from twilight to sunrise edward

di saffyj
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Compleanno ***
Capitolo 2: *** La festa ***
Capitolo 3: *** L' ultima notte ***
Capitolo 4: *** La Decisione ***
Capitolo 5: *** Addio ***
Capitolo 6: *** Ripensamenti ***
Capitolo 7: *** Esilio ***
Capitolo 8: *** Natale ***
Capitolo 9: *** Città Natale ***
Capitolo 10: *** Rimpatriata ***
Capitolo 11: *** Inghilterra ***
Capitolo 12: *** La Caccia ***
Capitolo 13: *** Due Improbabili Assistenti ***
Capitolo 14: *** La Notizia ***
Capitolo 15: *** I Vampiri Italiani ***
Capitolo 16: *** Il Viaggio di Ritorno ***
Capitolo 17: *** La Votazione ***
Capitolo 18: *** Compromesso ***
Capitolo 19: *** Jacob Black ***



Capitolo 1
*** Il Compleanno ***


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Passai un’estate indimenticabile, la migliore della mia esistenza, insieme alla donna che aveva fatto ricomparire in me la parte umana che avevo dimenticato per troppo tempo. Bella, con il suo profumo unico, con i suoi pensieri celati, con la sua curiosità infinita, con il calore e la morbidezza del suo corpo, era riuscita a farmi rivivere ed il tempo che passavo con lei non sembrava mai abbastanza.
Trascorrevamo le soleggiate giornate estive nella valletta nascosta in mezzo alla foresta di Forks, parlando del passato, del presente e del futuro, sdraiati sul manto d’erba che ci sfiorava la pelle e circondati dai fiori di campo colorati. Ero avido, curioso di conoscerla nel profondo, sapere ogni piccola sfaccettatura del suo carattere, dei suoi pensieri, dei suoi sogni. Mi incantava quando arrossiva per una domanda e adoravo la luce che nasceva nei suoi occhi quando la prendevo in giro. Rimanevamo anche in silenzio ad ammirare il cielo, mano nella mano, il vento le scompigliava i capelli ed il sole si rifletteva sulla sua candida e vellutata pelle. Vivevo in un sogno.
Nelle giornate di pioggia rimanevamo a casa Cullen insieme alla mia famiglia.
Bella era diventata molto amica di Alice, la mia esuberate e veggente sorellina. Erano molto affiatate, si confidavano e si capivano al volo. Mia sorella si divertiva a vestirla e a truccarla come fosse una bambolina ed ogni tanto usciva dalla camera da letto esasperata per l’avversione che di Bella per la moda.
Bella passava ore con occhi affascinati e curiosi ad ascoltare le avventure del mio padre adottivo Carlisle, dalla sua nascita in Europa, alla sua traversata in America e la sua vita dopo aver incontrato gli altri membri della nostra famiglia. Esme, la mia madre adottiva, la trattava come una figlia, e sedeva sovente con noi mentre Carlisle narrava la sua storia e si divertiva a raccontare aneddoti che mi riguardavano, mettendomi ogni volta in imbarazzo.
Emmett, il mio fratellone corpulento e sempre allegro, si divertiva a scherzare con lei, la reputava la sua delicata e timida sorellina minore.  
Jasper e Rosalie, invece, rappresentavano un problema.
Jasper, essendo l’ultimo arrivato della famiglia aveva difficoltà a starle vicino senza dover combattere contro l’istinto di morderla, ma le voleva bene e sapeva che se le avesse fatto del male sia io che la sua amata Alice non lo avremmo mai perdonato, quindi cercava di mantenere le distanze adeguate mentre ascoltava i nostri discorsi.
Rosalie invece solo gelosa, anche se era intensamente innamorata di Emmett, l’arrivo di Bella aveva urtato la sua vanità. Quando mio padre trovò Rosalie pensò che potesse essere la mia compagna, ma non fui mai attratto da lei in quel senso, l’avevo sempre reputata mia sorella e per lei non provavo nient’altro che un sincero affetto fraterno. Oltre che essere offesa perché reputavo Bella più attraente di lei, Rose invidiava la mia amata, invidiava la sua mortalità, la sua vita da umana.
Tra le giornate appartati nel nostro piccolo paradiso e le giornate insieme alla mia particolare famiglia le vacanze estive giunsero velocemente al termine.
Io ed Alice saremmo ritornati a scuola per frequentare l’ultimo anno, Jasper sarebbe rimasto a casa per prendersi un anno sabbatico e per quanto riguardava i miei due fratelli maggiori Rosalie ed Emmett, anche se in paese tutti pensavano che sarebbero partiti per un rinomato college del Dartmouth, in realtà si sarebbero presi una vacanza. Quando partirono per l’Africa, Emmett disse alla famiglia che era per addolcire Rose portandola ad assaggiare i suoi animali preferiti, ma sapevo che era per allontanarla da Bella, in attesa che le passasse quella stupida gelosia.
La scuola stava per ricominciare ed il giorno del compleanno di Bella si stava avvicinando inesorabile. Mi spaventava il pensiero di come sarebbe stata la mia esistenza quando la sua vita sarebbe terminata, come ogni vita umana, ma non importava, volevo gustarmi ogni singolo momento con lei, ogni suo singolo sguardo, ogni suo singolo sorriso, ogni sfumatura della sua carnagione che cambiava in base alle sue emozioni. Era colei che amavo sopra ogni cosa, e sapevo che non sarei sopravvissuto alla sua dipartita, quindi anche io ero diventato per così dire mortale.
Avevo passato ottant’anni da immortale, sapendo che la mia esistenza non avrebbe mai avuto una fine. Ero annoiato e senza uno scopo, mi trascinavo nel grigio delle giornate, in attesa di nulla, perché nulla mi stava attendendo. Da quando la incontrai la luce aveva inondato la mia non-vita, la stavo vivendo appieno, avevo un motivo per attendere il nuovo giorno, per vivere ogni secondo e ogni momento. Anche se la mia esistenza aveva di nuovo una data di scadenza ero felice.
Non avevo mai espresso la mia decisione a Carlisle ed Esme, non mi avrebbero permesso di annullare la mia esistenza e non avrebbero accettato di perdermi. Io non volevo esistere senza di lei, il mio mondo sarebbe ritornato ad essere buio ed inutile, oltre che straziante perché ormai avevo conosciuto l’amore e ne ero drogato.
Come ogni notte la passai nella sua camera da letto, era mezzanotte passata e la casa di Bella era buia e silenziosa. Il suo pick up era parcheggiato sul bordo della strada e l'automobile della polizia del padre nel vialetto. Non c'erano pensieri coscienti nelle vicinanze, Charlie stava sognando grandi specchi d’acqua ed enormi pesci. Bella giaceva nel piccolo letto, le coperte sul pavimento e le lenzuola attorcigliate tra le gambe. Mentre la osservavo, seduto sulla ormai famigliare sedia a dondolo, si girò irrequieta e spostò un braccio sulla testa. Stava sognando qualcosa che la disturbava. Mi avvicinai silenziosamente, mi coricai vicino a lei mettendo la coperta tra di noi per evitare che il freddo del mio corpo la svegliasse e le accarezzai i capelli cantandole la sua ninna nanna.
“No Edward, lei ti vedrà!” disse nel sogno con un fremito, stava sognando me, anche io avrei sognato lei, se solo mi fosse stato concesso di poter dormire.
Pensai a chi potesse essere la persona con il quale Bella stesse parlando nel sogno, passai al vaglio tutte le sue conoscenze. Tutti i suoi amici e suo padre mi conoscevano e mi avevano visto, non al sole ovviamente, lo scintillio della mia pelle non sarebbe stato facile da spiegare senza poter dire quale era la mia vera natura. Forse aveva sognato che suo padre mi aveva scoperto in camera sua nelle mie incursioni notturne? Era impensabile, i pensieri di Charlie mi davano sempre un certo preavviso.
Quando il sole sorse, sentii suo padre svegliarsi nella camera adiacente.
Ho dimenticato di sotto i regali … perché mi sono fatto convincere da Renée? E’ vero che i diciotto anni si compiono una sola volta nella vita ed è un traguardo importante, ma a Bella non piacciono i regali… …
Avevo a disposizione ancora pochi minuti prima che Charlie entrasse nella camera della figlia, li passai imprimendo il suo sereno volto addormentato nei miei pensieri e a riempire i miei polmoni del suo profumo.
Sentii i passi ed i pensieri di Charlie avvicinarsi alla stanza, si fermò incerto di fronte alla porta e fece un profondo respiro.
Forza Charlie, mettila sul ridere e vedrai che non te li tirerà addosso … mmmh meglio scartare la macchina fotografica, così sembrerà meno un regalo … pensò mentre strappava la carta.
Sorrisi e in un soffio mi precipitai fuori dalla finestra. La guardai ancora una volta e le soffiai un bacio augurandole buon compleanno. Mi voltai e corsi verso casa per cambiarmi e prendere Alice per portarla a scuola.
 
Bentornato pensò Alice che mi aspettava sulla porta di casa con un sorriso smagliante ed un viso troppo allegro per il solo fatto di vedermi.
“Cosa stai macchinando?” le chiesi alzando il sopracciglio. Conoscevo mia sorella e le sue idee bizzarre.
Oggi è il compleanno di Bella!!! Urlò nei pensieri.
“A lei non piace essere festeggiata ed ha più volte ribadito di non voler regali!” le ricordai con uno sguardo che non ammetteva repliche, ma con la voce influenzata dal suo buonumore.
Sono anni che non festeggiamo un compleanno, non puoi negarmi questo divertimento! Ti prego falle cambiare idea, convincila a festeggiare! Ti prego! Ti prego! Ti prego!
Mi guardava con occhioni dolci e il labbro leggermente imbronciato.
“Ci proverò, ma non posso prometterti niente! In quanto a testardaggine tu e Bella siete molto simili!”
Ho già visto tutto, il regalo che le abbiamo fatto le piacerà e la festa sarà perfetta!
“Le abbiamo fatto un regalo?” non mi ricordavo di aver acquistato qualcosa per lei, e poi non mi sarei mai permesso di andare contro ad una richiesta di Bella, lei mi aveva scongiurato di non farle regali.
Sì, ma tranquillo, è speciale. Ho registrato le tue canzoni, la sua ninna nanna, la sonata d’amore che hai scritto per Carlisle ed Esme e tante altre! E poi anche suo padre e sua madre le hanno fatto dei regali!
Era un’idea deliziosa, avrebbe avuto sempre a ricordarle quanto la amavo, le mie composizioni, la parte più intima di me, le mie emozioni.
“Hai detto festa?” spalancai gli occhi dalla sorpresa, il regalo poteva andare, ma Bella non avrebbe mai accettato una festa in suo onore.
Siiii! Qui a casa nostra, fiori, ghirlande, luci, candele … ed anche la torta! Sarà un compleanno indimenticabile!
“Devi essere impazzita! Non verrà mai e sicuramente si arrabbierà con me se la obbligo!”
Mi prenderò tutte le colpe, dai, dai, dai, ho già acquistato ed organizzato tutto! Ho disdetto i suoi impegni lavorativi! Ho acquistato i festoni e pure comprato i regali che gli altri le faranno. Emmett, Rosalie e Jasper le regaleranno un’autoradio – Rosalie che faceva un regalo a Bella? Che buffo! Ero curioso di vedere la faccia di Rose e sapere a cosa aveva pensato quando Alice glielo aveva proposto – Carlisle ed Esme un viaggio per voi due piccioncini a Jacksonville, da sua madre; io e te il CD! Vedi, non devi preoccuparti di nulla, devi solo portarla qui!!!
Era entusiasta, sembrava volare. Nella sua mente scorrevano tutte le immagini del prossimo futuro ed era la festa perfetta.
“Ok! Ti asseconderò, ma sarai tu a dirglielo!”
Volò su per le scale, prese gli oggetti di scena di scuola, si accomodò in macchina picchiettando nervosamente i piedi. Non vedeva l’ora di arrivare a scuola per invitare Bella. La mia Alice, avrebbe di nuovo festeggiano un vero compleanno, era questo che la faceva premere
Arrivati nel parcheggio della scuola, mi appoggiai alla mia Volvo in attesa di Bella. Quando vidi arrivare il pick up, notai lo sguardo cupo di Bella. Non capivo, quando l’avevo lasciata addormentata nel suo letto aveva un viso sereno, adesso era tirato e le occhiaie segnavano i suoi splendidi occhi.
Sbattè la portiera del Chevy così forte che una pioggia di ruggine cadde sull’asfalto. Si avvicinò lentamente a noi guardando accigliata il pacchetto avvolto nella carta d’argento che Alice teneva tra le mani. Non era contenta che mia sorella non avesse dato ascolto alle sue richieste, ma Alice fece finta di nulla e le svolazzò incontro con un sorriso smagliante ed il volto raggiante.
“Buon compleanno, Bella!”
“SSShhhh!” la zittì guardandosi intorno per assicurarsi che nessuno avesse sentito. Non voleva che si venisse a sapere che quel giorno era il suo compleanno, faticava già ad accettare le attenzioni nei giorni normali, sicuramente non sarebbe riuscita a sopportare le maggiori attenzioni che le avrebbero riservato gli altri studenti per quel particolare giorno, era troppo timida e riservata per essere messa al centro dell’attenzione.
Alice la ignorò.
“Il regalo lo apri adesso o più tardi?” le chiese impaziente sporgendole il pacchetto mentre mi raggiungevano.
“Niente regali” borbottò.
“Va bene … più tardi allora.” Strinse il pacchetto tra le mani leggermente risentita e le chiese se le erano piaciuti i regali che le avevano fatto Renée e Charlie.
Beh! I loro regali li ha presi senza fare tante storie! Pensò leggermente stizzita.
Non mi arrendo glielo consegnerò stasera insieme agli altri! Mi fece l’occhiolino e continuò a discorrere come se niente fosse. “Secondo me la macchina fotografica è una bella idea. L’ultimo anno di scuola arriva una sola volta nella vita. Vale la pena di documentare l’evento”
“Tu quanti ultimi anni di scuola hai già vissuto?” Le rispose Bella con voce ironica.
“Questo è un altro discorso!”
Camminando a fianco di mia sorella, mi raggiunse ed io le offrii la mano. Al tocco con la mia pelle fredda il suo sguardo si addolcì. Il battito del suo cuore iniziò a rallentare ed io mi persi nei suoi occhi.
Sollevai la mano libera e sfiorandole le labbra con la punta del dito le chiesi conferma:
“Quindi, ho il divieto di augurarti buon compleanno, ho inteso bene?”
“Hai inteso benissimo” rispose in tono rigido.
“Ok. Speravo che avessi cambiato idea. Di solito la gente adora compleanni, regali e cose del genere”
La risata cristallina di Alice squillò come tanti campanellini “Vedrai che sarà un divertimento. Oggi tutti saranno gentili e faranno quello che dici tu, Bella. Cosa potrebbe succedere di tanto brutto?” Semplice, secondo Bella erano brutte le attenzioni che gli altri le rivolgevano.
“Che sto invecchiando” la sua risposta mi stupì, come poteva pensare che stesse invecchiando? Aveva solo diciotto anni, era giovanissima ed aveva tutta una vita davanti … Alice diede voce ai miei pensieri:
” Diciotto anni non sono tanti. Sbaglio, o di solito le donne non aspettano di averne almeno ventinove, prima di farsi rovinare l’umore da un compleanno?”
“Sono più vecchia di Edward” mormorò.
Sospirai, lei aveva diciotto anni, mentre io ero congelato nei miei diciassette. Immutabile dal giorno in cui persi la mia umanità e divenni il mostro che sono.
“Tecnicamente sì. Ma di un annetto soltanto” disse Alice disinvolta senza perdere il buonumore. “A che ora vieni a trovarci?”
“Non sapevo di avere una visita in programma” le rispose, lanciandomi un’occhiata interrogativa e leggermente scocciata.
“Oh, sii buona! Non vorrai rovinarci il divertimento?” si lamentò Alice.
“Pensavo che al mio compleanno si esaudissero i miei desideri” disse acida, sperando in un mio aiuto, ma volutamente non la guardai e mantenni la promessa fatta a mia sorella quella mattina. Anche io volevo festeggiarla e volevo che capisse quanto fosse importante per me festeggiare il giorno in cui era nata la persona che mi aveva fatto rivivere. Evitai il suo sguardo e dissi ad Alice:
“Vado a prenderla da Charlie subito dopo la scuola”
“Devo andare al lavoro” rispose pronta. Ma Alice l’aveva battuta sul tempo ed aveva avvisato la signora Newton che Bella non sarebbe andata a lavorare.
“… non ho ancora guardato Romeo e Giulietta, per la lezione di inglese” ribatté cercando disperatamente una via di uscita dall’imboscata di mia sorella.
Era goffa nei suoi tentativi e se non l’avessi conosciuta bene mi sarei offeso per la sua resistenza a rifiutare l’invito, ma sapevo che per lei il problema non era passare una serata con ad un clan di vampiri, ma bensì essere l’ospite di una festa in suo onore.
Alice provò a convincerla, ma nessuna delle due intendeva cedere facilmente così, quando vidi l’avvilimento e la rabbia negli occhi di mia sorella ed il rossore sulle guance di Bella, decisi di intervenire.
“Tranquilla, Alice. Se Bella desidera vedere un film, lascia che lo faccia. E’ il suo compleanno …
Arriveremo verso le sette. Così avrai un po’ di tempo in più per prepararti.” Le feci l’occhiolino.
Grazie fratellino! 
La risata di Alice tornò a squillare: “Così va meglio. Allora ci vediamo stasera, Bella! Vedrai che ci divertiremo” e senza darle il tempo di rispondere, le diede un buffetto sulla guancia e si diresse a passo di danza verso la prima lezione.
Era incorreggibile: tutto ciò che riguardava le faccende umane la rendeva entusiasta e grazie a Bella stava riuscendo a vivere esperienze che non ricordava.
“Ti prego, Edward …” mi implorò con quei profondi occhi color cioccolato.
Le posai delicatamente un dito sul labbro per zittirla. Il suo fiato caldo mi accarezzò la mano ed io iniziai ad immaginarmi abbracciato a lei con le nostre labbra unite, ma mi trattenni, eravamo in ritardo per l’inizio delle lezioni.
“Ne parliamo dopo. Ora è tardi” le dissi prendendola per mano e trascinandola a lezione.
Cercai di non guardarla mentre ci accomodavamo nei soliti posti in fondo all’aula. Non volevo che mi accusasse di non aver rispettato il patto di non festeggiarla e di non aver preso le sue difese quando discuteva con Alice. Ero contrario al suo modo di affrontare quel bellissimo giorno e non capivo perché fosse così restia a festeggiare. Ero felice che Alice avesse esaudito il mio desiderio mai espresso di fare una festa in suo onore.
 
Ripensai ai nostri discorsi sulle ricorrenze. Diceva di sentirsi impacciata per i riflettori che certe occasioni le puntavano addosso. La rendevano nervosa mettendo maggiormente in crisi il suo già precario equilibro. Non si rendeva conto di quanto fosse bella quando inciampava, di quanto mi rendesse felice poterle offrire una mano per sostenerla. Il suo essere impacciata era sublime.
Fuori da scuola aveva sottolineato il fatto che adesso aveva un anno in più di me. Era solo un anno e non era assolutamente cambiata, la sua pelle era perfetta nel suo color porcellana, i suoi capelli erano di un luminoso color cioccolato, i suoi occhi erano profondi e il suo profumo era sempre irresistibile. Forse il suo umore era dettato dal fatto che non avevo voluto cedere alla sua richiesta di renderla come me, non l’avevo cristallizzata nei suoi diciassette anni come ero stato pietrificato io nei miei. Non si rendeva conto di quanto fosse fortunata ad essere un’umana, di quante cose poteva ancora sperimentare, provare, capire … di quanto fosse difficile essere immutabili, vivere un’eternità vuota in cui le uniche cose per cui lottare sono il potere ed il sangue che ti rende schiavo. La sete che supera ogni emozione, pensiero o desiderio.
Non mi importava che invecchiasse, che le venissero le rughe, che i suoi capelli diventassero bianchi, che i suoi occhi si velassero per la vecchiaia. Lei era e sarebbe sempre stata la mia Bella. Le sarei stato accanto, l’avrei accompagnata in tutte le esperienze umane che mi erano concesse e l’avrei attesa per quelle che non potevo vivere con lei, e poi l’avrei seguita quando avesse chiuso gli occhi per sempre.
Per tutto il giorno io ed Alice evitammo il discorso compleanno e Bella iniziò a rilassarsi, forse sperava che ce ne dimenticassimo … non sapeva capito quanto potessero essere tenaci i fratelli Cullen.
All’ora di pranzo, in sala mensa, ci sedemmo al tavolo degli amici di Bella. Era la sede di uno strano genere di tregua. Noi tre, io, Bella e Alice sedevamo ad un estremo della tavolata.
Sedevamo insieme a Mike, Jessica, Lauren, Ben, Angela e gli altri ragazzi della compagnia.
Mike finalmente aveva rinunciato a conquistare Bella e si sforzava di essergli amico, anche se a volte i suoi pensieri volavano verso fantasie impossibili riguardanti la mia amata. Jessica, che durante l’estate si era lasciata con Mike rivolgeva i pensieri pieni di veleno verso il ragazzo, dando tregua a Bella.
Chi non sopportavo affatto era Lauren: odiava Bella visceralmente. Ogni volta che Bella parlava, o il discorso si spostava su di lei, i pensieri di Lauren erano pieni di disprezzo. Cercavo di tener fuori dalla mia testa quei pensieri. Bella non aveva fatto nulla per attirare tutto quell’odio ed il mio senso di protezione mi spingeva a proteggerla, ma non potevo dare libero sfogo alle mie fantasie di rivalsa se volevo che continuasse a frequentare i suoi amici e non mi vedesse come un spietato assassino.
Angela e Ben avevano superato l’estate, erano ancora follemente innamorati, ne ero felice. Parte della loro felicità era dovuta al mio ritrovato istinto umano ed al mio desiderio di vedere una storia d’amore a lieto fine. Ricordai con un sorriso la scenetta improvvisata da me ed Emmett l’anno precedente nella classe di spagnolo per spingere Ben a dichiararsi ad Angela. Erano fatti per stare insieme, entrambi avevano pensieri puri ed erano perdutamente innamorati. Erano gli unici che potevo reputare veri amici di Bella. Loro l’avevano capita e le stavano vicino per il piacere della sua compagnia.
Nessuno di loro parlava apertamente a me e ad Alice o ci guardava negli occhi. Ci tolleravano perché eravamo amici di Bella, ma sicuramente non eravamo reputati parte del gruppo. Io non ci badavo e nemmeno Alice. Se non fosse stato per Bella noi saremmo rimasti al nostro solito tavolo, quello che l’anno precedente occupavamo con i nostri fratelli.
Era leggermente in disparte ed in un punto strategico, perché nessun profumo di umano riusciva a raggiungerlo accidentalmente. La vicinanza con altri umani non era mai stato un bisogno, anzi, a volte la loro vicinanza poteva essere un problema. Se non eravamo sazi, bastava un odore improvviso per far risalire il veleno alla bocca ed irrigidire i nostri muscoli in attesa di attaccare la preda. Eravamo sempre stati in disparte, ma adesso ero sempre sazio, non volevo rischiare di far riemergere il demone quando stavo con Bella, e quindi anche i suoi amici erano al sicuro.

Al termine delle lezioni Alice, emozionata come una bambina a Natale, prese la mia macchina per correre a casa ed iniziare con i preparativi. Mi aveva ordinato di rimanere con Bella per essere certa che mantenessi la promessa e le impedissi di scappare.
Quando arrivammo al pick-up aprii la portiera a Bella, ma incrociò le braccia al petto e non si mosse rimanendo sotto la pioggia.
“E’ il mio compleanno, non mi è concesso guidare?”
“Sto fingendo che non lo sia, come mi hai chiesto tu” dissi con un sorriso ammaliatore.
“Se non è il mio compleanno, stasera non sono obbligata a venire a casa tua …” No, non mi imbrogliava, volevo festeggiarla e casa Swan non era distante.
“Va bene” chiusi la portiera del passeggero, le aprii quella del guidatore e mi presi la rivincita dicendole apertamente e ad alta voce “Buon Compleanno!”
“Shhh” mi zittì salendo velocemente in macchina.
Nell’abitacolo iniziai a giocherellare con l’autoradio antiquata di Bella, non riuscivo a prendere un segnale decente, ma sarebbe stata l’ultima volta che avrei dovuto litigare con quell’arnese perché dopo quella sera avrebbe avuto un’autoradio moderna.
“La ricezione è pessima” la punzecchiai pensando al regalo che le avrebbero fatto i miei fratelli.
Si indispettì, non sopportava che criticassi il suo mezzo. Ci era affezionata e diceva che il suo pick up aveva una grande personalità. Io ci vedevo solo tanta ruggine e molte parti pericolanti.
“Vuoi un impianto migliore? Guida la tua macchina” mi rispose nervosa. Rimasi di stucco, non mi aveva mai trattato in modo così gelido, nemmeno quando avevo messo la sua vita in pericolo, ma non mi arrabbiai. Anzi trattenni una risata, per lei meglio rischiare la vita che dover andare ad una festa. Era veramente unica e piena di sorprese.

Parcheggiò il pick up di fronte a casa sua e appena spense il motore le presi il viso tra le mani. La sfiorai le tempie, le guance rosse di rabbia ed il mento. Lo feci con delicatezza, cercando di rilassarla, era adorabile quando era arrabbiata, ma la adoravo di più quando mi sorrideva.
“Dovresti essere di buonumore” le dissi così vicino al viso da sentire il suo calore passare sulla mia gelida pelle.
“E se non volessi essere di buonumore?”
“Peccato” risposi e la baciai sulle morbide labbra. Il suo cuore impazzì e mi baciò con entusiasmo. Il demone fece stridere le catene, il veleno mi riempì la bocca e i muscoli si contrassero pronti ad attaccare. La parte umana fremeva per continuare quel contatto, ma il demone scalpitava. Smisi di respirare e, delicatamente, sciolsi l’abbraccio e mi scostai.
“Fai la brava per favore” le sussurrai.
Per poterle salvare la vita avevo posto dei confini di sicurezza alla nostra relazione fisica. Non volevo che il demone si risvegliasse rendendo reali le visioni di Alice: lei trasformata in una di noi, o dissanguata tra le mie braccia. Bella, però, non riusciva a vedere il pericolo e si lasciava trasportare dalle emozioni, dimenticando i miei denti affilati e pieni di veleno.
“Pensi che migliorerà mai?” chiese più a se stessa che a me. “Che un giorno il mio cuore la smetterà di uscirmi dal petto ogni volta che mi sfiori?”
“Spero proprio di no” risposi senza nascondere la felicità che provavo nel sentire che il suo cuore impazzisse per me.
Alzò gli occhi al cielo “Adesso andiamo a vedere i Capuleti e i Montecchi che si fanno a pezzi, d’accordo?”
“Ogni tuo desiderio è un ordine” e la accompagnai dentro casa.
Sprofondai nel divano mentre faceva partire il film. Quando si accomodò, le cinsi i fianchi e la appoggiai al mio petto. Presi un vecchio plaid dallo schienale e la coprii per poterla tenere vicino senza congelarla con il mio corpo.
“Sai Romeo mi ha sempre dato sui nervi” commentai all’inizio del film.
“Cosa c’è che non va in Romeo?” mi chiese piccata, come se le avessi toccato il suo primo amore.
Beh, prima di tutto è innamorato di questa Rosalina … non ti pare un po’ volubile, il ragazzo? Poi, qualche minuto dopo il matrimonio, uccide il cugino di Giulietta. Poco intelligente, davvero. Un errore dopo l’altro. Peggio di così non avrebbe potuto fare per demolire la propria felicità” adesso che sapevo cosa era l’amore, non capivo come potesse mutare così velocemente. Forse perché per noi vampiri tutto è immutabile e il sentimento viene inciso nella pietra del nostro cuore. Gli umani, invece, sono volubili, l’amore viene e va, il cuore è di carne e non può essere scolpito.
“Vuoi che lo guardi da sola?” disse sospirando.
“No, non preoccuparti, tanto io resto qui a guardare te” avrei passato la mia esistenza a guardarla ed oggi avevo pure la scusante che non potevo perderla di vista… era attesa ad una festa.
Con le dita tracciai dei disegni immaginari sul suo braccio e la sua pelle si increspò.
“Pensi che piangerai?” le chiesi sfiorandole l’orecchio con le labbra.
“Probabilmente sì, se seguo la trama.”
“Allora cercherò di non distrarti” … ma non era facile, averla così vicino e restare immobile. Iniziai a baciarle i capelli che profumavano di lavanda e a sfiorarle la pelle vellutata.
Le sussurrai le battute del suo amato Romeo:
Perdonami, perdonami di amarti e di avertelo lasciato capire.” …
“E allora non ti muovere fin ch'io raccolga dalle labbra tue l'accoglimento della mia preghiera. Ecco, dalle tue labbra ora le mie purgate son così del lor peccato” … 
“Occhi, guardatela per l'ultima volta! Braccia, stringetela per l'ultima volta! E voi labbra, che siete le porte del respiro, suggellate con un bacio legittimo un contratto eterno con la Morte ingorda. Vieni, amaro capitano, vieni, guida disgustosa, tu, pilota disperato, scaglia la tua logora barca stanca di mare d'un colpo contro gli scogli taglienti. Ecco, bevo al mio amore!”
Mentre ripetevo le battute di commiato di Romeo ripensai alla primavera precedente, quando disperato correvo verso la mia Bella braccata dal sadico vampiro, ed ai pensieri che avevano accompagnato il viaggio in aereo verso Phoenix. Se fossi arrivato tardi, non sarei sopravvissuto a lei, ma a differenza di Romeo e Giulietta non mi bastava un po’ di veleno o una stilettata al cuore per porre fine al mio dolore. I pensieri si tramutarono in parole ancor prima che me ne accorgessi.
“Ti confesso che qui lo invidio un po’”, le asciugai le lacrime che alla scena finale avevano fatto capolino.
“In effetti lei è molto carina.”
“Non gli invidio la ragazza - la punzecchiai sul fianco con un dito - … ma la facilità con cui si è suicidato. Per voi umani è così facile. Vi basta buttare giù una fialetta di estratto vegetale …”
“Cosa?”
“Una volta ci ho dovuto pensare e, dall’esperienza di Carlisle, sapevo che non sarebbe stato semplice. Non so neanche a quanti tentativi di suicidio sia sopravvissuto lui, all’inizio … dopo essersi reso conto di ciò che era diventato …” cercai di smorzare la tensione che avevo creato inavvertitamente ed ironizzai rilassato “Ciononostante, è ancora in forma smagliante!”
Si voltò confusa “Cosa stai dicendo? Cosa vuol dire che una volta ci hai dovuto pensare?”
“La primavera scorsa, quando hai rischiato di … morire …” Presi un profondo respiro come quando ero umano: in qualche modo quel gesto mi tranquillizzò. “Ovviamente cercavo di concentrarmi per ritrovarti ancora viva, ma una parte di me valutava le alternative. Come ho detto però, per me non è facile come per gli esseri umani.”
Per un secondo vidi nei suoi occhi lo sgomento. Il ricordo della primavera precedente era ancora vivo in lei. Il cuore iniziò a batterle forte ed il sangue salì al suo viso. Chinò il capo verso la cicatrice che quel vile di James le aveva lasciato sul polso quando cercò di ucciderla.
Scosse il capo, come per liberarsi dei brutti ricordi, e preoccupata mi chiese: “Di quali alternative parli?”
Beh, non sarei mai riuscito a vivere senza di te. Ma non sapevo come avrei fatto… sapevo di non poter contare su Emmett e Jasper … perciò pensai di andare in Italia, a scatenare l’ira dei Volturi”
Mi rividi nella primavera passata. Riprovai il tormento del mio senso di protezione distrutto perché non ero riuscito a proteggere Bella ed avevo fatto fuggire James. Il vuoto che provai al solo pensiero di non arrivare in tempo a Phoenix per salvarla. Risentii la confusione di quando Alice mi avvertì della fuga di Bella. Mi rividi correre per l’aeroporto in preda al panico alla ricerca di lei. Il momento in cui persi le sue tracce. La rabbia che mi assalì quando sentii le urla di Bella nella scuola di danza. L’istinto assassino si era impossessato di me e desiderava far sparire per sempre James dalla faccia della terra quando me lo trovai davanti, vicino al corpo esanime di Bella. Il demone si risvegliò. Anche lui si ricordava l’estasi provata nell’assaggiare il sangue di Bella, quando dovetti berlo per eliminare il veleno del segugio… il disgusto mi assalì e ricacciai il mostro in catene. Rividi Bella nel letto d’ospedale di Phoenix, in lotta contro la morte e riprovai il dolore del vederla così fragile ed essere solo un impotente spettatore.
“Cosa sono i Volturi?” mi chiese.
“Una famiglia. Una famiglia di nostri simili, molto antica e potente. Quanto di più vicino abbiamo a una casata reale. Da giovane prima di trasferirsi in America, Carlisle ha vissuto per un po’ con loro in Italia … ti ricordi la sua storia?”
“Certo che sì!” rispose Bella. Anche lei ricordava il giorno in cui le raccontai la storia di Carlisle, aiutato dai quadri appesi sulle pareti dell’ufficio di mio padre. Sorrisi al ricordo dello sguardo meravigliato di Bella quando lo riconobbe raffigurato nel quadro di Francesco Solimena in compagnia di Aro, Caius e Marcus Volturi.
 “Comunque i Volturi non vanno fatti arrabbiare, a meno che non si cerchi la morte, o qualunque altra cosa che ci sia in serbo per noi.” Affermai in modo calmo sperando di non spaventarla. Il timore che il mio mondo la allontanasse da me era sempre presente.
Forse non avrei dovuto parlarle dei miei pensieri, ma con lei mi riusciva difficile nascondere le mie riflessioni ed i miei timori.
Mi prese il viso tra le sue calde mani e guardandomi con occhi ora pieni di sgomento e la voce spezzata mi rimproverò:
“Non devi mai, mai, mai più pensare a una cosa del genere! Non importa ciò che potrebbe accadere a me, non ti permetterò di fare del male a te stesso” continuava a volermi difendere da me stesso. Non sapeva che non ne avevo bisogno. Avevo imparato a gestire il mio demone.
“E’ un discorso inutile … non ti metterò più in pericolo”
“Come se fosse colpa tua! Come ti passa per la testa una cosa del genere?” era rossa in viso. “E tu? cosa faresti se i ruoli fossero invertiti?”
“Non è la stessa cosa” risposi scuotendo la testa. Lei era umana, il dolore sarebbe scomparso con il passare del tempo.
“Perché no? Se succedesse qualcosa a te? Ti piacerebbe se anch’io mi togliessi di mezzo?” Era così convinta che riuscii ad immaginarmela nell’atto di uccidersi. Il dolore mi trafisse e il senso di colpa per essere il motivo del suo gesto bloccò il mio cuore già morto.
“Penso di capirti, ma … cosa farei io senza di te?”
“Quello che facevi prima che arrivassi a complicarti la vita!” La faceva semplice. Prima che lei arrivasse la mia esistenza era vuota e faticavo ad accettarla. Nel momento in cui non ci fosse più stata, tutto sarebbe diventato insopportabile, il vuoto che avrebbe lasciato sarebbe stato straziante.
 “Tu la fai troppo semplice” le risposi scocciato.
“Lo è. In fondo non sono così interessante”
Volevo ribattere che non riusciva a vedere come la sua presenza avesse modificato completamente la mia non-vita. Volevo spiegarle come l’avesse resa completa. Adesso volevo vivere ed ero felice di non essere morto nel 1918. Ma non volevo litigare con lei proprio il giorno del suo compleanno e quindi tagliai corto: “Discorso inutile”.

Speriamo che sia di buonumore penso sia una buona idea farle trovare cena pronta per il suo compleanno…
I pensieri di Charlie che rientrava furono provvidenziali.
Mi ricomposi, tenendola per mano.
Charlie entrò in casa con la scatola della pizza in mano e ci salutò con un gran sorriso.
“Ciao, ragazzi! Pensavo che almeno il giorno del tuo compleanno ti facesse piacere non dover cucinare né lavare i piatti. Avete fame?” disse sporgendo il cartone della pizza verso Bella.
“Eccome. Grazie papà.”
Mangiarono con calma ed in silenzio. Sia Bella che il padre non provavano imbarazzo a restare in silenzio durante la cena. Era il loro modo di rispettare le reciproche privacy. Io non mangiai, come tutte le volte che mi fermavo all’ora di cena. Charlie non domandò mai il motivo della mia mancanza di appetito, ma vidi nei suoi pensieri che la mia inappetenza non lo convinceva. Preferiva non parlarne per evitare litigi inutili con la figlia.
Quando terminarono il pasto ed i pensieri di Charlie mi assicurarono che era tranquillo gli chiesi:
“E’ un problema se prendo in prestito Bella, per stasera?”
I suoi pensieri tornarono ai primi compleanni di Bella ancora neonata ed ai festeggiamenti con la famiglia ancora unita. Lui, Bella e Renée insieme. Pensò ai compleanni che aveva festeggiato da solo dopo il divorzio con la moglie e la figlia lontana. Cercò di scacciare la tristezza e guardò Bella cercando di non far trasparire le proprie emozioni.
Ormai è grande non posso costringerla a passare il compleanno con me, ormai ho perso le mie occasioni! Meglio lasciarla andare, sicuramente è quello che vuole!
Povero Charlie, non poteva sapere che Bella preferito evitare la festa che Alice aveva organizzato per lei!
Mi diede il consenso. Prese la macchina fotografica che le aveva regalato. Gliela lanciò. La afferrai prima che toccasse il linoleum.
“Bella presa!” si complimentò. “Se stasera dai Cullen ci sarà da divertirsi, è meglio che scatti qualche foto, Bella. Sai com’è tua madre… vorrà vederle”
“Buona idea!” commentai porgendo la macchina fotografica a Bella.
La prese e scattò una foto “Funziona!” disse sorridente.
“Meno male. Ehi! saluta Alice da parte mia. E’ da un po’ che non la vedo” un sorriso spuntò sul suo viso al pensiero della mia sorellina. Le si era affezionato la primavera precedente durante la convalescenza di Bella.

Avevo superato anche l’ultimo ostacolo.
Arrivati al pick up, le aprii la portiera, non disse nulla e si accomodò sul sedile senza protestare.
Il suo umore era buono. Perfetto!

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Capitolo 2
*** La festa ***


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Il mio umore rischiò di essere rovinato dal limite di velocità a cui il Chevy mi costringeva. Il motore cigolava per lo sforzo a cui lo stavo obbligando. Premevo il pedale dell’acceleratore al massimo, ma non voleva saperne di superare gli ottanta km/h. Vibrava in modo impressionante e sentivo le lamiere che gemevano per lo sforzo, ma ero impaziente di arrivare alla festa. Se fossimo stati con la mia auto saremmo già arrivati a destinazione. Perché non si convinceva a mandare in pensione quel rottame ed accettava che le regalassi una macchina silenziosa e veloce?
“Vacci piano!” mi rimproverò come una madre premurosa che parla del proprio figlio.
“Sai cosa farebbe per te? Una bella Audi coupé. Silenziosa e potentissima …” così non avrei più dovuto sopportare la fiacca e il rumore di quel vecchietto. Con i miei sensi da vampiro il tutto era amplificato e assolutamente irritante.
“Il mio pick up è perfetto” - certo per lei quei rumori non erano assordanti come per me - “A proposito di oggetti costosi e superflui, se avessi un po’ di buonsenso non spenderesti un soldo in regali di compleanno” il buonsenso era mandare in pensione quel pick up, e comunque la sua frase riuscì a ridarmi il buon umore, Alice non mi aveva fatto spendere nemmeno un soldo per il suo regalo.
“Nemmeno un centesimo” le assicurai, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“Bene”
“Mi fai un favore?”
“Dipende dal favore”
Presi un bel respiro e la guardai intensamente negli occhi cercando di farle capire l’importanza del piacere che le stavo chiedevo.
 “Bella, l’ultimo di noi a festeggiare un vero compleanno è stato Emmett, nel 1935. Cerca di capirci, e questa sera non fare troppo la difficile. Sono tutti su di giri.”
E quando dicevo tutti su di giri, intendevo proprio tutti. Rosalie aveva obbligato Emmett a tornare dal loro viaggio in Africa, per poter festeggiare quel compleanno. Avevo intravisto i pensieri di Rosalie e mi aveva sorpreso, per la prima volta era felice di vedere Bella, ovviamente l’astio per lei non era diminuito, ma oggi era un’occasione veramente unica e umana, e sapevo quanto ci tenesse mia sorella a queste cose.
“D’accordo, mi comporterò bene” mi assicurò
“Forse dovrei metterti in guardia…”
“Ti prego, fallo”
“Quando dico che sono tutti su di giri … intendo proprio tutti!”
“Tutti?” il suo cuore iniziò a battere a ritmo irregolare, il sangue affluì sul suo viso e gli occhi le si spalancarono dallo stupore, e con un filo di timore dichiarò “Pensavo che Emmett e Rosalie fossero in Africa”
“Emmett ci teneva” sapevo che Bella era affezionata ad Emmett, per lei era il fratello maggiore che non aveva mai avuto, e il sentimento era ricambiato dal mio fratello orso, non volevo mentirle, ma in quel momento era già confusa per la notizia del ritorno dei miei fratelli, non volevo aggiungere benzina sul fuoco, dicendole che Rosalie voleva festeggiare un evento umano, senza tener conto di chi fosse il festeggiato. L’avversione di Bella per le attenzioni che una festa in onore portava, non poteva essere mitigata dall’egoismo e dalla ricerca di eventi umani di mia sorella.
“E… Rosalie?”
“Lo so, Bella. Farà del suo meglio.” Ne ero certo, Rosalie non avrebbe rovinato quel suo privato momento da umana.
Cercai di cambiare discorso, volevo che Bella arrivasse alla festa con un’aria più serena e tranquilla.
“Allora, se non ti va bene l’Audi, che altro regalo vuoi?” Un libro nuovo, un bracciale, un viaggio in capo al mondo…
“Sai bene cosa voglio” disse in un sussurro. Mi rabbuiai, come poteva chiedermi la dannazione come regalo di compleanno? Cercai di rimanere calmo, era una serata importante, se non per lei, per la mia famiglia. Erano tutti emozionati e fremevano per quell’evento. Non le avrei permesso di rovinarlo.
“Non stasera, Bella” riuscii solo a rispondere a denti stretti.
“Bè, allora sarà Alice a darmi quello che voglio” non riuscivo a capire perché si doveva ostinare, perché doveva a tutti i costi rovinare quella serata, non era pronta, e il fatto che pensasse potesse essere un regalo era un’altra conferma che la mia decisione era giusta, non l’avrei trasformata e non avrei permesso a nessuno della mia famiglia di farlo. Mi sfuggì un ringhio profondo e minaccioso.
“Questo non sarà il tuo ultimo compleanno, Bella!” puntualizzai sperando che il discorso fosse chiuso.
“Non è giusto”
Digrignai i denti, stava riuscendo a farmi perdere la pazienza. Comprendevo che per lei il compleanno fosse un giorno non particolarmente felice, anche se non ero ancora riuscito a capirne il motivo. Ma non comprendevo perché si sforzasse così tanto a renderlo un giorno orribile anche a me ed alla mia famiglia. Volevo solo festeggiare un compleanno vero, con la mia amata e con la mia famiglia, volevo festeggiarlo in modo impeccabile, ed ero certo che Alice era riuscita a fare un ottimo lavoro, ma lei sembrava intenzionata a rovinare tutto.
Finalmente giungemmo a casa Cullen.
Alice aveva dato il meglio di sé. Non si era assolutamente trattenuta. La visione di casa mia e dell’aria di festa che emanava riuscì a migliorarmi l’umore.
Le finestre dei primi due piani erano tutte accese. Appesa alla veranda spiccava una fila di lanterne giapponesi, il cui bagliore si rifletteva delicato sugli enormi cedri che circondavano l’edificio. Grossi vasi di fiori colmi di rose rosa decoravano la scalinata di fronte alla porta centrale.
Feci qualche respiro profondo per calmarmi e allontanare completamente la rabbia. Tutta la mia famiglia attendeva questa festa e non volevo assolutamente rovinarla. Forse Bella non ne capiva l’importanza, ma ero certo che il suo altruismo avrebbe vinto sulla sua testardaggine.
“E’ una festa. Cerca di fare la brava.” Le ribadii
“Certo” mi rispose, la guardai negli occhi ed ebbi la conferma che aveva compreso l’importanza che aveva per noi quella serata. Più rilassato, andai ad aprirle la portiera e le offrii la mano.
“Ho una domanda” disse pietrificandomi. “Se sviluppo questo rullino, vi si vedrà nelle fotografie?” tutta la mia rabbia di pochi attimi prima svanì, scoppiai in una fragorosa risata, la mia Bella riusciva sempre a stupirmi, nella sua ingenuità e nella sua dolcezza. Mi immaginai le foto che ritraevano solo lei che abbracciava il nulla e quell’immagine mi fece continuare a ridere per tutto il vialetto fino alla porta di ingresso.
Le aprii la porta e scoppiò un
“Buon Compleanno, Bella!”
I miei famigliari erano tutti riuniti nella grande sala bianca che dava all’ingresso, ed erano tutti emozionati come bambini.
Poverina, l’abbiamo fatta arrossire mi fece notare Esme
L’abbiamo proprio presa alla sprovvista pensò felice Alice
Il pavimento era ricoperto di petali di rosa, dozzine di vasi di cristallo colmi con centinaia di rose rosa e candele in tinta, erano posizionati in più punti del salotto. Su un tavolo, vicino al pianoforte a coda, sopra una tovaglia bianca, spiccavano una torta di compleanno al gusto di fragola, tantissimi altri fiori ed una pila di piatti in vetro. Vicino erano stati posizionati i regali avvolti in carta argentata. Nell’aria un intenso profumo di fiori freschi. Ogni soprammobile, tessuto e tappeto era stato sostituito per essere in tinta con le rose rosa. Tutto era impeccabile, nulla era stato lasciato al caso, Alice si era data veramente da fare per quella festa e guardandola vidi i suoi occhi sprizzare di gioia. Sembrava la festeggiata!
Credi che ho esagerato?
Feci un sorriso e scossi leggermente il capo, senza farmi notare da Bella, assicurando alla mia esuberante sorellina che tutto era perfetto.
Sentii Bella irrigidirsi ed il suo cuore iniziò a correre, era a disagio, troppe attenzioni, la incoraggiai stringendole leggermente il braccio e baciandola delicatamente sul capo.
Esme la cinse con cautela tra le sue braccia e le sfiorò il viso con i morbidi capelli color caramello mentre la baciava sulla fronte.
Senti come batte forte il suo cuore, sicuro che non abbiamo esagerato? pensò apprensiva Esme, mentre mi guardava furtivamente. Scossi il capo e sorrisi anche a lei per rassicurarla.
Carlisle abbracciò delicatamente Bella dicendole: “Mi dispiace, Bella. Ma non siamo riusciti a trattenere Alice”
Rosalie ed Emmett erano dietro ai miei genitori. Rosalie era tranquilla quasi felice, ma fece bene attenzione a nascondere la sua felicità a Bella.
Questi eventi mi fanno sentire umana, mi rendono entusiasta, ma non per questo deve starmi per forza simpatica mi precisò
Esci con una più grande! Forte!
Mi canzonò felice Emmett. Il suo sorriso era illuminato, era sinceramente contento di rivedere Bella, nel breve periodo che avevano passato insieme lui si era affezionato tantissimo a lei, e trovava veramente spassosa la sua goffaggine.
Mi è mancata questa ragazzina, guarda come è diventata rossa, vediamo se riesco a farla arrossire di più …
“Non sei cambiata per niente” disse fingendosi deluso “Mi aspettavo di trovarti cambiata ed invece eccoti qui, con le guance rosse di sempre”
“Grazie mille Emmett” rispose arrossendo ancora di più
Ah, ah, ah … sghignazzò felice di essere riuscito nell’intento
“Devo uscire un attimo” guardò Alice e le fece l’occhiolino scoppiando a ridere “non combinare guai, mentre sono via” e in un secondo svanì dalla sala. Lo sentii aprire lo sportello del pick up e ridere del catorcio che era parcheggiato nello spiazzo davanti a casa.
“Ma come fa ad essere ancora in piedi questo rottame? Ma questa autoradio è più vecchia di me!” Ringraziando Bella non aveva il mio udito, non sarebbe stata sicuramente contenta di sentire i commenti di Emmett sul suo Chevy.
Alice lasciò la mano di Jasper e si avvicinò a Bella, il sorriso sfavillante e gli occhi accesi dalla felicità. Anche Jasper sorrideva, mantenendo le distanze. Rimase appoggiato al corrimano della scala. Scusa fratello, non mi sento ancora pronto ad avvicinarmi di più a lei.
Sapevo che era felice di festeggiare Bella, e che l’entusiasmo spropositato di Alice lo aveva contagiato, ma questo non negava che il profumo di Bella lo metteva a disagio, non era ancora ben allenato come noi, aveva passato la maggior parte della sua non-vita a nutrirsi di sangue umano e la dieta della famiglia Cullen, di cibarsi di solo sangue animale, non lo rendeva mai completamente sazio, quindi potevo comprendere la sua decisione.
Ascoltò anche la mia richiesta di non utilizzare il suo potere di influenzare le emozioni fin quando non si fosse reso necessario, cioè solo se Bella non fosse riuscita assolutamente a rilassarsi e a godersi il suo momento. Sapevo che era agitata per la festa, ma ero curioso di vedere le sue reali reazioni al compleanno mi fossero di aiuto per capire il motivo della sua avversione.
“E’ ora di aprire i regali!” dichiarò Alice
La prese a braccetto e la trascinò fino al tavolo con la torta ed i pacchetti luccicanti.
Bella sfoderò la sua miglior espressione da martire, ma essendo una pessima attrice, riuscii a cogliere un leggere entusiasmo nei suoi occhi.
“Alice, ti avevo detto che non volevo nulla…”
“Ed io non ti ho ascoltata … Apri” le disse sfacciata. Le tolse di mano la macchina fotografica e la rimpiazzò con una grossa e quadrata scatola argentata.
Era il regalo di Emmett, Jasper e Rosalie. Ovviamente era una scatola vuota, Emmett stava già montando il suo regalo, così era certo che non avrebbe potuto rifiutarlo.
Il suo volto, quando stracciò la carta, era buffo, rigirava tra le mani la scatola vuota con fare interrogativo, si vedeva benissimo che non capiva cosa fosse, ma in modo gentile disse “Ehm… grazie”
A Rosalie scappò un sorriso e Jasper sghignazzò.
Alice le spiegò “E’ un’autoradio per il tuo pick up, Emmett è andato subito a installarla, così non potrai rifiutare”
“Jasper, Rosalie … grazie” disse con un sorriso, e con la coda dell’occhio mi guardò, aveva capito le mie lamentele del pomeriggio, quella luce nei suoi occhi di quando capiva che la prendevo in giro, mi fece girare la testa, era adorabile.
“Grazie Emmett” gridò
Si sentirono le risate tonanti rimbombare dal pick up
“Il prossimo anno sicuramente una macchina nuova, qui cade tutto a pezzi …” le rispose Emmett, e nuovamente ringraziai che non avesse il nostro udito fino.
“Adesso apri quello mio e di Edward” disse Alice così entusiasta che la sua voce somigliava ad un trillo acutissimo. Le sporse impaziente l’involucro, quadrato e piatto. Anche io ero emozionato, finalmente avrebbe avuto qualcosa di mio che le ricordasse sempre il mio amore per lei. Cercai di rimanere impassibile, ma se avessi avuto un cuore vivo adesso mi sarebbe uscito dal petto.
Mi guardò con sguardo inceneritore “Avevi promesso” io la ricambiai con sguardo innocente, non riuscivo a trattenermi dal ridere, ero emozionato come un bambino, e poi non avevo infranto nessuna promessa, non le avevo acquistato niente.
Emmett entrò salvandomi, “Appena in tempo” disse, spingendo Jasper più vicino a Bella per vedere meglio i regali.
“Non ho speso un centesimo” le dissi emozionato e le scostai una ciocca di capelli dal viso, sentii un fremito del suo corpo ed il mio si riscaldò, avrei voluto stringerla tra le mie braccia, unire le mie labbra alle sue e farlo per un tempo infinito, ma mi trattenni per rispetto nei confronti dei presenti e le cinsi solo la vita con un braccio perdendomi in quei profondi occhi castani.
“Dammi” disse rassegnata a Alice continuando a perdersi nel mio sguardo. Prese il pacchetto e con il dito cercò di strappare il nastro.
“Oh! Cavolo” disse portando l’indice all’altezza degli occhi. Una goccia di sangue fece capolino dal taglietto.
Successe tutto in un secondo.
Il suo profumo mi colpì come un ariete. Non c’è immagine abbastanza violenta per descrivere la forza di ciò che mi accadde in quel momento. Il demone si era risvegliato, la sete mi bruciava la gola, lo stomaco si attorcigliava… cercai di concentrarmi, di riprendere il controllo, ma il demone era libero dalle catene e desideroso di assaggiare quel sangue che per troppo tempo gli avevo negato.
Lei è la preda, ed io sono il predatore …
Vidi il suo collo e sentii il sangue che fluiva nella gola placando il bruciore … ma non ero io, era Jasper. Il suo desiderio era così forte da eruttare nei miei pensieri come se fossero miei.
“NO” ruggii e scagliai Bella dall’altra parte del tavolo, che cadendo rovesciò la torta, i regali, i piatti di vetro, i vasi …
Bloccai Jasper, i suoi occhi erano impazziti e vuoti, non vedevano nulla se non l’oggetto del suo desiderio.
Lasciatemi stare, devo averla, devo placare questo bruciore …
Cercò di sfuggirmi mordendo l’aria in direzione di Bella
Vili, lasciatemi andare, è mia e nessuno la può toccare, lasciatemi … il suo sangue è troppo invitante …
Immagini del collo di Bella vicino alla bocca, la sensazione della sua soffice carne lacerata sotto i denti, ed il gusto del suo dolce e dissetante sangue che scendeva nella gola placando il bruciore, la sete, la fame … continuavano a turbinarmi nella testa. Cercai di chiudere fuori i pensieri di Jasper, ma erano troppo forti, e l’odore del sangue non aiutava a riportare in catene il demone che cercavo con tutto me stesso di imprigionare, anche una parte di me stava desiderando le stesse cose di Jasper, solo la certezza del dolore che avrei provato se l’avessi uccisa riuscì a trattenere i miei istinti e mi permise di trattenere il demone furioso.
Emmett arrivò in mio soccorso e lo bloccò nella sua presa d’acciaio afferrandolo da dietro.
Adesso l’odore era diventato molto forte, molto invitante, sembrava cantasse una melodia che incatenava i miei sensi e mi attirava ad assaggiare quel elisir. Il demone continuava a tirare le catene e stava riuscendo a liberarsi. La frenesia si stava impadronendo di me, cercai di non pensarci concentrandomi sulla mia famiglia, ma vidi che anche i miei fratelli e mia madre stavano faticando a tenere a freno i loro demoni, e osservavano affamati nel punto in cui avevo scagliato Bella.
Mi girai verso di lei, era a terra, disorientata, del delizioso e dissetante sangue sgorgava da un taglio netto che correva dal polso al gomito. Smisi di respirare.
L’unico a restare calmo fu Carlisle, che con voce tranquilla e carismatica ci ordinò:
“Emmett, Rose, portate fuori Jasper”
Emmett annuì, con occhi famelici puntati su Bella, e ringhiò “Andiamo” cercando di trascinare Jasper fuori dalla stanza.
Jasper cercò di liberarsi dalla morsa invincibile di Emmett, dimenandosi e tentando di colpire il fratello con i denti in bella mostra, lo sguardo ancora folle.
Rosalie stava lottando contro l’istino, ma il sangue che scorreva di Bella non era un richiamo fortissimo, l’odio che provava era forse più pericoloso.
L’avevo detto che avrebbe solo portato disgrazie, dovevamo ucciderla il primo giorno…
Sfrecciai al fianco di Bella e mi rannicchiai in posizione di difesa. Mostrai i denti serrati e ringhiai come avvertimento. Continuavo a trattenere il respiro per evitare la tentazione. Non avrei permesso a nessuno di torcerle un capello. Nemmeno a me stesso.
Rosalie, con aria compiaciuta, si portò davanti a Jasper restando a distanza di sicurezza dai suoi denti ed aiutò Emmett a trascinarlo a forza attraverso la porta a vetri che Esme teneva aperta con una mano, mentre con l’altra si tappava bocca e naso.
Scusa Edward, mi dispiace ma non riesco a resistere
E rivolgendosi verso Bella, con aria imbarazzata, ma con occhi famelici disse:
“Mi dispiace davvero, Bella” e seguì gli altri in giardino dispiaciuta per la poco forza di volontà che stava dimostrando.
“Lascia fare Edward” mi disse mio padre inginocchiandosi al fianco di Bella per esaminarle il braccio.
Lo ascoltai e annuendo lasciai la posizione di difesa, cercando di rilassare i muscoli contratti e ricacciando il veleno che mi aveva invaso la bocca.
Bella era pietrificata dalla paura, il suo cuore batteva fortissimo, chiamandomi come una sirena. Quel suono invitante e dissetante continuava impavido a stuzzicarmi.
“Ecco Carlisle” disse Alice offrendogli un asciugamano.
“Troppo vetro nella ferita”. Si allungò verso la tovaglia bianca e ne strappò un lungo lembo che annodò attorno al gomito di Bella come un laccio emostatico.
Continuai a non respirare per poter dominare quel poco autocontrollo che mi rimaneva, mentre la visioni di Alice tornò prepotente nella mia mente. I miei occhi rossi pieni del sangue di Bella, mentre i suoi erano spenti con ancora una traccia dell’orrore che aveva appena subito. Li allontanai, ma il bruciore nella gola e la sinfonia del suo sangue continuavano a tener sveglio il demone. Rimaneva in attesa di un mio passo falso, nella speranza che la visione diventasse reale.
“Bella” disse Carlisle “Vuoi che ti porti all’ospedale, o preferisci che me ne occupi io, qui?”
“Qui, per favore” sussurrò imbarazzata.
“Prendo la tua borsa” disse prontamente Alice, che a differenza del resto della mia famiglia riusciva a non farsi sopraffare dall’istinto. Era lucida, voleva aiutare Bella, e si sentiva in colpa perché credeva di essere la causa del disastro appena accaduto. Pensava a Jasper, era preoccupata per lui, per i sensi di colpa che sicuramente in quel momento stavano angosciando mio fratello. Era preoccupata per me e si sentiva tremendamente in colpa per aver organizzato quella festa e per non esser riuscita a vedere correttamente il futuro. Era dispiaciuta per Bella, si stava rendendo conto che la loro amicizia era impossibile, troppo pericolosa finché lei fosse rimasta umana.
“Portiamola sul tavolo in cucina” mi propose Carlisle con lo sguardo pieno di pietà
Non è colpa tua, so che sei forte riuscirai a resistere…
Mi avvicinai a lei, tenendo gli occhi bassi, avevo il cervello svuotato, troppi pensieri contrastanti insieme, me lo facevano percepire completamente vuoto. La sollevai tenendola il più possibile lontano dal mio torace, avevo paura di cedere al desiderio se il suo corpo mi avesse toccato.
“Come va, Bella?” le chiese dolcemente mio padre.
“Sto bene” rispose mentendo. Il suo viso era pallido e gli occhi non erano ancora stati abbandonati dalla paura. Aveva la voce ferma, ma non bastò per ingannarci.
Ero pietrificato, odiavo me stesso ed in questo momento odiavo anche lei. Il suo sangue continuava a cantare per me, voleva essere assaggiato, il mio lato predatore continuava a far capolino nei miei pensieri, mentre il mio lato umano continuava ad urlare perché avevo messo in pericolo la mia amata, la persona più importante che avessi al mondo.
L’altruismo di Bella peggiorava il mio umore perché mi faceva vergognare di me stesso. Diceva che stava bene, ma come poteva dirlo? Pochi istanti prima aveva rischiato di diventare il nostro pasto, e il suo braccio aveva riportato una ferita che non si sarebbe più rimarginata definitivamente.
Alice ricomparve. La borsa nera di Carlisle era già sul tavolo assieme ad una piccola e luminosa lampada da lettura.
Scusami Edward, avessi saputo, o avessi anche solo immaginato tutto questo, non mi sarei mai intestardita di farle la festa
Feci accomodare Bella su una sedia e mio padre si sedette di fronte e lei per poterla medicare.
Restai immobile, anche se la sete mi stava bruciando la gola e il palato attendeva impaziente, il pensiero che quel sangue potesse attirare altri predatori mi impose di starle vicino, l’avrei protetta con tutto me stesso.
“Se vuoi, vai, Edward” sospirò Bella che si era accorta della mia staticità
“Posso farcela” dissi a denti stretti. Potevo farcela, dovevo farcela. La ragione domina gli istinti. Continuai a ripetermelo per convincermene.
“Non occorre che ti comporti da eroe. Carlisle può curarmi anche senza il tuo aiuto. Esci a prendere un po’ d’aria” stava cercando di allontanarmi, aveva paura di me, aveva visto i miei occhi bruciare per l’intensità della sete. C’era un tempo in cui avevo sperato che comprendesse il mostro che ero, ma non volevo che lo capisse adesso, e non volevo lasciarla da sola in una casa piena di vampiri che pochi minuti prima l’avevano guardata assetati. Volevo cercare di contenere gli errori della serata, volevo starle vicino.
Edward, ascoltala, non ti fa bene stare qui, prenditi una boccata d’aria, ti aiuterà a tornare lucido
Pensò mio padre mentre iniziava a ricucirle la ferita.
“Io resto” non volevo essere un codardo, non sarei scappato.
“Perché sei così masochista?” mi chiese Bella
“Edward, forse è meglio che tu vada a cercare Jasper, prima che ne faccia una tragedia. Ce l’avrà a morte con se stesso e immagino che al momento non voglia parlare con nessuno tranne te” la sostenne Carlisle
“Si, vai a cercare Jasper” aggiunse svelta Bella, nella speranza di potermi allontanare. L’avevo persa, aveva capito chi ero veramente ed adesso non voleva che le stessi vicino.
“Potresti anche renderti utile” aggiunse Alice.
Jasper è disperato, e anche gli altri sono mortificati, solo tu puoi tranquillizzarli. Esme sta’ soffrendo tantissimo. Vai da loro. Per piacere.
Ero solo contro tutti, li fulminai con lo sguardo, non mi importava dei miei fratelli adesso. Volevo solo stare con lei, anche se mi odiava. Non volevo lasciarla, volevo stare in quella stanza e soffrire per il bruciore alla gola, come penitenza alla mia natura.
Edward, ti prego. Fai la cosa giusta. Pensò mio padre con affetto e pietà
Annuii e infuriato sfrecciai verso la porta di servizio della cucina.
Appena uscii dalla casa invasa dall’odore del sangue di Bella, e lontano dalla sua melodia che mi attirava, l’aria fresca, umida e pulita della pioggia mi aiutò a ritrovare la lucidità. Benché ricordassi con assoluta precisione l’attrazione che avevo provato per il suo sangue nel salone, respirare aria pulita era come disinfettare il mio corpo dall’interno.
Ero di nuovo sano. In grado di pensare. Ero pronto ad affrontare i miei famigliari.
Feci il giro della casa e trovai Emmett, Esme e Rosalie in giardino.
Mi dispiace Edward! Bella sta’ bene? Mi chiese apprensivo Emmett, quando mi scorse entrare nel giardino.
Te lo avevo detto che sarebbe stata una piaga. Non dovevi portarla in casa nostra.
Rosalie non aspettò che facessi altri passi e mi attaccò urlando “Lo sapevo che portare quell’umana in casa nostra avrebbe solo portato problemi. Sapevi che poteva succedere, che un piccolo incidente domestico avrebbe fatto sgorgare il suo sangue, come pensavi che avrebbe potuto reagire il povero Jasper? Adesso è scomparso, il rimorso per quello che è successo è fortissimo in lui. Sei un idiota.” E’ tutta colpa tua e del tuo egoismo!
Mi sfuggì un ringhio rabbioso, il veleno mi inondò la bocca e mi accovacciai pronto ad attaccarla. Stavo per azzannarla alla gola, quando Emmett le si parò davanti e mi bloccò tenendomi per il collo con una presa salda.
“Edward calmati! E tu Rose, smettila!”
Mi guardava negli occhi, ma non era uno sguardo arrabbiato, era più uno sguardo preoccupato. E con calma e circospezione mollò la presa.
“Siamo tutti scossi per quello che è successo stasera. Ma non è il momento di litigare tra di noi.
Rosalie, tieni per te i tuoi pensieri, e per una volta cerca di pensare anche ai sentimenti degli altri. Edward è scosso, sai benissimo quanto gli sia costato trattenersi dal profumo di Bella, e stasera, per poco, non siamo andati contro i nostri principi cibandoci della ragazza che lui ama.”
La sorpresa per il discorso serio, e senza traccia di ironia, che aveva appena fatto mio fratello, mi bloccò. Emmett per la prima volta dopo decenni, si era permesso di dare contro a Rosalie apertamente, ed era stato carismatico come Carlisle.
Il mio mondo era alla rovescia, i pensieri ritornarono confusi e se avessi potuto, sarei scoppiato in lacrime.
“Dobbiamo trovare Jasper!” disse Esme, la sua voce non riusciva a nascondere l’ansia che la stava attanagliando.
Emmett e Rosalie, alle parole di mia madre, scomparirono nel bosco che circondava la casa. Come se non vedessero l’ora di togliermi dalla loro vista.
Mi tremarono le gambe e mi sedetti sul terreno umido, tenendo la testa tra le mani, sembrava volesse esplodere, mi sentivo più debole di un mortale.
Avevo rovinato tutto. Avevo perso Bella e non sapevo dove fosse mio fratello.
Ero diviso in due. Amavo la mia famiglia, amavo i miei fratelli e sapevo che non avrebbero mai fatto del male intenzionalmente a Bella, ma dall’altra parte li odiavo, li odiavo come odiavo me stesso, odiavo la nostra natura perché aveva rischiato di ucciderla. Ma soprattutto odiavo me stesso.
Avrei dovuto capire che il nostro amore non era possibile, che io non ero abbastanza forte per cambiare il futuro che Alice aveva visto. Quel futuro che era già stato scritto ancor prima che mi accorgessi dell’amore che provavo per Bella.
Cercai di ascoltare Carlisle per assicurarmi che Bella stesse bene. Stavano parlando della mia anima, delle congetture di Carlisle che per la nostra non tutto era perduto.
Dopo quello che era successo, credevo ancor meno di possedere un’anima. Se avessi posseduto un’anima, non mi sarei mai avvicinato a Bella. L’avrei amata nel modo corretto. Avrei sofferto, l’avrei vista proseguire nella sua vita senza la mia interferenza, avrei continuato con l’ignorarla, seguendola solo nei pensieri degli altri. Non mi sarei avvicinato così tanto a lei. Non l’avrei fatta innamorare. Non avevo un’anima, ero solo un egoista.
Capii cosa dovevo fare. Dovevo andarmene. Era doloroso, ma era l’unica soluzione. Avrei sopportato la mia dannazione da solo, non avrei coinvolto ancora la mia famiglia, e non mi sarei più permesso di mettere in pericolo la donna più dolce e sensibile che avessi mai incontrato nella mia esistenza.
Alice arrivò di corsa in giardino e si sedette con sguardo pieno di compassione e rimorso vicino a me.
Non è giusto che te ne vada per un errore che ho commesso io.
“Tu non hai commesso nessun errore” in quel momento Alice era l’unica che non riuscivo ad odiare, lei era riuscita a resistere all’istinto, il suo amore per Bella era più forte della sua natura, più forte del mio.
Devi rimanere, porterò Jasper per un po’ a Denali, così potrai continuare a vederla e non si ripeterà più ciò che è successo stasera. Lei ti ama, e tu sei abbastanza forte da cambiare il futuro. Non è scritto che tu la uccida
E mi fece vedere i suoi pensieri.
Bella era in camera sua, il suo sangue scorreva nelle vene, aveva ancora i suoi bellissimi occhi color cioccolato, e la sua pelle era ancora di porcellana con un lieve colorito rosa.
“Non significa niente”
Non puoi dare retta solo alle visioni che ti fanno comodo. E’ una visione reale come quella di lei che diventa una di noi.
“Lei ha paura di me, non voleva che le stessi vicino”
Sono stata in cucina mentre Carlisle la ricuciva e ti posso assicurare che non ha compreso a pieno il pericolo che ha corso. Era imbarazzata per quello che è successo ed è dispiaciuta per te. Non era spaventata. Devi aprire gli occhi alla realtà. Non l’hai persa, lei ti ama.
“Stasera ho rischiato di perderla. Ho rischiato che tutti noi non mantenessimo le nostre scelte di vita. Non abbiamo idea di dove sia Jasper e non riesco a sentire i suoi pensieri. Non voglio essere la causa di tutte queste sciagure.”
“Jasper sta bene. Deve stare un attimo da solo. Deve ricomporsi e prendere il coraggio di affrontare te e Carlisle. Non vuole nemmeno la mia compagnia adesso, si vergogna troppo. Ma dagli un po’ di tempo e vedrai che tornerà.”
 “Alice, non mi merito tutta questa comprensione.” Ero disgustato da me stesso, e non riuscivo a confessarle cosa più di tutto mi aveva sconvolto nella serata: la mia incapacità di trattenere gli istinti, la mia voglia irrefrenabile di saziarmi del suo sangue.
Esme si sedette vicino a noi, mi guardò con sguardo materno e accarezzandomi il viso disse:
“Sei mio figlio. E sono felice che tu abbia trovato la persona giusta per te. Non farti questo, e non farlo a noi. Quello che è successo stasera non è grave. Abbiamo superato situazioni molto più difficili. Jasper tornerà e Bella starà bene. Non infliggerti tormenti inutili, siamo insieme e nessuno si è fatto male.”
“Carlisle sta’ ricucendo una ferita sul braccio di Bella che le ho causato io quando l’ho spinta sul tavolo. Jasper è disperso e si contrae nel rimorso della sua reazione al sangue dell’umana che ho deciso di portare in casa. Come puoi dire che nessuno si è fatto male?”
“Sai cosa intendo. Ti prego Edward, non farti questo”
Carlisle aveva finito di curare Bella. Era il momento di ritornare in cucina e riaccompagnarla a casa.
Posai la mano sul viso di mia madre e le baciai i capelli. Sapevo quanto mi amava, e sapevo che ogni mio errore lo avrebbe perdonato, non l’avrei fatta soffrire, ma non avrei più permesso che la situazione di quella sera si ripetesse.
Aiutai Alice ad alzarsi “Accompagno a casa Bella e torno per chiarire con Jasper. Digli che non ce l’ho con lui. Che la colpa è solo mia.”
Sei testardo! Comunque contaci, glielo dirò …  E scusa ancora per stasera.
Mi feci forza ed entrai in casa, il timore che Bella mi guardasse impaurita era come una corda che mi tratteneva in giardino. Esme mi superò e corse a pulire la macchia di sangue sul pavimento. Credeva che fosse quell’odore a rendermi restio ad entrare.
Mio padre e Bella stavano parlando di mia madre e della sua richiesta di salvarmi rendendomi un immortale.
Se non fosse stata una situazione tragica, avrei riso, lei voleva salvarmi rendendomi un mostro. Lo aveva fatto con l’amore più puro che esista al mondo, l’amore di una madre per il proprio figlio. Ma inconsapevolmente mi aveva dannato. E proprio quella sera la mia dannazione calò su di me come una mannaia. Una vita eterna senza la possibilità di amare, conoscendo ogni sfaccettatura dell’amore.
“Forse è meglio che ti porti a casa” disse Carlisle a Bella mentre l’aiutava ad alzarsi
“Ci penso io” dissi attraversando a passo lento la sala da pranzo buia. Non avevo fretta di vedere la paura in Bella, non ero sicuro che Alice avesse capito correttamente le sue emozioni.
Cercai di mantenere un’espressione composta, mentre mi avvicinavo.
Come ti senti? Stai bene?
“Posso andare con Carlisle” disse Bella, e in quel momento una morsa strinse la pietra che avevo al posto del cuore. Volevo poterla accompagnare a casa. Non ero più assetato, il demone era incatenato ed io avevo bisogno di sentirla vicina, anche se per l’ultima volta, avevo bisogno di lei e della conferma che non mi odiasse.
“Sto bene” la voce mi uscì fredda. Non era esattamente il tono che volevo, io volevo essere dolce, avvolgerla con le mie braccia, sentire per l’ultima volta il suo profumo, accarezzarle la pelle e strofinare il mio viso nei suoi capelli. Ma il mio corpo non voleva saperne di rispondere, aveva preso la sua decisione, dovevo allontanarla. Cercai di prendere tempo per ricompormi.
Le guardai la maglietta sporca di sangue “Però devi cambiarti. Se Charlie ti vede così, gli verrà un infarto. Chiedo ad Alice di procurarti qualcosa.” E sfrecciai fuori dalla cucina alla ricerca di mia sorella.
“E’ molto arrabbiato?” le sentii chiedere a Carlisle. Si ero arrabbiato, ero arrabbiato con me stesso ed il mio egoismo. Ed adesso ero ancora più furioso perché non riuscivo a nasconderglielo.
Trovai Alice in giardino, stava cercando di vedere nel futuro cosa sarebbe successo tra me e Bella.
Vidi Bella, ed a differenza delle prime visioni, che vedevano me nella valletta, dove mi nascondevo dagli occhi umani nei giorni di sole, insieme a una persona non riconoscibile perché non ancora certa, adesso era lei, su una spiaggia, accompagnata da una sagoma sfuocata.
Quando si accorse di me, cambiò i pensieri velocemente e mi fece vedere Jasper a casa, in camera loro, era infelice, arrabbiato con se stesso, ma risoluto a farsi perdonare ...
 Ero contento per Jasper, ma l’immagine di Bella mi torturò. Non avevo visto bene, non avevo capito, ma volevo portare a casa Bella e pensare da solo prima di continuare a torturarmi.
“Per favore hai una maglietta simile a quella di Bella? Non posso portarla a casa così mal ridotta” le chiesi con voce piatta
Lei scattò in piedi e insieme entrammo in cucina. I suoi pensieri erano tutti rivolti a Jasper, teneva i denti serrati e i suoi pensieri erano sforzati, lo faceva sempre quando voleva tenermi all’oscuro di qualcosa, ma in quel momento non ero interessato a sapere, volevo solo riportare Bella a casa, nel suo letto sana e salva.
Corse svelta al fianco di Bella, invece io restai sull’entrata, immobilizzato dal pensiero di sentire da vicino il suo sangue così esposto sulla maglietta.
“Su” disse Alice “Cerchiamo dei vestiti meno macabri” e la accompagnò in camera di Esme.
Non devi torturarti così. Non è colpa tua
Sapevo le buone intenzioni di mio padre, ma ero ancora troppo scosso e confuso per poterlo rassicurare
Sta bene. Non è successo niente. Riusciremo a superare anche questo. Nessuno si è fatto male!
Parlava come Esme, erano così in sintonia che avevano i pensieri in simbiosi; anche questo non aiutò il mio umore.
Sentii Bella chiedere a Alice se ero arrabbiato, il suo unico timore era il mio umore. Forse aveva capito giusto Alice, lei non era spaventata da me, era preoccupata per me. Un po’ di calore mi attraversò il corpo e mi sentii meno indolenzito. Mi amava e mi accettava sopra ogni cosa. Ma era la cosa giusta per lei?
Quando scese le scale, le aprii la porta senza proferir parola. Ero troppo confuso.
“Le tue cose” gridò Alice recuperando i suoi regali dal pianoforte e la macchina fotografica. “Mi ringrazierai dopo, quando li avrai aperti”
Esme e Carlisle la salutarono augurandole una serena notte.
Ti aspettiamo a casa. Non fare sciocchezze. Lei sta’ bene. Non è successo nulla.
Rimasi impassibile, non volevo dare false speranze. Non sapevo ancora cosa avrei fatto.
Camminai a fianco di Bella in silenzio. Aprii la portiera del passeggero e la feci accomodare.
Mentre mi dirigevo verso la parte del guidatore, vidi Bella strappare l’enorme fiocco rosso dalla nuova autoradio e nasconderlo sotto il sedile. Sperava che potesse aiutare a migliore il mio umore, ma così non fu.
Non riuscii a guardarla, volevo solo portarla a casa. Diedi vita al motore del rottame e mi allontanai il più velocemente possibile da casa mia. Come se mettendo chilometri tra me e quelle quattro mura, fossi riuscito a dimenticare la serata. Tantissime immagini invasero la mia mente: Bella con le guance arrossate, Bella vampira, Jasper innamorato perso negli occhi di Alice, Jasper sul corpo di Bella con gli occhi colorati dal suo sangue, Carlisle ottimista e fiducioso che mi sorrideva, Carlisle preoccupato per me, Alice entusiasta per la festa, Alice infelice per la mia partenza, Emmett sorridente mentre combatteva contro un grizzly, Emmett ansioso per Bella …, il mio istinto umano che voleva avvolgerla tra le braccia e sentire il suo calore, la vicinanza che risvegliava il demone che pretendeva il suo sangue, la melodia che mi ipnotizzava … il mio mondo che cadeva in piccoli pezzetti …
“Dì qualcosa” mi implorò, risvegliandomi da quei pensieri
“Cosa vuoi che dica?” le chiesi distaccato
“Che mi perdoni”
La rabbia mia assalì. Cosa voleva dire? Perché il suo cervello continuava a ragionare al contrario? Lei era stata una potenziale vittima della nostra sete, e mi chiedeva di perdonarla?
“Perdonarti? Di cosa?”
“Se fossi stata più attenta non sarebbe successo niente”
“Bella, ti sei tagliata un dito con della carta … non credo che sarai condannata a morte”
“Comunque è colpa mia” disse testarda e con quella frase, fece breccia tra i miei pensieri, sentii tutte le barriere crollare, tutte le paure di spaventarla erano svanite e le parole iniziarono ad uscire senza più contenimento.
“Colpa tua? Se ti fossi tagliata a casa di Mike Newton, assieme a Jessica, Angela e gli altri tuoi amici normali, cosa avresti rischiato? Di non trovare le bende? Se fossi inciampata e crollata su una pila di piatti di vetro da sola, senza che qualcuno ti ci avesse scaraventato, anche in quel caso, cosa avresti rischiato? Di sporcare i sedili dell’auto mentre ti portavano al pronto soccorso? Magari Mike ti avrebbe tenuta per mano mentre ti ricucivano, e sarebbe rimasto là senza essere costretto a combattere contro l’istinto di ucciderti. Non pensare che sia colpa tua, Bella. Non faresti altro che rendermi più nauseato da me stesso!”
“Che diavolo c’entra Mike Newton con questo discorso?”
“Mike Newton c’entra perché sarebbe molto più salutare, per te, stare con uno come lui” e la consapevolezza che erano vere le mie parole, e che quel superficiale di Mike fosse meglio di me per lei, mi fece ringhiare di rabbia e squarciò completamente il mio cuore.
“Preferirei morire piuttosto che stare con Mike Newton. Piuttosto che stare con chiunque non fossi tu.”
Il pensiero del suo amore, ero più forte degli altri pensieri tristi, e lo sentii come una doccia fresca che rilassava i miei nervi, i miei pensieri. Mi crogiolai in quella sensazione, ma il mio buon senso mi fece rinsavire. Non era giusto che mi amasse. Non dopo quella sera.
“Non fare la melodrammatica, per favore”
“E allora non essere ridicolo” Ridicolo? Guardai la notte al di là del parabrezza, ero nero di rabbia.
I miei nervi non reggevano più, il mio cervello non riusciva più a contenere tutti i pensieri contrapposti che vi frullavano. Ridicolo? Si forse sì, ero ridicolo. Come avevo potuto pensare che potesse realmente funzionare tra me e lei? La amavo sopra ogni cosa, ma lei era umana ed io ero un assassino che si cibava di sangue.

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Capitolo 3
*** L' ultima notte ***


Image and video hosting by TinyPic Arrivammo sotto casa sua, spensi il motore ed attesi che scendesse dall’auto. Mantenni stretta la presa sul volante. Tenere qualcosa tra le mani mi dava l’impressione che mi tenesse il cervello ancora ancorato alla realtà e lontano dalla pazzia.
“Resti con me stanotte?”
“E’ meglio che torni a casa”, dissi freddamente, ma non convinto. Sapevo che dovevo tornare a casa, ma non volevo starle lontano, volevo stare con lei, assicurarmi che stesse bene e godere della sua vicinanza.
“E’ il mio compleanno!” Anche se arrabbiato, rimasi stupito dalla sua risposta. Odiava il suo compleanno e pur di stare con me, stava usando quella scusa.
“Non puoi fare i capricci … vuoi o no che tutti fingano di non saperlo? Delle due l’una” dissi leggermente meno serio, ma con decisione.
“Ok, ho deciso che non voglio che tu faccia finta di niente. Ci vediamo di sopra”
Si allungò e prese velocemente i regali. Il suo cambio di atteggiamento verso il compleanno mi stupì.
“Non sei obbligata a prenderli”
“Li voglio” disse convinta.
“Invece no. Carlisle ed Esme hanno speso dei soldi per i tuoi regali” volevo aver conferma che volesse veramente i regali e non che li prendesse solo per rendermi felice.
“Sopravvivrò” disse sbattendo la portiera della macchina alle sue spalle per evitare una mia replica.
Il suo fare deciso ed un po’ goffo, mi strappò un sorriso. Uscii veloce dall’auto e mi avvinai.
“Almeno lasciameli portare” le dissi togliendoglieli di mano. “Ci vediamo in camera tua.”
Sorrise di un sorriso vero, sia la bocca che gli occhi sorridevano. “Grazie”
“Buon compleanno” le sussurrai e mi chinai per sfiorarle con un bacio le labbra. Lei si allungò per prolungare quel momento, ma non ero ancora pronto per quel tipo di contatto, dovevo ancora riprendermi da tutte le emozioni che avevo provato nelle ultime ore, e mi allontanai.
Corsi sul retro ed entrai velocemente in camera sua. Il suo odore mi piombò addosso. Il demone fece segno di non essere ancora completamente addormentato. Strinsi i pugni e cercai di ricacciare tutti i cattivi pensieri dalla mia testa.
La sentii parlare con suo padre, aveva notato la fasciatura ed io rividi il momento dello schianto del suo corpo sul tavolo. La rabbia mi assalì, anche quando volevo salvarla riuscivo a metterla in pericolo.
Non venne subito in camera, ma si fiondò in bagno. Sentii l’acqua scorrere, lo spazzolino che le sfregava i denti, l’asciugamano che accarezzava la sua pelle asciugandola. I vestiti che cadevano a terra, e il rumore dei suoi denti quando li strinse, forse per il dolore al braccio.
Ero seduto sul suo letto, giocherellavo con il regalo che io ed Alice le avevamo fatto.
Doveva essere un momento perfetto, prima di conoscere Bella, la musica e il pianoforte erano stati i miei compagni, condividevo con loro le mie giornate e sfogavo le mie emozioni, era il regalo perfetto. Le compagne di una vita vuota, nelle mani della compagna che la riempì. Invece proprio quel regalo traditore aveva rovinato tutto.
Ero perso in quei pensieri quando entrò nella stanza, mi salutò e si avvicinò al letto.
Mi tolse il regalo dalle mani e mi si sedette in braccio disinvolta.
Si raggomitolò contro il mio duro petto e chiese spontanea.
“Adesso posso aprire i regali?”
“Com’è che ti è tornato l’entusiasmo?” la punzecchiai
“Mi hai incuriosita” rispose come se fosse una cosa scontata e prese il pacchetto rettangolare e piatto, avvolto nella carta d’argento, il dono di Carlisle ed Esme.
“Lascia fare a me” le dissi togliendoglielo di mano e strappando la carta che lo avvolgeva, non volevo rischiare altri tagli, i miei nervi erano troppo tesi ed il demone ancora troppo sveglio. Le consegnai la scatola scartata e lei mi canzonò
“Secondo te il coperchio riesco a sollevarlo da sola?”
Lo aprì e ci mise un attimo a capire, poi i suoi occhi si illuminarono ed il cuore iniziò ad accelerare.
“Andiamo a Jacksonville?”
“L’idea è quella”
“Non posso crederci. Renée impazzirà! Non è un problema per te, vero? C’è il sole, ti toccherà restare al chiuso tutto il giorno!”
“Penso di potercela fare” pensai a come sarebbero stati felici i miei genitori a vedere la sua reazione, era veramente contenta del dono
“Se avessi immaginato la tua reazione a questo regalo, ti avrei chiesto di aprirlo davanti a Carlisle ed Esme. Temevo che avresti avuto da ridire”
“Bè, certo, è troppo. Ma tu verrai con me.” Non so perché ma preferii cambiare discorso
“Adesso inizio a pentirmi di non aver speso qualche soldo per il tuo compleanno. Non credevo potessi sfoderare tutto questo buon senso” le dissi curvando gli angoli delle labbra in un sorriso.
Prese il mio regalo, ma io glielo tolsi di mano e lo scartai.
“Cos’è?” chiese perplessa.
Non le risposi. Presi il CD e andai ad inserirlo nel lettore sul comodino. Schiacciai Play e le note della Ninna Nanna, che lei mi aveva ispirato il giorno in cui ci rivolgemmo per la prima volta la parola, riempirono la stanza. La guardai per vedere se il regalo le piaceva.
Era immobile sul letto, ammagliata, rapita dalle note suonate dalle mie mani, le note che esprimevano il mio amore per lei.
Aveva gli occhi lucidi ed il corpo era pietrificato, tratteneva il respiro, come per non perdere neanche una nota. Ero felice, il mio cuore fece cenno di risvegliarsi ed il mio corpo sembrò riscaldarsi.
“Ti fa male il braccio?” le chiesi per rompere quel silenzio ed aver conferma che piangesse per le mie note e non per il dolore al braccio.
“No. Non è il braccio. E’ bellissimo, Edward. Non avresti potuto regalarmi niente di più prezioso. Non posso crederci” fui felice, completo e tutti i pensieri, i tormenti, della sera svanirono in un soffio.
“Immagino che non mi avresti lasciato portare qui un piano per suonartela di persona” le dissi, rapito dal suo sguardo e dalla felicità che irradiava.
“Hai proprio ragione” disse ancora incantata dalla melodia. Mi avvicinai e la presi tra le braccia. La appoggiai al mio petto e con le mani iniziai a accarezzarle delicatamente la vellutata pelle del braccio. Sfiorai involontariamente la benda ed un lieve fremito attraversò il suo fragile corpo, “Come va il braccio?” le chiesi preoccupato.
“Benino” mentì
“Ti prendo un po’ di Tylenol”
“Non ce n’è bisogno” protestò, ma non le diedi ascolto. La feci scivolare giù dalle mie ginocchia e mi avviai alla porta
“Charlie” sibilò.
Scossi la testa, non doveva preoccuparsi, ero silenzioso e veloce, non si sarebbe accorto di me.
“Non si accorgerà di me” la tranquillizzai. Corsi in bagno a prendere la medicina ed il bicchiere di acqua, tornando in camera prima che la porta si richiudesse.
“E’ tardi” le feci notare. La sollevai dal letto con un braccio e con l’altro afferrai la coperta. Le posai la testa sul cuscino e la avvolsi nella trapunta. Mi sdraiai accanto a lei, sopra le lenzuola per non raffreddarle il corpo e la abbracciai.
Mi posò la testa sulla spalla e sospirò felice
“Grazie ancora” mi disse sognante
“Prego”
Per un minuto interminabile restammo in silenzio, mentre le ultime note della ninna nanna riempivano la stanza. Ripensai alla serata, alla rabbia provata, alla sete che bruciava la mia gola, a Jasper, alla mia famiglia, alla scelta di andare via ed all’amore che mi tratteneva. Non riuscivo a venirne a capo. Cosa era giusto fare?
“A cosa pensi?”
“Ecco, pensavo a cosa è giusto e cosa sbagliato” la sentii tremare sotto le mie braccia
“Ricordi che ho deciso di non volere che ignorassi il mio compleanno?”
“Sì” le risposi con cautela
“Bè, pensavo che, visto che è ancora il mio compleanno, mi piacerebbe ricevere un altro bacio!”
“Sei avida stasera” le dissi con un sorriso. Sentii il mio corpo protestare, anche lui voleva un altro bacio, voleva assaporare le sue labbra, voleva sentirla vicina, calda, viva.
“Sì, lo sono ma per favore, non farlo se non lo desideri davvero” aggiunse piccata
“Non sia mai detto che io faccia qualcosa controvoglia” dissi sospirando, la volevo con tutto me stesso, forse la volevo troppo, e non sarei stato capace di fare le scelte giuste. Le presi delicatamente il mento e avvicinai il mio viso al suo.
Cercai di rimanere nei limiti che mi ero imposto, sentivo le sue labbra modellarsi con le mie, il suo cuore battere forte e il suo calore aumentare. Avrei voluto che quel momento durasse in eterno, volevo sentirla vicino, ancora più vicino, ebbi la sensazione che si stesse allontanando e senza pensarci, le misi la mano tra i capelli per trattenerla, non volevo che si allontanasse dal mio corpo, da me, sentivo che se mi avesse lasciato sarei stato diviso a metà. Avvicinai di più il suo viso al mio, potevo sentirne il calore, potevo assaporarne il profumo e le mie labbra erano bramose di continuare a sentire le sue. Mi sentivo ancora troppo distante, avvicinai il mio corpo freddo contro il suo, anche attraverso le coperte potevo sentire il suo calore, era meraviglioso, mi sentivo in paradiso. Tutto intorno a me sentivo la sua presenza, eravamo diventati un corpo unico e non volevo che fosse diverso. Mi lasciai andare a quell’estasi, il cervello si svuotò per permettermi di assaporare quel momento in ogni sua sfaccettatura, per memorizzare ogni singolo momento, ogni singolo gesto, ogni singola emozione, tutto il mondo era scomparso, tutti i timori, la rabbia, la paura era svanita. C’eravamo solo più noi due.
Il demone strappò una catena ed il veleno mi riempì la bocca.
Interruppi il bacio bruscamente e la allontanai con dolcezza e decisione. Crollò sul cuscino, col fiato corto ed il cuore impazzito.
“Scusa” le dissi senza fiato, avevo un turbinio di emozioni nella testa e nel corpo. Mi sentivo completamente umano, era come se non avessi più fiato e del sangue nelle vene. “Ho esagerato”
“Non mi importa”
Aggrottai le sopracciglia.
“Cerca di dormire, Bella”
“No, voglio che mi baci ancora”
“Sopravvaluti il mio autocontrollo”
“Cosa ti tenta di più: il mio sangue o il mio corpo?”
“L’uno e l’altro” sorrisi, tutto di lei mi tentava. Aveva risvegliato l’umano ed il vampiro, ma io non potevo permettermi di lasciarmi andare, il vampiro avrebbe vinto. “Ora, perché non smetti di sfidare la sorte e ti metti a dormire?”
“Va bene” rispose rannicchiandosi contro di me. Era esausta, il suo corpo ebbe un fremito e i suoi muscoli si tirarono leggermente. Le faceva male il braccio, potei avvertire il sollievo che provò quando lo appoggiò alla mia pelle fredda.
Il suo cuore ricominciò a battere normalmente ed il respiro si fece rilassato.
Le rimasi accanto, continuai ad accarezzarle i capelli e riempii i miei polmoni con il suo profumo.
Ripensai alla serata, alla tragedia mancata per un soffio.
Rividi come in un film tutti i momenti con lei. Il nostro primo incontro, l’odio che mi assaliva e la sete che mi bruciava la gola quando il suo odore mi colpì nella classe di biologia. Il terrore che provai quando un furgoncino impazzito nel parcheggio della scuola le scivolava addosso e la sua testa che batteva contro l’asfalto quando la spingevo in salvo. Quando la seguii a Port Angeles per sorvegliarla, ed in un attimo di distrazione l’avevo persa, rischiando di farla finire tra le braccia di quei miserabili con cattive intenzioni. La prima volta che vide la mia pelle luccicante al sole nella valletta e il momento in cui il demone si impossessò di me e dovetti allontanarmi per non morderla. La sera della partita di Baseball con la mia famiglia dove l’avevo resa la preda preferita di un vampiro sadico. A Phoenix, quando cercavo di succhiare via il veleno di James, rischiando di ucciderla per il piacere che provavo nel bere il suo sangue… ogni volta che stavo con lei la mettevo in pericolo. Mi ero eletto suo angelo custode, ma forse il destino crudele che la metteva in pericolo e che volevo distruggere, ero io.
Dovevo andare via, non potevo starle vicino e augurarle una lunga vita felice.
“Edward, no … non mi lasciare! Io ti amo”
Bella parlò nel sonno, come se avesse letto nei miei pensieri, e appoggiò la testa sul mio petto e con un braccio mi allacciò il fianco. Rimasi di pietra, ricordai la prima volta che mi disse inconsciamente nel sonno di amarmi, mi ricordai perfettamente la sensazione che aveva invaso il mio corpo, ed era la stessa che stavo provando quel momento.
Non volevo lasciarla, volevo stare con lei, in fondo ero un essere spregevole ed egoista, ed il dolore che provavo al solo pensiero di allontanarmi da lei era insopportabile. La parte egoista iniziò ad avere il sopravvento e a trovare le scusanti:
La prima volta che l’hai vista, sei riuscito a resistere alla tentazione. Il furgoncino l’avrebbe schiacciata contro l’asfalto se non fossi intervenuto. A Port Angeles poteva finire in tragedia, ma sei arrivato in tempo. Nella valletta hai avuto una piccola défaillance, ma dopo sei riuscito a baciarla ed è ancora viva. Se James avesse trovato Bella per strada poteva comunque farle del male … continuava a trovare scuse per farmi restare, per non farmi allontanare da lei.
Dovevo uscire da quella stanza, dovevo riuscire a capire cosa era giusto per lei.
La baciai sulla fronte e fuggii dalla finestra correndo verso casa.
Le luci erano accese. Ma non vidi nessuno nel salone, iniziai a salire le scale quando un’immagine mi attraversò la mente:
Bella in spiaggia, la stessa spiaggia che avevo visto la sera prima nella visione di Alice, e di nuovo una forma confusa, indistinta. La teneva per mano e passeggiavano sul bagno asciuga.
Il dolore mi trafisse.
“Ah” ringhiai
La visione cambiò, era Jasper felice sul divano del clan di Denali, i nostri cugini che abitavano in Alaska ed avevano la nostra stessa condotta di vita.
Oh, scusa Edward, non ti avevo sentito arrivare.
Era Alice, seduta in un angolo buio fuori casa, si teneva le gambe abbracciate al petto e la testa appoggiata al muro. Aveva lo sguardo triste e la posa di chi ha ceduto.
“Cosa succede?” le chiesi in allarme
“Nulla! Stavo cercando di capire cosa succederà, ma è tutto offuscato …”
Mi stava nascondendo qualcosa.
“Cosa mi stai nascondendo? Non ho più la forza di combattere e sono confuso, ti prego, se hai visto qualcosa che mi possa aiutare nella scelta, dimmelo!” le chiesi quasi implorante.
Ci fu una visione, un flash veloce. Bella immortale.
E’ l’unica visione nitida che riesco ad avere pensò scusandosi. E si prese la testa fra le mani.
Le gambe mi cedettero e un vortice mi fece salire la nausea.
Non era possibile. Avevo perso la mia battaglia.
Volevo smettere di esistere, volevo non essere mai esistito. Come avevo potuto condannare così Bella?
Alice si alzò e mi abbracciò.
Non è l’unico futuro possibile, c’è anche l’altra visione, ma non riesco a metterla a fuoco, mi dispiace.
Aumentò l’abbraccio, come se cercasse di contenere i pezzi di me che si stavano sgretolando come gesso sotto una pressa. Mi accarezzò i capelli e rimanemmo abbracciati per un tempo indefinito.
“Credo che sia meglio per noi partire subito, c’è un aereo che parte tra poche ore, e non vorrei perderlo.” La voce di Rosalie mi risvegliò da quell’incubo di vuoto.
Con grande sforzo mi alzai e sorreggendomi a Alice feci le scale che portavano all’ingresso.
Entrai in casa, l’odore di ammoniaca era nauseante, e la sala era già stata completamente sistemata, come se la sera prima non fosse mai esistita se non solo nella mia immaginazione.
Sei tornato!!!!
Esme volò giù dalla scalinata e mi stritolò in un forte abbraccio. Iniziò a baciarmi il viso ed ad accarezzarmi le braccia, il petto, la schiena, come se volesse assicurarsi che non fossi una visione.
Carlisle entrò con un sorriso nel salone e con passo calmo mi si avvicinò.
Tutto bene?
Non riuscii a mentirgli e guardai verso il pavimento per non fargli vedere la sofferenza nei miei occhi.
“Aggiusteremo tutto!” disse a voce alta per assicurarsi che sentissi e accettassi.
Ciao fratello! Bella sta’ bene?
Emmett entrò nella sala, con il suo solito sorriso sulle labbra e lo sguardo allegro, non c’era traccia sul suo volto di cosa era successo alla festa.
Si avvicinò e mi diede una pacca sulla schiena, come quando giocavamo a baseball ed era il mio turno alla battuta.
Mi fece sentire meno pesante, mi diede quel minimo di forza che mi serviva per strapparmi dal mutismo.
“Ho sentito che partite subito” dissi con tono piatto
“Si, alla fine siamo fortunati c’è un aereo che parte tra poche ore. Kenya aspettaci, stiamo arrivando! Mi hanno detto che i leoni sono buoni quanto gli orsi, e pure più divertenti! E poi Rosalie può cibarsi delle sue linci, le migliora visibilmente l’umore” Sghignazzò
Speravo di partire prima che arrivasse
Rosalie si era affacciata sulle scale, con la faccia stizzita mi guardava dall’alto, ma non mi importava. Poteva andare dall’altra parte del mondo, non ne avrei sentito la mancanza, in particolar modo in quel momento, ma separarmi dal mio fratellone non era facile, avevo bisogno di qualcuno che rendesse più leggero quel momento, e nessuno era meglio di lui.
“Buon viaggio” riuscii a dire mentre mi dirigevo verso la mia camera.
Salendo le scale passai davanti alla camera di Alice e Jasper. Jasper era seduto per terra, con le gambe allungate di fronte a lui e la testa appoggiata alla parete di fronte alla finestra. Lo sguardo assorto e le mani abbandonate ai fianchi.
Come faccio ad essere così debole. Come ho potuto mettere in pericolo l’amore di Edward e l’amica di Alice … se fosse successo qualcosa a Bella non sarei riuscito a vivere nel rimorso…
Bussai. Con un sussulto tornò con i pensieri nella stanza e mi guardò con aria mortificata.
“Non sono arrabbiato con te. Non fartene una colpa.” Lo anticipai. Cercai di parlare con un tono amichevole, ma l’amarezza che regnava nel mio corpo non mi aiutò e la frase uscì come una bugia.
“Mi dispiace. Non capisco come posso essere così debole. Ho combattuto contro orde di vampiri, contro neonati affamati ed indisciplinati, ma non riesco a combattere contro il demone che ho in me” e rivolse gli occhi fuori dalla finestra come per cercare una risposta alla sua domanda.
Mi sedetti vicino a lui. Allungai le gambe davanti a me e appoggiai la testa alla parete, nella sua stessa posizione guardando nello stesso punto, come se aiutasse a trovare la soluzione ai nostri quesiti.
Passò poco tempo, che Alice si unì a noi. Si sedette vicino a Jasper dopo avergli rivolto un caldo sorriso. Gli prese la mano e iniziò a guardare anche lei fuori dalla finestra. Dopo pochi secondi la sua indole euforica e sempre attiva ebbe la meglio e si inginocchiò di fronte a noi con un sorriso smagliante e la sua voce cristallina ci ridestò:
“Forza ragazzi, su con la vita. Non è morto nessuno, se mi permettete la battuta, ma se continuate su questa via, tra un po’ sarò io a morire di noia!”
Mi scappò un sorriso ed anche a Jasper.
Ci guardammo e ci stringemmo la mano. Era mio fratello e gli volevo bene. Non avrei permesso che la tragedia scampata della sera prima ci potesse allontanare.
Grazie fratello per il tuo perdono e la tua comprensione
Gli diedi una pacca sulla spalla e mi alzai. Tutti e tre insieme andammo nella sala da pranzo dove ci stavano aspettando Carlisle e Esme.
La sala da pranzo veniva utilizzata solo per le riunioni, per prendere le decisioni sulle sorti della nostra famiglia o per decidere su come affrontare le complicazioni che si presentavano.
Le pareti della stanza erano bianche ed i soffitti erano alti, al centro, sotto un lampadario che pendeva basso, era posizionato un tavolo ovale in mogano, circondato da otto sedie. Sulla sedia centrale sedeva Carlisle e alla sua destra Esme.
Finalmente! Pensò mia madre vedendo me e Jasper insieme.
Alice ci superò ed andò a sedersi vicino a mio padre, in attesa che parlassi.
“Sei libero di dire cosa pensi, siamo la tua famiglia ed ogni decisione che prenderai sai che ti appoggeremo” disse Carlisle cercando di diminuire il mio imbarazzo.
“Sinceramente non so ancora cosa dire. Ho bisogno di riflettere. Quello che è successo ieri sera era evitabile, io potevo evitarlo e a causa del mio egoismo ho rischiato sulla pelle di Bella.
Mi prendo le mie responsabilità e vi assicuro che prenderò una decisione a breve, ma non è questo il momento. Lasciatemi del tempo e vi saprò dare delle risposte” cercai di essere il più sincero possibile, non volevo dare false speranze a Esme che sarei rimasto o a Carlisle di sapermi trattenere dal mordere Bella, o a me di riuscire a rimanere senza intralciare la vita della donna che amavo, perché sapevo che se fossi rimasto lo avrei dovuto fare rimanendole lontano.
La visione della spiaggia ricomparve nella mia mente …
Caspita, perché non riesco a vedere altro?
Alice e Jasper in un ospedale psichiatrico di un paese sconosciuto …
Jasper sul divano del clan di Denali ….
Ma cosa c’entra!
Mi scappò una risatina “Se continui così tra un po’ il tuo cervello andrà in fumo, dagli tregua, forse se lo lasci riposare le visioni saranno più nitide!” le dissi in modo scherzoso, ma anche speranzoso.
Mi vidi in macchina, mentre sfrecciavo su un’ampia strada buia, l’oceano sullo sfondo … e di nuovo Bella in compagnia della sagoma … entrambe le visioni erano vaghe e deboli.
Alice mi guardò con occhi tristi, corrugando il labbro e massaggiandosi le tempie.
Credo che sarà nitida quando tu prenderai una decisione… mi sta’ facendo scoppiare la testa.
Volevo anche io capire chi fosse quella sagoma sfocata, ma soprattutto cosa significasse. Ero consapevole che le visioni erano sfocate perché ero indeciso, e le emozioni provate poche ore prima, erano ancora troppo vive per poter ragionare lucidamente. Non potevo permettermi di temporeggiare, per rispetto nei confronti di chi amavo, in primis nei confronti di Bella.
Guardai l’ora, la notte era volata. Mi voltai verso Alice per farle notare che era ora di andare a scuola.
“Mi dispiace, oggi non vengo a scuola. Ci sono alcune cose che devo sistemare.” Disse facendo con occhi maliziosi un piccolo cenno col capo verso Jasper “Ci vediamo oggi pomeriggio. Così ne parliamo” e in un soffio fu in camera sua con mio fratello.
Chiusi i suoi pensieri fuori dalla mia testa. Non volevo vedere come tirava su di morale il povero Jasper, e con un sorriso appena visibile salutai i miei genitori.

 

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Capitolo 4
*** La Decisione ***


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Arrivato a scuola aspettai Bella nel parcheggio. Rimasi appoggiato alla mia auto con le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto, continuando a tormentarmi su cosa era giusto fare.
Le immagini della festa e la fame che avevo provato nel sentire il profumo del suo sangue erano vive nei miei pensieri e confermavano che la mia presenza era un veleno per la sua vita. Se la amavo dovevo lasciarla andare, dovevo allontanarmi da lei.
Il pensiero di lasciarla mi tolse il fiato, sentii un forte dolore al petto e le gambe mi cedettero… mi ancorai all’auto mentre una voragine si apriva nel punto in cui una volta batteva il cuore. Stavo ancora cercando di ritornare in me quando la vidi entrare nel posteggio.
Quando mi vide, una piccola V le comparve sulla fronte e gli occhi divennero tristi, allargando la voragine che mi era nata nel petto.
La mia vista l’aveva rattristata, forse durante la notte si era resa conto del pericolo che le avevo fatto correre e aveva capito il mostro egoista e assassino che ero. Forse l’avevo persa e la decisione che mi stava assillando l’aveva già presa lei.
 Con il vuoto nel cuore e nella mente andai ad aprirle lo sportello del pick up e la aiutai a scendere.
“Come ti senti stamattina?” cercai di chiederle gentilmente, ma la voce mi uscì piatta e senza emozioni.
“Splendidamente” mentì abbassando gli occhi ed evitando il mio sguardo.
Ci dirigemmo verso la classe senza rivolgerci la parola e rimanendo distanti.
Ad ogni passo il dolore diventava sempre meno sopportabile, mi pesava come un macigno sulle spalle rendendo ogni passo più faticoso.
Ero vicino a lei, potevo sentire il suo profumo, il suono del suo cuore e se avessi allungato la mano, avrei potuto toccare la sua pelle delicata, ma eravamo distanti, impacciati… eravamo come due estranei.
Appena ci sedemmo in classe non resistetti alla tentazione e, lottando contro il mio senso di colpa, mi volsi per guardarla, volevo capire cosa provasse, a cosa stesse pensando. Quando i nostri occhi si incrociarono mi persi in quel caldo cioccolato, sentendo il macigno abbandonare il mio corpo, ma l’idillio durò poco, perché i suoi occhi da caldo marrone si trasformarono in rosso fuoco. Scossi la testa per allontanare quella visione e non mi permisi più di guardarla.
Durante la quarta ora Bella allungò la mano sulla mia guardandomi tristemente, come per chiedermi scusa. Le sorrisi e non mi sottrassi da quel tocco anche se il calore della sua pelle mi bruciava. Non aveva nulla da farsi perdonare, ero io il mostro che l’aveva messa in pericolo, il mostro che aveva provato piacere al pensiero di cibarsi del suo sangue, il mostro egoista che pur di averla accanto aveva dimenticato i pericoli che un umano corre nel frequentare i vampiri.
Più volte provò ad avvicinarsi o a parlarmi, i suoi occhi continuavano ad urlarmi che mi amava e a domandarmi cosa stesse succedendo. Il suo sguardo amorevole fece richiudere il varco che si era aperto quella mattina nel parcheggio, ma diede maggiore forza al mio buon senso. Anche se non si era resa conto del pericolo scampato ciò non cancellava l’accaduto. Era umana e nelle vene le circolava il sangue più prelibato e dissetante che avessi mai avvertito in cento anni. Un piccolo incidente avrebbe potuto riportare in superficie quel prelibato elisir e se fosse successo in un momento sbagliato…rabbrividii al solo pensiero.
Ero riuscito a trattenermi, ma non ero sicuro di riuscirci ancora… il profumo era prelibato e mi chiamava a sé come una sirena… al solo pensiero il veleno mi inondò la bocca e lo stomaco si contrasse. Il demone fece capolino sghignazzando al pensiero e assaporando il momento. Ringhiai contro me stesso. Come potevo partorire certi pensieri ributtanti? Era la donna che amavo, la donna che aveva ridato senso alla mia esistenza, la donna che mi aveva fatto rivivere, che mi aveva fatto riscoprire il lato umano che pensavo di aver perso con la mortalità. Ero un essere spregevole, non ero degno di lei. Lei era pura, gentile, altruista ed innamorata… innamorata di un mostro.
La mattinata trascorse lenta, la voglia di avvicinarmi a Bella e la paura di farle del male mi lacerarono per tutto il tempo e per peggiorare la situazione le visioni di Alice continuavano a saltarmi nella mente come una pellicola inceppata.
Bella vampiro. Bella sulla spiaggia con un’immagine sfocata. Bella vampiro. Bella sulla spiaggia con un’immagine sfocata.
Entrambe le immagini erano una pugnalata al cuore.
Arrivati in sala mensa Bella si fece ancora più triste, sempre che fosse possibile.
“Dov’è Alice?” mi chiese inquieta.
Non riuscii ad alzare gli occhi dalla barretta che stavo maciullando con le dita e le risposi freddamente che era con Jasper e che non sapevo quando sarebbero tornati a scuola.
Non le avevo mentito. Non sapevo ancora cosa sarebbe successo alla mia famiglia. Sapevo che erano in attesa di una mia decisione e che mi avrebbero appoggiato, ma non sapevo ancora quale direzione prendere.
Da una parte il suo profumo, il suo sguardo, il suo sorriso, il suo essere continuavano a implorarmi di restare, di stare con lei, di vivere quell’amore senza pensare alle conseguenze, di vivere appieno quel favoloso sentimento ed emozione senza farmi distrarre dal buon senso. Dall’altra le visioni di Alice non mi lasciavano scelta, se volevo godere di quell’amore dovevo rubarle l’anima e la vita … rendendola immortale… sapevo di essere un essere un essere spregevole, ma non mi sarei mai abbassato a tanto… o sì?
Forse la soluzione meno dolorosa era quella di allontanarmi da lei, ma continuando a vivere a Forks. Non sarei più stato il suo ragazzo, l’avrei lasciata come si lasciano tanti adolescenti, ma avrei continuato a vivere vicino a lei, avrei continuato ad amarla e a proteggerla e la sua presenza avrebbe continuato a dare un motivo alla mia esistenza, ma non avrei più interferito nella sua vita da umana mettendola in costante pericolo. L’avrei lasciata andare… avremo continuato a frequentarci come amici … si forse era la soluzione più giusta. Non l’avrei persa, ma non l’avrei messa in pericolo, e poi tantissimi adolescenti si lasciano e continuano a vivere. Io non ero un adolescente ed il mio amore per lei non sarebbe mai svanito, ma era un buon compromesso.   
Durante la giornata non riuscii a parlare e il mutismo si era di nuovo impossessato di me. Provai a trovare scuse per rompere il silenzio tra me e lei, ma ogni volta il mio cervello si svuotava. C’era solo il nulla, il silenzio assordante e null’altro.
Arrivati al pick up Bella spezzò il silenzio.
“Puoi venire più tardi, stasera?” mi domandò con sguardo speranzoso.
“Più tardi?” le chiesi confuso, speravo di poterle parlare quel pomeriggio, mettendo fine ai nostri tormenti.
“Oggi lavoro. Devo restituire alla signora Newton la giornata libera di ieri”
“Ah”
“Però quando torno a casa puoi venire, d’accordo?”
“Se vuoi, ci sarò”
“Certo che ti voglio” ribadì con un’intensità che mi sembrò uno schiaffo in faccia.
“D’accordo” dissi non più certo che la soluzione degli amici fosse quella giusta, e dilaniato dalla certezza che se la amavo non avrei dovuto starle troppo vicino e che il mio voler stare con lei era solo codardia verso il dolore che avrei provato standole lontano.
La baciai sulla fronte, richiusi la portiera e senza indugiare mi voltai dirigendomi alla macchina, schifato di me stesso e della mia debolezza.
Tornai a casa e senza salutare nessuno mi chiusi in camera. Mi sdraiai sulla poltrona e misi la musica ad alto volume. Le visioni continuavano a vorticarmi nella testa.
Cercai di capire quali erano le mie vere emozioni nei confronti dei due possibili futuri.
Bella vampiro. Il pensiero di vivere l’eternità con lei mi allettava, come la possibilità di baciarla e starle vicino senza dover controllare la voglia di ucciderla. Poter rivivere il momento che avevamo avuto la sera prima nella sua camera, nel suo piccolo letto, senza il timore che il demone si risvegliasse. La possibilità di poter continuare quella mia non-vita non più solo, ma con una compagna che amavo. Rividi la sua pelle bianca, liscia come il marmo, gli occhi non più caldo cioccolato, ma vivido cremisi, il suo viso freddo e immortale. La donna che amavo più della mia stessa vita, trasformata in un mostro senza anima. Era la persona più pura, altruista e dolce che conoscessi, come potevo rubarle l’anima? Assicurarle la dannazione? Come potevo rubarle l’umanità e allontanarla dalla sua vita? Dalla sua famiglia? Da suo padre? Solo l’egoismo poteva suggerirmi che quella fosse la soluzione giusta per lei.
Bussarono delicatamente alla porta ed Alice fece capolino.
“Ciao, possiamo farti compagnia?”
Mi misi in posizione seduta ed abbassai il volume della musica, facendo loro cenno di entrare.
Alice danzò all’interno della stanza con Jasper e si sedettero a gambe incrociate sul tappeto di fronte ai miei piedi.
“Vorremmo sapere come stai?” chiese Alice preoccupata.
“Confuso” dissi frettolosamente.
“Vorrei esserti d’aiuto, ma le visioni sono tutte distorte”. Fece una smorfia e mi fece vedere cosa intendeva.
Bella sulla spiaggia, seduta su una panchina, in mezzo ad un bosco… e tanti altri luoghi … le visioni erano diverse, con una sola costante, la sagoma scura offuscata. Tutte erano molto sfocate, non si riusciva a capire se Bella fosse felice o triste e non si riusciva a vedere il volto dell’individuo insieme a lei.
Una fitta al petto mi fece gemere, e la gelosia mi fece scappare un ringhio furioso. Volevo staccare la testa a quell’uomo. Sicuramente lo sconosciuto non era un pericoloso assassino, ma non gli avrei permesso di stare con lei, di toccarla … quei pensieri mi diedero la risposta che cercavo … a me non interessava il bene di Bella, a me interessava il mio bene!
Torna, ti prego!” pensò Alice mentre volavo fuori dalla finestra.
Iniziai a correre, oltrepassai il fiume con un solo salto e corsi per la foresta. Stava per arrivare un forte temporale e tutti gli animali erano al sicuro, quindi la foresta era deserta, silenziosa. Corsi verso est, sopra e attraverso le montagne senza interrompere la mia corsa rettilinea, fino a che potei vedere Seattle dall'altra parte. Mi fermai prima di toccare i confini della città. Mi sedetti su uno spuntone di roccia mentre rivolgevo lo sguardo verso l’oceano, le visioni di Alice continuarono a fluttuarmi davanti agli occhi nascondendo il panorama. La gelosia che mi colpì nel vederla insieme ad un altro mi fece comprendere che non ero abbastanza forte da rimanere a Forks e permetterle di vivere una vita serena lontano da me.
Ero lucido, non avevo più dubbi, se amavo veramente Bella dovevo lasciarla, dovevo darle la possibilità di vivere una vita normale, felice, da essere umana, non potevo farla vivere sul filo del rasoio, allontanarla dal suo mondo, costringerla a rischiare la vita in ogni istante che passavo con lei, solo per accontentare il mio egoismo.
Dovevo andare via ed accettare la mia maledizione di vivere da solo, con il solo ricordo di quel amore così puro e profondo per l’eternità, se la amavo era la soluzione giusta.
Ritornai a casa, presi l’auto e mi diressi a tutta velocità verso casa di Bella, ero risoluto a salutarla, a lasciarla andare e farle vivere la vita che meritava.
Arrivai a casa Swan, ma il suo pick up non era parcheggiato.
Feci lentamente il vialetto ripassando le frasi che avrei detto a Bella per salutarla fin quando arrivai alla porta. Bussai e Charlie venne ad aprirmi con aria concentrata.
Non ho capito come hanno fatto a non vedere quel passaggio!
“Oh! Ciao Edward, Bella non è ancora tornata! Ma entra, penso che arriverà a minuti”
“Grazie!” risposi cortese.
Entrai e la mia sicurezza di lasciare Bella vacillò. Mi sedetti sulla poltrona vicino al divano su cui era seduto Charlie e guardai verso la TV, fingendo di essere interessato alla partita, ma nello schermo vidi solo la faccia di Bella, i suoi occhi, il suo sorriso …
Sentii il rombo del pick up sul vialetto, la sicurezza vacillò ancora di più, sentii i passi e iniziai a darmi delle scuse per rimandare l’addio.
Entrò in casa rumorosamente, appese l’impermeabile all’attaccapanni ed entrando salutò.
Mi costrinsi a guardare fisso il monitor, sapevo che se l’avessi guardata, ogni mio proposito sarebbe svanito, non sarei riuscito a fare la cosa giusta per lei.
Sentii il suo cuore perdere un colpo e, preoccupato, non resistetti alla tentazione, mi voltai verso di lei. Era paralizzata nel corridoio e tutto di lei faceva trasparire il panico. Le sorrisi, volevo tranquillizzarla, avrei volevo correrle incontro, abbracciarla, tranquillizzarla e dirle che andava tutto bene, che non l’avrei lasciata, ma non potevo farlo, non volevo mentirle, quindi le dissi “Ti raggiungo subito”. Non esitai altri secondi sul suo viso e tornai a guardare la TV, dovevo scostare lo sguardo da lei o anche l’ultimo misero pezzettino di buon senso mi avrebbe lasciato.
Andò in cucina e dopo alcuni minuti la sentii correre su per le scale verso camera sua.
E’ la cosa giusta, il miglior modo per dimostrare che la ami, che il tuo amore per lei è superiore al tuo egoismo … mi parlavo in terza persona per convincermi di più, e perché i pensieri sembravano meno dolorosi da accettare.
Sentii lo scatto della macchina fotografica. Mi voltai verso il rumore, Bella era nell’angolo della sala armata di macchina fotografica ed un sorriso sulle labbra, ma che non raggiungeva lo sguardo incerto.
“Cosa fai, Bella?” si lamentò Charlie.
“E dai” disse con un sorriso forzato e la voce leggermente tremolante “Sai bene che la mamma chiamerà al più presto per chiedermi se sto usando i miei regali. Devo mettermi al lavoro se non voglio deluderla.” Cercava di essere disinvolta, ma l’incertezza della voce tradiva il suo vero stato d’animo.
“Ma perché fotografi proprio me?” borbottò Charlie. Non gli piaceva essere fotografato, essere al centro dell’attenzione lo disturbava proprio come disturbava sua figlia.
“Perché sei un bell’uomo. E perché, dato che hai comprato la macchina fotografica, sei obbligato a essere uno dei miei soggetti.”
Dovevo regalarle una canna da pesca, borbottò piano Charlie senza farsi sentire da Bella.
“Dai Edward. Fanne una a me e papà”
Mi lanciò la macchina fotografica senza guardarmi e s’inginocchiò accanto al bracciolo su cui Charlie poggiava la testa.
“Devi sorridere Bella” ero obbligato a guardarla e la tristezza del suo volto arpionò il mio cuore morto trafiggendolo.
Senza esitare oltre, pigiai il tasto della macchina fotografica e spostai lo sguardo verso un punto lontano da quel viso perfetto anche se triste.
“Ok, adesso tocca a voi” propose Charlie.
Mi alzai e gli porsi l’apparecchio.
Bella si avvicinò insicura e mi cinse i fianchi con tutta la forza che possedeva. Le appoggiai la mano sulla spalla e cercai di non farmi travolgere dalle emozioni che il suo corpo ed il suo profumo mi stavano provocando.
Non ci guardammo, rimanemmo in una posa strana e formale.
“Sorridi, Bella!” ribadì Charlie. Fece un sospiro profondo e sorrise.
“Basta foto, per stasera” disse Charlie infilando la fotocamera tra due cuscini del divano e sedendovisi sopra. “Non sei obbligata a finire subito il rullino”.
Obbligai il mio braccio ad allontanarsi dalla sua spalla e tornai a sedermi sulla poltrona. Tutte le mie certezze del pomeriggio stavano fuggendo a gambe levate lontano da me, il buon senso mi urlava di recuperarle e di fare la cosa giusta.
Bastava poco: dovevo alzarmi, chiederle di accompagnarmi a fare una passeggiata e dirle addio; ma il mio corpo non voleva saperne. Sentivo le gambe intorpidite e le braccia pesanti, muovermi era uno sforzo enorme, mi sentivo come se un enorme masso mi stesse schiacciando.
Sentivo il cuore di Bella battere all’impazzata, il rumore della sua pelle tremare a contatto dei vestiti. Sentivo il suo calore avvampare e poi svanire. La guardai con la coda dell’occhio, volevo assicurarmi che stesse bene, ma fu un errore.
Non sei obbligato a farlo stasera, pensaci ancora stanotte e domani, dopo scuola la saluterai.
Il pensiero tolse il macigno dal mio corpo, mi sentii di nuovo libero di respirare e di muovere il mio corpo. Dovevo andare o anche le ultime certezze si sarebbero sgretolate, avrei fatto un passo falso. Finalmente la trasmissione finì ed io mi alzai, cercando di farlo ad una velocità umana, e salutai:
“E’ ora di rientrare”
“Ciao, ciao” mi salutò distratto Charlie senza staccare gli occhi dal televisore.
Bella si alzò goffa e intorpidita a causa della posizione poco naturale che aveva tenuto per troppo tempo e mi accompagnò alla porta. Il suo cuore batteva fortissimo, sembrava mi urlasse: Resta, rimani qui, non mi lasciare!
Filai veloce verso l’auto. Non potevo farmi incantare, dovevo seguire la mia scelta perché era giusta per lei, perché il suo cuore continuasse a cantare… anche se avrebbe cantato per qualcun altro.
“Non rimani?” chiese delusa.
“Stasera no” e mi affrettai a salire in auto. Mentre me ne andavo potevo sentire il suo sguardo su di me, un tempo quello sguardo mi aveva fatto sentire appagato, mentre adesso mi stava pugnalando. Il suo sguardo triste che mi vedeva allontanare, sembrava avesse capito cosa stesse succedendo.
 
Corsi in casa alla ricerca di Carlisle, era nel suo studio immerso nella lettura. Bussai ed entrai.
“Ho preso la mia decisione, ho bisogno di parlare con tutti voi”
D’accordo, ti aspetto in sala da pranzo.
Pensò pacato senza riuscire a distogliere lo sguardo interrogativo dal mio, mentre si dirigeva verso la porta. Cercai di guardargli i pensieri per vedere se aveva compreso, ma c’erano mille immagini confuse, da quelle piacevoli a quelle dal quale volevo fuggire.
“Alice, Jasper, Esme” chiamò appena fuori dalla porta.
Esme era già seduta al tavolo con sguardo interrogativo, mentre Alice era triste, aveva già visto tutto e non era felice della mia scelta. Jasper saggiò il mio umore e cercò di rilassare i miei nervi. Gli fui grato perché rese più facile esporre le mie decisioni.
“Ho deciso. Voglio che lei viva la sua vita come se non fossi mai esistito. Voglio che la sua vita continui, che si innamori di una persona degna di lei, che abbia figli e che invecchi!”
Lo dissi in un soffio, ad una velocità che nessun orecchio umano avrebbe potuto comprendere e mi sedetti svuotato attendendo le loro opinioni.
Mi dispiace! - pensò Esme.
Stai facendo la scelta giusta.”  Disse Jasper avvicinandosi e appoggiando la mano sulla mia spalla. Con il contatto fisico il suo potere aumentava.
“Siamo con te figliolo, se pensi che sia la scelta giusta ti appoggeremo” mi rassicurò Carlisle, guardando con la coda dell’occhio Jasper. “Senza la sua influenza sull’umore, saresti sempre così convinto?”  
Mi spostai delicatamente per non offendere mio fratello e gli chiesi di lasciar andare le mie emozioni.
Adesso che lo avevo detto alla mia famiglia la decisione era inderogabile. Le braccia iniziarono a tremare per la gelosia e le gambe sembravano non reggere la difficoltà di quella scelta. Il corpo doleva in ogni parte, sentiva già la mancanza della mia metà e la ragione voleva sfuggire per non soffrire.
Con uno sguardo implorante, guardai mio padre “Non importa cosa sarà per me, è giusto per lei!”
Jasper riprese il controllo delle mie emozioni e il mio pensiero ritornò leggermente lucido.
“Oh…” Alice aveva gli occhi lontani e il viso immobile.
Ero io a Rio de Janeiro, in una camera d’albergo, disperato, inginocchiato a terra con il volto contratto dal dolore vicino ad una finestra.
“Non mi importa cosa accadrà Alice, sai quanto me quali sono i possibili futuri di Bella”
“Sì, scusa… ma …”. La fulminai e lei mordendosi il labbro inferiore iniziò a pensare intensamente a Jasper … era preoccupata per come mi aveva visto nella visione, ma sapevo che la lontananza da Bella non sarebbe stata facile, era inutile continuare a vedere nel futuro.
“Se sei certo che sia la cosa giusta per te e per lei, dobbiamo decidere come procedere.” Charlie era calmo e come un buon capo sapeva che la mia decisione avrebbe portato delle conseguenze a tutta la famiglia.
“Non vi chiedo nulla, me ne andrò … basterà il tempo che Bella finisca scuola e poi se ne andrà al college ed io mi ricongiungerò a voi!”
Una visione di Bella con le occhiaie, lo sguardo vuoto, nessun segno di vita sul suo volto e dei movimenti automatici che guidavano il suo cammino.
“Ah!” ringhiai, rivolgendo uno sguardo omicida ad Alice.
“Scusa, ma è stata imprevista, non sono riuscita a bloccarla. Forse la visione è dovuta alla scelta che la nostra famiglia rimanga a Forks.”
“Sì, credo che sia meglio per lei che tutti noi ci trasferiamo, sarà più facile per lei dimenticare ed iniziare a vivere la vita che vuoi per lei” disse Carlisle concentrato sull’organizzazione del trasferimento.
“Mi dispiace trascinare anche voi nella mia scelta. Ma vi sarei grato se mi aiutaste a renderle la nostra separazione più semplice.”
“Quando vuoi partire?”
La nausea mi assalì, il mondo iniziò a girare… credevo stupidamente di avere ancora un po’ di tempo. Non volevo che il suo ultimo ricordo di me fosse quella gelida serata passata nella sala con suo padre a vedere una partita.
Mi balenò subito una scusa: aveva fatto delle foto. Non potevo lasciarle un ricordo così vivo di me, dovevo attendere che le avesse sviluppate per poter far svanire quelle che mi riguardavano.
“Dammi ancora uno o due giorni. Il tempo di far sparire ogni mia traccia e poi sarò pronto!”
“D’accordo” acconsentì mio padre mentre mi guardava pieno di comprensione.
Aveva capito che la mia era solo una scusa, ma non aveva fretta di vedermi straziato dal dolore che avrebbe provocato quella decisione.
Quella notte non andai da Bella, corsi fino allo spuntare del sole nella foresta senza meta, per non cadere nella tentazione.
Dovevo iniziare ad abituarmi a quella lontananza

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Capitolo 5
*** Addio ***


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La mattina seguente, mi comportai come il giorno prima. La aspettai nel parcheggio, la accompagnai a lezione e le camminai accanto per la scuola, evitando il più possibile il contatto fisico e cercando di non guardarla, dovevo abituare i miei occhi a non vederla più. Chiusi tutti i pensieri di tutti gli studenti e professori fuori dalla mia mente per non vedere il suo volto.
Ero straziato, lei era triste e confusa, una parte di lei aveva capito cosa stesse succedendo, ma non voleva ammetterlo. Avrei voluto consolarla, rassicurarla, cullarla, ma avrebbe reso il tutto ancora più difficile.
Era un’umana, era volubile come tutti gli umani, avrebbe sofferto il primo tempo di lontananza, ma poi sarebbe andata avanti come fanno tutti gli umani. Avrebbe preso il diploma, sarebbe andata al college, avrebbe incontrato un umano che avrebbe riscaldato il suo cuore, si sarebbe sposata, avrebbe avuto figli… mi annientava quel pensiero, ma era giusto per lei.
Era così assorta nei suoi pensieri che non sentì la domanda di inglese, gliela suggerii e poi ritornai nel mio mutismo. Se avessi fatto l’errore di lasciarmi andare, non avrei più avuto la forza di lasciarla.
Nell'ora di pranzo i compagni di Bella si divertirono a fare le foto con la macchina fotografica. Le risate erano leggere e gli scherzi non si risparmiavano, ma io rimasi di ghiaccio per tutto il tempo. Non avevo motivo di salvare le apparenze, quello era il mio ultimo giorno di scuola a Forks.
Chissà cosa è successo tra Edward e Bella, forse lui si è stufato di lei. Pensò felice Jessica.
Tra Edward e Bella il gelo è tangibile, forse il damerino si farà da parte ed io finalmente potrò stare con Bella pensò Mike prima di ricominciare le sue adolescenti fantasie sulla mia amata; trattenni un ringhio e chiusi i suoi pensieri fuori dai miei. Chiusi tutti i pensieri fuori dalla mia testa. Non volevo altre scusanti per prolungare quella vicinanza destinata a terminare.
Dopo scuola non andai da Bella, doveva lavorare… ed io dovevo preparare la mia partenza.
Passai il pomeriggio a riporre i miei oggetti in valigia e negli scatoloni. Presi il tappo della limonata che aveva bevuto durante la nostra prima chiacchierata nella sala mensa e lo infilai in tasca. Cercai il giaccone che le avevo prestato alla nostra prima cena, aveva ancora il suo profumo e lo misi in valigia insieme ad altri piccoli oggetti che mi ricordavano lei e i momenti passati insieme.
“Non credi che sia meglio per te dimenticare?” mi chiese Alice mentre entrava nella mia stanza.
“No, io non voglio dimenticare. E’ la cosa più bella che mi sia capitata da quando sono nato. La amo e la amerò per sempre. Sapere che sta bene e che sta vivendo la sua vita felice, mi aiuterà a continuare questa esistenza vuota.”
Mi abbracciò e allontanandosi mi diede un buffetto sulla guancia.
“Perché hai scelto la via più difficile?”
“Perché è giusto per lei”
“Ma lei voleva essere una di noi. E noi eravamo felici di essere la sua famiglia”
“Ti prego, Alice, non rendere più difficile la situazione. Ho fatto una scelta e la porterò a termine. Non sono un codardo, non la dannerò per l’eternità solo per evitarmi il dolore”
“Dove andrai? Non ti vedo con noi nel futuro.”
“Andrò lontano, voglio restare un po’ da solo. Non credo che nei prossimi anni sarò molto socievole e la mia compagnia molto piacevole.” Costrinsi il mio labbro a curvarsi in un sorriso.
“Ci terremo in contatto?”
“Certamente. Sei sempre la mia sorellina preferita, non ti libererai di me!” la abbracciai, sapevo che ci saremmo ricongiunti, ma non sapevo quando. Eravamo molto uniti, ma in quel momento la paura che le sue visioni mi facessero tornare sui miei passi era troppa per rischiare quella vicinanza.
Scesi nel salone, Carlisle e Esme erano pronti sulla porta, avevano già caricato le valigie in macchina.
Mi mancherai!  Esme mi abbracciò, non piangeva perché i nostri corpi non ce lo permettevano, ma avesse potuto sarebbe stata una maschera di lacrime.
“Anche tu, mi mancherai. Ti voglio bene, mamma” la strinsi più forte e le baciai i capelli.
Carlisle rimase composto e mi porse un cellulare “Appena ti sentirai pronto, chiamaci e noi arriveremo subito. Sono certo che avrai la forza di fare la scelta giusta e di mantener fede alle decisioni che abbiamo preso.”
Era la seconda volta da quando ci eravamo incontrati che ci dividevamo e come la prima volta lui aveva capito le mie esigenze. La prima volta era stata per la mia voglia di assaggiare sangue umano e la mia incapacità di capire la sua scelta di cibarsi solo di animali. Non avevo bevuto sangue di innocenti, solo sangue di mostri umani, ma tornai da lui dopo breve per evitare di trasformarmi anch'io in un mostro senza rispetto della vita umana. Questa volta ci separavamo perché volevo rispettare una vita umana. Anche se le motivazioni erano differenti, la separazione fu altrettanto difficile. Lui era il mio pilastro, la mia certezza, mio padre, ma non volevo che soffrisse con me la dannazione che mi ero cercato e costruito guidato da un amore impossibile.
Jasper mi salutò rilasciandomi una sensazione di piacere e pace. “Se non riuscissi a sentirti così, chiamami, verrò subito”
Alice ci raggiunse nel salone, ricoperta di bagagli, li fece cadere rumorosamente sul pavimento e mi saltò al collo. Mi strinse in un forte abbraccio e mi stampò un rumoroso bacio sulla guancia.
“Salutami Bella. E mi raccomando, non farci aspettare troppo. Ti aspetto”
Si divisero in due macchine e salutandomi si allontanarono sul vialetto.
Ero solo, in quella immensa casa, nessun pensiero che mi raggiungeva di sfuggita, nessuna risata, nessun suono. Ero solo.
Mi coricai in mezzo alla sala ormai spoglia e mi feci invadere da quella sensazione di vuoto.
Nessun pensiero, nessuna visione, il nulla.
Rimasi in quella posizione, in quello stato di coma fino alle prime luci dell’alba.
 
Quando il mattino arrivò, mi sentii pronto di fare il passo tanto agognato. Ero pronto a dire addio alla felicità.
Andai a casa di Bella ed attesi che si allontanasse con il rumoroso pick up. Controllai che non ci fossero pensieri nelle vicinanze ed entrai dalla porta di ingresso.
Salii in camera di Bella e come un tornado feci sparire tutto ciò che avrebbe potuto ricordarle la mia esistenza. Levai il CD con la musica del mio pianoforte dal registratore, presi il biglietto aereo che i miei genitori le avevano regalo, cercai l’album delle foto e rimossi tutte quelle che mi riguardavano. Mi fermai quando notai una foto piegata a metà. Ero io, freddo e statuario. La aprii, lei era perfetta anche se impacciata, con lo sguardo triste e il sorriso tirato di quel triste pomeriggio in cui la decisione di lasciarla aveva fatto capolino. Era bellissima. La presi e me la infilai in tasca.
Guardai in giro per la stanza, non avevo dimenticato nulla. Bella non voleva che le facessi regali e quindi non vi erano tantissimi oggetti che le avrebbero ricordato la famiglia Cullen.
Stavo per uscire dalla stanza con gli oggetti tra le mani, ma mi fermai, una parte di me non voleva che mi dimenticasse, voleva che qualcosa di me le restasse vicino. Mi voltai e nascosi il tutto sotto un’asse del pavimento.
Volai alla macchina ed arrivai nel parcheggio della scuola in tempo per veder sbucare il furgoncino di Bella.
La attesi e quel giorno fu la copia del giorno prima. Nessuna parola, nessuno sguardo, la mia mente chiusa ai pensieri che mi circondavano. Mi sentivo in una bolla. Una bolla che voleva esplodere, che voleva urlare.
Alla fine della scuola, la accompagnai al Chevy, presi coraggio e le chiesi:
“Ti dispiace se vengo da te, oggi?”
“Certo che no!” rispose sorpresa.
“Adesso?”
Il suo cuore perse un battito “Certo! Prima però passo a spedire una lettera a Renée. Ci vediamo a casa.”
Vidi il pacchetto gonfio sul sedile del passeggero. Le foto! Non erano tutte in casa, dovevo rimediare e velocemente! Afferrai il pacchetto.
“Ci penso io. E vedrai che arriverò per primo” Cercai di nascondere il nervosismo con un sorriso.
“D’accordo” rispose confusa.
Le chiusi la portiera ed andai alla mia auto. Aprii il pacchetto ed estrassi tutte le foto che mi ritraevano. Lo richiusi e mi diressi verso casa di Bella.
Adoravo la velocità, invece quel tragitto lo feci lentamente, rispettai i limiti di velocità e feci passare tutti i pedoni che davano segno di voler attraversare.
Arrivai comunque prima di Bella e parcheggiai al posto della macchina della polizia, non mi sarei trattenuto a lungo. Sarei andato via prima dell’arrivo di Charlie.
Quando Bella arrivò, le andai incontro, le tolsi lo zaino dalle mani e lo posai sul sedile.
“Facciamo una passeggiata” le proposi cercando di rimanere impassibile.
La presi per mano e la portai dietro casa, nel lato destro del giardino, verso il bosco. Il suo cuore sembrava non battere, trascinava i piedi come se non volesse camminare, la sua mano aveva quasi la mia temperatura. Aveva capito cosa stava succedendo e come me, non poteva far nulla per cambiare quel futuro.
Mi fermai dopo pochi passi sotto gli alberi, non volevo inoltrarmi oltre, conoscevo il poco senso dell’orientamento di Bella. Mi appoggiai ad un tronco con le braccia incrociate ed appoggiai un piede al tronco in una posa disinvolta, sentivo il peso della mia decisione schiacciarmi e cercai di reggermi a quel misero albero per nascondere la sofferenza che mi stava attanagliando.
“Bene, parliamo” disse con voce poco ferma, ma con espressione decisa. Era combattiva, era una delle sue caratteristiche che avevo messo nella lista quando, senza accorgermi, mi stavo innamorando di lei.
Presi fiato per farmi coraggio e la guardai dritta negli occhi.
“Bella, stiamo per andarcene” a quelle parole riprese a respirare normale, come se fosse preparata a quella decisione.
Quindi, la tristezza che le avevo visto negli occhi in quei giorni era perché non sapeva come lasciarmi. Mi sentii svuotato. Allora non mi amava come avevo creduto, lei voleva liberarsi di me, ma era troppo altruista per prendere l’iniziativa.
“Perché proprio adesso? Ancora un anno …” mi spiazzò.
“Bella, è il momento giusto. Per quanto tempo credi che potremmo restare ancora a Forks? Carlisle dimostra a malapena trent'anni e già ne dovrebbe avere trentatré. Comunque vada, non passerà molto tempo prima che ci tocchi ricominciare da capo.” Mentii.
Il respiro svanì, il cuore perse diversi battiti e il suo viso impallidì.
“Hai detto stiamo …” sussurrò scavando nei miei occhi cercando la risposta.
“Intendo la mia famiglia e me” dissi scandendo bene le parole.
Scosse la testa avanti e indietro, meccanicamente, come per sgombrarla dai pensieri.
Lei mi amava ed aveva pensato che io volessi scappare con lei. La sensazione di calore mi fece girare la testa. Mi amava così tanto che era disposta ad abbandonare la sua vita per me. Ero fortunato ed ero amato, avrei voluto ridarle il respiro con un bacio, rianimare il suo cuore con un abbraccio e restituirle il colore del viso con una carezza; ma ero risoluto, avrei fatto la cosa giusta.
Feci attenzione a non far trasparire nulla e attesi che si riprendesse dalla notizia.
“Ok. Verrò con te”
“Non puoi, Bella. Dove stiamo andando … non è il posto adatto a te”
“Il mio posto è dove sei tu” le parole mi trafissero, il mio buon senso barcollò.
“Non sono la persona giusta per te” non meriti un assassino, meriti un uomo degno di te, e io purtroppo non sono il fortunato.
“Non essere ridicolo. Sei la cosa migliore che mi sia capitata, davvero!” disse implorante, mentre negli occhi iniziavano a far capolino le lacrime.
La sua sofferenza era la mia sofferenza. Non volevo farla piangere, non volevo ferirla, ma non avevo scelta, la mia vicinanza era troppo pericolosa per lei.
“Il mio mondo non è fatto per te” e tutte le volte che l’avevo messa in pericolo a causa della mia natura mi urtarono la mente prepotenti.
“Ma ciò che è successo con Jasper … non conta niente, Edward … NIENTE!”
“Hai ragione. Era semplicemente un gesto prevedibile.” Risposi tranquillo, quasi ironico. Quello che era successo non era niente di imprevedibile e niente in confronto a quello che sarebbe potuto succedere.
“L’hai promesso! A Phoenix hai promesso di rimanere …”
“Fino a quando fosse stata la cosa migliore per te” precisai interrompendola.
“NO! Non dirmi che il problema è la mia anima” gridò furiosa, con le parole che esplodevano. “Carlisle mi ha detto tutto, ma non m’interessa, Edward. Non m’interessa! Prenditi pure la mia anima. Senza te non mi serve: è già tua”
Aveva affondato la lama. Tutte le certezze degli ultimi giorni scomparvero nel bosco. Volevo stare con lei, lei voleva stare con me, si era donata a me, era disposta a darmi la sua anima pur di stare con me, ed io ero disposto ad essere dannato per stare con lei. Ma proprio perché l’amavo non volevo dannarla e non volevo metterla in pericolo. La amavo e volevo che vivesse una vita felice, una vita spensierata, lontana da ogni pericolo e che la sua anima fosse salva non dannata.
“Bella, non voglio che tu venga con me” scandii quelle parole con cura, non avrei resistito ancora a lungo, il mio egoismo stava facendo capolino. Dovevo convincerla e dovevo convincermi.
“Tu… non … mi vuoi?”
“No” usai la mia capacità di mentire e recitai al meglio la mia battuta finale, quella decisiva.
Rimase in silenzio, mi guardava negli occhi confusa, cercava un qualcosa nel mio viso che le facesse capire che stavo mentendo. Ma non la trovò. Ero un vampiro, mentire e imbrogliare era intrinseco in me.
“Beh, questo cambia le cose” disse calma e ragionevole.
Distolsi lo sguardo, aveva ceduto facilmente, perché ero un ottimo bugiardo o perché la sua era solo una cotta? Non importava, avevo l’eternità per pensarci. Quindi continuai:
“Ovviamente a modo mio, ti amerò sempre. Ma quel che è successo l’altra sera mi ha fatto capire che è ora di cambiare. Vedi, sono … stanco di fingere un’identità che non è mia, Bella. Non sono un essere umano” tornai a fissarla con lo sguardo meno umano che potevo, per farle capire cosa intendevo “Ho aspettato troppo, e ti chiedo scusa”
“No” sussurrò “Non farlo”
“Tu non sei la persona giusta per me” mi sentii disgustato da quelle parole, avevo bestemmiato, ed ero riuscito a farlo senza scompormi.
“Se… ne sei certo” si paralizzò e sentii il suo cuore fermarsi per pochissimi secondi. Mi spaventai, quella messinscena era solo per permettere al suo cuore di continuare a battere, non volevo che si fermasse. Era una melodia sublime e sentirlo ammutolito era inaccettabile. Ripresi a parlarle per sentire ancora la sua voce ed il canto del suo cuore.
“Vorrei chiederti un favore, però, se non è troppo”
“Tutto quello che vuoi”
“Non fare niente di insensato e stupido” le dissi ed il timore che le potesse succedere qualcosa fece cadere per un attimo la maschera che stavo indossando. “Capisci cosa intendo?” ritornai di nuovo di pietra.
Annuì.
“Ovviamente penso a Charlie. Ha bisogno di te. Stai attenta a ciò che combini … fallo per lui” e fallo per me.
“In cambio, ti faccio anch'io una promessa. Prometto che è l’ultima volta che mi vedi. Non tornerò. Non ti costringerò mai più ad affrontate una situazione come questa. Proseguirai la tua vita senza nessuna interferenza da parte mia. Sarà come se non fossi mai esistito”
Iniziò a tremare, il suo cuore stava esplodendo, sembrava volerle uscire dal petto e correre tra le mie mani.
Sorrisi dolcemente “Non preoccuparti. Sei un essere umano… la tua memoria è poco più che un colino. Il tempo guarisce tutte le ferite”
“E i tuoi ricordi?”
“Beh … Non dimenticherò. Ma a quelli come me… basta poco per trovare una distrazione”
Le sorrisi senza felicità. Sapevo che non era così. Il suo ricordo mi avrebbe tormentato per sempre. In cento anni non avevo mai amato una persona come amavo lei, il mio cuore le apparteneva, la mia mente, il mio respiro e, se Carlisle aveva ragione, anche la mia anima le apparteneva. Nessuna avrebbe mai preso il suo posto e non esisteva distrazione al mondo che sarebbe riuscita a farmi allontanare dal dolore che provavo nel non poter più godere della sua presenza, della sua vicinanza, della sua unicità.
Impallidì e le lacrime rigarono copiose il suo dolce viso. Mi guardò implorante, senza capire il perché le stessi facendo quel torto, si morse le labbra nervosamente mentre si accarezzava le mani per tranquillizzarsi. Continuava ad osservarmi con i suoi occhi profondi e turbati, ed il mio buonsenso vacillò strattonato dall'amore per lei e dalla voglia di vederla sorridere ancora una volta.
Volevo fuggire, andarmene via prima di cedere alla tentazione di rimanere con lei e gettare alle ortiche ogni buon proposito. Il corpo mi spingeva a correre via veloce, lontano. Feci un passo indietro “Tutto qui, credo. Non ti daremo più fastidio”
“Alice non tornerà?” chiese con voce piatta e incredula.
“No, se ne sono andati tutti. Io sono rimasto soltanto per poterti salutare.” Non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Erano gli ultimi istanti e volevo averli ben impressi nella mia mente.
“Alice se n’è andata?”
“Voleva salutarti anche lei, ma l’ho convinta che un taglio netto sarebbe stato per te meno doloroso. Addio Bella!” le dissi sereno, adesso sarebbe stata felice e lontana dal pericolo che la mia presenza le imponeva.
“Aspetta” gridò in un grido soffocato ed allungò le braccia verso di me implorante.
Le andai incontro, le cinsi i polsi e le avvicinai le braccia ai fianchi. Volevo abbracciarla, ma sapevo che non sarei più stato in grado di sciogliere l’abbraccio. Mi avvicinai alla sua fronte per poter imprimere nel mio cervello il suo profumo e le sussurrai:
“Fai attenzione”
Mi voltai e corsi via.
Sentii Bella chiamarmi, ma continuai la corsa. Dopo pochi metri tutto il dolore che avevo trattenuto durante la sceneggiata mi invase. Mi sentii svuotato, la testa mi girava ed il corpo era come fosse di gomma. Non sarei riuscito a fare un altro passo senza cadere. Mi sedetti su un albero ed iniziai a maledirmi per ciò che avevo fatto. Il volto di Bella confuso e rigato di lacrime continuava a vorticarmi davanti agli occhi. Cercai di riprendere fiato e di tornare lucido. Avevo fatto la cosa giusta ed il dolore che provavo era la giusta punizione. Non dovevo preoccuparmi per Bella, era un’umana ed il dolore che avevo visto nei suoi occhi durante il nostro addio sarebbe scomparso velocemente sostituito dall’amore per un altro.
Sentii Bella urlare il mio nome nel bosco implorante, era un richiamo al quale faticai a non dare ascolto; mi alzai di scatto e saltando da un ramo all’altro tornai davanti a casa Swan per riprendere l’auto.
La sua voce risuonava lontana da casa, si era addentrata troppo nel bosco.
Il mio istinto di protezione mi fece scattare, ma mi arrestai. Non potevo andare a prenderla, avrebbe reso vano il discorso che le avevo appena fatto ed anche se era un’umana e mi avrebbe dimenticato, in quel momento rivedermi le avrebbe solo confuso di più le idee e rimesso in discussione le mie certezze.
Aspettai in apprensione. Non tornava. Le ore passavano e la sua voce si allontanava.
Sentii in lontananza la macchina della polizia.
Corsi in casa e scrissi un biglietto a Charlie:
“Vado a fare due passi con Edward, su per il sentiero. Torno presto. B”
Avrebbe saputo dove cercarla e l’avrebbe sicuramente riportata a casa sana e salva, la lasciavo nelle sue mani e sapevo che era in buone mani, era un poliziotto, sicuramente era più che in grado di proteggerla.
Diedi un ultimo sguardo alla casa di Bella e partii sgommando mentre l’auto di Charlie faceva capolino sulla strada.
 

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Capitolo 6
*** Ripensamenti ***


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Corsi in casa per prendere le ultime cose. I richiami di Bella nel bosco continuavano a rimbombarmi nella mente. Se Charlie non l’avesse trovata? Se si fosse addentrata troppo nel bosco? Se fosse caduta e si fosse fatta male?
Iniziai a camminare nervosamente su e giù per la mia stanza ormai vuota. Come avevo potuto lasciarla sola nel bosco… ero un idiota!
Conoscevo il suo scarso senso dell’orientamento ed il suo poco equilibrio. Perché avevo deciso di lasciarla nel bosco? Perché non avevo atteso la sera, in camera sua, a dirle addio? Sarebbe stata al sicuro ed io non avrei più avuto scuse per rimandare la mia partenza!
Mentre continuavo a maledirmi per la mia stupidità, un odore pungente e nauseante mi punse il naso e fece sgorgare copioso il veleno nella mia bocca.
Mi affacciai alla finestra e vidi due Quileutes che sbirciavano dalla grande finestra della sala.
“Non ci sono dubbi, sono andati via!” disse quello con i capelli bianchi.
“Non avranno mica rapito Bella?” rispose un ragazzo di circa vent’anni con i capelli raccolti in una lunga coda e vestito con un goffo giubbino trapuntato. Era Jacob Black… mi uscì un ringhio profondo dal petto e le braccia si tesero pronte a colpirlo.
“Non penso… proviamo ad entrare” disse l’anziano mentre scassinava la mia porta.
Mi irrigidii, come si permettevano di entrare in casa mia! Stavo scendendo le scale per attaccarli quando il pensiero del vecchio mi congelò.
Povero Charlie, se non troviamo Bella sarà un duro colpo per lui!
Bella? Non l’avevano ancora trovata? Era già buio, ma come era possibile?
Corsi velocemente in cucina passando davanti ai due indiani e creando un piccolo spostamento d’aria che li immobilizzò per pochi secondi. Non mi avevano visto ero stato troppo veloce, i loro occhi umani erano troppo miopi e lenti per potermi percepire. Presi un foglietto e lo appesi al muro spoglio della cucina, prima di nascondermi all’esterno della casa:
“Per Bella.
Mi dispiace averti lasciata sola nel bosco vicino a casa tua,
ma non puoi seguirmi, devi dimenticarmi!
Edward”
Forse così avrebbero capito che Bella non era con noi e che non dovevano perdere tempo a cercarla qui, ma dovevano cercarla nel bosco vicino a casa Swan.
Appena entrarono in cucina il giovane storse il naso, sicuramente il mio odore lo ripugnava quanto il suo ripugnava me. Prese il biglietto e lo sporse al più anziano.
“Se ne sono andati e Bella non è con loro. Devi cercare Sam e dirgli di correre nel bosco a cercarla. Deve allargare il perimetro. Entro i primi due chilometri ci sono gli uomini della polizia che la cercano, lui deve cercare oltre. Corri!!” ordinò preoccupato l’anziano.
Il giovane si fiondò fuori dalla porta ed iniziò a correre a perdifiato per la foresta.
L’anziano si sedette stanco sul freddo pavimento e scosse la testa abbattuto.
“Lo dicevano i nostri avi che i Cullen portavano solo problemi. Per fortuna se ne sono andati… ma senza aver prima recato danni! Povera Bella! Povero Charlie!”
Aveva ragione. Avevo creato dei danni irreparabili, avevo cercato di rimediare, ma avevo solo peggiorato la situazione. Se fosse successo qualcosa a Bella per causa mia non me lo sarei mai perdonato, non avrei potuto reggere al dolore ed i sensi di colpa mi avrebbero torturato per l’eternità.
Non dovevo lasciarmi prendere dallo sconforto. Erano passate solo poche ore dal nostro incontro, non poteva essere andata lontano, non poteva essere tardi per ritrovarla e riportarla a casa sana e salva.
Iniziai a correre a perdifiato per la foresta. In ogni angolo potevo sentire persone che urlavano il nome di Bella e scorgere la luce delle torce. Iniziai la ricerca saltando da un albero all’altro per non farmi vedere. Ritornai nel punto in cui l’avevo lasciata ed iniziai a seguire la sua scia.
Dopo ore di tormento e angoscia finalmente la trovai. Era in braccio ad un Quileutes di circa vent’anni con il petto nudo e vestito con i soli pantaloncini corti. La gelosia mi attanagliò le viscere e mi fece scoppiare la testa. Il suo corpo fragile ed inerme a contatto con la pelle di quello sconosciuto. Mi avvicinai ed un odore nauseante mi costrinse a tenere le distanze. Riconobbi l’odore, era un licantropo… e stava toccando la mia amata.
Bella era in stato di shock e continuava a mormorare: “Non c’è più”. Mi sentii un miserabile, come avevo potuto lasciarla sola in mezzo alla foresta con il cuore spezzato?
Li seguii fin quando non arrivarono nello spiazzo dove si erano concentrati i gruppi di ricerca. Sentii le urla di gioia della folla e vidi Charlie accorrere verso il fagottino che era la figlia e prenderla faticosamente in braccio. Si diresse lentamente verso casa, con il Quileutes alle spalle pronto ad intervenire nel caso in cui le forze di Charlie fossero venute a mancare.
Sentii il medico che rassicurava Charlie dicendogli che Bella stava bene, ma quando spiai nei pensieri del Dottor Gerandy potei vedere il viso della mia amata e sentire la sua preoccupazione per la salute mentale della mia amata. Mi sentii un nodo alla gola. Erano passate solo poche ore, ma la mia mancanza l’aveva segnata.
Lo sguardo era vuoto, continuava a mormorare che non c’ero più e il suo corpo tremava. Il viso era pallido e rigato di lacrime.
Quando la folla se ne andò lasciando la dovuta privacy agli Swan, corsi alla finestra della camera di Bella.
Charlie la aiutò a spogliarsi e la adagiò nel letto come fosse di cristallo. Le chiese se avesse sete o fame, ma lei rispose di no con un debole cenno del capo.
Delle profonde occhiaie le contornavano gli occhi, le labbra erano pallide e la pelle sembrava ancora più fragile del cristallo.
Rabbrividii nel vederla così sciupata. Era sempre stata un fiore e dopo il nostro addio era un fiore spezzato. Spezzato da me.
Continuò a ripetere il mio nome mentre osservava con sguardo speranzoso la finestra dal quale ero solito entrare, fin quando non si addormentò.
Non entrai in camera, era rischioso, avrebbe potuto sentire la mia presenza o svegliarsi e trovarmi.
Mi nascosi sull’albero di fronte a camera sua e la osservai da lontano. Era agitata, si agitava nel sonno e ogni 10-15 minuti si svegliava urlante madida di sudore. Ogni urlo era una pugnalata. Soffrivo con lei. Avrei voluto entrare e rimangiarmi ogni parola che le avevo detto quel pomeriggio e che adesso la stavano facendo soffrire, ma mi ancorai al ramo e mi obbligai a rimanere nell’ombra. Era solo questione di tempo… era umana… avrebbe dimenticato…

Rimasi tutta la notte e tutto il giorno successivo nascosto nella foresta vicino a casa sua. Molti abitanti di Forks vennero a far visita alla famiglia Swan, ma Bella non uscì dalla sua stanza e rimase per tutto il giorno a letto con lo sguardo perso nel vuoto, rifiutando il cibo e qualsiasi attenzione. Non reagiva a nulla. Charlie le parlava e lei muoveva solo il capo, ma non emetteva alcun suono.
Le uniche occasioni in cui sentii la sua voce, fu nelle urla che la svegliavano dagli stati di dormiveglia. Passarono alcuni giorni, ma Bella non dava segni di miglioramento, anzi il suo viso era segnato da profonde occhiaie, le sue labbra erano esangui ed il suo corpo iniziava a dimagrire. Non mangiava, a fatica beveva per poi correre in bagno a vomitare. Lo sguardo continuava ad essere perso e le sue labbra si muovevano solo per dire il mio nome o per implorarmi di tornare.
Charlie era preoccupato per la figlia e le notti insonni passate a correre al capezzale della figlia in preda agli incubi aveva iniziato a segnare anche lui.
Una sera, dopo l’ennesimo incubo, non resistetti alla tentazione ed entrai in camera sua.
Il suo profumo mi colpì fortissimo. Il demone si risvegliò e feci fatica e rimetterlo in catene. Smisi di respirare e mi avvicinai cauto al suo cuscino. Non ero più abituato al suo profumo, ma poter sentire il calore del suo corpo, la melodia del suo cuore e poterla osservare così da vicino, mi fecero sentire nuovamente completo. Mi sedetti a lato dal letto, con la testa appoggiata al materasso, le gambe strette al petto e chiusi gli occhi per poter assaporare completamente quella bellissima e profonda sensazione. Erano passati solo pochi giorni dal nostro ultimo incontro, ma mi parvero decenni. Risentii il mio corpo vibrare, il mio cuore morto ritornare completo e la mia mente libera e serena. Ero come un drogato felice di aver potuto riassaggiare la sua droga preferita.
“Torna… cambierò… torna…” sussurrò Bella mentre si agitava nel letto.
“Sono qui” avrei voluto dirle, ma mi morsi il labbro e mi inginocchiai vicino a lei. Le accarezzai i capelli e le sussurrai la sua ninna nanna. Fece effetto. I suoi sogni sembrarono più tranquilli.
Mi sedetti sulla sedia a dondolo e continuai a cantarle le mie canzoni. Dovetti nascondermi alcune volte nell’armadio o fuori dalla finestra per non farmi trovare da suo padre o per non farmi vedere da lei quando si svegliava urlando. Ricominciai a passare le notti in camera sua, a confortarla quando la sentivo agitarsi e a sussurrarle la ninna nanna quando dormiva. Non mi allontanai più da lei. Di giorno rimanevo nascosto nella foresta in trepida attesa che ritornasse la notte. Non mi cibai più e non tornai più a casa, nemmeno per cambiarmi. Il solo pensiero di allontanarmi da lei faceva rinascere il varco nel mio petto e mi stringeva la gola dandomi la sensazione di soffocare.
Una sera ogni mio tentativo di tranquillizzarla non fece effetto. Decisi di azzardare e, quando ebbi la certezza che si fosse addormentata, mi sdraiai accanto a lei e accarezzandole i capelli le confessai il mio amore e le motivazioni della mia scelta; le chiesi scusa e mi azzardai a darle un bacio sulla fronte. Allontanare le mie labbra dalla sua delicata e profumata pelle fu più difficile di quanto avessi immaginato.
Dopo quel bacio rubato, capii che non ero forte come credevo. Non sarei mai riuscito ad allontanarmi da lei. Avevo troppi motivi per rimanere.
Decisi che potevo starle vicino, nascosto nell’ombra, senza intralciare la sua vita, fin a quando non si fosse ripresa e, appena avesse incontrato la persona delle visioni, mi sarei allontanato senza voltarmi indietro.
 
Un pomeriggio, mentre mi crogiolavo nei pensieri di rimanere a proteggerla…
“EDWARD ANTHONY MASEN CULLEN” la voce arrabbiata di mia sorella, mi ridestò e mi fece cadere dall’albero sul quale ero appollaiato.
Mi rialzai togliendo le foglie dai capelli e la guardai stupito.
Aveva le mani sui fianchi e mi guardava con sguardo omicida. Jasper era pochi passi dietro di lei e guardava verso il cielo trattenendo a stento un sorriso.
Sei nei guai fratellino – mi avvisò con il pensiero.
“Ehm… Ciao Alice… Ciao Jasper” dissi con un sorriso imbarazzato, mentre li salutavo con la mano.
“Ma che diavolo stai facendo? Sei impazzito?” mi inveì contro Alice mentre si avvicinava a grandi passi.
Hai obbligato l’intera famiglia a trasferirsi… hai spezzato il cuore di Bella …
“… e hai deciso di viverle vicino senza che lei lo sappia?” terminò urlando e picchiettandomi il petto con il dito indice.
“Non sei corretto! Sei solo un egoista! Ti credevo una persona migliore” terminò dandomi le spalle e incrociando le braccia offesa.
Ti odio! – pensò con un rancore che non avevo mai sentito in mia sorella in decenni di convivenza.
Mi sentii un verme. Aveva ragione. Avevo fatto tanti bei discorsi sul non essere egoista, sul voler essere una brava persona… invece mi stavo comportando come un miserabile che pensava solo a sé stesso.
“Scusa” sussurrai.
Ringhiò e scappò nella foresta senza degnarmi di uno sguardo.
“Allontanarsi da Bella non è stato facile per lei. Ha combattuto molto contro l’istinto di tornare da lei. Le manca. Era la sua miglior amica e le voleva bene… le hai fatto un grave torto” disse con tono piatto Jasper mentre osservava il punto in cui Alice era scomparsa.
“Mi vergogno di me stesso” riuscii a dire abbassando il capo.
“L’hai fatta grossa… tutta la famiglia è molto delusa dal tuo comportamento. Nessuno si aspettava che fossi un voltabandiera. Se volevi allontanarci per poter stare solo con lei, potevi evitarti tanti bei discorsi e dirlo direttamente. Soprattutto perché Carlisle, Esme e Alice non avevano fatto nulla di sbagliato. Sono stato io a creare tutti i problemi… credevo mi avessi perdonato!” continuò Jasper trafiggendomi con gli occhi pieni di rancore.
“Non è come pensi” sussurrai, azzardando un passo verso di lui; ma anche lui scomparve nella foresta.
Le gambe mi abbandonarono e il mondo iniziò a vorticare così veloce che mi diede la nausea.
Mi inginocchiai prendendo la testa tra le mani, serrai forte gli occhi e mi morsi le labbra per non far scappare l’urlo che mi soffocava.
Cosa avevo fatto? Avevo deluso e allontanato tutti quelli che mi amavano.
Bella era uno straccio, Alice era offesa, Jasper era ferito ed avevo deluso i miei genitori. Ma cosa mi era successo? Non mi riconoscevo più. Ero sempre stato un uomo di parola e fermo nelle proprie decisioni. Avevo sempre fatto attenzione a non deludere e ferire nessuno… invece in pochi giorni avevo distrutto tutto ciò che mi era più caro.
Iniziai a correre per la foresta seguendo la scia dei miei fratelli. Quando fui abbastanza lontano dal centro abitato iniziai a chiamarli a squarcia gola. Volevo spiegarmi, volevo scusarmi … non volevo perderli!
Sentii i pensieri di Alice provenire da un rudere senza tetto nascosto da grandi alberi a lato strada. Mi inoltrai nel sentiero ricoperto di erbacce e mi avvicinai cauto all’ingresso fatiscente.
“Scusa” sussurrai mentre aprivo la porta di legno ammuffita e scardinata.
Alice era seduta sulle pietre di un vecchio camino, aveva lo sguardo rivolto verso terra e Jasper le cingeva le spalle con il braccio. Appena fui nella stanza mio fratello mi ringhiò, mentre Alice continuò ad osservare il pavimento offesa.
“Mi dispiace… mi dispiace… per piacere lasciatemi spiegare”
Alice alzò leggermente il sopracciglio e mi guardò freddamente.
“Ho sbagliato. Mi sono smarrito” continuai implorante mentre mi inginocchiavo di fronte a mia sorella.
“Sei un egoista” disse Alice, dandomi le spalle.
“Ero sicuro di essere abbastanza forte da lasciarla…” E spiegai nei minimi dettagli la scomparsa di Bella dopo il nostro ultimo incontro, il terrore che mi aveva invaso ed il timore per la sua vita quando nei giorni successivi si rifiutava di reagire alla mia partenza. Continuai per ore a spiegare ogni sfaccettatura delle mie emozioni, dei miei timori, della mia incapacità di vivere lontano da lei.
“Devi prendere una decisione! Non puoi vivere sul confine. O torni da lei permettendoci di tornare e permettendole di entrare a far parte della nostra famiglia o te ne vai e segui le scelte che avevi preso”
Sapevo cosa intendeva con “entrare a far parte della nostra famiglia”. Il battito del cuore di Bella che si affievoliva fino a scomparire mi rimbombò nelle orecchie. NO! Non avrei stroncato quella melodia.
“Hai ragione!” sussurrai sconvolto.
La visione di Bella immortale si affievolì. Alice gemette, sperava ancora di poter diventare sorella di Bella.
La abbracciai con trasporto. “Scusa… scusa…scusa… e grazie!”
Mi allontanò guardandomi stupita. Sorrisi nel rivedere la faccia da folletto impertinente di mia sorella, senza ombra di rancore e rabbia.
Grazie?
“Sì. Grazie di essere tornata… di essere tornati” mi corressi guardando con affetto Jasper “Grazie per avermi fatto rinsavire. Non sono forte come credevo. Siete voi la mia forza… e vi ringrazio di essere miei fratelli”
Corremmo verso casa Cullen e dopo i dovuti abbracci e saluti salii in macchina. Il profumo di Bella era ancora presente nell’abitacolo e fece nuovamente traballare la mia decisione.
Alice si parò davanti al cofano della Volvo e indicandomi con il braccio teso la direzione per l’Alaska mi avvisò:
“Non me ne vado fin quando non avrò la certezza che sarai uscito da Forks…, forza … la strada per l’Alaska la conosci, e… non passa davanti alla casa dell’ispettore Swan!”
 

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Capitolo 7
*** Esilio ***


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Era il crepuscolo, la voglia di vedere Bella per l’ultima volta era fortissima. Faticai a sterzare il volante per le strade che mi allontanavano da lei. Appena fui fuori dai confini di Forks accelerai fuggendo come un animale braccato.
Mi diressi verso Denali, come mi aveva indicato Alice. Era il luogo in cui mi rifugiai la prima volta che fuggii da Bella e dalla tentazione del suo sangue, quel maledetto prima giorno di scuola.
Percorsi le strade ad altissima velocità. Tutto intorno era sfuocato. Il mio cervello stava esplodendo ed il mio corpo si stava lacerando.
Volevo tornare indietro, volevo tornare da lei, tra le sue braccia, tra i suoi baci … sentii una parte di me staccarsi.
“Ah!” Mi spezzai in due. Una parte di me volò fuori dal finestrino e si diresse verso la piccola cittadina di Forks, ricongiungendosi con la mia amata.
Pestai sull’acceleratore con lo sguardo fisso in avanti, il volante stretto tra le mani, non avrei ceduto… non potevo cedere, lo dovevo alla mia famiglia, alla mia amata ed a me stesso.
Mentre mi concentravo sulla meta, il viso di Tanya fece capolino. Con la sua chioma bionda, il suo perfetto viso di porcellana ed i suoi grandi occhi, mi guardava delusa per la mia mancanza di amore nei suoi confronti. Tanya era dolce e spigliata, la mia cugina di Denali preferita, le volevo bene, ma era un amore fraterno, era molto diverso dall’amore che provavo per Bella e diverso da ciò che si aspettava Tanya da me. Non potevo andare a Denali, non avrei fatto soffrire anche Tanya e sicuramente il mio ritorno l’avrebbe convinta di un mio ripensamento. Non potevo andare da lei, l’avrei illusa.
 
Il profumo di Bella indugiava ancora nella macchina e mi fece bruciare la gola, chiusi gli occhi per assaporarlo e riuscii a sentirla vicino a me… la sua risata, il suo calore… rividi le sue guance leggermente arrossate e gli occhi brillare di curiosità… sentii il battito del suo cuore, il suo respiro…
Tutto il mio corpo si immobilizzò a quella sensazione. Schiacciai il piede sul freno. La macchina sbandò e si fermò a lato della strada appoggiandosi ad un albero.
La mia mente venne sommersa da tantissime immagini. Bella nel primo giorno di scuola, Bella al ristorante, Bella nella valletta, Bella tra le mie braccia, Bella sorridente, il luccichio dei suoi occhi quando capiva che la stavo prendendo in giro, la pelle che si coloriva quando la offendevo, il suo cuore che batteva all’impazzata quando mi avvicinavo….
NO, dovevo smettere.
Bella vampira, Bella dissanguata, Bella sotto le grinfie di James, Bella pallida ed addormentata nel letto d’ospedale, Bella disorientata sul pavimento del salone con un taglio profondo sul braccio …
Questo dovevo pensare. La mia lontananza era la cosa giusta.
Poggiai la testa al sedile e mi lasciai prendere dal nulla. Guardai fuori dal parabrezza, osservai il cielo e cercai di concentrarmi sulle foglie dell’albero che aveva arrestato l’auto e sui suoi microscopici abitanti. Cercai di svuotarmi la mente. Dovevo tornare lucido e pensare a cosa avrei fatto, dove sarei andato.
Non potevo ricongiungermi con la mia famiglia, non avrei potuto sopportare lo sguardo sofferente di Esme, o quello compassionevole di Carlisle, o lo sguardo offeso di Tanja o ancor peggio rischiare di vedere delle visioni di Alice sul futuro di Bella.
Girai la macchina e mi avviai verso il Messico.
Viaggiavo di notte e mi nascondevo di giorno. Durante le ore notturne il dolore era attutito dallo sfrecciare del paesaggio. Il proseguire dell’auto sembrava allontanare i pensieri dolorosi. Cercavo di farmi rilassare dal suono del motore, dall’aria sul parabrezza, dai paesaggi che cambiavano.
Ma di giorno il dolore era lancinante. Mi sentivo diviso a metà, non ero completo. Il dolore era intollerabile, sentivo ogni parte del mio corpo rivivere e bruciare tra le fiamme, sentivo ogni organo lottare per rinascere proprio come successe durante la trasformazione, forse più forte, perché i miei sensi da vampiro mi rendevano tutto molto più nitido e non avevo nemmeno la speranza di morire come nel momento in cui mi trasformai in immortale.
Arrivato in Messico raggiunsi la radura di proprietà di mio padre, era nascosta in un luogo dove nessun umano sarebbe arrivato facilmente. Mi coricai nel mezzo dell’erba e mi lasciai scivolare nella tortura.
Le ondate di dolore si innalzarono di fronte a me e mi si infransero addosso, trascinandomi giù verso un baratro.
Rimasi immobile, non avevo la forza di lottare, volevo che l’abisso mi inghiottisse, che mi facesse scomparire dalla terra. Non volevo esistere, avrei voluto non essere mai esistito. Il dolore che mi stava torturando mi ricordava che invece esistevo e che ero immortale e dannato.
Il viso di Bella apparve in mezzo a quel tormento, il suo sguardo era solare ed allegro, ed era distante. Un varco pulsante di angoscia si aprì all’altezza del cuore.
Mi pietrificai. Passarono le ore, passarono i giorni, ed io come in un magnifico sogno perenne rivedevo lei, il dolore era forte, mi continuava a ricordare che ero vivo e lontano dall’unico vero amore che mi era stato concesso di conoscere, ma il ricordo dei momenti passati con Bella agiva come un forte antidolorifico.
Percepivo gli animali avvicinarsi ed alcuni più impavidi annusarmi, incuriositi dalla strana pietra che spiccava in mezzo a quel prato. La polvere si appoggiò al mio corpo, la pioggia lo lavò ed il sole fece riflettere la mia pelle sul prato. I giorni passarono come a rallentatore. Ogni secondo della mia esistenza veniva scandito dal ricordo dei momenti passati con lei, da ogni suo piccolo gesto, da ogni cosa che riguardava lei, quindi non avevo motivo di muovermi. Non potevo morire, ma potevo non vivere.
I giorni iniziarono ad essere più freddi, gli animali iniziarono a svanire, forse erano entrati in letargo o semplicemente non erano più interessati a me.
L’immagine di Bella era vivida ed il suo profumo forte, come se fosse di fronte a me. Non mi muovevo, perso in quell’illusione che fosse lì accanto, era la punizione più semplice che potessi concedermi. Ero con lei, anche se solo con la mente, ancorato ai ricordi, ma non sentivo dolore, sentivo solo lei.
Sentii delle mani toccarmi le spalle. Mi alzai di scatto, stordito e sulla difensiva. Il veleno mi riempì la bocca e i muscoli si contrassero, furioso perché ero stato strappato dal mio oblio perfetto.
Non mi uscì nessun ringhio, la voglia di non-vivere era più forte del mio istinto di sopravvivere.
Carlisle.
Scossi il capo come per svegliarmi da un’allucinazione.
Il sorriso sereno e lo sguardo paterno di Carlisle era di fronte a me, i suoi capelli biondi luccicavano sotto il sole e i suoi occhi dorati mi guardava con affetto. Aveva ancora il braccio alzato, ma non si mosse.
“Cosa?” dissi stordito.
“Ciao, Edward” lo disse come se ci fossimo visti pochi minuti prima.
Stai bene?
“Perché? Cosa? Ma dove?” ero confuso, la testa mi girava. Non avevo la percezione del luogo in cui fossi e del mio stesso corpo.
Caddi a terra, in ginocchio, e strinsi la testa tra le mani come per riuscire a mettere insieme i pensieri. Cercai disperato il viso di Bella nella mia mente, era ancora lì, ma distante.
“So che volevi stare solo, ma Esme era preoccupata e sono venuto a cercarti” Anche io ero preoccupato!
Non riuscivo a parlare, avevo la gola in fiamme e mi sentivo debole.
“Dovresti cibarti, non hai una bella cera” disse preoccupato.
Continuai a non rispondere. Ero concentrato sul viso di Bella, non volevo perderla anche nei pensieri.
“Edward? Ti prego, dimmi qualcosa!” e prudente si avvicinò di un passo.
Non dovevo lasciarlo da solo, come ho potuto essere così cieco, non dovevo lasciarlo andare, avrei dovuto insistere. Mi credevo una persona sagace, invece non sono riuscito a capire il vero dolore di mio figlio…
Una forte sofferenza attraversò la mente di mio padre ed una scossa mi fece riprendere.
“Non è colpa tua” gli gridai in faccia con tutta la rabbia che in quel momento dimorava nel mio corpo.
Mi guardò sbigottito e confuso.
Le braccia mi tremavano, il terreno sprofondava sotto i miei piedi e la voragine del petto tornò viva a straziare il mio corpo.
Rimase in piedi di fronte a me, con il braccio rivolto verso la mia direzione ed il palmo volto verso l’alto, con l’invito negli occhi di accettare la sua mano.
Restai inginocchiato, con i pugni chiusi appoggiati alle ginocchia e la testa mi cadde pesante verso il basso.
Ti prego, permettimi di aiutarti.
Senza accorgermene, involontariamente, alzai il volto e lo guardai. Sentii una spinta verso l’alto e mi ritrovai abbracciato a mio padre. Non era mai successo in ottant’anni, ma in quel momento fu naturale, il contatto con il corpo del mio pilastro mi riportò alla realtà tenendo insieme i pezzi del mio essere che pressavano per fuggire. Rimanemmo alcuni minuti in quella posizione.
“Devi cibarti” mi sussurrò allontanandomi gentilmente.
Annuii e senza opporre resistenza lo seguii.
Ci inoltrammo nel bosco. I miei sensi erano acuti, il prolungato digiuno li aveva raffinati.
Non ci misi molto a fiutare la traccia di un carnivoro. La seguii come se fosse un filo luminoso intermittente. Mi accovacciai su una pietra e vidi la mia preda. Balzai sul giaguaro ad una velocità superiore alla mia classica, ma non lo finii subito, combattei contro di lui e, dopo una feroce lotta, ebbi la meglio. Ero tutto macchiato, la maglietta lacerata e sporca, ed il sangue dell’animale colava dai lati della mia bocca.
Sembravo Emmett dopo una battuta di caccia. Pensai a cosa avrebbe pensato il mio fratello orso vendendomi in quello stato. Non mi ero mai sporcato quando mi cibavo. Ero sempre perfetto e uccidevo velocemente la mia preda, evitando inutili battaglie. Non volevo far soffrire l’animale. Ma quella volta la mia rabbia era forte, avevo bisogno di sfogarla e il giaguaro era l’unico che potevo utilizzare per il mio sfogo.
Mio padre mi squadrò con sguardo sorpreso e scuotendo la testa scoppiò in una sonora risata.
Influenzato da mio padre e con il pensiero di mio fratello dopo la caccia, scoppiai anch’io a ridere. Una risata isterica, non felice, ma comunque liberatoria.
Mi sentii più in forze e l’immagine di Bella tornò vivida, non mi lasciò nemmeno quando iniziai a parlare con Carlisle.
Mio padre evitò le vere domande che gli frullavano in testa ed iniziò a parlare della mia famiglia, di come ognuno di noi fosse unico nella caccia.
Emmett adorava gli orsi. Combatteva contro di loro ed ogni volta ne usciva con la maglietta stracciata ed il viso sporco di sangue, proprio come me in quel momento.
Alice era delicata. Arrivava alle spalle della preda come una piuma ed in meno di un secondo aveva terminato il pasto. A lei piacevano soprattutto gli erbivori, i cervi erano i suoi preferiti.
Jasper preferiva i carnivori, ricordavano di più il sangue umano e saziavano meglio la sua sete. Non aveva un animale preferito, ma quando li attaccava sembrava un’aquila. Veloce, preciso, piombava sulle prede con gli artigli e loro non avevano più scampo.
Esme, la mia dolce madre, anche lei preferiva gli erbivori come mia sorella. Non aveva una preferenza, ma nell’attacco era come un cucciolo di puma. Delicato, dolce e aggraziato. Leggermente impacciata, perché non le piaceva uccidere, ma era obbligata a cibarsi.
Rosalie adorava le linci, ovviamente non erano molto comuni in America - riusciva ad essere difficile anche nel cibo - e quindi, in mancanza della sua preda preferita, si accontentava di ciò che trovava. Ovviamente anche nella caccia era impeccabile, terminato il pasto non aveva nemmeno un capello fuori posto.
Carlisle non aveva preferenze. Quando cacciava era come una pantera. Maestoso, veloce, preciso e perfetto. Le sue vittime non si accorgevano nemmeno del suo attacco. Era compassionevole anche con gli animali.
Io adoravo i puma e nella caccia dicevano che assomigliavo ad una leone e, devo ammetterlo, anche io ne uscivo sempre molto composto e pulito.

Rigenerato dalla caccia e dalla chiacchierata, mi sentii il dovere di scusarmi.
“Scusa se ti ho fatto preoccupare”
“Non fa nulla, non posso capire appieno cosa tu stia passando, ma lo accetto e ti sono vicino. Ti chiedo solo di non sparire. Tua madre e i tuoi fratelli sono preoccupati per te.”
“Ci proverò, ma non sono ancora pronto per tornare”
Annui leggermente deluso. Non sono tranquillo a lasciarti ancora da solo…
“Saresti più tranquillo se prima di lasciarmi, mi trovassi una sistemazione?”
“Si, sarei più tranquillo…” e il suo volto si rilassò.
Tornammo nel mondo degli umani, il loro odore mi fece bruciare la gola ed il demone ringhiò affamato ed impaziente. Ero rimasto troppo tempo lontano dai mortali e dovevo riabituarmi.
Prendemmo una camera d’albergo in una piccola cittadina vicino ad una foresta piena di animali selvatici, così la mia fame sarebbe stata tenuta sotto controllo.
Appena sistemati telefonai a mia madre, mi rispose quasi urlando, era entusiasta di sentire la mia voce. L’avevo fatta stare in pensiero e sapere che stavo bene la tranquillizzò. Sentii dietro mia madre la voce squillante di Alice, urlava dalla gioia e con impazienza suggeriva domande ad Esme.
Dov’è? Cosa fa? Quando torna? …
Troppo eccitata strappò il telefono dalle mani di Esme ed iniziò a riempirmi di domande, senza darmi il tempo di rispondere.
“Sto bene, Alice” dissi con il tono con cui si parla ad un bambino.
“Perché non torni da noi?”
“Non me la sento ancora”
“Allora veniamo noi da te, aspettaci”
“NO” risposi in un ringhio, il pensiero di rivedere mia sorella mi rendeva felice, ma la paura di vedere Bella nel futuro, per una distrazione di Alice, mi spaventava, non ero ancora abbastanza forte.
“Oh …”
“Scusa Alice. Mi terrò in contatto, ma per piacere rimani con Esme, non lasciarla anche tu.”
“Ok” rispose delusa.
Carlisle rimase con me ancora alcuni giorni, andammo tutte le sere a caccia per farmi recuperare le forze e l’autocontrollo. Visitammo la città come due semplici turisti, facendo compere e visitando i luoghi caratteristici. Carlisle voleva assicurarsi che non fossi pericoloso per gli umani e quindi mi portava in posti affollati per studiare le mie reazioni. La vicinanza degli umani ritornò accettabile e ricominciai a comportarmi normalmente, fingendomi interessato alle futili cose che il mondo mi proponeva.
Riuscii a convincere mio padre che stavo di nuovo bene, che il dolore era sotto controllo e che ero in grado di continuare la mia esistenza senza il suo supporto. Quando fu più tranquillo e sicuro sul mio stato d’animo, riuscii a convincerlo a tornare dalla mia famiglia.
Il giorno della sua partenza, lo accompagnai all’aeroporto. Mi abbracciò e mi guardò speranzoso. “Ti prego, torna a casa con me, Esme sarebbe più tranquilla se potesse vedere con i suoi occhi che stai bene”
La voglia di rivedere la mia famiglia era una tentazione forte. Il varco nel mio petto bruciava per la lontananza da Bella, ma ero riuscito a convincere Carlisle, sarei riuscito ad ingannare anche Esme. Ma volevo stare da solo, volevo potermi crogiolare nel dolore liberamente senza preoccuparmi di chi mi era vicino, volevo ritornare nell’oblio dove Bella era presente.
Lo sguardo di mio padre continuava a fissarmi fiducioso e la sua mano esitava sulla mia spalla.
Mi sottrassi dal suo tocco e con sguardo pieno di scuse mormorai “Mi dispiace, non sono ancora pronto. Salutali da parte mia.”
Capisco!
E con un macigno nel petto me ne andai, sarei andato a trovarli, ma non era ancora arrivato il momento.
Il giorno che Carlisle partì, anch’io lasciai il Messico e mi diressi verso la Colombia.

Arrivai a Bogotà, presi una camera, diedi istruzioni precise di non disturbarmi e mi chiusi dentro.
Il silenzio mi assalì ed i ricordi iniziarono ad arrivare prepotenti nella mia mente.
Per la prima volta dalla mia partenza da Forks, rividi la visione di Bella sulla spiaggia insieme allo sconosciuto.
Ringhiai ed una voglia assassina si impadronì di me. Volevo uccidere quella persona, volevo sfogare su di lui tutto il dolore che stavo provando. Irrigidii le braccia e strinsi i denti. Il veleno mi invase la bocca e una sete irrefrenabile mi colpì.
Uscii dalla finestra per evitare di incontrare degli umani e mi misi a correre senza meta, sentivo il vento schiacciare il mio corpo e vedevo ogni singolo particolare del paesaggio che saettava ai miei lati. Provai a convincermi che dovevo essere grato alla persona senza nome che avrebbe reso felice Bella, ma la gelosia era più forte del buon senso. Non riuscivo ad immaginarmi la mia Bella nelle braccia di un altro, mentre lo guardava negli occhi e gli regalava i suoi sorrisi. Quei sorrisi che una volta mi erano appartenuti. Il suo profumo, il suono della sua voce, il suo viso, erano scolpiti nella mia memoria da vampiro. Dovevo essere grato di poter avere quei ricordi. Di aver provato cosa fosse l’amore assoluto, anche se era un amore impossibile. Dovevo essere soddisfatto di essere stato abbastanza forte da darle l’opportunità di vivere una vita normale e appagante, anche se avevo pagato con la mia felicità. La voglia di uccidere scemò ed io rallentai la corsa fino a camminare.
Si stava facendo giorno, dovevo rientrare. Mi sentivo sfinito, svuotato e debole come un umano.
Nella camera d’albergo tutto il dolore mi investì, la corsa che avevo appena terminato non aveva portato benefici duraturi. Lo squarcio nel petto mi fece fremere tutto il corpo. Mi accasciai sul pavimento e strinsi con le braccia il petto cercando di spegnere il fuoco che stava ardendo, espandendosi per tutto il corpo.
La certezza che i miei occhi non l’avrebbero più rivista, che il mio olfatto non avrebbe più assaporato il suo profumo, che il mio corpo non avrebbe più avvertito il suo calore mi diede il colpo di grazia.
“Ah!” urlai in preda alla disperazione ed al dolore. Non ero più completo, una parte di me mi aveva abbandonato a Forks e il mio corpo immortale era in preda al più forte tormento che avesse mai provato.
L’avevo detto che avrebbe solo portato disgrazie, dovevamo ucciderla il primo giorno…
Quel pensiero arrestò ogni sensazione. In uno scatto fulmineo mi ritrovai con la schiena alla parete, acquattato in posizione di attacco e ringhiai, con la bocca satura di veleno.
Mi guardai intorno, ma non c’era nessuno. Rimanendo in posizione cercai di capire cosa era successo. Cercai di sentire i pensieri nelle vicinanze.
Caspita ho lasciato le chiavi dentro la stanza!
Finalmente stasera arriveremo al dunque … chissà se indossa la biancheria in tinta!
Che figo, la cena in camera, mi sento un pascià!
Tutti pensieri vuoti di persone sconosciute, ma la voce che avevo sentito era conosciuta … era Rosalie, era un ricordo.
Quella scoperta fece ritornare il dolore che mi aveva lasciato momentaneamente. La sera della festa di Bella mi si parò davanti come un film. Rividi tutti i singoli movimenti, risentii tutti i dialoghi e riprovai tutte le emozioni, anche quelle più ributtanti.
Ero stato un illuso allora e lo ero ancora adesso. Avevo pensato che l’amore tra me e Bella fosse possibile, che fosse possibile un amore tra il predatore e la preda. Ed adesso mi ero illuso che l’amore per lei ed il dolore della lontananza mi sarebbero diventati abituali. Come se potessi sfuggire alla mia maledizione.

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Capitolo 8
*** Natale ***


Era Natale, nelle strade l’aria era impregnata dall’odore di pini, di carta, di plastica e di dolciumi. Tutti intorno a me erano felici, spensierati.
Camminavo in mezzo a tutti quegli umani e passeggiavo davanti alle vetrine illuminate e decorate … prendevo in prestito i pensieri dei passanti per non pensare alla mia vuota non-vita. Era il mio modo di dormire.
Speriamo che Robert mi regali un anello!
Devo ancora finire di addobbare l’albero!
Come faccio a lasciarla, siamo a Natale, ma la segretaria è uno schianto!
Caspita, mi sono dimenticato il regalo per mamma!
Mamma … famiglia … mi decisi.
Andai all’aeroporto e presi il primo volo per Ithaca.
Mi presentai direttamente davanti alla porta di casa, senza preavviso. Leggermente imbarazzato suonai il campanello.
“Edward!” un folletto mi volò al collo.
“Ciao Alice” sorrisi impacciato.
“Che regalo fantastico!!! Jasper, Esme, Carlisle!!!” urlò mentre mi trascinava dentro casa.
“Edward!!” mia madre mi corse incontro e mi abbracciò. Non mi lasciò nemmeno quando salutai Jasper, e Carlisle entrò nella stanza.
Bentornato, figlio!
“Forse è meglio che liberi il prigioniero” la canzonò mio padre.
Ops … Scusa - e sciolse l’abbraccio.
“A cosa dobbiamo questa splendida sorpresa?” mi chiese felice Carlisle.
“E’ Natale, non era educato saltare il pranzo di famiglia” risposi disinvolto facendo spallucce e tutti scoppiarono a ridere spensierati.
Passai la serata ad ascoltare i loro racconti, Esme aveva adocchiato una bellissima casa del diciassettesimo secolo nella foresta a nord della città. Era da ristrutturare e mia madre era intenta nelle trattative dell’acquisto, anche se ne parlava come se fosse già di sua proprietà, mi spiegò tutte le varie modifiche che intendeva fare. Carlisle lavorava nell’ospedale della città e di notte faceva alcune ore di insegnamento alla Cornell University, gli piaceva l’ambiente e le varie innovazioni che aveva scoperto. Jasper frequentava la Cornell come studente in filosofia, stava gestendo bene la vicinanza con gli umani e filosofia faceva proprio al caso suo, lo avrebbe aiutato a gestire meglio gli istinti. Alice stava organizzando di partire alla ricerca del suo passato, aveva scoperto che sua nipote abitava a Biloxi, avrebbe iniziato da lì. Emmett e Rosalie si erano fermati in Africa, sarebbero tornati per risposarsi e avrebbero visitato l’Europa.
La notte passò piacevolmente, rimanemmo seduti tutti insieme nel salotto con il camino acceso a raccontarci dei mesi passati separati, io non avevo molto da raccontare, ma Alice mi salvò con il suo entusiasmo per le scoperte che aveva fatto sulla sua dimenticata vita da mortale. Tenne banco per tutta la notte, allontanando l’attenzione dai miei miseri racconti.
Al mattino diedi i regali che avevo acquistato all’aeroporto di Bogotá, non erano proprio i miei regali abituali, ma non ero abituato ad arrivare a mani vuote, e il tempo tra la decisione e la partenza non mi avevano permesso di fare altre scelte ed acquisti più dispendiosi.
Ad Alice regalai degli orecchini tipici locali, fatti a mano e multicolore; a Esme, un modellino da appendere al muro che ritraeva uno scorcio della via centrale di Bogotà; a Carlisle, una maschera intagliata a mano che secondo i nativi portava fortuna ed aiutava nelle guarigioni, ed a Jasper una maglietta multicolore abbinata agli orecchini di Alice. Li scartarono e ne furono entusiasti come se avessi regalato loro dei diamanti.
La mia famiglia mi ricambiò regalandomi un bracciale in cuoio nero, largo circa cinque centimetri e chiuso con dei laccetti in cuoio grigio. All’interno vi era inciso:
“La famiglia ti è sempre accanto ed è il bene più prezioso”
Lo allacciai subito al polso e li ringraziai per quel splendido pensiero.
 
Passai con loro alcuni giorni.
Mi rilassai andando a caccia con Jasper. Nei suoi pensieri continuava ad annidarsi il timore che le mie scelte fossero state dettate dalla sua mancanza di controllo la sera della festa.
“Per ciò che è successo quella maledetta sera non devi sentirti in colpa. Te ne sono grato!”
Jasper inclinò il capo di lato e mi guardò come se fossi impazzito.
Sorrisi e, dandogli una fraterna pacca sulla spalla, gli spiegai: “Ero accecato dall’amore. Non vedevo il vero pericolo che stavo facendo correre a Bella standole vicino. La tua reazione mi ha aperto gli occhi. La preda ed il predatore non posso convivere senza il rischio che la natura abbia il sopravvento. Quindi: grazie!”
“Sei sempre il solito gentiluomo!” disse Jasper scuotendo la testa e sorridendomi.
“Sono sincero! Non mi ha spaventato la tua reazione, ma la mia.” Il ricordo dello stomaco che si attorcigliava dalla fame e la gola che bruciava per la sete attirato da quel prelibato profumo, fece capolino nei mei pensieri. Inorridii.
Jasper captò la mia reazione e mi rilasciò subito una sensazione di pace, guardandomi dispiaciuto.
“Sono un mostro che si ciba di sangue. Di Bella non adoravo solo il suo essere… il suo sangue è stata la prima cosa che ho adorato di lei” mi facevo ribrezzo, ma era la verità.
“Hai dimostrato un autocontrollo pari, per non dire superiore, a Carlisle. Se mi permetti: hai sbagliato a non trasformarla. Saresti riuscito a fermarti in tempo… ed adesso vivreste felici insieme”
Gli ringhiai senza guardarlo negli occhi.
“E’ inutile che lo neghi. Tutti noi ci siamo accorti di come la presenza di Bella ti abbia cambiato nel profondo. Era la tua metà, come Alice lo è per me, come Emmett lo è per Rose e come Carlisle lo è per Esme.”
“BASTA”
Jasper era perspicace e capì che era meglio chiudere il discorso. Scosse la testa e si mise a correre verso casa.
“Vediamo se sei ancora il più veloce” urlò ormai a diversi metri da me.
 
Con Alice mi divertii a giocare a scacchi come ai vecchi tempi. Erano partite veloci e giocate quasi tutte con la mente. Lei prevedeva le mie mosse ed io leggevo le sue contromosse. Erano divertenti e finivano sempre con una sonora risata.
“Scusa ancora per come ho affrontato l’addio a Bella” esordii un giorno durante una partita.
Sei un romantico! Non puoi farci niente! – pensò facendo spallucce.
“… e un egoista!” la corressi.
Scoppiò nella sua cristallina risata lasciandosi cadere a terra e tenendosi la pancia con le mani.
Ero arrabbiata! Non vorrai rinfacciarmi per l’eternità cose dette in un momento di rabbia?
“Ma avevi detto il vero. Mi sono comportato da egoista” dissi senza riuscire a farmi influenzare dalla sua euforia.
“Sei la persona meno egoista che conosca, Edward. Smettila di autocompatirti. Sappi che ero tornata sperando di farti cambiare idea e che finalmente saremmo tornati tutti insieme!”
Vidi nei suoi pensieri Alice e Bella che chiacchieravano felici nel bagno, mentre Alice truccava come una bambola la mia amata.
“Perché allora mi hai inveito contro invece che convincermi a restare?”
Rimase in silenzio e guardò il pavimento mentre mi mostrava la visione di Bella insieme alla figura offuscata.
“Ohh…”
“Sapevo che non avevi cambiato idea, ma la speranza è sempre l’ultima a morire, no?”
“Purtroppo si. La speranza è sempre l’ultima a morire”
“Il futuro non è scritto… ed io lo so bene! Solo tu puoi scrivere il tuo… e se volessi scriverlo con Bella ne sarei immensamente felice!” disse l’ultima parte ad una velocità sovraumana mentre si allontanava leggermente chiudendo stretti gli occhi.
“Meglio di no. I nostri futuri sono separati… è giusto così” le risposi con un sorriso triste.
“Testardo… sì. Se vogliamo proprio trovarti un aggettivo, testardo è appropriato” disse piccata.
Jasper scoppiò a ridere accompagnato da Carlisle ed Esme.
Da che pulpito! – pensò Jasper guardandola con sguardo innamorato.
Mi unii alla loro risata e scompigliai i capelli corvini di mia sorella “Il mio folletto cocciuto” la canzonai.
 
Durante la mia permanenza ebbi l’occasione di salutare i miei fratelli oltre oceano.
Emmett era il solito bambinone. Mi raccontò in ogni minimo particolare quanto fosse divertente combattere contro i leoni e di come fosse fantastico passare la notte sotto le stelle o dentro la giungla. Mi raccontò di come fosse fuggito a gambe levate da una leonessa corsa in difesa del maschio. “Il genere femminile è pericoloso anche nel mondo animale” disse scoppiando in una sonora risata.
Parlare con Rose fu più imbarazzante. Era la sorella più vecchia che avevo. La terza ad entrare nel nostro clan e la prima al quale confidai i miei tormenti. Era sempre stata la mia sorella maggiore, ma dopo l’incontro con Bella i nostri rapporti si erano raffreddati. Mi raccontò di quanto si trovasse bene a vivere tra gli indigeni locali, immersa nella foresta. Era diventata il meccanico della zona. Non vi erano molti automezzi, ma quei pochi che le erano capitati tra le mani erano i migliori sul quale avesse mai lavorato.
Mi pregò di presenziare al suo matrimonio. Era il loro decimo matrimonio e non capii subito cosa le importasse della mia presenza a quella farsa. “Sei il mio testimone di nozze… porta male sostituirlo!” disse seccata. Era il suo modo per riavvicinarsi a me… ed io accettai. In fondo era mia sorella e, proprio come due veri fratelli, ci amavamo e ci odiavamo, ma nulla ci avrebbe potuto dividere… nemmeno il peggior litigio.  
 
Durante la permanenza il dolore al petto non era diminuito, ma alla loro presenza ero obbligato a contenermi e mi sembrava di potercela fare, forse non sarebbe più stato necessario allontanarmi anche da loro.
Un mattino, mentre ero intento a seguire una partita a scacchi tra Carlisle e Jasper, Esme disegnava piantine per l’imminente restauro ed Alice picchiettava sulla tastiera del computer mentre svolgeva delle ricerche su internet… come un fulmine a ciel sereno vidi…
Bella… sciupata e con gli occhi vuoti che passeggiava sulla via di Port Angeles con Jessica. Dei motociclisti che la chiamavano e lei che si dirigeva verso di loro …
“Arg!” gridai. Il vortice nel petto si dilatò ed il bruciore nelle mia ossa divenne insopportabile.
SCUSA!
Non riuscivo a rispondere, il mio cervello pulsava, voleva uscire dal cranio, voleva fuggire da quel tormento. Mi accasciai sul pavimento, le mani serrate sulla testa e le ginocchia schiacciate sul petto.
SCUSA!
Jasper mi cinse il braccio ed iniziai a sentire il tormento allontanarsi da me, i muscoli iniziarono a rilassarsi, il cervello a stabilizzarsi ed il vortice nel petto bruciare meno intensamente.
Riuscii ad aprire gli occhi. Esme era paralizzata con la bocca aperta e gli occhi sbarrati. Carlisle era inginocchiato vicino a me con sguardo preoccupato.
Alice era volata nella parte più lontana della stanza con il viso contratto dal terrore.
“Sto bene!” dissi senza fiato.
Scusa!
Mi aiutarono a sedermi sul divano, Esme corse vicino a me ed iniziò ad accarezzarmi i capelli osservandomi preoccupata.
Non andare via, ti prego…
“Ho bisogno di stare un attimo da solo” il corpo mi tremava dalla rabbia e, senza aggiungere altro, volai fuori dalla casa. Corsi al centro della foresta e mi arrestai appoggiato ad un albero.
Ero uno stupido, ero stato debole, mi ero fatto prendere da un momento di leggerezza ed ero tornato dalla mia famiglia. Ero consapevole di cosa andavo incontro, lo sapevo che sarebbe potuto succedere. Continuavo a non imparare dai miei errori. La mia non-vita era destinata alla solitudine, non mi era concesso stare insieme ad altre persone. Dovevo stare solo.
Non ero arrabbiato con Alice, alcune sue visioni erano inaspettate e sapevo che lei era affezionata a Bella, che c’era un filo che le teneva unite, non le era possibile evitarlo. Era stata gentile a rinnegare quell’amicizia per amore nei miei confronti. Anche lei soffriva per la mancanza dell’amica, ma aveva accettato la mia scelta senza discutere, per questo motivo non mi fu difficile perdonarla per la visione.
Ero arrabbiato con me stesso, la visione aveva riacceso il mio senso di protezione verso Bella, era sciupata, aveva bisogno di me, dovevo tornare da lei, volevo tornare da lei. La mia volontà vacillava come un ponte sospeso sotto la forza di un uragano.
Non dovevo. Dovevo resistere e lasciarla andare. Non ero più il suo angelo custode, se fossi stato abbastanza forte da darle tempo, avrebbe trovato un angelo custode meno pericoloso di me.
Quando mi sentii pronto e di nuovo con il pieno controllo tornai dalla mia famiglia, non potevo andarmene senza salutare, avevano già sofferto abbastanza per causa mia, lasciarli in quel modo non sarebbe stato corretto.
Rientrai in casa che era già notte inoltrata. Carlisle si era fatto sostituire all’università e mi stava aspettando in sala da pranzo.
Come ti senti?
“Adesso meglio, vi chiedo scusa per prima”
Edward, non puoi continuare così!
“Non ho grandi scelte” dissi con un sorriso forzato.
Dobbiamo trovare una soluzione, non voglio che tu ti riduca in questo modo. Alice, mi ha detto cosa avete visto. Non sono sicuro che la tua sia la scelta giusta. Pensò con un po’ di timore.
“E’ umana, è passato troppo poco tempo. Devo darle più tempo, non posso tornare da lei”
“Posso andare io!” disse Alice alle mie spalle in un sussurro.
La fulminai con gli occhi, serrai i pugni, e le sibilai a denti stretti:
“No! Abbiamo già fatto abbastanza danni!”
Si ritrasse e Jasper si parò davanti a lei, mi tranquillizzò con le sue capacità ed attese che mi calmassi con sguardo deciso.
“Alice” dissi cercando di calmarmi “Non voglio che interferiate nella sua vita. Non è più un vostro problema”
“Ma non posso lasciarla in quello stato. Sta soffrendo ed ho paura che faccia qualcosa di stupido”
“Non lo farà. Bella me l’ha promesso”
Abbassò gli occhi infelice.
“Edward, ti prego pensaci. Questa scelta non sta portando benefici a nessuno” disse con voce piena di calore Esme.
“Ho fatto io questo danno, io devo decidere come risolverlo! E per il momento non voglio cambiare idea” dissi stizzito.
Li guardai uno ad uno negli occhi “Promettete che non vi intrometterete mai nella vita di Bella… vi prego!”
“D’accordo” dissero all’unisono Jasper, Carlisle ed Esme.
Alice tacque con aria imbarazzata, girai tutto il mio corpo verso di lei, incrociai le braccia al petto per mantenere la calma e la guardai dritta negli occhi con uno sguardo che non ammetteva repliche.
“Alice?” chiesi con voce dura.
“P…Prometto” disse in un sussurro distogliendo lo sguardo.
“E non andare a sbirciare nel suo futuro” aggiunsi per sicurezza.
Annuì con un gesto del capo appena percettibile.
Rimasi ancora un giorno, Esme mi aveva supplicato, ma non riuscii a trattenermi oltre, non volevo rischiare altre visioni inaspettate.
Quando mi accompagnarono all’aeroporto Esme non smetteva di baciarmi ed accarezzarmi, Alice mi diede un bacio sulla guancia e con le mano mi scompigliò i capelli, Carlisle e Jasper si limitarono ad una stretta di mano.
Torna presto, almeno a trovarci se proprio non vuoi fermarti! Chiese Carlisle indicandomi con uno sguardo fulmineo Esme. Annuii poco convinto e mi diressi verso il check-in.
Atterrai a Mitù, ma non uscii subito dall’aeroporto. Mentre passeggiavo nei negozi del terminal in attesa che il sole tramontasse, una pubblicità mi catturò l’attenzione.
“Chicago il paese del Jazz” scritto a caratteri cubitali sullo skyline della città illuminata.
Senza pensarci oltre acquistai il biglietto per la mia città natale. 

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Capitolo 9
*** Città Natale ***


Non so cosa mi avesse spinto a fare quella scelta, erano decenni che non visitavo il luogo dove nacqui e vissi con i miei genitori biologici, forse una parte di me voleva solo ricordare che anch’io un tempo fui umano.
Appena arrivato in città mi recai subito al cimitero. Il cappuccio copriva il volto e le maniche erano tirate oltre le dita, passavo completamente inosservato in quella umida città e non volevo rischiare che uno spiraglio di sole tradisse il luccichio della mia pelle.
Arrivai sulla tomba di Edward ed Elizabeth Masen, poste accanto alla mia.
Vi posai dei fiori di pesco, i preferiti di mia madre, e mi lasciai trasportare dai ricordi annebbiati della mia infanzia.
Mio padre, un avvocato di successo ed un uomo valoroso, non perché avesse combattuto in guerra, ma perché aveva dei valori veri. Trascorreva molto tempo lontano da casa a causa del lavoro, ma quando il lavoro glielo permetteva era dedito alla famiglia, ad una moglie che amava più della sua stessa vita e ad un figlio che diventava sempre più uomo e sempre più simile a lui. Gli assomigliavo nei modi e nelle espressioni, il mio sorriso sghembo era ciò che aveva fatto innamorare mia madre. I suoi capelli rossicci tradivano le sue origini irlandesi ed i suoi occhi verdi erano intelligenti e profondi. I toni di mio padre nei miei confronti erano rigidi e freddi mentre con mia madre erano dolci e pieni di attenzioni. Durante le nostre serate tra uomini, sfoderava la sua immancabile pipa seduto sulla poltrona dinanzi alla finestra e mi insegnava le regole fondamentali per diventare un vero gentiluomo. Queste regole riguardavano la morale, che doveva essere impeccabile, riguardavano la politica, l’importanza di saper valutare gli eventi e, ovviamente, riguardavano le donne, l’obbligo di trattarle con rispetto e proteggerle. Le serate con mia madre erano piene di gioia, ballavano come due ballerini provetti piroettando per il salone e, nelle sere di festa, per le strade affollate e rallegrate dalla musica degli artisti di strada. Erano innamorati come il primo giorno. Alcune sere, si sedeva con la pipa in mano ed a occhi chiusi rimaneva assorto ad ascoltare le note del pianoforte suonato in duetto da me e la sua amata.
Mia madre, un’insegnante di filosofia, era una persona colta e dolce. Viveva per il suo amato marito e per il suo unico figlio. Aveva la pelle chiara e levigata, dei grandi occhi verdi molto intelligenti e lunghi capelli di color bronzo leggermente ondulati e sempre raccolti in sofisticate acconciature di moda all’epoca. Era di corporatura esile ed aggraziata. Teneva la casa sempre in ordine e la rallegrava con la sua esuberanza. Ogni giorno profumava la casa con immensi e colmi vasi di fiori freschi e ballava leggera per le stanze come se fosse in un una festa di gala. Mentre si muoveva nelle faccende di casa canticchiava tra sé sempre nuove melodie. Mi insegnò a danzare ed a suonare il pianoforte. Passavamo molto tempo insieme e negli anni avevamo composto tantissime canzoni. Era il nostro modo di esprimere le emozioni. Quando voleva sapere a cosa stessi pensando, si sedeva al piano e mi invitava con un piccolo gesto della testa, uno sguardo sfuggente alla tastiera, e con un sorriso iniziava a suonare. Io le sedevo accanto e seguivo il suo ritmo fin quando non allontanava le mani ed io ero libero di dar sfogo ai miei pensieri. Ero sempre stato un ragazzo taciturno e dedito allo studio, non ero interessato alle ragazze, ero interessato alla musica ed alla conoscenza, non ero capace di esternare pienamente i miei pensieri, ma il pianoforte mi faceva da portavoce. Avevo ereditato il carattere riservato di mio padre e la capacità di comprendere e capire le persone che mi stavano intorno da mia madre.
Il custode del camposanto mi fece cenno di uscire perché il sole stava tramontando.
Vagai per quelle strade conosciute, ogni angolo mi riportava indietro nei ricordi. Gli anni avevano modificato molto la città, si era ampliata ed era rimasta al passo con i tempi, ma non aveva perso la sua essenza, nelle vicinanze di alcuni vicoli o alcuni locali, le note del jazz svolazzavano riempiendo l’aria.
Mi diressi, come se fosse scontato, verso la mia casa paterna. Dopo la morte dei miei genitori avevo ereditato tutti i loro beni, compreso l’edificio, ma da quando la mia mortalità mi aveva lasciato non vi ero più tornato.
La mia casa natia era su due piani con la facciata tinta di color rosa antico, ormai sbiadito dal tempo e dal sole. La veranda era spoglia, non era più rallegrata da fiori variopinti e il dondolo, sul quale durante le serate estive ci sedevamo per contemplare la volta celeste, era arrugginito e cadente. Le finestre erano tutte serrate con le imposte in legno, solo la finestrella ovale della soffitta era aperta e si scorgevano gli uccelli che avevano approfittato dell’assenza di umani per fare il nido indisturbati. La pianta secolare che svettava sul lato della casa era piegata dai rami non potati e l’erba del giardino mi arrivava alle ginocchia. Lo stato di abbandono era ben visibile. A quella visione mi vergognai di me stesso. Come avevo potuto lasciar ridurre in quello stato deprimente la casa al quale mia madre teneva e del quale si prendeva tanta cura, e che mio padre aveva acquistato con tanta fatica. Avrei dovuto provvedere e non avrei più permesso che si riducesse in quello stato così fatiscente. Pensai alla mia nuova madre e a come sarebbe stata entusiasta per il nuovo progetto, sicuramente l’avrebbe fatta rivivere e avrebbe avuto la sensibilità di lasciar intatta l’essenza della mia dimora da umano.
Entrai esitante. Era ancora arredato come l’ultima sera che passai insieme ai miei genitori prima della tragedia. Tendine di ragnatele e strati di polvere ricoprivano le stanze. Qualcuno aveva posizionato dei teli per coprire il mobilio, ma per il resto era stata completamente abbandonata.
Salii nella camera da letto di quando ero adolescente e mi coricai nel letto come quando, da ragazzino, tornavo da scuola. Era immutata, la libreria piena di libri e spartiti vicino alla finestra e la scrivania con il calamaio ormai secco, erano esattamente come li avevo lasciati. Il guardaroba con l’anta leggermente curvata dal tempo, era ancora colmo dei miei vecchi vestiti. La foto di me bambino in braccio a mia madre, con alle spalle mio padre che ci guardava amorevole, capeggiava vicino alla candela sul comodino.
La musica del pianoforte suonato da mia madre nel salone al piano terra e l’odore acre della pipa di mio padre seduto sulla poltrona accanto a lei salivano ora dalle scale, la melodia e il profumo erano nitide come se stesse succedendo in quel momento. Le risate e i discorsi riecheggiavano in quelle mura. Mi sentii bene, come se fossi tornato nel 1900. Quando la mia vita era semplice, umana e piena di amore, di speranze.
Andai nella camera dei miei genitori, il letto a baldacchino era a lato della stanza, sulla destra dell’imponente armadio in noce, le coperte risistemate in attesa che qualcuno occupasse il letto e i cuscini posizionati al centro del talamo in modo impeccabile. La giacca di mio padre ancora appoggiata alla poltrona vicino all’armadio e le scarpe da notte di mia madre a lato del comodino. Curiosai nei cassetti. Lettere d’amore di mio padre a mia madre, le foto di famiglia, il diario di mia madre ed i suoi spartiti ...
Trovai un cofanetto in legno intarsiato, chiuso con una chiave. Erano incise le iniziali di Elizabeth e sul fondo un’iscrizione la esortava a conservare nel cofanetto il ricordo dell’amore di Edward per lei.
Lo aprii facendo attenzione a non rovinarlo. All’interno vi erano i gioielli, mi attirarono un bracciale con 4 cuori in diamante e l’anello di fidanzamento che mio padre le regalò quando le chiese di sposarlo. Li infilai nella bustina di seta e li riposi in tasca. Come quando ero umano, gli oggetti di mia madre, me la fecero sentire di nuovo accanto a me.
Scesi in cucina, i mobili erano vuoti, rimanevano solo le stoviglie e tutto era coperto da grigia polvere.
Il grande tavolo da pranzo era spoglio, non vi erano più i fiori che lo adornavamo un tempo, e nemmeno il centrino che lo abbelliva. Era un tavolo grande, di legno, con i segni del tempo e dell’usura.
Rividi le serate spensierate, durante il pasto serale, quando la mia famiglia si riuniva e ci raccontavamo della nostra giornata, dei nostri sogni, delle nostre emozioni. Era un momento ilare e spensierato.
Prima di ogni pasto eravamo avvezzi a dire una preghiera.
Una fitta di dolore mi contrasse la bocca e mi sfuggì un lamento. Le preghiere nell’ultimo anno della mia vita umana si erano trasformate da preghiere di ringraziamento a preghiere di speranza. Mia madre pregava per la fine della guerra per non dover vedere il suo unico figlio partire, non ero obbligato, ma quando ero in vita non avevo l’amore di una ragazza a trattenermi, ed i pensieri rivolti alla gloria di combattere per il mio paese mi spingevano a partire.
Prima del mio diciottesimo compleanno le preghiere furono intrise dalla speranza che i nostri cari guarissero dalla febbre spagnola che stava sterminando intere famiglie. Preghiere mai ascoltate.
Giunto in sala, mi accomodai al pianoforte, il quadro di famiglia capeggiava sulla parete di fronte a me.
Mia madre era seduta su una sfarzosa poltrona color ocra, in contrasto con i suoi splendidi capelli bronzei ed i suoi amorevoli occhi verdi. Mio padre era ritto accanto a me, in piedi dietro di lei, con le mani appoggiate sulle sue spalle.
I personaggi ritratti mi guardavano con un sorriso ed io suonai per loro.
Suonai la canzone che mia madre aveva composto per mio padre, era allegra, frizzante e con molte scale, tutte alte. Esprimeva appieno l’amore travolgente che li univa. La collegai alla melodia che avevo composto per il loro anniversario, era più dolce, delicata, con parti leggermente velocizzate che esprimevano il mio cuore quando era con loro, e terminai con “A mio figlio” la sonata che lei mi dedicò per il mio diciassettesimo e ultimo compleanno. Era una melodia delicata, come una carezza, e man mano che avanzava diventava più allegra e piena di arpeggi, come l’intreccio delle emozioni di un adolescente, e finiva con delle note basse, intervallate con degli alti, per farmi capire la differenza di opinioni verso la mia scelta dell’entrare nell’esercito e la sua speranza di tenermi al sicuro lontano da quella bruttura. Continuai con un sorriso sulle labbra, la mia dolce e unica madre, mai una parola sbagliata, sempre gentile e disponibile, ma con la musica diceva esattamente cosa pensava senza censura. Terminai suonando la ninna nanna di Bella. Mi lasciai cullare da quelle note intrise di amore e con un sorriso guardai gli occhi di mia madre… mi parve di scorgere un sorriso di approvazione sul volto disegnato… e sentii il profumo della mia amata aleggiare nell’aria. Una fitta al cuore di marmo mi fece gemere, ma continuai a suonare e mi lasciai inebriare dal profumo che la mia mente sadica mi faceva sentire…
Rimasi un paio di giorni per poter rivivere i momenti della mia vita da mortale, erano tutti ricordi molto offuscati, facevano parte della mia vita passata che dopo la trasformazione avevano perso vitalità. In quella casa, con gli oggetti e le fotografie riuscivo a farli riaffiorare meno confusi. Non potevo provare la felicità o il dolore che avevo provato in quelle mura, come potevo fare con i ricordi da vampiro, ed io avevo bisogno di quelle emozioni opacizzate per rendere meno tormentata la mia esistenza del momento.
Ogni tanto, quando passavo davanti ad uno specchio, mi parve di vedermi nuovamente umano. Sembrava che lo specchio mi riflettesse con gli ormai persi occhi verdi e la carnagione rosea, un sorriso sereno sul volto e gli occhi sognanti, certi di un futuro perfetto; ma quando mi soffermavo a controllare, l’immagine tornava ad essere quella di un pallido e triste immortale.
Una sera, mentre passeggiavo tra le vie della città, andai a visitare la mia vecchia scuola. Avevano ritinteggiato la facciata ed aggiunto un’ala, ma l’entrata l’avevano mantenuta maestosa come allora. Attraversai il giardino dove trascorrevo i pomeriggi assolati, a studiare o a leggere, mentre il sole riscaldava la mia pelle. Mi sedetti sulle panchine vicino alla fontana dove mi perdevo a rimirare gli uccellini che bevevano e cinguettavano, e mi trovai sulle sponde del laghetto dove io e mio padre facevamo le gare con le barchette di legno che costruivamo in soffitta.
Passai davanti all’ospedale nel quale i miei genitori morirono. Era stato completamente modificato, aveva l’aspetto asettico e moderno, non assomigliava per niente alle mura nel quale avevo trascorso i miei ultimi giorni da mortale.
Rividi gli occhi preoccupati di mia madre, con la faccia febbricitante e la temperatura elevata, mentre mi accarezzava i capelli e sussurrava una preghiera. Rividi Carlisle che la prendeva delicatamente per le spalle e la accompagnava al suo letto, pregandola di riposarsi e di non affaticarsi. L’ospedale in quel periodo di epidemia era pieno di gente morente e straziata dalla febbre, ed il mio futuro padre era sempre presente e mai stanco. Era affezionato a mia madre, appena poteva accorreva al suo capezzale e cercava di alleviare le sue sofferenze. Risentii il sussurro di mia madre, in punto di morte, che implorava Carlisle di salvarmi la vita come solo lui poteva fare. Rividi il volto di Carlisle che si avvicinava incerto e spaventato al mio collo… come una palla di cannone il bruciore della trasformazione mi invase le vene.
Il dolore era forte perché faceva parte della mia vita immortale. Iniziai a correre come se il vento potesse spegnere le fiamme e riuscii a calmarmi solo quando arrivai sulla spiaggia.
Mi sedetti sugli scogli ammirando il riflesso della luna sulle acque nere. Mi mancava la mia famiglia, sia quella naturale che quella acquisita e mi mancava soprattutto Bella. La immaginai accanto a me, con gli occhi chiusi, rilassata ad assaporare il profumo della salsedine, i capelli scompigliati dalla brezza e un sorriso luminoso sul viso. La visione mi fece bruciare il varco nel petto, ma non smisi di sognare.
Mentre mi perdevo in quelle magnifiche immagine partorite dalla mia mente le note di “You don't know what love is” mi raggiunsero. Mi incamminai seguendo la melodia arrivando al centro del parco. Una piccola band, su un minuscolo palco di legno suonava con entusiasmo per un folto pubblico. Rimanendo in disparte, a lato del palco, mi lasciai cullare dalle famigliari note del Jazz.
Ma quello è Oliver Masen! Wow! Ma… ha tagliato i capelli? Che schianto!!!
Il cognome del ragazzo mi incuriosì. Mi voltai per capire da dove arrivavano quei pensieri e vidi una ragazzina con i capelli corti e corvini che mi sorrideva salutandomi con la mano.
Distolsi subito lo sguardo.
Perché fa finta di non riconoscermi? Non sarà pentito di avermi baciata? Oh, no! Pensò la ragazzina.
Continuai a guardare la band che suonava lasciandomi trasportare dal ritmo allegro, cercando di far scemare la tensione che mi stava provocando la ragazzina.
“Ehi! Oliver!” sentii gridare alle mie spalle.
Forse c’è troppa musica, non mi sente! – “Ehi, Oliver!” continuò ad urlare avvicinandosi.
“Ciao!” disse la ragazzina toccandomi la spalla.
Mi girai sorpreso.
“Ciao!” le risposi cordialmente, guardandola con sguardo interrogativo.
“Beh? Adesso fai pure finta di non conoscermi?” mi chiese sorridendo, ma nei suoi occhi si poteva leggere il dispiacere che provava.
“Mi scusi. Forse mi ha confuso con un’altra persona” le risposi.
Mi squadrò per bene, con una smorfia poco convinta sul viso. Mi fece il giro intorno continuando a squadrarmi e poi, scoppiando in una sonora risata disse:
“Ops! Forse ho fatto una gaffe! Ma sei proprio la copia del mio compagno di classe Oliver”
“Non fa nulla. Succede” le risposi facendo spallucce e tornando a guardare la band.
“Io mi chiamo Greta!” continuò imperterrita.
“Piacere. Edward!” risposi continuando a fissare il palco. Era da maleducati, ma non volevo avere rapporti con gli umani. Era pericoloso e lo avevo imparato a mie spese.
“Che nome bizzarro” disse cercando di attirare la mia attenzione, ma feci finta di non sentire.
Vedendo che non continuavo il discorso si mise al mio fianco ed iniziò a dondolare a suon di musica. Suonarono due canzoni prima che ripartisse all’attacco.
“Sei nuovo o sei un turista?”
“Sono in visita” risposi guardandola di sfuggita.
“Hai dei parenti in città? Sei per caso il cugino di Oliver?”
Di nuovo questo Oliver. No, non avevo parenti vivi in città e in nessun altro posto al mondo, mio padre biologico aveva un fratello, ma l’ultima volta che lo vidi era un ragazzino di dieci anni e molto probabilmente la febbre spagnola non gli aveva permesso di compiere l’undicesimo compleanno.
Negai con la testa senza riuscire a trattenere un sorriso. Era proprio come mia sorella Alice: un piccolo folletto cocciuto.
“Oh! Guarda! Parli del diavolo e spuntano le corna! Oliverrrr!” urlò sbracciandosi.
Guardai nella direzione che stava indicando e rimasi di pietra. Un ragazzo di circa diciassette anni, con i capelli rossi lunghi fino alle spalle e gli occhi verdi, la stava salutando con un sorriso sghembo.
Era la mia copia. Con la carnagione più rosea, il naso più largo e la mandibola più squadrata, ma ad un occhio poco attento poteva sembrare il mio gemello.
Oliver la vide e con un largo sorriso attraversò a grandi passi lo spazio che ci divideva e, appena ci fu accanto, abbracciò con trasporto Greta.
“Lui è Edward” mi presentò l’umana, mantenendo il braccio intorno alla vita del ragazzo.
“Piacere, Oliver” si presentò allungandomi la mano per stringerla. Appena mi guardò in volto rimase anche lui di pietra e fece cadere la mano a lato del fianco, spalancando la bocca.
“Ho trovato un tuo sosia!” disse il piccolo folletto umano, senza trattenersi dal saltellare per la felicità.
Caspita! Che strano vedere il proprio volto non riflesso in uno specchio! Pensò la mia copia.
Abbassai lo sguardo imbarazzato. Cosa potevo fare, non potevo presentarmi come un comune mortale, avrebbe percepito il freddo della mia mano e, mentre lo pensai, nascosi le mani in tasca.
Perché dovrei stranirmi per la temperatura della sua mano? Pensò Oliver mentre mi osservava le tasche nel quale le avevo nascoste.
Un fremito mi attraversò il corpo. Non solo mi assomigliava nel corpo, ma anche nella mente.
Lo vidi sbarrare gli occhi ed un fremito lo attraversò. Notai il rossore avvampare sulle sue guance.
Puoi leggere nel pensiero? Chiese timoroso.
Sì! Gli risposi guardandolo dritto negli occhi e non riuscii a trattenere un sorriso di complicità.
Le sue gambe cedettero ed in una frazione di secondo si ritrovò seduto sull’erba. Incrociò le braccia per nasconderne il tremore e continuò a fissarmi negli occhi con timore.
Perché hai paura? Anche tu leggi nei pensieri! Cercai di tranquillizzarlo guardandolo amichevole.
In quasi cento anni non avevo mai incontrato un umano con poteri simili agli immortali. Ne avevo sentito parlare, ma non ne avevo mai conosciuto nessuno. Dubitai che fosse un umano, ma il suono del suo cuore e il calore del suo corpo non potevano mentirmi.
Cento anni? Immortali? pensò sbiancando.
Ops. Dovevo fare attenzione a cosa pensavo.
“Scusate, ma vi siete imbambolati?” intervenne Greta agitando le mani davanti ai nostri occhi.
“Oh… sì… scusa!” le rispose Oliver scuotendo la testa.
“E’ tardi, è meglio che vada. Piacere di avervi conosciuto” e senza attendere risposte mi allontanai velocemente. Dovevo pensare ed essere spiato non era assolutamente piacevole. Poveri i miei famigliari… adesso capivo perfettamente quanto fosse frustrante vivere con me.
Avevo appena imboccato il sentiero che conduceva all’uscita che la voce di Greta mi richiamò.
“Ehi! Aspettaci!” urlò mentre mi correva incontro trascinando per mano Oliver. “Anche per noi è tardi. Ti facciamo compagnia sulla strada del ritorno!”
Perfetto! – pensai alzando gli occhi al cielo.
Non te la prendere. E’ esuberante, ma è una brava ragazza! I pensieri del mio gemello erano intrisi di amore per quel folletto.
“Ok” risposi poco convinto e attesi che mi fossero a fianco per ricominciare a camminare.
Nel tragitto Greta non smise un attimo di parlare, mentre io ed Oliver cercavamo di comprendere cosa ci accomunasse e cosa effettivamente provavamo per quel particolare incontro.
Era figlio unico. Adorava studiare e, prima di incontrare Greta, viveva per i libri e per la musica. Suonava il saxofono ed aveva scritto una canzone d’amore per la sua amata. Era un ragazzo solitario, si sentiva a suo agio solo tra le mura della biblioteca o in camera sua, ma da quando aveva conosciuto Greta il posto che preferiva era una baia nascosta della spiaggia, dove si era rifugiato nelle ultime settimane insieme a lei. La amava di un amore profondo e sincero. Era innamorato di quel esuberante folletto da mesi e il ricordo del bacio che si erano scambiati pochi giorni prima gli faceva battere fortissimo il cuore. Lo invidiavo. Era come il mio gemello in tutto… solo più fortunato. Aveva trovato la sua metà e nulla avrebbe potuto dividerli.
Mentre ci studiavamo a vicenda, la piccola umana mi tartassò di domande. Da dove venivo, perché ero a Chicago, che scuola frequentavo, dove erano i miei genitori… tutte domande al quale risposi tranquillo senza entrare nei particolari in modo da non svelare la mia vera natura a Oliver.
“Hai una ragazza?” chiese continuando a saltellare come una bambina tenendo per mano il mio sosia.
Non trattenni la smorfia di dolore ed il varco nel petto ricominciò a bruciare. Pensai a Bella, a quanto mi mancava, a quanto volevo tornare da lei, a quanto il nostro amore fosse impossibile e a quanto fosse impossibile dimenticarla.
Oliver, a differenza di me, poteva solo sentire il pensiero, non poteva percepire le emozioni o vedere delle immagini, ma i miei pensieri gli diedero un quadro preciso del dolore che quella domanda mi aveva provocato.
“Greta! Non essere scortese!” la ammonì dandole un buffetto sul capo.
“Un ragazzo bello come lui non può essere single!” e fece maliziosamente l’occhiolino al suo amato.
Entrambi alzammo gli occhi al cielo. Quando ci accorgemmo di aver reagito in sincrono, scoppiammo a ridere.
Forse siamo fratelli separati alla nascita. Pensò emozionato.
Posso assicurarti che non possiamo essere fratelli! Elizabeth, mia madre, non ha avuto altri figli oltre me!
Elizabeth… Elizabeth… No. Mia madre si chiama Emily… però, Elizabeth mi ricorda qualcosa…una pro-pro zia forse…
Arrivammo davanti a casa di Greta. Il folletto, in un impeto di euforia, mi prese la mano.
“Adesso capisco!” disse massaggiandomi il dorso e trattenendomi per il polso “Mani fredde, cuore caldo! Ce l’hai la ragazza, ed è pure fortunata… la ami da impazzire!!!” e scoppiò a ridere felice. Mi unii alla risata per nascondere il nervosismo e liberai la mano dalla stretta per nasconderla in tasca.
Te l’ho detto! E’ speciale! – mi disse Oliver guardandola con amore.
Sei fortunato. Non fartela scappare. Siete perfetti insieme e sono felice per voi. Vi auguro una lunga vita felice insieme. Gli dissi sincero e pregando che nulla li separasse.
Ti auguro di ricongiungerti con Bella. Non l’ho conosciuta, ma i tuoi pensieri mi hanno permesso di capire quanto sia speciale per te. La vita è una sola. Vivila con la persona che ami! Ti auguro buona fortuna e spero di rincontrati presto!
Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio Oliver, forse conoscendo meglio lui avrei potuto conoscere meglio me stesso, ma sapevo fin troppo bene che creare rapporti con gli umani non era consigliabile, quindi li salutai e mi incamminai verso casa.

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Capitolo 10
*** Rimpatriata ***


La data delle nozze di Rosalie ed Emmett si stava avvicinando, decisi così di ricongiungermi con la mia famiglia. Mancavano ancora un paio di settimane, ma decisi di anticipare la partenza perché, dopo l’incontro con Oliver, mi ritrovai troppe volte a vagare vicino al luogo dove li avevo salutati. La curiosità di conoscere meglio il mio sosia e scoprire il perché eravamo così simili era diventata inconsciamente un’ossessione. Decisi quindi di anticipare la partenza ed evitare altri errori.

Mentre percorrevo il corridoio per la prima classe dell’aereo un pensiero mi raggiunse.
Ma quello è il figlio di Carlisle!
Era la voce di Garrett, un vecchio amico di mio padre. Lo cercai tra i passeggeri già seduti, fin quando non lo notai nel punto più nascosto dell’aereo, vicino al finestrino. Mi salutò con un piccolo inchino del capo e un lieve movimento della mano, come un gentiluomo di altri tempi, ed un sorriso sardonico sul viso.
Ricambiai il saluto e mi avvicinai. Era un vampiro nomade che aveva combattuto con mio padre durante l’assedio di Yorktown. Sempre pronto a difendere i più deboli e la libertà, e se c’era una battaglia lui era sicuramente nel mezzo.
“Edward! Che piacere!”
“Garrett. Qual buon vento!” dissi rimanendo in piedi.
“Accomodati, non rimanere in piedi come un mamalucco” mi invitò battendo la mano sul sedile vuoto.
Rimasi in piedi e cercai con lo sguardo il legittimo occupante della poltrona.
“E’ mio il posto. Ho pagato l’intera fila … meglio evitare tentazioni” mi assicurò facendo l’occhiolino.
“Previdente” risposi sedendomi.
“Sempre! E tu? Sei solo? I tuoi parenti?”
“Mi sono preso un periodo sabbatico!”
“Anche io ho preso molti periodi sabbatici, ma non ho mai trovato risposte!” disse ridendo.
Era un personaggio affabile e gentile. Era difficile non trovarlo simpatico e, anche se non aveva poteri come me ed Alice, era molto bravo a mettere a proprio agio le persone.
Mi rilassai sprofondando nella poltrona ed iniziai ad ascoltare le sue storie.
Era nato a metà del 1700 ed era stato trasformato da un vampiro durante una battaglia nel 1780.
“Sono stato fortunato. Quel simpaticone si era già saziato con i miei nove compagni e non si è accorto di avermi lasciato ancora del sangue in corpo. Non mi ricordo il suo volto, mi ricordo perfettamente il dolore infernale che ho provato per i successivi tre giorni. Credo che sia stata l’unica battaglia nel quale ho avuto realmente timore di perdere…” disse passandosi la mano nei capelli e sospirando. Chiusi i suoi pensieri fuori dalla mia testa, non volevo rivivere quel momento con lui.
Appena ricominciò a raccontare delle battaglie al quale aveva partecipato riaprii la mia mente alla sua. Era puro e convinto che nulla al mondo fosse più importante della libertà.
Mentre raccontava mi perdetti nei suoi ricordi. Ogni battaglia era viva nella sua mente. Ogni particolare, ogni parola, ogni urla, ogni rumore, ogni volto… era come vedere un film, ma molto più intenso.
Aveva combattuto in tutte le battaglie americane.
“Pensa che era arrivato a pochi metri dal Generale Custer. Lo avevo riconosciuto anche se si era tagliato i capelli.” Disse orgoglioso dandomi una gomitata sul fianco. “Mi accovacciai per il balzo con il veleno che mi riempiva la bocca. Gli volai alle spalle e mentre inclinavo la testa per affondare i denti. Bang! Una pallottola dritta dritta al cuore. Ringhiai di rabbia e mi scagliai contro il Sioux che lo aveva colpito. La gola bruciava di sete… dovevo placarla… giusto?” si giustificò vedendo la smorfia sul mio viso.
“Un soldato del suo stesso reggimento gli si avvicinò. Pensai che fosse per soccorrerlo, invece, con un sorriso soddisfatto sul viso gli sparò alla tempia. Lo sentii mormorare un nome di donna mentre premeva il grilletto. Mi fiondai anche su di lui. Anche se aveva ucciso il mio nemico, non ho mai sopportato i traditori… giusto?” mi chiese sperando in un gesto comprensivo da parte mia.
Alzai le mani e scossi la testa. “Pienamente d’accordo”
“Non solo non riuscii a cibarmi del suo sangue, ma non riuscii nemmeno a vestirmi con i suoi abiti. Erano troppo stretti e corti, appena li indossai si ruppero in mille brandelli. Che disdetta.” E l’immagine del Generale Custer nudo poggiato ai corpi di due soldati si parò nella mia mente.
“Capisco perfettamente anche se non ti soffermi suoi particolari” lo ripresi imbarazzato.
Scosse la testa e continuò a raccontare le sue avventure.
“Ci rimasi di stucco quando rividi tuo fratello Jasper insieme a Carlisle. Lui non si ricordava di me, ma io mi ricordavo di lui. Il suo carisma e la sua capacità di andare d’accordo con tutti non mi era passata inosservata. Lo incontrai la prima volta il giorno in cui si arruolò nell’esercito dei confederati. Aveva mentito sulla sua età…” rise scuotendo la testa. Trovava affascinante la volontà di mio fratello di difendere il proprio paese ed io rimasi sorpreso di vedere mio fratello umano “… anche se devo ammettere che era alto per essere un diciassettenne, non mi aveva assolutamente ingannato. Durante gli spostamenti lo persi di vista, ma dovevo immaginare che Maria avrebbe posato i suoi denti sul collo di quel ragazzino. Quella megera era alla ricerca di nuovi membri da arruolare nel suo esercito…” ed iniziò a raccontare la storia dell’immortale che trasformò mio fratello. Conoscevo quasi a memoria la storia, ma non mi azzardai ad interromperlo.
Garrett era un ottimo narratore. I suoi racconti fecero volare il tempo ed in men che non si dica ci trovammo a destinazione.

Quando arrivai ad Ithaca mi sentii il dovere di invitarlo alle nozze. Ero certo che avrei fatto una sorpresa gradita a Carlisle e sicuramente gli sposi non avrebbero avuto nulla da obiettare. Rose adorava riempirsi di gente il giorno del suo matrimonio.
“Se ti fa piacere, puoi accompagnarmi al matrimonio di Rose ed Emmett” gli chiesi mentre uscivamo dall’aeroporto.
“Volentieri, è da decenni che non vedo il buon Carlisle, ma forse dovresti avvisarli prima”
Telefonai a casa per avvertirli e le urla di gioia di Rosalie mi fecero capire che non solo era il benvenuto, ma era uno degli invitati che non erano riusciti a contattare.
Anche durante il viaggio verso casa Garrett continuò a raccontare la sua storia.
Arrivati a casa furono tutti felici di vederci. Dopo i primi convenevoli, Alice e Rosalie mi rapirono e mi portarono nella camera degli ospiti per provare i vestiti che mi avevano acquistato per l’occasione. Per quelle nozze il colore dominante era il seppia. Ricordava a Rose i colori dell’Africa, quell’ultimo viaggio le era rimasto nel cuore. Provai per ore vestiti come una damigella, mentre invidiavo gli altri uomini di casa che, in salotto, raccontavano battaglie e ridevano degli aneddoti di Garrett.
Finalmente trovarono il vestito che le convinse e mi liberai dalle loro attenzioni.
Mentre uscivo dalla stanza Rosalie mi fermò prendendomi per mano e inaspettatamente mi abbracciò.
“Scusa” mi sussurrò.
“Per cosa?” le chiesi senza lasciare l’abbraccio.
“Sono stata una sorella terribile. Non avevo nessun diritto di comportarmi in quel modo!”
Strinsi l’abbraccio e le baciai i capelli.
“Ormai non importa più. Bella non fa più parte della nostra vita… mai più” dissi con la voce spezzata e senza riuscire a trattenere la smorfia di dolore che quell’ammissione mi provocò.
“Mi dispiace. Ho parlato per gelosia e non l’ho trattata come meritava. Continuavo a ripetermi che il mio odio per lei era dettato dal timore che svelasse il nostro segreto, ma in Africa ho avuto il tempo di riflettere ed ho capito che era solo per stupida gelosia. Scusa.”
“Non importa” cercai di rassicurarla sorpreso per le sue parole. Sembrava più matura e meno egoista, ma ormai era tardi per rimediare. Non avrebbe più avuto occasione di parlare con Bella e dimostrare di essere realmente pentita.
“Tu stai bene?” disse scavando nei miei occhi. Non risposi e guardai il pavimento.
“No, non stai bene. Mi dispiace, vorrei poter far qualcosa”
La mia sorellona. Era una ragazza viziata e con pensieri poco profondi, ma il sentimento che provava per me e gli altri membri della famiglia era sincero.
“Passerà.” Dissi tirando un sorriso. “Per il momento pensiamo a sposarti prima che lo sposo fugga con un’orsa!”
Mi diede un buffetto sul capo e ridendo si avviò per unirsi al resto della famiglia.
“Se provi a fuggire con un’orsa, sappi che ti troverò ed io sono molto più pericolosa” esordì entrando nel salone e puntando un dito minaccioso verso Emmett. Scoppiai a ridere e mi unii alla conversazione.
 
Garrett e Jasper allietarono la serata raccontando le Guerre del Sud. A volte si erano trovati in fazioni nemiche ed a volte come alleati.
A Garrett le guerre dei vampiri non entusiasmavano quanto le guerre degli umani. Le motivazioni erano superficiali e non gli piaceva combattere contro i propri simili, ma aveva partecipato per pura curiosità o per aiutare clan amici.
I preparativi per le nozze furono estenuanti. Le donne di casa ci fecero lavorare giorno e notte senza permettere a nessuno di starsene con le mani in mano, nemmeno a Garrett. Costruimmo nel retro della casa un salone in vetro per il ricevimento, con l’altare nel punto centrale tutto decorato con gigli bianchi e arancioni. Tutto l’arredamento ed il tovagliato era nei colori sabbia, seppia e bianco. Emmett, nell’abito color khaki sembrava ancora più grosso, mentre Garrett, con la corporatura longilinea, i capelli biondi legati con un laccio di pelle e gli occhi cremisi era perfetto. Gli ospiti iniziarono ad arrivare due giorni prima della cerimonia, ma all’addio al celibato partecipammo solo io, Emmett, Jasper, Carlisle e Garrett.
Fu un addio al celibato insolito per la famiglia Cullen. Solitamente andavamo a caccia e passavamo la serata tra uomini, divertendoci a far scherzi allo sposo, invece quella sera Garrett ci portò in una bettola di una città vicina, situata nello scantinato di un edificio fatiscente poco fuori città.
Quando entrammo rimanemmo stupiti dai commensali. Era tutti nostri simili. Erano circa una trentina e bevevano sangue da dei boccali di birra, ed in fondo al salone, su un palco in legno con i tendoni rossi ai lati, una vampira con i capelli corti e ricci faceva lo spogliarello.
Ci guardammo stupiti ed imbarazzati, mentre Garrett prendeva posto al tavolo.
“Beh! Non è un addio al celibato?” disse stupito dalla nostra reazione.
Emmett sorrise e si sedette al tavolo, sulla sedia rivolta verso il palco.
Carina! – pensò mangiandosi con gli occhi la ballerina.
Il mio fratellone, riusciva a trovarsi a suo agio in qualsiasi occasione. Decisi di copiarlo e mi sedetti, ma dando la schiena al palco. L’artista non era il mio tipo e poi mi trovavo in soggezione a guardare le ragazze in quel modo.
“Vorrei ricordarti che non beviamo sangue umano” disse Carlisle a denti stretti mentre scrutava la sala.
Jasper smise di respirare, l’odore del sangue era molto forte ed i suoi tentativi di trattenersi stavano vacillando.
“Non ce la posso fare!” sibilò Jasper irrigidendosi.
“Vedila come una prova. Se riesci a resistere stasera, sarai definitivamente guarito” gli disse Em mentre lo invitava a sedersi vicino a lui.
L’imbarazzo era alle stelle e la sete si stava riaccendendo nelle nostre gole. Sentivo il veleno riempirmi la bocca e lo stomaco attorcigliarsi per la fame. Il demone tirò forte le catene e mi spingeva ad assaggiare quel delizioso ed invitante liquido rosso. Smisi anch’io di respirare e guardai esasperato mio padre.
Garrett si alzò per andare a salutare un vecchio conoscente, il nomade era un habitué nei locali di quel tipo, e senza pensare alla nostra dieta fece l’ordinazione, dando una sonora pacca alla cameriera che cinguettò una risatina.
La cameriera portò cinque boccali straripanti e li posò al centro del tavolo. Jasper si alzò di scatto facendo cadere la sedia e scusandosi scappò fuori dalla bettola tappandosi il naso con la mano. Carlisle gentilmente si congedò e lo seguì. Emmett deluso si alzò e dando l’ultima occhiata dispiaciuta al palco, pensò:
Vado a vedere dove sono andati. Ringrazia Garrett per il pensiero e, se riesci a resistere, rimani. Ci vediamo domani all’altare.
Guardai Garrett, non si era accorto della fuga dei miei famigliari e nei suoi pensieri c’era solo la ballerina che dava spettacolo sul palco.
Feci un cenno di assenso a Emmett ed appoggiai i gomiti sul tavolo pensando a come uscire da quella spinosa situazione.
Appena la ballerina si ritirò, Garrett ritornò al tavolo.
“Ma dove sono andati tutti?” chiese stupito iniziando a cercarli per la sala con lo sguardo.
“Sono andati… a caccia” risposi guardando la porta di uscita.
“Ops… forse non è stata una buona idea! Scusa per il poco tatto che ho dimostrato”
“Non fa nulla. Sappiamo di essere particolari.”
“Andiamo a cercarli. Non voglio rovinare l’addio al celibato di tuo fratello!” lanciò delle monete alla cameriera e in pochi secondi fummo in strada.
La scia era fresca, si erano diretti verso la foresta che si trovava dall’altra parte della città; senza aggiunger parola ci lanciammo nell’inseguimento.
Appena entrammo in paese, un urlo strozzato ci fece arrestare.
Aiuto! Ommiodio… Aiuto! Il pensiero di una ragazza. Entrai nei suoi pensieri per vedere il luogo in cui si trovava. Il viso di un uomo pallido e con i capelli lunghi e unti mi si parò davanti. Teneva la mano sulla bocca della ragazza e la minacciava con un coltello da cucina. Non riuscivo ad individuare nessun particolare che mi dicesse dove fossero… solo un lampione appeso ad un muro di color giallo.
“Se fiati sei morta! Dammi il portafogli o ti taglio la gola.” Minacciò l’aguzzino.
Nei suoi pensieri potei vedere con disgusto che non si sarebbe fermato a rapinarla. Feci un ringhio e mi lanciai verso un vicolo buio a due isolati da dove ci trovavamo. Quando arrivai nel luogo del misfatto vidi le due sagome contro il muro. La ragazza aveva i capelli lunghi come Bella e dello stesso colore, non potevo vederla in viso, perché era coperto dalla nuca dell’aggressore. Nel mio cervello la ragazza si trasformò in Bella ed il mio istinto omicida si risvegliò. In una frazione di secondo mi fiondai sull’uomo che teneva bloccata la ragazza e lo lanciai in fondo al vicolo.
La ragazza mi guardò con gli occhi sbarrati e svenne. Un rigolino di sangue gli usciva dalla gola.
Trattenni il respiro e mi fiondai verso il ladro che si stava rialzando scuotendo la testa per riprendersi dalla botta.
Lo presi per il bavero e lo scaraventai con tutta la forza contro il muro sentendo le sue ossa rompersi. Mostrai i denti ringhiando e inclinai la testa per finirlo con un morso alla giugulare… ma le mani di Garrett mi presero per le spalle e mi allontanarono dal criminale.
“Non fare nulla del quale domani ti pentiresti” disse tranquillo e, chinandosi sulla gola del malvivente, terminò ciò che avevo iniziato.
Feci alcuni passi indietro, smisi di vedere il presente e le immagini di altri malviventi ed assassini mi invase il cervello.
Mi accasciai a terra per il peso dei ricordi. Mi rividi avvicinarmi al collo degli umani del quale mi ero saziato, risentii il gusto caldo del loro sangue e rividi il terrore nei loro occhi ormai spenti.
Erano passati decenni da quando mi ero eletto il “vigilante”, quando uccidevo assassini, stupratori e tutti i mostri umani che non meritavano di vivere, ma il senso di colpa e la consapevolezza che non ero meno mostro di loro non era ancora scemata.
“Andiamo” mi ridestò Garrett porgendomi la mano.
Annuii e mi alzai. Controllai la ragazza, anche se adesso che potevo vederla non era una ragazza, ma una signora di mezza età e, oltre i capelli, non aveva nulla che potesse assomigliare minimamente alla mia amata. Era svenuta, ma era viva e la ferita aveva già smesso di sanguinare. La presi in braccio e la portammo davanti alla porta del pronto soccorso del luogo. Ci appostammo in attesa che qualcuno lo soccorresse e ricominciammo la ricerca dei miei famigliari.
“Il delinquente dove lo hai messo?” chiesi mentre correvamo.
“Tranquillo. Non lo troveranno più. Ci penseranno i topi a finire il lavoro.” Mi fece l’occhiolino e continuò la corsa.
Ritrovammo Carlisle e gli altri, erano nel centro della foresta e si stavano divertendo a guardare Emmett rincorrere uno scoiattolo.
“Cosa sta succedendo?” chiesi sedendomi sulla pietra vicino a Jasper.
“Deve riuscire a catturare dieci scoiattoli senza ucciderli e riporli in quella cesta” mi spiegò indicando un fascio di rami intrecciati malamente e dal quale gli scoiattoli riuscivano a scappare.
Sentii il mio fratellone ringhiare di disperazione mentre affondava i denti in uno scoiattolo che aveva avuto la brutta idea di fuggire.
“E quanti ne ha nella cesta?”
“Quello era l’unico” rispose Carlisle scoppiando a ridere rumorosamente.
Passammo la serata obbligando Emmett nelle sfide più bizzarre, finendo con la classica battaglia contro un orso. A differenza della caccia, la battaglia terminava con la salvezza ed un omaggio all’animale, dato che proprio grazie a quel mammifero Em aveva potuto incontrare la sua Rose.
La cerimonia fu come sempre perfetta. Rosalie era solare come fosse il suo primo matrimonio ed Emmett impacciato come sempre in quelle situazioni.
Alice era al settimo cielo per come si stava svolgendo la festa e per i complimenti che riceveva. Ballai con tutte le donne invitate, cercando di evitare Tanja, ma non fui abbastanza bravo.
Appena iniziarono a suonare un lento Tanja mi si avvicinò e facendo un profondo inchino mi invitò a ballare.
Ci dirigemmo al centro della pista da ballo ed iniziammo a ballare. Appoggiò delicatamente la sua testa riccia alla mia spalla e chiuse gli occhi facendosi trasportare dalla musica.
Vidi i suoi pensieri, la speranza che potessi amarla era ancora viva in lei. Consapevole che avrei visto, iniziò ad immaginarci come una coppia. Altre serate danzanti, lunghe passeggiate sulla spiaggia al chiaro di luna… ma quando le fantasie iniziarono ad essere più intime decisi di intervenire.
“Come mai Kate non è venuta?” chiesi cercando di trattenermi dal ridere, la mia domanda l’aveva distratta dalle fantasie e mi stava guardando con cipiglio offeso.
“Non vi avevo mai visto separate. Sta bene?” continuai ignorando i fulmini che le uscivano dagli occhi.
“L’abbiamo offesa?” continuai mettendo tutto il dispiacere che potevo nella voce.
Finalmente riuscii ad allontanarla da certe fantasie.
“No! Non è offesa… è solo che ha avuto un piccolo contrattempo” e l’immagine di Kate attraversata da azzurre scariche elettriche per tutto il corpo mi si insinuò nella mente.
“Ma come è possibile?” chiesi realmente preoccupato.
“Sai che aveva il potere dell’elettricità solo sulle mani, no. Beh! Ha sentito dire che si poteva ampliare su altre parti del corpo con un po’ di esercizio… ma la conosci, non si ferma finché non ha ottenuto risultati!” disse scuotendo la testa.
“E adesso?”
“Adesso, niente! Attendiamo che il potere si assesti. Non le provoca dolore, è solo che non è consigliabile falla stare tra la gente… diciamo che la sua vicinanza è elettrizzante!” scoppiammo entrambi a ridere e con il cuore più leggero ricominciammo a piroettare per la pista.
Mi lasciai trasportare dalla melodia e chiusi gli occhi. La corporatura di Tanja si trasformò in quella di Bella, percepii il suo profumo nell’aria e iniziai a sentire il battito del cuore accelerato della mia amata proprio come quando i nostri corpi venivano a contatto. Infilai i miei piedi sotto quelli della mia dama, proprio come al ballo di fine anno e mi gustai quel momento paradisiaco.
Quando la canzone finì ero così immerso nel mio sogno che non lo sentii e continuai a ballare estasiato.
“Edward!” la voce di Tanja mi risvegliò “La musica è finita!”
“Oh, scusa” dissi facendola scendere dai miei piedi.
“Ti aspetto per il prossimo lento” e facendomi l’occhiolino si allontanò.
La guardai allontanarsi con lo sguardo perso, continuava a trasformarsi in Bella. Lottai con le vertigini che mi stavano investendo e come un automa mi diressi verso il giardino, avevo bisogno di respirare. Appena arrivai all’aria aperta mi lasciai cadere a terra e cercai di ritornare al presente.
Guardai il cielo stellato, ma il viso sorridente e innamorato di Bella continuava a nascondere il firmamento. Il varco nel petto ricominciò a pulsare vivo e un baratro si aprì sotto il mio corpo trascinandomi nella disperazione.
“Tutto bene?” la voce squillante di Alice fu un appiglio che arrestò la caduta.
“Ed! Edward!” mi schiaffeggiava con gli occhi sbarrati dalla paura. “Riprenditi, forza! Edward!”
Mugugnai e le fermai la mano prima che mi schiaffeggiasse ancora.
Mi sedetti con fatica e tirai un sorriso. “Sto bene! Sto bene!”
“Non direi proprio… devi farti vedere da Carlisle” e fece per alzarsi a chiamarlo.
La bloccai prendendola per i polsi. Mio padre era un medico, ma non poteva curare il male che mi stava torturando. 
“Alice! Avevo solo bisogno di aria. Adesso sto bene. Dammi ancora un paio di minuti e poi ti prometto un ballo… possibilmente non un lento!” cercai di scherzare.
Ci sedemmo entrambi con le gambe abbracciate al petto e i volti rivolti verso il cielo. Cercai di riempire i polmoni di ossigeno ripetendomi che Bella non era più parte della mia vita. Non l’avrei mai dimenticata, ma dovevo capire che non avrei più avuto la fortuna di averla vicino. Se volevo gongolarmi nelle visioni, dovevo rimanere lucido nella coscienza che erano solo illusioni.
 
Terminata la festa Emmett e Rosalie partirono per il loro ennesimo viaggio di nozze, ma prima di salire in macchina Rosalie lanciò il bouquet che mi cadde tra le mani anche se ero distante ed appoggiato al bancone del bar in compagnia di Peter e Jasper.
Questo è un segno! –pensò mio fratello.
Magari. Pensai facendo un sorriso e consegnando il bouquet alla calca di donne che mi aveva circondato urlante.
Dopo i festeggiamenti Garrett rimase con noi ancora alcuni giorni. Li trascorse soprattutto con Carlisle chiusi nello studio di mio padre… avevano decenni di racconti arretrati e noi li lasciammo ai loro discorsi indisturbati.
Colsi l’occasione per parlare con mia madre della mia volontà di ristrutturare la mia casa natia. Come mi ero immaginato, ne fu entusiasta e si mise subito all’opera.
Prima di partire da Chicago avevo scattato alcune fotografie che ritraevano la mia casa natale. Le diedi ad Esme pregandola di provvedere al restauro di quelle mura impregnate di ricordi. Fui molto preciso nelle richieste, volevo che ogni cosa che mi rammentava la malattia e la morte dei miei genitori venisse estirpata, mentre ogni oggetto che ricordava i momenti felici vissuti con i miei cari venisse messo in evidenza. Esme ascoltava entusiasta ed assorta. Vidi i suoi piani e fui felice di constatare che aveva compreso appieno le mie richieste.
Ritornammo insieme nella mia casa paterna e prese appunti come una vera professionista, facendo degli schizzi su un blocco di carta e prendendo le misure.
I lavori richiesero diversi giorni che passai piacevolmente con Esme e Carlisle nella mia vecchia dimora. Provai emozioni particolari, era strano vivere sotto il tetto dei miei genitori biologici insieme ai miei genitori adottivi.
La momentanea tranquillità data dal nuovo progetto stava scemando lasciando nuovamente lo spazio al dolore per la perdita di Bella. Con lei non avrei mai potuto vivere in quella casa, non avrei mai potuto vivere in nessun luogo.
Decisi di ripartire, con la scusa di lasciar lavorare liberamente Esme, e ritornai alla mia solitudine.

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Capitolo 11
*** Inghilterra ***


La voglia di tornare da Bella era sempre più pressante, quanto la consapevolezza che la nostra relazione non poteva esistere se non solo nei miei pensieri. Le visioni di Alice continuavano a tormentare la mia mente ormai stanca. Bella vampira, Bella con un altro uomo, Bella sciupata per le vie di Port Angeles… Bella sorridente e felice tra le mie braccia, nella nostra valletta, nel suo letto, in camera mia … no! Dovevo starle lontano, era il modo migliore per dimostrarle il mio amore.
Quando mi trovai per l’ennesima volta in aeroporto con il biglietto per Seattle in mano, lo stracciai e decisi di prendere il primo volo per Londra. Dovevo allontanarmi il più possibile e porre un oceano tra me e Forks era sicuramente un’ottima idea.
A Londra c’erano Emmett e Rosalie in viaggio di nozze. Non li avrei contattati, non andavo a Londra per loro… o almeno così continuai a ripetermi per tutto il volo.
Arrivai all’aeroporto a notte inoltrata, presi una camera d’albergo e mi obbligai a non contattare Emmett. Mi rigirai il cellulare tra le mani fin quando lo lanciai sul letto e decisi di visitare la città.
Andai a Picadilly Circus, la piazza nel quale si trova tutto ciò che si desidera. La descrivevano come il tempio della notte, con tantissimi locali di ogni genere… mi mischiai tra la folla e mi lasciai travolgere dai pensieri della gente.
Camminavo con un sorriso beato sul volto, chi mi incrociava sicuramente mi reputava un folle, ma volevo convincermi di stare bene. Che tutto stava andando a meraviglia. Mi fermai a Rock Circus e mi feci trasportare dalle note del Rock. Volevo a tutti i costi riempire il mio cervello di musica, pensieri, suoni, volti … tutto pur di non pensare a dove veramente fossi e perché.
Ballai tra la gente come fossi anche io un umano, applaudii come un vero fan e feci l’occhiolino a tantissime ragazze sorridendo felice. Tutto era amplificato: le luci, i suoni, i pensieri … mi sentivo ebbro.
Continuai a ballare per tutta la notte… feci pure nuove amicizie e bevvi alla salute di due ragazzi irlandesi che mi offrirono una birra. Non mi sentii nemmeno schifato dal liquido nauseante che scendeva nella mia gola. Ero felice, dovevo essere felice e dovevo sentirmi nuovamente umano, vivo e mortale.
Finito il concerto il locale si svuotò. Uscii ancora entusiasta, ancorato a quella felicità fittizia che tenevo con le unghie obbligando il mio labbro a mantenere il sorriso. Perché chi è felice sorride.
Uscii salutando i passanti e barcollai per la piazza in direzione dell’Hotel.
“Scusa?” la voce di una ragazza mi fece voltare. “E’ per caso tua questa?” mi chiese indicandomi la giacca grigia che teneva in mano.
“Oh. Sì, che sbadato!” risposi dandomi una pacca sulla fronte. Non era da me dimenticare qualcosa. “Grazie!” e sorridendole allungai la mano.
“Di nulla.” Rispose mentre le sue gote si colorivano di un rosso imbarazzato.
Nel porgermi la giacca le nostre mani si toccarono, la sentii rabbrividire al contatto del freddo della mia pelle e, guardandomi sorpresa, si ritrasse velocemente.
“Qui a Londra la temperatura è molto bassa, meglio che mi vesta” dissi sfoderando il mio miglior sorriso ammaliatore sapendo che quel sorriso avrebbe scompigliato i suoi pensieri allontanandola da eventuali domande pericolose, ed indossai la giacca.
“Sì, Londra è la città più fredda del pianeta” rispose avvicinandosi maggiormente e strofinandosi le mani sulle braccia per scaldarsi.
Era una ragazzina di circa sedici anni, con i capelli biondi lisci come spaghi e gli occhi azzurri affusolati. Mi sorrise con le gote arrossate. Mi stupii che non fosse intimorita dalla mia presenza, solitamente gli umani sentivano la necessità di starmi distante, ma quella ragazzina non era intimorita, nei suoi pensieri vidi solo le classiche fantasie da adolescente.
“Grazie ancora e… buona serata!” dissi voltandole le spalle e ricominciando a camminare sentendo la felicità artefatta allontanarsi.
“Mica starai andando a dormire? La notte è giovane… solo i vecchi vanno a dormire!”
Risi di gusto alla battuta… povera piccola umana, non sapeva quanto fossi vecchio. Avrei dovuto già essere a dormire, a dormire il sonno eterno come ogni mio coetaneo… però, effettivamente, il mio corpo aveva solo diciassette anni e la notte era per quelli della mia età!
“Lucyyyy!” una ragazzina dall’altro lato della piazza chiamava sbracciandosi.
La ragazzina rispose con un gesto della mano e continuò: “Io ed i miei amici stiamo andando ad una festa poco fuori Londra… vuoi venire?”
“Perché no!” risposi alzando le spalle.
Mentre attraversavamo la piazza il buon senso mi stuzzicò. Cosa diavolo stavo facendo? Non dovevo avere rapporti con umani, non dovevo interagire con loro, non dovevo essere lì, dovevo andare via. Ero un immortale e dovevo vivere con gli immortali o vivere solo, non fare nuove amicizie con dei mortali!
Allargai il sorriso sul volto per schernire il buon senso ed accelerai il passo verso il gruppo di ragazzini. Non mi importava: ero sempre stato alle regole, mi ero sempre comportato secondo quanto richiesto, ero sempre stato attento ed in disparte… e cosa ne avevo guadagnato? Mi ero stufato di essere il perfetto Edward Cullen. Volevo essere felice, volevo sentirmi umano e se ai Volturi non andava bene potevano venirmi a prendere, non li avrei fermati. Ormai la mia non-vita non aveva più valore quindi, se non gli andava bene che frequentavo mortali, potevano venire a prendersi la mia immortalità.
Mi avvicinai ai ragazzini e mi presentai con entusiasmo. Le ragazzine sgranarono gli occhi dalla sorpresa ed i loro pensieri furono molto espliciti. Sorrisi e feci l’occhiolino aumentando le loro fantasie, a differenza degli ultimi ottant’anni non chiusi fuori i loro pensieri, ma li guardai compiaciuto di come il mio aspetto le facesse sognare. Non potevo più far correre il cuore di Bella, ma potevo far volare il cuore di quelle ragazze… almeno per una sera.
Lucy mi rimase sempre al fianco e lanciò occhiate di avvertimento alle sue amiche. Nei suoi pensieri ero il suo ragazzo e nessuna doveva avvicinarsi. I ragazzini maschi, invece, avevano visto il mio arrivo come un’invasione del loro territorio. Si avvicinarono alle ragazze abbracciandole e guardandomi con aria di sfida, erano le loro ragazze ed io dovevo tenere le mani a posto. Potevano stare tranquilli, le mie mani erano troppo fredde, non mi sarei mai permesso di toccarle.
Nei pensieri dei componenti del gruppo, maschi e femmine, sentii forte il bisogno di evadere, di dimostrare di essere adulti, di essere pronti al mondo e di volerlo conoscere in ogni modo possibile. Avevano coraggio, anche se dettato dall’incoscienza e dalla non conoscenza, si sentivano invincibili, invulnerabili e capaci di spaccare le montagne… mi piacquero i loro pensieri perché mi diedero una carica che non avevo mai sentito. … mi sentii anch’io un adolescente.
David, un ragazzino alto come me, con occhi e capelli castani ed il fisico leggermente robusto fu l’unico ragazzo che mi si avvicinò per fare la conoscenza. Non era spensierato come gli altri ragazzini, era più maturo e molto gentile. Vidi nei suoi pensieri la tristezza che nacque quando vide Lucy avvicinarsi con me. Era innamorato, di un amore adolescente, ma era timido e con una bassa autostima. Lo trovai subito simpatico e mi dispiacque per la sua infelicità.
Lo osservai per tutta la sera. Era un bravo ragazzo e volevo far qualcosa per lui.
Lucy vedendomi distratto mi si avvicinò e con sguardo languido mi chiese di fare una passeggiata. Vidi la tristezza accrescere in David. Con gentilezza rifiutai l’invito e mi avvicinai al ragazzino. Gli offri la birra che tenevo intonsa in mano e mi sedetti vicino a lui, come due vecchi amici. Lucy, come avevo immaginato, mi seguì e si sedette con noi. Iniziai a parlare di Stonehenge, come un turista interessato a volerla visitare. L’avevo già visitata, ma era un discorso che sapevo interessare sia Lucy che David. David mi spiegò con entusiasmo ogni minimo particolare del luogo e mi raccontò degli aneddoti che non avevo mai sentito raccontare. Lucy rimase affascinata dai racconti del ragazzino e potei notare con piacere che i suoi pensieri si stavano spostando da me e quel gentile adolescente. Quando li vidi immersi nella loro conversazione, dimentichi della mia presenza, mi alzai e tornai nella folla a ballare. La felicità che mi aveva invaso da quando ero arrivato a Londra iniziava a scemare. Provai ad obbligarmi a sorridere, a ridere, a ballare, a parlare con sconosciuti, ma non riuscii più a inebriarmi come ero riuscito ad inizio serata.
Il sole stava sorgendo ed anche quella festa stava volgendo al termine. Vi erano persone addormentate negli angoli più impensabili, sotto i tavoli, sulle casse, nel prato… e altre che barcollando si dirigevano verso le auto.
Lucy e David continuarono a parlare dei luoghi caratteristici. Erano così assorti nei loro discorsi che non si accorsero di essere rimasti gli unici ancora svegli nella sala. Quando il proprietario del locale li chiamò per farli uscire si ridestarono come da un sogno. Mi ricordarono il primo pranzo di me e Bella, anche noi non ci eravamo accorti di essere rimasti soli in sala mensa, i nostri discorsi ci avevano così incantati da farci dimenticare che esisteva un mondo oltre a noi.
Mi si avvicinarono, David era felice e Lucy confusa, sentiva nascere in lei un sentimento mai provato per il ragazzo, cercava di guardarlo con occhi oggettivi, ma non riusciva più a vederlo come lo vedeva poche ore prima. Sentiva il bisogno di continuare quella chiacchierata e di stare con lui, anche se cercava, chissà per quale strano motivo, di convincersi che non era il ragazzo giusto per lei.
Sorrisi a quei pensieri. La povera Lucy non comprendeva la fortuna che aveva. Era insieme al ragazzo che la amava e nulla, oltre agli stereotipi umani, poteva separarli.   
Il resto del gruppo si era già ritirato, non volevo essere il terzo incomodo e quindi li lasciai con la promessa che ci saremmo rivisti la sera al solito posto.
Era una giornata piovosa e riuscii a camminare per le vie di Londra senza problemi, alla ricerca della felicità provata la sera prima.
Il pensiero di Bella continuava ad insinuarsi in me, la voglia di riprendere l’aereo e tornare da lei non era scemata, anzi, essendo così lontano da lei, mi sentivo ancora più inquieto.
La sera, come promesso, mi presentai all’appuntamento. Il gruppo era lo stesso, mi salutarono ed iniziarono a riempirmi di domande sul mio passato, sui miei sogni e sui luoghi che avevo visitato. Inventai completamente la mia vita, i miei sogni ed il mio passato. Dissi ciò che volevano sentirsi dire e cercai di recuperare dai loro pensieri la stessa energia che avevo percepito la sera prima, ma senza risultato.
David e Lucy arrivarono insieme, si tenevano leggermente distanti e si guardavano impacciati, ma il sentimento che li univa traspariva dai loro occhi. Mi avvicinai a David e, senza farmi vedere e sentire dagli altri, gli allungai due biglietti per Amesbury. Diventò rosso in viso e balbettò un ringraziamento.
“Sono per te e Lucy. Li avevo comprati per me ed un amico, ma ha avuto degli impegni improvvisi annullando la visita. Mi dispiacerebbe buttarli.” Gli spiegai facendogli l’occhiolino.
Mi sorrise felice e li nascose in tasca prima di unirsi alla compagnia.
Provai a stare con quei ragazzini per tutta la sera, ma non riuscii più a provare le forti emozioni provate la sera prima. Il buon senso iniziò ad urlare che un immortale non doveva fare amicizia con dei mortali, che dovevo fare dietro front e cercare dei miei simili… e dopo aver lottato per un paio di ore contro di esso, decisi da dargliela vinta e gentilmente salutai la compagnia di ragazzini.
 
Decisi di visitare il Cimitero di Highgate, che secondo la tradizione era la dimora di vampiri antichi.
Scavalcai le alte mura ed iniziai a girovagare per le tombe. L’odore di miei simili era forte come l’odore di sangue. Mi diressi verso la tomba di Karl Marx, curioso di trovare la famosa tomba di Elizabeth Siddal. Non avevo ancora fatto due passi che un immortale mi sbarrò la strada mostrando i denti.
Mostrai i miei ed emisi un profondo ruggito acquattandomi. Era molto magro, con capelli lunghi scompigliati e vestiti di altri tempi molto logorati.
Rimanemmo in stallo per alcuni minuti, fin quando non si unì un altro vampiro.
“Cosa succede?” chiese perentorio, posizionandosi tra me ed il mio avversario.
Continuai a fissare il primo vampiro, ma lasciai la posizione di attacco e nascosi i denti.
“Quindi?” chiese il nuovo venuto.
“Mi chiamo Edward Cullen.” dissi senza distogliere lo sguardo dal primo immortale. “Non cerco problemi. Volevo solo visitare il cimitero” continuai.
“Cullen?” chiese stupito facendo segno al compagno di rilassarsi. Vidi nella mente dello sconosciuto il viso del mio padre adottivo.
Lo guardai per la prima volta in volto. Non avevo mai incontrato quell’uomo, di corporatura longilinea, con capelli biondi lunghi oltre le spalle ed un abbigliamento simile al suo compare.
“Sono il figlio di Carlisle Cullen” dissi porgendogli la mano.
La guardò schifato e si rivolse al compagno.
“Nessun problema Fred. E’ un amico. Avvisa gli altri che abbiamo compagnia” ancor prima che terminasse la frase Fred era svanito.
“Vieni, ti presento agli altri…” disse indicandomi la direzione “A proposito, mi chiamo Igor Makarov” rimasi immobile e sondai la sua mente per capire se potevo fidarmi. Vidi una cripta affollata di miei simili con al centro un altare in pietra con corpi di umani ormai dissanguati.
Feci una smorfia e mi irrigidii. Il pensiero di sentir l’odore di sangue umano mi spaventò. La sera precedente mi aveva dimostrato che qualcosa in me era cambiato, avevo timore che anche la mia capacità di trattenermi da quel tipo di sete fosse mutata.
“Preferisco stare all’aria aperta, se non vi dispiace” dissi cercando di ricacciare la sete che ardeva la mia gola al solo pensiero di quel profumo.
Alzò un sopracciglio ed inclinò la testa di lato guardandomi curioso.
“Troppo sangue umano…” spiegai tra i denti abbassando lo sguardo.
“Ommioddio… non mi dire che Carlisle ti ha convinto di seguire la sua folle dieta” disse scoppiando in una sonora risata.
“Sì” sussurrai.
“Sei arrivato la sera sbagliata, ragazzo mio! Oggi abbiamo fatto caccia grossa perché avevamo ospiti” affermò senza smettere di ridere.
“Sarà per un’altra volta” risposi incamminandomi verso il muro di cinta.
“Dai… cosa dici! Non è gentile rifiutare un invito. Se vuoi vado a cercarti qualche topo… qui ne siamo invasi!” mi derise mentre prendendomi poco gentilmente per il braccio.
Trattenni il ringhio e con il capo chino lo seguii, continuando a visualizzare il volto di mio padre e ripetendomi che ero sazio, non avevo fame e non avrei ceduto.
Arrivati nella cripta l’odore mi colpì così forte che ogni istinto ebbe il sopravvento ed i pensieri dei presenti furono così forti che ammutolirono completamente il mio autocontrollo. Il velenò mi riempì la bocca e lo stomaco si contrasse per la fame. Gli occhi si fissarono verso l’altare ed il demone esultò per il cibo prelibato che lo attendeva. Mi divincolai dalla presa di Igor e volai su un corpo non completamente dissanguato. Avvicinai la mia bocca a quella pelle profumata e… con un ringhio acuto volai contro il muro, mi coprii la bocca con le mani e smisi di respirare.
Calò il silenzio e tutti i presenti mi guardarono con gli occhi sgranati dallo stupore.
“E’ il figlio di Carlisle Cullen” spiegò Igor scoppiando nuovamente a ridere.
Tutti iniziarono a ridere e scuotendo le teste ritornarono al loro pasto. Chiusi i loro pensieri fuori dalla mia testa e uscii dalla cripta, avevo bisogno di aria.
Igor mi seguì, continuando a ridere tenendosi la pancia con le mani.
“Sei proprio strano, ragazzo! Ma chi te lo fa fare. Goditi una buona mangiata e non ci pensare più!” disse dandomi una pacca amichevole sulla schiena “Ti giuro che non lo dirò a Carlisle” e si baciò le dita incrociate per sugellare la promessa.
“Non puoi capire” dissi tra i denti cercando di allontanare il pensiero di cosa stavo per fare in quella maledetta cripta.
“Esatto! E non mi interessa capire! Siamo bevitori di sangue… di sangue umano! Non siamo nient’altro! E’ come chiedere ad una mucca di mangiare carne o ad un leone di mangiare erba!”
Aveva ragione… in tutta la mia esistenza da immortale avevo cercato di rinnegare la mia natura. Non mi cibavo di sangue umano, come un leone che si ciba di erba, e mi ero innamorato di una umana, come un leone che si innamora dell’agnello…
La gola bruciò e lo stomacò si attorcigliò, il ricordo dell’odore nella cripta mi fece venire l’acquolina. Mi alzai convinto di ritornare all’hotel, lontano da quella tentazione, ma un profumo ancora più delizioso mi fece saltare oltre la cinta. Mi ritrovai di fronte ad un uomo in giacca e cravatta che si fermò terrorizzato dalla mia apparizione. Vidi la vena pulsante del suo collo e il velenò riempì la mia bocca.
Il volto dell’uomo si trasformò in quello di mio padre, deluso per il mio comportamento. Serrai i pugni e mi concentrai sui pensiero del mortale. Era un brav’uomo, con una vita monotona, senza famiglia e senza amore, ma non aveva cattivi pensieri e non avrebbe fatto del male ad una mosca senza sentirsi in colpa. Scossi la testa per riprendermi e come ero apparso svanii, nascondendomi sull’albero vicino al muretto.
Lo vidi correre lungo la strada, troppo terrorizzato per urlare e mi vergognai di me stesso.
“Sei proprio strano!” disse Igor, accovacciato sul ramo accanto al mio, mentre scuotendo la testa deluso guardava l’umano che fuggiva.
 “Londra non fa per me.” Dissi più a me stesso che a lui.
“Credo che tu abbia ragione! Torna a casa! Carlisle ti aspetta!!!” mi parlò per la prima volta senza ridere e stringendo la mano sulla mia spalla.
“Salutami Carlisle, mi raccomando!” e scomparve nel cimitero.
Non tornai nemmeno in albergo, le emozioni provate in pochi giorni a Londra mi convinsero a ritornare in America. Sarei stato più vicino a Bella, ma il tormento di voler tornare da lei era più gestibile che le forti emozioni che mi avevano invaso in quel breve periodo in Inghilterra.
 
 
Ciao a tutti,
per la prima volta commento un capitolo!!
Prima di tutto ringrazio tutti coloro che hanno messo questa FF nei preferiti, seguiti etc... e ringrazio con tutto il cuore coloro che hanno perso alcuni minuti della loro vita per scrivere una recensione! I vostri commenti ed il vostro entusiasmo e ciò di cui ho bisogno per continuare a scrivere questa storia! GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!

Vorrei spendere due parole per questo capitolo! E' particolare, ve lo concedo. Edward si comporta come un umano, perde il controllo e sembra un adolescente... sicuramente lontano da come solitamente ho immaginato e descritto Edward Cullen!
Anche se è particolare ho voluto comunque pubblicarlo... il perchè? Perchè mi sembrava giusto farlo! 
Quando ho scoperto che secondo la Meyer, Edward, nei mesi lontano da Bella, aveva visitato Londra, ci sono rimasta! 
Non mi ero mai immaginata Edward a Londra, ma ho dovuto rimediare e quindi ho scritto questo capitolo di getto... non l'ho pensato... è uscito dalle mie dita esattamente come lo pubblico! 
Quando mi sono seduta alla tastiera per scriverlo vedevo solo un foglio bianco... ma appena posate le dita sulle lettere, questa hanno iniziato ad uscire ... e quindi credo che sia giusto pubblicarlo esattamente come è sbocciato!
Spero vi piaccia!!!
Con la promessa di postare il prima possibile... vi auguro BUONA LETTURA!!!

 

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Capitolo 12
*** La Caccia ***


Atterrai a Houston e presi una camera d’albergo in centro. Mi presentai come un proprietario di locali notturni e li avvisai di non disturbare durante il giorno.
Durante le ore di sole rimanevo rintanato in camera, coricato sul grande letto baldacchino e mi perdevo nei ricordi. Appena il sole scompariva all’orizzonte, mi aggiravo tra le vie della città in cerca di qualcosa che rendesse meno dolorosa la mia inutile non-vita.
Mentre passeggiavo per le vie affollate i miei occhi mi ingannavano. Vedevo Bella nei lunghi capelli color castano di una ragazza minuta che passeggiava di fronte a me, vedevo Bella negli occhi luccicanti di curiosità di una bambina che passeggiava con la mamma, vedevo Bella nel sorriso di una ragazzina che passeggiava spensierata mano nella mano con un coetaneo, vedevo Bella nell’increspatura tra gli occhi di una signora che passeggiava concentrata su “Cime Tempestose” … ogni persona delicata e felice mi rimandava a lei. Nascosi gli occhi con gli occhiali da sole e camminai tenendoli serrati fin quando non arrivai in albergo.  
In un giorno nuvoloso, entrai in un negozio di strumenti musicali, ero intenzionato a comprare un pianoforte, sarei ritornato alla mia vecchia compagna di non-vita. Appena posai le dita sulla tastiera, la ninna nanna di Bella uscì dalle mie mani. Il suo corpo aggraziato seduto al mio fianco con le lacrime agli occhi per l’emozione, si materializzò dilatando lo squarcio nel petto, ma continuai a suonare estasiato da quella immaginaria presenza. Tutti i clienti del negozio si erano fermati ad ascoltare meravigliati, e quando finii scoppiarono in una applauso. Imbarazzato uscii dal negozio e decisi che non era ancora il momento di ritornare alla musica, era ancora troppo doloroso.
Vagai per le strade di Houston senza meta, con solo la voglia di riempire la mia mente con i pensieri inutili e futili della gente, e non dar spazio ai miei.
Edward?
Mi voltai d’istinto, mi avevano chiamato, cercai tra la folla, ma non riuscii a intravedere nessuno.
Devo ancora finire i compiti ed è tardi…
Caspita il veterinario mi ha dato poche speranze, povero Toby…
Devo correre, se si mette a piovere mi si rovinerà la piega…
Nessun pensiero rivolto alla mia persona, forse era qualcuno che pensava ad un altro Edward o forse me lo ero solo immaginato e, facendo spallucce, ricominciai a camminare.
Arrivato in un vicolo, l’odore di un vampiro mi colpì, mi stuzzicava la memoria, ma non riuscivo a riconoscerne la scia. Non era completamente nuova, ma non riuscivo ad unirla a nessun volto. La seguii per diversi vicoli, svoltando molte volte fino a quando giunsi al fiume, dove scomparve.
Scuotendo la testa e cercando di convincermi che ero impazzito, mi avviai verso l’albergo. Ripensai al negozio di musica, la visione di Bella aveva dilatato lo squarcio, ma ero riuscito a contenere il dolore. Decisi di riprovare. Ripensai ai banchi di scuola, alle lezioni di biologia, alla sua piccola e accogliente camera da letto satura del suo profumo e lei addormentata tre le mie braccia, alle giornate passate in macchina a raccontarci i nostri pensieri e le nostre vite. Saggiai il varco, bruciava, ma era accettabile. Riprovai altri ricordi, ed ogni volta testavo la reazione … lo feci fino all’albergo, potevo ritenermi soddisfatto di come stessi affrontando la cosa.
Durante il giorno rimasi in camera, inerme sul letto, pensando a lei, ma un qualcosa stuzzicava il mio istinto, distogliendomi dall’oblio.
Sentivo il veleno salirmi in gola e i muscoli contrarsi come se mi stessi preparando ad un attacco.
Cercai di ricacciare quella sensazione e tornare alle mie fantasie, ma qualcosa nel mio cervello continuava a fare capolino, ma per un tempo troppo breve per poterlo cogliere.
Cercai di risentire l’odore di Bella, ma un altro odore disturbava il ricordo.
Ripensai ai pomeriggi passati nella nostra valletta, ma il campo da baseball dove eravamo soliti giocare io e la mia famiglia a Forks sostituiva lo sfondo dei ricordi.
Rividi me e Bella abbracciati nel suo piccolo letto, ma la stanza era diversa, era piena di specchi con dei tubi in ottone che li percorrevano a circa un metro da terra.
Un ringhio mi nacque nel petto e i denti si serrarono così forte da poter rompere il marmo.
Era quasi sera, il sole era svanito dietro alle nuvole, scocciato dal mio istinto che intralciava i miei momenti di pace, mi vestii per ritornare in mezzo alla folla, avevo bisogno di distrarmi ed i pensieri frivoli della gente erano esattamente ciò di cui avevo bisogno.
Quando uscii dall’albergo la scia della sera prima mi stuzzicò il naso. Mi voltai e vidi una testa rossa con i riccioli lunghi fino a metà schiena mischiarsi tra la folla.
Provai a sentirne i pensieri, ma nella folla, senza sapere quale voce mentale dovevo cercare non mi fu possibile capire chi fosse. Tutte le voci che sfociarono nella mia mente erano i soliti pensieri di fine serata, chi voleva tornare a casa, chi doveva incontrare qualcuno, chi si lamentava per l’estenuante giornata…nessun particolare che potesse aiutarmi ad individuare il vampiro.
Il mio corpo iniziò a seguire quella macchia rossa ancor prima che il mio cervello gli desse l’ordine.
L’odore era sempre più forte, il veleno riempiva la mia bocca ed i muscoli si contraevano come se fossi in una situazione di pericolo. Non capivo le mie stesse reazioni. Anche se era un vampiro, perché avrebbe dovuto attaccarmi, o perché io avrei dovuto attaccare lui?
Continuai quell’ inseguimento, mentre vagliavo nel mio cervello ogni viso incontrato negli ultimi ottant’anni e cercavo di unirlo a quell’odore.
Mi arrestai di colpo, il gelo mi attraversò il corpo e tre volti presero forma nella mia mente:
Laurent, James e Victoria.
La chioma rossa … Victoria!
Un ringhio mi uscì dal petto. Alcuni passanti lo notarono, ma incolparono un cane che passeggiava al guinzaglio. Velocizzai il passo, ma non potei avvicinarmi perché ero ostacolato dalla massa compatta di gente. Impaziente cercai di farmi largo tra la folla per poterla braccare. Finalmente giunsi in fondo alla strada dove la scia svoltava per un vicolo buio e deserto. Iniziai a correre senza tener conto che qualcuno potesse vedermi, volai oltre il muretto che sbarrava la strada e finii a mollo nell’acqua del canale. La cercai nuotando sott’acqua, ma l’odore era scomparso. Provai in ogni direzione finché non arrivai fuori città. L’avevo persa.
Ero furioso, non solo per averla persa, ma per essermene dimenticato.
Victoria, la compagna di James, il vampiro sadico che si era permesso di torturare la mia amata e aveva cercato di ucciderla mordendola.
Capii le immagini che mi avevano disturbato nel pomeriggio. Il campo da Baseball dove James aveva iniziato la caccia a Bella e gli specchi della scuola di danza dove l’aveva attirata con l’inganno per potersene nutrire. La mia mente aveva provato per tutto il giorno a darmi degli indizi ed io ero stato così stolto da non comprenderli.
Indignato tornai in città e ricominciai la ricerca. Volai sui tetti, passai in tutti i vicoli, dai più frequentati a quelli deserti, frugai nelle soffitte e nelle cantine abbandonate. In alcuni punti la sua scia era molto forte, come fosse passata più volte, mentre in altri punti era appena percettibile. Sembrava vagasse volutamente in maniera confusa per confondere le tracce. Continuai la ricerca per tutta la notte, ma non arrivai a capo di nulla.
Il sole fece capolino e dovetti abbandonare la caccia.
Arrivato in albergo, mi sentivo impotente, dovevo fare qualcosa, ma non potevo uscire, ero segregato in quelle quattro mura mentre Victoria era libera per la città.
La sua chioma rossa continuava a vorticare nella mia testa, il suo viso mi derideva con un sorriso beffardo e gli occhi selvatici. Non le avevo dato molto peso quando l’avevo incontrata insieme al suo compagno James ed adesso me ne stavo pentendo.
La mia priorità in quell’occasione era uccidere il sadico e, quando Bella fu nuovamente al sicuro, non avevo più pensato a quei giorni di terrore ed ai suoi protagonisti.
Adesso che il destino me l’aveva fatta rincontrare non le avrei permesso di continuare a vivere. Era stata complice di James e l’aveva aiutato a scovare Bella. Avrei terminato ciò che avevo lasciato in sospeso per troppo tempo.
Camminai come un animale in gabbia per la stanza, mordendomi le mani mentre pensavo come rintracciarla e ucciderla. Avevo cercato per tutta la notte, ma era stata la compagna di un segugio aveva sicuramente imparato a fuggire da un vampiro che voleva braccarla, sapeva come pensava e cosa cercava chi era a caccia di una preda definita.
Telefonai ad Alice, forse lei avrebbe visto il futuro di Victoria, mi avrebbe aiutato a tenderle un’imboscata.
“Ciao Edward” disse con voce squillante.
“Ciao Alice. Ho bisogno di un aiuto” dissi senza mezzi termini.
“Stai bene? Ti sento agitato. Dammi il tempo di prendere l’aereo ed arrivo!”
“No, non ho tempo, dovresti aiutarmi adesso. Ho visto Victoria…”
“Victoria?” disse con voce piena di stupore.
“Sì, Victoria è qui! Ho provato a braccarla, ma era sempre in mezzo alla gente. Mi è sfuggita”
“Dobbiamo venire subito lì. Hai bisogno di rinforzi!”
“No. E’ sola, non ho sentito altri vampiri nei dintorni, posso cavarmela da solo, ho solo bisogno di precedere le sue mosse”
Dopo alcuni attimi di silenzio “… la vedo ancora in città. E’ vicino ad un negozio di scarpe, fa angolo con un bar. C’è gente che suona nel locale. E’ buio, le vetrine hanno le luci spente. Sta entrando in un vicolo … non riesco a vedere altro, il suo futuro è troppo confuso. Scusa.”
“Grazie Alice. So dove si trova il posto. Riuscirò a sorprenderla.”
Camminai per la stanza tutto il giorno, sbirciando fuori dalla finestra sperando di convincere il sole a tramontare. Finalmente se ne andò ed io fui di nuovo libero di riprendere la ricerca.
Scesi in strada, il negozio di scarpe della visione era dall’altra parte della città. Svoltai in ogni vicolo buio per percepire le sua scia. Passai per strade dimenticate dall’uomo e, in alcuni punti, mi azzardai a salire sui tetti.
La scia era lieve, era passata da quelle strade, ma non nell’immediato.
Arrivai dal negozio di scarpe. Entrai nel bar e mi posizionai in un angolo nascosto, ma che mi permetteva di tenere d’occhio il punto tra il negozio di scarpe e il vicolo.
Rimasi concentrato e cercai di sentire i pensieri dei passanti, sperando di intercettare i suoi.
Nulla, i soliti pensieri. Mantenendo i sensi in allerta, cercai di far passare il tempo ascoltando la musica della Band, facevano le cover della musica anni ’50, la mia preferita. Le ore passarono, ma di Victoria nessuna traccia.
Le strade iniziarono a svuotarsi e i negozianti abbassarono le serrande dei negozi spegnendo le luci delle vetrine … il momento era vicino.
Mi spostai in un tavolo adiacente alla porta, per poter uscire rapidamente appena Victoria fosse apparsa. L’insegna del bar mi copriva la visuale, ma era perfetta per nascondermi dai passanti e non farmi vedere dalla vampira.
Chiusi i pensieri della gente nel locale e focalizzai tutto verso l’esterno.
Devo distruggerlo e poi ucciderò anche lei!
L’immagine di me fatto a pezzi, la faccia di Bella terrorizzata con le mani alzate di fronte al volto per pararsi e Victoria trionfante riflessa nei suoi occhi sbarrati dal terrore, mi investì la mente.
Il veleno quasi mi strozzò. Era lei e stava pensando di uccidere Bella.
Senza preoccuparmi di essere notato dai mortali schizzai fuori dal locale ad una velocità inumana. La bloccai tenendola per i capelli, si girò con sguardo assassino e sorpreso, mettendo in bella mostra i denti grondanti di veleno.
Ringhiò e con uno strattone si liberò dalla mia presa. Una ciocca di capelli rossi rimase stretta nella mia mano. La lasciai cadere a terra ed iniziai l’inseguimento.
“Sono qui, uccidimi!!!” le ringhiai.
Ma lei non si fermò ed iniziò a correre cambiando direzione velocemente. Pensava troppo in fretta per riuscire a precederla con il pensiero. Il suo corpo e la sua mente lavoravano separate, sembravano due entità separate
Spaccammo una vetrina e sfondammo un cancello in quella folle corsa per i vicoli della città.
Ogni tanto si guardava indietro con un sorriso beffardo sul volto.
“Fermati! Uccidimi!” le urlavo.
Provai a lanciarle degli oggetti presi al volo durante la corsa per intralciare la sua fuga, ma riusciva a spostarsi dalla traiettoria con agilità rendendo vani i miei tentativi.
La corsa durò tutta la notte e ci allontanammo dal centro della città, arrivando in periferia al sorgere del sole.
Corsi attraverso uno spiazzo aperto senza perderla di vista, ma il bagliore del riflesso della mia pelle sull’erba mi fece rallentare e rinsavire, non potevo espormi. Le ringhiai contro mentre volava su un tetto ridendo rumorosamente e ritornai all’ombra.
Tornai in albergo sconfitto. L’avevo nuovamente persa.
Non volevo telefonare ad Alice per chiederle altre informazioni. Lo avrebbe detto alla famiglia e sarebbero tutti corsi in mio soccorso.
Volevo stare solo, volevo dimostrarmi che bastavo a me stesso, che non ero un codardo che chiamava i rinforzi.
Appena calò il sole, ricominciai le ricerche. Ritornai nello spiazzo aperto dove ero stato obbligato ad abbandonare la mattina.
La scia era ancora forte e proseguiva senza svolte fino alla città vicina. Mi spostai di città ed iniziai a setacciarla da cima a fondo, a volte perdevo la traccia o mi ritrovavo in un punto già perlustrato, ma riuscii a non farmi ingannare ed a seguire correttamente i suoi spostamenti fino alla città successiva. In quasi tutte le città che toccammo non si fermò se non il tempo necessario per depistarmi, mentre in altre rimase per alcuni giorni, come se avesse dei compiti da svolgere.
Più ci avvicinavamo all’America Meridionale e più la mia razza diventava numerosa e per me diventava sempre più difficile seguirla senza dover interagire con loro. Più scendevo verso la Colombia meno i miei simili erano civilizzati, i loro pensieri mi turbavano e mi disgustavano. Jasper aveva vissuto in quei luoghi per la maggior parte della sua immortalità ed iniziai a capire perché faticava a dominare il suo demone, in quei paesi la vita umana era vista esclusivamente come una fonte di sostentamento e nient’altro. Preferii fare più attenzione a evitare gli altri vampiri e i loro ributtanti pensieri che dovermi mischiare con loro per velocizzare la ricerca di Victoria. Quella scelta mi fece rallentare la ricerca, ma non mi turbò, avevo l’eternità per trovarla e si stava dirigendo dalla parte opposta di Bella, quindi non rappresentava un pericolo per la persona che volevo difendere di più al mondo.
L’inseguimento mi fece riattraversare il Messico, l’America Centrale e la Colombia.
In un paesino sperduto dell’America Centrale la intercettai in uno spiazzo vicino al mio albergo.
Volai fuori dalla finestra e la costrinsi a scappare in un vicolo sbarrato da un’altissima parete di pietre. Mi avventai su di lei, i denti scoperti pieni di veleno e le braccia di pietra che la tenevano immobilizzata a terra. Lei scalciava a ringhiava cercando di liberarsi, mentre mi chinavo per farla a pezzi, volevo che la sua fine fosse lenta e sofferta, come aveva voluto giocare James con Bella, ma io a differenza del suo defunto compagno sarei riuscito nel mio intento.
Strappai un brandello del suo corpo di pietra ed iniziai a tirarle le braccia cercando di staccargliele mentre urlava di dolore con tutta la forza che aveva in corpo, mi chinai sulla sua bocca per attutire quel suono straziante, quando …
Ommiodio, la sta violentando!!! una donna urlò nella mia mente.
Mi voltai di scatto, il mio volto era una maschera feroce ed i denti rilucevano al chiaro della luna.
“Hernandez, Hernandez!!!” urlava la donna affacciata ad una finestra nell’entrata del vicolo.
Quella distrazione fu la salvezza della mia preda che diede un forte colpo di reni disarcionandomi e volò all’interno di un appartamento sfondando la finestra. Mi fiondai dietro di lei, ma fui costretto a nascondermi quando una massa di gente inferocita iniziò ad invadere lo spiazzo ed il vicolo.  
In Colombia, a Florencia, ci andai di nuovo vicino.
Stavamo correndo sui tetti, saltando da uno all’altro come se scottassero.
Alla fine dell’edificio, in prossimità di un incrocio più ampio, saltò in modo azzardato verso l’altro lato e, durante il volo, riuscii ad agguantarla. Le presi le braccia e la strinsi a me per morderle il collo mentre cadevamo nel vuoto. Lei si dimenò e, appena atterrammo in strada, con un gesto secco si girò di 180 gradi e mi calciò nell’inguine. Cercai di mantenere la presa, ma il dolore me la fece allentare quel tanto che bastò per farla fuggire. Con un ringhio di rabbia e a denti stretti continuai l’inseguimento fin quando il sole bloccò la caccia.
Una volta, in Venezuela, la inseguii attraverso una foresta. Saltammo sugli alberi, corremmo zigzagando per i sentieri… le lanciai più volte delle pietre o degli alberelli che sradicavo durante la corsa, ma era sempre un passo avanti a me e mi sorrideva beffarda. Arrivò alla fine della foresta, in cima ad uno strapiombo, vagliò la possibilità di saltare e guardò spaventata la distanza dal fondo. Non aveva più scampo, potei leggerlo nei suoi pensieri. Mi avvicinai lentamente, acquattato, i denti scoperti ed un ringhio profondo che mi usciva dal petto. La fissavo contento di averla finalmente braccata. Sentii la paura nei suoi pensieri e vidi le opzioni che vagliava per potermi sfuggire. Scossi la testa lentamente da un lato all’altro continuando a fissarla. Non aveva scampo… era finita per lei.
“Ciao Edward!” disse cercando di mantenere la voce calma.
Non le risposi, continuai a fissarla e ad avvicinarmi in posizione di attacco.
“Suvvia, non fare così.” Continuò con voce mielosa. “Forse possiamo trovare un accordo!”
Ringhiai come risposta.
“Mmmm… non ho capito! Cosa hai detto?” disse portandosi le mani al mento facendo finta di pensare.
“Non faccio accordi con i morti” risposi a denti stretti e pensando a come ucciderla.
“Perché? A differenza del mio, il tuo cuore batte?” tese le orecchie in ascolto. “No, non sento nulla. Quindi tra morti possiamo trovare un accordo!”
“MAI” gridai facendo un balzo e serrandole le mani intorno alla gola. Lo scricchiolio della sua pelle mi fece aumentare il desiderio di finirla e la forza della stretta… stavo assaporando la vittoria quando l’immagine di Bella morta con gli occhi vuoti e la pelle esangue mi diede una scossa al petto così forte che sentii del dolore fisico. Mollai la presa lanciando un urlo.
Colse al volo l’occasione e mi colpì con un calcio in faccia, fuggendo. Mentre ruotavo per l’impatto mi girai e la presi per la caviglia. Iniziai a tirarla verso il baratro quando l’immagine di Bella immortale con gli occhi cremisi e la pelle di porcellana, abbracciata ad uno sconosciuto mi immobilizzò.
Riuscì di nuovo a sfuggirmi e continuando a colpire la mia mente con immagini di Bella si allontanò ridendo.
Ci furono altre occasioni in cui riuscii ad avvicinarmi quel tanto da toccarla, ma la sua capacità di fuga o l’arrivo di umani non mi permisero di tenerla tra le mani il tempo sufficiente per ucciderla.
Quel “giochetto” continuò fino in Brasile, dove le giornate sempre soleggiate mi permettevano di continuare le ricerche solo ed esclusivamente di notte.
Una mattina, dopo una lunga ed estenuante notte di rincorsa e ricerca andati a vuoto, persi completamente il controllo. Ero schifato di me stesso. Avevo perso tutto: la mia amata, la mia famiglia e non riuscivo a braccare una stupida e singola vampira.
Ringhiai e distrussi tutto ciò che mi capitò tra le mani. Continuai fin quando non ci fu più nulla da demolire. Crollai sul pavimento sconfitto ed in quell’instante sentii i pensieri arrivare dal corridoio.
I rumori venivano da quella stanza, dobbiamo chiamare la vigilanza!
Vigilanzaaaa!”
Raccolsi le mie poche cose e scappai dalla finestra.
Con fare noncurante, mi incamminai tranquillo sul marciapiede di fronte all’albergo, era in ombra quindi non correvo il rischio di essere scoperto.
Ma cosa è successo? Dove è l’ospite che occupava questa stanza?
Dobbiamo chiamare la polizia, forse lo hanno rapito!
Sorrisi alla fantasia degli umani, mi immaginai un uomo con passamontagna che entrava di soppiatto nella mia stanza, puntandomi un’inutile pistola contro minacciandomi, forse mettendo pure la mano sulla mia bocca, incurante dei denti affilati e velenosi, per non farmi urlare. Ah, ah, ah … poverino!
Beh, se pensavano che mi avessero rapito sicuramente non si aspettavano che pagassi i danni o il conto, non era il mio classico modo di fare, ma alla fine non avrei potuto rovinare le loro aspettative.
Entrai nel primo bar ed attesi il tramonto. Seduto al tavolino del locale, tirai fuori il tappo della limonata di Bella del nostro primo “pasto” insieme nella sala mensa della scuola. Con un sorriso sulle labbra ripensai alle sue teorie, in quel tempo pensava che i miei poteri fossero stati causati da un morso di ragno radioattivo. Un supereroe… Beh, morso ero stato morso, ma non sicuramente da un ragno. Aveva capito che ero pericoloso, ma non era fuggita, era rimasta al mio fianco e preferiva la mia compagnia a quella degli altri umani, dei suoi simili.
A quel tempo ero straziato dal non capire cosa le passava per la testa e dalla mia impossibilità di leggerle nei pensieri, potevo sentire i pensieri di tutti nell’arco di chilometri, ma gli unici pensieri che realmente mi interessava conoscere mi erano negati, la sua mente per me era muta.
Adesso ero straziato perché sapevo che non si era allontanata e aveva cercato la mia compagnia perché mi amava. Un amore umano, da adolescente, ma pur sempre amore.
La mia imprevedibile e unica Bella. Il varco nel petto bruciò e le mani iniziarono a tremare, mi sentii come se avessi bisogno di ossigeno. Avrei pianto, ma ovviamente non mi era concesso nemmeno quello sfogo.
Spostai i pensieri sui commensali per recuperare il controllo ed attesi il momento di poter uscire da quel bar, che era diventato piccolo e mi faceva sentire claustrofobico.
Finalmente la tanto agognata sera arrivò. Uscii velocemente dal locale e mi ributtai nella ricerca di Victoria. La sua scia mi portò nella città vicina dove arrivai in tarda notte quando le prime luci dell’alba iniziavano a far capolino.
Decisi di prendere una stanza in un albergo lussuoso a Rio de Janeiro a ridosso di una foresta colma di animali selvatici di svariate specie. Erano mesi che vivevo da randagio, avevo trascurato il mio aspetto, incurante della mia educazione, dando priorità esclusivamente alla caccia. I miei genitori, sia quelli biologici che quelli adottivi, si sarebbero vergognati di me se mi avessero visto in quelle condizioni.
Avevo bisogno di rifocillarmi, di riavvicinarmi all’Edward che ero stato prima di Houston.
Mi feci un bagno rilassante, mi pettinai i capelli e mi vestii con abiti nuovi acquistati nelle boutique dell’hotel.
Mentre mi sistemavo davanti allo specchio sorrisi al pensiero di Alice, sarebbe stata soddisfatta di me, riuscii ad immaginarmi Emmett mentre mi canzonava sorridente.
Che damerino! Vorrai mica far ingelosire Rosalie prendendole il primato di primadonna?!?
Mi immaginai Bella, che mi guardava affascinata come la sera del ballo di fine anno, quando era comparsa sul pianerottolo dopo un pomeriggio sotto le grinfie di Alice, e mi aveva scorto in fondo alle scale. Risentii il suo cuore accelerare la corsa e rividi le sue guance colorarsi di rosa. Il bruciore nel petto mi ridestò, era possibile solo nei ricordi o nella fantasia.
Scossi la testa e strinsi le braccia al petto per smorzare il vuoto che si stava allargando. Feci un profondo respiro e mi fiondai nel bosco a caccia.
Mentre correvo tra gli alberi risentii le parole di Garrett: “Ho combattuto tante battaglie senza timore di perdere… l’unica battaglia che non ho mai voluto affrontare è quella dell’amore… la più pericolosa e quella che miete più vittime!”.
Io la battaglia dell’amore l’avevo affrontata e ne ero uscito ferito… anche se non ero assolutamente pentito, ero felice di potermi leccare quelle ferite. L’amore era l’esperienza più completa che avessi mai provato in tutta la mia esistenza e l’unica che mi aveva dato un motivo per continuare ad esistere.
Non potevo più godere della presenza della donna che aveva riempito il mio cuore, ma potevo ancora esserle utile uccidendo l’ultimo pericolo che incombeva su di lei: Victoria. Mi saziai con diversi animali locali e ricominciai subito la ricerca.
 

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Capitolo 13
*** Due Improbabili Assistenti ***


La caccia divenne sempre più difficile, mi trovavo in una cittadina vicina a Rio de Janeiro ed i vampiri erano presenti in un numero abbastanza elevato da confondere la scia della mia preda.
In un vicolo di periferia, parallelo alla via centrale e lontano dai locali, incontrai due vampiri. Avevano entrambi la pelle marmorea leggermente scura ed i capelli corvini lunghi fino alle spalle erano scompigliati come se avessero dormito dentro un fienile. Gli abiti erano anni ottanta, dai colori vivaci e sicuramente avevano visto momenti migliori, dei buchi dovuti all’usura e delle macchie che si confondevano leggermente con il motivo floreale spiccavano in più punti del tessuto.
Il vampiro più alto e longilineo sembrava il capo della combriccola, aveva lo sguardo attento e cortese, mentre quello più robusto e muscoloso, alto fino alle spalle del compare, pareva essere il guardaspalle, lo sguardo era vigile ma poco intelligente.
Quando annusarono la mia presenza si acquattarono in posizione di attacco e mi esaminarono con sguardo truce. Mi fermai all’istante ed alzai le mani per indicargli che non avevo intenzione di combattere.
“Mi chiamo Edward Cullen” dissi con tono amichevole, ma guardandoli deciso negli occhi per far capire che se volevano attaccarmi non mi sarei tirato indietro.
La tensione dei loro muscoli diminuì e si scambiarono uno sguardo incerto.
“Sto cercando un vampiro, non sto cercando problemi” continuai azzardando un passo verso di loro.
Il più tarchiato mi ringhiò come avvertimento ed io mi fermai.
Rimasi in mobile e, senza staccare gli occhi dai loro, attesi che facessero qualche mossa.
Non l’ho mai visto, mica me l‘ha mandato Mauro, per quel debito?
Non mi convince ha qualcosa di strano.
Dopo attimi di tensione, il più alto si drizzò e fece scrocchiare le spalle.
“Mi chiamo Pablo Rodriguez, e lui è Miguel Azevedo” e con la mano indicò l’amico che rimaneva nella posizione di attacco.
Sembra un damerino, non sembra pericoloso, ma gli occhi non mi convincono…
Miguel aveva notato il colorito insolito dei miei occhi, era un buon osservatore, cercai di individuare altri pensieri, per capire se voleva attaccarmi, ma era solo impaurito da quella mia particolarità.
“Vengo dagli Stati Uniti, e sono alla ricerca di un vampiro di nome Victoria, potete aiutarmi?”
“Perché la cerchi?”
“Devo parlarle” tagliai corto.
Sembra uno a posto, forse gli americani hanno gli occhi diversi, con quello che mangiano i Newyorkesi non mi stupirebbe che il loro sangue dia delle controindicazioni.
Era un buon osservatore, ma come intelligenza lasciava a desiderare.
“L’avete vista?”
Vidi nei loro pensieri che cercavano di ricordare, vidi alcuni volti di vampire, ma nessuna combaciava con quella di Victoria, donne con capelli scuri, con capelli biondi, alcune più esili ed altre più robuste … alcune avevano i capelli rossi, ma nessuna era quella che cercavo.
 “Se ce la descrivi forse possiamo aiutarti” disse Pablo, mentre Miguel si rialzava e si parava guardingo vicino all’amico.
“Ha un aspetto selvatico, felino, con corporatura longilinea, capelli ricci di un arancio acceso e la postura elegante … Ed anche lei è americana” così forse avevo confuso le acque, avrebbero capito che aveva gli occhi dorati come i miei. “Ha gli occhi rossi” cercai di correggere l’errore.
“Mmm … no, non l’abbiamo vista” ed ebbi conferma spiando i loro pensieri che non l’avevano vista, le vampire con i capelli rossi che apparirono nei loro ricordi erano molto diverse da Victoria, non era possibile confonderle. Li chiusi fuori dalla mia mente, quando iniziarono a fantasticare su una vampira simile a quella che gli avevo appena descritto.
“Ok, scusate il disturbo” e ritornai sui miei passi.
Appena mi girai, Pablo mi chiamò:
“Ehi, amico!” in un attimo mi fu accanto “Perché non resti? E’ da un po’ che ho solo Miguel come compagnia…” disse facendo un cenno con il capo verso il compare e girando gli occhi al cielo “…e le storie iniziano a scarseggiare, raccontami un po’ di te” e si azzardò a mettermi un braccio sulla spalla come fossimo vecchi amici.
Mi irrigidii e ringhiai togliendo poco gentilmente la sua mano dalla mia spalla.
Sinceramente non ero dell’umore di fare nuove amicizie, dovevo trovare Victoria e non ero mai stato propenso a raccontare i fatti miei, figuriamoci raccontarli a degli sconosciuti, in particolar modo a quelli che si prendevano certe libertà.
“Ok, ok… scusa” e mi passò la mano sulla spalla per pulirla “ho capito… non c’è il caso di fare il difficile. Volevo solo fare amicizia!”
Fece un passo indietro per dimostrarmi che aveva capito e che non si sarebbe più preso certe confidenze. Alzò le mani e scosse il capo ridendo.
“E’ una città grande e se vuoi trovare la ragazza ti servono dei ciceroni che conoscano il luogo” e fece oscillare l’indice tra lui e Miguel con un ampio sorriso che gli attraversava il volto. Gli occhi erano sinceri, ma non mi convinceva la loro gentilezza. In luoghi come quello nulla veniva fatto senza uno scopo.
“Cosa vuoi in cambio?”
“Nulla!” disse sorpreso dalla mia domanda.
In questa città sono tutti pericolosi, ma lui mi sembra a posto e se riesco ad essergli amico forse ci poterà con lui quando torna negli Stati Uniti… voglio cambiare aria!
Accennai un sorriso, come tutti voleva qualcosa in cambio, ma ciò che voleva non era pericoloso e potei vedere chiaramente che i suoi pensieri erano buoni, erano più simili a quelli della mia famiglia che a quelli della mia specie che avevo incontrato nell’America Centrale.
Ci pensai un attimo, non volevo compagnia, non volevo testimoni del mio dolore per Bella o delle sconfitte che mi stava infliggendo Victoria, ma forse avere due occhi in più per setacciare la città non era una cattiva idea, mi avrebbe diminuito il tempo di ricerca.  Non gli avrei permesso di lottare contro di lei, quella guerra era solo mia e sua, ma mi avrebbero potuto coprire le spalle evitando l’ennesima fuga di Victoria, permettendomi di porre fine a quella caccia. Se fossero riusciti ad aiutarmi a trovare e finire Victoria sarei stato lieto di pagargli il biglietto aereo per gli Stati Uniti.
“Ok, se la metti così, accetto il vostro aiuto. Da dove incominciamo?” dissi disinvolto.
Perfetto, la noia è terminata. Stati Uniti stiamo arrivando!!! Esultò Pablo.
“Tra poco sarà giorno, non vorrai mica farti vedere?” disse guardandomi con occhi furbi e con un mezzo sorriso “Seguici, ti portiamo al nostro rifugio. Non è una villa, ma potremo ripararci dal sole e parlare indisturbati. Potrai spiegarci meglio come è fatta la tua amica” terminò strizzandomi maliziosamente l’occhio.
Ci dirigemmo verso l’interno della città ed arrivammo in uno scantinato sgangherato.
Era la loro dimora. Le pareti erano di pietra a vista colanti di umidità ed il pavimento era di rossa terra battuta. In alcuni punti l’avevano rivestito con dei tappeti di diverse dimensioni e molto mal ridotti, anche leggermente maleodoranti. Tantissime ragnatele abitate addobbavano più punti della stanza. Vi erano diversi oggetti inutili per i vampiri, due letti, un tavolo con delle sedie, dei lumini e oggetti utili agli esseri viventi, non a degli immortali. Vi era anche un piccolo armadio malconcio, senza un’anta e completamente vuoto dove vi era riposta solo una vihuela senza corde. Era un rifugio adeguato per nascondersi durante il giorno, silenzioso e lontano da eventuali occhi indiscreti, ed assicurava diverse vie di fuga sotterranee.
Appena entrati Miguel accese un lumino posizionato al centro di un tavolo a tre gambe, lo accese anche se ovviamente vedevamo benissimo al buio, era normale che quelli della mia specie tenessero vive certe abitudini da umani.
Si sedettero e incrociando le dita sotto il mento mi guardarono in attesa.
“Non saprei come descrivervela oltre a ciò che vi ho già detto” sarebbe stato più semplice se avessero potuto leggermi nel pensiero, gliela avrei mostrata.
“Non fa nulla. Raccontaci di te… per la tua amica abbiamo tutta la notte” disse accomodante Pablo.
“Credevo che vi foste resi disponibili ad aiutarmi nella ricerca!” feci notare leggermente indignato.
“Se hai una fotografia o un disegno… possiamo iniziare anche subito. Ma se non hai nulla non ci resta che aspettare di uscire in strada per iniziare a cercarla. Appena sarà buio ci porterai nell’ultimo luogo in cui l’hai vista almeno potremo conoscere il suo odore e inizieremo a cercarla con quel indizio.” Lo disse come se il suo piano fosse scontato.
Annuii, aveva ragione, era l’unico modo che avevo per farmi aiutare da loro.
“Dai raccontaci qualcosa… le nostre storie le conosciamo a memoria… e sono decenni che sono sempre le stesse, abbiamo bisogno di sentire qualcosa di nuovo!” allungò le gambe e incrociò le mani dietro la nuca.
Imbarazzato cercai di trovare un aneddoto futile da raccontare.
“Vengo dagli Stati Uniti …” non mi veniva in mente niente, ma loro stavano aspettando. Cosa potevo raccontare a due vampiri classici con stili di vita completamente differenti dai miei, senza passare per folle o bugiardo?
Miguel non si trattenne dalla domanda che gli frullava nella testa dal primo momento che mi aveva visto “Tutti gli americani hanno gli occhi dorati?”
“Ehm … no. Solo alcuni”
“E perché?”
“Vedete, la mia dieta è diversa dalla vostra”
Si sazia di altri vampiri!!! Pensarono all’unisono.
Si alzarono di scatto e si misero in posizione di difesa fissandomi inferociti.
Che idea stupida! Ma mi trattenni dal sorridere, non era proprio saggio far vedere i denti in quel frangente.
“Non mi nutro di umani… ma di animali”
Si rilassarono, ora i loro visi erano leggermente disgustati.
“Ma che schifo!” disse il più alto.
“E’ una scelta e, quando ti fai l’abitudine, non sono così male, e soprattutto non urlano quando li mordi” ironizzai.
Vuoi vedere che negli Stati Uniti hanno una dieta diversa. Mangiare animali, puah … 
“Perché cerchi la ragazza?” continuò Pablo cambiando discorso.
“Devo parlarle” ripetei la mia versione precedente.
“E se non la trovi?”
“Devo trovarla”
“Ne sei innamorato?”
Feci una smorfia schifata, assolutamente no, volevo ucciderla.
“No! Ha fatto un torto alla donna che amo”
“Quindi la tua ricerca non è amichevole”
“Voglio parlarle” dissi scandendo bene le parole.
“Siii, a chi la conti. Mi ricordi tanto Maria. Anche lei cercava Alma “solo per parlarle”, solo che quando la trovò, Alma non poteva parlare, le aveva staccato la testa e dato fuoco ai resti … ihihih” mi canzonò Pablo.
“Beh, Alma se l’era cercata, stava creando un esercito di neonati per prendere il posto di Maria. Che idiota” proseguì Miguel.
Fui sollevato, avevano iniziato con i loro racconti, non erano più interessati a me, rimasi ad ascoltare, erano divertenti, si rubavano gli aneddoti raccontando la stessa storia.
“Tanto idiota non era. Maria era antipatica ed aveva già il suo territorio a Monterrey, poteva accontentarsi di quello invece che voler continuare ad espandersi. E poi tutti sapevano che senza il suo Jasper era debole.” Parlavano di mio fratello e delle guerre del Sud. Come era piccolo il mondo.
“Sì, però i suoi eserciti hanno sempre vinto”
“Tutta fortuna”
“No, capacità tattiche!” Miguel ne sembrava quasi innamorato.
“Sete di potere!” Pablo invece la detestava.
“Poverina, le sue compagne si sono rivoltate contro e Jasper l’ha abbandonata. Doveva pur sfogare le sue sfortune.”
“Dove passava lei la distruzione era certa e non aveva nemmeno compassione per quelli della sua specie” disse con sguardo triste.
“Ops … beh, poi hai trovato me! Vedi, si chiude una porta, si apre un portone!”
“No, si aprono i portoni dell’inferno!” disse Pablo alzando gli occhi al cielo.
“Scusate mi sono perso” dissi, non so perché ma mi stavano simpatici e il loro racconto spezzato a due voci era rilassante, non volevo smettessero.
“Beh, vedi, io ero a Città del Messico quando Maria venne a reclamarla. Ringraziando il cielo sono sfuggito da quella furia. Il suo compagno Jasper era veramente bravo e i neonati erano ben addestrati.”
“Jasper aveva qualcosa di magico”
“Sì, pochi hanno le capacità tattiche di quel vampiro biondo”
“Quando ti avvicinavi a lui, le tue emozioni cambiavano, eri obbligato a fare come voleva lui!”
“Non aveva l’animo cattivo, ma era la marionetta di Maria”
“Pendeva dalle sue labbra, ma si vedeva che soffriva quando lei lo obbligava ad uccidere i suoi neonati”
“E tu ne sai qualcosa” Pablo diede una pacca amichevole sulla spalla di Miguel.
“Ringraziando il cielo lui e Peter non seguirono le richieste di Maria quando fu la mia ora” Miguel fece uno sbuffo di scampato pericolo passandosi la mano sulla fronte come per asciugarsi il sudore.
“Per Maria fu un colpo basso quando Jasper la abbandonò. Senza di lui aveva perso il suo vantaggio”
Sentire la storia di mio fratello visto da altri occhi mi affascinò, conoscevo la storia ma non da quella prospettiva.
“Sì, ma stiamo divagando” fece notare Miguel.
“Oh, sì scusa. Stavo dicendo…”
“Quando Maria arrivò a Città del Messico…” lo imbeccò Miguel.
“…la mia capacità di nascondermi e fuggire mi ha salvato, ma Adroaldo non è stato furbo come me e, quando la guerra si è scatenata, lui si è lanciato in mezzo alla battaglia. Era un idealista ed un ingenuo!”
“Ha combattuto come un vero eroe, ha decimato i sui nemici prima di soccombere”
“Mi sento un vile per averlo lasciato andare, dovevo trattenerlo, prenderlo a spalle e portarlo con me.”
“Ti avrebbe staccato le braccia per poter combattere”
“Sì, lui credeva che essere immortale fosse in senso assoluto, non aveva capito che anche le nostre esistenze posso essere troncate”
“Ma la sua è stata troncata da eroe”
“Erano solo due anni che viveva la nostra esistenza, non sapeva quanto potessero essere cruente e pericolose quelle battaglie”
“Ma tu glielo hai raccontato più volte e lo avevi avvisato”
“Era giovane quando venne trasformato, aveva solo sedici anni, e la testa calda dei ragazzini gli era rimasta anche dopo la trasformazione”
“Non gli avevano insegnato niente, sei stato tu il suo maestro”
“Era stato trasformato per errore perché il suo creatore fu ucciso prima che potesse terminare il pasto”
“E gli umani non avevano capito che la ferita bruciante sul collo non era curabile, che idioti”
“Quando lo trovai era un neonato, affamato e irascibile. Dopo una breve lotta, anche se era più forte, io ebbi la meglio, ma non riuscii ad ucciderlo. Era un mio simile.”
“E qualcosa in lui ti fece capire che sareste andati d’accordo, che non potevi finirlo”
“Gli insegnai a nascondersi, gli inculcai la paura per i Volturi, gli spiegai come corteggiare le prede”
“Gli insegnasti tutto”
“Ma non riuscii ad insegnarli la differenza tra essere impavidi ed essere stupidi”
“La mancanza era nel suo carattere, non nel tuo insegnamento”
“Abbiamo trascorso due anni indimenticabili, mi manca il ragazzo”
“Sì, ma adesso hai me ed io so quando fuggire” lo rassicurò Miguel, dandogli un leggero colpo con il gomito sul fianco e facendogli l’occhiolino.
“Che fortuna” Rispose Pablo alzando gli occhi al cielo.
Erano buffi, sembravano in simbiosi e il loro rapporto era più stretto di quanto volessero far credere.
 “E tu?” mi chiese Pablo appoggiando i gomiti al tavolo e incrociando le mani sotto il mento.
“Io cosa?”
“Tu da dove vieni?”
“Beh, l’ultimo posto in cui ho vissuto è stato Forks, un piccolo paesino nello stato di Washington, ma ogni quattro o cinque anni devo cambiare casa, altrimenti gli umani si insospettiscono.”
“Cosa c’entrano gli umani?”
“Beh, non cibandomi del loro sangue, riesco ad interagire con loro, non proprio farmeli amici, ma posso frequentare le loro scuole. E se trovo un paese abbastanza nuvoloso da coprire il sole di giorno, riesco a girare per le strade non solo di notte. Rende l’eternità meno noiosa” e il varco fece capolino, Forks non solo aveva tolto la noia alla mia non-vita, l’aveva resa interessante, piena, completa.
Avevano gli occhi sgranati e le bocche aperte, erano completamente scioccati. Forse mi ero lasciato andare troppo nei dettagli. Mi schiarii la gola.
“E’ ora che vada” e mi alzai tenendo il capo basso per non far trapelare l‘imbarazzo.
Si ripresero velocemente scuotendo la testa e si pararono davanti alla porta.
Un piccolo ringhio mi uscì dal petto.
“No, no, non fraintendere. E’ solo che abbiamo promesso di aiutarti e noi manteniamo sempre la parola data” Si scambiarono un’occhiata d’intesa.
Mi ricomposi e mi riavvicinai al tavolo. In un balzo furono di nuovo seduti esattamente come se avessi appena terminato il mio racconto e mi guardarono in attesa di altre informazioni. Sapevo che il vero interesse non era per la mia vita personale, ma per lo stile di vita che li attendeva negli Stati Uniti, erano convinti che io fossi un esempio, non l’eccezione.
“Non vorrei deludervi, ma il mio stile di vita non è la regola, la mia famiglia è un’eccezione. I vampiri americani si cibano di umani e vivono una vita nascosta, proprio come qui”
“Hai una famiglia?” strabuzzarono gli occhi sorpresi.
Mi morsi la lingua, continuavo a rivelare troppo.
“Sì, ma ho preso un anno sabbatico… non voglio parlarne!” dissi a denti stretti.
“Ok, ok, nessun problema.” mi tranquillizzò Pablo alzando le mani in segno di resa.
“Ok, adesso basta parlare” esclamai impaziente “Devo trovare Victoria e dobbiamo sbrigarci, ho già perso troppo tempo”
“Ehm … non puoi uscire è giorno, e qui non ci sono nuvole ad aiutarti” mi fece notare Pablo.
“Ma ci siamo noi e conosciamo tutti i vicoli in ombra e i passaggi per le fognature” continuò felice Miguel cercando conferma nel compagno.
Mi scappò una smorfia schifata, per le fogne? Va bene che non ero obbligato a respirare, ma l’odore che si sarebbe impregnato negli abiti non lo avrei tolto facilmente. Mi sentii Rosalie, e rinsavii. Non era una cattiva idea, avrei recuperato il tempo perso e avrei potuto continuare le ricerche anche se fuori splendeva il sole e sicuramente sarebbe stato più veloce stanarla.
Iniziammo subito le ricerche, le vie sotterranee erano un labirinto con tantissime diramazioni e saliscendi, ma i miei nuovi assistenti sembravano molto pratici della zona. Girammo per tutto il giorno e sbucammo in punti diversi della città.
Verso sera, fuori da un tombino vicino ad una fabbrica abbandonata, ci imbattemmo nell’odore di Victoria, era fresco.
Uscimmo guardinghi da sottoterra ed entrammo nella fabbrica. Oltre al suo odore c’era la scia di altri due vampiri. Le mani si contrassero in un pugno e il veleno mi risalì dalla gola, aveva trovato anche lei degli alleati.
Aumentammo la prudenza e perlustrammo ogni punto della fabbrica, ma l’odore era molto forte solo nella stanza sotterranea. Riuscii a riconoscere uno degli altri due odori, era quello di Laurent, il vampiro dai capelli neri e corti con l’accento francese che aveva fatto parte del trio James-Victoria. Ma come era possibile? Doveva essere a Denali con Irina e le sue sorelle, o almeno così mi avevano assicurato le mie cugine dell’Alaska.
Ci nascondemmo in un anfratto nell’attesa che tornassero, ma così non fu.
Era calata la notte e quindi iniziammo a cercare per le strade, subito fuori l’edificio le scie si dividevano in tre strade differenti. Ci separammo ed ognuno seguì la sua pista. Io seguii quella di Victoria, dato che era la più pericolosa, Pablo seguì Laurent e Miguel quella dello sconosciuto.
Il rapporto con le due nuove conoscenze non era molto profondo, così persi più volte il contatto e fui costretto a fermarmi e concentrarmi per riprenderlo.
I loro occhi mi furono molto utili, riuscii a seguire le tre tracce nello stesso momento, risparmiando molto tempo.
Pablo perse le tracce di Laurent sulla costa, mentre Miguel si fermò alla periferia della città. La scia dello sconosciuto proseguiva nei campi, ma la presenza di altri nostri simili lo scoraggiò, era proprio vero che il suo istinto di sopravvivenza era più rivolto alla fuga che alla battaglia.
La scia di Victoria invece era sempre forte, serpeggiava per le strade, come se volesse confondere le tracce, in più punti l’odore si incrociava e, più volte, mi dovetti fermare per capire quale fosse quella giusta da seguire.
Continuai fino alle prime luci dell’alba. I miei assistenti erano già rintanati nel sotterraneo e quindi decisi di raggiungerli. Nella via di ritorno passai di fronte al mio albergo, feci una breve sosta per cambiarmi di abito, le ricerche nelle fogne rendevano l’odore dei vestiti troppo fastidioso adesso che il mio olfatto non era più concentrato sulla ricerca di Victoria. Mi feci una doccia, mi cambiai e corsi nel luogo di ritrovo.
Appena entrai mi squadrarono dalla testa ai piedi stupiti.
“E quelli da dove escono?”
Li avrà rubati in un negozio, non sembrano sgualciti, anzi sembrano di prima qualità.
“Sono passato in albergo a cambiarmi” risposi disinvolto.
“In albergo?” gli occhi gli stavano uscendo dalle orbite, avevo dimenticato che i nostri stili di vita erano molto differenti.
“Ehm … non bevo sangue umano” gli ricordai.
Devo cambiare dieta, se mi porta tutti questi agi – pensò Pablo continuando a rimirare il mio abbigliamento, e lo vidi immaginarsi come un pascià sul letto di un albergo, con vicino un armadio straripante di vestiti … Carlisle sarebbe stato felice di sentire quei pensieri che, anche se non erano guidati dal rispetto per la vita dei mortali, erano comunque rivolti a seguire il nostro stile di vita.
“Io l’ho persa, a voi come è andata?” continuai senza indugiare su quel particolare irrilevante.
Feci finta di non sapere come fosse andata la loro ricerca perché erano già abbastanza sconvolti dal mio stile di vita, non volevo sconvolgerli ancora di più rivelando le mie qualità più particolari.
“Io l’ho perso”
“Anch’io” mi informarono dispiaciuti
 “Nessun problema, continueremo la ricerca da qui sotto” li incitai.
“Facci tirare il fiato e studiamo un piano, diminuiremo lo spreco di energie” disse Pablo sedendosi pesantemente sulla sedia.
“Dividiamoci i compiti” fece eco Miguel.
“Secondo me dovremmo ricominciare da dove li abbiamo persi, dobbiamo dividerci come abbiamo fatto oggi” spiegai impaziente.
Miguel tremò, non voleva tornare nei campi da solo, anzi non voleva proprio tornarci. E Laurent era entrato in acqua, quindi era difficile trovare la continuazione della scia.
“Ok, cerchiamo Victoria. Se volete potete lavorare insieme ed io andrò in una direzione diversa”
“Ma cosa facciamo se la troviamo? Come ti avvisiamo?” effettivamente loro non avevano nulla contro Victoria, non avevano motivo di ucciderla e non sapevano che se l’avessero trovata io lo avrei visto attraverso i loro pensieri.
“Staremo vicini, lei confonde molto le tracce, ci divideremo nei bivi e se la pista porta troppo lontano, uno di voi attenderà nel punto del nuovo bivio e l’altro verrà a cercarmi”
Scossero la testa, non erano convinti del mio piano.
“Avete altre proposte?”
“Stiamo uniti, non ci separiamo, e quando la troveremo tu penserai “a parlarle” e noi le bloccheremo la fuga” Pablo era compiaciuto di sé stesso, il suo piano non presentava falle.
Alzai gli occhi al cielo e sperai che la loro presenza non mi rallentasse.
“Ok, andiamo”
Ricominciammo le ricerche da dove avevo abbandonato. La scia fece ancora dei giri per la città, passando in punti senza senso e perdemmo tutto il giorno a seguire quella gincana. Doverla seguire passando dal sottosuolo, non lo rendeva più semplice. Ci vollero alcuni giorni prima di riuscire a trovare una scia che non ci facesse ripercorre sempre le stesse strade senza trovare la preda.
Una sera risalimmo in strada come le sere precedenti, ma la scia che captammo era ancora forte e, come sospettavo, stava portando nuovamente fuori città.
Era la sua tattica, ma non capivo dove fosse diretta, mi aveva fatto attraversare l’intero Brasile, chi doveva incontrare o dove doveva andare?
Quando fummo lontani dalla città, Miguel iniziò a rallentare la corsa. Mi voltai per capire cosa fosse successo. Pablo si era accorto dell’amico ed anche lui stava rallentando.
“Dove stiamo andando?” chiese con voce incerta Miguel.
“Dove porta la scia” risposi come se fosse scontato.
No, no, non voglio ho una brutta sensazione!
“Se vuoi tornare indietro, non ci sono problemi. Ci salutiamo qui.” Lo guardavo con sguardo amichevole, non volevo costringerlo a far qualcosa che non voleva.
“Dai non fare il difficile, continuiamo questa ricerca, è divertente” cercò di spronarlo Pablo dandogli un colpetto sulla spalla.
Non mi piace questa sensazione! ­– pensò Miguel scuotendo la testa come un bambino spaventato e voltandosi verso la città, ma non si mosse, aspettava Pablo.
“Dai Miguel, non fare il bambino!” lo canzonò l’amico.
“Non importa, capisco. Grazie per l’aiuto” e allungai la mano per salutare Pablo e Miguel, ma esitarono entrambi.
Io voglio continuare questa ricerca, sono curioso di vedere in faccia questa famosa Victoria, ma non voglio lasciare Miguel. Cosa faccio?
“Dai Miguel, solo più un paio di chilometri, se non troviamo niente, salutiamo Edward e torniamo a casa, OK?”
“O…ok” e guardò con aria malinconica la città lontana
Ricominciammo l’inseguimento, entrati nella foresta la scia era fortissima, come se si fosse fermata e non era sola, la scia del secondo uomo era lì.
Mi bloccai e mi concentrai per sentire i pensieri.
Edwaaard … Edwaaard …
Mi chiamava a fil di voce con una melodia.
Che stolti! pensò una voce sconosciuta e in un attimo nella mia mente passò la visione della schiena di Miguel vicino a me e Pablo entrambi di spalle.
“Attenti” urlai voltandomi, ma quando mi voltai vidi l’orrore.
Un vampiro muscoloso quanto Emmett, con i capelli nero corvino corti che contornavano un viso crudele e famelico, si stava avventando contro Miguel. Scattai a proteggere il mio nuovo amico, ma appena gli fui vicino potei solo tenere in equilibrio il corpo senza testa del povero Miguel. Come un avvoltoio Victoria si fiondò sul corpo decapitato e gli diede fuoco, mi squadrò con sguardo compiaciuto e svanì nuovamente.
Pablo era pietrificato, i suoi pensieri erano su Miguel e su Adroaldo, si susseguivano a diventare una sola cosa, lo spinsi fuori dalla traiettoria dello sconosciuto.
Ah, ah, ah … addio Edward!  Il pensiero di Victoria mi fece scattare come una molla verso il mio avversario.
Ero concentrato ed ogni suo movimento lo prevedevo con massima precisione, sfruttai la sua stessa forza contro di lui. Si schiantò contro un albero distruggendolo, si scagliò con tutta la forza contro di me che all’ultimo momento lo schivai, facendolo rotolare contro una pietra che andò in frantumi. Ogni sua mossa veniva schivata il secondo prima di arrivare a fondo. La battaglia sembrava non aver fine, la parte del bosco che ci circondava era già rasa al suolo. Cambiai tattica, prevedendo ogni suo gesto per poterlo utilizzare come appiglio. Alzò il braccio verso il mio mento ed io lo presi per scaraventarlo lontano. Cercò di falciarmi le gambe ed io gli piombai sopra stringendo le mani attorno al suo collo. Mi fece volare e cercò di prendermi al volo, ma lo stordii con una falciata in faccia. Continuammo così fino a quando il sole fece capolino … sentii una strana onda attraversarmi e tutto divenne offuscato.
Mi ripresi ed ero nello scantinato di Pablo, lo sconosciuto ed il bosco erano scomparsi.
“Nooo!” ruggii furente guardandomi intorno stringendo i pugni.
Cosa era successo?
Caspita ed adesso come glielo dico?
“Dirmi cosa?” la frustrazione mi fece cadere ogni barriera, non mi accorsi di aver risposto al pensiero di Pablo e non ad una domanda formulata ad alta voce.
“Scusa? Ma io non ho parlato … tu … tu … io l’ho pensato”
“Cosa è successo?” ruggii ignorando la domanda.
“Ehm … la mia capacità di nascondermi e fuggire è leggermente aiutata … da un piccolo potere”
Alzai un sopracciglio e lo guardai incuriosito, in attesa di maggiori spiegazioni.
“Quando vuoi fuggire, il teletrasporto, ti aiuta a scappare!” disse con un timido sorrisino abbassando il capo leggermente in imbarazzo.
“E tu? Come facevi a schivare in modo così preciso lo sconosciuto?” una piccola V fece capolino tra i suoi occhi curiosi.
“Anche io ho un piccolo aiutino… leggo nel pensiero!” feci spallucce.
Che fico!!!
“Sì, se i pensieri sono allegri o devi vincere una battaglia.”
“Ugh!” si era accorto che gli avevo di nuovo letto nei pensieri.
“Fastidioso avere qualcuno che ti legge nel pensiero, manca la privacy!” disse guardandomi leggermente a disagio mentre si mordicchiava nervosamente il dito.
“Cerco di tenermi fuori dai pensieri della gente, sarei sommerso dal rumore, non potrei resistere”
Perfetto! Pensò.
Feci finta di non sentire.
“Dove sono andati?” chiesi ritornando alle questioni più urgenti.
“Non lo so, ti ho afferrato e sono venuto qui, non vedevo grandi soluzioni a quella infinita battaglia ed era quasi giorno”
“Dobbiamo cercarli”
“Sì, ma solo con il buio. Le fogne non possono condurci nella radura e durante il giorno quella zona pullula di mortali. Dovrai pazientare.”
“Andiamo in albergo da me, saremo più comodi”
Che fico, un letto, una doccia, vestiti nuovi … Miguel finalmente si laverà, forse sarà meno insopportabile. Miguel … e la decapitazione del suo amico, per mano dello sconosciuto lampeggiò nei suoi pensieri.
“Oh…” e si sedette con il capo tra le mani, iniziando ad oscillarla come un dondolo.
“Mi dispiace Pablo, non sono riuscito a sentire in tempo i suoi pensieri.” Mi avvicinai e gli posai la mano sulla spalla per confortarlo.
“Sono destinato a restare solo, ogni volta che trovo un amico, questo finisce sempre per morire, e ringraziando siamo immortali” si lamentò continuò a dondolare.
“Ti capisco. Anche io ho la stessa maledizione”
“Quanti amici hai perso?”
“Nessuno, ma sono destinato a stare solo.” ripensai a Bella, al mio amore impossibile. Dopo aver provato quel sentimento, quelle emozione, nessuno poteva colmare il vuoto. Ero solo.
“E la tua amata?” il vortice si aprì, era proprio per lei che mi ero inflitto quella dannazione.
“E’ umana”
“Capisco” invece che fermare i suoi pensieri sulla mia strana risposta, continuò a pensare a Miguel e ad Adroaldo. I suoi pensieri erano troppo tristi per poterli sopportare e quindi lo lasciai alla sua privacy.
“Andiamo” e gli porsi la mano per aiutarlo ad alzarsi dall’instabile sedia.
Percorrendo le fognature arrivammo in albergo in un batter d’occhio. Preferii passare dalla finestra per evitare di incontrare degli umani con il mio nuovo amico.
Pablo filò in bagno e ci rimase per diverse ore. Controllai per assicurarmi che stesse bene. Ricordi di una casa decrepita, fuori dalle finestre una città che non riconoscevo, la stanza aveva un arredamento misero, ed un ragazzo di piccola corporatura e capelli color fieno sorrideva; Miguel insieme ad una vampira di piccola statura con capelli lunghi castani che si nascondeva in un vicolo con un sorriso ammiccante sul volto. Una battaglia con dei neonati, tantissimi volti e tantissimi focolai sparsi per lo spiazzo dello scontro, le grida e il volto del ragazzino dai capelli color fieno che assetato e furioso correva con la mano alzata verso un neonato impegnato in un corpo a corpo con una donna vampiro. Miguel che atterra da un tetto con il sorriso stampato sulle labbra e un lumino nelle mani, il lumino che avevo visto sul loro tavolo… e tantissimi altri ricordi, dai più tristi ai più spensierati. Aveva bisogno di tempo per digerire la perdita che aveva subito quel giorno. Lo lasciai ai suoi ricordi e richiusi fuori i suoi pensieri, ogni tanto controllavo solo per sicurezza.
Mi coricai sul letto e in quella stanza, senza distrazioni, il tormento tornò puntuale.
Il vortice aumentò di intensità, Bella mi mancava, ripescai dalle mie memorie infallibili il suo profumo ed il suo volto, pensai alla sua voce, alla sua risata. Era una piacevole tortura. Sentii più acutamente il mio corpo diviso a metà ed il senso di vuoto che mi attanagliava. Cercai di controllarmi e mi crogiolai nei ricordi e in quella bellissima visione.
L’ultima visione di Alice su Bella, mi aveva ferito, non per aver rivisto il suo volto, quella era stata la parte più piacevole, la parte che mi devastò era il dubbio che mi si era insinuato. Avevo fatto la scelta giusta?
Quando decisi di andarmene da Forks, la visione di Bella insieme a quella forma offuscata, mi aveva dato la conferma che lei sarebbe stata felice. Perché nell’ultima visione era così appassita? Non aveva ancora incontrato la persona offuscata, oppure l’aveva trovata e quello che avevo visto era già una conseguenza? Avevo voglia di sentire Alice, di chiederle delle conferme, presi in mano il cellulare e… lo fissai. No. Le avevo chiesto di non sbirciare, non potevo io stesso andare contro a quella promessa.
Lo riposi nella tasca ed iniziai a sezionare le visioni, alla ricerca di qualche indizio.
Pablo uscì dalla doccia e senza chiedere, in modo naturale, si coricò vicino a me. Emise un profondo sospiro, tantissimi ricordi gli riempivano la mente e, guardando il soffitto, mi ringraziò per l’accoglienza e le comodità che gli offrivo.
Si sistemò per trovare una posizione comoda e con il braccio sotto la testa continuò nel viaggio dei suoi ricordi ed io continuai nella mia ricerca di informazioni sulle visioni.
Come per continuare un discorso interrotto da poco, esordì “E’ difficile mangiare solo animali?”
“No”
“E come si fa?”
“Credo che sia come con gli umani, solo che hanno quattro zampe e un maggior istinto di sopravvivenza… e non puoi utilizzare il fascino per abbagliarli” gli strizzai l’occhio.
“Mmmm … interessante, ma placa veramente la sete?”
“Ci devi lavorare un po’ il primo periodo, ma poi diventa più semplice resistere agli umani”
“Possiamo provare?”
Ci pensai, effettivamente con tutti gli spostamenti al quale mi aveva obbligato Victoria, e con gli inseguimenti infiniti, avevo trascurato quel lato e, vedendo gli occhi neri del mio amico, anche lui era da un po’ che non si cibava.
“Ok, stasera ti porto a caccia”
Pablo si alzò stiracchiandosi e aprì l’armadio con i miei vestiti “Posso?” disse indicando un maglioncino nero con scollo a V appeso alla gruccia.
Annuii, se la infilò, gli era leggermente larga, ma meglio di quella sgualcita maglietta che aveva indossato prima e che adesso si trovava nel cestino dei rifiuti.
Cercò tra i pantaloni, trovò dei jeans e se li infilò. Si guardò allo specchio e soddisfatto esclamò:
“Sono pronto. Andiamo!”
Mi alzai repentino e, senza aggiungere parola, ci fiondammo fuori dalla finestra.
Arrivati nella foresta si guardò con aria circospetta. Feci attenzione ad eventuali pensieri.
Mamma mia, che fame!
C’eravamo solo io e Pablo.
Percepii l’odore di un branco di cervi. Mi avventai sul più grande e in pochi secondi lo finii e mi saziai. Mi alzai disinvolto e sistemai la maglia che si era leggermente arricciata sul fondo. Pablo era rimasto nel punto da dove avevo eseguito il salto. Mi guardava ammirato. Mi guardai intorno, ma il branco di cervi era fuggito, quindi continuammo la caccia.
“Il prossimo è tuo. Sarebbe meglio un carnivoro, il gusto è più simile alle tue abitudini”
Annuì, ma sembrava poco convinto.
“Credo che però dovrai accontentarti dei cervi, anche se sono meno saporiti”
Continuammo a vagare fin a quando sentii l’odore di un altro branco. Gli spiegai il metodo ed attesi.
Fece il balzo e braccò l’animale, si fece trascinare per un paio di metri e poi ci salì in groppa. L’animale scalciava per liberarsi dal peso, Pablo cadde ma non lasciò la presa, continuarono a lottare ed il cervo stava avendo la meglio. Decisi d’ intervenire. Attaccai e finii il povero animale spaventato. Non bevvi e lasciai il posto al brasiliano.
Bevve finché fu sazio.
“Non urleranno, ma sono poco mansueti” disse in uno sbuffo, ripulendosi i vestiti dalla polvere e dall’erba. “E come gusto non è proprio allettante, non credo ne valga la fatica”
Lo guardai ridendo e, scuotendo la testa, cominciai a correre verso il bosco della sera prima… avevamo un compito da terminare.
La scia dei nostri avversari era vecchia, se n’erano andati. Seguimmo l’odore zigzagando nel fitto del bosco per ritrovarci di nuovo in città, solo in un punto più a est.
Entrati in città le scie si dividevano, volevo seguire la scia di Victoria, era lei la mia preda principale.
Pablo continuava a pensare agli ultimi attimi del suo amico, ma cercò di non intralciare le mie scelte. Titubai: Miguel aveva smesso di esistere solo perché voleva aiutarmi e Pablo era rimasto solo per causa mia, ero in debito, glielo dovevo.
“Seguiamo lo sconosciuto, abbiamo tempo per cercare Victoria” mentii. Sapevo che la più pericolosa e sfuggente era Victoria e che perdere tempo a cercare il suo alleato le avrebbe dato un vantaggio che avrei faticato a recuperare.
Gli occhi di Pablo si illuminarono ed un lampo di vendetta accese il suo sguardo. Con un mezzo sorriso annuì e si lanciò all’inseguimento.
Iniziammo la ricerca, setacciammo tutta la città, cercando di evitare i nostri simili. Erano in tanti, soprattutto nella periferia. Non sapevamo se erano amici o nemici e quindi decidemmo di evitarli. Solo Pablo, ogni tanto, avvicinava qualche conoscente per chiedere indicazioni, riusciva ad estorcere informazioni rimanendo vago ed amichevole.
Passarono i giorni, iniziavo ad essere irritato dalla ricerca, ogni minuto che utilizzavamo nella ricerca dello sconosciuto era tempo che donavo a Victoria nella sua fuga, ma dovevo saldare un debito ad un amico quindi non mi lamentai e cercai di essere collaborativo.
Finalmente, un giorno, ci fu una svolta: un conoscente di Pablo sapeva dove trovare la nostra preda.
Sentii la familiare onda e nuovamente tutto si offuscò. Mi trovai in un vicolo che avevamo perlustrato pochi giorni prima. L’odore di vampiri era ovunque e non erano sicuramente in pochi. Pablo, con il dito davanti alla bocca, mi spostò cautamente all’interno di un anfratto del muro e mi indicò lo sconosciuto.
Era circondato da numerosi figuri con aspetti poco raccomandabili, vestiti con indumenti miseri e, osservando i loro occhi, capii che non erano nemmeno molto ben nutriti. Stavano confabulando.
Vidi il mio volto e quello di Pablo nei loro pensieri e vidi anche il momento della mia scomparsa miracolosa nel bosco. Rimasi stupito nel vederla dall’esterno. Pablo era veramente bravo, il suo potere era qualcosa di particolare, pensai ai Volturi e a quanto sarebbe stato utile nella loro guardia.
Sentii lo rabbia di Marko, così si chiamava lo sconosciuto, e l’indifferenza del gruppo che lo circondava. Non erano interessati a noi, erano spaventati da lui. Dovevo ucciderlo o saremmo stati braccati in breve tempo, in quella immensa città ancora poco conosciuta e piena di occhi che ci cercavano.
“Gli sta parlando di noi” lo avvisai.
“Attendiamo che sia solo” disse risoluto, la rabbia per la perdita dell’amico aveva fatto scomparire le sue paure. Il volto di Miguel era molto forte nella sua mente.
Rimanemmo nel nascondiglio fino a quando la folla non si separò.
Lo sconosciuto entrò nell’edificio alle sue spalle e noi lo seguimmo. Il nostro odore non poteva essere percepito facilmente, l’aria era impregnata di odore dei nostri simili e lui era troppo sicuro di sè per preoccuparsi di noi.
Mentre mi accingevo ad attraversare la strada, sentii la ormai familiare ondata e mi trovai nella stanza insieme a Marko. Aveva gli occhi sbarrati dalla sorpresa e, prima che potesse capire come fossimo apparsi davanti a lui, lo scaraventai contro la parete. Un pezzo di intonaco del soffitto cadde a pochi centimetri da me, l’edificio era poco resistente.
Mentre si rialzava lo presi per il braccio e lo lanciai fuori dalla finestra, mandando in frantumi il vetro e l’intelaiatura.
Pablo era già in strada e si fiondò sulla sua gola, strappandogliene un pezzo, che sputò lontano.
La furia di Marko era tangibile, il suo volto era contratto dalla furia ed i suoi occhi erano letali, ma la risolutezza di Pablo per la vendetta lo rendeva altrettanto letale. Il volto di Pablo era tranquillo, quasi sprezzante, ma i suoi attacchi erano precisi e non andavano mai a vuoto.
Intuii, nei pensieri del nemico, un attacco a sorpresa ai danni del mio amico e lo precedetti facendolo capitolare rovinosamente contro alcuni bidoni in fondo alla strada. Pablo era già sopra di lui e gli strappò l’orecchio.
Unimmo le forze e per Marko le speranze diminuirono. Eravamo circondati dalla folla che poco prima confabulava con lui. Mi bloccai per pochi secondi e saggiai i pensieri.
Non facevano niente per soccorrerlo, anzi, nei loro pensieri sentii la speranza nella nostra vittoria.
Quella distrazione fu un errore, non sentii i pensieri di Marko, vidi Miguel e Pablo abbracciarsi e pensieri di speranza e ricongiungimento mi attraversarono la mente, poi non sentii più i pensieri di Pablo.
La testa era in volo e il sorriso di Marko era una smorfia di piacere. Gli volai al collo con le gambe e strinsi facendolo girare di 360 gradi. Un rumore di roccia spezzata e il vile vampiro era a terra, sopra il corpo del mio fedele amico. La folla si accalcò e iniziò a strappare parti del corpo di Marko e prima che potessi reagire le fiamme stavano finendo il lavoro, distruggendo anche il corpo di Pablo.

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Capitolo 14
*** La Notizia ***


Dopo quella battaglia, dove persi il mio nuovo amico, scappai in albergo. Il vortice nel mio cuore era vivo da quanto pulsava.
Bella, Pablo, Carlisle, Miguel, Alice … i loro volti mi tormentavano.
Cercai di risistemare i miei pensieri e, come quando ero umano, mi lasciai andare nella vasca da bagno. Immerso sott’acqua cercavo di risistemare i pensieri e darmi un motivo per continuare quella non-vita vuota e senza amore.
Avrei voluto avere mio padre vicino, parlare con lui, sentire le sue sagge opinioni e affidarmi ai suoi consigli. Aveva detto che secondo lui non avevo fatto la scelta giusta, che dovevo tornare dalla mia amata. Era certo che non le avrei mai fatto del male, che sarei stato capace di viverle vicino senza metterla in pericolo.
Rividi il volto di Bella, il luccichio dei suoi occhi quando mi guardava, il suono del suo cuore che impazziva con la mia vicinanza, le sue gote che arrossivano quando le accarezzavo.
La visione di lei appassita che camminava per Port Angeles, una calamita delle disgrazie, come l’avevo definita scherzando, che si dirigeva verso degli umani sconosciuti e con facce poco raccomandabili. Forse mio padre aveva ragione, dovevo tornare da lei. Avrei dovuto essere il suo angelo custode, il suo protettore.
Mi sedetti sul letto e mi guardai allo specchio. Ero diventato il fantasma di me stesso. Continuai a guardarmi fino a quando nello specchio non vidi più il mio riflesso, ma quello di Oliver Masen. Aveva i capelli corti e spettinati come i miei ed aveva il mio naso. Non era Oliver, ero io umano.
Scossi la testa e sfregai gli occhi, ma quando li riaprii l’immagine di me mortale non era scomparsa.
Stavo impazzendo. La perdita del mio nuovo amico e la lontananza dalla famiglia e da Bella stava giocando brutti scherzi al mio cervello. Il riflesso mi sorrise e si guardò sul lato dove comparve Bella. Si guardarono innamorati e si strinsero la mano. Il vuoto nel mio petto si dilatò. Avrei voluto essere nello specchio. Mi avvicinai per poter toccare l’immagine di Bella. Lei si voltò e mi guardò stupita. Le sorrisi ed allungai la mano. Lei la allungò e la unì alla mia.
“Torna” dissero le sue labbra senza emettere suoni. “Insieme affronteremo tutto. Tornerai ad essere umano” continuò voltandosi verso il me dello specchio.
“Mi perdonerai?” chiesi con voce tremante.
Mi sorrise e voltandosi scomparve. L’immagine tornò normale ed io mi lasciai andare sul pavimento, con gambe tremanti e l’insicurezza che accresceva.
Non potevo continuare a seguire la mia scelta. Avevo bisogno di lei. Dovevo tornare ed implorare il suo perdono.
Ero inginocchiato sul pavimento con lo sguardo perso nello specchio quando bussarono alla porta.
Rimasi immobile, non aspettavo nessuno e non volevo essere disturbato da camerieri zelanti.
So che ci sei Edward Cullen… non è carino lasciarmi in corridoio!  La voce mentale di Alice mi urlò nella mente.
Mi alzai con fatica ed andai ad aprire la porta confuso da quella inaspettata visita.
Appena la aprii il folletto mi volò in braccio e mi baciò rumorosamente la guancia.
Non era sola, c’era la mia famiglia al completo.
I miei famigliari mi guardarono preoccupati in viso ed entrarono nella stanza.
“Tutto bene?” mi chiese Carlisle continuando ad osservarmi.
Esme era molto preoccupata, ma non riusciva a trovare le parole giuste per parlare, aveva paura di toccare qualche tasto dolente aumentando il mio dolore.
Li feci accomodare e raccontai cosa era appena accaduto, non volevo si preoccupassero, erano arrivati in un momento particolare, nient’altro.
“Devi tornare a Forks!” disse Alice con voce squillante ed un largo sorriso sul volto.
“Sono d’accordo con tua sorella. Non hai fatto nulla di male e non c’è motivo che ti torturi così…”
disse timorosa Esme mentre mi accarezzava amorevole i capelli fino a scendere sulla schiena.
 “Rivedrei volentieri Bella… la sua goffaggine mi fa impazzire!” disse ridendo Emmett, ma smise subito appena Rosalie lo fulminò.
“Tornare a Forks non mi dispiacerebbe. Mi piace quella cittadina nuvolosa” disse Rose guardandosi distrattamente allo specchio. Potei sentire nei suoi pensieri la lotta interiore: voleva dimostrarmi di essere pentita di come aveva trattato Bella, come mi aveva confidato prima del suo matrimonio, ma dall’altra non era certa di riuscire a contenere la gelosia per la mortalità di Bella e la rabbia per il poco valore che la mia amata dava alla sua mortalità. Rosalie avrebbe dato qualsiasi cosa pur di tornare umana… avrebbe patito il tormento della trasformazione per decenni pur di poter tornare mutabile e mortale… come tutti i componenti della mia famiglia. Per noi l’immortalità era una dannazione, non un premio.
“Dai fratellino… prendiamo l’aereo e andiamo a Forks!” disse Emmett dandomi una pacca sulla schiena.  Mi manca quella pazza! E manca anche a te! Quindi forza!!!  - lo pensò ma non lo disse ad alta voce per non offendere Rose.
 “Con che faccia mi presento? E cosa le dico? “Ciao Bella sono tornato. Sai quello che ti ho detto e quello che ti ho fatto passare? Beh, dimenticalo e torna con me!” devo fare così?” dissi quasi ringhiando e guardandoli con sfida.
“Potresti presentarti sotto la sua finestra e farle la serenata!” squillò Alice battendo le mani dalla felicità. Alzai gli occhi al cielo, la sua euforia era così contagiosa che non mi fece perdere le staffe.
“Così il padre mi spara con la pistola di ordinanza!” le risposi.
“Sei antiproiettile, tesoro!” le diede manforte Esme facendomi un sorriso.
Rosalie trattenne una risata e, guardando mia madre, continuò “Oppure ti presenti sotto la sua finestra con un quartetto di archi e le fai la serenata. Sicuramente suo padre non si permetterà di spararti davanti a testimoni”
Sbuffai e cercai aiuto in mio padre.
Scosse la testa – Non guardare me! Non so come sia giusto tornare, ma so che è giusto farlo!
Guardai Jasper e lui fischiettando guardò con interesse il quadro appeso sopra il letto.
Non mi voglio immischiare, qualsiasi cosa deciderai ti appoggerò – pensò accomodante.
Volevo tornare, ma il timore che mi avesse dimenticato mi bloccava quanto la consapevolezza che la mia vicinanza era pericolosa per lei.
Cercai nella mente di Alice, ma non stava cercando nel futuro, stava fantasticando su come sarebbe stato bello poter tornare a Forks da Bella e rivederci insieme.
“Tornerò, ma non adesso. Ho una faccenda da risolvere” dissi con voce calma.
“Quale faccenda?” chiese interessato Jasper.
Alice si immobilizzò e nella sua mente vidi Victoria correre per le strade di Rio de Janeiro, vicino al porto.
“Ancora lei?” chiese irritata.
“Lei chi?” chiese mio padre avvicinandosi di più a mia sorella e guardandomi con il sopracciglio alzato.
“Victoria” ringhiai serrando i pugni.
“Perché non ce ne hai parlato? Potevamo aiutarti!” disse prendendomi il braccio per farmi voltare.
“Ho tutto sotto controllo. So affrontare le mie battaglie da solo!” risposi arrabbiato rivivendo le sconfitte che mi aveva inflitto.
“Sono certo delle tue capacità e non intendevo sminuire la tua bravura. E’ che siamo una famiglia ed è normale aiutarsi” disse gentilmente continuando a cercare i miei occhi, ma non riuscivo ad alzarli dal pavimento. Li avevo già costretti a trasferirsi da Forks, non li avrei trascinati in quella ricerca. Nella visione era ancora a Rio, quindi non aveva più scampo.
“Non puoi negarci il divertimento” disse Emmett scrocchiando le dita entusiasta di affrontare una lotta.
“Voglio risolverla da solo. Se continuerà ad essere un problema vi prometto che vi chiamerò” risposi martoriandomi le mani. Quella battaglia contro Victoria era il modo migliore di dimostrare a me stesso che ero in grado di difendere Bella e che il mio mondo non sarebbe più stato pericoloso per lei, perché qualsiasi avversità io l’avrei affrontata e sconfitta.
“Non è giusto!” sbuffò Emmett.
“Non capisci che è una scusa perché non si sente ancora pronto ad affrontare Bella?” disse Alice facendomi l’occhiolino.
 
Riuscii a convincerli ad andare a caccia per evitare altri discorsi scomodi.
Dopo esserci cibati ci coricammo sotto il cielo stellato e mi fecero il resoconto degli ultimi avvenimenti.
Erano di ritorno da una breve vacanza trascorsa su “isola Esme”, l’isola che mio padre aveva regalato a mia madre. Era un luogo perfetto per rigenerarsi. Era completamente di nostra proprietà, gremita di animali e lontano dagli umani. Ci potevamo comportare come quando eravamo umani: potevamo fare il bagno nell’oceano e coricarci sulla spiaggia di giorno... completamente liberi di essere noi stessi e senza il timore di essere scoperti.
Durante la vita quotidiana, Carlisle continuava a lavorare all’ospedale di Ithaca e insegnare all’università. Aveva scoperto una nuova formula per decelerare il decorso di alcuni tumori e l’aveva testata su alcuni pazienti che avevano tratto benefici immediati e duraturi. Era molto soddisfatto del suo lavoro ed il fatto che il suo olfatto avesse permesso quella scoperta, lo rendeva ancora più felice. Esme stava finalmente restaurando la casa del diciassettesimo secolo di cui mi aveva parlato. Era un lavoro lungo e laborioso, era molto diroccata e gli affreschi richiedevano delle cure particolari, ma era certa che, a lavoro ultimato, sarebbe stata fantastica. Per quanto riguardava la mia casa natale la struttura era già stata restaurata. Stava già cercando il mobilio, era molto meticolosa nelle scelte e paziente nel trovare ciò che cercava. Stava svolgendo un ottimo lavoro. Emmett stava valutando di iniziare anche lui i corsi universitari seguiti da Jasper, era curioso di studiare filosofia, non tanto per l’insegnamento che poteva dargli, quanto gli spunti che poteva prendere per deridere mio fratello. Rosalie era ancora indecisa se ritornare all’università o prendersi un anno di riposo e dedicarsi alle auto dei famigliari. Jasper continuava a frequentare l’università nel quale insegnava mio padre, era migliorato tantissimo nei rapporti con gli umani e riusciva a controllare perfettamente la sete. Alice si dilungò molto a lodare i miglioramenti del suo amato con tantissimi esempi, mettendolo molto a disagio. Lei era riuscita ad individuare il manicomio in cui aveva trascorso gli ultimi anni di vita da essere umano. Si chiamava Mary Alice Brandon. Aveva una sorella minore di nome Cynthia ed aveva visto, ma non aveva osato presentarsi, sua nipote a Biloxi; era andata a visitare la sua tomba ed aveva trovato dei fiori freschi e questo la rendeva felice, significava che, anche se in vita suo padre l’aveva abbandonata in un freddo manicomio, almeno in morte i suoi posteri portavano rispetto alla sua memoria.
“Volevamo andare a Denali … ma se vuoi andiamo a Forks.” disse mio padre guardandomi fiducioso.
Ti sei torturato abbastanza! Torniamo a casa! ­– continuò nel pensiero.
“Devo sistemare un paio di questioni sospese e poi verrò…” dissi distogliendo lo sguardo. Il pensiero che Bella mi rifiutasse, mi sbattesse la porta in faccia o mi accogliesse abbracciata all’uomo sfocato che avevamo visto nelle visioni mi fece tremare e mi aprì il varco infuocato nel petto. Strinsi i denti e cercando di nascondere il dolore cercai di sorridergli.
“E’ nebuloso, ma si sta definendo…” disse Alice con lo sguardo fisso.
Vidi la mia famiglia nel salotto della casa di Forks. Mi vidi in fondo alla scala sorridente, ma non vidi Bella. Guardai mia sorella alzando un sopracciglio.
“Non hai ancora deciso… sai come funziona!” ed alzò le spalle come se fosse scontato.
Un sorriso sincero comparve sul mio viso. Il buon senso continuava a strillare che non dovevo far parte della vita di Bella, ma nella visione ero felice e sapevo che l’unica cosa al mondo che poteva far nascere in me quella felicità era l’amore di Bella. Ero consapevole che il mio mondo ero troppo imprevedibile e pericoloso per la mia amata, ma l’immagine di Bella svuotata mentre si dirigeva verso i motociclisti mi confermò che anche il mondo dei mortali era pericoloso e se le fossi stato vicino avrei potuto proteggerla.
“Ci sto pensando! Nel frattempo stalle lontano. Hai promesso.” le ricordai.
Vide l’immagine di noi a Forks farsi offuscata. Provò a vedere il futuro di Bella, ma glielo proibii con un ringhio e le ricordai che aveva promesso di non sbirciare.
“Ok, come vuoi” sbuffò.
“Ci devo riflettere… da solo!” scandii le ultime parole. Se volevo capire esattamente cosa volevo fare dovevo pensarci senza che loro mi influenzassero.
Prima di partire Emmett provò a persuadermi che la sua presenza era essenziale per uccidere Victoria, ma non ci riuscì. Li salutai con la promessa che ci saremmo sentiti e rivisti presto e attesi impaziente l’arrivo del buio per portare velocemente a termine il mio compito.
Appena fu sera scattai fuori dalla finestra e ricominciai la ricerca ancora più risoluto. Corsi subito al porto dove Alice l’aveva vista. Non trovandola iniziai a cercarla ovunque, sia nel sottosuolo, che nelle strade, sui tetti, negli antri più nascosti della città. La scia, ormai quasi scomparsa di Victoria terminava dove l’avevo sentita l’ultima volta insieme a Pablo. Chiesi ad altri miei simili, ormai molti di loro mi conoscevano poiché ero l’eroe che li aveva liberati da Marko. Furono tutti molto disponibili, ma questo non migliorò la ricerca, Victoria era scomparsa.
Con le nuove conoscenze, riuscii ad ampliare le ricerche alle città ed ai paesi vicini, ma nulla.
Non demordevo, ero fisso sull’obbiettivo, dovevo trovarla e dovevo ucciderla, per poter tornare velocemente e a capo chino da Bella e dalla mia famiglia.
Un pomeriggio mentre ero alla ricerca della mia preda, mi squillò il cellulare. Ero nelle vicinanze dell’albergo, quindi volai in camera per rispondere. Era Rosalie.
“Ehm … Ciao Edward” disse con tono incerto.
“Ciao Rosalie, dimmi” risposi preoccupato.
“Ehm…” sembrava non volesse parlare.
“E’ successo qualcosa a Carlisle?”
“Ehm… no, è andato a caccia con Esme. Stanno bene. I Cullen stanno tutti bene”
I Cullen? Perché specificava la nostra famiglia? Cosa era successo?
“Cosa è successo?” chiesi al limite dell’esasperazione.
“Ehm…Lo so che avevi fatto promettere ad Alice di non sbirciare nel futuro di Bella, ma…” si interruppe come per cercare le parole giuste. Una strana sensazione mi gelò, cosa significava? Bella, la promessa di Alice e Rosalie…
“Continua” la spronai glaciale.
“Alice è andata a Forks. Ha avuto una visione”
Un ringhio mi uscì dal petto.
“Ha visto Bella gettarsi da uno scoglio… non l’ha più vista risalire, è stata inghiottita dalle onde. Non è più riuscita a vedere Bella, è svanita.” disse tutto in un fiato e poi rimase in attesa. Potevo sentire il suo respiro affannato.
Il mio corpo reagì prima che la mente potesse capire completamente il significato di quelle parole. La stanza iniziò a girare ed il vuoto assoluto che lacerava il mio petto mi fece cadere in ginocchio.
Chiusi la comunicazione senza aggiungere parole e rimasi a terra cercando di capire che cosa avesse detto mia sorella.
Non è più riuscita a vedere Bella … una filettata al cuore mi fece gemere, l’unico motivo per il quale qualcuno svaniva dalle visioni di Alice era perché non esisteva più… perché era morta.
Mentre cercavo di trovare altri significati alle parole di Rosalie, le mie mani stavano componendo il numero di casa di Bella.
“Casa Swan” una voce maschile, roca e cupa mi rispose. Non era Charlie.
“Sono il dottor Carlisle Cullen, vorrei parlare con l’ispettore Charlie Swan” Era meglio non dire il mio nome, non ero sicuro di quale reazione avrebbe potuto creare in Bella se era ancora viva. ed io ero certo che fosse così.
“Non è in casa” rispose minaccioso l’uomo dall’altro capo del telefono.
“Mi scusi, avrei una certa urgenza, sa dirmi dove posso trovarlo?” dissi con tono gentile, ma le mani tremavano ed in me la voglia di ucciderlo urlava.
“E’ al funerale”
Riattaccai. L’angoscia mi assalì, una morsa mi prese il cuore di marmo e strinse la presa fino a distruggerlo. La testa pulsava, il mio corpo tremava e la mia mente urlava… Era vero. Charlie era al funerale di Bella, della persona che mi aveva fatto conoscere l’amore e che mi aveva rubato il cuore ed il pensiero.
Morta … il vuoto, il nulla, il niente … Morta … io vivo … Morta … il silenzio, l’assordante silenzio … Morta … non l’avevo protetta … Morta … l’inutilità della mia esistenza si era parata davanti a me e mi derideva.
Buttai senza pensarci il cellulare nel cestino e senza guardarmi indietro iniziai a vagare per il sottosuolo … camminavo, camminavo, camminavo … Era morta e con lei aveva portato tutto ciò che dava un senso alla mia esistenza. Il mio cuore, il mio pensiero, il mio respiro le appartenevano, anche in quei mesi di lontananza io ero suo e adesso lei era morta, io non appartenevo più a nessuno e quindi non aveva senso continuare a esistere.
Tutto intorno a me era sommerso nel nulla, le orecchie erano sigillate da un ronzio continuo, gli occhi non riuscivano a mettere a fuoco ciò che mi circondava, i piedi inciampavano in sè stessi, il corpo muoveva senza che il mio cervello glielo ordinasse … sentivo solo il vuoto.
I volti di Aro, Marcus e Caius entrarono prepotenti e nitide nella mia mente. Sorridenti mi guardavano con gli occhi cremisi pieni di promesse. La promessa di liberarmi da quel tormento, la promessa di mettere termine alla mia esistenza, al mio supplizio.
Quella favolosa possibilità mi ridiede la vista ed il controllo delle gambe. Iniziai a correre impaziente verso l’aeroporto. Arrivai e presi il biglietto per il primo volo diretto in Italia.
L’attesa dell’aereo che mi avrebbe portato alla liberazione fu straziante. Camminavo impaziente nella sala d’attesa, i secondi sembravano ore. Sembrava che le lancette dell’orologio si prendessero gioco di me, rallentando il loro avanzamento, facendomi delle simulazioni, sbeffeggiandomi e non si muovessero.
Finalmente aprirono le porte del gate, mi precipitai troppo velocemente al mio posto, forse qualcuno si era accorto di me, ma non mi importava, ancora poche ore e tutto finalmente sarebbe finito.
Il viaggio fu lunghissimo, interminabile. Sedevo con sguardo vuoto ed in una posizione tesa nel sedile pronto a scattare fuori da quel aereo appena fosse atterrato.
Pensai a Bella e recuperai dalla mia memoria infallibile ogni cosa di lei.
La prima volta che le parlai, lo stupore nei suoi magnifici occhi color cioccolato ed il rossore delle sue gote.
Il suo viso sorpreso quando un furgoncino impazzito aveva provato a portarmela via, e il suo corpo morbido e caldo sotto il mio durante il tentativo di salvataggio.
La pelle pallida quando era svenuta sui gradini della scuola, per aver sentito l’odore del sangue, come una vampira lei riusciva a sentire quel particolare odore, ed il suo corpo caldo vicino al mio, mentre correvo verso l’infermeria.
Il profumo della sua pelle, quando, intestardita di non voler salire sulla mia auto per essere accompagnata a casa, si era bagnata con la pioggia.
La prima chiacchierata in macchina, il suo profumo inebriante nell’abitacolo e le sue risposte mai scontate.
Il suo volto imbarazzato quando mi esponeva la teoria del ragno radioattivo. A quel ricordo presi il tappo della limonata dalla tasca e lo strinsi nelle mie mani, come per farlo penetrare attraverso il marmo della mia pelle.
La tranquillità con il quale mi disse che non le importava che non fossi umano, che fossi un vampiro, un mostro.
La prima volta che mi rivelò il suo amore, addormentata nel sul piccolo letto, nella camera impregnata del suo profumo e i capelli scompigliati sul cuscino.
La sua pelle brillante dal riflesso della mia, alla radura del nostro primo giorno da soli. Le sue carezze, il suo respiro ed il nostro primo meraviglioso ed indimenticabile bacio.
La prima corsa attraverso il bosco, con lei abbracciata alle mie spalle, impaurita che potessi sbattere contro un albero e la sua faccia buffa quando mi fermai per farla scendere.
L’incontro con la mia famiglia e lo stupore sul suo volto quando le raccontavo le nostre storie.
I suoi grandi e profondi occhi sempre curiosi ed attenti.
I nostri baci bloccati, nei limiti che mi ero imposto, ma non per questo meno fantastici e travolgenti.
Le notti con lei addormentata tra le mie braccia, le lezioni di biologia … i momenti in cui il suo corpo caldo era a contatto con il mio, il suo sguardo incatenato al mio ed il suo profumo che inebriava i miei sensi…
Il suo allettante e prelibato profumo che aveva fatto risvegliare il demone il primo giorno di scuola. Il fastidio che avevo provato nel non riuscire a leggere i suoi pensieri. La bontà del suo sangue anche se leggermente rovinato dal veleno di James. Lo stomaco attorcigliato dalla sete quando si era tagliata alla festa di compleanno… anche quelli erano, in quel momento, dei ricordi felici. Erano ricordi di lei e, con mia grande sorpresa, anche se avevo resuscitato quei ricordi nei minimi dettagli, il demone non si era svegliato, anzi sembrava che non fosse mai esistito.
Presi dalla tasca la foto che ci ritraeva nel suo salotto, l’ultimo pomeriggio in casa Swan. Lei era impacciata ed io avevo lo sguardo e l’atteggiamento freddo. Era una posizione formale, non ritraeva il nostro vero amore, ma il momento della nostra separazione. La accartocciai nella mano con rabbia. Come avevo fatto ad essere così ottuso? Gli ultimi momenti passati con lei erano di tensione. I suoi occhi pieni di lacrime nella foresta mentre le dicevo addio mi tormentavano, come la sua voce nel bosco mentre mi chiamava disperata dopo averla lasciata. L’immagine del suo corpo fragile ed inerme tra le braccia del Quileutes che l’aveva tratta in salvo e le urla in piena notte dove mi implorava di tornare mi uccisero per la seconda volta. Avessi potuto tornare indietro sarei entrato in camera sua quella sera e, abbracciandola, mi sarei rimangiato ogni parola che le avevo detto nel bosco. Tutto quel tormento e quel dolore non erano serviti a nulla, l’avevo persa comunque, non ero riuscito a proteggerla come avrei dovuto.
Iniziai a pensare all’incontro con i Volturi. Aro, Marcus e Caius, nelle loro vesti nere, con il portamento regale ed aggraziato, pronti a far rispettare le regole senza transigere, ma non ero certo che sarebbero stati pronti ad esaudire un desiderio. Il mio desiderio di morire perché la mia esistenza era vuota e insensata.
Non avevo trasgredito a nessuna regola, a nessuna legge, ma sperai comunque che sarebbero stati magnanimi e mi avrebbero accontentato. Rispettavano Carlisle e quindi, forse, mi avrebbero fatto quel favore. Se non avessero accettato sarei stato obbligato ad infrangere la loro regola, farmi vedere dagli umani. Avrei potuto andare a caccia nelle loro mura, nel paese dal quale regnavano da millenni e che reputavano intoccabile. Avrei potuto rendere palesi le mie capacità di vampiro davanti ad una folla, avrei potuto provare ad abbattere le mura con il mio corpo, avrei potuto farmi vedere sotto la luce del sole dalla popolazione di Volterra. Avrei potuto lanciarmi all’attacco di uno degli antichi vampiri. Continuai a pensare in quanti modi avrei potuto infrangere le regole e obbligarli a cambiare la sofferenza eterna in pace eterna.
Ci rimuginai intercalando quei pensieri con i ricordi di Bella fino a quando atterrai a Firenze. 

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Capitolo 15
*** I Vampiri Italiani ***


Rubai la prima auto che trovai fuori dall’aeroporto. Era una BMW abbastanza veloce e stabile, mi avrebbe condotto velocemente verso la fine della mia eternità.
Sfrecciai per le strade, se fossi stato in un altro stato d’animo sarei rimasto affascinato dal paesaggio e dalla sua bellezza, ma il mio non era un viaggio di piacere, ero troppo concentrato di arrivare a destinazione nel minor tempo possibile. Non rispettai limiti di velocità o semafori, nulla poteva far attendere il mio destino.
Bella, la mia amata, era morta ed io ero ancora vivo, era una situazione che non riuscivo a tollerare.
Bella, i Volturi, Carlisle, Esme, Alice, Bella, Emmett, Jasper, Bella, Rosalie … i loro volti mi turbinavano davanti agli occhi mentre sfrecciavo a tutta velocità.
Finalmente vidi le antiche mura di Volterra, le sue torri svettavano verso il cielo invitandomi, la meta era vicina e spinsi il piede sull’acceleratore, anche se ero già al massimo.
Quando arrivai alle mura, dei vigili mi fecero segno di fermarmi e procedere seguendo le indicazioni per parcheggiare. Che disdetta, la città era chiusa, non era possibile proseguire in auto. Abbandonai la macchina a lato strada e, sollevando il cappuccio sul capo mantenendo il volto rivolto verso il basso, mi diressi verso il palazzo dei Volturi. Non capii perché prendevo quelle precauzioni, se fossi andato a viso scoperto e rivolto verso il sole i Volturi mi avrebbero preso e, sicuramente, avrebbero rispettato il mio desiderio. Molto probabilmente ed inconsciamente lo facevo nella speranza che accettassero la mia richiesta senza un errore da parte mia, in modo da assicurare la pace tra la mia famiglia e la famiglia “reale”.
Nelle strade il colore rosso predominava: magliette rosse, cappelli rossi, bandiere rosse, drappi rossi frustati dal vento. Erano i giorni di San Marco, la festa patronale.
La città si preparava a festeggiare il vescovo cristiano Marco. In realtà era il Marcus dei Volturi. Lo celebravano perché, secondo la leggenda, il vescovo aveva liberato definitivamente il paese dai vampiri, quindici secoli prima, prima di morire in Romania dove si era spinto per distruggere gli ultimi vampiri. Ovviamente Marcus era ancora vivo e comandava gli immortali stando seduto sul suo trono proprio all’interno di quelle mura. Sicuramente da allora la città era la più sicura da probabili attacchi dei miei simili, perché una delle leggi era quella che vietava la caccia a Volterra.
Sorrisi compiaciuto: se non avessero accettato la mia richiesta, rovinargli la festa in loro onore li avrebbe sicuramente fatti imbufalire e mi avrebbero annientato ancor prima che me ne accorgessi.
Era il massimo che potevo sperare: morire e farlo in modo veloce ed indolore. Perfetto.
Arrivai al Palazzo dei Priori, la loro dimora, ed entrai dalla porta principale. Attesi pochi minuti, sapevo che mi avevano sentito arrivare. Arrivò un ragazzo della guardia, non ne conoscevo il nome, ma i suoi pensieri sì ed erano confusi, non comprendeva perché io fossi in quel luogo.
Lo salutai con un cenno del capo e mi diressi verso di lui, appena feci i primi passi la guardia si voltò e mi accompagnò attraverso un corridoio anonimo e molto luminoso con le pareti bianche ed il pavimento ricoperto di soffice moquette grigia.
In fondo al corridoio c’era un ascensore, il mio accompagnatore tenne le porte aperte con la mano fino a quando non entrai. Il viaggio in ascensore durò poco e sbucammo nell’anticamera di un ufficio di lusso. Le pareti erano rivestite da pannelli di legno, la moquette sul pavimento era verde scuro. Al posto delle finestre campeggiavano panorami grandi e luminosi della campagna toscana. C’erano delle poltroncine di pelle chiare disposte a piccoli gruppi e, sui tavoli laccati, spiccavano vasi ricolmi di fiori colorati. Dietro alla scrivania in mogano lucido al centro della stanza, vi era seduta un’umana. Era alta, abbronzata e con gli occhi verdi.
Oh, Un nuovo arrivato, non è bello come Felix… Felix è bello da togliere il fiato. Non vedo l’ora di trasformarmi in una di loro così forse si accorgerà di me.
 Nascondendo in modo impeccabile i pensieri ci salutò in modo cortese e professionale “Buon pomeriggio signori”
“Gianna” ricambiò la guardia, accompagnando il saluto con un gesto del capo.
Si alzò e ci aprì una porta in legno a doppia anta in fondo al locale. Attraversammo un ampio corridoio ricco di decorazioni sui soffitti ed ai lati vi erano tantissime porte rivestite d’oro. A metà corridoio la guardia aprì un pannello scorrevole che nascondeva una semplice porta di legno.
L’anticamera era stretta e bassa ed il pavimento era rivestito di acciottolato antico, lo stesso materiale utilizzato per la piazza e i vicoli. Era antico, ma non quanto i suoi abitanti.
Aprì la porta della parete frontale e, finalmente, entrai nella sala di Aro, Marcus e Caius.
Era cavernosa, perfettamente circolare, situata all’interno della torre. Era illuminata esclusivamente dalla luce che penetrava dall’esterno attraverso le finestre alte e strette situate a due piani da terra.
Arredata esclusivamente da enormi sedie di legno, simili a troni, disposte irregolarmente lungo la curva della parete. Al centro del cerchio c’era, leggermente incassato, un tombino che sicuramente fingeva da uscita.
La stanza non era vuota, un gruppetto di persone era impiegato in conversazioni leggere.
Appena entrai, Felix, un vampiro grande e muscoloso come mio fratello Emmett, con capelli corti e neri, e Demetri, un vampiro di media statura ed i capelli neri lunghi fino alle spalle, scattarono allarmati verso di me e mi bloccarono tenendomi da entrambe le braccia.
“Lasciate entrare il nostro amico” ordinò con voce melodiosa Aro e le guardie mi lasciarono istantaneamente, ma senza allontanarsi, potevo sentire le loro tuniche sfiorare il mio braccio.
Aro era uno dei vampiri più antichi e lo si notava sia nelle sue movenze sia nel suo aspetto. Era maestoso avvolto nella sua tunica nera come la pece e lunga fino a terra.
La sua pelle era bianca quasi traslucida, delicata e sottile, in contrasto con i lunghi capelli corvini che gli incorniciavano il viso arrivandogli alle spalle. Gli occhi erano rossi, ma con una sfumatura sfocata e lattiginosa. I suoi lineamenti e la sua corporatura aggraziata di media altezza non nascondevano le sue origini greche.
Quando si avvicinò, l’intero gruppo gli si fece attorno, seguendolo e precedendolo con l’atteggiamento circospetto delle guardie del corpo. Riconobbi Renata, era come sempre alle spalle di Aro, a contatto con la sua tunica, era lo scudo fisico privato del vampiro grazie al quale è impossibile avvicinarsi nel suo raggio d’azione in quanto si viene sviati inconsapevolmente.
Ai lati erano apparsi i gemelli, Jane e Alec.
Jane, una vampira minuta con capelli castano chiaro corti, snella quasi androgina con le labbra piene e gli occhi grandi. Per gli umani poteva essere scambiata per un angelo di Botticelli.
Alec, un vampiro anch’esso minuto con i capelli scuri e le labbra meno pronunciate, angelico come la sorella.
Una coppia di donne pallide e delicate si allontanarono dal gruppo e, in modo silenzioso, svanirono dietro ad una porta nascosta dietro ad un trono di legno, penso fossero le mogli, ma erano coperte dal cappuccio della tunica e non riuscii a riconoscerle.
“Che piacere” continuò dolcemente Aro allungandomi la mano.
Sapevo che era il suo modo di conoscere i miei pensieri. Anche lui come me poteva vedere cosa celava la mente, era limitato dal contatto fisico, ma riusciva a vedere ogni sentimento, emozione, ricordo e pensiero che la mente avesse creato o provato, molto più a fondo di come riuscivo a leggere io.
“Buongiorno Aro, chiedo scusa per l’intrusione. Mi appello all’amicizia che vi lega a mio padre Carlisle per implorarvi un favore.”
Rimasero tutti stupiti, i gemelli si scambiarono un’occhiata interrogativa, Renata si avvicinò di più al suo protetto e le guardie si mossero leggermente, non capivano se il loro padrone fosse in pericolo, dato che ero un folle, o se realmente ero venuto in veste amichevole per chiedere un favore all’antico.
Carlisle, il vegetariano, era strambo, ma suo figlio mi sembra più strambo pensò Felix.
Guarda che occhiaie e che faccia, non sembra uno di noi, sembra un morto vivente. Mangiare animali non deve essere così nutriente. Bleach … pensò Jane.
“Dimmi, mio caro amico, come possiamo esserti utile?” disse Aro avvicinandosi e prendendomi la mano.
Tutti i miei pensieri, i miei ricordi, le mie emozioni riaffiorarono nella mente e gli raccontarono la mia tormentata storia.
L’incontro con Bella, il fastidio provato nel non riuscire a leggerle nel pensiero, il demone che si risvegliava ed i miei piani per uccidere l’intera classe pur di ottenere quel sangue così invitante la prima volta che il suo profumo mi aveva colpito. Il volto di Bella spaventato nel vedere la furia del mio volto, causata dalla sete, quando entrò nella piccola segreteria dove stavo cercando di convincere la signora Cope a cambiare gli orari delle lezioni per salvarle la vita. Il mio autocontrollo messo a dura prova con quel profumo invitante ed un solo testimone umano a fermare la mia fame. Il mio viaggio a Denali per fuggire alla tentazione. La gelosia provate nel vedere le fantasie di Mike e il senso di protezione che nasceva nei confronti di Bella per difenderla dall’invidia di Jessica. Il giorno nella radura, con le prime carezze di Bella, la mia pelle che risplendeva sulla sua. La corsa in mezzo al bosco ed il favoloso primo bacio. Le giornate passate in auto a parlare di noi e del nostro passato, l’amore che sbocciava e ciò che provai quando mi disse di amarmi …
La sera della festa ed il canto del suo sangue che mi invitava ad assaggiarlo. Le visioni di Alice, con Bella trasformata in vampiro e la mia repulsione al pensiero di renderla reale. La visione di Bella insieme all’immagine sfuocata e la mia decisione di lasciarla. Il tormento provato per la separazione e la lontananza … infine la telefonata di mia sorella Rosalie, il nulla che si impossessava di me e la mia scelta di chiedere il loro aiuto. Vide anche le opzioni che avevo pensato nel caso si fossero rifiutati di concedermi la pace eterna.
Con sguardo interessato lasciò andare lentamente la mia mano.
“Interessante” disse guardando un punto lontano.
Cercai nella sua mente per capire se aveva accettato di liberarmi da quel tormento.
Vidi solo curiosità nei confronti dei nostri poteri. Le visioni di Alice e la mia capacità di leggere il pensiero senza bisogno di contatto, era anche interessato al fatto che i pensieri di Bella mi fossero celati, e si domandava se lo fossero anche per lui e se la mia incapacità era causata solo da una mia pecca. Era dispiaciuto per la morte di Bella, ma solo perché non avrebbe potuto tentare.
Era anche interessato alle reazioni che il sangue di Bella mi scatenavano, la chiamò “la sua cantante”, da quello che potei comprendere lui non aveva mai incontrato la sua cantante, ma aveva visto vampiri impazzire per le loro e di come fossero stati soddisfatti dopo aver bevuto quel particolare sangue ed era stupito dal mio autocontrollo e da come ero riuscito a trattenermi dal dissetarmi con quel prelibato ed unico elisir. Non solo ero riuscito a trattenermi, me ne ero pure innamorato.
Serrai i pugni dalla rabbia, soffocai un ringhio e cercai di mantenere un volto impassibile. Non mi importavano i suoi pensieri e le sue fantasie, volevo che la mia esistenza terminasse e che succedesse subito. Doveva pensare se accettare le mie richieste, non alle sue opportunità o curiosità.
Le opzioni che avevo pensato nel caso di un loro rifiuto, lo sfiorarono leggermente, ma era troppo sicuro della bravura delle sue guardie per esserne realmente preoccupato.
“La tua richiesta è particolare e pericolosa. Cerca di capire la mia posizione. Ma in nome dell’amicizia con il mio vecchio amico Carlisle ti prometto che ci penserò”
“Vi prego. Non attendete troppo, vi supplico. Accettate le mie richieste” gli chiesi implorante, inginocchiandomi ai suoi piedi e abbassando il capo, in segno di totale sottomissione, ero disposto a qualsiasi cosa purché esaudisse il mio unico desiderio.
“Mio giovane Edward, devo parlarne con i miei fratelli, non è una questione da prendere alla leggera.”
Guardò Felix e con la mano gli fece cenno di avvicinarsi.
“Portalo in sala di attesa, devo conferire con i miei fratelli.”
Con il pensiero di come saremmo stati utili io e mia sorella nella guardia, si voltò per sedersi sul trono centrale e mi osservò mentre venivo scortato fuori dalla torre.
Felix mi prese per il braccio e mi accompagnò all’uscita.
Ripercorremmo il percorso inverso e mi accomodai sulle sedie nella sala dove Gianna lavorava dietro alla scrivania.
Cercai di percepire i loro pensieri, ma il nostro rapporto era troppo debole ed erano troppo distanti per riuscire a origliare, riuscivo a vedere solo i pensieri che urlavano. Vidi i pensieri di Caius che pensava di uccidermi e la sua voglia di morte. Ne vidi altri, ma non riuscii a capire quali fossero le giuste direzioni.
“Posso esserle utile mentre attende?” mi chiese cortesemente Gianna.
Le risposi con un cenno del capo. Non volevo nulla, volevo solo che la decisione fosse quella di aiutarmi a terminare quell’inutile esistenza. Immagini di Bella nei momenti migliori del nostro rapporto iniziarono a straziare l’attesa. Non avrei più avuto quei momenti, non volevo vivere con quei ricordi, non volevo vivere se lei non esisteva più. Implorai nella mia testa Aro, come se pensandoci fossi riuscito realmente a plagiare le sue scelte.
Arrivò la guardia che mi aveva scortato la prima volta all’interno della sala dei Volturi, Afton, che scoprii essere il compagno di Chelsea, un’altra arma al comando dei Volturi. Chelsea aveva il dono di dividere o unire i rapporti tre le persone, non era pericolosa, non per me in quel momento.
“La aspettano” e mi fece cenno di seguirlo.
Durante il tragitto pregai che la decisione fosse a favore, ma una strana sensazione, mi fece pensare che forse le mie speranze erano mal riposte.
Nella sala, sui tre troni, vi erano seduti Aro, Marcus e Caius.
I due nuovi arrivati erano anch’essi vestiti con la tonaca nera e somigliavano molto ad Aro, avevano la stessa pelle sottile e gli stessi occhi lattiginosi. Marcus era leggermente più alto con una corporatura slanciata, i capelli lunghi oltre le spalle e neri come la pece, mentre Caius era alto come Aro, leggermente più muscoloso ed i capelli chiari come la neve lunghi e lisci fino alle spalle.
Aro era al centro ed era leggermente eccitato, Marcus era appoggiato allo schienale con uno sguardo annoiato, mentre Caius era molto irritato e mi osservava con sguardo omicida.
Che noia, speriamo di fare presto pensava Marcus.
Non riesco a comprendere mio fratello, ma come può passargli per la testa di farsi scappare un’opportunità come questa ragionava Caius.
Sarà contento per la scelta che ho preso, sarebbe altrimenti uno spreco considerò Aro.
Contrassi i muscoli delle braccia e serrai i pugni, mentre trattenevo il veleno, ma non ero sicuro di aver interpretato correttamente i loro pensieri, quindi attesi senza fiatare il loro verdetto.
“Avete preso una decisione?” chiesi.
Aro si avvicinò con fare aggraziato e sguardo amichevole.
“E’ stato un interessante dibattito. Raramente abbiamo incontrato un vampiro che porrebbe volentieri fine alla propria esistenza. Io e i miei fratelli ne abbiamo discusso ed abbiamo osservato ogni sfaccettatura della questione così spinosa. Essendo molto affezionati a tuo padre, pensiamo che non sia corretto privarlo di un figlio così promettente”
I muscoli si contrassero e un ringhio mi uscì minaccioso dal petto.
Aro mi ammonì con la mano e continuò a parlare come se non lo avessi interrotto.
“La tua richiesta non può essere accettata. Non hai messo in pericolo la nostra razza e il tuo talento non deve essere sprecato. Se non vuoi tornare dalla tua famiglia perché il ricordo di quell’umana di reca troppo dolore, noi siamo ben disposti ad accettarti nella nostra guardia ed a ospitarti qui a Volterra”
“NO” ringhiai “Non potete farmi questo. Non voglio esistere, voglio terminare questa inutile e sofferta esistenza. Dite di essere tanto potenti e tanti magnanimi, ma una piccola richiesta vi fa tremare. Se siete tanto forti, dimostratelo uccidendomi. Altrimenti siete solo dei vili, pietrificati e antichi”
Felix e Demetri mi trattenevano per le braccia e Renata era sempre più a contatto con il suo protetto.
Aro sorrise, come si sorride ad un bambino testardo che fa i capricci, fulminò con lo sguardo Jane che era già pronta a mettermi fuori gioco con i suoi poteri per evitare che facessi del male al suo padrone, con delicatezza mi appoggiò la mano sulla spalla e scuotendo leggermente la testa continuò:
“Prenditi tempo per decidere, non devi rispondere subito. E comprendo il perché della tua reazione, non preoccuparti. Sei perdonato”
“Sapete che avverrà comunque. Porrete fine alla mia esistenza” li minacciai.
“Non senza giusta causa” specificò stanco Marcus.
Io lo avrei ucciso, non mi interessa il suo potere pensò Caius, e per la prima volta provai simpatia per il Volturo biondo.
“Quale spreco” si lamentò Aro comprendendo che non mi sarei arreso.
Mi scortarono fuori dalla porta e quando fummo nell’ultimo corridoio Felix mi guardò con sguardo beffardo.
“Saresti ben accetto nella guardia. Si vive bene, il cibo è sempre disponibile ed abbondante” feci una smorfia al pensiero e notandola cambiò discorso “Beh, non so chi sia questa Bella, ma sicuramente non ne vale la pena. Ne troverai un’altra. Dai tirati su” e mi diede una pacca sulla spalla ignorando il ringhio di sfida che gli lanciai.
“Non fare sciocchezze. Ti teniamo d’occhio” mi avvertì mentre uscivo dal palazzo.
“Ci conto” risposi con tono di sfida ed iniziai a pensare ad un piano per convincerli ad accettare la mia richiesta. 
Era la festa di San Marco e sicuramente, durante il giorno, la piazza sarebbe stata invasa dalla folla.
Avrei potuto avvicinarmi al punto di maggior afflusso, dove vi era il culmine del festeggiamento, salire sul palco e uccidere un paio di umani e trattenere quelli che risparmiavo, avrei dato un buon spettacolo e sicuramente sarebbe bastato per richiamare la loro attenzione e modificare le loro scelte. Non avrei ucciso troppe persone, il numero giusto per convincere Aro a reagire velocemente.
Mentre riflettevo su quella tattica, un uomo vestito di rosso con una tunica lunga fino alle caviglie, rallegrato dal vino che aveva bevuto, mi passò vicino barcollando. Pensai che forse avrei potuto ucciderne solo uno, lasciando le tracce del mio omicidio, anche così i Volturi sarebbero stati obbligati a fermarmi e avrei ucciso un solo innocente. Lo seguii per un tratto di strada attendendo il momento migliore. Quando svoltò in un vicolo nascosto, mi avvicinai più velocemente, il veleno mi riempì la bocca ed i muscoli si contrassero per l’attacco, ero pronto per il balzo finale quando rividi i volti della mia famiglia e mi schifai di me stesso.  Il mio tormento non poteva farmi disprezzare così la vita umana, mio padre mi aveva insegnato ad essere migliore e anche se non sarei sopravvissuto al giorno dopo, non ero felice di lasciare un ricordo così doloroso a Carlisle. Mio padre avrebbe già sofferto abbastanza per la mia morte, non potevo infliggergli un ulteriore dolore, la conferma che non ero come lui mi aveva sempre reputato. Con quella consapevolezza mi ricomposi e mi allontanai velocemente dal vicolo.
Ripensai ad altre opzioni che non prevedessero la perdita di ignare vite umane.
Avrei potuto ritornare da Aro e avventarmi su di lui, no, non sarei riuscito nemmeno a sfiorare quella pelle sottile. Renata non mi avrebbe permesso di avvicinarmi, mi avrebbe deviato facendomi trovare dall’altra parte della stanza prima ancora di accorgermene. Avrei potuto provare ad attaccare Marcus, non aveva protezioni, sarebbe stato più semplice, oppure con Caius, era quello più combattivo. No, non avrebbe funzionato, l’interesse che Aro aveva nei confronti del mio dono era troppo alto, avrebbe trovato un modo per perdonarmi e costringermi a unirmi alla loro guardia.
Avrei potuto far vedere il mio aspetto sotto la luce del sole. Sicuramente la visione della mia pelle luminosa e sfavillante, come se fosse ricoperta da un milione di diamanti non sarebbe passata inosservata e sarebbe bastato per far reagire velocemente i Volturi. Non avrei sacrificato degli innocenti per la mia causa e non avrei dato scusanti ad Aro, era costretto a far rispettare la legge e sarebbe stato obbligato ad uccidermi. Era un piano perfetto e mi lasciai prendere dal mio lato melodrammatico.
Sarei andato nella piazza principale, sotto il campanile, in quel punto le mura erano alte, avrei aspettato mezzogiorno, quando il sole era alto e la piazza affollata, e avrei dato spettacolo. Aro, Marcus e Caius si sarebbero pentiti di non aver assecondato la mia richiesta, la prima volta che gliela avevo proposta.
Attesi il momento in un vicoletto, vicino alla torre campanaria. Utilizzai quel mio ultimo tempo per rivivere nella mia mente gli ultimi felici e completi anni, tutti i momenti con lei, con la mia famiglia… ero così assorto nei ricordi, che mi sembrò di sentire la mia adorabile sorellina Alice
Speriamo che arrivi in tempo… che non cambi idea.
Sorrisi al ricordo della sua voce mentale.
Diedi un’occhiata alla piazza, era sempre più affollata ed il sole era alto, ma non ancora abbastanza. Quando il campanile suonò il primo rintocco di mezzogiorno, mi tolsi la maglia e la posai sull’acciottolato. Mi preparai al momento della mia morte. Chiusi gli occhi, rilassai le braccia sui fianchi con il palmo delle mani rivolte all’insù. Finalmente la fine del mio tormento stava arrivando. “Ti amo Bella, ti amerò per sempre” dissi a fil di voce mentre le mie gambe iniziarono a muoversi seguendo il tempo dei rintocchi, sentii pure la sua voce chiamarmi, ormai i miei pensieri erano a briglia sciolta ed andava bene così… finalmente la fine era vicina.
Sentii i pensieri di una bambina
Guarda mamma, quell’uomo luccica,
Il mio piano stava funzionando, il mio corpo non era ancora sotto la luce del sole e già mi stavano notando, sicuramente la fine galoppava verso di me, finalmente.
Stavo ancora muovendomi verso il sole … quando finalmente tutti finì.
Sentii il corpo di Bella a contatto con il mio, il suo calore scaldare il mio corpo ghiacciato, il suo profumo inebriarmi i sensi, la avvolsi tra le braccia e la tenni stretta a me, adesso che l’avevo ritrovata non l’avrei più lasciata andare.
Aprii gli occhi per rimirare il suo volto, i suoi occhi color cioccolato, i suoi lunghi capelli castani, la sua pelle perfetta, le sue labbra rosee.
“Straordinario, Carlisle aveva ragione”
Ero in paradiso come aveva previsto mio padre, la mia anima era salva e si era congiunta con la mia metà, con la mia Bella. Sorrisi beato, ero con lei ed ero in paradiso, e la morte era arrivata così veloce che non l’avevo nemmeno sentita.
Il mio angelo mi parlava ma ero così inebriato dall’estasi che non capii e continuai a gustarmi quel momento paradisiaco.
Le sfiorai piano la guancia con le dita, il calore della sua pelle ricomponeva il puzzle del mio cuore. Mi sentivo bene, intero. Il suono del suo cuore era una melodia per le mie orecchie, mi sentivo perfetto, come se la ferita della lontananza non si fosse mai aperta.
“E’ incredibile, sono stati velocissimi. Non ho sentito niente… che bravi” e le baciai i capelli, annusai il suo profumo e mi coccolai con la loro morbidezza.
“La morte che ha libato il miele del tuo respiro, nulla ha potuto ancora sulla tua bellezza” le mormorai i versi pronunciati da Romeo sulla tomba di Giulietta, anche con lei la morte non aveva potuto far nulla contro la sua bellezza, il suo profumo.
“Hai lo stesso profumo di sempre. Quindi forse questo è davvero l’inferno. Non importa. Resisterò” le dissi, anche se il demone era rimasto imprigionato nel mio corpo da vampiro e non aveva seguito la mia anima in quel luogo. Inferno, paradiso, purgatorio, non importava, l’importante era che fossi con lei.
“Non sono morta. E nemmeno tu! Ti prego Edward, dobbiamo muoverci. Ci prenderanno” Sbottò il mio angelo con voce isterica, mentre si dibatteva tra le mie braccia.
Non capii cosa volesse intendere “Puoi ripetere?” le chiesi confuso
“Non siamo morti, non ancora! Ma dobbiamo andarcene prima che i Volturi…”
Eccolo qui e, da quel che vedo, ha ritrovato la sua amata, o una sua sostituta il pensiero di Felix mi fece capire cosa stava cercando di dirmi il mio angelo. Non era possibile che Felix fosse morto e fosse arrivato in paradiso. Non ero morto, e nemmeno lei.
Ritornai lucido, ma non era il momento di gioire, Felix e Demetri si stavano avvicinando e non avevano intenzioni amichevoli.
Trascinai Bella lontano dal limite dell’ombra, la misi con le spalle al muro e le feci scudo con le mie braccia. Mi voltai verso il vicolo ed attesi l’arrivo delle due guardie.
“Buongiorno, signori” dissi con voce calma e gentile “Non credo che oggi avrò bisogno dei vostri servigi. Vi prego soltanto, per piacere, di portare i miei ringraziamenti ai vostri padroni”
“Vogliamo continuare la conversazione in un luogo più consono?” sussurrò minaccioso Felix serrando le mani in un pugno.
“Non credo sarà necessario. Conosco le vostre istruzioni, Felix. Non ho infranto alcuna regola”
“Felix allude alla vicinanza del sole. Cerchiamo un riparo migliore”
“Vi seguo” replicai secco. “Bella, perché non torni in piazza a goderti la festa?” le disse prendendole dolcemente la mano e spostandola verso la piazza.
“No, la ragazza viene con noi” sussurrò Felix con malizia e muovendosi minaccioso di un passo verso di lei.
“Puoi scordatelo” dissi secco e deciso con il corpo teso pronto allo scontro ed il veleno che grondava dai denti scoperti. Adesso che l’avevo ritrovata, non avrei permesso che la toccassero o le facessero del male. Li avrei uccisi.
“No” bisbigliò Bella con voce piena di terrore
“Shhh” la zittii piano.
“Felix, non qui” disse in tono ragionevole Demetri frapponendosi tra me e la massiccia guardia
“Aro desidera soltanto conversare di nuovo con te, se infine hai deciso davvero di non sfidarci”
“Certamente” risposi cercando di riprendere un tono calmo e deciso “ma lasciate libera la ragazza”
“Mi dispiace, temo non sia possibile” ribatté cortese con un sorriso sul volto e fingendo uno sguardo innocente “Dobbiamo obbedire alle regole”
“Allora temo che non potrò accettare l’invito di Aro, Demetri”
“D’accordo” commentò soddisfatto Felix mentre si preparava allo scontro.
“Aro sarà molto deluso” sospirò Demetri spostandosi lentamente verso la piazza mantenendo inchiodati gli occhi su di me.
“Sono certo che sopravvivrà al dispiacere” ribattei acido senza spostare lo sguardo furioso da Felix.
Si avvicinarono all’imbocco del vicolo, allargandosi leggermente in modo da chiudere ogni sbocco e costringendomi a entrare nella via ed evitare scandali.
Al riparo delle mantelle color grigio, la loro pelle non rischiava il contatto con il sole.
Non mi mossi di un millimetro, sarei morto pur di non mettere in pericolo la mia ritrovata e viva Bella.
Li ho trovati!!! Brava Bella! Ma non li vedo in una bella situazione, devo intervenire velocemente!
Alice! Mia sorella, era lì vicino a me, avevo ancora speranze di far uscire viva Bella da quella situazione.
Demetri e Felix si voltarono di scatto, appena la scia di mia sorella li sorprese.
“Vogliamo darci un contegno?” chiese con voce cristallina “non ci si comporta così di fronte a delle signore”
Mi raggiunse leggera senza tradire alcuna emozione o nervosismo.
L’espressione di Felix si irrigidì, non sopportava le complicazioni e mia sorella era una complicazione. Non poteva sfiorarla, Aro la voleva e se le fosse successo qualcosa lo avrebbe ritenuto responsabile.
“Non siamo soli” disse Alice indicando con il mento la piazza.
Demetri si voltò. A pochi metri di distanza, nella piazza una famigliola ci stava osservando. La madre parlava nervosa con il marito e non toglieva gli occhi dal nostro gruppetto.
Guarda nel vicolo a destra della torre campanaria. Sta succedendo qualcosa, bisogna chiamare la sicurezza.
Distolse lo sguardo solo quando si accorse che Demetri la stava guardando.
Il marito raggiunse uno degli organizzatori della parata vestito con la giacca rossa e gli picchiettò sulla spalla
“Mi scusi, potrebbe seguirmi un attimo? Sembra che ci siano dei disordini in un vicolo”
Demetri scosse la testa e con tono gentile “Ti prego Edward, ragioniamo”
Colsi l’occasione al balzo “D’accordo. Ce ne andiamo subito, pari e patta” e mi incamminai verso l’uscita del vicolo senza lasciare la mano di Bella.
Demetri sospirò nervoso “Almeno lascia che ne parliamo in privato” guardando il mio dorso nudo e leggermente lucente per il riverbero del sole.
Sei uomini in rosso si unirono alla famiglia in piazza e ci fissarono nervosi. Non sapevano se era il caso di intervenire, non stavamo litigando in modo chiassoso e non ci stavamo scontrando, ma la situazione era palesemente tesa. Mentre cercavo di capire i loro pensieri la voce mentale di Jane mi gelò.
Se vuoi le cose ben fatte, devi fartele da te.
Dimenticai gli umani e la speranza mi abbandonò. Non avevo scelta, sarei stato obbligato a seguirli, ero obbligato a portare Bella nel covo dei vampiri più antichi e potenti esistenti al mondo. Ero consapevole che il dolce profumo del suo sangue sarebbe stato un ottimo invito per i miei simili, ma ero anche risoluto a staccare le loro teste se si fossero azzardati a sfiorarla.
“No” dissi tra i denti serrati, nascondendo Bella con il mio corpo.
Felix sorrise compiaciuto, mentre osservava Jane avvicinarsi.
“Piantatela” ci riprese con voce acuta e melodiosa
Demetri e Felix si ricomposero, abbandonando la posizione d’attacco e tornarono a mescolarsi nella penombra.
Alice incrociò le braccia al petto, impassibile, mentre osservava la figura avvicinarsi.
“Jane” la salutai con un sospiro rassegnato.
“Seguitemi” ci ordinò e si voltò facendoci strada.
Felix ci indicò di precederlo, con un sorrisetto soddisfatto.
Non vogliono farci del male, almeno, non ancora. Assecondiamoli! Mi assicurò Alice mentre si portava subito dietro Jane.
Cinsi i fianchi di Bella con il braccio e la avvicinai ad Alice, in modo da averla protetta da entrambi i lati.
Il vicolo diventava sempre più stretto ed in discesa. Bella mi lanciò uno sguardo inquieto e pieno di interrogativi. Scossi la testa per rassicurarla. Al momento non ci avrebbero fatto del male.
Beh, Alice” dissi per spezzare il silenzio mentre camminavamo, e cercando di diminuire la tensione che stava facendo tremare debolmente Bella “Immagino che non dovrei essere sorpreso di trovarti qui”
“E’ stata colpa mia. Toccava a me cercare di rimediare”
“Cos’era successo?” cercai di parlare senza tradire alcuna emozione, per non suggerire niente ai nostri custodi, ma molte emozioni stavano dimorando nel mio corpo. La felicità che Bella fosse viva, la curiosità di sapere cosa era successo, la rabbia di aver di nuovo messo Bella in pericolo.
“E’ una storia lunga” Alice lanciò un’occhiata fulminea a Bella “Per farla breve, si è tuffata dallo scoglio, ma non voleva suicidarsi. Bella si è data allo sport estremo, di recente”
Bella arrossì e abbassò lo sguardo, mentre Alice mi faceva un breve resoconto di cosa era successo.
Vidi Bella sullo scoglio, il suo tuffo verso le acque ingrossate dalla tempesta che si avvicinava e poi il nulla. Mi raggelai e sentii una forte fitta al cuore. Vederla lanciarsi da quell’altezza e il pericolo di quella azione, anche se ne conoscevo l’esito, fu terribile. Compresi perché Alice era giunta a quella conclusione.
Sentii la spiegazione di Alice: “Quando ci sono di mezzo i licantropi le mie visioni hanno dei buchi, non posso vederli. Quindi non ho visto che la traevano in salvo, ed essendo in compagnia di uno di loro continuavo a non vederla” Il volto del giovane Quileutes si presentò nitido nei suoi pensieri. Aveva i capelli corti ed il viso era leggermente più spigoloso, più maturo. Faticai a riconoscerlo, era molto più adulto di come me lo ricordassi.
Vidi Jacob Black, nel salotto di casa Swan, le braccia che tremavano, i pugni serrati e il volto pieno di odio. Lo vidi guardare Bella con occhi innamorati e lucidi che la imploravano di non partire per venire a salvarmi, la paura di perderla era molto forte, così tanto che la percepii anche attraverso gli occhi di mia sorella. Provai pietà per lui. Ripensai alla visione di Bella sulla spiaggia in compagnia di una figura sfocata. Quindi l’alternativa ad un vampiro per Bella era un licantropo.
Tantissime emozioni mi stavano assalendo, ma una cosa era certa, Bella attirava i guai come una calamita e la mia lontananza aveva peggiorato la situazione, l’alternativa era ancora più pericolosa. Adesso avevo una scusa per tornare a Forks e stare per tutto il tempo concesso dal decorso della vita umana con lei. Avrei voluto saltare e gioire per quella consapevolezza, ma non era il luogo ed il momento adatto e, con grande sforzo, mi trattenni.
Giungemmo a una curva stretta, in discesa, in un vicolo cieco che terminava con un muro di mattoni a faccia vista. Jane entrò con disinvoltura all’interno di un tombino situato a pochi metri dal muro. Alice, con grazia spontanea, la seguì all’interno del buco.
L’apertura era piccola e scura, Bella trasalì.
“Stai tranquilla Bella” le dissi a bassa voce per tranquillizzarla “Ti prenderà Alice”
Osservò il tombino con faccia dubbiosa e con un certo timore si sedette ed infilò le gambe all’interno del varco stretto. Si assicurò che ci fosse Alice chiamandola con un sussurro tremante e, quando mia sorella le confermò con voce cristallina e sicura che l’avrebbe presa, respirò profondamente e chiuse gli occhi.
“Pronta?” chiesi ad Alice che si trovava sul fondo del varco.
“Mollala” mi confermò allungando le braccia.
Presi per i polsi Bella e l’aiutai a scendere. Tratteneva il respiro e tremava leggermente, ma non urlò né si fece prendere dal panico. Appena fu sul fondo, mi calai anche io, seguito dalle due guardie.
Il fondo non era buio, c’era una luce fioca provocata dal tenue bagliore dell’entrata che rifletteva sulla pietra umida della pavimentazione.
Appena le fui accanto la cinsi con il braccio e la aiutai a camminare. La pavimentazione irregolare e la poca luce non potevano andare d’accordo con il poco equilibrio del quale era dotata, e poi era piacevole sentirla nuovamente tra le mie braccia, essere di nuovo il suo protettore.
Si aggrappò ai miei fianchi e inciampò sovente sulla superficie irregolare. Il rumore della grata pesante che scivolava alle nostre spalle e richiudeva il tombino riecheggiò metallico e definitivo, Bella fece un sussulto e si strinse ulteriormente al mio corpo.
Il battito frenetico del suo cuore e lo strisciare dei suoi piedi incerti sulle pietre umide era l’unico rumore che spezzava il silenzio di quel cunicolo.
Va bene che abbiamo l’eternità davanti, ma non vorrei passarla tutta in questo vicolo per causa di quell’umana pensò Felix sbuffando.
La tenevo stretta a me con un braccio e con la mano libera le sfiorai il viso accarezzandole il contorno delle labbra con il pollice. Non riuscivo ancora a credere che lei fosse lì con me, tra le mie braccia e avrei voluto fermarmi nel mezzo di quel cunicolo e unire le sue labbra con le mie. Mi trattenni, ma non riuscii a resistere alla tentazione di accarezzarle i capelli con il viso annusandone il profumo o sfiorarle con un tocco leggero delle labbra la fronte. La Bella delle mie visioni non era profumata e bella come nella realtà, la mia memoria non era perfetta come avevo sempre creduto.
Il sentiero che percorrevamo scendeva ripido, sempre più in profondità e man mano che scendevamo il respiro di Bella si faceva più ansioso e il battito del cuore accelerava. Continuai a coccolarla con carezze e piccoli baci sulla nuca per tranquillizzarla, ma il suo cuore non intendeva decelerare.
Procedevamo sotto le basse arcate di una galleria, dalle pietre affioravano lunghe scie di umidità.
Bella tremava battendo i denti, aveva i vestiti umidi e la temperatura nel cuore della città era sicuramente glaciale. A malincuore dovetti allontanare il mio gelido corpo dal suo, per non diminuire ulteriormente la sua temperatura corporea, ma non volevo lasciarla e le presi la mano, maledicendo la mancanza di guanti.
“Nnno” balbettò stringendomi in un abbraccio.
Non volevo turbarla, ma nemmeno congelarla, la scostai dolcemente dal mio corpo e rimanendole accanto iniziai a frizionarle le braccia con le mani, sperando di darle un po’ di sollievo. Non avevo nemmeno la maglia da metterle sulle spalle, l’avevo lasciata nel vicolo vicino alla torre campanaria. Vidi la grata alla fine del tunnel, ancora pochi metri e saremmo arrivati in un ambiente più caldo. Al termine della galleria vi erano una grata con grosse sbarre di ferro arrugginite e una portina con sbarre più sottili e intrecciate. Attraversai la porticina chinando il capo dato che era molto bassa ed entrai in un salone luminoso e caldo. Bella era più rilassata ed aveva smesso di tremare. Attraversammo la sala procedendo verso la porta in legno massiccio all’altro capo.
Appena la varcai riconobbi il corridoio con la moquette grigia e le pareti bianche. Serrai le mascelle teso, ci stavamo avvicinando sempre di più ad Aro ed ai suoi fratelli.
La pesante porta alle nostre spalle cigolò e venne chiusa con un chiavistello. Eravamo in trappola.
Accanto all’ascensore ci attendeva Afton, ritto con le spalle ed il viso composto, fasciato nella sua veste da guardia.
Finalmente sono tornati. Ma perché camminano così lenti? Sento odore di umano, forse hanno trovato del cibo.
Con delicatezza e cercando di non farmi notare da Felix e Demetri, strinsi Bella con un braccio e feci un cenno ad Alice che, con disinvoltura, si affiancò sull’altro lato. In quella posizione avremmo potuto difenderla facilmente se qualche abitante della casa l’avesse scambiata per uno spuntino.
Jane ci attendeva con espressione apatica dall’ascensore che ci teneva aperto con una mano.
Finalmente a casa, possiamo liberarci di queste tuniche pensò Felix contento, anche se dall’esterno non aveva mutato la sua faccia cupa e rissosa. Appena entrammo in ascensore aprì la mantella e si lasciò scivolare il cappuccio sulle spalle. Demetri lo copiò.
In quel angusto spazio non tolsi gli occhi da Jane e continuai a leggerle i pensieri per poter reagire nel caso in cui avesse deciso di usare il suo potere.
Aro sarà fiero di me! pensava soddisfatta. L’ammirazione che provava per il suo padrone rasentava un sentimento simile all’amore.
Continuai a massaggiare il braccio ora caldo di Bella, quel gesto mi aiutava a mantenere la calma.
Terminato il breve viaggio, sbucammo nella sala d’attesa con le poltroncine di pelle e i tavoli adornati con vasi ricolmi di fiori. Quando Bella vide Gianna intenta nel suo lavoro dietro la scrivania di mogano al centro della stanza, ne rimase stupita.
Anche Gianna rimase stupita, ma non nel vedere Bella, quanto nel vedere Felix.
Ommioddio, Felix. Spero di avere i capelli a posto. O mio Dio, che imbarazzo, come faccio a farmi notare. Potrei fargli l’occhiolino… no, no… potrei sbottonarmi leggermente la camicetta con fare accaldato …. No, no … potrei far finta di inciampare e cadergli tra le braccia …
Anche se i suoi pensieri galoppavano verso strane fantasie con Felix, si alzò con atteggiamento professionale e salutò con un sorriso “Buon giorno Jane” disse lanciando occhiate furtive verso il soggetto delle sue fantasie.
“Ciao Gianna” le rispose piatta Jane, continuando a camminare verso la porta di legno a doppia anta in fondo al locale.
Passando davanti alla scrivania, Felix strizzò l’occhio all’umana, il cuore della poverina iniziò a battere velocemente e il suo viso si colorò.
Ommioddio, ommioddio… mi ha notata, mi ha notata!!!
Fece solo un risolino come risposta, ma se avesse potuto si sarebbe messa a saltellare per la stanza.
Oltre la soglia, Alec ci stava attendendo, composto nel suo vestito perla e con le mani dietro la schiena sorrise con fare compiaciuto alla sorella. Appena la porta si richiuse con lo scatto della serratura, si mosse verso di noi salutandoci in modo cordiale. Jane lo abbracciò e si baciarono sulle guance.
“Esci a prenderne uno e ne riporti indietro due … e mezza” precisò squadrando Bella con occhi curiosi.
Jane era entusiasta del complimento e per la prima volta la vidi sprizzare gioia come una bambina.
“Bentornato Edward. Mi sembri finalmente di buon umore” disse con un sorrisino sulle labbra
“Un poco” risposi senza tradire emozioni, anche se la rabbia stava dominando ogni parte di me.
Alec ridacchiò vedendo Bella aggrappata al mio braccio e con un una lieve smorfia mi domandò
“Questa sarebbe la causa di tutti i problemi?” Non ha un profumo particolare e non è nemmeno bella. Chissà cosa ci vede in questa umana, è identica a tutti gli altri pasti - pensò intanto
Cercai di trattenermi e gli risposi con un sorriso pieno di disprezzo.
Sapevo che in fondo a quel corridoio c’era il nostro destino. Avevo ritrovato Bella dopo mesi di tormento ed era viva, non avevo intenzione di continuare ad obbedire ai loro ordini, non sarei entrato nel salone, non avrei portato Bella in una stanza senza uscita, per donarla come pasto. Mi immobilizzai.
“Fatti avanti” disse tranquillo Felix da dietro
Forza entrate e mettiamo fine a questa storia, che ho fame.
Mi voltai e guardandolo dritto negli occhi lo minacciai con un ringhio cupo. Sarebbe dovuto passare sulle mie ceneri, prima di poter anche solo sfiorare la mia amata.
Fatti avanti ragazzino sorrise mentre con l’indice mi invitava a sfidarlo.
Tesi i muscoli ed il veleno mi riempì la bocca. Stavo per avventarmi contro di lui, lieto di poter dar sfogo alla rabbia che stavo trattenendo dal vicolo, quando Alice mi sfiorò il braccio.
Vidi il mio corpo straziato dal dolore, gli occhi spalancati e la bocca aperta, impotente mentre trascinavano Bella ed Alice, completamente controllate dal potere di Alec, oltre la porticina nascosta in fondo al corridoio.
 “Sii paziente” mi ammonì e mi mostrò cosa sarebbe potuto succedere se in quel momento riacquistavo il controllo delle mie azioni.
Vidi noi tre uscire dalla stanza della torre, Aro e i fratelli sembravano compiaciuti e Bella era salva.
Non credo ci abbiano fatti venire per ucciderci. Quindi mantieni la calma.
Feci un respiro profondo, ricacciai indietro il veleno e distesi i muscoli, cercando di sentire la quiete che riprendeva il controllo del mio corpo. Distesi le braccia sui fianchi con le mani aperte per farle capire che avrei mantenuto la calma e con sguardo impassibile guardai Alec, in attesa che ci facesse strada
“Aro sarà lieto di rivedervi” disse come se nulla fosse successo
“Non facciamolo aspettare” suggerì Jane impaziente di sentire i complimenti di Aro
Ritornai al fianco di Bella, e la cinsi con il braccio, la volevo sentire vicina. Le visioni di mia sorella potevano cambiare, avevo una speranza di uscire da quell’inferno con lei viva, ma la mente delle persone cambia idea velocemente modificando il futuro, non avevo la certezza che avrei potuto gustarmi la sua vicinanza ancora per molto.
I gemelli si presero per mano e ci fecero strada lungo il corridoio ampio e ricco di decorazioni. Bella era tesa, il cuore le martellava nel petto e il respiro era affannato. Cercai di consolarla con le carezze e aumentai leggermente la stretta dell’abbraccio. Le baciai i capelli e li sfiorai con la guancia, ma quando attraversammo il pannello che nascondeva l’entrata all’anticamera il suo corpo iniziò a tremare mentre lacrime silenziose le rigavano il viso.
Entrammo nel centro della torre. Bella osservò la stanza affascinata e impaurita, con gli occhi ancora lucidi e le guance arrossate.
Notò le mogli e l’arcobaleno che la loro pelle irradiava sulle pareti e si soffermò sul gruppo di persone vestite con abiti anonimi che chiacchierava in modo rilassato al centro della stanza.
Finalmente! E sento anche l’odore di un umano, potrò provare ciò che mai avrei sperato!
Aro, si girò verso di noi, il viso estasiato e felice, con le mani rivolte verso l’alto come per ringraziare gli dei di un grande dono.
Bella era esterrefatta dalla grazia irreale del Volturo, lo osservava come un turista osserva un’opera d’arte. Il suo interesse era in particolar modo fisso sul viso dell’antico. Era aggrappata al mio braccio ed il cuore tradiva la tensione del suo animo, ma la curiosità della sua mente non teneva conto delle altre emozioni.
Aro scivolò accanto a Jane, le prese la testa fra le mani pallide, le diede un bacio leggero sulle labbra carnose.
“Sei stata veramente brava! Me lo hai riportato tutto intero!” la lusingò con un tono troppo basso per esser sentito da Bella.
“Sì, Signore” sorrise soddisfatta Jane “L’ho riportato indietro vivo, proprio come avete chiesto”
“Ah, Jane, che conforto mi dai” la elogiò ricambiandole il sorriso.
Alzò lo sguardo annebbiato sul nostro trio e il sorriso si illuminò “Ci sono anche Alice e Bella” esultò con un battito delle mani “Che lieta sorpresa! Meraviglioso!”
Devo farlo vedere ai miei fratelli, ma che bel dono, che gran giorno!
Con tono impaziente e sereno, si rivolse al nerboruto custode “Felix, sii gentile e annuncia ai miei fratelli che abbiamo visite. Sono sicuro che non resisteranno all’invito”
Felix annuì e sparì dietro la soglia.
“Vedi, Edward?” si voltò verso di me e mi sorrise come un nonno affettuoso che riprende il nipotino “Cosa ti avevo detto? Non sei lieto di non aver avuto ciò che mi hai chiesto ieri?”
“Sì, Aro, lo sono” risposi, senza staccare lo sguardo dai suoi occhi lattiginosi, e strinsi leggermente il braccio sul fianco di Bella
“Adoro i lieto fine!” sospirò “sono così rari. Ma voglio sentire tutta la storia. Com’è potuto accadere? Alice?”. Si voltò verso di lei con sguardo curioso. “Tuo fratello ti credeva infallibile, ma a quanto pare c’è stato un errore”. Chinò leggermente la testa di lato come per ammonirla di quell’errore, ma non riuscendo a nascondere la meraviglia che provava per il suo potere.
“Ah, sono tutt’altro che infallibile” rispose con un sorriso brillante e il viso innocente, ma con i pugni nascosti ben serrati. “Come hai potuto vedere tu stesso, risolvo tanti problemi quanti ne creo”
“Sei troppo modesta” commentò Aro “Ho seguito certe tue imprese straordinarie e devo ammettere di non aver mai osservato doti come le tue. Meraviglioso.”
Cosa gli hai raccontato? Ma sei impazzito?
Guardai verso Bella e poi verso di lei, per farle segno di no, non avevo raccontato nulla, cercai di ripescare i pensieri che aveva visto nella mia mente, ma nessuno parlava esplicitamente del potere di Alice. Le uniche visione erano quelle della trasformazione di Bella, quella dello sconosciuto offuscato e quella della sua morte, e tutte si erano rivelate errate o poco precise.
Cercai nei pensieri di Aro e vidi le visioni di Alice che si erano rivelate corrette, erano vecchie o poco rilevanti, alcune le avevo completamente accantonate, quasi dimenticandole. Non mi ero accorto che il potere di Aro potesse arrivare così in profondità.
Guardai il pavimento mortificato per quella mia mancanza.
Che potere fantastico poter leggere così facilmente le menti
Aveva notato il nostro dialogo silenzioso e continuò:
 “Scusa, non ci siamo ancora presentati, vero? E’ solo che mi sembra di conoscerti già e a volte mi faccio prendere la mano. Tuo fratello mi ha raccontato di te ieri, in maniera piuttosto singolare. Vedi, ho un certo talento in comune con lui, ma purtroppo il mio deve sottostare a certi limiti” scosse la testa invidioso.
Quindi sente ciò che ti dico! Potevi avvisarmi!!! E potevi tenere la bocca chiusa, non scendere nei particolari!!  urlava tradita.
“Ma è di gran lunga più potente” aggiunsi secco per far capire ad Alice che era giunta a conclusioni affrettate “Aro ha bisogno del contatto fisico per ascoltare i pensieri, ma riesce a coglierne molti più di me. Come sai riesco a sentire lo scorrere dei pensieri. Aro percepisce ogni pensiero che la mente della persona abbia mai generato”  
Quindi lui non sente cosa ti sto dicendo o sto pensando?
La guardai di sottecchi come conferma.
Fiu! Meno male! E quindi ha visto senza che tu lo pensassi…
Confermai chiudendo per un secondo gli occhi.
Scusa se ho dubitato sulla tua correttezza!
“Ma sentirli a distanza…” sospirò Aro guardandoci invidioso di non poter sentire conoscere il discorso silenzioso che era appena avvenuto “…sarebbe davvero opportuno” puntualizzò osservandoci con curiosità.
Perché si dà tanta pena per il figlio di Carlisle, dovevo ucciderlo, almeno non ci avrebbe più disturbato con quel pensiero Caius entrò, preceduto da Felix, nel salone.
Marcus lo seguiva con passo lento e svogliato, ma appena varcò la soglia Mmmm, che relazione forte, mai percepita in tanti anni!
Tutti i presenti nella stanza si voltarono per il loro arrivo.
“Marcus, Caius, guardate! Infine, Bella è viva e assieme a lei c’è Alice! Non è meraviglioso?” li accolse con entusiasmo, sembrava un bambino che indicava i regali sotto l’albero ai genitori il giorno di Natale.
Nessuno dei due fratelli sembrava considerare la situazione meravigliosa. Marcus, con fare annoiato si avvicinò al fratello e gli prese la mano, mentre Caius palesemente scocciato dal disturbo andò a sedersi su un trono di legno.
“Sentiamo la vostra storia” disse con voce sottile e leggermente infastidita
Marcus si trattenne accanto ad Aro
La loro relazione è molto robusta e molto intensa. Non è comune. Tra Edward e l’umana è una catena indissolubile. Tra i due fratelli la relazione è molto profonda, pari all’unione tra fratelli di sangue umani. La vampira ha intrecciato un legame fraterno con l’umana. Sono tutte relazioni molto salde, difficili da spezzare. Sento, anche se è dall’altro capo dell’emisfero, il legame che li lega a Carlisle ed agli altri membri del clan. Carlisle è il centro di questa relazione, è il fulcro ed è molto forte.
Sbuffai all’idea che riuscissero a divederci, non avevo bisogno di poteri per sapere che il legame che ci univa era indistruttibile e sapevo che mio padre era il fulcro, colui che aveva creato e unito la mia famiglia.
Alice mi guardò incuriosita
Cosa si sono detti?
Non le risposi, glielo avrei spiegato più tardi, se un “più tardi” esisteva.
“Grazie, Marcus, osservazione interessante” enunciò scostando la mano dal fratello.
Marcus filò via per unirsi al fratello seduto. Le guardie personali lo seguirono in silenzio.
Aro scosse la testa incredulo ma sorridente “Stupefacente. Davvero stupefacente!”
Alice era irritata
Dimmelo. Non farmi stare sulla corda! Dimmelo!
Mi voltai e frenetico a voce bassa le spiegai “Marcus vede le relazioni tra le persone. E’ sorpreso dall’intensità della nostra”
Aro sorrise “Davvero opportuno” rimuginò tra sé “Ce ne vuole per stupire Marcus, ve lo garantisco”
Quindi separarli sarà più complicato del previsto ed il fulcro è Carlisle…
“Ancora faccio fatica a crederci” cambiò argomento per evitare che cogliessi i suoi veri pensieri e guardando il mio braccio che avvolgeva Bella continuò “Come fai a starle così vicino?”
“Mi costa un certo sforzo” replicai calmo. Mi accorsi in quel frangente che il demone era svanito, la sua vicinanza in quel momento aveva risvegliato solo il mio amore e la mia rinata parte umana, il suo profumo mi inebriava, ma non scatenava il bruciore della sete.
“Eppure … è la tua cantante! Che spreco!”
“Per me è il prezzo da pagare” sorrisi senza buonumore.
“Un prezzo molto alto” disse scettico e rivisse i miei ricordi e le mie emozioni di fronte al suo sangue.
“Ma equo”
“Se non avessi sentito il suo odore nei tuoi ricordi, non avrei mai potuto credere che il richiamo del sangue potesse essere così forte. Nemmeno io ho mai provato nulla di simile. La maggior parte di noi darebbe qualsiasi cosa per un dono come questo, eppure tu …”
“Lo spreco” terminai sarcastico
“Ah, come mi manca il mio amico Carlisle! Gli somigli molto … lui però non è così arrabbiato” dichiarò ridendo
“Carlisle ha molte più qualità di me”
“Pensavo che nessuno potesse tenergli testa quanto ad autocontrollo, ma tu lo superi, di gran lunga”
“Non direi” cercai di tagliar corto. Volevo che quella farsa finisse, che mettesse in chiaro il vero motivo della nostra presenza in quella stanza. Cercai di carpirlo dai suoi pensieri, voleva testare il suo potere su Bella e voleva che io ed Alice ci unissimo alla sua guardia. Quindi perché continuava a parlare di mio padre?
“Sono soddisfatto del suo successo. Il tuo ricordo di lui è un vero regalo e devo ammettere che mi ha molto sorpreso. E’ incredibile quanto mi faccia … piacere, che sia riuscito a seguire una strada così poco usuale con risultati tanto positivi. Temevo che, con il passare del tempo, si sarebbe perso e demoralizzato. Mi prendevo gioco del suo desiderio di trovare qualcuno che condividesse le sue idee bizzarre. Eppure, chissà perché, sono lieto di essermi sbagliato”
Preferii non rispondere.
“Ma un tale autocontrollo da parte tua! Non credevo che una simile forza fosse possibile. Assuefarti al canto della sirena, non una volta sola, ma tanto a lungo… se non l’avessi percepito io stesso, non ci avrei creduto” disse con ammirazione.
Nella sua mente mille pensieri su come si sarebbe comportato al mio posto, mi fecero ribrezzo, soffocai un ringhio e ingoiai il veleno che mi aveva invaso.
“Il ricordo di quanto ti affascini … è tale da stuzzicare la mia sete” mi provocò nel tentativo di farmi rispondere.
Mi irrigidii, avrebbe avuto la testa staccata dal corpo ancor prima di sfiorarle il collo.
“Non essere inquieto Edward. Non le farò del male. Ma sono molto curioso di una cosa in particolare”
Voglio vedere se sei tu che hai delle pecche nel dono o è lei ad essere immune ai nostri poteri. Tu non sei curioso?
 “Posso?” chiese interessato
“Chiedilo a lei”
“Ma certo che maleducato! Bella” disse rivolgendosi con voce gentile e premurosa “Mi affascina il fatto che tu sia l’unica eccezione al talento straordinario di Edward… è un avvenimento unico e interessante! E mi chiedevo, visto che i nostri poteri si somigliano molto, se potessi essere tanto gentile da farmi provare per capire se anche per me costituiresti un’eccezione”
Mi guardò terrorizzata. Le feci un cenno di incoraggiamento, non le avrebbe fatto del male, in quel momento era un bambino che voleva provare il giocattolino nuovo.
Si avvicinò all’antico e alzò lentamente la mano tremante.
Finalmente… che bell’esperimento! Come sono emozionato! Forse il fatto che sia la sua cantante inibisce il dono. Chissà che pensieri può avere questa umana che ha portato tanto scompiglio.
Le si fece accanto e sicuro di riuscir a vedere ciò che per me era celato le cinse la mano. La fissò negli occhi concentrato. Entrai nella sua mente, ero curioso di sapere e di vedere. Il nulla, il silenzio assoluto.
L’espressione di Aro cambiò a poco a poco. La fiducia cedette il passo al dubbio e poi all’incredulità e infine ad una maschera amichevole.
Non è possibile!
Sorrisi compiaciuto. Ero quasi riconoscente ad Aro, mi aveva confermato che i pensieri di Bella erano nascosti perché lei era speciale e non perché il mio dono aveva delle falle.
Fui felice e grato che la sua mente fosse al sicuro dall’antico o da chiunque avesse un potere simile al nostro.
Come è mai possibile! Che particolarità! Che potenzialità … Vedere il futuro, sentire i pensieri, aver la mente sigillata … e il tutto nelle mani di Carlisle …
Deviò i pensieri, si ricordò che lo stavo ascoltando e non gli piaceva essere origliato. Mille pensieri senza nessun filo conduttore gli invasero la mente, iniziai a sentire il capogiro e fui obbligato a chiuderlo fuori per riprendere l’equilibrio.
“Che sia immune ai nostri poteri?” solo alla lettura del pensiero, oppure … “Jane… cara?”
“NO” ringhiai
Fermati Edward!!! - pensò Alice mentre mi prendeva per il braccio, ma la scrollai via.
Ma è impazzito!
Cosa crede di fare! Si è firmato la condanna a morte!
Tutto questo per una sciatta umana!
L’ho sempre pensato che fosse un folle!!
Come osa!
Mille pensieri stupiti ed increduli mi sfociarono in testa, i presenti mi guardavano immobili, increduli della mia sfacciataggine.
Forza bello, fai un passo falso! Dai che è dal vicolo che non vedo l’ora di romperti quel bel musetto da vegetariano!
 “Sì, Signore?” rispose sorridente la malefica vampira.
Inchiodai con lo sguardo Aro e continuai a ringhiare minaccioso, fermato solo dal timore di allontanarmi da Bella, di lasciarla scoperta.
Felix sorridente fece un passo avanti.
Dai ragazzo, fai il primo passo, forza! Che mi prudono le mani! Dai!
Non premetterti di rovinarmi il divertimento! Aro lo riprese con lo sguardo e lui si inchiodò e, con espressione delusa, tornò al suo posto.
“Mi chiedevo, mia cara, se Bella fosse immune anche a te”
Lasciai il fianco di Bella e mi parai davanti facendole scudo. Non avrei permesso a quella sadica di provare il suo potere su di lei. Ringhiai e mi scagliai contro la vampira.
Dolore
Un dolore agonizzante, mi trapassò il corpo. Ogni parte interna, ogni singolo organo era tornato a vivere e si disfaceva dall’interno. Sentii i muscoli staccarsi uno ad uno dallo scheletro, ogni singolo osso spezzarsi e frantumarsi lacerando i muscoli contratti. Sentii il fuoco lambire le mia pelle di marmo e lacerarla in ogni singolo pezzo. Ogni singolo atomo del mio corpo implodeva ed esplodeva. Gli occhi cercavano di uscire dalle orbite e la lingua attorcigliarsi strappando i denti.
Non urlai, non li avrei resi felici del mio dolore. Il dolore provato per la perdita di Bella, prima nella lontananza con la certezza di non vederla mai più e poi la consapevolezza della sua morte, erano stati dolori ancora più atroci, la mia mente poteva sopportare quel dolore, era abituato a nemici più grandi.
Non sentivo nulla, la mia mente era sorda con l’esterno, troppo impegnata a patire per il dolore del corpo.
Tutto finì, il mio corpo si ricompose e il dolore svanì completamente, senza lasciarne traccia.
Sentii mia sorella dire a denti stretti “Sta bene” e con quella sferzata la forza ritornò nel mio corpo.
Mi sedetti a terra e subito dopo mi rialzai per tornare tra le braccia di Bella.
Dolore la voce mentale di Jane.
Con il terrore negli occhi guardai Bella, era tra le braccia di mia sorella ed era preoccupata per me. Mi fissava con quegli occhi cioccolato pieni di domande, non si stava accorgendo dell’attacco di Jane.
Dolore continuò concentrandosi maggiormente.
La guardai, il suo serafico sorriso era svanito, sostituito da un’espressione torva.
Bella capì cosa stava succedendo ed attese serrando le mascelle. Le fui subito accanto, sfiorai il braccio di mia sorella e cinsi il suo fianco con il braccio per sorreggerla.
“Ah, Ah, Ah! E’ meraviglioso!” rise Aro battendo leggermente le mani in estasi.
Jane sbuffò, frustrata, e si chinò in avanti per attaccare.
Ho un altro metodo per farti provare dolore!
“Non essere dispiaciuta, cara” la confortò Aro sfiorandole delicatamente la spalla con la mano “Siamo tutti in difficoltà”
Interessante, mai vista una cosa del genere pensò Caius, che non era più seduto sul trono, ma in piedi poco distante dal fratello.
“Ah, Ah, Ah” continuò a sogghignare Aro “Sei davvero coraggioso, Edward, a sopportare in silenzio. Una volta ho chiesto a Jane di colpire anche me, per pura curiosità”. Scosse la testa ammirato e nei suoi ricordi potei sentire le urla e riprovare il dolore, ma mi allontanai subito da quei pensieri.
“E adesso, cosa facciamo di voi?” sospirò.
Sono tutti e tre molto interessanti … uno spreco farli andare via, in particolare la mortale, mi incuriosisce tantissimo… chissà che potenzialità una volta trasformata!
Rimasi impietrito, guardai Alice, ma la mente di Aro stava vagliando troppe ipotesi, per capire con certezza quale sarebbe stata la nostra sorte.
“Immagino che le possibilità che tu abbia cambiato idea siano minime” mi chiese speranzoso e mi vidi vestito con il mantello grigio nei suoi pensieri “le tue doti sarebbero le benvenute nel nostro drappello”
Ma cosa ci vede in lui? La nostra privacy sarebbe annullata, e poi è uno schifoso vegetariano! pensarono all’unisono Jane e Felix.
Cercai di vedere in Alice, il futuro per quella scelta. Ma Bella non ne usciva viva.
“Preferirei … di … no!”
“Alice? Forse tu sei interessata a unirti a noi?” chiese fiducioso
“No ti ringrazio” rispose gentilmente
“E tu, Bella?” vidi nei suoi pensieri Bella pallida in volto, un volto di marmo, senza emozioni e con gli occhi cremisi accanto a Aro ed ai suoi fratelli.
Mi sfuggì un ringhio.
Bella esitava, gli occhi correvano tra me e Aro, non capiva cosa intendesse e non sapeva cosa doveva rispondere.
“Che cosa?” sussurrò Caius sorpreso dalla domanda del fratello
“Caius, non dirmi che non ne vedi le potenzialità” lo apostrofò affettuoso Aro “Non incontro talenti così promettenti da quando abbiamo trovato Jane e Alec. Ti rendi conto di quali possibilità avrebbe, se si trasformasse in una di noi?”
Effettivamente sarebbe comoda per riportare informazioni riservate, ma non sapremmo mai con certezza la sua lealtà. - pensò Caius guardando il pavimento scocciato.
Ma come può mettermi a confronto di quella stupida umana Jane si sentiva offesa dal paragone.
Cercavo di rimanere fermo, ma il pensiero di Bella trasformata in vampiro per compiacere i Volturi mi faceva ribollire di rabbia.
“No, grazie” rispose in un sussurro spaventato
Aro sospirò dispiaciuto “Che peccato, che spreco” e si immaginò mentre la uccidevano.
“La proposta è “unitevi a noi o morirete”, vero? L’ho capito appena siamo entrati. Con tanti saluti alle vostre leggi” sibilai, sapevo che non si sarebbero mai esposti in quel modo e, renderlo evidente davanti al pubblico che ci osservava in silenzio, era l’unico modo per metterlo alle strette.
“Certo che no” rispose perplesso guardandomi con occhi innocenti, come se avessi frainteso le sue motivazioni “Eravamo qui riuniti, Edward, in attesa del ritorno di Heidi. Non di voi”
Non può lasciarla viva, sa troppe cose sul nostro mondo, sarebbe pericoloso!
“Aro, la legge li reclama” sibilò Caius
Lo incenerii con lo sguardo.
“Spiegati” lo istigai a dire ad alta voce i suoi pensieri per poter controbattere.
“La ragazza sa troppo. Le hai rivelato i nostri segreti” spiegò indicando con un dito accusatorio la mia amata
“Eppure mi sembra che nella vostra combriccola ci siano altri umani” precisai, anche loro avevano rivelato il nostro segreto.
Si, ma solo per potermene cibare, ma tu sei un schifoso vegetariano, non la tieni come scorta di cibo.
“Sì” confermò ad alta voce “ma quando non ci sono più utili, diventano una fonte di sostentamento. Tu non farai altrettanto con lei. Se rivelasse i nostri segreti, saresti pronto a distruggerla? Credo di no!” sorrise compiaciuto certo di aver vinto la disputa.
Non sarei mai stato capace di uccidere colei che mi aveva fatto conoscere l’amore, la mia metà e l’unica motivazione di continuare quella mia esistenza dannata. Sapevo che potevo fidarmi di lei, che non sarei mai stato obbligato a farla tacere. Ero certo della sua fedeltà, me l’aveva dimostrata in più occasioni, anche quando mi conosceva appena e non aveva nessun motivo di proteggere il mio segreto.
“Io non …” sussurrò Bella, ma venne subito zittita dallo sguardo gelido di Caius.
“E non sei nemmeno disposto a trasformarla in una di noi” proseguì “Perciò lei rappresenta un punto debole. E’ la sua vita che reclamiamo. Voi potete andare, se lo desiderate”
Scoprii i denti come avvertimento, non mi sarei mosso senza di lei. Non l’avrei persa di nuovo, ero disposto a lottare per salvarla, o sarei morto nel tentativo. Ma sicuramente le nostre vite non sarebbero state nuovamente separate.
“Come pensavo” concluse felice Caius.
Finalmente, posso divertirmi un po’ pensò Felix mentre si avvicinava scrocchiando le dita.
Vagliai i miei nemici:
Aro, era il più vicino, il suo unico potere era leggere nella mente, ma solo con il contatto. I suoi unici pensieri erano rivolti verso il potere e la sua collezione di tesori, sia materiali sia nuovi membri speciali per la sua guardia. Non era avvezzo alla lotta, lo avrei ucciso velocemente, ma prima dovevo torcere il collo a Renata, la sua guardia del corpo, con lei vicino, ogni mio tentativo di attacco sarebbe stato deviato.
Caius, era distante, vicino all’altro fratello, era aggressivo ed era un buon stratega, non aveva poteri extra, solo un brutto carattere ed una grande capacità a organizzare velocemente una lotta, era il secondo da dover uccidere, prima che organizzasse la difensiva.
Marcus, sedeva annoiato, percepii il vuoto che la morte della sua amata Didyme, sorella di Aro, per mano di quello stesso fratello, gli aveva lasciato nel petto, mi dispiacque per lui perché lo capivo meglio di chiunque altro in quella stanza. La morte per lui sarebbe stata una gioia e il suo potere, anche se forte, non sarebbe stato un problema, serviva solo per capire le relazioni che si intrecciavano tra le persone, riconoscerne il leader o i punti deboli, non mi avrebbe intralciato, avrei potuto lasciarlo per ultimo.
Sulpicia, moglie di Aro, e Athenedora, moglie di Caius, erano in piedi a lato dei troni, vicine alle uscite secondarie, non avevano poteri e non avevano mai dovuto combattere, erano innocue, avrei potuto lasciarle in vita o pensarci in un secondo momento.
Felix, era pochi metri dietro di me, pronto a colpirmi, era forte quanto mio fratello Emmett, ma la mia capacità di prevedere le sue mosse, lo avrebbe reso inoffensivo.
Demetri, vicino a Felix, era un ottimo segugio, seguiva le sue prede sentendone l’aroma della mente, era molto bravo nelle ricerche, ma se fossi riuscito a far scappare Bella, lui non avrebbe avuto nessuna possibilità di ritrovarla. Controllando nella sua mente, sentii i diversi odori delle menti che si trovavano nella sala, ma nel punto dove si trovava Bella, non vi era nulla, come se non vi fosse nessuno.
Jane, il suo potere lo avevo appena provato, era doloroso, ma la volontà di far uscire Bella viva da quella situazione, mi avrebbe aiutato a sopportare, Jane poteva usare il suo potere solo su una persona alla volta, quindi se si concentrava su di me, Alice avrebbe potuto aiutarmi a mettere fuori gioco qualche guardia; il vero problema era Alec, con la sua nebbia paralizzante, poteva annullare l’udito, la vista e il tatto a un gruppo numeroso di persone, in una sola volta, quindi sia io che Alice non avremmo avuto nessuna possibilità, avrei dovuto uccidere per primo lui, ma era troppo distante, e coperto dalla sorella.
Non c’erano possibilità, cercai nella mente di Alice, che stava vagliando il futuro, eravamo vivi… Bella era vampira vestita di blu cobalto, correva accanto a me nella foresta.
Le lanciai uno sguardo torvo e interrogativo, ma lei era persa nella visione e non mi notò. Aro ci guardò e fece un passo verso di me con la mano alzata come per sorreggermi, ma non la presi, non volevo che sapesse tutto ciò che avevo scoperto o pensato in quelle ultime ore.
“A meno che…” disse, bloccando con lo sguardo l’avanzata della guardia. Non era soddisfatto della piega che stava prendendo la situazione. Era uno spreco per lui lasciarci andare o ucciderci, lui ci voleva nella guardia e voleva anche Bella. Aveva già dei piani per noi. La scelta del fratello li intralciavano. Vidi la via di fuga, dovevo solo assecondarlo e non permettergli di leggermi i pensieri.
“A meno che non sia tu stesso a darle l’immortalità” vidi nei suoi occhi la verità di quelle parole. Lui voleva che rimanessimo in vita e voleva vedere le capacità di Bella una volta trasformata.
Cercai nella mente di Alice una risposta. Lei continuava a visualizzare Bella vampira.
“E se lo farò?” chiesi sicuro che non avrei mantenuto la parola, non l’avrei dannata per un semplice capriccio dell’antico, ma non potevo rifiutarmi apertamente se volevo che lei uscisse viva dal loro covo.
“Se lo farai, vi concederemo di tornare a casa e di salutare il mio amico Carlisle.” Un dubbio gli attraversò la mente “Ma temo che dovrai impegnarti con una promessa” alzò la mano per tranquillizzare il fratello che si stava agitando sul trono ed era pronto a obiettare.
La fissai negli occhi. Se avessi promesso ad Aro lei sarebbe stata certa che l’avrei trasformata. L’avevo appena ritrovata, non volevo mentirle, darle delle aspettative che sapevo non avrei mantenuto. Lei voleva diventare una di noi e, se avessi risposto in quel momento, sarei stato obbligato a mantenere la parola, rubando l’anima alla donna che amavo.
“Prometti” sussurrò con il volto contratto dalla paura “Ti prego”
Ero combattuto: come potevo farle una promessa che non avrei mantenuto, come potevo salvarla dall’ira dei Volturi se non promettevo…?
Vidi un lampo dei pensieri di Alice.
Si avvicinò ad Aro con la mano alzata. Non proferì parola. Aro allontanò le proprie guardie che avevano già fatto un passo verso di lei. Le si avvicinò e le cinse la mano con tantissima curiosità.
Chiuse gli occhi e si concentrò, inclinando leggermente la testa di lato e chiudendosi nelle spalle, su ciò che Alice gli fece vedere.
Vidi Bella a Forks, nel nostro salone, circondata dai miei famigliari e con la mano tra le mie. Alice si avvicinava con fare cerimonioso e con delicatezza le sollevava il braccio. Sentii i suoi denti lacerarle la pelle e il sangue defluirle nel collo. Bella urlava per l’effetto del veleno, si accartocciava su sé stessa per il dolore. Ci fu un cambio di visione. Alice e Bella a caccia insieme, lo sguardo rosso colmo ancora del suo sangue umano, la pelle di marmo che non faceva trasparire emozioni, e i suoi denti in vista per la fame.
Ci furono altre visioni per convincerlo della futura trasformazione. In tutte Bella era perfetta, ma le emozioni che riuscivo a cogliere dal suo viso umano, adesso erano anch’esse celate dal freddo della nuova pelle. I suoi pensieri e le sue emozioni erano un mistero.
Vidi Alice con il mantello dei Volturi all’interno della sala in cui ci trovavamo in quel momento, ma il tempo non si capiva, nulla intorno faceva intendere quando fosse avvenuta quella decisione, se si riferiva alle prossime ore o ai prossimi decenni.
“Ah, ah, ah. E’ stato davvero affascinante” rise Aro, mentre lasciava andare delicatamente la mano di mia sorella e si alzava lentamente nelle spalle. Lo sguardo era acceso dall’entusiasmo sia dalla novità di aver visto il futuro, sia per cosa lo attendeva.
“Sono lieta che le sia piaciuto” gli sorrise Alice
“Che gran cosa vedere ciò che hai visto … soprattutto gli eventi che non si sono ancora compiuti!” era sbalordito
“Ma che si compiranno” precisò calma
“Sì, sì ormai è tutto scritto. Non c’è alcun problema, ne sono sicuro”
Caius era deluso dall’euforia del fratello, ed anche Felix e Jane.
“Aro” esclamò nervoso, non sopportava essere tenuto all’oscuro, voleva essere messo a conoscenza di cosa aveva visto il fratello.
“Caius, mio caro” gli rispose sorridendo e appagato “non essere impaziente. Pensa alle opportunità! Non si sono uniti a noi oggi, ma ci resta una speranza per il futuro. Immagina quanta gioia potrebbe portare la giovane Alice, da sola, alla nostra piccola famiglia… e poi, sono davvero curiosissimo di scoprire cosa diventerà Bella!”
Era convinto, non si rendeva conto di come fossero incerte le visioni di Alice. Era così protratto verso i suoi piani, che dimenticò le visioni non corrette e si focalizzò solo su quelle che si erano compiute. Alice era riuscita a convincersi del futuro che gli aveva mostrato, lo aveva fatto per evitare che io promettessi e ci aveva assicurato la salvezza. Sapevo per certo che non avrebbe mai trasformato Bella, non mi avrebbe fatto questo torto. Sapeva che anche se la adoravo, non l’avrei mai perdonata per un atto così ignobile.
Tranquillo Edward, ti spiego dopo - confermò le mie deduzioni Alice.
“Perciò, siamo liberi di andarcene?” chiesi tranquillo.
“Sì, sì” rispose Aro gentile, ancora in eccitazione per l’esperienza “ma vi prego, tornate a trovarci. È’ stato davvero incantevole!” I suoi pensieri continuavano a pensare agli avvenimenti del giorno, al silenzio dei pensieri di Bella, alle visioni di Alice, ai discorsi silenziosi tra me e mia sorella … al rapporto con Carlisle … la nostra unione, Alice ed io nella sua guardia … era emozionato e appagato.
“E noi ricambieremo la visita” promise minaccioso Caius “per assicurarci che abbiate rispettato le decisioni. Fossi in voi, non attenderei troppo. Non diamo mai una seconda opportunità” e già pregustava la vittoria di distruggere la mia famiglia con un pretesto che non avrebbe intaccato la loro integrità. Qualcosa in lui gli suggeriva che la visione era fasulla, ma non lo disse ad alta voce.
Guardò per una frazione di secondo Demetri e, compiaciuto, pensò Ovunque voi siate, state certi che lui vi scoverà, non potete rimangiarvi la parola data, altrimenti la vostra fine sarà certa.
Annuii serrando le mascelle, ma chinando il capo, per fargli intendere che non avrei disobbedito alle sue richieste e che avrei atteso la loro visita. In realtà non gli avrei permesso di toccare la mia famiglia, e non sarei sceso comunque a compromessi con loro.
Caius fece un sorriso, soddisfatto della mia reazione sottomessa, e ritornò a sedersi vicino ad un disinteressato Marcus.
L’odore di umani penetrò nella stanza ed in base alle diverse fragranze erano in molti. Felix ruggì affamato.
“Ah, Felix” disse divertito Aro “Heidi sta per arrivare. Abbi pazienza.”
“Mmm” dissi nervoso pensando al terrore che avrebbe provato Bella nel vedere il loro pasto, e a cosa le sarebbe potuto accadere se fosse stata presente al momento del loro banchetto.
“Se è così, forse è meglio che ce ne andiamo subito”
“Sì. Buona idea. Non si sa mai”. Disse Aro dispiaciuto al pensiero che se fossimo rimasti lì, probabilmente non sarebbe sopravvissuta e lui non avrebbe potuto vedere il potenziale di Bella dopo la trasformazione.
“Se non vi dispiace, però, vi prego di aspettare giù finché non cala la sera.”
“Certo” dissi e sentii fremere il corpo di Bella sotto le mie braccia.
“Un’ultima cosa” fece avvicinare Felix e gli sfilò il mantello grigio dalle spalle, me lo lanciò con un sorriso soddisfatto “prendilo sei un po’ troppo appariscente”
La indossai lasciando il cappuccio abbassato sulle spalle.
“Ti sta bene” sospirò e nella sua mente vidi la mia immagine, ero uguale a come mi aveva immaginato quando mi propose di entrare nella sua guardia.
Soffocai un ghigno, non sarei mai entrato nella sua guardia, tanto valeva che si accontentasse di quella unica visione di me vestito con quel mantello. L’odore degli umani diventò più forte, erano molto vicini.
“Arrivederci, miei giovani amici” ci salutò con sguardo luminoso già pregustando il pasto.
“Andiamo” esortai. Sapevo che non avevamo più tempo, se fossimo rimasti ancora per pochi minuti, Bella avrebbe potuto diventare il loro dessert.
Demetri ci indicò di seguirlo e fece strada verso l’anticamera da cui eravamo entrati.
Sentii il vociare confuso e sguaiato arrivare dall’anticamera. Il profumo delle loro pelli era fortissimo.
Strinsi Bella al mio fianco, eravamo stati lenti, la situazione poteva degenerare in pochi secondi.
Vidi nei pensieri di Alice che non sarebbe diventata il pasto, ma continuai a tenerla stretta.
Mia sorella si mise accanto a lei con espressione rigida nel volto. Era preoccupata della reazione di Bella nel vedere quanto poco contasse la vita umana per i nostri ospiti.
“Non siamo stati abbastanza veloci” mormorò seccata.
Quando entrarono dalla porticina e sbucarono nel salone dei loro predatori, tantissimi pensieri di stupore e ammirazione invasero la mia mente. Sentii una donna pregare in portoghese, aveva intuito che qualcosa non andava, ma non riusciva a comunicare con gli altri turisti ed era nel panico. In totale erano circa una quarantina di innocenti mortali.
Demetri ci fece spostare per farli passare, ci stringemmo contro le pareti e i corpi delle ignare vittime sfiorarono i nostri.
“Benvenuti, ospiti! Benvenuti a Volterra” li salutò Aro con voce melodiosa e con le mani rivolte verso di loro come per accoglierli da buon padrone di casa.
Bella li guardava con occhi sbarrati, la temperatura del suo corpo scese e il suo cuore impazzì nel petto. Le nascosi il volto stringendola sul mio busto di marmo e le accarezzai i capelli per tranquillizzarla.
Quando vidi il primo varco la spinsi in fretta verso la porta, non dovevamo rimanere un secondo di più, sarebbe stato troppo pericoloso.
Tremava e le lacrime le scendevano copiose dalle guance. Guardava in basso cercando di non cadere, la tenevo salda al mio fianco, non le sarebbe successo niente. Eravamo vivi e presto saremmo ritornati a casa, al sicuro e insieme.
Nel corridoio con le decorazioni incrociammo Heide, era vestita con una minigonna cortissima che le mostrava le gambe perfette e una giacchetta in lattex rossa con collo alto e maniche lunghe che aderiva perfettamente sull’armonioso busto. Aveva i capelli color mogano e gli occhi erano viola, l’unione del rosso dei suoi veri occhi e del blu delle lenti a contatto. Era perfetta per attirare le prede. Ogni uomo mortale l’avrebbe seguita ovunque. Sorrideva distratta, scambiò i convenevoli con Demetri e osservò attentamente la figura al mio fianco
Perché questa non la portano anche dentro? Sembra deliziosa. Forse è un omaggio per gli ospiti americani.
Quando Heidi entrò nella portina, iniziai a sentire lo stupore e la paura degli umani, il momento del banchetto stava iniziando.
Accelerai il passo, Bella era obbligata a correre o avrebbe sentito quelle urla strazianti, ma non fui abbastanza veloce, appena fummo vicino alla porta decorata che dava nella sala d’attesa, nel corridoio iniziarono a rimbombare le urla di terrore e dolore dei poveri malcapitati.

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Capitolo 16
*** Il Viaggio di Ritorno ***


Demetri ci lasciò nell’accogliente sala d’attesa in cui ritrovammo Gianna seduta alla scrivania di mogano.
“Aspettate che faccia buio” disse il nostro custode, con già i pensieri rivolti al pranzo
Speriamo che me ne abbiano lasciato almeno uno, quello cicciottello con la pelle scura mi sembrava prelibato.
Come mai gli hanno dato la mantella grigia? Con tutto lo scompiglio che ha portato da quando è arrivato, non immaginavo che lo avrebbero preso nella guardia. Forse, con lui avrò più fortuna nel convincerlo a trasformarmi… così Felix… e la segretaria si lasciò prendere dalle fantasie di lei e la imponente guardia.
Sentivo Bella tremare e battere i denti, le lacrime scendevano copiose, gli occhi erano sbarrati e il respiro era irregolare.
“Stai bene?” le chiesi pieno di angoscia. Le urla dei poveri umani avevano scosso i suoi nervi, mi sentii uno stolto, avrei dovuto prenderla in braccio e correre in quella stanza appena sbucati nel corridoio. Sapevo che detestava essere aiutata ed essere portata in braccio, quella consapevolezza mi aveva trattenuto dall’allontanarla in tempo da quell’orribile situazione, ma non avrei dovuto far attenzione al suo orgoglio, avrei dovuto prenderla tra le braccia e salvarla da quell’orribile esperienza.
“Falla sedere prima che crolli” mi consigliò Alice “E’ a pezzi”
Il suo volto era bagnato di lacrime, i singhiozzi erano così forti che le bloccavano il respiro, i denti battevano tanto da far rumore, il suo corpo era attraversato da tremiti così energici che sembrava vibrasse, la pelle era gelida e bianca ed il suo cuore ogni tanto perdeva un battito. Era sotto shock.
“Sssh, Bella, sssh” le dissi dolcemente mentre la facevo sedere sul divano più vicino all’uscita.
“Penso sia una crisi isterica. Prova con uno schiaffo” suggerì Alice senza toglierle gli occhi preoccupati di dosso.
La trafissi con lo sguardo. Non mi sarei mai permesso di schiaffeggiare Bella.
“Va bene, sei al sicuro, va tutto bene” continuai a ripeterle con voce carezzevole. La coprii con il mantello grigio per aumentarle la temperatura e la presi in braccio, continuando a coccolarla e a rassicurarla.
“Tutta quella gente” singhiozzò.
“Lo so”
“E’ orribile”
“Certo che lo è. Speravo non ti toccasse assistere” lei era troppo pura e buona per poter comprendere anche solo lievemente la situazione. Per lei il bene degli altri veniva prima del suo, e sicuramente quella fila di persone disposte come carne da macello per il piacere del singolo non rientrava nei suoi schemi, era per lei incomprensibile.
Mi appoggiò la testa al petto e cercò di calmarsi prendendo ampie boccate d’aria.
Un bicchiere d’acqua, qualcosa da mangiare, una coperta … poverina è ridotta proprio male! Perché la stanno terrorizzando così, non possono finirla o trasformarla senza turbarla tanto?
 “Posso esservi utile?” chiese cortese Gianna avvicinandosi.
 “No” le risposi freddo.
Il battito del cuore stava tornando regolare come la respirazione, e gli spasmi stavano scemando. Stava riprendendo il controllo e con un sussurro ancora malfermo mi chiese guardando di sottecchi la segretaria: “Sa cosa succede qui?”
“Sì, sa tutto”
“Sa anche che un giorno la uccideranno?”
“Sa che è una possibilità” anche se Gianna sperava di più in un amore eterno con il suo Felix
“Spera che decidano di tenerla con loro” spiegai
Impallidì “Vuole diventare come loro?”
Annuii, e fui sorpreso dal ribrezzo con il quale l’aveva detto, anche lei un giorno aveva sperato in quel destino, forse quell’esperienza le aveva fatto capire cosa significava veramente far parte del mio mondo, ma quel pensiero non mi fece gioire, perché significava che adesso aveva capito il vero mostro che ero e quindi l’avrei di nuovo perduta. La guardai nella speranza di capire.
“Trascinano intere comitive in quella stanza terribile e lei vuole unirsi a loro?”
Feci una smorfia, come suo solito aveva visto la situazione da una prospettiva diversa dalla mia. Fui lieto della conferma che non mi avrebbe allontanato, ma rattristato dalla consapevolezza che per lei diventare una di noi era ancora una prospettiva, perché la famiglia Cullen aveva una dieta differente e rispettava la vita umana.
“Oh, Edward” esclamò mettendosi a piangere.
“Cosa c’è?” le chiesi ansioso accarezzandole la schiena. I ricordi delle urla l’avevano di nuovo sopraffatta, oppure era la paura di diventare anch’essa un mostro … non doveva preoccuparsi, l’avrei protetta e presto saremmo usciti da quel luogo e l’avrei aiutata a dimenticare quel terribile giorno. Ero il suo angelo custode e non sarei più fuggito dal mio compito.
Mi abbracciò tenendo nascosto il volto “E’ davvero così assurdo che mi senta felice in questo momento?”
La avvicinai ancora di più, no non era assurdo, anch’io ero felice, appagato, completo, con lei tra le mie braccia. Dopo tutto quel trambusto finalmente potevo gioire della scoperta che Bella era viva, non mi aveva lasciato ed avevamo una seconda chance che non volevo assolutamente sprecare. Il suo corpo caldo e il suo cuore che batteva erano meravigliosi, mi inebriavano ancor di più di quanto il suo sangue avesse inebriato un tempo il mio demone.
“Capisco esattamente cosa intendi” le sussurrai “Abbiamo tanti motivi per essere felici. Prima di tutto siamo vivi”
“Sì, è già qualcosa” disse.
“E siamo insieme” le sussurrai annusando il suo paradisiaco profumo “E con un po’ di fortuna, saremo vivi anche domani”
“Speriamo” rispose poco convinta.
“Le prospettive sono piuttosto rosee” aggiunse Alice. Era rimasta in silenzio e la vicinanza della mia metà mi aveva fatto dimenticare la sua presenza.
Siete bellissimi, siete fatti per stare insieme, vi farei una foto!!
“Tra meno di ventiquattr’ore rivedrò Jasper” ed iniziò a fantasticare sul momento in cui si sarebbe ricongiunta con il suo amato, e come avrebbe festeggiato …
Bella mi fissava, i suoi occhi cioccolato erano pieni dell’amore che provava, anche se notai un’ombra di incertezza. La guardai con sguardo tenero, avrei voluto che quel momento durasse in eterno, non mi interessava il luogo, il tempo, mi sentivo completamente avvolto dalla sua presenza, ed era perfetto.
Le sfiorai i segni scuri sotto gli occhi, era stanca e tutte le emozioni provate quel giorno l’avevano provata. Forse quell’ombra che avevo intravisto nel suo sguardo era solo l’effetto della stanchezza.
“Sembri davvero stanca”
“E tu assetato” rispose e nei suoi occhi potei vedere il riflesso dei miei occhi neri per la sete e contornati da profonde occhiaie.
“Non è niente” non avevo sete, ero sazio della sua presenza.
“Sei sicuro? Se vuoi mi siedo accanto ad Alice” disse poco convinta e senza muoversi.
“Non essere ridicola” le sussurrai avvicinandomi al suo viso per poter assaporare l’odore e constatare che ero completamente padrone del mio corpo “Non sono mai stato così padrone di quel lato della mia personalità come in questo momento”
La strinsi forte tra le mie braccia e continuai a osservarle il viso, mi era mancato, e volevo recuperare il tempo che avevo passato senza poterlo ammirare.
Scusa se disturbo questo magico momento, ma tra non molto potremmo finalmente uscir -  si intromise Alice.
Annuii con la testa, senza distogliere lo sguardo da quei profondi occhi castani.
Stavo pensando: lei è stanca e lenta, quindi appena usciti da qui, vi lascio soli e cerco una macchina
“Cercala meno vistosa questa volta” avevo notato la Porsche gialla che aveva rubato durante il suo tentativo di salvataggio, le era rimasta impressa, se ne era innamorata.
Sì, sì, non farò la schizzinosa, ma non prenderò certamente una macchina lenta, ho voglia di rivedere il mio Jasper e le vostre effusioni non aiutano a sentirne meno la mancanza.
“Ok, decidi tu che macchina prendere”
Devo passare a recuperare gli oggetti di Bella. Recupero una macchina e vi aspetto subito fuori dal portone d’entrata delle mura.
“Dove prendiamo l’aereo?”
A Firenze c’è un volo che parte prima e fa meno scali
“Perfetto, appena siamo al sicuro, mettiti in contatto con Carlisle e rassicuralo che siamo vivi e stiamo bene”
Certamente, voglio sentire la voce di Jasper, mi manca e conoscendolo starà teso come una corda di violino fin quando non mi sentirà
“Certo” sapevo che non solo Jasper era teso, la mia decisione aveva sicuramente scosso tutta la famiglia.
E appena arriviamo in aeroporto, ti compro un abbigliamento più alla moda pensò e mi squadrò il mantello con una smorfia di disgusto.
“Non posso essere più d’accordo”
Parlammo molto piano e veloce, non volevo che Gianna sentisse i nostri piani.
Quando tutto fu deciso, Alice cambiò discorso e tornò a parlare con tono normale.
“Cos’era quel discorso sulle cantanti?”
“La tua cantante” risposi con tono melodioso, lei era la mia cantante, ed ero stato uno dei pochi fortunati a poterla incontrare.
“Esatto” ribatté curiosa e con occhi curiosi appoggiò il mento sulla mano in attesa della spiegazione
Mi strinsi nelle spalle per nascondere l’entusiasmo che mi generava aver scoperto quella verità. “E’ il nome che danno a chi scatena l’effetto che fa a me il profumo di Bella. L’hanno chiamata “cantante” perché il suo sangue canta per me” Mi ricordavo la melodia del suo sangue esposto alla festa di compleanno, era come un suono che mi chiamava, come la sirena che incantò Ulisse. Ero riuscito a trattenermi e adesso potevo ascoltare quel suono sublime per tutto il tempo che fossi stato con lei. Senza il demone che mi istigava ad ucciderla, quel richiamo era una melodia di sottofondo che rendeva piacevole ed unico ogni momento.
Bella era sfinita, gli occhi le si chiudevano, ma lei li teneva testardamente aperti, mentre discorrevo con Alice. Le sfioravo con le labbra i capelli, la fronte, la punta del naso … il suo cuore batteva forte ogni volta che la sfioravo, l’effetto che le facevo non era mutato nel tempo e questo mi riempì di gioia. Avrei voluto baciarle le labbra, ma il pensiero che il suo cuore potesse fermarsi non era allettante, sorrisi ricordando il giorno in ospedale quando, dopo il risveglio, la baciai ed il monitor segnalò il blocco del cuore per pochi battiti. Non volevo rischiare, ora era troppo stanca e le emozioni che aveva vissuto quel giorno avevano già provato troppo il suo fragile corpo da umana. Dovevo aspettare che si rifocillasse e si rimettesse in forze prima di poter finalmente perdermi tra le sue labbra.
E brava Heidi, questa volta ha portato degli umani saporiti. Ancora questa ultima commissione e poi posso ritornare da Jane, è ancora arrabbiata per quell’umana...effettivamente non era mai successo, sbalorditivo e preoccupante…
Strinsi a me Bella e guardai Alice con sguardo preoccupato, prima di rivolgere gli occhi verso la porta. Perché avevano mandato Alec a svolgere un compito che solitamente spettava ad una semplice guardia?
Entrò dal portone, era rilassato e gli occhi splendevano nel color rosso rubino “Ora siete liberi di andarvene” disse amichevole “Vi chiediamo soltanto di non trattenervi in città” la pazienza di Caius è al limite ed anche mia sorella non è lieta che rimaniate.
“Non sarà un problema” risposi gelido.
Alec annuì sorridendo e se ne andò.
“Seguite il corridoio dietro l’angolo a destra e prendete il primo ascensore” ci spiegò in modo professionale Gianna mentre aiutavo Bella ad alzarsi. “L’ingresso è due piani più basso, sulla strada. Arrivederci.” Ci salutò indicando il corridoio.
Ci dirigemmo veloci all’uscita e in breve fummo di nuovo all’aria aperta.
La città era ancora nel pieno dei festeggiamenti. Il cielo era grigio opaco, ma nei vicoli i lampioni erano già stati accesi perché erano bui come la notte.
Appena pochi passi dall’uscita, ci mischiammo con la folla ed Alice si allontanò velocemente verso un vicolo nascosto che conduceva alle mura della città.
Bella camminava lenta e si trascinava sull’acciottolato dei vicoli. La tenevo salda al mio fianco, mentre cercavo di individuare la via più breve per uscire da quella città maledetta.
La lunga mantella dei Volturi che indossavo passava inosservata, molti umani indossavano mantelle come la mia, alcune erano rosse, altre nere e, molti di loro compresi i bambini, avevano in bocca dei denti finti con i canini sporgenti e colate di rosso disegnate ai lati della bocca.
“Ridicolo” sbuffai
Bella si guardò alle spalle “Dov’è Alice?” chiese confusa e con un filo di voce
“E’ andata a riprendere le tue cose dove le ha nascoste stamattina”
“Ruberà anche una macchina vero?”
La mia Bella non smetteva di stupirmi. L’essere la figlia di un uomo di legge l’aveva condizionata molto, ma non avevamo scelta se volevamo arrivare all’aeroporto e lasciare l’Italia in giornata, eravamo obbligati a rubare un’auto.
Quando giungemmo in prossimità della porta della città, Bella iniziò a manifestare i primi cedimenti. La strinsi più forte nel mio abbraccio, avrei voluto portarla in braccio, ma avrei attirato l’attenzione di troppi curiosi.
Superammo l’arco di pietra scura della porta della città e sentii la voce mentale di Alice
Sono qui, nella Fiat Lancia nera a destra del portone
Mi avvicinai trascinando Bella ormai allo stremo. Le aprii la portiera posteriore e la feci accomodare delicatamente. Mi sedetti vicino a lei e ritornai ad abbracciarla.
“Mi dispiace” disse Alice facendo cenno al cruscotto “Non avevo molta scelta”
“Va bene lo stesso, Alice” le sorrisi “non si può sempre avere una 911 Turbo”
“Penso che me ne procurerò una legalmente. Era favolosa” e nella sua mente fantasticò di essere alla guida della sua futura auto
“Te la regalo per Natale” le promisi.
“Gialla” precisò mentre sfrecciava per le vie della Toscana.
Assentii con un sorriso. La mia pazza sorellina, già una Porsche nera era appariscente, giallo canarino sicuramente non passava inosservata, ma se l’era meritata, mi aveva salvato e aveva salvato Bella.
 “Ora puoi dormire Bella, è finita” la rassicurai, coprendola con la mantella e abbracciandola stretta. L’incubo dei Volturi e del loro palazzo era lontano e non avevano intenzione di seguirci, quindi era finita, doveva solo riposarsi, io avrei pensato al resto.
“Non voglio dormire. Non sono stanca” disse con voce fievole
“Provaci” le sussurrai sfiorandole l’orecchio
Scosse la testa e cercò di riprendersi.
“Sei la solita testarda” sospirai.
Quando fummo all’aeroporto di Firenze, andò in bagno per i suoi momenti da umana, come li chiamava lei. Alice mi acquistò una maglietta ed un paio di jeans, sicuramente più comodi e meno appariscenti del mantello. Appena fui vestito buttai con piacere quel mantello in un cestino della spazzatura, era come liberarsi da un fardello. Con i Volturi avevo chiuso, non avrebbero più sentito parlare di me.
Il viaggio tra Firenze e Roma fu velocissimo. Bella non volle cedere e rimase sveglia.
Alice prenotò dei comodi posti in prima classe per il viaggio fino ad Atlanta, sicuramente avrebbe ceduto al sonno. Era uno straccio, si trascinava e le occhiaie erano molto profonde. Quando ci accomodammo nel velivolo Bella chiese una Coca alla Hostess, la ripresi, non tollerava la caffeina e un sonno ristoratore non le avrebbe fatto male. Non riuscivo a comprendere la sua testardaggine nel non voler riposare. L’avrei portata a casa e non l’avrei più lasciata, avevamo molto tempo da passare insieme e recuperare i mesi di lontananza.
“Non voglio dormire. Se chiudo gli occhi, vedrò cose che non vorrei vedere. Avrò gli incubi”
Capii e non la tormentai più.
“Ciao amore!” disse Alice entusiasta “Sì, stiamo bene. Bella è riuscita ad arrivare in tempo. Siamo stati trattenuti da Aro ed i suoi fratelli, ma appena arrivo a casa ti racconto!”
Continuò rassicurandoli e organizzando il nostro arrivo. Parlò anche con Carlisle ed Esme, io preferii non farlo. Dopo quello che gli avevo inflitto era più corretto chiedere scusa guardandoli negli occhi e non attraverso una cornetta.
Iniziai a pensare a che cosa sarebbe successo appena tornati a Forks.
Dovevo dare delle spiegazioni alla mia famiglia. Il mio egoismo mi aveva consigliato delle azioni che non tenevano conto dei loro sentimenti. Ero partito per l’Italia senza lasciar detto nulla, sapevo che Alice avrebbe visto le mie decisioni e la mia fine, ma non avrebbe potuto vedere il rammarico che provavo per la sofferenza che avevo inflitto a mio padre ed alla mia dolce madre.
Appena tornato mi sarei adoperato per farmi perdonare, ma se non me lo avessero concesso li avrei compresi.
Pensai anche al ritorno a casa di Bella. Suo padre non era un mio ammiratore e nei mesi di lontananza nella vita di Bella era apparso Jacob Black. In tutto quel trambusto non avevo potuto soffermarmi a capire quali fossero i sentimenti di Bella per quel Quileutes. Avevo dato per scontato il fatto che mi amava, perché io la amavo, forse l’amore che vedevo quando la guardavo negli occhi era solo il riflesso del mio per lei. Forse era venuta in Italia a salvarmi non per amore, ma per la sua innata consuetudine di mettere sempre gli altri davanti a se stessa. Lo aveva fatto per cortesia e non perché ricambiava il mio sentimento. Se arrivata a casa fosse corsa tra le braccia di Jacob Black? Non glielo avrei permesso, non per egoismo, ma perché lasciarla tra le braccia dei volubili licantropi non era sicuro e anche se non potevo essere la sua metà, sarei rimasto comunque il suo custode.
Il dubbio iniziò a riaprire le ferite, forse l’avevo persa, una volta tornata a casa, non avrei più potuto godere di quei momenti perché ormai il suo cuore apparteneva ad un altro. Decisi di allontanare quei pensieri e gustarmi quella vicinanza fin quanto mi fosse possibile. La strinsi a me e continuai a sfiorarla con le labbra la fronte, le gote, i polsi… le sfiorai il viso con le mani scolpendo nella mia mente ogni particolare, annusai il suo profumo per riempire i miei polmoni di quella fragranza. L’avrei ancora vista a scuola o per il paese, l’avrei osservata, finché avesse vissuto da sola, la notte mentre dormiva, non l’avrei persa completamente, l’avrei vista andare avanti nella sua vita felice con l’uomo giusto, ero un castigo che mi ero inflitto da solo, potevo solo prendermela con me stesso. Se mi avesse chiesto di sparire per sempre dalla sua vita, l’avrei osservata di nascosto e l’avrei sempre e comunque protetta.
Durante il viaggio Alice mi spiegò nei dettagli cosa era successo e come le incomprensioni causate dalla presenza di Jacob Black mi avessero portato alla conclusione che Bella fosse morta. Le braccia che trassero in salvo Bella dalla furia dell’oceano erano del licantropo e quindi invisibili a Alice ed anche la voce al telefono che mi comunicava del funerale era quella di Jacob Black. L’indiano non aveva mentito, Charlie era realmente ad un funerale, quello di un Quileutes amico del padre di Bella di nome Harry. Ero stato un stolto, avrei dovuto telefonare ad Alice prima di prendere il volo per l’Italia evitando quella brutta esperienza a Bella e tanto dolore alla mia famiglia.
Bella per tutto il viaggio non parlò, si mosse solo per sorseggiare la Coca, per poi tornare tra le mie braccia ricambiando le mie carezze. Non le posi nessuna delle mille domande che mi martellavano nel cervello, lei era stanca ed io volevo prolungare quel momento.
Atterrammo ad Atlanta che era l’alba. Carlisle, Esme e Jasper ci attendevano nell’aeroporto.
Jasper era immobile ipnotizzato dalla vista di Alice. Lei gli corse incontro ma non si abbracciarono, si presero per le mani e i loro sguardi erano così intensi ed intimi che valevano più di mille parole.
Carlisle e Esme ci attendevano in un angolo poco affollato dietro la fila dei metal detector, nascosti da una colonna.
Siete salvi! Siete vivi!!!
Esme corse incontro a Bella e la abbracciò in una stretta materna, leggermente impacciata dal mio braccio che non voleva saperne di mollare la presa.
“Grazie, davvero” le sussurrò emozionata nell’orecchio.
Mi abbracciò intensamente e mi rimproverò quasi furiosa “Non osare mai più infliggermi una pena simile”
 “Scusa, mamma” le risposi pentito cercando di sorriderle.
Ho rischiato di impazzire, non sapevamo come fermarti, come rintracciarti. Carlisle è ancora molto scosso!
Carlisle si avvicinò senza guardarmi, come fossi invisibile, abbracciò Bella e con voce piena di gratitudine la ringraziò.
“Macché” rispose ormai quasi addormentata.
“Dorme in piedi” mi fece notare arrabbiata mia madre “Riportiamola a casa”
Come hai potuto non farla dormire, doveva riposare è stato un viaggio lungo e per tutti sono stati tre giorni pesantissimi … gradirei delle spiegazioni, e la promessa che non farai più delle scelte avventate. Siamo una famiglia e la famiglia serve proprio nei momenti più difficili!
Continuò a sgridarmi per tutto l’aeroporto, mentre mi aiutava a reggere in piedi Bella che perdeva i sensi dalla stanchezza. La ascoltavo e annuivo mantenendo lo sguardo basso, sapevo che tutto ciò che diceva era vero e che mi meritavo ogni singolo rimprovero.
Alice e Jasper tubavano alle mie spalle.  
Carlisle non pensò e non disse niente. L’avevo profondamente deluso.
Arrivati nello spiazzo del parcheggio vidi Emmett e Rosalie appoggiati alla berlina nera. Mi irrigidii e trattenni a fatica un ringhio contro quella vanitosa ed insensibile di mia sorella.
“Per favore, no” mi sussurrò implorante Esme “E’ distrutta”
“Ben le sta” risposi gelidamente a voce alta, in modo che anche Rosalie potesse sentirmi. Non mi interessava come si sentisse, a lei non era importato distruggere la mia vita, aveva sempre intralciato il mio amore, per pura vanità.
“Non è colpa sua” la difese Bella in un sussurro riaffiorando dallo stato di semi incoscienza.
“Concedile la possibilità di scusarsi” aggiunse Esme “Noi andiamo con Alice e Jasper”
Guardai in cagnesco mia sorella, non meritava nessuna comprensione, ma non avrei ferito ulteriormente mia madre.
“Per favore, Edward” mi implorò Bella.
Sospirai e cercando di recuperare la calma, mi avvicinai alla macchina. Senza dire una parola feci salire Bella nel sedile posteriore e mi accomodai vicino a lei.
Bella si appoggiò sfinita al mio petto e finalmente chiuse gli occhi.
Emmett e Rosalie salirono silenziosamente in macchina.
Mi dispiace veramente Edward, non avevo capito, non avevo immaginato. Sono stata una stupida. Scusa  - pensò dispiaciuta Rosalie.
Non le risposi, continuai a guardare il mio amore dormire. Non sapevo cosa risponderle, le volevo bene e nei suoi pensieri avevo percepito il vero dispiacere e il senso di colpa, ma una parte di me era furiosa, grazie a lei Bella era stata molto vicina alla morte.
“Edward?” mi chiamò con voce esitante e pentita
“Lo so” risposi in tono brusco. Doveva darmi tempo.
“Bella?” disse con delicatezza
Riaprì gli occhi sorpresa nel sentire il suo nome chiamato dalla voce di Rosalie, penso che fosse la prima volta che mia sorella si rivolgesse direttamente a lei e per giunta in modo gentile.
“Sì, Rosalie” rispose esitante
“Mi dispiace tanto. Tutto questo mi ha fatto sentire malissimo, ti ringrazio di cuore per il coraggio con cui hai salvato mio fratello dopo ciò che ho combinato. Ti prego di perdonarmi, se puoi” le parole le uscivano spezzate dall’imbarazzo.
“Ma certo, Rosalie” mormorò con la voce impastata dal sonno “In fondo non è colpa tua. Sono stata io a tuffarmi da quel maledetto scoglio. Certo che ti perdono”
“Finché non torna lucida, non vale, Rose” ridacchiò Emmett.
“Sono lucida” riuscì ancora a ribattere prima di crollare.
“Lasciala dormire” dissi a Rosalie.
E’ realmente pentita, è quasi impazzita quando ha scoperto cosa aveva provocato la sua telefonata.
Ci hai fatto prendere un bello spavento! Ma sei impazzito?
Gli toccai la spalla come risposta ed un sorriso mi nacque sul volto.
Il mio fratellone, ogni cosa diventava meno greve con lui.
Durante il viaggio verso Forks mi spiegarono cosa era successo dal momento della visione di Alice, fino al momento del nostro arrivo in aeroporto.
Erano discorsi silenziosi per non disturbare il sonno di Bella. Loro pensavano o sussurravano ed io rispondevo con dei cenni o degli sbuffi. Vedevo i loro ricordi ed ascoltavo i loro racconti.
Mi raccontarono di come la visione di Alice era arrivata fulminea ed inaspettata in un momento comune in famiglia. Mi spiegarono la litigata tra Alice e Jasper, lui voleva che mantenesse la promessa che mi avevano fatto, lei voleva essere vicino a Charlie in quel momento difficile perché era troppo affezionata a Bella e a suo padre per far finta di non aver visto nulla.
Dopo la partenza di Alice, tra i miei fratelli nacque la questione sul giusto o sbagliato farmi partecipe della notizia, e la decisione nascosta di Rosalie di telefonarmi. Lei non aveva compreso fino in fondo quale legame univa me e Bella, e quindi lo aveva preso come pretesto per farmi tornare a casa e far tornare la vita della mia famiglia alla normalità.
Volevo solo che fossimo di nuovo tutti insieme, Esme e Alice continuavano a parlare di te e a fare congetture sul tuo ritorno, ci sei mancato. Sei mancato a tutti cercò di scusarsi Rosalie
Mi descrissero il panico che si era creato quando Alice li informò che Bella era viva e che io ero diretto in Italia dai Volturi.
Rosalie è diventata più pallida del suo colorito normale, ci ha messo un attimo a riprendersi dalla notizia, ha capito benissimo il madornale errore che aveva fatto. Specificò Emmett per convincermi a perdonarla.
Visualizzai nei loro ricordi il terrore negli occhi di mio padre ed il panico in quelli di mia madre quando vennero a conoscenza delle mie intenzioni
Non ho mai visto così distrutto e poco lucido Carlisle, ringraziando ha il cuore pietrificato altrimenti sarebbe morto di infarto commentò Emmett
Emmett ancora eccitato, mi riferì della ricerca nel quale si era lanciato insieme a Jasper per recuperarmi e portarmi a casa
Sarei venuto a nuoto, pur di arrivare in tempo e far saltare qualche dente alle guardie, ma Alice ci ha ordinato di tornare a casa, rovinando tutto il divertimento.
Alice aveva capito che se li avessi sentiti avvicinarsi avrei affrettato le mie azioni. Solo Bella poteva avvicinarsi senza che io me ne accorgessi.
Mi fecero vedere, dato che con le parole non riuscivano a descriverle, le ore estenuanti passate davanti al telefono per tutto il tempo che avevamo passato nella sala di Aro.
Esme e Carlisle erano immobili come statue. Sul volto di mio padre la tensione e la frustrazione erano visibili, come scolpite. Mia madre era abbattuta, ma cercava di non darlo troppo a vedere e provava a rassicurare il marito. Rosalie era in un punto nascosto della sala, si torturava i capelli con gli occhi erano svuotati dal senso di colpa. Il suo sguardo saettava tra Carlisle e Esme mentre si tormentava il labbro inferiore. Emmett seduto con i gomiti appoggiati alle ginocchia stringeva i pugni e li dondolava di fronte a sé. La frustrazione di non poter far nulla e dover solo aspettare lo stava logorando. Jasper era immobile appoggiato al muro vicino al telefono e lo sguardo fisso sulla cornetta.
Vidi il sollievo e gli abbracci che si scambiarono quando finalmente il telefonò squillò e Alice li avvisò che eravamo tutti vivi e che stavamo rientrando.
Devi poi solo togliermi una curiosità! Perché non sei venuto da noi, avremmo potuto aiutarti, invece che correre, senza dire niente a nessuno, verso quei simpaticoni di italiani?
Gli toccai la spalla e mantenendo la mano, confessai con tono bassissimo e greve “Perché sono uno stolto”
Sentire e vedere la situazione con i loro occhi mi fece sentire ancora più colpevole. Avevo fatto soffrire tutti e avevo dimostrato poca fiducia nella mia famiglia, Carlisle ed Esme non se lo meritavano. Avrei cercato di provvedere in qualunque modo mi fosse consentito.
Per tutto il tragitto, oltre ai pensieri sulla mia famiglia, mi attanagliava anche la scelta di Bella. La accarezzavo e le mormoravo parole dolci, forse era l’ultima volta che mi era permesso.


 
Ciao ragazzi, siamo quasi giunti al termine!!! 
Per chi fosse interessato ho scritto un'altra FF

Devi essere indipendente
Dateci occhiata! Spero vi piaccia!!! Fatemi sapere!
A PRESTO!!!

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Capitolo 17
*** La Votazione ***


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Arrivammo a casa Swan. I pensieri preoccupati di Charlie mi urlarono nella mente, avvertendomi che era in casa.
Quando aprii la portiera, lei aprì leggermente gli occhi ed io l’aiutai a scendere.
“Bella!” urlò suo padre correndo fuori dalla porta d’ingresso.
“Charlie” farfugliò Bella con gli occhi ancora chiusi.
“Sssh, va tutto bene. Sei a casa, al sicuro.” le sussurrai.
“Non riesco a credere che tu abbia il coraggio di mettere i piedi qui” mi minacciò Charlie mentre si avvicinava. Era rosso in volto dalla rabbia e il suo corpo tremava per la tentazione di colpirmi in pieno volto con un pugno.
“Smettila, papà” mormorò Bella.
“Cosa le è successo?” il suo volto, adesso che vedeva la figlia, era contratto dal dolore con uno sfondo di panico negli occhi. Rividi nei suoi pensieri un volto di Bella simile a quello che aveva adesso, ma era in braccio al Quileutes che l’aveva riportata a casa dopo il nostro addio.
“E’ soltanto stanchissima.” Cercai di tranquillizzarlo “La lasci riposare”
“Non osare darmi ordini!” strillò “Ridammela. Toglile le mani di dosso!”
I pensieri di odio che provava per me, mi vorticavano nella mente, mischiati a immagini di Bella patita, infuriata, catatonica, impaurita.
Cercai di passargliela delicatamente facendo attenzione che non cadesse. Bella si avvinghiò alle mia braccia. Lui la strattonava per il braccio, non poteva sopportare la mia presenza, ed in particolar modo che toccassi sua figlia. E le immagini di una Bella quasi irriconoscibile continuarono a tormentare la mia mente e quella di Charlie.
“Smettila, papà” disse con leggero vigore e aprì faticosamente gli occhi per guardarlo in faccia “prenditela con me”
La mente di Charlie rimase muta e il suo volto rimase basito per qualche secondo, ma si riprese immediatamente.
“Puoi starne certa. Entra subito” disse con tono autoritario.
“Va bene. Lasciami andare” sussurrò.
Si staccò da me e fece pochi passi traballanti prima di accasciarsi al suolo. Riuscii a prenderla in tempo, a pochi centimetri dal marciapiede.
“Lasci almeno che l’accompagni di sopra” chiesi implorante a Charlie “Poi me ne vado” lo rassicurai.
“NO” urlò Bella aggrappandosi con forza al mio braccio. Voleva che restassi.
“Non sarò lontano” le sussurrai nell’orecchio senza farmi sentire dal padre.
“Riesco a portare mia figlia a letto, tu devi sparire, non sei il ben venuto” fece un passo verso di noi, ma presi Bella velocemente in braccio e superandolo entrai in casa.
“Ho detto che devi lasciarla stare. Devi lasciare in pace la mia famiglia” continuava ad urlarmi minaccioso Charlie, mentre salivo le scale verso la camera di Bella.
La posai delicatamente nel letto, le tolsi le scarpe e la coprii con una coperta.
Charlie era furioso sulla porta della stanza, batteva il piede nervosamente con le mani incrociate al petto per non colpirmi. Controllò ogni mio movimento mentre mi insultava nella mente e attendeva impaziente che svanissi dalla sua vista.
Non la baciai, mi permisi solo di sfiorarle le guance e sussurrarle la buona notte. La guardai ancora un istante e fui pronto ad affrontare l’ira di Charlie.
Non parlammo fin quando non raggiungemmo il pian terreno. Mi indicò l’uscita e una volta in giardino, iniziò a sfogare la sua rabbia, cercando di non urlare per non disturbare il sonno di Bella.
“Sei una piaga per mia figlia. Non voglio che ti avvicini a lei. Da quando ti ha conosciuto la sua vita non è più la stessa. E’ fuggita da Forks in piena notte e l’ho ritrovata in ospedale. Le hai fatto credere di amarla e quando ne sei stato certo l’hai lasciata. Ho dovuto raccogliere i brandelli che ti sei lasciato alle spalle e con fatica ero quasi riuscito a farla stare meglio. Quando finalmente sembra che si sia ripresa, che abbia trovato un ragazzo che la fa star bene tu decidi di ricomparire e me la riporti a casa più morta che viva!
Non sei il benvenuto. Stai lontano da mia figlia, dalla mia famiglia, dalla mia casa o ti farò pentire di essere tornato a Forks… di essere nato! TI VIETO DI OLTREPASSARE LA MIA PORTA”
Ascoltai senza replicare, la sua rabbia era più che giustificata.
Quando terminò il suo sfogo riuscii solo a dirgli.
“Io l’amo, non ho mai voluto farle del male”
Rimase di pietra, serrò i pugni e vidi perfettamente cosa avrebbe voluto farmi, ma si trattenne, non proferì più parola e rientrò in casa sbattendo la porta.
Bella sfuriata … ringrazia che sei antiproiettile, altrimenti saresti obbligato a cambiare continente!
Mi accolse mio fratello quando risalii in macchina.
Mi dispiace, non volevo creare tutto questo! Disse ancora pentita Rosalie senza guardarmi, ma fissando imbarazzata le proprie mani.
A grande velocità e senza proferir parola ci dirigemmo verso Villa Cullen.
Tutto era come se i mesi passati non fossero mai esistiti. Esme aveva riarredato la casa con lo stesso mobilio e gli stessi suppellettili.
Tutta la mia famiglia era radunata in sala da pranzo. Alice era seduta sul primo gradino della grande scala centrale con le mani tra quelle di Jasper e gli occhi immersi nei suoi. Esme era sul divano vicino a Carlisle, gli teneva un braccio intorno alle spalle e gli sussurrava parole gentili e rassicuranti.
Appena entrai mi guardarono tutti felici, solo Carlisle continuò a fissare un punto sul pavimento. Sorrisi imbarazzato e riconoscente a tutti e andai da mio padre. Mi inginocchiai davanti alle sue gambe e gli presi le mani. “Mi dispiace”
Vidi nei suoi pensieri il tormento, la paura, il panico… il senso di colpa di non essere riuscito a farmi capire quanto lui ci tenesse a me.
“Lo so che mi vuoi bene più che un padre al proprio figlio. Il mio gesto è stato sconsiderato. Non ho riflettuto. Potessi leggermi nei pensieri, sentiresti come mi sono sentito, cosa la mia mente ed il mio corpo ha provato sapendo che Lei era morta. Non ho riflettuto, sono corso verso la soluzione più veloce e meno dolorosa. Non volevo farvi del male, volevo solo che il dolore cessasse.
Non ho scusanti e ti chiedo perdono. Ti chiedo di darmi ancora una possibilità. Ti prego scusami”
 
Posso comprendere cosa hai provato, perché ho provato una cosa simile quando mi hanno riferito che eri corso da Aro e i suoi fratelli per toglierti la vita.
Continuava a non guardarmi. Le sue mani si muovevano nervosamente in contrasto con il volto perfettamente immobile in una maschera indecifrabile.
Non riesco Edward. Pensavo che tra di noi il legame fosse forte, che ci tenessi a noi, che ti fidassi di noi, che ti fidassi di me.
“Io ci tengo a voi, siete la mia famiglia. Non ho scusanti ed ogni spiegazione può apparire solo una scusa per rendere meno orribile il mio gesto. Merito la tua rabbia, ma vorrei comunque il tuo perdono”
Non sono arrabbiato, sono deluso. Ti perdono il gesto che il dolore ti ha dettato, ma non riesco a comprendere dove ho sbagliato. Girò lo sguardo verso di me e mi inchiodò in attesa di una risposta.
“Se reputi uno sbaglio avermi allungato l’esistenza permettendomi di trovare la donna che amo, avermi insegnato a non essere un mostro, avermi insegnato ad amare, ad avermi aiutato a mantener viva la parte umana di me … hai la risposta alla tua domanda” 
Girò il suo corpo verso di me e continuò a guardarmi fisso negli occhi, vide il mio pentimento e la mia riconoscenza… rimase immobile la ferita bruciava ancora, ma le mie parole avevano iniziato a risanarla.
“Mi fido di te, sei il pilastro di questa famiglia. So perfettamente che per qualsiasi cosa posso contare su di te. Mi hai compreso e aiutato negli ultimi decenni. Sei mio padre, ed io mi sono comportato da codardo. Te lo prometto, non riaccadrà mai più” strinsi più forte la presa sulle sue mani.
Liberò la presa e mi abbracciò.
“Sei mio figlio e son contento che tu sia salvo, che tu sia vivo.”
“Grazie” e strinsi l’abbraccio.
Si unirono Esme, Alice, Emmett e Jasper. Rosalie rimase imbarazzata vicino alla scala.
La guardai e con la mano le feci cenno di unirsi. Con passo esitante si avvicinò, e quando fu a pochi passi, Emmett la trascinò con forza nel gruppo e tutti scoppiammo a ridere. Una risata liberatoria.
“ehmmm … Edward!” disse Alice con un po’ di vergogna.
Vidi nella sua mente Bella nel salotto che raccontava di essere amica dei licantropi e li difendeva dalle opinioni di Alice, dicendo che non erano pericolosi e che grazie a loro Victoria e Laurent non l’avevano uccisa.
Ringhia serrando i pugni. “Victoria? Laurent?”
Tutto iniziava ad essere chiaro, il motivo della scia di Laurent dentro la fabbrica e la sparizione di Victoria da Rio de Janeiro. Ero stato un inetto. L’avevo stretta più volte tra le mie mani e non ero riuscito a ucciderla e mentre la cercavo inutilmente in Brasile, lei era in un altro continente, a Forks, a pochi passi da Bella.
 “Non ho voluto dirtelo prima perché non sapevo come avresti reagito. Sapevo che la stavi cercando. Tu e Bella eravate così assorti l’uno dall’altra che non ho voluto rovinare quel momento. Scusa.”
“Non preoccuparti, ci siamo noi e riusciremo a proteggerla” mi tranquillizzò Carlisle.
“I licantropi hanno già fatto fuori Laurent, peccato. Ma ci rifaremo con Victoria” disse Emmett, sorridente e eccitato all’idea di avere sotto le mani la vampira dai capelli rossi.
“Adesso dov’ è?” chiesi cercando di mantenere la calma.
“Da quello che ho potuto capire, continua ad entrare ed uscire dai confini. I licantropi stanno facendo le ronde per sorprenderla, ma è molto scaltra e continua a sfuggirgli” mi disse Alice cercando di tranquillizzarmi.
Tirai un pugno sul muro, lasciando il segno. Come mi ero ridotto. Io come un idiota a cercarla nel sud America e Bella costretta ad essere protetta da dei licantropi immaturi e volubili. Attirava le disgrazie come una calamita. Ed era l’unico umano che riuscisse a lasciarsi un mostro alle spalle per avvicinarsi ad un altro più pericoloso.
“Dobbiamo organizzarci! Non le permetterò di avvicinarsi a lei. E non permetterò nemmeno ai Quileutes di svolgere un compito che tocca a me!” dissi a denti stretti.
“Che tocca a noi!” mi corresse mio padre
 “Mica vorrai toglierci il divertimento” disse Emmett scrocchiando le dita della mano e un sorriso entusiasta gli attraversò il viso arrivando fino agli occhi pieni di aspettative.
Scossi il capo, Emmett era sempre il solito e mio padre aveva ragione. Avevo provato a braccarla da solo, ma senza successo. Adesso avevo i rinforzi e sarebbe stata scritta la parola “fine” alla sua esistenza.
“Tranquillo, adesso pensa a Bella, stalle vicino. Io ed Emmett ci mettiamo subito al lavoro. Cerchiamo di capire cosa è successo in nostra assenza ed Alice cercherà di prevedere le sue future mosse. Ha le ore contate!” disse Jasper risoluto, mentre già progettava il piano per fermare e uccidere Victoria.
Rimasi immobile. La voglia di andare da Bella era così forte che la sentivo come un laccio che mi tirava verso casa sua, ma il desiderio di scrivere fine a mesi di ricerca mi immobilizzava le gambe.
 “Ci hai fatto prendere a tutti un colpo per Bella e passi il tempo con noi. Corri da lei, tra non molto si sveglierà e dopo la giornata di ieri credo che farti trovare al suo fianco sia il minimo che puoi fare.” Disse Alice con voce cristallina, spingendomi verso la porta.
Guardai uno per uno i miei famigliari, erano tutti d’accordo con mia sorella.
Corri, vai da lei, inizieremo subito le ricerche e se abbiamo novità ti avvertiamo subito mi rassicurò Carlisle.
Ti consiglio di mettere qualcosa sotto i denti prima di andare da lei o quando si sveglierà ti scambierà per uno zombi! Pensò Alice ridendo.
Vidi il mio riflesso nella finestra. Le profonde occhiaie contornavano gli occhi neri come la pece rendendo ancora più bianca la mia pelle. Effettivamente non avevo un bel aspetto.
Sfrecciai per la foresta, non volevo perdere tempo a cibarmi, dovevo correre da lei o rischiavo di trovarla sveglia. In un batter d’occhio fui sul retro di casa Swan e salii in camera sua passando dalla finestra.
Appena entrato il suo profumo mi diede il benvenuto, guardai verso il letto, ma era nascosta fino alle tempie con la coperta.
Il suo sonno era tormentato.
“No, non uccidetelo… Edward … ma è umana …Ti amo, non lasciarmi … Jacob … non possono sono umani …  Scappa, scappa … Non andare …”
Mi coricaci accanto a lei, le cinsi le spalle con il braccio e sfiorandole i capelli con le labbra le sussurrai la sua ninna nanna. Passarono le ore, il suo sonno si intervallava in momenti di piena calma, quasi fosse morta, da dovermi avvicinare per sentirne il respiro, a momenti di urla spaventate. Charlie entrò più volte nella stanza, in particolar modo dopo le urla di Bella, ogni volta mi nascondevo dietro alla porta e coglievo l’occasione per sapere cosa fosse successo in mia assenza, cercavo risposte a quelle immagini che durante la sfuriata del mattino gli frullavano in testa tormentandolo.
Lo sapevo che il ritorno di Cullen non era salutare per lei, non posso e non può sopportare di nuovo il tormento degli scorsi mesi…
Vidi nei suoi pensieri il Quileutes che trasportava in braccio Bella, lei era come un fagottino di stracci. Vidi Bella con lo sguardo vuoto che si rifiutava di mangiare, che distruggeva i CD, che urlava lanciando i vestiti fuori da una valigia… era vuota, sembrava un involucro vuoto che muoveva per inerzia. Provai il dolore di Charlie, il suo senso di impotenza, la sua voglia di aiutare la sua unica figlia e il rifiuto di lei nell’essere aiutata.
Quei pensieri mi lacerarono, ricordando il dolore che provai sotto l’influenza di Jane. Non credevo che la mia assenza fosse stata così nociva per lei.
Fu altrettanto doloroso sentire come i pensieri di Charlie diventassero più sereni ricordando il sorriso di Bella insieme a Jacob. Vidi Bella uscire da un bosco con la mano avvolta in quella del Quileutes, le risate spensierate di lei coricata sul tappeto del salotto vicino a lui e dei libri sparsi per il pavimento. Vidi una stanza piena di Quileutes, compreso quello che la portava in braccio, l’atmosfera era serena, calda, famigliare. Jacob seduto al tavolo con lei mentre mangiavano e ridevano, sentii la felicità di Charlie nel notare gli occhi innamorati di Jacob che seguivano e assecondavano Bella. Man mano che arrivavano i ricordi il volto di Bella diventava più roseo e gli occhi più sereni, così come i pensieri di Charlie.
Una delle ultime volte che entrò in camera per vedere come stava la figlia, i suoi pensieri non erano ricordi, ma speranze. Jacob e Bella su una spiaggia ventosa, con il cielo grigio e il mare infuriato, che si tenevano mano nella mano mentre guardavano dei bimbetti, con capelli neri, la pelle leggermente scura e gli occhi color cioccolato, giocare sulla sabbia, c’erano anche Charlie e Billy che si godevano il quadretto dalla barca con una canna da pesca in mano.
La gelosia mi fece tremare e ci mancò poco che mi facessi scoprire facendomi sfuggire un ringhio.
Chiusi i suoi pensieri fuori dalla mia mente ed evitai di guardarli per le restanti volte che entrò.
 
Era passato il giorno e la notte era tornata, Charlie era a letto e faceva sogni su Bella, erano confusi e tormentati, c’eravamo anche io e Jacob Black. Il mio ritorno aveva scombussolato la sua vita, comprendevo pienamente il suo odio nei miei confronti, ma se Bella me lo avesse permesso, gli avrei dimostrato che non ero tornato per farla nuovamente soffrire, ma per rendere felice e completa la sua vita.
Ero coricato vicino a lei, con un braccio le cingevo le spalle e con la mano le sfioravo la fronte e il viso ammirandolo, quando sospirò e spalancò gli occhi.
“Ah” urlò coprendosi gli occhi con i pugni chiusi. Dopo pochi secondi e alcuni respiri profondi tolse le mani e mi guardò con aria spaesata.
“Ti ho spaventata?” le chiesi sussurrando in ansia perché la vera domanda era: vuoi che me ne vada?
Continuò a guardarmi, ma non parlò. Cercai di capire dalla sua espressione la risposta, si era spaventata perché mi aveva confuso con uno zombi, come aveva predetto Alice? Voleva che me ne andassi? Si era innamorata di un licantropo e sperava di non trovarmi al risveglio? Era ancora addormentata e parlava nel sonno?
Sbattè le palpebre più volte come per svegliarsi da un incubo e gracchiò con la gola ancora secca dal sonno “Oh, merda. Sono morta vero?” si lamentò.
Trattenni una risata, era buffa, con quel cespuglio di capelli che le contornavano il viso, le labbra strette dall’incertezza, mentre con gli occhi sgranati, ed ancora leggermente annebbiati dal risveglio repentino, mi esaminava come per capire se fossi reale.
“Sono annegata. Merda, merda, merda! Charlie ci resterà secco” stava delirando e muoveva nervosamente per la stanza con i pugni chiusi.
“Non sei morta” le risposi accigliato e leggermente preoccupato per la sua sanità mentale.
“E allora perché non mi sveglio?” mi chiese lanciandomi un’occhiata di sfida.
“Sei già sveglia, Bella” le dissi con voce carezzevole, cercando di farle tornare la lucidità.
Scosse la testa “Certo, certo. E’ ciò che vuoi che io pensi. E poi, quando mi sveglierò, sarà il peggio del peggio. Se mi sveglierò, il che non avverrà, perché sono morta. Orribile. Povero Charlie. E Renée, e Jake …”
Jake… quel nome mi trafisse, ma rimasi impassibile, le brutte esperienze in Italia l’avevano traumatizzata a tal punto da farle credere di essere morta, cercai quindi di sdrammatizzare.
“Mi rendo conto che tu possa avermi scambiato per un incubo” mi rimproverai per non aver dato ascolto ad Alice ed essere andato a caccia prima di tornare da lei “ma non riesco a immaginare cosa potresti aver fatto di tanto brutto da finire all’inferno. Ne hai ammazzati molti, in mia assenza?”
Fece una smorfia “Certo che no. Se fossi all’inferno, tu non saresti con me” la mia Bella, non mi vedeva come un mostro, ma come un angelo, anche se il mio volto era livido dalla fame.
Sospirò, si guardò intorno e la lucidità tornò lentamente nei suoi occhi. Le sue guance diventarono rosse e con voce imbarazzata mi chiese “Perciò … è successo davvero?”
“Dipende. Se ti riferisci al fatto che abbiamo rischiato di farci massacrare in Italia, la risposta è sì” le risposi con un sorriso tirato.
“Strano. Sono stata in Italia davvero” il volto era pensieroso “Sai che non ero mai andata più a est di Albuquerque?”
Alzai gli occhi al cielo, era rinsavita, le sue risposte mai scontate e la sua particolare visione delle situazioni era tornata alla normalità. Solo Bella poteva pensare alla stranezza della distanza del viaggio, invece che al fatto di aver incontrato dei vampiri antichi e di aver sfiorato la morte.
La canzonai “Forse è meglio che torni a dormire. Stai delirando”
“Non sono più stanca” disse lucida e serena. “Che ore sono? Quanto ho dormito?”
“E’ l’una di notte passata. Direi che hai dormito quattordici ore”
Si stiracchiò e con le braccia ancora alte si fermò, aprì gli occhi di scatto e il viso preoccupato.
“E Charlie?” mi chiese.
Aggrottai la fronte alla domanda “Dorme. Devo farti presente che in questo momento sto infrangendo le regole. Beh, tecnicamente no, perché mi ha vietato di oltrepassare la porta di casa tua e io sono entrato dalla finestra, ma… Beh, ecco l’intenzione era quella”.
“Charlie ti ha bandito da qui?” chiese incredula.
“Cosa ti aspettavi?” la scelta di suo padre, dopo quello che aveva dovuto subire lui e la figlia a causa della mia partenza, era più che giustificata.
Lo sguardo di Bella era sbarrato, la mascella serrata ed il volto era viola di rabbia. Non accettava la scelta del padre, ma io non potevo biasimarlo, lui voleva solo proteggerla.
Cercò di calmarsi, ma i denti rimasero serrati mentre curiosa mi chiedeva “Qual è la versione?”
“In che senso?”
“Cosa racconto a Charlie? Con quale scusa giustifico un’assenza di… quanto tempo sono stata lontana da casa?” alzò le dita per fare i conti dei giorni.
“Soltanto tre giorni” dissi abbassando lo sguardo e trattenendo un sorriso per la faccia buffa che aveva, un misto tra curiosità e rabbia. Era fantastica, sembrava una bambina.
“A dir la verità, speravo che potessi avere tu una buona idea. A me non è venuto in mente nulla” dissi sincero.
“Favoloso” borbottò alzando gli occhi al cielo.
Beh, magari Alice si inventerà qualcosa” mia sorella aveva sempre una fervida immaginazione ed era molto precisa nei particolari dei suoi alibi, sicuramente aveva già architettato qualcosa, ma non avevo pensato di chiederlo nelle ore che avevo passato a casa, il perdono di mio padre e la scoperta di Victoria mi avevano fatto completamente dimenticare quel importante particolare. Mi ripromisi di rimediare il prima possibile, prima del risveglio di Charlie.
La mia risposta sembrò tranquillizzarla, si lasciò abbandonare sul letto e mettendo le mani sotto la nuca, mi guardò serena.
“Allora. Cos’hai fatto di bello fino a tre giorni fa?” chiese con fare noncurante, come se non le importasse più di tanto.
“Niente di così eccitante” … ripensai a Pablo, Miguel, Victoria, al varco che bruciava nel petto per la sua lontananza, alla mia famiglia, alla mia casa natia … erano cose passate, e non volevo perdermi quei momenti insieme a lei dilungandomi nel racconto della mia esistenza dolorosa vissuta in quei mesi orrendi.
“Certo che no!” mormorò guardandomi poco convinta.
“Perché fai quella faccia?”
Beh. E’ proprio ciò che risponderesti se, in fin dei conti, fossi un sogno. La mia immaginazione dev’essere un po’ a secco”
Sospirai. “Se te lo dico, ti convincerai che questo non è un incubo?”
“Un incubo!” disse sdegnata alzandosi di lato e appoggiandosi sul gomito, mi guardava dritto negli occhi con sguardo pensieroso, sembrava controllare che fossi reale. Attesi una sua risposta.
“Forse, a patto che tu me lo dica”
“Sono stato … a caccia” e con risultati pessimi del quale mi vergognavo.
“Non sai dire di meglio? Questo non basta affatto a dimostrare che sono sveglia” mi stuzzicò scrutando i miei occhi neri dalla fame.
Non volevo raccontarle le mie sconfitte. Se fossi stato in grado di uccidere Victoria in Brasile, lei non sarebbe ricomparsa nella vita di Bella a Forks, obbligandola a stare con i licantropi, ma non potevo mentirle.
“Non ero a caccia per nutrirmi… A dire la verità mi stavo allenando a… seguire le tracce. Non sono molto bravo” le confessai con un po’ di vergogna, ed avevo detto la verità, in quei mesi di ricerca le mie capacità di scovare la preda erano migliorate, purtroppo non quanto finirla.
“E cos’hai seguito?”
“Niente di rilevante” risposi vago.
“Non capisco” disse continuando a fissarmi negli occhi in attesa di una risposta più eloquente.
Presi un profondo respiro e confessai “Io… ti devo delle scuse. No, certo, ti devo molto, molto di più. Ma devi sapere che non avevo idea. Non mi sono reso conto del disastro che mi ero lasciato alle spalle. Pensavo che qui fossi al sicuro. Non avevo dubbi. E non immaginavo che Victoria sarebbe tornata.” Il veleno mi salì in bocca mentre pronunciavo quel nome “Devo ammettere di aver badato di più ai pensieri di James che ai suoi, il giorno del nostro incontro. Non ho intuito che avremmo scatenato una reazione simile. Che fossero così legati. E ora capisco il perché: si fidava di lui e il pensiero che avrebbe fallito non l’ha mai sfiorata. L’eccesso di sicurezza le offuscava i pensieri e mi ha impedito di percepire quanto fosse profondo il legame tra loro.
Non che ci siano scuse per ciò che ti ho inflitto. Quando ho sentito ciò che hai detto ad Alice, ciò che lei stessa ha visto e quando mi sono reso conto di averti costretta a mettere la tua vita nelle mani dei licantropi immaturi e volubili, la cosa peggiore al mondo, esclusa Victoria…Sappi che non avevo idea che sarebbe andata così. Sono amareggiato nel profondo, anche oggi che ti vedo al sicuro tra le mie braccia. Non c’è modo più miserabile per scusarmi…”
“Smettila” mi interruppe decisa e arrabbiata.
Mi guardò fisso negli occhi. Rimpiansi nuovamente che fosse l’unica eccezione al mio dono, perché mille emozioni attraversarono il suo volto, confondendomi.
“Edward” disse con un enorme sforzo e con il cuore che iniziava ad accelerare. “Smettila, una volta per tutte. Non puoi ostinarti a vederla così… a condizionarti la vita. Non puoi considerarti responsabile di tutto ciò che mi accade. Non è colpa tua, fa soltanto parte della mia vita attuale. Perciò se inciampo e finisco sotto un autobus, o qualunque cosa mi capiti, devi renderti conto che non sei obbligato a provare alcun rimorso.”
Non capivo dove voleva arrivare. L’avevo fatta soffrire e l’avevo spinta involontariamente tra le braccia dei licantropi, non l’avevo protetta, ero fuggito e tutto questo era successo a causa mia.
“Non puoi scappare in Italia perché non sei riuscito a salvarmi. Anche se mi fossi lanciata da quello scoglio per morire, sarebbe stata una scelta mia, non colpa tua. So che è nella tua … natura sentirti responsabile di tutto, ma davvero non puoi permetterti di esagerare in questo modo! E’ un atteggiamento sconsiderato. Pensa a Esme, a Carlisle e …” era così presa dalla foga che dovette fermarsi per riprendere fiato.
Capii quale fosse stato il fraintendimento, pensava che volessi uccidermi per il senso di colpa e non perché senza di lei la mia esistenza non aveva senso. Come poteva pensare una cosa del genere. Non aveva compreso quanto profondo fosse il mio amore per lei?
“Isabella Marie Swan” sussurrai sconcertato “credi davvero che ho chiesto ai Volturi di uccidermi perché mi sentivo in colpa?”
“Non è così?” chiese confusa e certa che non esistessero altre motivazioni.
“Certo che mi sentivo in colpa. Molto. Più di quanto tu possa immaginare.”
“Ma… cosa stai dicendo? Non capisco”
“Bella” le dissi accarezzandole la guancia e guardandola dolcemente negli occhi “sono andato dai Volturi perché credevo fossi morta” vedendo che continuava a non capire continuai
“Sarei andato in Italia anche se non fosse stata colpa mia. Certo, avrei dovuto agire con più cautela e parlarne con Alice, anziché prendere per buona la versione di Rose. Ma sinceramente, cos’altro avrei potuto pensare, quando il ragazzo mi ha risposto che Charlie era al funerale? Quante probabilità c’erano? Probabilità…” adesso che ero lucido e con lei salva tra le mie braccia, il mio gesto mi sembrò ancora più sconsiderato. Effettivamente sarebbe stato più sensato parlarne direttamente con Alice, o venire a salutare la salma di Bella prima di partire per l’Italia, ma il vuoto che mi aveva sopraffatto dopo la notizia, mi aveva tolto ogni lucidità, e il dolore che avrei provato a vederla, immobile e fredda dentro una bara, mi aveva così atterrito da farmi correre dall’altra parte del mondo.
“Le probabilità sono sempre contro di noi. Un errore dopo l’altro. Non criticherò mai più Romeo”
Dissi più a me che a lei.
“Continuo a non capire. Anch’io ne sono convinta. E allora?”
“E allora cosa?” chiesi confuso.
“Se anche fossi morta davvero?”
La guardai a lungo cercando di capire il senso di quella domanda. Non comprendeva che le nostre vite erano legate? Eppure ne avevamo parlato e le avevo spiegato che non le sarei sopravvissuto.
“Non ricordi cosa ti ho detto una volta?”
“Ricordo tutto quel che mi hai detto” lo sguardo si fece triste e il suo respiro più affannoso. Si accarezzava le mani come per consolarsi mentre si mordicchiava il labbro inferiore nervosamente.
Le sfiorai il labbro con la punta delle dita “Bella, temo che tu sia vittima di un equivoco.” Chiusi gli occhi e affermai con la testa, avevo capito quale dei miei discorsi si ricordava “Penso di avertelo già spiegato chiaramente. Non sono in grado di vivere se al mondo non ci sei tu, Bella”
“Sono… confusa” disse continuando a guardarmi come se parlassi un’altra lingua. 
La guardai dritta negli occhi per farle vedere la sincerità delle mie parole “Sono un bravo bugiardo, Bella. Devo esserlo.”
Rimase impietrita, diventò pallida e smise di respirare. Il cuore perse un battito ed io le diedi un leggero strattone per farla riprendere.
“Lasciami finire!” la spronai “Sono un bravo bugiardo, ma tu mi hai creduto troppo in fretta. E’ stato… atroce”
Continuava a guardarmi confusa e impaurita, con i muscoli contratti come attendesse un colpo.
“Quando ti ho detto addio, nella foresta …” il ricordo del suo sguardo sconvolta, la lotta interna per portare a termine la mia decisione, la bestemmia di dirle che non era la persona giusta per me …
“Non ti saresti arresa, lo sapevo bene. E non volevo farlo perché sapevo che sarei morto anch’io, ma temevo che se non ti avessi convinta che non ti amavo più, avresti impiegato ancora più tempo a riprendere una vita normale. Speravo che, dimostrandoti di averti dimenticata, tu potessi fare altrettanto”
“Un taglio netto” sussurrò a denti stretti.
“Esatto. Ma non avrei immaginato che sarebbe stato così facile” ero quasi offeso da come aveva valutato superficiale il mio amore per lei “La consideravo un’impresa quasi impossibile. Ero sicuro che intuissi la verità e mi aspettavo di dover mentire a denti stretti per ore prima di insinuare l’ombra del dubbio dentro di te. Ti ho mentito e ti chiedo scusa… scusa per averti ferita, scusa perché è stato un tentativo inutile. Scusa se non ti ho protetta da ciò che sono. Ho mentito perché volevo salvarti e non ha funzionato. Scusami.”
La guardai fissa negli occhi sperando di vedere un barlume di perdono nei suoi occhi, ma lei continuava a rimanere immobile, con lo sguardo fisso e confuso.
“Ma come hai potuto credermi? Dopo che ti ho ripetuto migliaia di volte che ti amavo, com’è stato possibile che una sola parola frantumasse la tua fiducia in me?
Lo vedevo nel tuo sguardo, sembravi sinceramente convinta che non ti volessi più. L’idea più assurda e ridicola… come se io potessi mai trovare il modo di esistere senza aver bisogno di te!” continuava a guardarmi fisso, non rispondeva, sembrava in catalessi, la strattonai per farla reagire, sarebbe andato bene anche un insulto, ma volevo che reagisse, che dimostrasse di aver compreso.
“Bella” sospirai “Davvero, cosa pensavi?”
Iniziò a piangere, le lacrime le rigarono il volto mentre gli occhi continuavano a guardarmi come se fossi irreale.
“Lo sapevo” singhiozzò “Sapevo che era un sogno” e si nascose il viso tra le mani continuando a piangere e scuotendo la testa.
“Sei incredibile” dissi ridendo nervoso, continuava a pensare che fossi un frutto della sua immaginazione “Cosa devo farti per convincerti?  Non stai dormendo e non sei morta.”
La guardai negli occhi e mi avvicinai di più al suo viso e strinsi leggermente di più la presa delle mie mani sulle sue braccia per farle capire che ero reale.
“Sono qui e ti amo.  Ti ho sempre amata e sempre ti amerò. Ho pensato a te, visto il tuo volto nei ricordi, durante ogni minuto di lontananza. Dirti che non ti volevo più è stata una terribile bestemmia.”
Scosse la testa come se non mi credesse e le lacrime continuarono a scendere copiose sul suo viso contratto dalla sofferenza.
“Non mi credi, eh? Come fai a credere ad una bugia e non alla verità?”
“Amarmi non ha mai avuto senso per te” mi rispose con la voce spezzata “L’ho sempre saputo”
Serrai le mascelle e la fissai, come poteva pensare una cosa così assurda?
“Ora ti dimostro che sei sveglia” le presi il viso tra le mani e la fissai negli occhi a pochi centimetri dai suoi, cercò di divincolarsi, ma la trattenni. Avvicinai la mia bocca alla sua, finché mi sussurrò “No, ti prego”
Mi gelai, non mi voleva più, l’avevo fatta soffrire troppo e le mie bugie avevano lasciato un segno più profondo del mio vero amore. “E perché no?” chiesi senza riuscire ad allontanarmi da quella posizione così vicina alle sue labbra da sentirne il respiro sulle mie.
“Quando mi sveglierò” aprii la bocca per protestare, ma mi fermò “D’accordo, lasciamo perdere. Ora che te ne andrai di nuovo sarà dura da sopportare, anche senza questo bacio”
Mi allontanai per guardarla negli occhi, allora non l’avevo persa, il suo cuore mi apparteneva ancora, lei aveva paura di perdermi, che l’avrei di nuovo lasciata e quindi la sua riluttanza a starmi troppo vicino era solo per difesa di se stessa, non per l’amore che provava per un altro. Ma volevo avere conferma di aver finalmente compreso correttamente, prima di lasciare che le illusioni mi inondassero di gioia.
“Ieri, quando ti toccavo, sembravi … incerta, prudente, sebbene sempre la stessa. Ho bisogno di sapere perché. E’ troppo tardi? Ti ho ferita irreparabilmente? O ti sei davvero lasciata tutto alle spalle, come desideravo? Tutto sommato sarebbe … giusto. Non contesterò la tua decisione. Perciò non temere la mia reazione, ti prego. Dimmi solo se dopo tutto ciò che ti ho fatto puoi ancora amarmi o no. Puoi?” sussurrai timoroso della risposta.
“Ma che razza di domanda scema è questa?” disse quasi stizzita.
“Ti prego, rispondi. Per favore.”
Avevo bisogno di sentirglielo dire, volevo la conferma che le mie intuizioni fossero corrette, che non l’avevo persa, che il suo cuore appartenesse ancora a me e che non appartenesse ormai al Quileutes.
“Ciò che provo per te non cambierà mai. Certo che ti amo… e tu non puoi farci niente!”
Il mio cuore si riscaldò e ricominciai a sentire la voglia di vivere scorrere nelle mie vene, la guardai per un istante lungo un’eternità, mi saziai dell’amore che i suoi occhi mi trasmettevano.
“Non avevo bisogno di sentire altro”
Avvicinai le mie labbra alle sue e mi lasciai andare in quel paradiso. Il bacio non fu assolutamente prudente, mi lasciai travolgere dalle fortissime emozioni che mi attraversavano il corpo riscaldandolo, facendolo rivivere.  Il suo cuore scandiva un ritmo spezzato e il respiro era leggermente affannato, mentre con le dita mi sfiorava il viso. Avvicinai il mio corpo al suo per poterla sentire ancora più vicina, il suo calore, il suo respiro, il suo profumo … mi era mancato immensamente e non avrei più permesso a niente ed a nessuno di privarmene, sarei morto pur di poter vivere in eterno quelle emozioni.
Le accarezzavo il viso, i capelli, la schiena e quando mi allontanavo per farle prendere fiato, sussurravo il suo nome per convincermi che non era un sogno, ero realmente vicino a lei, tra le sue braccia, e le mie labbra si erano finalmente ricongiunte con le sue, mi amava e la amavo, ed eravamo di nuovo insieme.
La sua pelle si increspò e il cuore iniziò ad accelerare ad un ritmo troppo elevato, mentre il suo corpo aumentava di temperatura.
Delicatamente mi allontanai dal suo viso e appoggiai l’orecchio al suo petto. Il suo respiro era affannato ed il cuore era impazzito. L’effetto della mia vicinanza su di lei era incrementato, non aveva mi smesso di amarmi e il demone non aveva fatto capolino per rovinare quel piacevole momento. Non ero più un pericolo per lei, non avrei più avuto l’istinto di ucciderla sotto il controllo del demone, eravamo fatti per stare insieme e non sarei più andato contro quel destino.
“Tra l’altro. Non ho intenzione di lasciarti” le confessai.
Non rispose, ma irrigidì i muscoli del corpo e smise per un attimo di respirare.
Alzai lo sguardo per capirne il motivo, non mi credeva, aveva ancora timore che mi sarei di nuovo allontanato da lei.
“Non vado da nessuna parte. Non senza di te.” Le confermai incatenando i suoi occhi ai miei.
“Ti ho lasciata soltanto perché desideravo darti la possibilità di vivere una vita normale, felice, da essere umano. Mi rendevo conto di cosa significasse starti accanto: farti vivere sempre sul filo del rasoio, allontanarti dal tuo mondo, costringerti a rischiare la vita in ogni istante che passavo con te. Perciò ho deciso di provare. Dovevo fare qualcosa e la fuga mi sembrava l’unica possibilità. Se non avessi creduto che era meglio per te, non mi sarei mai imposto di andarmene. Sono fin troppo egoista. Solo tu eri più importante dei miei capricci… e dei miei desideri. Ciò che desidero, ciò che voglio, è stare con te e so che non avrò mai più la forza di lasciarti. Ho troppe scuse per rimanere… grazie al cielo, sembra proprio che tu non riesca a non cacciarti nei pasticci, neanche se ci sono chilometri a separarci.”
“Non fare promesse” mi sussurrò con un filo di timore nella voce.
Pensava che le stessi mentendo? Le avevo confessato il mio amore, le mie debolezze ed ero lì con lei, tra le sue braccia, come poteva continuare a dubitare di me?
“Pensi che ti stia mentendo, adesso?” le chiesi risentito.
“No… non lo penso” scosse la testa, come per cacciare via i cattivi pensieri, si morse leggermente il labbro e guardò le lenzuola come in cerca di una risposta corretta.
“Potresti essere sincero… adesso. Ma domani, quando ripenserai a tutti i motivi che già una volta ti hanno convinto ad andartene? O tra un mese, la prossima volta che Jasper cercherà di mordermi?”
Trasalii, era stato così semplice convincerla della bugia che non l’amavo, che della verità del mio amore. Lei era la mia vita e nulla mi avrebbe più convinto ad allontanarmi. Sapevo che c’erano delle possibilità che il mio mondo si scontrasse con il suo, ma ero disposto a correrne il rischio. Quella lontananza non aveva giovato a nessuno, anzi aveva rischiato di ucciderci entrambi, quindi non avrei più fatto una scelta così stupida. Sarei rimasto al suo fianco e l’avrei protetta da ogni pericolo, da ogni umano, da ogni vampiro e da ogni licantropo.
“Non mi pare che tu abbia meditato molto sulla tua vecchia decisione, no? Finirai per fare ciò che ritieni giusto” disse convinta.
“Non ho tutta la forza che mi attribuisci. Non mi importa più di capire cosa è giusto e cosa è sbagliato; sarei tornato comunque. Prima che Rosalie mi desse la notizia, avevo già rinunciato a vivere la giornata. Una settimana era un’eternità, un’ora una sofferenza. Era soltanto questione di tempo, molto poco tempo, e mi sarei ripresentato alla tua finestra per implorarti di accettarmi di nuovo. Se non ti dispiace vorrei provarci ora” le dissi cingendole le mani.
Fece una smorfia “Non scherzare, per favore”
“Dico sul serio” le dissi torvo, mentre con il dito le alzavo il volto per poterla guardare negli occhi, l’unico spiraglio che avevo per capire i suoi pensieri. Era restia e questo mi fece male, “Vuoi, per cortesia, sforzarti di ascoltare ciò che dico? Mi lasci spiegare quanto sei importante per me?” le chiesi deciso affondando il mio sguardo nel suo per penetrare nella sua mente e convincerla della verità di quelle parole.
“Prima di te, Bella, la mia vita era una notte senza luna. Molto buia, ma con qualche stella: punti di luce e razionalità… poi hai attraversato il cielo come una meteora. All’improvviso, tutto ha preso fuoco: c’era luce, c’era bellezza. Quando sei sparita, la meteora è scomparsa dietro l’orizzonte e il buoi è tornato. Non era cambiato nulla, ma i miei occhi erano rimasti accecati. Non vedevo più le stelle. Niente aveva più senso.”
“Gli occhi si abitueranno” mormorò, come se fosse una frase che ripeteva spesso.
“Questo è il problema: non ci riescono”
“E le tue distrazioni?”
Come poteva essere così testarda, avevo passato mesi a dirle quanto la amavo, e lei continuava a ricordarsi solo la nostra ultima chiacchierata, l’unica nel quale le avevo mentito. Risi nervoso. “Faceva parte della bugia, amore mio. Non sono mai riuscito a cancellare… l’agonia. Il mio cuore non batteva da quasi novant’anni, ma stavolta è andata diversamente. Non lo sentivo più, al suo posto c’era il vuoto. Come se ti fossi portata via tutto ciò che avevo dentro” le dissi con tutta la passione che stava di nuovo riempendo il cuore al posto del vuoto provato nei mesi precedenti.
“Curioso” disse
Inarcai le sopracciglia stupito dalla sua risposta.
“Curioso?”
“Volevo dire “strano” … pesavo fosse successo soltanto a me. Anch’io ho perso parecchi pezzi. Ho passato chissà quanto tempo senza respirare davvero.” Trasse una profonda boccata d’aria “Anche il mio cuore. Sparito nel nulla”
Chiusi gli occhi, le immagini della mente di Charlie mi avevano già fatto presente quella verità. E la sua risposta mi confermò che il mio posto era accanto a lei, e in nessun altro luogo.
Le appoggiai la testa sul petto per poter ascoltare il suo cuore, ora calmo, per aver conferma che tutti i pezzi si fossero riuniti, rassicurandolo che non lo avrei più spezzato.
Mi sfiorò i capelli con la guancia e un brivido mi attraversò la schiena.
“Non ti sei distratto nemmeno con la caccia?” chiese curiosa
“No, quella non è mai stata una distrazione, ma un dovere”
“In che senso?”
“Ecco, benché non considerassi affatto pericolosa Victoria, non intendevo fargliela passare liscia... Te l’ho detto, sono stato un vero incapace. L’ho inseguita dal Texas, ma poi mi sono lasciato ingannare da una pista falsa che portava in Brasile. In realtà, lei era tornata qui… E io stavo in un altro continente! E nel frattempo, peggio del mio incubo peggiore…”
“Eri sulle tracce di Victoria?” disse alzando la voce spaventata e il suo corpo diventò freddo e rigido dalla paura.
“Non le ho seguite bene.” Mi aveva sempre reputato infallibile in tutto, la consapevolezza che avevo fallito nell’unica cosa veramente importante l’aveva turbata.  “Ma stavolta farò di meglio. Presto la smetterà di inzozzare l’aria con il suo respiro” dissi risoluto, cercando di farle capire che non avrei fallito, mi era sfuggita solo perché avevo avuto una défaillance e non ero nel pieno delle mie forze. Adesso ero di nuovo completo, i pensieri erano più nitidi ed avevo la mia famiglia come supporto. Non aveva più scampo.
“Questo è … fuori discussione” disse d’un fiato Bella guardandomi con occhi spaventati.
“E’ troppo tardi per lei. L’altra volta ho perso l’occasione, ma ora basta, non dopo che…”
Mi interruppe con tono calmo, ma le mani le tremavano ed il respiro era affannato: “Ricorda che hai appena promesso di non andartene. Non credo che ciò sia davvero compatibile con una battuta di caccia in piena regola, sbaglio?”
Mi sfuggì un ringhio e il mio umore diventò nero, non poteva sfuggirmi anche qui. Non mi sarei allontanato da Bella, non adesso che l’avevo ritrovata e dopo aver provato sulla mia pelle quanto fossi incompleto senza di lei. Ma non avrei comunque permesso a quella selvaggia di avvicinarsi a Forks e uscirne viva, avevamo un conto in sospeso ed io l’avrei saldato.
“Manterrò la promessa, Bella.” Dissi a denti stretti “Ma Victoria morirà. Presto”
“Non lasciamoci prendere dalla fretta. Forse non tornerà.” Cercò di calmarmi, massaggiandomi delicatamente il braccio. “Probabilmente il branco di Jake le ha messo paura. Non c’è motivo di andare a cercarla. E poi, ora come ora ho problemi più urgenti”
Aveva ragione, il problema di Victoria era quasi risolto, la mia famiglia si stava adoperando proprio in quel momento per velocizzare la sua dipartita. Il problema più grande adesso erano i nuovi amici di Bella!
“Hai ragione. I licantropi sono un problema.”
Sbuffò offesa. “Non mi riferisco a Jacob. Ho problemi ben peggiore di un gruppetto di lupi adolescenti pronti a cacciarsi nei pasticci.”
Come poteva non vedere il pericolo che rappresentavano i licantropi? Tolto che le nostre specie erano in attrito da tempo immemore ed eravamo nemici giurati, ma soprattutto i licantropi non erano assolutamente affidabili. Negli anni avevo visto licantropi trasformarsi senza preavviso, solo per un momento di rabbia, e uccidere o mutilare la persona che gli stava accanto, non importava se fosse un nemico o un amico, nel momento di rabbia, solo l’istinto predatore governava le loro azioni.
“Davvero?” dissi a denti stretti “E quale sarebbe il problema più urgente? Cos’è che rende tanto trascurabile ai tuoi occhi la prospettiva del ritorno di Victoria?”
“Parliamo del secondo in ordine di importanza?”
“D’accordo” ero sospettoso, e non ero certo di voler sapere la risposta, le prospettive di Bella e il suo metro di calcolo per il pericolo erano molto differenti dai miei.
Rimase in silenzio fissandomi, cercando le parole giuste, e poi in un sussurro “C’è qualcun altro che verrà a cercarmi”
Sospirai, avevo temuto il peggio, i Volturi non erano un problema, avevo già elaborato il piano nelle ore di volo. Avrebbe potuto vivere serena, non avrei assecondato le loro richieste, e tutto era già ben predisposto per la nostra eventuale fuga, sempre che si fossero ricordati di noi entro la vita umana di Bella, forse se ne sarebbero ricordati tra cent’anni, e noi non ci saremmo più stati.
“I Volturi sono soltanto secondi?”
“Non mi sembri così sconvolto” disse quasi offesa.
Beh, abbiamo un sacco di tempo per pensarci. La loro percezione del tempo è molto particolare, diversissima dalla tua, e anche dalla mia. Un loro anno pesa quanto un tuo giorno. Non mi sorprenderei se si facessero vivi per il tuo trentesimo compleanno” dissi scherzando.
Un’ombra scura calò sul suo volto, i suoi occhi si riempirono di lacrime ed il suo corpo iniziò a tremare in modo impercettibile. “Non devi avere paura. Non permetterò che ti facciano del male.” Le dissi ansioso mentre le asciugavo le lacrime con una carezza e la avvicinavo al mio petto.
“Finché ci sei”
Le alzai il viso e la guardai intensamente negli occhi… “Non ti lascerò mai più” dissi scandendo bene le parole in modo che entrassero in quella testolina testarda.
“Ma hai detto trentesimo. Perciò… vuoi rimanere e lasciare che io invecchi? Va bene”
Non avevo promesso nel sala di Aro, per non darle false speranze, ma non era bastato, lei continuava a vedere la dannazione come unico destino. Ma io non le avrei mai tolto la vita, condannandola rubandole l’anima.
“Proprio così. Quali alternative ho? Non posso fare a meno di te, ma non distruggerò la tua anima”
“Ma sei davvero …” i suoi occhi scavarono nella profondità dei miei prima di continuare “E quando sarò vecchia che tutti mi scambieranno per tua madre? O tua nonna?” l’amarezza della sua voce mi ferì. Come ogni umana pensava che solo la sua bellezza esteriore mi attraesse.
“Per me non significa nulla” la rassicurai respirando il suo profumo “Ai miei occhi resterai la cosa più bella di tutte. Ovviamente” e un fremito mi attraversò al solo pensiero del dolore che avrei provato “se tu diventassi troppo grande, se tu desiderassi qualcosa di più… lo capirei, Bella. Prometto che non sarò mai di intralcio se deciderai di lasciarmi” e mentre lo dicevo la strinsi come per negare le parole appena dette.
“Ti rendi conto che un giorno o l’altro morirò?”
“Ti seguirò appena possibile”
“Questa è davvero … un’assurdità” disse seccata.
“Bella, è l’unica via che mi è rimasta…”
“Facciamo un piccolo passo indietro” disse leggermente tesa e molto lucida “Ricordi i Volturi, vero? Non resterò umana per sempre. Mi uccideranno. Anche se non dovessero più pensare a me fino al mio trentesimo compleanno, pensi davvero che possano dimenticare?” mi chiese guardandomi negli occhi con aria di sfida.
“No. Non dimenticheranno. Però …” risposi con un sorriso divertito, scuotendo la testa.
“Però?” mi scrutava come se fossi impazzito.
“Ho un piano”
“E questo piano parte dal presupposto che resterò umana” precisò acida e offesa.
“Naturalmente” le risposi brusco e con un velo di arroganza.
Ci fissammo in cagnesco per una manciata di minuti, poi lei sbuffò e si sciolse dal mio abbraccio per sedersi.
“Vuoi che me ne vada?” gli chiesi dispiaciuto
“No” disse secca alzandosi dal letto e iniziando a vagare per la stanza buia in cerca di qualcosa “Sono io che me ne vado”.
“E potrei sapere dove?” chiesi sospettoso
“A casa tua”
Mi alzai e avvicinandomi le porsi le scarpe come per sfida “Eccoti le scarpe. Come pensi di andarci?”
“Con il pickup”
“Finirai per svegliare Charlie” il baccano che faceva il motore del rudere avrebbe svegliato l’intero vicinato in quella notte silenziosa.
“Lo so. Ma, sinceramente, dopo quello che ho combinato mi terrà sotto chiave per settimane. In quali altri guai posso cacciarmi?” disse determinata mentre finiva di vestirsi.
“Nessuno. Ma darà la colpa a me”
“Se hai un’idea migliore, sono tutta orecchi”
“Resta qui” le proposi cercando di riaccompagnarla nel letto.
“Nemmeno per idea. Se vuoi, precedimi, fai come fossi a casa tua” ribatté ironica mentre sviava la mia presa e si dirigeva verso la porta della stanza.
Volai a sbarrarle l’uscita e lei si voltò verso la finestra. Guardò verso il terreno sottostante e prendendo fiato, iniziò a posare la gamba sul davanzale per uscire dalla finestra. La fermai sospirando, aveva vinto “Va bene. Ti do un passaggio”
Si strinse tra le spalle indifferente “Fai come credi. Ma ti consiglio di essere presente”
“E perché mai?”
“Perché sei straordinariamente testardo e sono sicura che ti sentirai in dovere di esporre la tua opinione”
“A proposito di cosa?” le chiesi a denti stretti intuendo quali fossero le sue intenzioni.
“La questione non riguarda più soltanto te. Sai, non sei al centro dell’universo” disse seccata e acida guardandomi dritta negli occhi “Se la tua stupida ostinazione a non volermi trasformare finirà per metterci contro i Volturi, è giusto che a decidere sia la tua famiglia al completo”
“A decidere cosa?” scandii le parole una ad una sfidandola.
“Della mia mortalità. Voglio metterla ai voti” disse risoluta.
Senza proferir parola, la presi in braccio e saltai fuori dalla finestra nel buio della notte. Appena atterrammo sull’erba la aiutai a salirmi a spalle ed iniziai a correre verso casa. La corsa mi aiutò a tranquillizzarmi, e fui lieto della sua decisione, avrebbe chiesto alla mia famiglia, togliendomi ogni responsabilità, non sarebbe più stata solo una mia scelta e lei sarebbe rimasta mortale senza incolparmi.
Sfrecciavo nella foresta in silenzio, l’aria era umida e gli animali erano tutti addormentati. Ripensai alla prima corsa con lei sulle spalle, la sua paura della velocità e della possibilità, assurda, che potessi andare a sbattere contro un albero. Il suo respiro quella sera era tranquillo, era completamente a suo agio, come se avessimo corso tutti i giorni per la foresta. Teneva il mento appoggiato sulla mia spalla e la guancia sul collo. Affondò le labbra sul mio collo e un brivido mi attraversò
“Grazie” le dissi felice continuando la corsa tra gli alberi “Significa che tu sei convinta di essere sveglia?”
Scoppiò a ridere, di una risata genuina “Non proprio. Più che altro, sia quel che sia. Non voglio svegliarmi. Non stanotte”
“In qualche modo riconquisterò la tua fiducia. Fosse l’unica cosa che faccio.” Le promisi in un sussurro.
“Ma io ti credo” disse serena e sincera “E’ di me stessa che non mi fido”
La sua risposta mi incuriosì, eravamo quasi giunti a casa e volevo comprendere il significato di quell’affermazione prima dell’incontro con la mia famiglia, iniziai a rallentare la corsa fino a camminare.
Beh … non son certa di poter essere…abbastanza. Di meritarti. Non c’è niente in me che potrebbe trattenerti”.
Mi fermai e la aiutai a scendere dalle spalle. Mantenni la presa delle mia mani sulle sue braccia e la abbracciai delicatamente “Il mio legame con te è permanente. Non dubitarlo mai” le sussurrai accarezzandole i capelli con la guancia.
“Non mi hai ancora detto…” continuai allontanandola leggermente per vederla in viso
“Cosa?”
“Qual è il tuo problema più grande”
“Ti do un indizio” rispose sfiorandomi la punta del naso con il dito indice.
“Sono peggio dei Volturi. Penso di essermelo meritato” dissi addolorato.
Alzò gli occhi al cielo sbuffando “Il peggio che possano farmi i Volturi è uccidermi”
La guardai intensamente, in attesa di una spiegazione a quella frase senza logica, la vita era una cosa importante, in particolar modo la sua.
“Ma tu potresti lasciarmi. I Volturi, Victoria … al confronto non sono niente” il dolore che le avevo causato nei mesi precedenti era così intenso e profondo che preferiva la morte pur di non doverlo rivivere e l’unico motivo di quel tormento era stata la mia decisione, ero stato io. Invece di proteggerla l’avevo fatta soffrire…
“No. Non essere triste” sussurrò accarezzandomi il viso dolcemente.
“Se solo ci fosse una maniera di farti capire che non posso lasciarti” cercai di sorridere, ma mi uscì solo una smorfia. “Immagino che soltanto il tempo riuscirà a convincerti”
Un luccichio le attraversò lo sguardo “D’accordo”
Rimanemmo in silenzio, abbracciati e ammirandoci. Nella mente continuavo a prometterle che non l’avrei più lasciata, sapevo che non sarei riuscito a vivere lontano da lei, senza poterla vedere, toccare, e godere della sua fragranza, della sua intelligenza e della sua testardaggine. Ci avevo provato, ma ero un codardo, non avrei avuto il coraggio di riprovare il dolore che mi aveva attanagliato negli ultimi mesi.
“Quindi… visto che hai intenzione di rimanere, posso avere indietro le mie cose?” ruppe il silenzio con tono naturale.
Scoppiai a ridere “Le tue cose sono già lì. Sapevo che era un errore, ma ti avevo promesso la pace, senza ricordi del passato. Sono stato stupido ed infantile, ma volevo anche che qualcosa di mio ti restasse vicino. Il CD, le foto, i biglietti… sono in camera tua, nascosti sotto le assi di legno”
“Davvero?” chiese con entusiasmo “Chissà, non ne sono sicura, ma forse l’ho sempre saputo” mormorò a se stessa
“Cosa?”
“Una parte di me, forse il mio inconscio, non ha mai smesso di credere che il mio destino ti stesse a cuore. Per questo sentivo le voci, probabilmente”
Come avevo potuto farla soffrire così tanto? La sua mente da umana era troppo delicata, avrei dovuto prevederlo. Lei era pura, sincera, innamorata, avrei dovuto pensare alle conseguenze del mio gesto. Mi ero soffermato soltanto sulle conseguenze della mia vicinanza e non della mia lontananza.
“Voci?” chiesi cercando di mascherare la mia preoccupazione per la sua salute mentale
Beh, una sola. La tua. E’ una storia lunga”
“Il tempo non ci manca” cercai di dirle tranquillo.
“E’ una storia patetica”
Attesi. Non avevo fretta e volevo capire fino a che punto i mesi precedenti l’avevano segnata.
Ci pensò un momento, e con imbarazzo mi chiese “Ricordi quando Alice ha parlato di sport estremi?”
“Ti sei tuffata da uno scoglio per divertimento” l’immagine di quel tuffo mi torturò la mente, ma rimasi impassibile e risposi con tono piatto per evitare di far trasparire emozioni.
“Ehm, sì. E prima, in moto…”
“Moto?” la mia rabbia era così forte che non riuscii a nasconderla, anche se tentavo di avere un tono calmo. La visione di Alice con i motociclisti a Port Angeles fece capolino nei ricordi. Trattenni un ringhio e continuai ad ascoltare quali altre stupidaggini aveva provato in mia assenza.
“Immagino che Alice non ti abbia detto nulla” chiese leggermente timorosa. Intuii che quella visione era solo una delle volte in cui lei aveva avuto a che fare con delle moto.
“No” dissi secco
Beh, il fatto è… ecco, ho scoperto che… ogni volta che facevo qualcosa di pericoloso e stupido… ti ricordavo più chiaramente. Ricordavo il suono della tua voce quando ti arrabbi. La sentivo come se fossi al mio fianco. Di norma cercavo di non pensare a te, ma in quelle occasioni speciali non sentivo il dolore: era come se fossi tornato a proteggermi. Perché non volevi che mi facessi male.”
Un ricordo solleticò la mia mente: il dolore che provai in auto, mentre fuggivo da Forks, e la sensazione che una parte di me mi avesse abbandonato per tornare da lei, forse non era solo una sensazione, forse realmente una parte di me era rimasta con lei e l’aveva protetta. Quel pensiero mi rasserenò. Forse Bella non era impazzita ed io non l’avevo realmente abbandonata. Il nostro legame era così forte che anche in quei mesi da incubo, a disdetta della lontananza e del tempo, le nostre essenze erano unite, noi ci appartenevamo a vicenda.
“Ecco, forse riuscivo a sentirti con tanta chiarezza perché, in fondo, sapevo che non avevi mai smesso di amarmi…”
“Tu… hai… rischiato la vita… per sentire …” balbettai in contrasto tra l’emozione per ciò che mi aveva appena rivelato e la paura per i pericoli che aveva corso pur di stare, anche se solo nell’illusione, con me. Non riuscii a terminare che mi interruppe.
“Ssssh… Aspetta un secondo. Sto per avere una rivelazione” i suoi pensieri erano lontani, il suo cuore batteva forte e il suo respiro era un sussurro. Rimase immobile con il corpo, ma tantissime emozioni attraversarono il suo volto. Il dubbio, lo stupore, la felicità ed infine la certezza.
“Ah!” urlò con un sussulto
“Bella?” chiesi preoccupato
“Si. Ecco, ho capito”
“La tua rivelazione?” chiesi incerto e leggermente spaventato.
“Tu mi ami” disse meravigliata e sicura, con la felicità che le faceva fremere l’intero corpo.
“E’ così, davvero” le sussurrai con un sorriso e con le mani le cinsi il volto e la baciai per sugellare quella indiscutibile verità. Il mondo scomparve, nessun suono se non il canto del suo cuore accelerato, nessun profumo se non la fragranza del suo corpo, nessuna gravità se non le sue braccia che mi tenevano ancorato al mondo reale. Quando allontanai le mie labbra della sue e appoggiai la fronte alla sua, entrambi avevamo il respiro affannato.
“Sei stata più brava di me, sai” le dissi continuando a tenerle il viso tra le mani, facendomi accarezzare le labbra dal suo respiro.
“In cosa?” sussurrò
“A sopravvivere. Tu, se non altro, ci hai provato” mi allontanai di pochi centimetri, mantenendo l’abbraccio “Ti alzavi ogni mattina, cercavi di sembrare normale agli occhi di Charlie, seguivi il ritmo della tua vita. Io, quando non cacciavo, ero… totalmente inutile. Non riuscivo a stare vicino alla mia famiglia, né a chiunque altro. Devo ammettere di essermi più o meno raggomitolato su me stesso, per lasciarmi assalire dalla tristezza.”
Feci un sorriso imbarazzato, non era pazza, era stata più forte di me, aveva cercato di avermi vicino anche se la sua memoria non era infallibile come la mia, e ci era riuscita mettendo in pericolo la sua vita. Non si era arresa, a differenza di me.
“E’ stato molto più patetico che sentire le voci. E sai che sono sincero”
“La voce era una sola” precisò.
Risi appagato e cingendole il fianco la accompagnai all’uscita della foresta.
“Solo per farti contenta” e con un gesto teatrale le indicai casa Cullen “Del loro parere non m’importa nulla.” Io avevo già deciso.
“La questione riguarda anche loro, ormai” disse cocciuta.
Scrollai le spalle, ero sereno, sapevo che la mia famiglia avrebbe appoggiato la mia decisione. Forse Alice che, a causa delle sue visioni, l’aveva sempre considerata la sua sorella preferita ancor prima di conoscerla, poteva essere d’accordo sulla trasformazione. Ma dopo ciò che aveva combinato con la sua ultima visione dubitavo che si sarebbe permessa di votare contro di me.
La guidai dentro casa ed accesi le luci. Rimase stupita, come se non si aspettasse di vederla esattamente come era stata prima della nostra partenza, come se fosse diversa da come si ricordava.
“Carlisle? Esme? Rosalie? Emmett? Jasper? Alice?” chiamai appena entrammo.
Bella si spaventò quando Carlisle si materializzò al suo fianco
Ops, troppo veloce, ero sovrappensiero.
“Bentornata Bella. Possiamo esserti utili? Immagino che, visto l’orario mattiniero, questa non sia una visita di cortesia” disse sorridendole.
Alice ci ha avvisati che sareste arrivati, ma è stata vaga sul motivo. Tutto bene?
Alzai gli occhi al cielo con un sorriso sincero. Per Bella era importante, ma secondo me era inutile, sapevo esattamente cosa avrebbero deciso.
Vedendo la mia tranquillità, si rilassò ed accompagnò Bella nella sala da pranzo.
Tutto bene? Mi chiese mia madre apprensiva appena fu al mio fianco. Annuii quasi divertito.
E’ arrivata Bella!!! Vediamo quanto riesco a farle diventare rosse le guance… Emmett era entusiasta nel rivedere la sua umana preferita
Siiiii finalmente!!! Alice corse giù dalle scale entusiasta, e la mia certezza sull’evolversi della serata vacillò. Alice era troppo euforica, lei non era così d’accordo con me sulla mortalità di Bella.
Finalmente sapremo cosa rende così felice Alice pensò Jasper mentre si dirigeva curioso verso il tavolo.
Speriamo che non mi porti rancore. Pensava Rosalie mentre azzardava un sorriso verso la mia amata.
Mio padre si sedette a destra di Bella ed io alla sua sinistra. Tutta la mia famiglia si accomodò silenziosamente in attesa di sapere il motivo della convocazione, solo Alice friggeva sulla sedia.
Con un cenno del capo, mio padre diede la parola a Bella.
Deglutì e osservò timida tutti i membri della mia famiglia. Le sue mani sudavano e il suo cuore batteva un ritmo frenetico. Odiava essere al centro dell’attenzione, ed in quel momento i riflettori erano tutti puntati su di lei, sorrisi, era lei che lo aveva voluto, ma le presi comunque la mano sotto il tavolo per rassicurarla.
Beh … Spero che Alice vi abbia già raccontato cosa è successo a Volterra.” Disse incerta
“Tutto” confermò fiera Alice
“Anche di cosa ci siamo dette in viaggio?” guardai torvo mia sorella, non mi aveva riferito cosa si erano dette durante il viaggio in Italia, ma lei fece finta di nulla e non spostò lo sguardo da Bella
“Anche quello” annuì.
Cercai nei suoi pensieri e vidi il timore di uccidere Bella mentre cercava di trasformarla. Mi calmai.
“Bene” disse sollevata “Allora siamo tutti aggiornati”
Rimase in silenzio, cercando di riordinare le idee, e la mia famiglia attendeva paziente la continuazione di quel discorso fino a quel momento un po’ confuso.
“Il fatto è che ho un problema. Alice ha promesso ai Volturi che sarei diventata una di voi. Manderanno qualcuno a controllare e sono certa che sia un pericolo… un’eventualità da evitare. Ecco perché siete tutti coinvolti. Ne sono molto dispiaciuta.”
I miei famigliari avevano pensieri diversi. Emmett non vedeva l’ora di attaccar briga con i Volturi, Rosalie era preoccupata per come sarebbe potuto concludersi uno scontro aperto contro gli antichi, Alice era entusiasta di averla come sorella, Jasper studiava delle tattiche per affrontare gli italiani in modo da avere il minor numero di perdite. Charlie ed Esme erano in conflitto con se stessi, e non capii quale sarebbe stata la loro scelta, non tenevano conto dei Volturi, ma solo della possibilità di renderla immortale.
Feci una smorfia, la mia convinzione di pochi minuti prima stava sfumando.
“Ma se non mi volete, non vi obbligherò ad accettarmi, sia che Alice voglia trasformarmi, sia che non lo voglia”
Per noi sei già parte della famiglia anche come mortale pensò mia madre, ma appena cercò di dirlo ad alta voce Bella la fermò con un dito alzato.
“Vi prego, lasciatemi finire. Sapete tutti cosa voglio. E sono sicura che conosciate anche il parere di Edward. Penso che l’unica maniera onesta di decidere sia di lasciarvi votare. Se decidete di non volermi, allora… penso che tornerò in Italia da sola. Non posso permettere che siano loro a venire qui” a quella affermazione la rabbia mi invase. Mi aveva messo di fronte ad un bivio dove entrambi le scelte erano delle tragedie, in ambedue la sua mortalità era destinata a scomparire, o diventando immortale o morendo.
Un ringhio nacque dal mio petto, serrai in un pugno la mano libera e cercai di rimanere fermo e silenzioso in attesa che finisse di esporre le sue strambe idee, dettate solo dal timore di mettere a rischio la mia famiglia.
Ignorandomi continuò “Perciò, partendo dal presupposto che, comunque vada, non vi esporrò ad alcun pericolo, voglio che esprimiate il vostro parere sulla possibilità di trasformarmi in vampira.”
Terminò facendo cenno a mio padre di procedere con la votazione.
“Un momento” dissi alzandomi in piedi e bloccando con lo sguardo Carlisle.
Bella mi pugnalò con lo sguardo, le strinsi la mano e le feci cenno di attendere, era il mio turno e doveva ascoltare il mio piano.
“Ho qualcosa da precisare, prima della votazione, a proposito del pericolo di cui parla Bella. Non credo che dobbiamo lasciarci prendere dalla fretta.” Mi chinai leggermente in avanti sul tavolo e li osservai uno ad uno, per avere la loro completa attenzione. Mi fissarono incuriositi ed in attesa.
“Vedete, le ragioni per cui, prima di andarcene, ho rifiutato di stringere la mano ad Aro sono molte. C’è una cosa a cui non hanno pensato e che ho fatto in modo di non lasciar trapelare.” dissi con un sorriso compiaciuto.
“Cioè” mi chiese scettica Alice con un sopracciglio inarcato dal dubbio e le braccia incrociate sul petto.
“I Volturi sono molto sicuri di sé, e hanno ragione di esserlo. Per loro scovare qualcuno non è mai un problema.” Mi voltai verso Bella “ti ricordi Demetri?” Rabbrividì al ricordo della guardia.
“Trovare le persone è il suo talento, la ragione per cui lo tengono nel gruppo. Ebbene, durante il tempo che abbiamo passato in loro compagnia ho setacciato i pensieri di tutti in cerca di informazioni o di qualunque appiglio potesse salvarci. Così ho visto in che modo funziona il potere di Demetri. E’ un segugio mille volte più dotato di quanto fosse James. La sua abilità è in qualche modo simile a ciò di cui siamo capaci io e Aro. Scova le tracce dell’… aroma? Non so come descriverlo… delle tonalità… dei pensieri della preda, e la segue. Funziona anche a distanze immense. Però, dopo che Aro ha compiuto quel paio di esperimenti su di te, Beh …” mi strinsi nelle spalle per terminare la mia deduzione scontata.
“Pensi che non sia in grado di trovarmi” terminò la frase Bella, non molto convinta.
“Ne sono sicuro. Si affida soltanto a quel senso in più. Se su di te non funziona, saranno come ciechi” dissi compiaciuto, lo sapevo bene cosa significava non poter utilizzare un dono. Mi sentivo impedito i primi tempi con Bella e la mia incapacità di leggerle il pensiero, fino ad allora non mi ero mai preso la briga di sviluppare altre capacità basilari per comprendere chi avevo davanti, leggevo nel pensiero e non serviva altro, ma quando il mio potere fu inibito, io rimasi cieco. Sicuramente anche per Demetri sarebbe accaduta la stessa cosa. E non vi erano altri della guardia dei Volturi in grado di localizzarci.
“Questo risolverebbe qualcosa?”
“Ovviamente, Alice saprà prevedere la visita e dopo che mi avrà avvertito ti nasconderò. Non potranno farci nulla. Sarà come cercare un ago in un pagliaio.” Terminai fiero e scambiai uno sguardo di intesa a mio fratello Emmett.
Fico! Li faremo fessi! Mi piace il tuo piano, sono con te!
“Però potrebbero trovare te” controbatté Bella fissandomi preoccupata
“So badare a me stesso”
“Piano eccellente” disse Emmett entusiasta mentre picchiava il pugno contro il mio.
“No” sibilò Rosalie questo piano fa acqua da tutte le parti
“Assolutamente no” ribadì Bella con sguardo accesso dalla rabbia e dal timore
“Ottimo” e ho già in mente un luogo dove nasconderla e un piano per depistarli mi appoggiò Jasper
“Idioti” il modo più veloce per farvi ammazzare tutti sbottò Alice tenendosi le gambe tra le braccia e appoggiando il mento imbronciato sulle ginocchia
Ma sei pazzo? Se non vi troveranno ci uccideranno e poi uccideranno anche te, e prima o poi troveranno anche lei … Esme mi fulminò con quei pensieri e con lo sguardo
No so, non mi convince… Pensò Carlisle, ma non proferì parola
Rimasi deluso dai loro pensieri, come potevano non vedere la soluzione nel mio piano? Non avrei permesso a Bella di andare a morire in Italia per mano di sadici vampiri, e nemmeno di trasformarla in una immortale solo per paura dei Volturi.
Bella spezzò il silenzio che era sceso intorno al tavolo.
“Va bene. Edward vi ha offerto un’alternativa. Ai voti” disse fredda e si girò verso di me. Nel suo sguardo c’era la speranza che accettassi.
“Vuoi che mi unisca alla vostra famiglia?” mi chiese mentre il cuore iniziava a batterle forte e il timore si appropriava dei suoi profondi occhi castani.
“Non in questa maniera” dissi quasi in un ringhio “Tu resti umana” scandii bene le parole, in modo che il concetto fosse chiaro a tutti.
Annuì dispiaciuta, ma non si soffermò a guardarmi e proseguì rivolgendosi agli altri.
“Alice?”
“SI” disse felice – Finalmente diventerai mia sorella!!!
“Jasper?”
“Si” disse tenebroso Scusa, ma non voglio che si ripeta l’errore che ho commesso la sera della festa, vorrei poterle stare vicino senza che la fame si scateni. Mi dispiace, mi piace e averla come sorella sarà bello.
“Rosalie?”
Non vorrei che pensasse che non la voglio come sorella, dopo quello che è successo sono contenta di averla nella nostra famiglia, ma lei ha la possibilità di avere ciò che a me è negato, una vita umana.  
Quei pensieri mi fecero dimenticare ogni singolo rancore che avessi provato per lei dal giorno in cui incontrai Bella e lei mi mise i bastoni tra le ruote. Di tutti i componenti della famiglia, in quel momento era quella per il quale provavo gratitudine. Le sorrisi per incoraggiarla a dire ad alta voce i suoi pensieri.
Era incerta e si mordeva le labbra “No” disse in un sussurro e non alzando gli occhi dal tavolo.
Ci fu un secondo di silenzio, Bella, la osservò senza espressione e si voltò per passare a Emmett.
“Lascia che ti spieghi” continuò Rose alzando lo sguardo dispiaciuto sul viso di Bella, “Non sono contraria a che tu divenga mia sorella. E’ soltanto che… fosse stato per me, non avrei scelto questa vita. Avrei preferito che ci fosse qualcuno a votare “no” per me”
Il ricordo di Rose morente in una pozza di sangue a lato di una strada nascosta, con le vesti stracciate e il corpo tumefatto dopo aver subito violenza, riaffiorò nella mente di Carlisle, la pena e l’istinto di salvarla che lo avevano spinto a fare quella scelta si tramutarono per brevi secondi in senso di colpa. Rose con Emmett morente sulle spalle, nel salone di casa mentre gli chiedeva implorante di salvarlo; l’amore e la felicità negli occhi di Rosalie che da quel momento la accompagnano insieme al suo Emmett fecero scomparire il rimorso e Carlisle fu di nuovo certo di aver fatto la scelta giusta.
Bella annuì comprensiva a mia sorella e passò al mio fratello orso
“Emmett?”
“Sì, diamine. Possiamo trovare un altro pretesto per combattere contro questo Demetri.” Rispose entusiasta. Lo guardai in cagnesco, ma lui si strinse nelle spalle con un sorriso
Sarà divertente!!!!
Bella rise felice di quel entusiasmo e passò a mia madre
“Esme?”
“Sì, certo Bella. Per me fai già parte della nostra famiglia.”
Ti meriti anche tu di avere una compagna e lei è perfetta per te.
“Grazie, Esme” rispose imbarazzata Bella
Dopo ciò che è successo non voglio perderti, e secondo me la soluzione più giusta è quella di trasformarla
Pensò mio padre, ma non risposi, non lo guardai nemmeno, stringevo i pugni e serravo le mascelle dalla rabbia, con la testa chinata verso il tavolo.
“Edward” mi chiamò Carlisle
“No” ruggii alzandomi di scatto e mostrando i denti.
“È l’unica strada sensata. Hai deciso di non poter vivere senza di lei, il che non mi lascia altra scelta.”
Lasciai la mano di Bella e mi allontanai dalla stanza per evitare di attaccare la mia famiglia. Mi avevano tradito, erano andati contro le mie richieste, contro le mie scelte, le mie volontà. Anche loro erano vampiri, sapevano cosa significasse quella scelta, sapevano che per me l’anima di Bella era importante, sapevano quanto soffrisse Rosalie per tutto ciò che le era stato negato essendo una immortale… eppure le avevano risposto sì…
Uscii a grandi passi dalla stanza e mi diressi nel salotto, non volevo rimanere un attimo di più in quella stanza piena di volta faccia.
“Penso che tu sappia come intendo votare” sentii mio padre dire a Bella, e lei lo ringraziò.
Lanciai il tavolo in vetro attraverso la stanza facendolo rovinare contro un quadro appeso sulla parete opposta. Ribollivo dalla rabbia, dalla delusione, avrei distrutto tutto, ma sentii Bella chiedere ad Alice
Beh, Alice, dove vuoi farlo?”
Ommiodio, non so se ne sarò in grado!
Era impazzita? Voleva farlo subito? Non le bastava aver vinto quella battaglia, voleva proprio annientarmi completamente?
Ritornai come una furia nella sala da pranzo ringhiando
“No! No! NO!” mi portai a pochi centimetri dal volto confuso di Bella, potevo vedere riflesso il mio volto deformato dalla furia e gli occhi iniettati di sangue dalla rabbia. I muscoli contratti e il veleno che mi riempiva la bocca come quando ero a caccia.
“Sei pazza?” le urlai “Hai proprio perso la testa?”
Si allontanò da me coprendosi le orecchie, il cuore correva all’impazzata e il sangue aveva abbandonato il suo volto. Chiuse gli occhi e inclinò la faccia di lato per non guardarmi.
“Mmm, Bella. Non credo di essere pronta. Ho bisogno di prepararmi…” si intromise Alice, cercando di allentare la tensione.
Non mi voltai per guardarla, era stata lei a dare il via a quella follia, e mantenni la posizione di fronte a Bella.
“L’hai promesso” disse Bella con la voce spezzata, riaprendo gli occhi e alzandosi sulla punta dei piedi cercando di guardarla oltre le mie spalle.
“Lo so, ma… sul serio, Bella! Non ho la minima idea di come farlo senza ucciderti” rispose imbarazzata mia sorella.
I suoi pensieri erano di timore, la voleva come sorella, ma era quasi certa che l’avrebbe uccisa.
“Puoi farcela” la incoraggiò Bella “Mi fido di te”
Ringhiai mostrando i denti e voltando leggermente il capo verso mia sorella come avvertimento, non mi sarei fermato, l’avrei uccisa se avesse provato ad avvicinarsi al collo di Bella.
Edward, controllati! Disse Jasper e sentii il flusso di calma attraversare i miei nervi, ma non bastò per farmi tranquillizzare completamente, ma mi permise di ritornare leggermente lucido.
Non voglio farlo io, non voglio farlo adesso, non voglio farlo mai, non ne sono in grado. Pensò Alice nel panico.
“Carlisle” chiese ostinatamente Bella, rivolgendosi a mio padre.
Le presi il volto in una mano e la costrinsi a guardarmi, con la mano libera cercai di ammonire mio padre a parlare, ma lui non ci badò.
“Io sono in grado di farlo. Non correrai il rischio che perda il controllo”.
Edward, è inutile, dovrà succedere prima o poi.
“Aspetta” dissi a denti stretti “Non deve essere per forza adesso”
“Non c’è nessun motivo perché non accada adesso” farfugliò Bella.
“Io ne ho qualcuno”
“Ma bravo.” Rispose acida “Adesso lasciami andare”
Le lasciai il volto, incrociai le braccia e guardandola con sfida negli occhi spiegai “Fra un paio di ore Charlie verrà a cercarti. Conoscendolo, immagino che coinvolgerà i poliziotti”
Il dubbio ed il dispiacere attraversarono il suo volto. Avevo toccato il tasto giusto. Ero riuscito a guadagnare altro tempo. Mi rivolsi verso mio padre, cercando di riprendere il controllo, avevo ancora le mascelle serrate dalla tensione, ma riuscii a parlare con tono educato e lucido.
“Per non rischiare di dare nell’occhio, propongo che rimandiamo questa conversazione perlomeno al giorno in cui Bella finirà scuola superiore e non vivrà più a casa di Charlie”
“Questa è una proposta ragionevole, Bella” disse mio padre rivolgendo uno sguardo gentile a Bella.
“Ci penserò” disse stizzita, ma sapevo che il pensiero di far preoccupare suo padre dopo quello che era appena successo non la rallegrava e sarebbe stato un pretesto perfetto per farla temporeggiare.
Mi rilassai, avevo perso la prima mance, ma ero riuscito a rimandarne l’esito.
“Forse è meglio che ti porti a casa. Non vorrei che Charlie si svegliasse presto” dissi ansioso di portarla a casa per poter riflettere.
“Dopo il diploma?” chiese conferma a mio padre.
“Ti do la mia parola” le rispose paterno.
Prese un bel respiro e sorridendo mi guardò “D’accordo portami pure a casa”
La trascinai fuori di casa, passando dal retro per evitare di rivedere i danni che avevo prodotto nel salone, e prendendola a spalle iniziai a correre per la foresta verso casa Swan.
 
Ciao ragazzi, siamo quasi giunti al termine solo più due capitoli!!! Sono emozionatissima!
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la mia FF nei preferiti seguiti e ricordati e ringrazio anche coloro che mi hanno reso partecipe delle loro opinioni. GRAZIE!!! 

Per chi fosse interessato ho scritto un'altra FF

Devi essere indipendente
Dateci occhiata! Spero vi piaccia!!! Fatemi sapere!
A PRESTO!!!

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Capitolo 18
*** Compromesso ***


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Mentre correvo, l’aria sul viso e il buio intorno mi restituirono un’ulteriore lucidità. Ripensai alla serata, a cosa la aspettava, tutto perché si era innamorata di un vampiro. Perché io mi ero innamorato di lei. Adesso che ero solo con lei, nel fitto del bosco, egoisticamente iniziai a pensare a quanto ero fortunato, l’avrei avuta per sempre al mio fianco, non avrei più avuto paura di ucciderla o di renderla preda di un mio simile, ma il pensiero di dannare per sempre la sua anima, il dolore della trasformazione, l’impossibilità di mutare, di provare alcune esperienze esclusive degli umani, la sete che superava ogni altro desiderio... mi mantennero con i piedi a terra e l’umore non arrivò agli apici della felicità.
Arrivai a casa Swan, schizzai su per il muro e dentro la finestra mantenendola sulle mie spalle, continuando a meditare.
Appena entrati la feci accomodare sul letto e iniziai a camminare avanti ed indietro per la stanza.
Dovevo trovar un compromesso per darle più tempo, per rallentare quella scelta, darle la possibilità di comprendere a pieno a cosa andava incontro, cosa le aspettava, cosa avrebbe perso e cosa avrebbe trovato… avevo e aveva bisogno di tempo.
“Qualunque cosa tu stia macchinando, non funzionerà” disse sospettosa, continuando a seguire i miei spostamenti con gli occhi.
“Zitta. Sto pensando” e continuai a passeggiare reggendo il mento con la mano e osservando il pavimento come per trovare la soluzione.
Con un lamento si coricò e si coprì il volto con la trapunta.
Le fui subito accanto, mi sdraiai vicino a lei e le scoprii il viso.
“Se non ti disturba, preferirei che non ti nascondessi il viso. Mi è mancato più di quanto potessi immaginare. Adesso… dimmi una cosa?” le chiesi gentilmente
“Cosa?” chiese, restia
“Se tu potessi esaudire un desiderio, quale sceglieresti?”
“Di stare con te” rispose sospettosa
Scossi la testa “Qualcosa che tu non abbia già”
Ci rifletté un attimo. E con un po’ di imbarazzo rispose “Vorrei… che non toccasse a Carlisle farlo. Vorrei che fossi tu a trasformarmi”
Mi spiazzò, volevo un desiderio che non riguardasse la trasformazione, ma pensandoci attentamente, effettivamente il pensiero che fosse il mio veleno a trasformarla e non quello di un altro, anche se era lo stesso che mi aveva trasformato, era quasi romantico. Una parte di me sarebbe sempre stata in lei…
Continuai con la mia tattica.
“E cosa saresti disposta a dare, in cambio?”
Rimase a bocca aperta, stupita, effettivamente il mio cambio di umore aveva spiazzato anche un po’ me, ma la corsa nella foresta e la possibilità di temporeggiare, migliorò notevolmente il mio umore.
“Qualsiasi cosa” disse impulsiva.
Sorrisi, la risposta era meglio di come mi ero immaginato, avevo carta bianca.
“Cinque anni?” il tempo di frequentare l’università, fare ancora esperienze umane…
Mi rispose con una smorfia tra dolore e terrore.
“Hai detto qualunque cosa” ribadii.
“Sì, ma… sfrutteresti quel tempo per trovare una scappatoia. Devo battere il ferro finché è caldo. E poi, è troppo pericoloso restare umana, per me almeno. Quindi qualsiasi altra possibilità va bene.”
Quindi la sua fretta era dettata dalla paura, e non dalla voglia di rimanere per sempre con me, la momentanea felicità svanì, avevo visto più giusto dei miei famigliari, non era ancora pronta.
“Tre anni?” chiesi, sicuramente in tre anni avrebbe capito se era realmente quello che desiderava.
“No!”
“Allora per te non vale niente” risposi offeso.
“Sei mesi?”
Alzai gli occhi al cielo, sei mesi erano pochi per capire cosa volesse, e molte esperienze umane non erano possibili in così poco tempo. “Non sono abbastanza”
“Allora un anno. E’ il massimo”
“Concedimene almeno due.”
“Neanche per idea. Diciannove posso anche compierli. Ma ai venti non voglio nemmeno avvicinarmi. Non credere che possano restare una tua esclusiva.”
In questi frangenti era proprio una donna umana, la paura di invecchiare… il suo volto arrabbiato il mattino del giorno del suo compleanno iniziò a vorticarmi davanti agli occhi, e la frase mormorata mentre puntualizzava che aveva un anno in più di me continuava a ripetersi nelle mie orecchie.
Voleva far parte della mia famiglia e la mia famiglia ci aveva dato la loro benedizione, se realmente voleva essere trasformata per stare con me, e non solo per la paura di invecchiare o per la paura dei Volturi, avremmo dovuti unirci per l’eternità in una maniera molto umana e molto importante e significante per me.
Mio padre Edward Senior, aveva passato intere serate a spiegarmi come comportarmi con le donne. Avevo già saltato alcuni punti importanti, ma che riguardavano il mio tempo, ma non avrei saltato il punto fondamentale. Se voleva che io la trasformassi, che una parte di me facesse parte di lei, avrei fatto le cose per bene, come mi era stato insegnato…
“Va bene. Lasciamo perdere i limiti temporali. Se vuoi che sia io a compiere il gesto… lo farò ma a una condizione”
“Quale?” sussurrò quasi senza voce.
La guardai negli occhi, ero emozionato e timoroso, non avevo portato l’anello e non avevo chiesto il consenso a suo padre, ma sicuramente dopo gli ultimi avvenimenti, Charlie mi avrebbe sparato, non mi avrebbe dato il permesso e poi, eravamo nel ventunesimo secolo…
Parlai lentamente continuando a guardarla negli occhi “Prima sposami”
Rimase di pietra, il suo cuore si fermò per un battito e il viso divenne scarlatto “Ok, è uno scherzo” disse convinta.
Mi sentii pugnalare, la sua risposta mi ferì perché pensavo volesse stare con me, vivere al mio fianco per l’eternità, invece non era come credevo, il suo amore per me era solo un amore adolescenziale e voleva trasformarsi solo per timore? Allontanai quei pensieri dalla mia mente, Bella era molto matura per la sua età non poteva essere realmente quello il motivo, volevo capire il perché di quella sua risposta, volevo capire cosa ci fosse di sbagliato nella mia proposta. Le chiedevo di stare con me per l’eternità come lei aveva appena chiesto alla mia famiglia.
Sospirai cercando di non far trapelare il dolore che la sua risposta mi aveva causato “Così mi ferisci, Bella. Ti chiedo di sposarmi e la metti sul ridere”
“Edward, per favore, sii serio”
“Sono serio al cento per cento” le presi le mani e la guardai quasi implorante, come poteva ridere ad una proposta così importante?
“E dai. Ho soltanto diciotto anni” rispose con un filo di isteria nella voce, distogliendo lo sguardo.
Beh, io quasi centodieci. E’ ora che metta la testa a posto.” Continuai a fissarla, ma lei guardava fuori dalla finestra, le mani avevano iniziato a tremarle e la temperatura del suo corpo si abbassò quasi ad essere come la mia.
“A dire la verità, il matrimonio non è la mia massima priorità, sai? Renée e Charlie ne sono rimasti letteralmente dissanguati”
“Interessante metafora” cercai di scherzare.
“Sai bene cosa intendo”
Era pronta a trasformarsi in un mostro senza pensarci solo poche ore prima, ma diventare mia moglie la faceva andare nel panico. Una persona comune avrebbe avuto esattamente una reazione opposta alla sua.
Ripresi fiato, cercando di non andare anche io nel panico e le chiesi incredulo “Per favore, non dirmi che hai paura di assumerti un impegno tanto solenne”
“Non è proprio così. Ho… paura di Renée. Ha idee molto precise a proposito del matrimonio prima dei trent’anni.”
“Perché preferirebbe vederti dannata per l’eternità, piuttosto che sposata?” risi cupo
“Non ci scherzerei troppo” capii che poteva essere la verità.
Il divorzio dei suoi genitori le avevano fatto perdere la fede nel matrimonio. Era stata educata diversamente da me. I miei si amavano e si erano amati fino all’ultimo respiro. Il mio primo padre mi aveva insegnato che il matrimonio era il giuramento di un amore eterno ed era indelebile. Un vero gentiluomo aveva il dovere di sposare la donna che amava, doveva rispettarla, aiutarla ed accompagnarla fino a che la morte non li avesse separati. Nel tempo di Bella, il matrimonio era solo un capriccio, solo una grande festa, dove l’amore poteva terminare in un qualsiasi momento, non significava nulla di eterno, e per i suoi genitori fu proprio così. Si sposarono trasportati dall’amore adolescenziale e diventarono genitori, il tutto in un anno, ma le difficoltà che la scelta aveva comportato li aveva fatti separare, separando anche Bella da suo padre.
Ma sapevo che per noi sarebbe stato diverso, lei era matura ed il nostro amore aveva superato degli ostacoli molto difficili, quei mesi di separazione avevano confermato la profondità e la purezza del nostro amore. Dovevo riuscire a farla allontanare dalla visione errata che le avevano insegnato del matrimonio, e farle capire quanto fosse importante per me renderla mia sposa, prima di renderla la mia compagna vampira.
“Bella, se pensi che sposarsi sia impegnativo quanto barattare la propria anima con una vita eterna da vampiro…se non sei abbastanza coraggiosa da sposarmi, allora…” e scossi il capo da destra a sinistra, per negare che era pronta alla trasformazione.
Beh. E se lo fossi? Se ti chiedessi di portarmi subito a Las Vegas? Diventerei un vampiro in tre giorni?”
Sorrisi scoprendo i denti, e feci il suo gioco, “Come no. Prendo la macchina” feci per alzarmi dal letto, ma mi fermò trattenendomi per il braccio.
“Uffa. Ti lascio diciotto mesi” mormorò lasciandosi sprofondare nel cuscino.
“Niente affatto. Questa è la mia condizione” sorrisi felice. Anche se la sua reazione alla mia proposta era stata inaspettata, adesso ne comprendevo il motivo. Avrei avuto tempo di farle capire l’importanza del matrimonio, e in quel tentativo avrei avuto altro tempo per farle capire cosa significasse diventare vampira e per farle provare ancora altre esperienze umane.
“Va bene. Mi rivolgerò a Carlisle, dopo il diploma.”
“Se proprio ci tieni” le risposi stringendomi nelle spalle, come se mi andasse bene la sua decisione, e le sorrisi con un sorriso angelico, sicuro che fosse un altro bluff.
“Sei impossibile. Un mostro” si lamentò.
“Per questo non mi vuoi sposare?” scherzai sghignazzando.
Si lamentò coprendosi il viso con le mani.
Mi chinai su di lei, avvicinai il mio viso al suo, potevo sentire il fiato sulla punta del mio naso, la fissai con occhi pieni di amore e speranza che mi dicesse Sì. Il suo cuore ricominciò la corsa accelerata e il respiro ridivenne affannoso
“Bella, per favore” le sussurrai. “Sarebbe stato meglio se ti avessi regalato un anello?”
“No! Niente anelli” rispose in preda al panico con un tono di voce troppo alto.
Lo sapevo che il ritorno di quel Cullen avrebbe fatto riapparire gli incubi, che il diavolo se lo porti
I pensieri di Charlie erano ancora assonnati, ma ormai era sveglio.
“Ecco, ci sei riuscita” le dissi rimproverandola gentilmente.
“Ops”
“Charlie si sta svegliando. Meglio che me ne vada” le disse rassegnato.
Sentii il suo cuore fermarsi, il viso turbato e la sua mano stringeva il mio braccio nella supplica di non allontanarmi.
Sentii le lenzuola del letto di Charlie spostarsi e le molle del materasso inclinarsi sotto il suo peso, i piedi che scivolavano nelle ciabatte mentre si alzava.
“Trovi infantile che mi nasconda nell’armadio?” le chiesi ammiccante. Non mi sarei allontanato, dopo tutti quei mesi di lontananza avevo bisogno di starle vicino, e volevo terminare il discorso interrotto.
“No” mi sussurrò “Per favore, resta”
Le sorrisi compiaciuto e mi nascosi.
Charlie si avvicinò alla porta con pensieri inquieti e confusi, era arrabbiato per il mio ritorno ed era sollevato perché la figlia era viva e stava bene, ma si domandava quanto sarebbe durato, cosa avrebbe significato la mia ricomparsa nella vita della sua unica figlia.
Aprì la porta di scatto e fu sorpreso di trovarla sveglia e non in preda agli incubi.
“Buongiorno, papà”
“Ah, ciao, Bella. Non pensavo fossi già sveglia”
“Eh, sì. Aspettavo che ti alzassi anche tu per fare la doccia” gli rispose disinvolta mentre si alzava dal letto.
“Aspetta” la fermò Charlie accendendo la luce. “Prima parliamo un po’”
Vidi Bella cambiare colore e sbarrare gli occhi in preda al panico, ci eravamo dimenticati di chiedere ad Alice un alibi, doveva inventare qualcosa e conoscendo la sua incapacità a mentire la vidi in difficoltà. Doveva riuscire a trovare una buona giustificazione all’assenza dei tre giorni, senza poter nominare vampiri o viaggi oltre oceano. Mi dispiacque per lei, avrei voluto aiutarla, ma non riuscivo a trovare una buona scusa per coprirla. Attesi incrociando le dita.
“Sei nei guai, lo sai, vero?” le disse Charlie inarcando leggermente il sopracciglio
“Sì, lo so” rispose Bella abbassando lo sguardo colpevole.
“Negli ultimi tre giorni sono quasi impazzito. Torno a casa dal funerale di Harry e tu non ci sei. Jacob non ha saputo dirmi altro, se non che te n’eri andata con Alice Cullen e che temeva che fossi in pericolo.” Vidi nei suoi ricordi lo sguardo furioso e preoccupato di Jacob, con gli occhi ancora umidi per le lacrime e le braccia tremanti per la furia che lo spingeva a trasformarsi, ma che, con mio grande stupore, riusciva a controllare.
“Non mi hai lasciato un numero, non ti sei mai fatta viva. Non sapevo dove fossi, né quando o se saresti tornata. Riesci a renderti conto di come… come” non riuscì a terminare la frase e il dolore, la tensione e la paura che lo aveva assalito in quei interminabili tre giorni mi proruppe nella mente, provai una forte angoscia, ma mi trattenni dall’emettere qualsiasi suono e chiusi velocemente la mente e le emozioni di Charlie fuori dalla mia testa.
Prese un profondo respiro per riprendere il controllo e continuò: “Hai un motivo valido per non costringermi a spedirti a Jacksonville seduta stante?”
Bella lo fulminò con lo sguardo, sentii il suo cuore accelerare, e vidi la rabbia nascere nei suoi occhi.
Si sedette stizzita avvolgendosi nella trapunta e gli rispose piccata “Sì! Perché non ci andrò”
“Aspetta un attimo, signorina…”
“Ascolta, papà, mi prendo tutta la responsabilità delle mie azioni e tu hai il diritto di mettermi in castigo fino a quando ti pare. Farò anche le pulizie, laverò i panni e i piatti finché non ti sembrerà che ho imparato la lezione. Penso sia tuo diritto anche cacciarmi via, ma non per questo andrò in Florida.”
Charlie arrossì e cercò di rimettere in ordine i pensieri ora confusi. Voleva che sua figlia vivesse con lui, era ciò che aveva sempre desiderato, ma le immagini di Bella nei mesi precedenti e la fuga degli ultimi tre giorni aveva fatto vacillare la sua sicurezza di essere un buon genitore. Mi sentii in colpa, Charlie era sicuramente un buon padre, amava sua figlia sopra ogni cosa ed era veramente un brav’uomo, ma non poteva sapere che sua figlia si era innamorata di un vampiro, e che il mondo che lo circondava non era come lui credeva. Sua figlia era entrata a far parte di quel mondo che gli umani non potevano conoscere, e lui ignaro ne riportava le conseguenze.
“Potresti spiegarmi dove sei stata?” la sua voce cercava di essere gentile, ma il tremolio ne tradiva l’irritazione.
Bella spalancò gli occhi e si morse il labbro inferiore. Incerta rispose “C’è stata… un’emergenza”
Continuava a fissare la figlia con le braccia conserte in attesa di una spiegazione più eloquente.
Bella sbuffò “Non so cosa dirti, papà. Più che altro è stato un malinteso. “Ho sentito dire, gira voce” eccetera e la cosa è diventata più grossa di com’era.” Era riuscita a dire la verità senza dire nulla, ma Charlie non era ancora convinto e stava attendendo con gli occhi fissi su di lei.
“Ecco, Alice ha detto a Rosalie che mi ero tuffata da uno scoglio…”
Da uno scoglio? Pensò angustiato Charlie, Bella aveva fatto un errore, lui non sapeva nulla della sua bravata.
“Mi sa che non te ne ho parlato” farfugliò con il capo chino Bella “Niente di che. E’ capitato, durante una nuotata con Jake…”
Jake non mi ha detto nulla, quando lo prendo…
“Comunque” continuò Bella cercando di deviare la sua attenzione dallo scoglio “Rosalie l’ha detto ad Edward e lui si è arrabbiato. A quanto pare ha frainteso e capito che avevo cercato di suicidarmi…”
Si stava scavando la fossa, il pensiero che sua figlia avesse voluto suicidarsi lo fece sprofondare in un vortice di domande accrescendo i suoi dubbi sull’essere un buon padre.
“…o qualcosa del genere. Non rispondeva più al telefono, perciò Alice mi ha trascinata a… Los Angeles, per spiegargli tutto di persona” terminò con una scrollata di spalle, mantenendo lo sguardo fisso sulla coperta.
“Hai davvero tentato il suicidio, Bella?” chiese Charlie con un filo di voce e la fronte ora pallida imperlata di sudore.
“Ma no, certo che no. Mi stavo solo divertendo con Jake. Tuffi dagli scogli. I ragazzi di La Push ci vanno sempre. Te l’ho detto. Niente di che.”
Charlie era sempre più arrabbiato, il viso era livido di rabbia, serrava i pugni trattenendosi a stendo a rompere un qualsiasi oggetto della stanza. Voleva torcere il collo a Jake per essere stato un irresponsabile, oltre che sleale per non avergli riferito del tuffo, e soprattutto a me, perché ero tornato a tormentare sua figlia, perché non ero rimasto dove ero, a marcire lontano da lei.
“E cosa c’entra Edward Cullen?” urlò sdegnato “In tutto questo tempo, ti ha lasciata a te stessa senza battere ciglio” e deve tornare quando finalmente ti stavi riprendendo terminò nei suoi pensieri.
“Un’altra incomprensione” lo interruppe Bella con voce leggermente alterata, non sopportava quando suo padre le urlava contro.
Un’incomprensione che ha rischiato di mandarti al manicomio e di mandare pure me! Quel miserabile! Maledetto il giorno in cui lo hai incontrato!
“Perciò, è tornato?” stava per esplodere, tremava dalla rabbia, gli occhi lucidi dalle lacrime trattenute e il volto accaldato. I pensieri nei miei confronti erano pieni di odio e rancore.
“Non sono sicura dei loro piani. Penso di sì, comunque”
Scosse la testa per allontanare tutti i pensieri che lo stavano tormentando “Voglio che tu stia lontana da lui, Bella. Ti crea solo problemi. Non permetterò che ti riduca ancora in quel modo.” Ed il viso di Bella con gli occhi spenti, il volto segnato da profonde occhiaie, con le braccia strette al torace come per tenere insieme i pezzi ricominciò a fluttuare nella sua mente.
Gemetti, quell’immagine era il frutto della mia decisione, ma ero risoluto a farmi perdonare e certo che le sarei stato al fianco per sempre amandola con tutto me stesso.
“Va bene” rispose secca. Quella risposta mi colpì come una sferzata. Aveva ceduto, aveva accettato di non vedermi mai più. Come era possibile?
Charlie fu sollevato dalla risposta e sospirò sorpreso “Ah! Pensavo che fossi più testarda”
“Lo sono” disse determinata fissandolo negli occhi con aria di sfida “Volevo dire: “Va bene, me ne andrò”
Un sorriso mi attraversò il volto e mi rilassai felice, anche se i pensieri angosciati di Charlie mi urlavano nella testa.
“Papà, non voglio andarmene. Ti voglio bene.” Disse dolcemente, cercando ti tranquillizzare il padre che pareva in procinto di avere un infarto. “So che sei preoccupato, ma devi fidarti di me. E se vuoi che resti, dovrai andarci piano con Edward. Vuoi o no che io viva qui?”
“Non è giusto, Bella. Sai bene che non c’è niente che desideri di più al mondo”
“E allora sii gentile con Edward, perché staremo sempre insieme” disse sicura di se.
Fin quando non ti lascerà di nuovo e io dovrò raccogliere nuovamente i pezzetti che si è lasciato dietro. Quel maledetto, ma perché proprio con mia figlia deve fare questi giochetti.
Un ringhio stava per esplodermi nel petto, ma riuscii a trattenerlo. Non stavo giocando con sua figlia, ero perdutamente innamorato di lei, avevo cercato di fare la cosa giusta allontanandomi, credendo fosse la cosa migliore, non l’avevo fatto per un capriccio. Ma potevo comprendere i suoi pensieri, aveva dovuto affrontare un periodo molto difficile e la colpa era completamente mia.
“Non sotto questo tetto” urlò
“Senti non voglio darti ultimatum, stanotte… anzi, stamattina. Riflettici per qualche giorno, ok? Ma ricorda che se prendi me, ti tocca anche Edward.”
“Bella…”
“Riflettici. E mentre ci pensi, potresti lasciarmi un po’ di privacy? Ho davvero bisogno di una doccia”
Non permetterò a quel damerino di rovinare la mia famiglia, di distruggere Bella. Dovrà passare sul mio cadavere per potersi di nuovo avvicinare a lei. Non glielo permetterò.
Con quei pensieri uscì dalla stanza e scese rumorosamente le scale.
Mi sedetti sulla sedia a dondolo, riflettendo su quanto lo avevo fatto soffrire e avevo fatto soffrire Bella, volevo il loro perdono e non volevo che litigassero per causa mia. Charlie aveva ragione ad odiarmi, anche io mi odiavo per ciò che avevo combinato. Volevo recuperare la fiducia di Charlie. Era un brav’uomo, si meritava una vita serena con la sua unica figlia.
“Scusami” sussurrò Bella
“Mi meriterei di peggio. Non litigare con Charlie per colpa mia, ti prego.”
“Non preoccuparti. Litigherò quel tanto che basta, senza esagerare. Oppure mi stai dicendo che mi ritroverei senza un tetto” strabuzzò gli occhi fingendosi allarmata, ma con il labbro curvato in modo ironico.
“Ti trasferiresti in una casa infestata dai vampiri?”
“Probabilmente è il posto più sicuro, per una come me. Inoltre… se Charlie mi caccia, la scadenza del diploma non sarà più valida, no?” disse con un largo sorriso e una luce di speranza negli occhi.
“Sei impaziente di essere dannata per l’eternità” mormorai teso.
“Non ci credi neanche tu, è inutile fingere”
“Ah, no?” le risposi irritato, la sua anima per me era importante e il pensiero di dannarla non era assolutamente ciò che desideravo. Avevo intrapreso lunghi discorsi con Carlisle sulle nostre anime, lui continuava a credere di possedere un’anima, motivo per il quale potevamo rifletterci negli specchi, ma io ero nato nel 1900 non nel 1600 e sapevo che la storia degli specchi era solo una credenza per gli ignoranti. Gli specchi riflettono gli oggetti, non le anime. Vedendo lo stile e le scelte di vita dei miei simili non era difficile credere che il costo della nostra immortalità era proprio l’anima.
“No. Non ci credi.” Continuò testarda “Se davvero fossi convinto di aver perso l’anima, quando ti ho ritrovato, a Volterra, avresti capito al volo cosa stava accadendo, anziché ritenerci morti entrambi. Invece no, hai detto: “Straordinario. Carlisle aveva ragione”. Dopotutto dentro di te c’è un filo di speranza” era trionfante, e il suo ragionamento non faceva una piega. Rimasi senza parole. Aveva ragione, quando la vidi in quel vicolo pensai subito che fosse un angelo, che ci fossimo ritrovati in paradiso, il pensiero che fosse lei, viva e in carne e ossa, non mi aveva sfiorato…
“Perciò, questa speranza conserviamola entrambi, non è meglio? Non che m’importi granché. Se ci sei tu, non ho bisogno del paradiso.” gli occhi sinceri si persero nei miei. Mi alzai e le presi il viso tra le mani “Per sempre” le giurai ancora scosso da quella nuova prospettiva.
“Non chiedo altro” rispose a fil di voce alzandosi in punta di piedi per poter unire le sue labbra alle mie.
 
Ritornai a casa pensando alla deduzione di Bella, ero ancora frastornato. Aveva afferrato più di quanto, in decenni, ero riuscito a comprendere sul mio essere. Ripensandoci era vero, la speranza che la mia anima esistesse ancora era così profonda in me che l’avevo quasi cancellata. La mia anima era sicuramente dannata, avevo ucciso degli umani, non erano innocenti erano dei mostri senza scrupoli, ma mi ero eletto a Dio e avevo decretato la loro morte.
Dovevo parlare con Carlisle, lui credeva nell’esistenza della nostra anima, mi avrebbe aiutato a far luce su alcuni dubbi che ancora mi tormentavano.
Volai in casa, diretto verso il suo studio.
Scusa
La voce mentale di Esme mi bloccò al terzo gradino. Mi arrestai e mi girai stupito.
Non volevo mettermi contro di te, volevo solo la tua felicità e la felicità di Bella.
Era in piedi in centro al salone con le mani unite e lo sguardo dispiaciuto.
Ricordai la votazione, il suo sì alla trasformazione.
Scesi i gradini lentamente e mi avvicinai a lei con un sorriso sereno sul viso.
“Non ti preoccupare, ho capito le tue intenzioni. Non sono arrabbiato … forse ho capito!”
La abbracciai teneramente baciandole i capelli.
Rimase sconcertata dalla mia reazione, non capiva come era possibile quel cambiamento di opinione da parte mia.
“Devo parlare con Carlisle e poi ti, anzi vi, spiegherò tutto” le assicurai mentre volavo su per le scale.
Bussai impaziente alla porta, Carlisle mi invitò ad entrare e mi volò incontro certo di dovermi delle spiegazioni e che la mia inquietudine fosse dettata dal risentimento nei confronti del suo voto e della sua disponibilità a trasformarla.
Lascia che ti spieghi…
“Forse ho capito!” gli risposi sereno
“P…Perfetto!” Disse scrutandomi come se fossi impazzito, era convinto che la mia decisione verso il destino di Bella fosse irremovibile e non si aspettava che in così poche ore avrei accettato la loro scelta e ne fossi pure contento.
“Devo ammetterlo, il vostro voto mi ha spiazzato. Ero certo del vostro appoggio, ma ne ho parlato con Bella ed ho trovato un compromesso.” Feci un sorriso smagliante e trionfante.
Cosa vuoi dirmi?
“Non sarai tu a trasformarla, ma sarò io!”
Era confuso, da non volerla vampira a decidere di trasformarla io stesso.
“Sì! Abbiamo fatto un patto… anche se non mi ha ancora risposto apertamente sì, i suoi occhi mi hanno confermato che, con un po’ di tempo e lavorandoci un po’ riusciremo ad avere entrambi ciò che più desideriamo”
Continuava a fissarmi come se parlassi un’altra lingua, scrollò la testa, si avvicinò al tavolo indicandomi la sedia e si sedette sulla sua poltrona in attesa di una spiegazione meno confusa.
“Le ho chiesto di sposarmi!” quasi lo urlai, ero emozionato come un bambino.
“Scusa?” chiese in un sussurro.
“Sì, se vuole realmente far parte della famiglia, voglio che sia fatto per bene. Voglio che diventi mia moglie, voglio che ci giuriamo il nostro eterno amore nel modo convenzionale e poi renderò il nostro amore immortale trasformandola con il mio veleno.”
“E la sua anima? Non ti preoccupa più?”
“Questo è il motivo per il quale sono qui nel tuo studio e per il quale volevo parlare con te prima di informare il resto della famiglia. Bella mi ha fatto notare una frase che ho detto in Italia, mentre ero in procinto di espormi al sole…”
Un brivido percosse il corpo di mio padre e una smorfia gli segnò il volto in ricordo di quel giorno.
“… quando volò tra le mie braccia per farmi tornare nell’ombra io pensai di essere già morto, e di trovarmi di fronte alla sua anima in paradiso… capisci?”
Continuava a guardarmi stordito.
“Forse in fondo in fondo non ho mai smesso di sperare di avere ancora un’anima. Forse per la mia è tardi, ma non per la sua. Se veramente l’immortalità non è pagata con l’anima, posso renderla la mia compagna eterna senza obbligatoriamente dannarla. Le starò accanto e non le permetterò di fare errori che compromettano la sua anima. Ma ho ancora dei dubbi e volevo parlarne con te!”
“Sai che posso solo darti ipotesi, non certezze” era stupito della mia rivelazione e un sorriso beato gli attraversò il viso ora sereno, ma non voleva azzardare troppo.
“Forse sono solo congetture, ma voglio crederci, sarebbe per me meno doloroso e potrei finalmente accettare sereno la decisione di Bella. Dimmi bene cosa ne pensi. Ti prego!”
“Ne abbiamo già parlato molte volte. La mia è solo una teoria ed è ciò che mi permette di accettare questa non-vita. Mio padre era un prete e mi ha insegnato a credere in Dio, i tuoi genitori erano credenti e ti hanno insegnato le linee guida per seguire la via del Signore. In questi quattrocento anni, la mia fede nel Padre non ha mai vacillato e non posso o non voglio pensare che mi abbia abbandonato solo perché cercavo di salvare le persone dalle scorrerie di un vampiro.
Non ho cercato l’immortalità, mi è stata data per errore. Ho cercato di non macchiare la mia anima oltre a quanto il veleno del mio creatore l’ha sporcata. Ho provato a metter fine a questa esistenza, come ben sai e ho preferito patire la fame invece di avvicinarmi al sangue di un umano.”
Mi rabbuiai, io non ero stato così retto, io avevo assaggiato il sangue umano e ne ero stato soddisfatto e sazio. La mia anima era perduta, ma le vere domande erano per l’anima di Bella, era pura e volevo avere conferme che fosse possibile mantenerla tale.
Notò la mia reazione, e non si dilungò in racconti che conoscevo, ma passò direttamente alla teoria.
“Secondo me, dato che possiamo specchiarci, nel nostro corpo immortale risiede ancora l’anima. Inoltre ci è ancora concesso il libero arbitrio, un altro dono del Signore. Fossimo dannati, non dovremmo averlo, dovremmo essere come gli zombi dei film, che si muovono per inerzia e il loro unico scopo è cibarsi e mietere morte. A noi invece è stata data la facoltà di decidere. Possiamo innalzarci dal mostro della nostra natura di vampiro. Possiamo scegliere di essere migliori.
Come famiglia abbiamo deciso di non cibarci di umani, ma di animali, sono anch’essi creature del Signore, ma anche i mortali si cibano degli animali e non per questo gli viene negato il Paradiso. Possiamo decidere di utilizzare le nostre capacità per essere utili ai mortali… possiamo fare del bene.
Credo che il Signore non tenga conto di quale specie facciamo parte, ma tenga conto di come utilizziamo il nostro libero arbitrio. Secondo me, esiste il Paradiso o l’Inferno anche per quelli della nostra specie. Sono convinto che se proviamo a fare del nostro meglio, ci verrà riconosciuto, Dio non ci ha ripudiato.” Si avvicinò e mi prese le mani nelle sue guardandomi fiducioso negli occhi.
“Quindi, se seguo le vie del Signore, e non permetterò a Bella di cibarsi di umani, o utilizzare le sue capacità per ferire o ledere un umano, la sua anima sarà salva?”
“Secondo il mio credo, sì! Siamo come gli umani, dobbiamo meritarci le porte del Paradiso. Quando siamo stati trasformati abbiamo perso molto, ma non la nostra anima, lei risiede sempre in noi”
Ci riflettei un attimo, a causa del mio stato da vampiro, non mi era concesso gioire di molte cose che per gli umani erano scontate. Non potevo assaporare il gusto di cibi prelibati, non potevo camminare tranquillamente in strada se non quando il sole era coperto, dovevo lottare con il mio demone ogni volta che il profumo inaspettato di un umano colpiva il mio olfatto, non potevo sognare o lasciarmi andare in uno stato di incoscienza per poter risistemare i pensieri, ogni cosa era amplificata, i suoni, gli odori, le emozioni, i ricordi, questi ultimi erano così impressi nella mente che rievocandoli si materializzavano perfettamente anche le emozioni provate in quel preciso istante… e queste erano solo alcune delle privazioni che l’essere vampiro comportava, ma non sembravano così rilevanti da poter pagare l’immortalità.
“Non voglio mentirti. Non sono pienamente convinto, ma voglio crederci. Farò in modo che l’anima di Bella non si sporchi oltre al veleno che la renderà immortale”
“Sei buono ed hai sofferto pur di non far del male a Bella, hai imparato a curare gli umani, non hai mai utilizzato le tue capacità per ferire volontariamente qualcuno… meriti il Paradiso”
“Ho ucciso e mi sono cibato di umani.”
“Dio perdona, se il pentimento è sincero. E non hai ucciso seguendo solo l’istinto, hai sempre scelto persone crudeli, e i tuoi omicidi sicuramente hanno salvato più vite di quelle che ti sei preso. Il tuo pentimento è sincero, Dio ne terrà conto”
Scossi leggermente il capo, avevo bisogno di tempo per abituarmi a quella nuova prospettiva, ma ero disposto a crederci e rispettare la volontà di Bella nel voler diventare una di noi.
“Adesso spiegami la storia del matrimonio” chiese curioso e quasi divertito.
“Non scherzarci anche tu.” risposi risentito “E’ importante per me. Lei ha creduto che la stessi prendendo in giro ed era terrorizzata dalla mia domanda quando ha compreso la verità della mia proposta. Mio padre mi ha insegnato una linea di condotta ed io voglio seguirla. Nei tempi in cui sono nato e sono stato educato il matrimonio era il modo migliore per giurare il vero amore, ed io ne sono convinto. Vuole far parte della nostra famiglia, ed io voglio che sia la mia compagna per il resto dell’eternità. Dopo questo giuramento sarò disposto a renderla a tutti gli effetti la mia metà immortale.”
“Hai la mia benedizione, ma non credo che avrai quella di suo padre”
“Lo so. Farò del mio meglio per fargli capire che sono la persona giusta per sua figlia, che la amo più di ogni altra cosa al mondo e che la proteggerò per tutta l’eternità a costo della mia stessa vita.” dissi sconsolato, ogni pensiero di odio e rancore che Charlie provava per me mi rimbombarono nella mente.
“Il tempo che ci impiegherò a convincerlo sarà del tempo in più che si concederà Bella per capire cosa significa realmente la sua scelta.” Sorrisi compiaciuto della mia soluzione e del tempo in più che mi ero concesso.
“Vuoi dirlo alla famiglia? Erano tutti preoccupati per il tuo ritorno, si stavano preparando alla sfuriata” il labbro si curvò in un mezzo sorriso
“Certo, voglio che sappiano … voglio anche la loro benedizione!”
 
Alice era già seduta sulla sua sedia in sala da pranzo, o per meglio dire nella sala riunioni, e stava già fantasticando su come avrebbe addobbato la casa per il matrimonio. Jasper le stava accanto ancora in piedi e la guardava confuso. Appena entrai sobbalzò e cercò di tranquillizzarmi con il suo potere, ma si fermò perplesso, il mio umore era sereno, quasi estasiato. Mi lanciò uno sguardo interrogativo e sorridendo scosse la testa.
Quella ragazza ti ha fatto ammattire, i tuoi cambi di umore mi stanno facendo venire il capogiro.
Gli sorrisi mentre spostavo la sedia per accomodarmi.
Rosalie entrò mantenendo lo sguardo basso e tenendosi leggermente nascosta da Emmett.
Esme si sedette vicino a Carlisle impaziente di avere spiegazioni alle strane parole che le avevo accennato quando ero rientrato.
Appena ci furono tutti, mi rialzai e appoggiandomi con le mani al tavolo li guardai uno ad uno negli occhi.
“Volevo chiedervi scusa per come ho reagito alla votazione.” Feci una pausa per dar loro il tempo di assimilare la frase.
“Sono stato preso in contropiede, non mi aspettavo che avreste votato sì, conoscendo le mie opinioni, ma dopo averne parlato con Bella e con Carlisle… vi ringrazio.”
Rosalie mi guardò come se fossi un alieno, Emmett scoppiò in una fragorosa risata ed Esme batté leggermente le mani dalla gioia.
“Vi ringrazio per aver accettato Bella nella nostra famiglia e nella vostra vita. E ringrazio anche te, Rosalie …” la guardai negli occhi con sincera riconoscenza “… perché hai votato no, le hai dato un motivo per fermarsi a riflettere e te ne sono grato.”
Almeno una l’ho fatta giusta pensò mentre abbandonava la faccia mesta e recuperava il suo solito atteggiamento sicuro.
“Dopo averne parlato, io e Bella abbiamo fatto un compromesso. Io la trasformerò…” tutti mi guardarono confusi, non avevano capito bene e guardarono Carlisle in attesa di una spiegazione.
Chiuse gli occhi e sorrise alzando le mani per confermare che lui non aveva fatto nulla, era tutta farina del mio sacco.
“Sì, sarò io a trasformarla, non Carlisle, e lo farò dopo che lei sarà diventata mia moglie!” lo dissi veloce, emozionato e tronfio.
Dopo un minuto di silenzio nel quale la mia famiglia ricomponeva il discorso che avevo appena fatto cercando di capirne il significato e lasciando in disparte il pensiero che fossi impazzito definitivamente, furono entusiasti che li avessi perdonati e delle mie decisioni.
“Congratulazioni!!!” dissero all’unisono Esme, Alice e Rosalie, mentre si avvicinavano per abbracciarmi
“Ben venuto nel club!” disse Emmett dandomi una pacca sulla spalla così forte che dovetti tenermi al tavolo per non cadere.
Jasper non parlò, ma il suo sorriso confermò la sua benedizione. Carlisle rimase seduto con le mani incrociate sul piano del tavolo, si stava gustando quel momento spensierato della famiglia, dopo gli avvenimenti degli ultimi mesi era un evento del quale voleva ricordare ogni particolare.
Però… Alice mi fece vedere la scena del matrimonio, era sfocata, non era certa.
“Lo so. Gliel’ho chiesto in un momento poco consono e la sua reazione è stata diversa da quella che mi aspettavo…” abbassai lo sguardo imbarazzato. “Ma so che vuole essere trasformata da me, e io sono disposto a farlo solo a questa condizione!”
“Non devi obbligarla!” mi rimproverò Esme.
“Non voglio obbligarla. Lei vede il matrimonio come la fine dell’amore a causa dell’esperienza dei suoi genitori, io lo vedo come la conferma dell’amore. Appena comprenderà la mia proposta, so che ne sarà entusiasta… ha solo bisogno di tempo… ed io non ho fretta!” le feci l’occhiolino.
Sei tremendo pensò mia madre, ma era su di giri per l’arrivo della sua nuova figlia, lei adorava Bella ed era contenta che finalmente anche io avessi trovato la mia compagna. Ed iniziò a pensare con quali fiori avrebbe addobbato la casa in occasione del mio matrimonio. Mi vidi in piedi sotto un tetto di fiori bianchi mentre sorridevo a Bella radiosa vestita in bianco che camminava con la mano appoggiata a Charlie verso di me. Sorrisi a quell’immagine, era perfetta e mi sentivo completamente a mio agio.
“Oh… quindi al momento non possiamo dirle niente!” Alice si mordeva il labbro dispiaciuta di non poter iniziare i preparativi … Però per avere un vestito da sposa adeguato all’occasione devo partire in anticipo…
“Alice, mi raccomando, non parlargliene, la spaventeresti ancora di più”
Si passò le dita sulle labbra come per chiuderle con una cerniera e buttò via la chiave immaginaria.
Tantissime immagini del mio futuro, immaginato da tutta la famiglia mi invasero la mente.
Rosalie, Alice ed Esme fantasticavano sulla cerimonia. Jasper si immaginava di poter abbracciare Bella come una sorella senza il bruciore in gola, Emmett si immaginava in diverse sfide con Bella, dal braccio di ferro a una gara di velocità. Carlisle si immaginava solo me e Bella persi nei nostri sguardi.
La mia decisione li aveva resi felici e mi lasciai cullare in quei bellissimi e felici pensieri.



Ciao ragazzi, siamo quasi giunti al termine. Questo è il penultimo capitolo!!! Sono emozionatissima ed anche un pò triste, perchè mi sono "divertita" tantissimo ad immedesimarmi in Edward!
Ringrazio tutti coloro che hanno aggiunto la mia FF nei preferiti seguiti e ricordati e ringrazio anche coloro che mi hanno reso partecipe delle loro opinioni. GRAZIE!!! 

Per chi fosse interessato ho scritto un'altra FF

Devi essere indipendente
Dateci occhiata! Spero vi piaccia!!! Fatemi sapere!
A PRESTO!!!



 
 

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Capitolo 19
*** Jacob Black ***


 
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Ritornò tutto alla normalità, o quasi.
L’ospedale accolse il ritorno di mio padre con grande entusiasmo, senza nascondere la soddisfazione di essere stati preferiti ai colleghi di Los Angeles, almeno, loro credevano che la mia famiglia si fosse trasferita in quella città. Quando eravamo partiti mio padre si era inventato di aver accettato una proposta di lavoro a Los Angeles, lo aveva fatto per depistare Bella, lasciandole delle piste palesemente errate nell’ipotesi che avesse voluto seguirci. Sicuramente una famiglia di vampiri non poteva trasferirsi, o peggio lavorare, in una città assolata come Los Angeles.
Esme finì di restaurare la casa a Ithaca e di malavoglia la vendette. Fu molto lieta, invece, di comunicarmi che il restauro della mia casa natale era terminato e come mi aspettavo diede molta importanza a ciò che quelle mura significassero per me. Non me la sentii di andarci personalmente, non volevo allontanarmi da Bella, ma Esme fece diversi viaggi portandomi diverse fotografie di come fosse la casa a lavoro finito e, ovviamente, era perfetto. Essendo una donna previdente aveva anche provveduto a trovare un giardiniere ed una colf che mantenessero in ordine la casa, in attesa che tornassi a visitarla.
Rosalie ed Emmett rimasero a Forks, insieme alla famiglia.
Rosalie continuò i suoi studi on-line sull’alta moda parigina e iniziò a lavorare su se stessa per avvicinarsi a Bella, non le andava a genio, ma la gelosia era passata, doveva solo superare la scelta di Bella di abbandonare la mortalità e tutte le bellissime occasioni che comportava e che Bella non comprendeva, ma le fui grato per il tentativo e il mio rancore svanì definitivamente.
Emmett e Jasper continuarono con le ronde per cercare indizi su Victoria, erano rilegati nella nostra proprietà, non potevano controllare il territorio dei Quileutes, ma più volte avevano scorto tra gli alberi i lupi che facevano la guardia e controllavano il perimetro alla ricerca della stessa preda. Con il tempo la scia era svanita, non era più tornata, ma ero certo che non avesse abbandonato i suoi propositi. Attendavano una sua ricomparsa, eravamo pronti.
Bella riuscì a convincere suo padre a farmi entrare in casa dalla porta. Non mi era concesso vederla se non in orari stabiliti e solo sotto la super visione del padre, che passava il tempo in cui ero a casa Swan vicino a noi insultandomi nella mente, e lanciando freddure ad alta voce. Accettai tutto di buon grado, comprendevo Charlie e le sue ragioni, e poter entrare in casa sua mi avrebbe permesso di farmi perdonare dimostrandogli che non stavo giocando con sua figlia e che i miei sentimenti nei confronti di Bella erano veri e profondi.
Mi impegnai a far inviare da Bella le richieste a diverse università. Volevo che si prendesse ancora del tempo da umana, provasse ancora quell’esperienza e poi l’opzione Carlisle dopo il diploma era sfumato. Mio padre sapeva che ci tenevo veramente a sposarla ed era l’unica carta che potevo giocarmi per portarla all’altare, non mi avrebbe tradito anche in quella aspettativa. Quindi, in attesa che dicesse il fatidico sì, le feci compilare una sfilza di domande di iscrizione a ogni università esistente. Io ero già entrato ed uscito da Harvard e da altre università, non mi interessava quale mi avrebbe accettato, l’importante era poterla frequentare con Bella e che fosse in un paese potenzialmente nuvoloso e poco assolato.
A scuola molte cose erano cambiate.
Durante l’autunno del nostro presunto trasloco, quasi tutti si erano allontanati da Bella e il ritorno dei fratelli Cullen per la prima volta fu un avvenimento che suscitò interesse.
Quando, il primo giorno, arrivai nel parcheggio della scuola e mi appoggiai all’auto insieme ad Alice in attesa di Bella, tutti gli studenti notarono il nostro ritorno e smettevano di esaminarci come se fossimo una visione. Mi scappò un sorriso nel vedere gli occhi di Alice roteare verso il cielo con uno sbuffi.
Prima regola: non farsi notare! Si, come no! Sembra che abbiamo dei lampeggianti sulla testa!
Solitamente i fratelli Cullen erano fonte di interesse solo il primo giorno in una nuova città, ma con il tempo gli umani imparavano ad aver timore dei strani fratelli e li evitavano. Frequentavo da anni la scuola di Forks e da sempre nessuno si era mai azzardato ad osservarci così insistentemente, semmai una piccola sbirciatina veloce, ma nulla più, invece quel mattino tutti gli occhi ed i pensieri erano su di noi.
Il primo pensiero coerente che sentii fu quello di Mike.
Il damerino è tornato, chissà se Bella lo sa. Sicuramente sì, lei non riesce proprio a star lontano dalla gente strana.
Jacob Black, con i capelli lunghi legati e il viso più bambino di come mi era apparso nei pensieri di Charlie, era seduto al cinema con la mano stretta in quella di Bella e gli occhi persi in quelli di lei. Il volto del Quileutes, in un cambiamento repentino, che si voltava furioso verso Mike con forti tremori alle braccia e le guance leggermente arrossate.  
Strinsi i pugni a quella visione, si tenevano per mano, erano legati da un sentimento profondo, potei vederlo anche attraverso quei ricordi, in quel momento il viso di Bella non era sciupato, era combattuto tra diversi sentimenti, ma era sereno e in pace.
Edward Cullen, wow!!! Chissà come la prenderà la psicopatica il ritorno del suo bello che l’ha scaricata, non voglio proprio perdermi la scena…
Jessica camminava a pochi passi da Mike, la fulminai con lo sguardo, non doveva permettersi di insultare la mia fragile Bella. Iniziai a pensare come poter far pentire quella ragazzina viziata e piena di sé che era così superficiale da non comprendere il tormento che stava torturando Bella in quel buio periodo.
Molti altri studenti mi notarono e tutti erano curiosi di vedere la reazione di Bella al mio ritorno.
Nei loro pensieri Bella era spenta e con un colorito poco sano che vagava per i corridoi come uno zombi. Era ancora più taciturna del solito ed era completamente assente, cercava di camuffare il suo dolore con risposte semplici e con dei sorrisi tirati, ma la sua incapacità a recitare non convinse nessuno, allontanandoli da lei come se fosse una malata di mente.
Alice mi guardava con volto divertito, non poteva leggere i pensieri dei nostri compagni, quindi non poteva vedere quelle immagini tristi, ma aveva notato lo sguardo stupito degli altri studenti man mano che si accorgevano della nostra ricomparsa.
Il pick up rosso entrò nel parcheggio, Bella era serena e il sorriso le attraversava il volto.
Parcheggiò vicino alla mia Volvo. Le andai incontro e le aprii la portiera, le porsi la mano per aiutarla a scendere e appena fu in piedi di fronte a me la abbracciai e la baciai in maniera dolce, delicata, lasciandomi trasportare da tutto l’amore che provavo per lei.
Ma come è possibile?  Vidi attraverso gli occhi di mia sorella il volto di Jessica. Era deformato dalla rabbia e dallo stupore, tra tutti le reazioni che si era immaginata, quella non era assolutamente prevista.
Come volevasi dimostrare, mah! Alla fine sono strani entrambi forse sono proprio fatti l’uno per l’altra pensò Mike, e da quel momento non riuscii più a reputarlo insopportabile.
FINALMENTE!!! Bella sarà al settimo cielo, se lo merita dopo quello che ha passato! Angela, i suoi pensieri puri e la sua vera amicizia nei confronti di Bella non era mutata.
Mi allontanai delicatamente da Bella sorridendo, il suo fiato era corto e il suo cuore martellava fortissimo.
“Andiamo” le sussurrai mentre facevo scivolare la mia mano nella sua e appoggiavo il braccio libero sulla sua spalla. Ero tornato e non avrei permesso a nessuno di farle del male o di ferirla in alcun modo, guardai i miei compagni e li salutai a testa alta con un sorriso.
Sei incredibile! Pensò Alice mentre faceva scendere gli occhiali da sole sugli occhi e si avvicinava a Bella disinvolta.
“Ciao Bella”
“Ciao Alice” la sua voce era leggera, serena, come se ogni cosa fosse tornata al suo posto.
Mentre camminavamo per i corridoi o seguivamo le lezioni, tutti i pensieri erano rivolti a noi due.
Chi era felice, chi era stupito, chi era infastidito … eravamo al centro dell’attenzione come se fosse il nostro primo giorno scuola.
Nessuno si domandò dove ero stato in quei mesi, l’unica domanda era: come è possibile che stiano ancora insieme!
In sala mensa ci sedemmo nel tavolo dei compagni di Bella, e notai che la ricomparsa dei fratelli Cullen aveva creato una netta divisione: Angela e Ben erano felici del nostro ritorno e sollevati dal vedere Bella di nuovo serena. Lauren, Jessica e Mike non erano affatto entusiasti della nostra ricomparsa e i loro sentimenti verso Bella erano particolarmente ostili, ma erano bravi a mascherare i loro veri sentimenti e questa loro capacità permise di rendere comunque piacevole la pausa pranzo.
Le giornate a scuola erano perfette, ero il compagno di banco di Bella e potevo starle vicino senza essere assalito dai pensieri ancora irritati di suo padre, e grazie a Angela e agli altri compagni riuscii a ricomporre una parte del tempo che mi ero perso durante la mia assenza.
I pensieri che preferivo erano quelli di Angela, era buoni e premurosi nei confronti della sua amica, e soprattutto erano molto dettagliati.
Dopo i primi mesi di catatonia di Bella, Angela aveva notato un miglioramento nell’umore e nell’aspetto della compagna. C’erano ricordi che la ritraevano con delle fasciature sulle ginocchia, sulle braccia e anche un enorme cerotto sulla testa. Nel periodo delle fasciature il viso di Bella era più sereno, più vivo. I suoi occhi erano di nuovo profondi e pieni di curiosità, e il suono della campana di fine scuola era come un richiamo a una nuova avventura… aveva ragione Charlie, ero tornato nel momento in cui i pezzi di Bella si stavano ricomponendo.
Quei ricordi facevano scaturire in me un senso di sollievo, vederla felice mi faceva sentire meno in colpa per ciò che avevo fatto, ma mi facevano anche accrescere la gelosia. Sapevo esattamente da cosa era stato causato quel cambiamento: Jacob Black, il licantropo.
Non capivo da dove provenivano tutti quei lividi e quelle lussazioni, Alice mi aveva detto che Bella si era data agli sport estremi, ma non sapeva dirmi esattamente in cosa consistevano.
Una sera, in camera sua, mentre Charlie russava nella camera accanto, presi coraggio e le chiesi ciò che i ricordi dei compagni e di suo padre non mi avevano raccontato.
Le spostai una ciocca di capelli dal viso e accarezzandola delicatamente sulla guancia le chiesi
“Quindi in mia assenza ti eri data agli sport estremi!” chiesi disinvolto inarcando un sopracciglio
Il suo cuore iniziò a correre e le sue guance si colorarono di vergogna, si nascose il viso appoggiandolo al mio petto, ed io la stuzzicai.
“Erano solo tuffi dagli scogli o gli sport erano vari?” mentre glielo chiedevo lottavo per allontanare la visione di Alice di Bella a Port Angeles.
“Perché me lo chiedi?” chiese leggermente confusa e imbarazzata.
“Perché voglio conoscere ogni momento della tua vita e quei otto mesi, anche se dolorosi da ricordare, ne fanno comunque parte”
“Moto e Trekking” rispose veloce
“Moto e Trekking?!?” ero sconvolto, con il poco equilibrio e il senso dell’orientamento nullo di Bella erano sport che definirli estremi era quasi riduttivo. Le avevo chiesto di non fare nulla di stupido e pericoloso, e lei aveva cercato gli hobby più stupidi e pericolosi.
“Erano gli unici che mi permettevano di sentirti” si scusò
La abbracciai, il mio senso di protezione stava urlando, l’avevo lasciata per tenerla lontana dal pericolo, ma non avevo tenuto conto che lei era la calamita dei pericoli.
“E dove hai preso una moto?” non avevo visto nessuna moto a casa sua o nei pensieri che avevo spiato ed ero certo che Charlie non era a conoscenza di avere una figlia motociclista.
“Le abbiamo costruite io e Jake… nel suo garage … cioè le ha ricostruite lui, mentre io guardavo…”
Strinsi i denti e soffocai il ringhio, ma non riuscii a trattenere il veleno che riempì la mia bocca al pensiero che un licantropo fosse stato così vicino e per così lungo tempo vicino a lei. Non era solo l’antico odio tra le nostre specie a rendermi così furioso, dovevo ammettermelo, la gelosia era ancora più pressante.
“Il trekking era per ritrovare la nostra valletta… da sola…”
Avevo capito da dove derivavano tutte le fasciature e per quella sera avevo messo già a dura prova il mio autocontrollo, la mia curiosità poteva attendere.
Unii le mie labbra alle sue tenendole il viso tra le mie mani. Quando il suo cuore iniziò a battere un ritmo zoppo ed il fiato iniziò ad essere sempre più corto, le baciai la fronte e mi coricai vicino a lei “Adesso dormi, abbiamo tutto il tempo per parlarne” iniziai a cullarla cantando la sua ninna nanna.
Non protestò e si mise comoda con la testa appoggiata al mio duro petto e dopo pochi minuti il suo respiro regolare mi confermò che si era addormentata. Aggiunsi una coperta tra i nostri corpi e le spostai la testa sul cuscino, sicuramente più comodo che la pietra del mio corpo e mi rilassai accanto a lei immaginandola in sella ad una moto, con i capelli al vento e l’aria che le colpiva il viso facendole lacrimare gli occhi per la velocità. Una giacca in pelle attillata da motociclista e degli alti stivali neri. Era sensuale… ma stonava con la fragile ed impacciata Bella che conoscevo.
Le mie domande le avevano risvegliato dei ricordi sopiti. Per tutta la notte fu agitata e più volte nominò il Quileutes ed altri a me sconosciuti.
“No Sam, non andate, vi uccideranno… Jake, me lo hai promesso… Emily non farli andare…
Paul… Embry … Jared …”
Erano discorsi confusi, ma ogni volta che nominava il giovane Black un uncino arpionava il mio torace.
Dopo quella chiacchierata in camera sua, il nome Jacob Black o Jake iniziò ad essere presente in molti discorsi di Bella. Le veniva naturale nominarlo, ed io non riuscivo a nascondere pienamente il fastidio che mi creava quel nome. Essendo molto attenta si accorse di quali sentimenti facevano nascere in me quei racconti, così iniziò ad evitare di nominare i soggetti.
Ma non lo aveva dimenticato e sentiva forte la mancanza della persona che le stette vicino quando il suo cuore era in pezzi ed io ero lontano. L’aveva aiutata a ricomporre il suo cuore, con l’intenzione che lo donasse a lui. L’aveva salvata dalle grinfie di Laurent uccidendolo, mentre io correvo per l’America meridionale nel vano tentavo di braccare Victoria. Avevo diversi motivi per odiarlo: la sua specie era da generazioni uno dei nostri peggior nemici; amava Bella ed ero certo che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riaverla, ed era stato più bravo di me a proteggerla. Lo odiavo, ma gli ero anche grato. In mia assenza l’aveva protetta e l’aveva fatto perfettamente, permettendomi di ritrovarla salva e non a pezzi, in tutti i sensi, e per questo gli ero immensamente grato oltre che debitore.
La sera, appena uscivo da casa Swan, scacciato con ghigno soddisfatto da suo padre, lei correva al telefono per provare a contattare l’indiano, e ogni sera riappendeva la cornetta infastidita senza riuscire a parlargli. Dispiaciuto per il suo dolore, ferito per il suo sentimento nei confronti di Black, ma soddisfatto che le telefonate fossero sempre a vuoto, correvo a casa dalla mia famiglia per ritornare da lei quando Charlie dormiva.
Una sera arrivai che già era coricata a letto, con ancora i capelli bagnati, mi coricai vicino a lei e la strinsi tra le braccia, ma era irritata, mi baciò con passione e il suo cuore mi confermò che non era arrabbiata con me, qualcos’atro la disturbava. Provai a farla parlare, ma lei non cedette.
La coccolai ed attesi che si addormentasse maledicendo l’inutilità del mio dono con i suoi pensieri.
“Jake, sono fantastiche, quella nera tienila tu … quella rossa è perfetta … Jake, no, l’ho rotta, ho sbagliato freno… voglio riprovare Jake… ho bisogno di te Jake… devo cambiarmi prima di andare all’ospedale … Jake… Jacob…”
Finalmente il giorno arrivò e i sogni profondi terminarono… le ultime ore passarono tranquille e non parlò più, ero ferito come se mi avessero frustato per ore, durante la mia lontananza si era affezionata molto al Quileutes, ma ora che ero tornato non avrebbe più avuto possibilità di rivederlo. Non era la gelosia, ma il patto a imporlo, il patto stipulato da Ephraim Black con Carlisle decenni addietro. Ora che eravamo tornati non potevano entrare nei nostri territori come noi non potevamo entrare nei loro, non rispettare il patto significava scontro aperto. Ringraziai nei miei pensieri Charlie perché con gli arresti domiciliari di Bella, non le era permesso uscire di casa né tantomeno andare a La Push, evitandomi l’orribile compito di proibirglielo io.
Dopo quella sera i sogni di Bella furono sovente rivolti verso Jacob Black e ai suoi compari licantropi. Una notte lo accostò a Paride di Romeo e Giulietta. Era angosciata dal nessun lieto fine per quel personaggio, dal nessun lieto fine di Jacob. Non lo aveva mai chiamato amore, ma sempre migliore amico, e questo mi rese meno geloso, ma non del tutto.
Un sabato pomeriggio, quando andai a prenderla a lavoro salì in macchina irritata.
“Ma che maleducato!” disse arrabbiata corrugando la bocca “E’ un’offesa bella e buona”
Cosa era successo? Mike si era permesso di offendere Bella? Avevo già la mano sulla maniglia della portiera per scendere e fare un piccolo discorsetto a quell’insulso e inutile umano, quando Bella continuò.
“Billy…” ok, aveva riprovato a telefonare a Jacob Black, Mike non c’entrava nulla, anche se in quel momento torcere un collo mi avrebbe sicuramente aiutato a far sbollire la rabbia.
“…ha detto che lui non vuole parlare con me” disse esasperata con lo sguardo fisso sulla pioggia fuori dal finestrino “Che era in casa, ma non gli andava di fare tre scalini per prendere la cornetta del telefono! Di solito Billy risponde che Jacob non c’è, che è impegnato, dorme o qualcosa del genere. Voglio dire, non che io non sappia che sia una bugia, ma perlomeno è una risposta educata. A questo puto penso che anche Billy mi odi. Non è giusto!” sbottò
“Non è colpa tua, Bella” le dissi dolcemente, accarezzandole la fronte per spianare la V che era comparsa tra i suoi occhi lucidi di rabbia “Non è te che odiano”
“A me pare di sì” mormorò testarda incrociando le braccia al petto.
“Jacob sa che siamo tornati e di sicuro si è accertato che sto di nuovo con te. Non oserà avvicinarsi. La sua ostilità ha radici troppo profonde”.
“Che stupidaggine. Lui sa che non siete… come gli altri vampiri”
“Ha altre buone ragioni per mantenersi a distanza” oltre all’odio che le nostre razze si tramandavano da generazioni tra me e Jacob Black era anche una questione di gelosia. Non lo avevo più visto fisicamente dal ballo della scuola dell’anno precedente, e già in quella occasione l’attrazione che provava per Bella era molto forte. Nei ricordi di Mike, Charlie e Alice ero riuscito a comprendere l’amore che provava per lei, era forte e molto profondo. Sapevo con certezza che un nostro incontro sarebbe sfociato in una lotta all’ultimo sangue. Entrambi non eravamo disposti a perdere Bella, e la sua natura animale era molto meno gestibile e più selvaggia della mia.
Bella guardava fuori dal finestrino con aria triste, si mordeva il labbro inferiore e suoi occhi erano lucidi.
“Bella, noi siamo ciò che siamo. Io so controllare me stesso, ma dubito che lui ne sia capace. E’ molto giovane. Probabilmente un nostro incontro sfocerebbe in rissa e non so se saprei fermarmi prima di uc…” mi bloccai, non volevo ferirla e sapevo l’affetto che provava per quel mutante e mi corressi velocemente “…prima di fargli del male. Non ti farebbe affatto piacere e non voglio che accada”.
Rabbrividì
“Edward Cullen, stavi per dire “ucciderlo”? Rispondi” sibilò offesa folgorandomi.
Distolsi lo sguardo e guardai la strada, il semaforo era verde, ingranai la marcia e ripartii lentamente.
“Cercherei… con tutte le mie forze… di non farlo”
Mi fissò a bocca aperta, incredula. Non riuscivo a togliere gli occhi dalla strada, i suoi sentimenti per il mio giurato nemico erano molto profondi, profondi come lo squarcio che la gelosia mi stava infliggendo.
Beh” continuò dopo un profondo respiro “E’ impossibile che succeda qualcosa del genere… quindi, inutile preoccuparsi. Inoltre, Charlie starà già controllando l’ora. Meglio che ti sbrighi a portarmi a casa, prima che il ritardo mi procuri altri guai” ed abbozzò un sorriso.
Il suo cuore ricominciò ad accelerare, e i miei muscoli si rilassarono ad ogni battito. Il suo cuore pulsava per me, non per quell’imprevedibile e selvaggio Quileutes.
Appena arriva mi sente… una moto … una moto… Bella su una moto… ma è impazzita… ma cosa le è passato per la testa … una moto…
I pensieri di Charlie erano così forti che riuscii a sentirli prima di arrivare sulla strada di fronte a casa Swan.
“Sei già nei guai Bella” la avvisai
Si aggrappò al mio braccio stringendolo impaurita ed allungò il collo verso la direzione che stavo fissando alla ricerca di un qualche pericolo.
“Cosa? Cosa c’è?”
“Charlie…”
“Mio padre?” strillò in preda al panico
La guardai sereno, era nei guai, ma non grossi come immaginava.
“Charlie… probabilmente non ti ucciderà, ma ci sta pensando seriamente”
Ecco il succhiasangue, vediamo adesso come la mettiamo. Bella non è una sua proprietà. Non è della sua specie, lei ha un cuore che pulsa e finché sarò in vita giuro che continuerà a pulsare. Devo solo avere la possibilità di rivederla, di parlarle, di farla rinsavire.
La voce mentale di Jacob Black mi raggiunse inaspettata.
Imboccai la strada per casa di Bella, ma le passai davanti e parcheggiai vicino al bosco da dove era arrivata la voce di Black.
“Che ho fatto?” esclamò Bella
Lancia un’occhiata verso la moto rossa luccicante, parcheggiata in bella mostra nel vialetto.
Una moto… con tutte le volte che le ho raccontato di quei ragazzi che abbiamo raccolto morenti sulla strada… cercava veramente di suicidarsi… e Jacob l’ha pure coperta… io lo copro di botte … Bella non vedrà più la luce del sole… credevo fosse più matura … una moto… con Jacob… quei due… ecco cosa facevano tutto il giorno in garage… a si, adesso mi sente… le faccio passare la voglia…
Vieni succhiasangue, vieni! Il branco mi ha inviato a rinfrescarti la memoria.
“No! Perché? Perché Jacob mi ha fatto una cosa del genere?” era infuriata ed incredula.
Le lacrime iniziarono a rigarle le guance e le mascelle erano serrate dalla rabbia, scuoteva la testa, non poteva credere che il suo fidato amico le avesse fatto un gesto del genere. Teneva i pugni chiusi e le spalle erano leggermente incurvate, tremava e continuava a mormorare perché?
“E’ ancora qui?” sibilò
“Si. Ci aspetta laggiù.” Il veleno aveva invaso la mia bocca e i muscoli erano contratti per l’attacco, ma cercai di rimanere calmo, non volevo che Bella vedesse il mio lato peggiore, io ero meglio di quel cane e glielo avrei dimostrato da subito.
Ringraziai di essere fatto di marmo, questo mi permise di non far trasparire la rabbia che mi scuoteva mentre indicavo il luogo in cui mi stava attendendo Jacob Black.
Bella saltò giù dall’auto alla carica contro Jacob, aveva i pugni serrati e l’atteggiamento risoluto, gli occhi non nascondevano l’istinto omicida… mi fece sorridere vederla in quel atteggiamento nei confronti del suo ex migliore amico. Finalmente aveva inteso cosa intendevo quando le dicevo che erano imprevedibili, anche se devo ammettere, era il gesto meno pericoloso che poteva aspettarsi da uno della sua specie.
La afferrai per la vita. Anche se la sua rabbia mi faceva piacere, non volevo che affrontasse un licantropo da sola e senza difese.
“Lasciami andare! Voglio ucciderlo! Traditore!” urlava rivolta verso la foresta mentre si divincolava furiosa tra le mie braccia.
Mah… l’ho fatto per te, perché mi manchi, perché ti amo, perché voglio che stai lontano da lui, che torni da me… Jacob non era più tanto certo e tronfio, era addolorato per la reazione di Bella, non era quella che si aspettava, anche se mi domando come credeva che potesse reagire dopo essere stata tradita.
“Ti farai sentire da Charlie. E una volta tornata in casa, murerà la porta.”
Guardò verso casa, scrutò la moto e la collera accrebbe ancora di più.
“Concedimi solo un round con Jacob, poi affronterò Charlie” e ritornò alla carica cercando di liberarsi dalla mia presa.
Io non volevo litigare con Bella, sono rimasto solo per avvertire il succhiasangue. Codardo, non viene nemmeno da solo, si copre dietro di lei. Vigliacco!
“Jacob Black vuole vedere me. Per questo è ancora qui.”
Smise di lottare e mi guardò con aria spaventata, il viso era diventato bianco come il latte e gli occhi cercavano una risposta ad una domanda che non mi aveva posto.
“Parlare?”
“Più o meno”
“Quanto “più”?” la voce le tremava mentre gli occhi saettavano dal bosco a me.
Le spostai una ciocca dal viso “Non preoccuparti. Non vuole combattere. E’ qui in qualità di… portavoce del branco”
“Ah”
Pure in ritardo… non solo devo sopportare quel Cullen … adesso me la riporta a casa pure in ritardo … ma quando arriva mi sente … una moto ….
Lanciai un’occhiata verso la casa e stringendo la presa sulla vita di Bella la portai verso il bosco, dovevamo sbrigarci o Charlie avrebbe stretto ulteriormente i limiti della sua libertà.
“Dobbiamo sbrigarci, Charlie è impaziente”
Non ero un codardo, non avevo paura di affrontarlo da solo. Anzi sarei stato felice di poterlo affrontare faccia a faccia, anche se gli ero grato per aver protetto Bella in mia assenza, gli avrei fatto rimangiare i suoi pensieri insieme ai suoi denti. Ma non volevo che Bella affrontasse da sola suo padre, era troppo arrabbiato e sapevo che se l’avessi accompagnata Charlie avrebbe sfogato la maggior parte dell’ira su di me evitando di accanirsi troppo su di lei, quindi la trascinai nel bosco con me e poi l’avrei scortata a casa.
Il veleno e i muscoli reagirono all’odore del nemico. Dopo pochi passi nella foresta, l’odore nauseante del licantropo che riempiva l’aria mi colpì allo stomaco e mi fece arricciare il naso. Era come tenere il naso a contatto con il pelo selvaggio di un cane bagnato dalla pioggia. Smisi di respirare per evitare di dover ancora annusare quella puzza.
Jacob ci attendeva appoggiato ad un tronco ricoperto di muschio a pochi passi dall’inizio del sentiero. Teneva le braccia conserte con un’espressione dura e sprezzante sul volto.
Guardò Bella ed i suoi occhi per un istante si addolcirono.
Sei sempre più bella, mi sei mancata!
Ma ritornarono spietati mentre li puntava verso di me.
Eccolo! Finalmente posso vedere in faccia il famoso sanguisuga e con un ghigno si drizzò dall’albero, leggermente sporto in avanti e con i pugni serrati.
Appena si mosse mi parai davanti a Bella.
Lei si sporse per guardarlo in faccia e vidi tramite Jacob le saette che le uscivano dagli occhi dirette verso di lui. Il suo ghigno diminuì, vedere l’odio che in quel momento Bella provava per lui fu un forte schiaffo in faccia per il licantropo, che addolcì il viso in una smorfia di dispiacere.
Appena Bella mise a fuoco il dispiacere sul volto di Jacob il suo odio si smorzò trasformandosi in affetto e malinconia.
Non devo distrarmi. Ho un compito da svolgere. Avrò tempo per farmi perdonare!
“Bella” la salutò con un cenno e tornò svelto a fissarmi con aria di sfida.
 “Perché?” gli chiese Bella in un sussurro “come hai potuto farmi una cosa del genere?”
Il suo ghigno svanì definitivamente, ma mantenne un’espressione dura dicendole “Per il tuo bene”
Dovevo far qualcosa, qualunque cosa, per allontanarti da lui. Mi manchi!
“Come sarebbe a dire? Vuoi che Charlie mi strangoli? O speravi che gli venisse un infarto, come a Harry? Sarai anche arrabbiato con me, ma come hai potuto fare una cosa simile a lui?”
Jacob trasalì. L’immagine di un indiano con i capelli grigi coricato su un letto di ospedale con le mani giunte sul petto, gli occhi chiusi e le labbra bianche ed il viso di Charlie che sostituiva quello dello sconosciuto vorticarono nella mente di Jacob, facendolo soffrire. Non aveva pensato a Charlie, aveva solo pensato ad un modo per allontanarla da me, non avrebbe mai voluto far del male al padre di Bella.
“Non voleva far del male a nessuno. Sperava solo in un castigo che ti impedisse di passare altro tempo con me” le spiegai dato che Jacob sembrava imbarazzato a confessare il suo vero intento.
Mi fissò pieno di odio, aveva capito che stavo leggendo nei suoi pensieri.
“Oh, Jake! Sono già in castigo! Perché credi che non sia ancora venuta a La Push a prenderti a calci nel sedere, dopo tutte le telefonate a cui non hai risposto?”
Credevo che fosse questo lurido succhiasangue ad impedirtelo, non avevo immaginato che fosse Charlie.
 “E’ così?” le chiese confuso e subito si zittì pentito della domanda
Non è il sanguisuga, ma Charlie. Ma perché?
“Pensava fossi io a impedirtelo, non Charlie” diedi voce ai suoi pensieri
“Piantala” sbottò Jacob, e le sue braccia iniziarono a tremare in preda a delle forti convulsioni, pronto a trasformarsi. Strinse forte i denti ed i pugni e con mia grande sorpresa trattenne la trasformazione.
“Bella non esagerava, a proposito delle tue… qualità. Perciò, immagino che tu sappia già perché sono qui”
Il patto prevede che non mordiate nessun essere umano, non puoi trasformarla o lo infrangerai!
Ed io, ti giuro, farò tutto ciò che mi è concesso per non permettertelo. Lei non è una di voi, lei è umana, ha un corpo caldo, ed un cuore che batte. Ha dei sentimenti, una famiglia, una vita, non ti permetterò di rubarglieli.
“Sì” confermai a tutti i suoi pensieri, aveva ragione, lei non era come noi, lei era pura e calda e toglierle la vita non era assolutamente ciò che volevo, ero fuggito per evitarle quel destino, ma ero anche consapevole della sua volontà di diventare una di noi e delle conseguenze di una nostra separazione, non avrei ricommesso l’errore. Se era ancora viva era grazie a lui, che l’aveva salvata da Laurent, da Victoria e dalla furia dell’oceano e chissà quante altre volte mentre mi trovavo a miglia di distanza, la mia rabbia venne sostituita dalla gratitudine “Però prima che cominci, vorrei dire una cosa”
Jacob rimase in attesa stringendo e rilassando le mani per controllare la rabbia che lo avrebbe trasformato.
“Ti ringrazio” continuai “Non esistono parole per dirti quanto ti sia grato. Ti sarò debitore per il resto della mia… esistenza” ero sincero, sapevo che aveva salvato Bella dal baratro nel quale stava sprofondando durante la mia assenza e se l’avevo ritrovata ancora sana di mente e nel corpo era grazie a lui. Anche se era il mio peggior nemico, gli ero debitore ed avrei pagato quel debito se me lo avesse permesso.
Cosa stai farfugliando?
Mi fissò disorientato, guardò velocemente Bella per capire di cosa stessi parlando, ma era altrettanto confusa.
“Per aver salvato la vita a Bella” chiarii pieno di gratitudine. “Quando io… non ho potuto farlo”
“Edward” mi chiamò Bella, ma la zittii alzando la mano e continuai a fissare Jacob.
Come potevo non salvarla! Ho raccolto i pezzi che avevi abbandonato, l’ho salvata dai tuoi simili perché la sua vita è importante per me! Non potevo farla morire, io la amo…
“Non l’ho fatto per te” terminò a voce alta secco
“Lo so. Ma ciò non annulla la gratitudine che provo. Penso di dovertelo dire. Se mi è concesso di fare qualcosa per te…”
Ritorna dove sei stato in questi mesi, lasciaci in pace e permettile di vivere una vita vera insieme a qualcuno più vivo di te, qualcuno che non deve mettere fine alla sua vita fermandole il cuore, ma facendoglielo battere ancora più forte. Pensò sollevando un sopracciglio.
“Non è mia prerogativa” risposi negando con il capo
“E di chi è, allora?” ruggì
“Sua” risposi indicando con lo sguardo Bella “Io imparo alla svelta, Jacob Black, e non ripeto mai lo stesso errore. Finché non sarà lei a dirmi di andare, resterò qui.”
“Mai” sussurrò Bella incatenando il suo sguardo al mio.
Io ti amo Bella, potrei offrirti una vita vera, non puoi scegliere lui, lui ti aveva lasciata, lui ti ucciderà, io ti amo…
“Hai bisogno di altro Jacob? Volevi mettermi nei pasticci? Missione compiuta. Magari Charlie deciderà di iscrivermi all’accademia militare. Ma ciò non basterà a tenermi lontana da Edward. Niente può riuscirci. Che altro vuoi?” gli chiese Bella irritata.
Mi guardò pieno di odio, ferito dalle parole di Bella, e scandì bene le parole perché fossero chiare
“Volevo soltanto ricordare ai tuoi amici succhiasangue alcuni punti fondamentali del patto che hanno deciso di rispettare. Il patto è l’unica cosa che mi impedisce di tagliargli la gola, qui e ora” continuava a fissarmi minaccioso, tratteneva l’istinto di uccidermi per non spaventare Bella e perché il capo branco glielo aveva proibito, e lui non poteva non eseguire gli ordini dell’alfa.
 “Non abbiamo dimenticato” lo rassicurai con tono piatto
“Quali punti?” chiese Bella
“Il patto è molto chiaro. Se uno qualsiasi di loro morde un essere umano, la tregua è rotta.” specificò guardandomi fisso negli occhi “Morde non uccide” specificò spostando lo sguardo sprezzante verso Bella.
 “Non sono affari tuoi” replicò piccata
 “E invece, maledizione…” esclamò sorpreso dalla decisione e risolutezza di Bella.
Maledizione! Non puoi veramente voler morire solo per stare con questo schifoso succhiasangue. Io posso darti lo stesso amore senza cambiare nulla della tua vita, senza allontanarti da Charlie.
Non puoi veramente volere questo, io ti amo, lui non è giusto per te… lui ha conficcato i suoi artigli troppo profondamente, ti farà soffrire… non puoi voler diventare un mostro, una succhiasangue, abbandonando la vita …
I tremori ricominciarono aumentando insieme alla rabbia, premette i pugni contro le tempie, chiuse gli occhi e si raggomitolò su se stesso cercando di mantenere il controllo. Una forte ondata mi colpì, la trasformazione era molto vicina.
“Jake? Stai bene?” Bella fece un passo verso di lui preoccupata.
“Attenta! Rischia di perdere il controllo” la afferrai e la misi dietro di me facendole scudo con il mio corpo.
Non volevo che gli artigli del lupo potessero sfiorarla, ma Jacob riuscì a rimanere nella forma umana e mi lanciò un’occhiata di puro odio.
“Ah. Io non oserei mai farle del male” il viso sciupato di Bella che scendeva dal pick up, le loro mani intrecciate mentre passeggiavano spensierati sulla spiaggia, le loro risate in un garage con delle parti di moto smontate sul pavimento, il viso rilassato e sereno di Bella in un piccolo salotto e tantissimi altri ricordi dei loro momenti insieme nel quale Bella era felice.
Fece un sorrisino compiaciuto nel vedere la smorfia di dolore che attraversava il mio volto.
Gli ringhiai e lui strinse i pugni in posizione di attacco. Voleva che perdessi il controllo per dimostrare a Bella quale mostra aveva scelto, ma non gli diedi la soddisfazione.
“BELLA!” la voce di Charlie riecheggiò nella foresta “TORNA IMMEDIATAMENTE IN QUESTA CASA!”
Non solo in ritardo, vedo la macchina di Cullen, cosa crede di fare? Di scappare nella foresta?
Ci riprendemmo dai nostri pensieri, ed entrambi fummo preoccupati per Bella e per ciò che l’attendeva a casa.
“Merda!...” Disse tremante Bella
Forse fargli vedere la moto non è stata la mossa giusta, ma dovevo tentare!
Jacob si ricompose, i tremori erano scomparsi e i suoi pensieri erano solo più rivolti al pasticcio che aveva commesso e ai sensi di colpa nei confronti di Bella.
 “Mi dispiace davvero. Dovevo fare il possibile… provare” si giustificò amareggiato Jacob guardandola con occhi innamorati.
“Grazie” rispose Bella con voce tremolante mentre guardava preoccupata verso casa.
“Una cosa ancora.” Dissi senza muovermi e in modo calmo, non sapevo se avessi ancora avuto un’altra occasione “Non abbiamo trovato tracce di Victoria, nella nostra porzione di territorio, e voi?”
Siamo in allerta e continuiamo a setacciare il territorio per scovarla. Ma la rossa non si è più fatta vedere nel nostro territorio da quando siete tornati.
“L’ultima volta è stata quando Bella era … via. Le abbiamo fatto credere di poter penetrare le difese. Abbiamo stretto il cerchio, pronti a intrappolarla… Ma a quel punto è volata via come un pipistrello. Per quanto ne sappiamo, potrebbe aver sentito l’odore della vostra femmina e abbandonato la caccia. Da quel giorno non ha più messo piede nelle nostre terre.”
Annuii “Quando tornerà, non sarà più un vostro problema. Noi…”
“Ha ucciso nel nostro territorio. E’ nostra” sibilò Jacob
“No…” Bella si era posta tra noi due e ci esaminava spaventata
“BELLA! VEDO LA SUA AUTO E SO CHE SEI LAGGIU’! SE NON TORNI IN QUESTA CASA ENTRO UN MINUTO…”
“Andiamo” le dissi appoggiandole la mano in vita.
Lei si voltò verso Black tormentata e riluttante a lasciarlo.
“Scusa” bisbigliò dispiaciuto Jacob “Ciao, Bells”
“Lo hai promesso. Sempre amici, no?” chiese conferma Bella disperata, strinsi i denti e chiusi gli occhi per non far trasparire la gelosia che mi stava sopraffacendo.
A cosa servirebbe?
“Sai che ho cercato di mantenere la promessa, ma… non vedo perché insistere. Non ora…” con la voce rotta Jacob disse la cosa più sensata che avesse mai detto o pensato, doveva stare lontano da lei.
“Mi manchi” sussurrò mentre tendeva il braccio verso di lei come se potesse toccarla l’ultima volta.
“Anche tu” farfugliò Bella mentre tendeva anch’essa il braccio per toccarlo.
“Jake” e fece un passo per avvicinarsi a lui, ma la trattenni. Non volevo che gli si avvicinasse, per timore e per gelosia.
“Tutto okay” mi promise fiduciosa in attesa che la liberassi.
“No, invece no” le mie braccia erano ferme, non intendevano lasciarla permettendole di correre tra le braccia di quel mutante. Avevo sofferto vedendo i loro abbracci nei ricordi, non sarei riuscito a trattenermi vedendolo in prima persona.
“Lasciala andare. E’ ciò che vuole.” Mi ringhiò Jacob furioso facendo due lunghi passi avanti.
Hai paura che cambi idea? Che preferisca un corpo caldo e un cuore vivo, invece che una statua senza cuore? Non sei degno di lei, lasciala andare. Non è tua!!! Sei un mostro succhiasangue, lei merita di meglio!
Spostai Bella dietro il mio corpo, il veleno era abbondante nella mia bocca e i muscoli erano pronti all’attacco. Avrei staccato la testa di quel cane ancor prima che riuscisse a trasformarsi. Mi rannicchiai per compiere il salto.
Bravo, falle vedere il mostro che sei, dimostrale che la sua scelta è sbagliata. Che sei solo un assassino… ti aspetto, vieni sanguisuga!
“No! Edward” mi implorò Bella cercando di trattenermi per il braccio
“ISABELLA SWAN”
“Andiamo! Charlie è impazzito! Sbrigati” mi implorò con la voce piena di panico e mi abbracciò per tranquillizzarmi. Le posai il braccio attorno alla vita e mi diressi all’uscita della foresta senza staccare gli occhi dal mio rivale.
Gli ero debitore per aver protetto Bella in mia assenza, ma ciò non gli permetteva di giudicare il nostro amore. Lui era come me, era un immortale, un assassino e la sua natura selvaggia e incontrollabile era più pericolosa di me per Bella.
Non ho speranze, ha scelto lui. Ha scelto il succhiasangue. Addio Bella!
Il suo dolore per quella rivelazione era straziante, non riuscii a godere della vittoria, capivo come si sentiva, anche io avevo provato quel tormento. E Jacob, anche se era innamorato della mia amata ed era un licantropo, era colui che le aveva rivelato il mio segreto, permettendoci di stare insieme, l’aveva difesa da Victoria e da Laurent in mia assenza, e l’aveva aiutata a rimettere insieme i pezzi nel quale l’avevo lasciata dopo la mia partenza. Comprendevo il sentimento che li univa, il suo amore per lei, e l’amicizia che voleva Bella, ma non era possibile, le nostre specie erano in lotta da generazioni e lei aveva scelto di stare con me.
Il pensiero che avesse ragione sul fatto che era più adeguato di me a rendere felice Bella mi dilaniava. Bella con lui non avrebbe dovuto trasformarsi, avrebbe vissuto una vita normale. Nel momento in cui Jacob avesse smesso di trasformarsi sarebbe ritornato mortale, accompagnandola nella vecchiaia, avrebbe potuto darle dei figli e il cuore di Bella avrebbe continuato a battere e la sua anima sarebbe stata sicuramente salva.
Ma lei voleva far parte della mia famiglia e io avevo già provato il dolore di quella separazione, non aveva giovato ad entrambi, non avrei ricommesso lo stesso errore.
Strinsi leggermente più forte la vita di Bella. Eravamo destinati a stare insieme, Jacob aveva svolto il suo compito, ma adesso c’ero io a proteggerla.
Uscimmo dalla foresta e la accompagnai ad affrontare Charlie.
Bella aveva affrontato vampiri sadici, vampiri antichi, aveva vissuto con i licantropi, ma il terrore sul suo volto quando vide il padre sulla porta era ineguagliabile, era terrorizzata come non l’avevo mai vista prima.
“Sono qui” e lo sarò per sempre le sussurrai
E insieme ci dirigemmo verso casa pronti ad affrontare la sfuriata.

 
E' TRISTE CLICCARE SUL CONCLUSO... SIGH!
MI MANCHERA' QUESTO EDWARD CULLEN ED IMMEDESIMARMI IN LUI CERCANDO DI NON METTERCI TROPPO DEL MIO, MA CERCANDO DI ATTENERSI AL PERSONAGGIO DEL LIBRO. MI E' PIACIUTO E MI SONO VERAMENTE DIVERTITA!
SPERO CHE SIA PIACIUTO ANCHE A VOI LEGGERLA E MI AUGURO DI POTER LEGGERE LE VOSTRE OPINIONI !

L'ULTIMO CAPITO ERA GIA' PRONTO DA TEMPO, MA HO VOLUTO PUBBLICARLO OGGI COME MIO REGALO DI NATALE PER VOI, SPERO VI SIA GRADITO E COLGO L'OCCASIONE PER AUGURARVI BUON NATALE E FELICE ANNO NUOVO!

CONTINUATE A SEGUIRMI! 
E PER L'ANNO NUOVO VI PROMETTO UNA NUOVA FF!!!
A PRESTO 
SAFFYJ alis ELISA

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