rassicurazione, o forse un aiuto. E nel mentre, lo stava guardando con occhi quasi supplichevoli.

E in quel momento Shin pensò che, forse, con un po' di fiducia, con una spinta, quegli occhi avrebbero potuto riflette qualcosa di più di semplice timore, forse sarebbero stati gli occhi di una persona consapevole delle proprie capacità, perché senza alcun dubbio, quella velocità impareggiabile Shin non se l'era affatto immaginata.

- Sì, lo credo- gli rispose quindi il ragazzo, serio e senza distogliere lo sguardo da quello del più piccolo, scoprendosi poi assurdamente sollevato quando vide quei grandi occhi nocciola sciogliersi in un sorriso che parlava di resa, di una felice, dolcissima resa.

- Mi fai strada, Shin-san?-.


*§*§*§*§*§*§*

Dizionarietto:

Bento: è il tipico pranzo al sacco giapponese, ovvero un vassoio diviso in più parti contenenti svariati tipi di cibo.

Senpai: usato per indicare ragazzi più grandi.

Gomen: “scusa”.

Sensei: “maestro”, usato anche come suffisso.

-san: suffisso che determina un atteggiamento di rispetto nei confronti della persona interessata. In ambiente di lavoro significa “signore” e corrisponde al “Mr/Mrs” inglese, anche se qui non è il nostro caso.



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Capitolo 3
*** Second Down: Prova ***


Ok, avevo detto che avrei fatto presto. Non ho fatto presto, ma ho fatto prima del solito. ^w^

E ho detto che sarebbero stati capitoli brevi. Sono dieci pagine e un po'. °-°

Ma sono dieci pagine che mi sono piaciute, quindi è ok. ^w^ Spero solo che piacciano anche a voi! °-°



Qui vedrete Shoji-sensei e Takami fare la loro prima apparizione, vi immergerete nelle seghe mentali di Sena e nella mente contorta del buon vecchio Shin-san. Spero di aver reso bene entrambi, ma lascio a voi l'ultima parola! ^w^

Mi scuso, ma non ho riletto attentamente il capitolo né l'ultima parte. °-° Spero non ci siano baggianate. ^^”””

Fatemi sapere come l'avete trovato, ok? ^w^





Second Down: Prova





Un passo di Shin era due di quelli di Sena, e quest'ultimo dovette quasi correre per stare dietro al suo senpai. Avevano aggirato la struttura della scuola e avevano appena oltrepassato l'ultima fila di grandi querce quando davanti a loro si stagliò un enorme campo sportivo, in quel momento pieno di ragazzi in una tenuta che a Sena ricordò quella di rugby, ma che suppose essere quella di football americano.

Improvvisamente si ricordò, non senza un certo imbarazzo, di non avere idea di che razza di sport fosse quello, né tanto meno di quali fossero le sue regole, o i suoi rischi. Era un mondo completamente sconosciuto, quello in cui il ragazzino si stava addentrando, e la sua era una rischiosa partita a dadi dalla vittoria incerta, insperata. Stava camminando verso l'ignoto, con un ragazzo silenzioso come unica guida.

Ma non era del proprio accompagnatore che Sena non si fidava: quella che mancava era la fiducia in sé stesso. Inconsciamente si fece più vicino a Shin, fin quasi a sfiorargli il braccio con il proprio.

C'era un folto gruppo di ragazzi che correva lungo i bordi del campo, vestiti con normalissime tute e senza alcuna divisa addosso; alcuni sembravano nervosi, altri avevano un cipiglio determinato. Sena suppose fossero aspiranti nuovi membri. Si chiese se anche lui avrebbe dovuto unirsi a loro, e improvvisamente ricordò di non avere nessuna tuta con sé. Forse gli avrebbero permesso di tenere la divisa, anche se probabilmente così facendo avrebbe sporcato il suo bianco immacolato fin dal primo giorno di scuola, e questo non sarebbe affatto piaciuto a sua madre.

Ma Shin non accennò a fermarsi quando passarono di fianco al gruppo di reclute, e se lui lanciò loro solo uno sguardo se non proprio di interesse almeno di leggera curiosità, Sena notò chiaramente come alcuni di loro guardassero il suo accompagnatore di sottecchi, leggermente intimoriti, alcuni addirittura imbarazzati, altri palesemente incuriositi, e tutti ugualmente ammirati. A quel punto anche Sena lanciò un'occhiata più indagatoria a Shin e per la prima volta si chiese chi fosse veramente quel ragazzo, e che autorità avesse nella squadra per prenderlo su in quel modo e trascinarlo... nemmeno sapeva dove!

Sena avrebbe voluto sommergere il proprio senpai di domande, ma in quel momento veramente non se la sentiva di assillarlo: aveva lo stomaco chiuso dalla tensione.

A quel punto il ragazzino si accorse di altre due persone ferme sul bordo del campo, intente ad osservare la situazione: uno era un ragazzo alto, veramente alto, dai capelli scuri tirati ordinatamente indietro e un paio di occhiali dall'aria severa sul naso; l'altro era un uomo piuttosto in là con gli anni, a giudicare dai capelli bianchi e dalle profonde rughe che segnavano il suo viso abbronzato, eppure perfino da quella distanza Sena poté notare le sue braccia muscolose, grosse come tronchi d'albero. Quando i nuovi arrivati furono più vicini, gli altri due finalmente si accorsero di loro, e solo allora il ragazzino riconobbe l'uomo anziano come il professore che poco tempo prima aveva quasi travolto, sulla soglia della porta del cortile posteriore. A Sena si serrò la gola, improvvisamente preoccupato per l'aria severa dell'uomo. Diversamente, e inaspettatamente, il ragazzo alto accanto al professore rivelò un viso molto più amichevole di quanto la montatura austera dei suoi occhiali a prima vista avesse lasciato intendere, e anzi, i suoi occhi mostravano quel tipo di intelligenza curiosa e pacata così rara nei ragazzi della loro età. Sena trovò immediatamente qualcosa di rassicurante nella sua figura leggermente allampanata.

- Allora è lui il ragazzo di prima- iniziò senza mezzi termini il professore, dedicando tutta la propria attenzione ai due nuovi arrivati- Se è qui, suppongo che tu sia riuscito a convincerlo, Shin-.

- L'ho convinto a venire qui- rettificò semplicemente l'interessato.

- E' già qualcosa- l'uomo si fece avanti per coprire la breve distanza che lo separava dai due studenti, al che tese una mano grande e callosa al più piccolo- Piacere, Shoji Gunpei, sono il coach degli Ojou White Knights-.

- Kobayakawa Sena, del primo anno- si affrettò a rispondere il ragazzino, lasciandosi stritolare la mano nella morsa di ferro del professore- Piacere mio, Shoji-sensei!-.

- Suppongo che tu abbia un'idea sul perché ti trovi qui-.

A quella domanda, Sena non poté fare a meno di deglutire nervosamente, non sapendo a cosa corrispondesse esattamente quel concetto di idea: sapeva che erano interessati alla sua velocità, ma quella non era esattamente un'idea, e sicuramente non era un'idea precisa.

- Ma credo che ripetere la cosa non sarà un male- aggiunse fortunatamente Shoji-sensei, cogliendo l'incertezza nello sguardo del ragazzino e lanciando di conseguenza un'occhiataccia a Shin, impassibile- Ti abbiamo visto correre nei corridoi della scuola, e, pur non essendo questo un comportamento corretto o tollerabile- aggiunse con un'aria severa che fece accartocciare Sena nelle proprie piccole spalle- abbiamo notato la tua velocità. E per la nostra squadra sarebbe importante avere un membro così veloce, un runningback per l'attacco-.

Ora, se Sena era riuscito a seguire la conversazione, la menzione finale di quella, almeno per lui e per il suo inglese agghiacciante, impronunciabile parola specialistica lo aveva fatto andare completamente nel pallone- Un... cosa?- si azzardò a chiedere con voce flebile, imbarazzato fino all'inverosimile.

Shoji-sensei fece un sospiro che tuttavia non parlava di impazienza- Suppongo che tu non conosca le regole. Anzi, oserei ipotizzare che tu non conosca assolutamente nulla di questo sport- l'acceso rossore sulle guance del ragazzino dovette essere una risposta sufficiente- Va bene- sospirò di nuovo il professore, facendo spaziare lo sguardo sul campo e soffermandosi sul gruppo di reclute che ancora stavano correndo, ormai sudati e ansimanti- Ora come ora, però, per me sarebbe un problema illustrarti il tutto: abbiamo molti più aspiranti rispetto agli altri anni. Ho bisogno di una mano per fare la selezione-.

- Quanti sono?- gli chiese Shin, seguendo lo sguardo dell'uomo fino al gruppo di ragazzi.

- Trentasei- fu la risposta- E tu mi servi: dobbiamo trovare dei membri promettenti se vogliamo sopravvivere, quest'anno-.

Shin si limitò ad annuire.

Al che, Shoji-sensei si rivolse a Sena- Non posso dirti per quanto ne avrò con questi ragazzi, ma entro oggi voglio vedere la tua corsa, e da questo decideremo se potrai o no entrare nella squadra- si interruppe un attimo, corrugando la fronte già rugosa di suo- Tu sei interessato ad unirti a noi, giusto?-.

Sena annuì velocemente, tanto per rassicurare il suo professore quanto per fugare i dubbi che gli rimanevano sulla propria scelta- Sì, sensei, la cosa mi interessa-.

- Bene. Takami- disse poi l'uomo al ragazzo occhialuto al proprio fianco- Mentre passiamo in rassegna i nuovi arrivati, spiega a questo ragazzo in cosa consiste il football americano. Non vorrei vederlo scappare terrorizzato al primo avversario che tenta di placcarlo. E nel frattempo, venite tutti con me- e si era già incamminato verso il gruppo di reclute fradice di sudore, borbottando qualcosa sulla stoffa debole delle ultime generazioni.

Il ragazzo alto che il professore aveva chiamato Takami si sistemò con un gesto abitudinario gli occhiali sul naso, rivolgendo un sorriso amichevole a Sena mentre si incamminava assieme a lui e a Shin per seguire il coach- Piacere di conoscerti, Sena-kun. Io sono Takami Ichiro, il capitano dei White Knights. Spero che ci troveremo bene insieme- e con questo fu la terza persona in quel giorno a tendergli la mano.

Sena ricambiò il gesto e fu sollevato quando non si sentì stritolare le ossa, ma incontrò una presa normalissima- Piacere mio, Takami-san. Spero anch'io di trovarmi bene con voi- sorrise timidamente.

- Bene. Dunque, suppongo che il nostro Shin non ti abbia accennato alle regole o alla natura del nostro sport, dico bene?- Takami si stava rivolgendo a Sena, ma l'ironia era chiaramente diretta al proprio compagno.

- Tu l'avresti spiegato molto meglio di me- fu la semplice giustificazione di quest'ultimo.

- Forse- sorrise Takami alzando le spalle.

Le seguenti quattro ore passarono con una lentezza estenuante, eppure quando finalmente Shoji-sensei ebbe finito di massacrare indiscriminatamente le nuove reclute e i membri regolari del club, a Sena parve che il tempo in fin dei conti fosse trascorso fin troppo in fretta, e che dopo tutto lui non fosse affatto pronto ad affrontare le prove durissime che il suo professore sicuramente aveva intenzione di assegnargli. Aveva visto come più della metà dei nuovi arrivati fosse crollata dopo le prime due ore di estenuanti esercizi, prove di forza, tecnica, velocità, resistenza, e come dei rimanenti quindici solo sei avessero superato un uno contro uno con un tizio a dir poco gigantesco, che Takami aveva detto chiamarsi Ootowara.

E Sena, che aveva visto quei sei ragazzi stringere i denti ora dopo ora, cadendo e rialzandosi, chi senza lanciare un lamento e chi imprecando volgarmente, decisamente non si sentiva alla loro altezza. Né tanto meno all'altezza dei membri effettivi del club.

Takami gli aveva spiegato con veloce chiarezza le basi del football americano, e quelle in definitiva Sena sentiva di averle capite e memorizzate anche piuttosto bene, ma era stata la vista delle prove di forza pratiche a far crollare ogni sua speranza: dei ragazzi molto più forti di lui erano stati scartati, quel giorno, quindi, in definitiva, che possibilità aveva un ragazzino gracile e debole come lui?

Quindi quando si vide venire incontro Shoji-sensei ebbe quasi voglia di scusarsi, di scusarsi immensamente, per poi andarsene e mettere finalmente fine a quella follia, a quel pazzo sogno che si era voluto concedere e che stava paurosamente diventando sempre più simile alla realtà.

Ma quando si ritrovò davanti il coach non seppe dir nulla.

- Allora, Kobayakawa, ora tocca a te. Hai una tuta da metterti?- incominciò senza preamboli l'insegnante, incrociando le braccia nodose.

- Ehm...- Sena avrebbe voluto sprofondare. Di nuovo.

- Bene. Non importa: farai con la divisa. Muoviti e vieni con me. Anche tu Takami. E...- si voltò in cerca di qualcuno- Ohi! Shin! Noi stiamo andando!-.

Sena seguì a propria volta lo sguardo di Shoji-sensei fino a trovare Shin che stava uscendo giusto in quel momento dagli spogliatoi, una maglia pulita addosso. Il ragazzo aveva preso parte a propria volta agli allenamenti, pur essendo un giocatore titolare, ma in sostanza aveva aiutato il coach a mettere alla prova, uno dopo l'altro, tutti gli aspiranti. E Sena doveva ammettere di non essere riuscito a togliergli gli occhi di dosso per tutto il pomeriggio: esercizio dopo esercizio, scontro dopo scontro, quando anche i più forti fra le reclute crollavano a terra per la fatica, Shin rimaneva in piedi, sudato e a volte ansimante, ma senza alcun cedimento. E il ragazzino aveva visto gli aspiranti battersi a turno contro il proprio senpai, e li aveva visti finire nella polvere uno dopo l'altro, rotolare a terra gemendo, chi rialzandosi, chi giacendo sfinito e dolorante a terra, e il loro avversario stoicamente in piedi, impassibile.

Di nuovo Sena si sentì gelare al pensiero di essere sottoposto a prove simili, e contro simili mostri.

Ma pur con le gambe tremanti, sudando freddo e pregando qualsiasi dio esistente di risparmiarlo, seguì come un sonnambulo Shoji-sensei e Takami nel boschetto di querce che cingeva a mezzaluna la scuola, rabbrividendo all'improvviso freddo sotto le fronde fitte e verdi. Poi al suo fianco comparve Shin, che li aveva finalmente raggiunti, e Sena sentì la lingua incollarglisi al palato: non sapeva cosa lo stava aspettando fra quegli alberi, ma sapeva di averne paura, ma più di qualsiasi altra cosa aveva paura di deludere quel ragazzo che, per primo, gli aveva dato fiducia. Non voleva sfigurare davanti a lui, voleva credere alle sue parole, voleva credere di essere utile a qualcuno, di essere bravo, veramente bravo in qualcosa.

Fu per quel motivo che Sena strinse i pugni e tenne a bada la propria paura, continuando a camminare e a fingere di essere calmo. Per convincersene.

Una recita che a Shin parve evidente fin dalla prima occhiata: le labbra erano troppo strette, le sopracciglia troppo tese, e nel complesso tutto il corpo di Sena trasudava un nervosismo appena trattenuto, tale che il ragazzo si chiese se Takami avesse detto al loro nuovo arrivato in cosa consistesse la prova a cui stavano per sottoporlo. Perché in caso di una risposta negativa Shin avrebbe potuto anche capirlo, ma in caso contrario avrebbe avuto un'ulteriore dubbio nei confronti di quel ragazzino spaventato. E di dubbi ne aveva decisamente a sufficienza.

E con i risultati di quel primo test di ammissione per le nuove reclute, sperava ardentemente, per la prima volta in vita propria, di essersi sbagliato, di aver giudicato troppo presto ed erroneamente Sena: su più di trenta aspiranti solo sei erano riusciti a passare e a dimostrarsi giocatori validi. Troppo pochi. E l'esperienza diceva a Shin che per loro quell'anno, senza la Generazione d'Oro e nuovi compagni dotati di talento, sarebbe stato molto, molto duro. Perché aveva visto le sei nuove reclute, ed era sicuro della loro abilità, tanto quanto era certo del fatto che non sarebbero mai stati altro che giocatori di buon livello, non dei fuoriclasse. Dei pedoni fondamentali per la strategia generale, ma mai dei pezzi unici nella loro importanza, insostituibili.

I White Knights potevano vantare la difesa più forte del Kantou, ma Shin era consapevole del fatto che non avrebbero potuto vincere solo con quella, e che lui stesso non avrebbe potuto proteggere tutti i propri compagni e bloccare tutti i nemici, neanche se si fosse ammazzato di allenamenti: era semplicemente fuori dalla portata di chiunque. Avevano bisogno di almeno un'altra persona in grado, come lui, di superare ampiamente i limiti fisici del liceale medio. Forza, altezza, velocità, strategia, anche uno solo di essi sarebbe bastato se portato all'eccellenza. Ma le persone dotate di capacità simili erano poche e serviva fortuna per trovarle. Anche se a Shin non piaceva parlare di fortuna o di sorte: forse avevano cambiato bandiera un po' troppo spesso nella sua vita.

Ma ora, pur preferendo non parlarne esplicitamente, sapeva di aver bisogno di quel caso insperato, perché se quel ragazzino gracile fosse stato veramente ciò che Shin sperava che fosse, allora forse gli Ojou avrebbero avuto veramente la speranza di non crollare dopo il cambio di generazione.

E c'era anche quel desiderio più intimo, più egoistico, di aver trovato finalmente non solo un compagno al proprio livello, ma anche un rivale capace di metterlo in difficoltà, di costringerlo a spingersi fino al limite e a superarlo, di fargli ribollire il sangue nelle vene per l'adrenalina. Perché Shin aveva trovato degli avversari forti sulla propria strada, ma nessuno che resistesse abbastanza, o che fosse abbastanza abile. Non era desiderio di eccitazione o la ricerca di una gioia effimera attraverso lo scontro, era solo l'agognare a qualcuno più forte di lui, qualcuno capace mostrargli veramente il limite delle capacità umane. Qualcuno che potesse tenergli testa e rimanere lì con lui sul campo, fino alla fine.

E, onestamente, Shin si sentiva quasi stupido a riporre le proprie speranze in quel ragazzino dagli occhi pieni di paura e senza alcuna autostima, e si chiedeva con preoccupazione se quel suo desiderio di trovare un degno rivale non lo stesse condizionando troppo, tanto da alterare le sue percezioni e valutare male qualcosa di fondamentale come la velocità di una persona.

Dubbio a cui avrebbe presto trovato risposta, in quel piccolo campo di terra battuta che era apparso improvvisamente fra gli alberi. Era un luogo semplice, spoglio, spartano, ma evidentemente ben tenuto, con l'erba ordinatamente tagliata lungo i bordi e strisce bianche che percorrevano con chiarezza il suolo. Attorno a loro, solo le chiome verdi delle querce e il profilo distante dei grattacieli più alti di Tokyo.

Un campo d'allenamento perfetto per qualsiasi esercitazione privata, o segreta.

- Se le nostre supposizioni sono esatte e la tua velocità è superiore a quella di un liceale normale, potrai entrare nei White Knights- Shoji-sensei si era fermato a bordo campo, rivolto verso i tre ragazzi e in particolar modo al più piccolo- La nostra è la difesa più forte del Kantou, ma quest'anno le nostre fila si sono assottigliate e abbiamo bisogno di rafforzare anche l'attacco. Takami può elaborare le migliori strategie possibili, Ootowara può devastare qualsiasi linea e Shin può proteggere il nostro terreno, ma non andremo da nessuna parte se non abbiamo giocatori capaci di attaccare. Abbiamo un runningback mediocre e dei ricevitori altrettanto mediocri, e al contrario i nostri peggiori avversari primeggiano proprio in questi due ruoli, e Shin non può fermarli tutti da solo. Ci serve un attaccante di prima classe, e ce ne serve uno veloce-.

Si voltò verso il campo- Ora inizierà la tua prova, Kobayakawa Sena, e vedremo cosa sarai capace d fare-.

Sena per un attimo non riuscì neppure a provare paura. Era troppo stupito, troppo sconcertato dal discorso del coach, così sinceramente schietto da non aver fato nulla per nascondere la situazione della squadra e il suo disperato bisogno di un nuovo fuoriclasse. E le aspettative erano tutte concentrate su di lui, su un ragazzino senza spina dorsale.

La situazione era così assurda che per un attimo Sena pensò di chiedere se si trattasse tutto di uno scherzo.

Ma nei visi attorno a lui non c'era alcuna ironia, erano seri, seri e consapevoli della verità delle parole del proprio allenatore. Shin e Takami lo stavano guardando. Stavano aspettando.

Sena li guardò a propria volta, e si sentì immensamente piccolo. Schiacciato da aspettative che sapeva di non poter soddisfare.

Voleva andarsene, scappare via, tornare a casa, tornare alla propria vita inutile, ma al sicuro da ogni responsabilità, libero da ogni peso diverso dall'etichetta di fallito. L'inettitudine non gli era mai parsa così accogliente, così leggera, così vuota di ogni aspettativa. Un inetto non aveva nessun obiettivo, nessun traguardo da raggiungere, nessuna pretesa da soddisfare. Non aveva la fiducia di nessuno, non aveva nessuna fiducia da tradire. Non poteva ferire nessuno perché ormai tutti si erano già arresi alla ferita.

Era una vita tristemente comoda.

Ma quando si ritrovò con gli occhi affogati nelle iridi scure di Shin, Sena scoprì di non riuscire a scappare via da loro. Che una fiducia da tradire ce l'aveva, e che l'infrangerla non sarebbe stato indolore né per lui né per chi gliela aveva affidata. Che era un peso dolce il portarla in petto, una bolla piccola e fragile, pronta a rompersi, ma calda nel suo cuore.

E capì di non volerla perdere, di non volerla gettare via come aveva gettato via nella propria vita tutto il resto, di non volerla distruggere a causa della sua odiosa codardia.

Capì di volerla conservare, di renderla fondata. Voleva dimostrare di esserne meritevole. A Shin, e a se stesso.

Per poter essere orgoglioso di se stesso almeno una volta nella vita.

- Cosa devo fare?- disse in un sussurro, con una voce fragile quanto la sua risoluzione, ma perfettamente udibile nel silenzio di quegli alberi.

- Devi correre-.

Shin non si aspettava di dover rispondere a quella domanda. Non ci aveva sperato del tutto finché non l'aveva sentita, flebile e tremante, vibrare nell'aria. Aveva visto la paura negli occhi di Sena, l'aveva visto quasi sul punto di scappare, di fuggire via.

E si era sentito così impotente di fronte a quel terrore. Non poteva fare nulla, nulla a parte aspettare, e pregare.

E poi l'aveva vista, l'esitazione, l'aveva vista emergere in quegli occhi caldi e ancorarli ai propri, come se si stesse aggrappando a lui, gli stesse chiedendo aiuto per non affondare nella disperazione. E per quel che aveva potuto, l'aveva trattenuta con tutto se stesso.

E Sena era rimasto, fragile come un bambino, e così terrorizzato da tremare impercettibilmente. Ma era rimasto, e Shin gliene era assurdamente grato.

- Correre?- ripeté flebilmente il ragazzino- Devo solo... correre?-.

Alle sue spalle Takami si schiarì la voce, attirando l'attenzione dei due, che si voltarono a guardarlo- Per decidere se prenderti o no in squadra dobbiamo sapere quanto sei veramente veloce, quindi dobbiamo cronometrarti mentre corri- si avviò verso l'estremità destra del campo dove Shoji-sensei li stava aspettando, seguito dagli altri due- Normalmente per scoprire la velocità di una persona si cronometra il tempo in cui percorre correndo una distanza di 40 yard- si sistemò di nuovo gli occhiali sul naso, voltandosi verso Sena, che lo stava ascoltando attentamente- Un normale studente delle superiori le percorre nell'arco di cinque secondi. Sopra questo lasso di tempo si è considerati più lenti della norma. Ma se si supera il muro dei cinque secondi, allora si può essere considerati dei velocisti- e qui sorrise.

- Quindi per essere ammesso... devo impiegare meno di cinque secondi- dedusse con un brivido Sena.

- No-.

Takami e Sena si voltarono con stupore verso Shin, che continuò- Le persone capaci di superare il muro dei cinque secondi non sono rare da trovare. Al contrario, è difficile trovarne capaci di superarlo largamente- non c'era alcun desiderio di essere meno secco nella voce di Shin- Se tu corressi ad una velocità di 4.9 secondi non farebbe alcuna vera differenza. Non servirebbe abbastanza. Devi essere più veloce-.

- Ma...- Takami cercò di ammorbidire la posizione del compagno- Ma sarebbe comunque un buon runningback anche se superasse di poco il muro dei cinque secondi...-.

- No, Shin ha ragione- questa volta fu Shoji-sensei ad intervenire- Sarebbe un runningback discreto, ma a noi non serve un giocatore mediocre. Ci serve un fuoriclasse. Altrimenti è completamente inutile-.

L'anziano professore si rivolse direttamente a Sena- Se vuoi entrare nei White Knights devi superare i 4.7 secondi. E' tutto-.

E Sena capì di essere fuori fin da subito. Di non aver possibilità. Neanche una.

All'inizio aveva sperato, aveva osato sperare di poter superare i cinque secondi, di essere migliore del tipico studente medio liceale, ma sapeva di non aver speranza di essere un fuoriclasse. Di non avere alcun speranza.

E nonostante ciò, il ragazzino seguì comunque Shoji-sensei fino alla linea bianca di partenza, come un sonnambulo che va al patibolo, il cuore pesante e la consapevolezza di aver fallito, di aver lasciato cadere la piccola bolla di fiducia che Shin gli aveva creato nel petto. Si sentì una merda.

A pochi passi di distanza, Shin lo stava guardando con occhi preoccupati: sentiva la paura di Sena, la sentiva amara sul palato e aveva capito che qualcosa stava andando storto, che c'era qualcosa di sbagliato nell'esitazione del più piccolo e che quel qualcosa avrebbe mandato a monte tutto il resto.

Vide Sena mettersi in posizione sulla linea bianca, aspettare che Takami si posizionasse a 40 yard da lui, cronometro in mano, e che Shoji-sensei fischiasse, prima di partire di corsa.

Shin osservò come il ragazzino fosse scattato in avanti come una molla, veloce, estremamente veloce. E come quello scatto si fosse affievolito e la corsa si fosse fatta più lenta. Troppo lenta.

Quando Takami schiacciò lo stop su cinque secondi netti, Sena chinò il capo.

Ma Shin invece no. E neppure Shoji-sensei.

L'anziano coach si grattò pensieroso il mento- C'è qualcosa che non va. Non è la stessa velocità che aveva oggi pomeriggio-.

- No- Shin si era avvicinato ai tre, gli occhi fissi sul ragazzino mortificato- Lo scatto era lo stesso, ma ha perso velocità troppo presto-.

- Forse quando l'avete visto era in una situazione tale che il suo corpo lo ha costretto a mantenere la stessa velocità per più tempo- suggerì speranzoso Takami, cercando una risposta logica a quel problema.

Centrandola in pieno.

Shin si ricordò improvvisamente di quei ragazzi che attorniavano Sena, quello che lo tratteneva per le spalle, e quello che stava per spegnere la sigaretta sul braccio del ragazzino. Se c'era una cosa che il linebacker non riusciva veramente a tollerare era il bullismo, o la violenza gratuita; semplicemente, gli era insopportabile vedere una persona tormentata senza motivo o per puro piacere. Non era giusto, e questo bastava. Ma in quel momento l'attenzione di Shin non era rivolta alla dubbia moralità di quei ragazzi, ma al loro ruolo nello scatenare la corsa pazzesca di Sena.

- Quei ragazzi ti stavano minacciando- non era affatto una domanda, ed era rivolta esplicitamente al ragazzino che ancora aveva negli occhi troppi dubbi.

- Io...- Sena non sapeva cosa rispondere, non sapeva a cosa servisse quell'improvvisa stasi, quel ripensamento: aveva fallito, non era sufficiente? Aveva mandato a puttane tutto quanto, non era bastata una volta sola? Perché si ostinavano a tenerlo lì e a non rispedirlo a casa? Erano così disperati da non vedere la realtà, che lui non era assolutamente adatto a custodire la speranza di nessuno?- Loro mi avevano chiesto dei toast... sapevo che mi avrebbero punito se non glieli avessi portati in fretta...-.

- Loro... cosa?!- la voce sconvolta, arrabbiata e disgustata di Takami lo fece sobbalzare.

- Quando l'ho trovato stavano per spegnergli una sigaretta sul braccio- gli disse Shin.

L'alto ragazzo del terzo anno strinse i pugni, una luce feroce negli occhi. Shoji-sensei sospirò una volta sola, profondamente e a testa bassa, e quando rialzò il capo era calmo, ma la sua mascella era ancora serrata- Di questo ne parleremo dopo. Ma voglio sapere chi sono. Non permetterò che fatti simili riaccadano in questa scuola-.

Sena li guardava confuso: perché erano ancora lì a parlare di lui, ad interessarsi a lui? Perché non lo cacciavano via come chiunque altro avrebbe fatto? Quale beneficio ne traevano, parlando in questo modo? Perché dicevano cose simili? Cosa importava, dopotutto, se uno come lui veniva malmenato da un gruppo di ragazzini di buona famiglia? Non era mai importato a nessuno, che differenza poteva esserci, ora?

- In quel momento eri spaventato- la voce di Shin lo riscosse e Sena lo guardò con occhi confusi.

E in quel momento il linebacker capì- Stavi scappando-.

Il ragazzino invece non capì- Non stavo scappando- si difese debolmente- Stavo andando da loro-.

Shin scosse il capo- Stavi scappando dal pericolo, dal dolore che avresti subito qualora avessi fallito- guardò intensamente il più piccolo- Non stavi correndo per fare qualcosa. Stavi correndo per scappare da qualcosa-.

Senza alcun motivo apparente, Sena si sentì morire di vergogna.

Ma dopotutto, che male c'era a scappare dalle disgrazie e dai dolori? Doveva per forza essere un codardo solo perché non si era fatto gonfiare di botte da tutti i bulli che lo avevano usato?

Una vocina dentro di lui però insinuava ben altro, e lo faceva con la voce di Shin.

Senza preavviso, il linebacker gli diede le spalle- Vieni. Torniamo alla linea-.

Le gambe di Sena si mossero da sole, senza alcun ordine, come tirate da fili invisibili, e forse più coraggiose del loro padrone, che seguì il senpai come un sonnambulo.

Una volta arrivati alla linea di partenza, Shin non si voltò, né si fermò- Tu posizionati qui- e proseguì finché quattro metri abbondanti non lo separarono dal ragazzino. Solo allora si voltò verso di lui, e Sena vide una luce strana nei suoi occhi, uno sguardo freddo e quasi predatore.

Improvvisamente, ebbe paura, e fu come svegliarsi da un lungo sogno tormentato, di quelli che ti si incollano addosso fino a soffocarti, finché la realtà non ti riporta duramente nel proprio grembo gelido, e tu ne saluti la crudezza con gioia. Sena si sentì così, con l'odore degli alberi e della terra di nuovo forte nelle narici, i suoni attorno a lui nitidi, i colori vividi. Sentiva il proprio corpo con un'intensità nuova, improvvisamente consapevole della tensione che gli stava elettrizzando le gambe, le cosce, i polpacci, fino alle dita dei piedi. Ogni cosa si fece più chiara e più acuta.

Per la paura.

Sena non sapeva perché in quel momento Shin lo stesse spaventando in quel modo, il ragazzo non aveva nulla di diverso da prima, ma la sensazione di pericolo gli martellava nelle vene e sotto la pelle. Gli urlava di correre.

- Ora ripeteremo l'esercizio- la voce di Shin lo colpì come un maglio di ferro, era fredda- Tu correrai, ed io ti inseguirò. Dovrai scappare da me, perché appena sarai alla portata del mio braccio, ti placcherò-.

Sena si sentì gelare: aveva visto, quel pomeriggio, cosa fosse un placcaggio, e come placcasse Shin. Nessuno dei suoi avversari si rialzava mai in meno di un minuto, nessuno restava in piedi. Nessuno non gemeva di dolore, o urlava, o rimaneva tramortito nella polvere. E lui in quel momento non aveva nessuna protezione addosso.

Il linebacker sembrava pensarla allo stesso modo- Sei privo di protezioni, quindi non posso assicurarti che non ti romperò un paio di costole. Se ti placcherò, ti farò del male-.

Sena sentì le proprie mani sudate tremare: cosa stava succedendo? Cos'era quella minaccia? Perché Shin gli stava dicendo quelle cose col palese intento di spaventarlo? Perché... voleva infierire in quel modo?

Sena sentì la paura chiudergli la gola: voleva crollare a terra e stringersi le ginocchia al petto, come un bambino.

- La sola cosa che devi fare- Shin vide come a quelle parole il ragazzino lo guardasse speranzoso- è essere più veloce di me, e non farti prendere- e vide anche come la paura rendesse enormi quegli occhi color cioccolato.

Ma era quello che il linebacker voleva: spaventarlo, fargli assaggiare la paura che ogni giocatore provava almeno una volta nella vita sul campo. Voleva fargliela assaporare completamente e nel peggiore dei modi, voleva vederlo soccombere sotto il suo stesso terrore. Per superarlo. Per superarlo con la rabbia e l'umiliazione.

Non era un metodo gentile, ma Shin non era una persona diplomatica e il football americano non era uno sport tenero. E con persone come Sena, la compassione gratuita non sarebbe servita a nulla. E il linebacker non voleva rinunciare a quel ragazzino, non ancora, almeno.

E infatti lo vide, lo vide tremare, respirare più velocemente, vide le sue pupille dilatate dal terrore. Era quello che voleva.

- Mettiti in posizione-.

Sena ubbidì, voltandosi e piegando le ginocchia, pronto a scattare. Ma non c'era forza nelle sue gambe, c'era solo paura, e improvvisamente il ragazzino capì che non sarebbe mai riuscito a farcela, a partire, a muoversi. Era spaventato, era così schifosamente spaventato all'idea di essere placcato dal proprio senpai, di essere ferito, di farsi male, di provare dolore. Aveva paura del dolore, ne aveva sempre avuta. Lo aveva sempre fuggito, anche a costo di essere un debole codardo senza spina dorsale. Tutto era preferibile al dolore, anche l'umiliazione.

Quando Shoji-sensei fischiò, Sena implorò le proprie gambe di correre, ma le sue gambe rimasero ferme.

Chiuse gli occhi, aspettando il dolore.

L'aria si mosse dietro di lui, sentì la terra smuoversi, la propria divisa ondeggiare.

Ma il dolore non arrivò mai.

Quando Sena aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu la mano di Shin ad un niente dal suo petto, i tendini tesi sotto la pelle, le dita rigide come artigli e leggermente ricurve verso il palmo. Immobile.

Il ragazzino sentì il proprio cuore pulsare dolorosamente e il respiro farsi veloce e amaro, affannoso come dopo una corsa impossibile, la cassa toracica pesante come cemento. Iniziò a sudare.

Se quella mano fosse stata due centimetri più vicina al suo petto, le sue costole sarebbero state rotte.

Sena sentì un capogiro.

- Sei lento-.

La voce di Shin era sempre la stessa, calma e composta. Ma c'era qualcosa di freddo in quelle parole, qualcosa che ferì Sena più di qualsiasi costola rotta. Il ragazzino si voltò lentamente per guardare il linebacker dietro di lui: i loro corpi erano così vicini da sfiorarsi.

Gli occhi di Shin facevano male- Ti avevo detto di correre. Non sai fare meglio di questo?-.

Sena non avrebbe mai creduto possibile che delle parole avrebbero potuto essere così dolorose, così umilianti. Tanto umilianti da far male. Troppo umilianti per non far male.

Il ragazzino non aveva un graffio addosso, ma si sentiva squarciato dall'interno, dilaniato così in profondità da essere completamente impotente contro quel dolore che lo stava riempiendo, gli stava colmando il petto come sangue, gli annebbiava la testa come fumo, gli chiudeva la gola come un cappio.

Era un dolore sordo sul nascere, ma le sue dita avevano unghie appuntite e pungevano con crudeltà feroce, lo artigliavano nell'anima.

Ferivano quell'orgoglio che credeva di aver perso da tantissimo tempo.

E Sena si accorse di possederlo solo quando le parole di Shin lo trapassarono da parte a parte, dritto al cuore di quella patetica autostima che ancora segretamente conservava. E quella piccola parte di lui, così inutile dopo tanti anni passati a subire in silenzio, ora urlava di dolore.

E rabbia.

Sena si accorse di essere arrabbiato.

Assurdamente arrabbiato.

Ferito nell'orgoglio.

Strinse i denti per arginare quella marea bruciante che gli stava montando in petto, nascendo dal dolore, superando il dolore, anestetizzando il dolore. Bruciava, ustionava come fuoco, ma dove passava tutto era insensibile alle ferite dell'animo. C'era solo quell'onda feroce e sconosciuta, o dimenticata da troppo tempo.

Non sai fare meglio di questo?

Normalmente Sena avrebbe chinato il capo per annuire e ammettere che sì, non sapeva fare nulla di meglio, che era un buono a niente senza speranza e che avevano tutte le ragioni per essere arrabbiati con lui.

Ma in quel momento, in quell'unico, singolo istante, Sena non pensò nulla del genere. Nessuna autocommiserazione, nessuna testa bassa.

Solo rabbia. Una rabbia feroce, da fargli vedere rosso.

Come osava?

Come cazzo osava dirgli una cosa del genere?!

Sena si ficcò le unghie nei palmi, i pugni stretti e tremanti, resistendo a stento all'istinto di colpire il proprio senpai, un desiderio tanto assurdo quanto inutile, poiché dentro di sé sapeva benissimo quanto sarebbe stata vana qualsiasi reazione violenta contro un ragazzo due volte più grosso di lui.

Ma la verità era che non voleva ferire Shin. Voleva dimostrargli quanto lui fosse nel torto. Voleva dimostrargli di essere migliore di quanto lui credesse. Di valere qualcosa. Di valere abbastanza per essere apprezzato.

Shin vide quegli occhi farsi grandi e tremare, li vide umiliati e feriti, specchi, laghi di dolore, così profondi da far vacillare per un attimo la sua determinazione, da fagli chiedere se quel tormento fosse realmente necessario al suo scopo: quel ragazzino non stava affatto fingendo, soffriva realmente, e molto. E il linebacker scoprì di trovare insopportabile il dolore su quel viso.

Ma poi vide quegli occhi accendersi, quel dolore prendere fuoco e tramutarsi in rabbia, in sdegno, in rancore, vide Sena stringere i denti, sentì il suo respiro sibilare fra essi, fremendo come per trattenersi. Vide quel ragazzino senza spina dorsale tremare di rabbia dalla testa ai piedi, come sul punto di rivoltarglisi contro.

Fu una scena meravigliosa.

Ed era esattamente quello che Shin stava aspettando.

- Di nuovo- disse senza distogliere lo sguardo e senza una parola in più si voltò, tornando al proprio posto.

Sena lo seguì con gli occhi fino a vederlo fermarsi e voltarsi di nuovo verso di lui, ricambiò il suo sguardo e, i denti ancora stretti, diede le spalle al proprio senpai. Solo in quel momento il ragazzino si rese veramente conto di essere su una linea di partenza, e questa sola consapevolezza gli mando l'adrenalina alle gambe: i suoi muscoli stavano fremendo, impazienti.

A quella sensazione si unì la consapevolezza dell'altro ragazzo a pochi metri dalle sue spalle, pronto a placcarlo senza pietà qualora lo avesse raggiunto, e Sena scoprì che sì, aveva paura, ma era una paura diversa, migliore. Non lo stava paralizzando, non lo stava gettando nel panico: lo rendeva solo più consapevole, più motivato. E l'adrenalina aumentava, non solo nelle sue gambe, ma anche nel resto del suo corpo. Iniziarono a tremargli le vene dei polsi.

E dopo tutto ciò, dopo la determinazione, l'eccitazione, la rabbia, laggiù in fondo oltre al traguardo, oltre al cronometro del coach, c'era quel posto in squadra, che non era un semplice posto in un club sportivo, era quasi un nuovo posto nella vita di Sena, una porta che dava su una realtà sconosciuta, ma probabilmente molto migliore di quella che il ragazzino aveva sempre conosciuto. Forse oltre a quella soglia così lontana avrebbe trovato un posto nel proprio mondo, un posto dignitoso, dove non si sarebbe dovuto vergognare di sé stesso; forse avrebbe trovato qualcuno che lo apprezzasse, qualcuno da poter chiamare amico, qualcuno con cui parlare delle cose di tutti i giorni, con cui ridere, scherzare, sfogarsi, confidarsi addirittura.

Doveva solo raggiungere quella porta. Solo raggiungere quella porta. Solo raggiungerla correndo. Da solo. Con le proprie sole forze. Con tutte le sue forze. Con tutto se stesso.

L'adrenalina gli andò alla testa, e davanti a lui c'era solo il terreno da percorrere.

Il fischio di Shoji-sensei non gli trapanò le orecchie, lo raggiunse quasi ovattato e quando arrivò le sue gambe erano pronte, come se non avessero mai aspettato altro in tutta la loro vita.

Sena scattò.

Più veloce di quanto fosse mai stato.

Più veloce di quanto avrebbe mai creduto possibile.

Le sue orecchie ronzavano, i suoi occhi erano fissi avanti, ma qualcosa dentro di lui seppe dire con certezza che anche Shin stava correndo.

Esattamente dietro di lui.

Molto più vicino di quanto avrebbe creduto possibile.

Sena strinse i denti e si costrinse a cacciare la paura che si agitava nel suo petto.

Più veloce.

Fece forza sulle proprie gambe, in quel modo che gli era stato insegnato tanti anni prima e che da allora il suo corpo aveva usato senza neppure rendersene conto.

Più veloce. Ancora di più.

Poteva esserlo, doveva esserlo.

Era tutto ciò che doveva fare, ed era tutto ciò che poteva fare in quel momento.

Non aveva nient'altro.

Solo le sue gambe. Solo la propria volontà.

Un secondo.

Due secondi.

Al terzo Sena sentì i capelli della nuca fremere e l'aria dietro di lui muoversi.

E per un istante si vide scaraventato a terra, nella polvere, laggiù dove non si sarebbe mai più potuto rialzare. Nella polvere della propria inutilità.

E si rifiutò. Tutto ciò che era Sena Kobayakawa si rifiutò.

La scarica di adrenalina che lo percorse per un attimo gli fece vedere bianco.

L'attimo dopo era oltre la linea del traguardo, illeso.

Vide gli alberi farsi più vicini, mentre le sue gambe rallentavano. Poi i suoi muscoli si fecero d'acqua e non lo sostennero più.

Sena crollò a terra, ansimando, le gambe che gli tremavano.

A pochi passi da lui, Shin era in piedi, immobile.

Takami, che lo osservava, poté notare solo il suo respiro leggermente accelerato e i suoi occhi appena più grandi del solito. Nulla faceva presagire ciò che, il quarterback ne era certo, stava succedendo dentro al linebacker.

Quando aveva allungato il braccio per placcare Sena e le sue dita non avevano trovato altro che aria, per un attimo Shin non era riuscito a capire cosa fosse successo. Dove ci sarebbe dovuta essere la piccola schiena del ragazzino, ora poteva vedere solo la propria mano, le dita quasi strette a pugno sul nulla.

Oltre ad essa, troppo lontano, correva Sena.

E la distanza che li separava cresceva, e cresceva, e cresceva.

Poi il ragazzino aveva superato il traguardo e Shin aveva rallentato fino a fermarsi.

La consapevolezza era arrivata subito dopo.

E con essa l'euforia.

Sentiva la cassa toracica vibrare sotto le pulsazioni furiose del proprio cuore, e il ragazzo sapeva che non si trattava solo della corsa.

Guardò quel ragazzino crollare a terra esausto e fu come se assieme a lui cadesse anche un peso dal proprio petto.

Non aveva bisogno di sentire le parole di Shoji-sensei.

- 4,2 secondi- disse la sua voce profonda e in quel momento più roca e tremante del solito.

Shin chiuse gli occhi e si sentì felice.

Lo aveva trovato.

Lo aveva trovato.

Lo aveva trovato.

E mentre avanzava per sollevare quel ragazzino, Sena, da terra, sentiva che non c'era nient'altro che gli importasse. Non in quel momento.



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Angolino delle Recensioni:


Fyinn: Evvai! Sono davvero felice che la mia idea ti sia piaciuta e che trovi il mio stile piacevole, è davvero una grande soddisfazione per me! ^w^ La coppia è fantastica, sotto tutti i punti di vista. *ç* Spero che questo capitolo ti sia piaciuto! ^w^ Alla prossima! ^3^


Vekra: Ringrazio il caso che ti ha portato qui! XD Sono davvero felice che la storia ti piaccia, soprattutto per la caratterizzazione dei pg: Sena può sembrare semplice da rendere, ma spesso ho paura di renderlo monotematico, quindi mi faccio sempre tante seghe mentali, mentre Shin... essendo il mio personaggio preferito me lo sono psicanalizzato bene, ma è comunque un essere difficile di cui scrivere, il maledetto! °-° Guarda, in effetti l'HiruSena è la coppia più papabile ad inizio manga, ma aspetta di vedere come diventano questi due qui più avanti e credimi, sono quasi imbarazzanti! XD Di HiruSena ci sono molte fanfiction inglesi su Fanfiction.net, anzi, credo che assieme all'HiruMamo sia la coppia che predomina, ma in italiano non ne ho mai vista nessuna. ç_ç Però su Ysal, un sito completamente yaoi, troverai altre due one-shot ShinSena. ^w^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! ^w^ Alla prossima! ^3^


BloodBerryJam: Bhuahahahahah! XD Aggiornato! Spero che non ti stancherai di leggere questo mattoncino di capitolo! XD Fammi sapere, ok? ^w^ Alla prossima! ^3^


Dalsia: Yai! Tranquilla, la tua recensione mi ha reso felicissima! ^w^ E' vero, Eyeshield è un manga stupendo, ma in Italia è decisamente sottovalutato (maledetto calcio -.-''') e per questo il suo fandom è piuttosto limitato, e di conseguenza sono limitate le sue fanfiction. ç_ç In effetti, l'HiruMamo predomina quasi in qualsiasi sito, ma, come ho detto a Vekra, su Fanfiction.net ci sono molte fanfic su tutti i pairing, yaoi e non, e su Ysal ci sono ben altre due ShinSena. *w* E se cerchi su internet, da qualche parte ci sono anche delle MusashiXHiruma, anche se non ricordo dove. XD A parte questo, sono davvero felice che la mia storia ti abbia incuriosita, anche perché a me gli “e se...” non piacciono moltissimo, forse perché ne ho sempre visti tantissimi completamente sballati, però spero di averne creato uno sensato: l'idea di Sena all'Ojou era troppo sbavosa. *ç* Eheh... niente mitra a sparare pallottole, ma come avrai visto neppure Shin-san è particolarmente soft con Sena. XD Spero davvero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! ^w^ Alla prossima! ^3^


Resha91: Guarda, quando ho letto quel numero ho avuto la stessa identica idea e andando avanti col manga... Dio, se diventano imbarazzanti! XD La coppia HiruMamo, se trattata in un certo modo, la digerisco anche abbastanza bene, ma quando vedo i siti saturati da questo pairing... portatemi una flebo! -.-''' In effetti di fanfiction yaoi su questo manga in italiano ce ne sono veramente poche, ma, come ho detto sopra, ne troverai in inglese su Fanfiction.net e in italiano su Ysal. ^w^ Ma tornando alla storia, sono davvero felice che l'idea ti sia piaciuta nonostante la necessaria uscita di scena di Hiruma&Co (anche se appariranno in uno o due capitoli, promesso! ^w^) e che la caratterizzazione di Sena ti sia parsa azzeccata: la situazione è effettivamente assurda, ma cercherò di seguire l'evoluzione del personaggio il più fedelmente possibile a quanto avviene nel manga originale. ^w^ Shin è sempre il solito essere difficile da muovere, anche se è il mio personaggio preferito e me lo sono psicanalizzato accuratamente... ma rimane comunque un essere difficile... e del resto, dove starebbe il divertimento se così non fosse? ^w^ Andando avanti con la storia spero di approfondirlo molto di più e di far luce su alcuni punti della sua vita che nel manga non ci sono mostrati. ^^ Passando alla parte tecnica, ti do ragione sul paio di cosine da sistemare, che non avevo visto quando ho pubblicato il capitolo, o che avrei potuto rendere meglio, e ti ringrazio anche per avermele fatte notare! ^3^ L'articolazione semplice dei periodi è derivata dal fatto che voglio considerare questa fanfic meno impegnativa delle mie solite, anche se più mi immergo, necessariamente, nella mente dei personaggi, più temo che tornerò al mio stile più “difficile”, ma tenterò di contenermi e di non rendere il tutto troppo pesante. °-° Spero che il passato di PoV sia ancora scorrevole, anzi, spero lo sia di più, visto che sarà molto più frequente. ^w^ Eh, proprio perché il fandom è così giovane mi sono azzardata a scrivere una “What if...” del genere! ^w^ Alla prossima! ^3^



Dizionarietto:


-kun: suffisso tipicamente maschile, rivolto soprattutto a compagni di classe o a conoscenti.


Riguardo ai termini specifici del Football Americano, non credo che ci sia bisogno di scendere nei particolari, poiché suppongo che se state leggendo questa fanfiction abbiate letto il manga e di conseguenza conosciuto termini come runningback, linebacker e quarterback. Qualora dovessi usare termini più specifici, provvederò a dare spiegazioni, e se avete qualcosa da chiedere in proposito, risponderò volentieri nel dizionarietto. ^w^



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