Il viaggio solitario di Sesshomaru

di Edimburgh_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Battuta di caccia ***
Capitolo 2: *** Eredità ***
Capitolo 3: *** Anima libera ***
Capitolo 4: *** Dubitare ***
Capitolo 5: *** Resta con me ***
Capitolo 6: *** L'odore della libertà ***



Capitolo 1
*** Battuta di caccia ***


La sera portava una brezza leggera nel villaggio, rinfrescando le spalle appesantite dei contadini arse dal sole impietoso dell'estate. Volavano stoffe, polveri e capelli in quel vento giocoso del crepuscolo, le voci svanivano lievi senza giungere agli interlocutori e un silenzio quasi religioso invitava a ritirarsi per la cena. I ragazzi venivano richiamati nelle case, chi con garbo chi con più decisione e questi immediatamente abbandonavano a terra i giochi fortuiti che si erano costruiti nel pomeriggio per correre incontro alle braccia materne che li attendevano; solo uno di loro si attardava a disegnare per terra con un rametto, apparentemente privo di un richiamo affettivo cui rispondere. In realtà le sue orecchie canine avevano ben colto il sussurro della madre sull'uscio della casa eppure non voleva ancora rispondervi, troppo impegnato a completare l'opera nel terreno che stava creando.

“Sakura, vieni qui!” a quel grido una bambina scappò verso la capanna, correndo tanto veloce da non vedere il bambino accucciato a terra e calpestargli il disegno, rovinandolo impietosamente. Al bimbo cadde di mano il rametto desolato e alzò per la prima volta la testa dalla polvere. Era solo; tutti si erano ritirati ed erano andati a mangiare dai propri genitori, a ridere con loro, a raccontare storie divertenti che avevano visto, a parlare di futili sciocchezze che tanto allietavano lo spirito. Futili sciocchezze umane. Inuyasha mosse impercettibilmente le orecchie, a lui tutto quello era negato, non uomo non demone brancolava tra i due mondi vedendo il proprio corpo deformarsi a suo piacimento, coprendosi del morbido nero di sua madre ogni qualvolta la luna ritenesse opportuno nascondersi dal cielo. Uno dei ragazzi aveva abbandonato a terra un pallone, lo stesso che il più piccolo bramava tanto di calciare in compagnia, puntualmente rifiutato. Nella penombra della sera però, nessuno era lì per giudicare il piccolo mezzo demone, per dirgli che non essendo umano non poteva giocare, così il bambino si avvicinò e gli tirò arditamente un calcio. La sfera rimbalzò per qualche tempo poi rotolò di nuovo ai suoi piedi. Deliziato da quella fedeltà, il mezzo demone tirò ancora, stavolta con più forza, ignaro dei due occhi gialli che nel folto degli alberi lo seguivano a metà tra l'incuriosito e il disgustato ad ogni passo che faceva. Una parabola lunga portò la palla oltre il ponte, immediatamente seguita dal piccolo calciatore. Si chinò a raccogliere la sfera tra le mani soddisfatto di una tale potenza e, a salvare la vita del bambino ci pensò il vento, che gli portò alle fini narici l'odore demoniaco del pericolo, spronandolo ad abbandonare il gioco e a scappare. Non potendo rifugiarsi dalla madre, che nulla poteva contro lo stormo di demoni che si avvicinava, Inuyasha si gettò nel fogliame, correndo il più veloce che poteva. Udiva distintamente ora il raspare frenetico dei respiri dei grezzi esseri che puntavano alle sue carni e la paura gli si diffuse in petto.

“E' un mezzo demone molto piccolo” ringhiò il buio dietro di lui “Scommetto che le sue carni sono dolciastre quanto quelle umane”

“O forse” rispose un altro in un sibilo serpentesco “E' velenoso come quegli inutili demoni della terra”

“Constatiamolo!” ruggì una terza voce più vicina delle altre e una zampa artigliata si tese verso il bimbo indifeso. Una radice gli favorì la sorte, facendo capitolare il ragazzino a terra, tuttavia non fu abbastanza pronto per approfittare dell'occasione e si vide il piccolo sfuggire ad un soffio dai suoi artigli.

“E' veloce, il lurido incrocio!” si stizzì e riprese la corsa “Muoio dalla voglia di affondare i denti nei suoi muscoli ancora guizzanti” si leccò le labbra al pensiero della morbidezza della sua preda e non si avvide dell'attacco se non quando questo lo colpì in pieno. Nell'esatto istante in cui il bambino cadeva a terra per la seconda volta, slogandosi una caviglia, e i due altri aggressori si protendevano verso di lui per morderlo, un lampo verde staccò la testa al più grosso di loro e fece retrocedere gli altri due.

“Chi osa?” il serpente fece fischiare le spire “Chi interrompe la nostra caccia?” una figuretta di poco più grande rispetto alla preda atterrò dinnanzi a loro.

“Un demone?” il serpente saggiò il suo odore con la lingua “Perché mai ci ostacoli, piccolo cane?” senza degnarli di una risposta, il piccolo demone dai capelli bianchi fece scattare la mano destra abbattendo sul colpo anche gli altri due. Poi si volse a fronteggiare il bambino, che ancora restava a terra a lamentarsi per la ferita. Nell'istante in cui Inuyasha incontrò il suo sguardo, riconobbe in lui qualcosa di familiare, negli occhi dorati con una vistosa traccia marrone come i suoi o nella forma del viso che non differiva dalla sua.

“Chi..chi sei?” balbettò cercando di tirarsi in piedi.

“Sei patetico” gli rispose il demone aggiustandosi sulla spalla destra una sorta di pelliccia bianca vaporosa. Sempre più confuso il mezzo demone si fece avanti.

“Siamo fratelli? Siamo così simili” l'altro lo bruciò con lo sguardo e si ritrasse dal suo tocco gentile.

“Non siamo fratelli” sibilò velenoso. “Non siamo simili affatto. Tu sei solo un misero mezzo demone”

“Ma” Inuyasha non demorse e gli si apprese ad una manica del kimono bianco “Perché allora hai i capelli come i miei? E i miei stessi occhi?” cadde a terra quando l'altro si ritrasse ancora.

“Sei tu che hai i miei stessi capelli e occhi” puntualizzò stizzito e senza più concedergli una parola si alzò da terra, fluttuando per aria.

“No no” lo afferrò per la pelliccia, stupendosi di quanto fosse morbida “Dimmi almeno come ti chiami” preso in contropiede da tanta intraprendenza, il ragazzino venne tirato giù dalla sua stretta. Finirono a terra entrambi, aggrovigliati in quel mare di pelo bianco e soffice e rotolarono fino a scontrarsi contro un tronco.

“Non ci credo che non siamo fratelli” caparbio il mezzo demone stringeva ancora la sua coda tra le mani. “E non sono tanto misero se mi hai salvato”. L'altro strinse le labbra in una linea sottile e lo calciò lontano da sé rialzandosi malconcio. Non potendo più sopportare un simile trattamento, Inuyasha si accucciò a terra e gli saltò alla gola, costringendolo a tornare seduto contro il legno.

“Dimmi il tuo nome” ordinò stringendogli i polsi per evitare i suoi pugni feroci. Il demone alzò lo sguardo alla luna, gemella di quella che aveva in fronte, poi sospirò.

“Mi chiamo Sesshomaru, Inuyasha” non gli diede tempo di digerire l'informazione perché lo scansò con una novella forza e si allontanò leggero nell'aria ancor prima che l'altro potesse solo pensare di toccarlo di nuovo. Stordito, il mezzo demone zoppicò fino a casa, dove trovò la madre affannata per la preoccupazione. Non la salutò ma le saltò in grembo non appena la vide.

“Mamma” le chiese stringendo una ciocca dei suoi capelli corvini “Ma io ho un fratello?” Izayoi strinse le palpebre un istante poi si aprì in un rassicurante sorriso.

“Alla fine dunque l'hai incontrato. Vieni dentro, ti ho preparato la cena. Mentre mangi ti racconterò qualcosa di Sesshomaru, se vorrai”

La prima delle sei OS che ho in programma per questa raccolta (ma non escludo possano aumentare), qual letizia. L'idea di creare una serie di storie dove veniva affrontata la psiche controversa e spesso trascurata di Sesshomaru mi era venuta da tempo ma solo dopo aver steso una scaletta quasi definitiva ho trovato la giusta forza per pubblicare (e tutt'ora non ne sono convinta al massimo ma vedrò in seguito cosa fare). Ho preferito non mettere nessuna coppia nella lista perché il vero nucleo centrale è il personaggio preso singolarmente, che poi sfiora la misantropia come comportamento quindi tessere una trama in cui agisca in modo non dico gentile ma normale con chicchessia è arduo, tuttavia non è detto che prima o poi non riesca ad infilarci qualcosa di un minimo romantico. 
Grazie mille per aver letto

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Capitolo 2
*** Eredità ***


 Sesshomaru non poteva dire di aver trascorso l'infanzia in una famiglia, stretto com'era tra i due grandi fuochi dei genitori. Suo padre era uno dei demoni più potenti, continuamente sfidato dai suoi simili, costantemente forzato a mettere in discussione il proprio potere e la propria abilità, e per quanto avesse a cuore quella cascata bianca di capelli che caparbia lo seguiva ovunque andasse, proprio non aveva tempo di essergli anche padre. Sua madre se possibile era anche peggio, ammantata di quell'aura di superiore eleganza che mai poteva essere contaminata da un amorevole abbraccio, restava in disparte nella sua fortezza e di un figlio quasi non sapeva cosa farsene. Così il giovane demone si era cresciuto da solo, imparando a combattere guardando il padre e replicando i gesti sui sui sventurati avversari, convinti che fosse una preda facile, e reprimendo tanto a fondo tutti quei naturali impulsi affettivi che per accorgersi di tenere davvero a qualcuno era stato costretto a vederlo morire due volte tra le braccia. Non aveva ricordi infantili, se non qualche ombra di passeggiata aggrappato alla veste materna, ma erano troppo lontane per essere ricordate, se non le continue e infinite corse per sfuggire -poi in seguito per trovare un posto più ampio per lo scontro- ai nemici di suo padre decisi a divorare la sua prole. Se davvero tutto ciò che suo padre gli aveva voluto lasciare era Tenseiga, con la sua inutile abilità taumaturgica, era riuscito a lasciarci sopra una patina di pericolo dal quale non si sarebbe mai liberato, un bersaglio che gli si era segnato in fronte nel momento esatto in cui suo padre aveva esalato l'ultimo respiro. Morto il grande demone cane, era divenuto lui l'ambizione di molti, l'avversario con cui si volevano battere tutti; e continuamente demoni su demoni si presentavano sul suo cammino per sfidarlo o ringraziarlo, quasi non fosse una creatura a sé stante ma solo un simulacro del padre e ne potesse fare le veci una volta che questi fosse morto. La deferenza con cui veniva trattato non era per la sua giovane età e la sua fibra schiva e ribelle schiacciata da una rigida autodisciplina, era per il coraggio e la potenza paterna che in lui veniva continuamente vista e testata. In troppi l'avevano definito l'unico in grado di poter rivaleggiare con il padre per potenza, e aveva finito per crederci lui stesso. L'idea che tale confronto non gli fosse più possibile aveva seppellito quel barlume di amore filiale che ancora tenace resisteva, rinchiudendolo in un bozzolo, e aveva accresciuto la sua smaniosa brama di potere, quasi degli orpelli potessero competere con suo padre . Rin era riuscita a far schiudere quel bozzolo, a ricordargli dei voli lunghissimi fatti tra le braccia di un uomo che in fondo aveva voluto il suo bene, ma Jaken le aveva aperto la strada, dimostrando lui per primo che pur senza conoscere l'identità dei suoi genitori a lui si potevano rivolgere ossequi, che anche solo il potente Sesshomaru, non il figlio del Generale, era degno di ammirazione e reverenza.

Temo di essere in ritardo con la pubblicazione, anche se sulla carta è sempre Venerdì come avevo detto. Non è lunga quanto l'altra questa storia (507 parole contro le 1199 dell'altra) ma ho tentato di fare del mio meglio. Spero di aver reso il messaggio di fondo nel racconto (della serie 'W la famiglia felice') e di aver dato un poco di giustizia a Jaken, povero il mio kappa bistrattato. Sarei felicissima se qualcuno volesse condividere la sua opinione sugli argomenti trattati di volta in volta nelle storie, ad esempio come possano essere interpretatele relazioni interfamiliari, che non mi sembrano funzionare granché.
Ringrazio tantissimo chiunque abbia letto

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Capitolo 3
*** Anima libera ***


 Per Rin era sempre doloroso vederlo partire. Improvvisamente, come se qualcuno gli avesse lanciato un richiamo da qualche parte oltre le colline, si alzava e dopo essersi aggiustato le vesti candide e averle rivolto uno sguardo di saluto se ne andava, lasciandola sola, di nuovo. Non aveva un orario o una ragionevole motivazione per andarsene e lei lo seguiva ogni volta con lo sguardo finché poteva, l'animo pregno di invidia per il piccolo kappa cui era concesso aggrapparsi a lui e seguirlo ovunque fosse andato.

Sapeva che sarebbe tornato, alla fine lo faceva sempre, eppure qualcosa in lei ogni volta temeva che quella fosse l'ultima volta e aveva nostalgia dei suoi lunghi capelli candidi solo quand'erano ormai troppo lontani per essere sfiorati con voluttuosa casualità o del tono fondo della sua voce solo quando non poteva più essere udita. Lui era l'unica cosa che davvero potesse rimpiangere, l'unico che potesse definirsi davvero la sua famiglia. Al villaggio erano tutti estremamente comprensivi e dolci con lei, per la sua giovane età, per la sua perdita; lui solo l'aveva trattata fin da subito come un'autonoma creatura in grado di badare a se stessa e ora che era cresciuta, glie n'era grata. Sapere di essere indipendente almeno ai suoi occhi toglieva un poco di peso che la opprimeva di dover sempre atteggiarsi come un'orfana sventurata che sognava di notte il candido volto della propria madre; lei nemmeno se la ricordava, quella donna. Sapeva solo di essere una figlia minore, trascurata dai genitori affamati e affaticati che un giorno si erano portati via il fratello nel bosco e di loro era tornato indietro solo un mantello insanguinato. Non poteva dire di odiarli, perché non erano stati ingiusti o cattivi, solo non riusciva pienamente a perdonare loro di essersene andati senza nemmeno portarla con sé, di averla abbandonata. Nonostante ciò, non era morto in lei il desiderio di una famiglia completa e pian piano ne stava tessendo la trama, intrecciando i rapporti tra gli individui intorno a lei con sapiente maestria. Aveva provato a chiederglielo una volta, di restare con lei in quel villaggio, ma non era stata soddisfatta.

Una notte aveva sognato di stare con lui in un vastissimo prato, sotto i raggi brillanti del sole, e di intrecciargli canticchiando i capelli. Per quanto provasse a imbrigliare quelle ciocche in una treccia però, quei sottili filamenti bianchi si scioglievano tra le sue dita e le si sciorinavano in grembo, fluendo in un'unica onda immacolata. Caparbia persisteva nello stringerli a sé e udiva il demone ridere dei suoi sforzi con allegria, divertito dalla sua tenacia e quasi intenerito. Non ricordava mai il suono della sua risata, solo che fosse canzonatoria in alcuni momenti; dovevano passare minuti su minuti prima che Sesshomaru si girasse e, prendendole i palmi, si congedasse da lei con un sorriso. Non era possibile intrecciargli i capelli, non era possibile imbrigliargli lo spirito.

Stringeva così le dita sul vestito che lui stesso le aveva donato e attendeva paziente che tornasse da lei, ignara che qualcuno, nel fitto fogliame degli alberi di mele di Kaede, meditasse gli stessi pensieri, cullandoli al sicuro nel mare argentato dei suoi capelli. Qualcuno che non la medesima voluttà si auspicava il suo ritorno, bramava di sentire la sua voce annunciare di voler restare lì per sempre, qualcuno consapevole come lei di avere a che fare con un'anima libera.

Non so bene come commentare perché al momento sono palleggiata da diversi sentimenti e se dipendesse dalla parte più istintiva di me il commento sarebbe sulla linea di "Oscar, perché? Tutta colpa della Bastiglia", ma fortunatamente non stiamo parlando delle Rose di Versailles ma di Inuyasha; i miei sentimenti e nervi ne guadagnano in salute. La scelta della storia da inserire non è stata immediata, ne avevo un'altra più lunga e articolata ma dato che mi sembrava troppo OOC, ho preferito tenermela per un altro momento in cui sarei stata più ispirata. Ammetto che far diventare 'Anima libera' una OS, farle superare le 500 parole, è stato laborioso perché a mio gusto un racconto secco sarebbe stato più incisivo; ma in ogni caso non disprezzo così tanto i pensieri di Rin sulla famiglia che ho piantato dal nulla. Trovo che quella bambina sia uno dei personaggi più genuini e buoni della storia, molto più delle altre figure femminili che via via si incontrano, ma in quanto a famiglia, la sua esperienza lascia molto a desiderare, quindi ho pensato che la sintonia che instaura con Sesshomaru si potesse far risalire anche a questo e che lui sia divenuto per lei una sorta di seconda edizione di famiglia. So che Rumiko Takahashi lascia intendere tutt'altro tipo di relazione tra i due, soprattutto nel finale, ma un rapporto padre/figlia o fratello/sorellina piccola, mi è sempre piaciuto di più. La guest star Inuyasha...in fondo ha solo il fratellastro come parente di sangue e i due si vogliono bene (basti pensare a come Inuyasha cerchi di salvarlo da Magatsuhi o alla barriera innalzata da Sesshomaru per proteggerlo da So'unga). Non pensavo che sarei stata tanto prolissa e inutile in queste note, accidenti.
Ringrazio tantissimo tutte le persone che leggono e seguono questa raccolta, in particolare quelle che commentano, il vostro riscontro mi è davvero prezioso. Proverò a consolarmi con Soul of Gold, ma in caso nemmeno loro funzionassero, mi ritroverete a Parigi a rotolarmi a Place de la Bastille.
Bisou

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Capitolo 4
*** Dubitare ***


 Jaken non aveva mai visto il suo padrone pentirsi di un suo gesto, sebbene fosse estremamente impulsivo e poco incline a ragionare in un combattimento; qualsiasi cosa derivasse dalle sue azioni non veniva rimpianta, almeno non in un modo intellegibile. Piaceva molto al piccolo demone interrogarsi sul suo misterioso e ammaliante padrone tuttavia era consapevole che l'anima del demone cane fosse molto fine e capace di captare le vibrazioni di quelle altrui, quindi badava bene a razionare i pensieri che gli dedicava per risparmiarsi occhiate assassine e botte infinite. Delle volte però gli veniva impossibile rinunciare a riflettere se davvero il sommo Sesshomaru mettesse un poco di razionalità nelle sue azioni o se almeno ponderasse le possibili conseguenze avverse; ad esempio aveva colpito senza la minima remora il suo fedele servitore per testare l'inefficacia di Tenseiga e in seguito, senza dimostrarsi minimamente pentito per un tale gesto, l'aveva usata per richiamare dal mondo dei morti quella bambina sbranata dai lupi. Ora quel cucciolo d'uomo li seguiva docile passo passo, guardandosi attorno curiosa come se non avesse mai visto un cielo stellato prima d'ora e per quanto Jaken le mandasse occhiate sprezzanti seguitava a mostrargli i denti in un sorriso ampio e infantile.

“Tzè” gli sfuggì quando la vide trotterellare dietro al suo padrone piena di brio e arrestarsi dinnanzi a lui in modo da farlo fermare.

“Io sono Rin signore” si esibì in un profondo sorriso anche con il demone bianco “Voi come vi chiamate?” lo guardò con gli occhi grandi e luminosi e Sesshomaru sembrò quasi perplesso.

“Il suo nome è padron Sesshomaru” sbraitò il kappa ignorato alle loro spalle “E dovrai portargli il massimo rispetto” il modo in cui arrotolava la R fece ridere la bambina di cuore che non si avvide che l'altro aveva ripreso a camminare finché non fu lontano di qualche passo.

“Aspettate, Padron Sesshomaru” lo richiamò e gli corse appresso come un fastidioso anatroccolo con la propria madre. Ignorandola completamente il demone si fermò in una radura piuttosto riparata e la bambina gli sbatté contro finendo addosso a Jaken.

“Ci fermeremo qui per la notte, signore?” provò a chiedere il demone lucertola ma l'altro non gli rispose, sparendo nel fitto del bosco senza una parola. La bambina, ancora seduta per terra sul kappa, sbatté le palpebre.

“Ma dove va?” chiese stupita e il demone sbuffò, resistendo a malapena all'impulso di sbatterle in testa il Nintōjō e darla in pasto al drago bicefalo che si portavano dietro, pur sapendo che il povero demone fosse erbivoro e che una preda tanto petulante e piccina non avrebbe potuto sfamare in ogni caso il suo appetito.

“Che domande” sbottò calciandola via senza alcun risultato “E' chiaro che sia andato a prendere qualcosa da mangiare” la bocca di Rin disegnò una O perfetta di sorpresa.

“Capisco” mormorò dopo un po' e gli si fece vicina con sguardo complice “Parlami di lui.”

Il kappa rischiò di ingoiare la lingua per la sorpresa “E cosa mai puoi voler sapere?”. Rin fece spallucce con un verso poco umano poi tornò a guardarlo vorace.

“Da dove viene, quanti anni ha, cosa gli piace e non gli piace, come posso essergli utile...” sommerso dal fiume di parole, il kappa arretrò.

“Comincia a stare zitta!” la riprese duramente ma non sembrò scalfire il suo entusiasmo così si rassegnò ad avere un'insistente e insaziabile presenza al suo fianco che costantemente lo punzecchiava di domande, canzoni e commenti. A salvarlo quella sera fu l'avvento silenzioso del suo glaciale padrone, con un coniglio in mano che gli lanciò in piena faccia senza alcun riguardo, permettendogli però di staccarsi dalla bambina e impiegare le mani per distrarsi dal desiderio di torcerle il collo minuscolo che si ritrovava. Delusa dalla sua scarsa collaborazione, Rin provò ad approcciarsi al demone cane, giungendo fino alle sue ginocchia.

“Sapete parlare?” azzardò a chiedere e a Jaken cadde quasi di testa il berretto a sentire il padrone insultato, sebbene fosse lontano da quello l'intento della bambina. Sesshomaru la gelò con gli occhi come se avesse visto uno scarafaggio particolarmente brutto arrampicarsi sul tronco dell'albero dove aveva poggiato la schiena e la sua indignazione colpì profondamente la bambina.

“Anche io ho smesso di parlare quando i miei genitori sono morti” raccontò piano portandosi al petto un pugnetto chiuso. “Non ho più aperto bocca da quel giorno”

“Vedi di non perdere l'abitudine allora” le ingiunse stizzito Jaken alle prese con il fuoco, suo temibile nemico. Rin gli rivolse un gran sorriso, felice di aver trovato finalmente un compagno di giochi, poi tornò a guardare l'altro demone.

“Sono così felice che mi abbiate salvato” e gli abbracciò la vita, spingendo il viso contro la sua armatura senza notare l'espressione di Sesshomaru del tutto uguale a quella di una persona colpita a tradimento da un pugno frammista a chi apre il proprio pranzo per trovarvi dentro un lombrico “Sento che ora che sono con voi posso stare tranquilla che non mi succederà nulla”. Il kappa occupato dal fuoco notò lo sguardo del padrone e sperò che non le staccasse la testa con un ceffone per l'onta subita tuttavia, con sommo sgomento, lo vide poggiare riluttante una mano sulla nuca della bambina e farle un'impercettibile carezza, con somma letizia dell'interessata.

'Il mondo domani esplode' si convinse per l'assurdità di quanto aveva appena visto ma decise di ignorarli dando loro le spalle. La cena non si sarebbe cucinata da sola.

 

Di notte Jaken si appisolava tra le zampe del demone drago bicelafo, sebbene quello in preda ad un incubo una volta avesse rischiato di staccargli il becco con un'artigliata, mentre il suo padrone -le rare volte in cui l'aveva visto addormentarsi e non infilarsi nel bosco alla ricerca di non si sa cosa- preferiva un sostegno più solido e si sedeva contro un tronco. Se Jaken avesse avuto modo di vedere il modo in cui il fratellastro Inuyasha dormiva, praticamente poggiato alla spada, avrebbe notato delle nette somiglianze tra i due, sebbene il suo padrone non usasse alcun supporto. Rin era svenuta in mezzo a loro due sul prato, rannicchiata su un fianco, evidentemente avvezza ad uno stile di riposo tanto spartano, e una volta appurato che si fosse addormentata, il kappa si concesse il tanto agognato riposo. Nel mezzo della notte però un vento gelido soffiò sul gruppetto, strappando dal sonno per un breve momento Sesshomaru che batté le palpebre assonnato e si accomodò meglio su un fianco, notando solo in quel momento che non era stato il vento a svegliarlo bensì una mano che si era stretta attorno alla sua coda accomodandosi nella pelliccia. Guardò stupefatto la bambina dormire avvolta nel candido pelo poi, stizzito dall'idea che avesse osato toccarlo, la allontanò delicato, spingendola un poco lontano. Tornò a dormire dandole le spalle ma qualche minuto dopo fu svegliato nuovamente dal suo tocco sonnolento e la vide, con gli occhi perfettamente chiusi, rannicchiarsi in cerca di protezione nella pelliccia. L'abbracciò stretta e non sembrò minimamente intenzionata a lasciare la presa così, sospirando, dovette lasciarla dormire lì, chiedendosi in cuor proprio se avesse fatto bene a portarla con sé.  

So bene che questa storia non è troppo diversa dalla precedente però le altre due possibilità andavano lavorate ancora, così eccola qui. In parole povere è l'approccio mancato tra Rin, appena resuscitata, e la combriccola di Sesshomaru (ovviamente taciuta al massimo perché in fondo, che importa? Eh).
Due o tre puntualizzazioni che possono essere utili (boh, forse, chissà):
1- Jaken e il fuoco. Seguendo le descrizioni della somma Wiki, si capisce che Jaken è un kappa, spiritello giapponese dell'acqua che può essere allontanato (tra i vari modi) dal fuoco. Mi sembrava verosimile che lo temesse
2- La coda. La prima volta che ho visto quella montagna di fluffa, ho pensato fosse solo una stravaganza che l'autrice si era concessa, magari per richiamare l'idea di una pelliccia -anche se i cani, specie quello che diventa poi Sesshomaru, non hanno un pelo così morbido- eppure l'amica che mi ha fatto conoscere Inuyasha ha insistito molto nel dire che fosse la sua coda, che si porta appresso sulla spalla perché è molto comoda e la visione mi è parsa suggestiva. Personalmente, guardandolo bene, mi ricorda più la pelliccia intorno al collo, ma è più bella l'idea che Rin gli dorma nella coda.
3- La cosiddetta telepatia di Sesshomaru. E' un punto che non è chiarissimo nemmeno a me, ma riporto testualmente le frasi del manga e dell'anime che rispettivamente dicono "A quanto pare le loro anime comunicano" e "Sembra che esista un legame fra le loro menti". Non è accennata da nessun'altra parte questa sua abilità, né se si limiti solo con Jaken o sia al contrario universale, però anche qui, era bella e ce l'ho messa (Evviva il proposito di rendere l'opera il più attinente possibile. Sono abbstanza una fallita) 
Ringrazio come sempre tutti coloro che recensiscono, leggono, mettono tra seguite et similia, il vostro sostegno mi aiuta sempre 

PS: semmai le risposte giungessero tardi, è per via della connessione internet che fatica ad arrivare al paesello di mia nonna.

 

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Capitolo 5
*** Resta con me ***


 Nel periodo Sengoku omicidi e rappresaglie tra signori locali erano all'ordine del giorno e chiunque, perfino i bambini, imparava all'istante a non farsi sconvolgere dalla vista del sangue e dei massacri. I demoni non prendevano parte alle faide umane, i meno sviluppati perché troppo ottusi per intenderle, quelli più antropomorfi perché indifferenti al fato di tanti innocenti che sarebbero stati salvati da un loro semplice gesto. Andava detto inoltre che ben pochi signori avevano sufficiente acume per riporre speranze in un demone innamorato di una loro cittadina; i più si limitavano ad allontanarli dai territori sprecando tempo e forze, gonfi dei medesimi pregiudizi che animavano i demoni. In quel tumultuoso clima, era più raro vedere un villaggio che rimanesse in piedi per più di una generazione piuttosto che osservare le macerie fumanti del campo di battaglia dei samurai, pullulanti di mendicanti e sventurati che cercavano vitto e risorse fra la cenere. Sesshomaru non era il tipo di creatura da frugare nei detriti, soprattutto in quelli tanto pregni di sangue e fumo da dargli la nausea, così passava incurante e fiero attraverso le rovine ignorando gli sguardi atterriti e curiosi dei saccheggiatori. Era un demone molto giovane, come denunciava suo malgrado la forma del viso ancora puerilmente tonda, e nessuna creaturina gli balzellava dietro, nemmeno il fedele Jaken, che ancora doveva incontrare. Aveva lasciato la casa materna da quasi un anno e era riuscito a sopravvivere in quel mondo violento senza sforzo, forte di una resistenza e potenza superlative perfino per un demone. Non aveva Tenseiga al fianco perché Totosai la custodiva ancora nella fucina, aspettando che quel monellaccio vagabondo capitasse a tiro, e si difendeva con il solo ausilio degli artigli, sufficienti a decapitare tre demoni grandi quanto due capanne in una volta sola. Per una volta l'espressione di disgustata superiorità era giustificata in viso, soprattutto man mano che le esalazioni si facevano più forti ma non cambiò strada, decidendo testardamente di arrivare fino in fondo al villaggio e tagliare per il fiume. Ove andasse non era noto nemmeno a lui, lasciava solo che il suo istinto lo guidasse in un posto dall'aria pulita e il silenzio non era squarciato da urla e spade. Passò attraverso tutto il villaggio notando quanto fossero stati feroci i depredatori che avevano massacrato senza pietà chiunque trovassero sul proprio cammino, umano o animale che fosse, i cui corpi giacevano riversi a terra in pozze rossastre dall'odore forte e ferroso. Un lamento attirò la sua attenzione proprio quando imboccava il sentiero che conduceva al fiumiciattolo e voltandosi alla destra vide un uomo tra i cespugli che stringeva dolente il ventre aperto nel quale si potevano vedere gli organi pulsanti.

“Ragazzo” mormorò flebile e Sesshomaru quasi fece un passo indietro. Non era paura, non di un povero contadino ormai giunto alla fine dei suoi giorni, era più una sorta di implicito rispetto, ma il vecchio replicò il richiamo, così il demone si fece avanti. Nel vedere i suoi lunghi capelli candidi, il contadino sospirò quasi deluso. “Ti avevo scambiato per un ragazzo” gli confessò quando fu giunto abbastanza vicino. Il demone strinse le labbra lievemente offeso ma un gesto repentino dell'altro lo confuse e agitò. Il vecchio infatti provò ad alzarsi, con il solo effetto di aumentare l'emorragia.

“Avresti mica dell'acqua?” lo supplicò con la gola arsa ma l'altro scosse la testa.

“No, però qui vicino c'è un fiume..” fece per alzarsi ma l'altro lo afferrò per un polso con inaudita forza.

“No. No” lo pregò sempre più flebile. “Resta ancora un po' qui con me, non farmi morire solo” stupito il demone si inginocchiò al suo fianco, senza sapere bene cosa fare, e il vecchio gli lasciò il polso.

“Mia moglie è stata sbranata da un demone cinghiale tanti anni fa” raccontò distaccato “Quando l'ho trovata sono riuscito solo a pensare 'Mi dispiace che l'ultima cosa che abbia visto prima di morire sia stato un demone'” disse infine con lo sguardo puntato sul fitto fogliame nero della notte. Tossì sangue e scosse il capo.

“A me dispiace solo morire, ragazzo” gli confidò “E sono certo che anche per lei sia stato lo stesso. Non ha grande importanza se a ucciderti sia un umano o uno spirito demoniaco” si accomodò meglio sull'erba quasi si stesse preparando per dormire. “Morire così poi è decisamente brutto” alzò lo sguardo al cielo poi tornò al demone. “Non capirò mai perché siate tanto belli, pur essendo quasi sempre malvagi” la sua mente era sempre più distante, forse per quello arrivò a toccargli la fronte con un dito insanguinato. “Mia nipote amava disegnarsi la Luna sulla fronte, proprio come l'hai tu. Lo faceva ogni notte di luna piena prima che, sai, la passassero a fil di spada” tossì affaticato “Ovunque sia finita ora, spero di rincontrarla presto”sempre più confuso Sesshomaru annuì.

“Sono certo che lo farai” lo congedò piano e il vecchio sorrise, poi la luce abbandonò i suoi occhi che divennero opachi e vuoti. Il demone rimase accanto a lui per tutta la notte, vegliando affinché nessun borseggiatore profanasse il suo vestiario e, non appena arrivò il mattino, seppellì il corpo sotto l'albero, riprendendo poi il cammino verso il fiume.

E questa è la storia che meno di tutte mi convince. Mi ero illusa che procrastinandone la pubblicazione sarei riuscita ad aggiustarla in modo che non mi sembrasse tanto OOC, ma non ce l'ho fatta. Dunque eccola qui in tutte le sue sfaccettature che mi convincono ben poco. Non ho grandi commenti da fare su lei (se non indispettirmi perché ha preteso dei risvolti nella vicenda che non ero molto sicura di voler mettere), mi preme solo annunciare tristemente che la raccolta volge alla fine -il prossimo sarà l'ultimo racconto- e ringraziare tantissimo i lettori che commentano e seguono queste storie. Mi siete davvero preziosi 
 

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Capitolo 6
*** L'odore della libertà ***


Rin canticchiava sommessa e beata, strappando gli steli dei fiori con insospettabile forza e Jaken, suo coatto guardiano, l'osservava astioso poso distante. Quella ragazzina si era messa in testa di fare un bel mazzo di fiori da donare al PadronSesshomaru -evidentemente non le era del tutto chiaro quale fosse il nome e quale l'epiteto servile che il kappa ogni volta gli affibbiava- neanche dovesse sedurlo alla stregua di una campagnola.

“Guarda che non li apprezzerà. Non è la tua innamorata” l'avvertì ma soave e leggera la bambina lo ignorò, dedicandosi alla scelta cromatica che meglio s'intonava con il candore dei capelli e delle vesti del demone che li aveva lasciati in quella radura qualche ora prima. Sconsolato, Jaken tornò a poggiarsi ad Ah-Un scuotendo la testa.

“Se te li farà mangiare non voglio sentire un solo lamento” la mise in guardia e iniziò a sonnecchiare cheto, in barba a tutte le possibili punizioni che avrebbe ricevuto semmai alla bambina fosse successo qualcosa. Nel suo semplice cuore anfibio, l'idea che il padrone si fidasse al tal punto di lui fa affidargli quella creaturina scocciante era sinonimo della gioia più rosea, nessuna punizione avrebbe potuto svilire il suo entusiasmo.

Se fosse per fiducia o per comodità che Sesshomaru affidava al servitore la custodia di Rin, non era chiaro a nessuno, men che meno a Kagura che in quel momento, la mano stretta al ventaglio, spiava pudicamente il demone nel fiume, lanciando talvolta occhiate nervose ai vestiti abbandonati sull'erba. Nel suo cuore assente sapeva bene perché si ritrovasse nascosta tra i cespugli a carpire quel poco di immagine che poteva, ma la sua mente fredda e meccanica quanto quella di Naraku si rifiutava di ammettere che non era solo curiosità e invidia a guidare le folate di vento verso l'odore del demone cane, così selvaggio e libero. Lo invidiava oltremodo, per quella sua possibilità di viaggiare in lungo e largo senza che vi fossero mani pronte a stritolargli il cuore o missioni sanguinarie da compiere; ciò che Sesshomaru voleva fare veniva fatto, ciò che non gli interessava, ignorato. E Kagura non vantava la medesima condizione, così gelosamente gli girava attorno, alla ricerca di una falla nella sua vita, di un'ombra che potesse recargli anche solo un'infinitesimale briciolo dell'affanno che il demone del vento portava in petto al posto dell'organo palpitante. Non ne aveva visti, finché quello non si era portato appresso quel cucciolo d'uomo tanto indifeso quanto chiacchierino, capace di stordirla con le chiacchiere che nemmeno erano rivolte al suo indirizzo; era quella bambina l'elemento mancante nella vita di Sesshomaru? Soffriva la carenza di un affetto spassionato e travolgente come quello di Rin? Fremeva dalla voglia di chiederglielo ma non osava farsi avanti, non mentre quello s'immergeva tranquillo nel fiume dandole le spalle.

“Hai qualcosa da chiedermi, Kagura?” la sorprese dopo qualche minuto di stasi, appoggiato con la nuca alla sponda, con ii capelli bianchi sparsi disordinatamente sull'erba. Sussultò la donna e fu tentata di tornare indietro, di scappare per negare l'evidenza che lo stesse spiando, eppure le mancò il coraggio anche solo per fare quello. Camminò lieve verso di lui ma si fermò ad una rispettosa distanza.

“Come hai fatto a sentirmi?” era certa di essere stata più silenziosa delle piume che portava nei capelli e il piccolo sorrisetto che ricevette in risposta la destabilizzò.

“Hai un odore” le ricordò con le palpebre ancora chiuse “Sono in grado di sentirlo” Allora Kagura s'inginocchiò di profilo, in modo che si potesse muovere liberamente senza per forza incappare nel suo sguardo, e prese a strappare fili d'erba.

“Ah sì? E che odore avrei mai?” sapeva di essere in tutto e per tutto come Naraku, stessi capelli folti e mossi, stessa mente acuta e spregiudicata, stesso odore di bugia e morte. Sesshomaru si spostò e fece cadere in acqua le ciocche bianche senza alcun timore.

“Somiglia molto all'odore del vento” la informò passandosi tra la frangetta le dita bagnate e nuovamente la lasciò senza parole.

“Del vento?” ripeté stupita.

“Del vento” confermò lui senza concederle di aprire gli occhi ambrati. “Ma ovviamente somigli molto a quell'inutile mezzo demone di Naraku”. La donna lo guardò apertamente, percorrendo impudica con gli occhi la linea delle spalle, senza trovare il coraggio di guardare la ferita sul braccio sinistro, e del mento.

“Hai pensato alla mia proposta?” sbottò infine per prolungare il colloquio e Sesshomaru aggrottò lievemente le ciglia.

“Che proposta?” non sembrava fingere, era probabile che avesse genuinamente dimenticato la richiesta che gli aveva avanzato tempo addietro.

“Della Sfera in cambio del mio cuore” rilanciò tesa, augurandosi nell'animo che il demone avesse cambiato idea e si offrisse di aiutarla tuttavia venne disillusa per l'ennesima volta.

“Ah, quell'idea.” si spostò sul fianco sinistro, in una posa fetale che ricordava un dormiente, e strinse le spalle con un lieve sorriso estraniato dal discorso. “Rimango della mia posizione” le confermò e prese a carezzare lievemente con i polpastrelli l'erba. A quel punto la stizza fu tale da portare Kagura a scagliargli contro il ventaglio, mancando il bersaglio volontariamente di un metro.

“Non è possibile!” sbottò “Ci deve pur essere qualcosa che ti possa offrire in cambio del tuo aiuto”

“Tu cosa baratteresti in cambio della tua libertà?” replicò tranquillo il demone cane senza scomporsi nel sentire il legno del ventaglio cadere a pochi passi da lui. La domanda colpì la donna come un pugno e così, senza più sapere cosa rispondere, si alzò e indietreggiò.

“La libertà mi è più cara della vita” enunciò tetra e sfilò dai capelli la piuma. “E tu sei l'unico che possa capirmi” a quella frase Sesshomaru spalancò gli occhi per la sorpresa ma prima ancora che potesse alzare il busto e replicare, di Kagura era rimasta solo una folata di vento.

Sono davvero mortificata di pubblicare il capitolo tanto tardi ma ho avuto una giornata molto densa oggi e sono tornata a casa solo all'ora di cena. Con questa storia si conclude la raccolta e devo dire che mi dispiace davvero, mi sono molto affezionata (nonostante tutte le mie iniziali reticenze). Ho pensato per qualche giorno di aggiungere una sorta di 'extra' alle sei storie che avevo prefissato ma alla fine credo sia meglio finire qui, forse più avanti nel tempo scriverò qualcos'altro. A parer mio mi sono dilungata molto nelle note precedenti per approfondire via via qualche aspetto nei racconti, quindi non ho altro da dire riguardo loro e posso passare a ringraziare tutti voi lettori che, chi silenziosamente chi no, avete seguito questa raccolta. Vedere che tante persone si sono interessate ad una serie di storie in cui le coppie erano relegate ad un ruolo estremamente marginale mi ha colpita, soprattutto in un fandom come quello di Inuyasha dove l'aspetto romantico è ricercato. Sono felice che questo esperimento di approfondimento psicologico non sia caduto nel vuoto e vi ringrazio perché è solo merito vostro. 
Un bacio
 

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