Non è mai troppo tardi per sorridere

di LazySoul
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


cap_1

Autore: LazySoul
Titolo della fic: Non è mai troppo tardi per sorridere
Lunghezza della fic: long-fic
Pacchetto scelto: Sorriso-Pianto
Personaggi principali: Fred Weasley, Mirtilla Malcontenta
Genere: Generale, Introspettivo, Triste
Avvertimenti: Nessuno
Raiting: Verde
Note dell’autore: 
1) “Senti-Il-Profumo-E-Non-La-Puzza” me lo sono inventato, mentre gli altri prodotti di Zonco li ho trovati facendo alcune ricerche su internet

 

Non è mai troppo tardi per sorridere

 

CAPITOLO 1

{Quarta regola di mamma Molly: avere sempre rispetto dei morti, soprattutto quelli che potrebbero vendicarsi}

 

Gennaio 1990

 

Sulla scrivania i grandi occhi gialli di Mrs. Purr si spostavano ogni due secondi, studiando ogni movimento dei ragazzi che le erano seduti di fronte. Gazza era dovuto correre in Sala Grande per una questione urgente che implicava un Folletto della Cornovaglia che si era introdotto nella scuola mettendo alle strette alcuni studenti del primo anno, lasciando alla gatta il compito di sorvegliare i gemelli Weasley, beccati più volte a gironzolare nei pressi della Foresta Proibita.

Fred e George, con un sorriso furbesco stampato in volto, studiavano a loro volta il pelo color polvere, i baffi vibranti, la coda guizzante e le orecchie a punta di Mrs. Purr, aspettando il momento migliore per agire.

Già da più di una settimana si aspettavano di venir convocati nell’ufficio del signor Gazza e avevano fatto di tutto per accelerare il più possibile i tempi, assicurandosi di essere visti da più testimoni per volta mentre si dirigevano furtivamente verso la Foresta Proibita, anche se non avevano mai avuto intenzione di addentrarvisi, o almeno non ancora.

Quando avevano elaborato il piano avevano sperato Gazza si portasse dietro Mrs. Purr per catturare più facilmente il Folletto della Cornovaglia – che i gemelli Weasley avevano catturato durante le vacanze di Natale ed avevano liberato solo quella mattina, creando il diversivo perfetto per avere l’ufficio di Gazza a loro disposizione.

Percy, il loro amato fratello perfetto, aveva raccontato l’anno precedente che giravano molte storie a proposito del contenuto dei cassetti della scrivania nell’ufficio del custode e loro, curiosi undicenni, avevano voluto accertarsene di persona. Peccato che nessuno li avesse avvisati del terribile odore di pesce che albergava in quel triste e ristretto stanzino, altrimenti avrebbero prima ingerito un po’ di pozione “Senti-Il-Profumo-E-Non-La-Puzza” di Zonco. 1)

Intanto Mrs. Purr continuava a non perderli di vista un solo istante e il tempo filava via alla velocità di una Nimbus 1990.

Fu George a prendere l’iniziativa e, alzatosi dal suo posto a sedere, incominciò a dirigersi verso quella che sembrava la ciotola per la pappa della gatta, tirando fuori dalla tasca un sacchetto con dentro alici marinate con della Pozione Soporifera e lasciandole cadere accidentalmente nel piattino rosa su cui c’era scritto in nero “Kitten”.

Mrs. Purr era una gatta seria e dedita al suo lavoro, ma un animale prima di tutto, per questo motivo non riuscì a resistere e in due balzi aveva già raggiunto la sua ciotola, dando le spalle ai gemelli.

Fred si alzò a sua volta e, battuto il cinque col gemello, iniziò a frugare tra i cassetti della scrivania, mentre George si occupava del piccolo mobiletto alla destra della porta.

Mrs. Purr nel frattempo cominciava a barcollare, quasi si fosse ubriacata, e, nel giro di pochi secondi, era a terra, profondamente addormentata.

«Trovato qualcosa, Fred?», chiese il fratello, tirando fuori dall’armadio un completo elegante che doveva avere una trentina d’anni – come testimoniavano i buchi causati dalle tarme e il tanfo che emanava – ed era ormai inutilizzabile: «Io penso di aver appena riesumato un reperto archeologico ancora più antico e puzzolente della prozia Tess».

Entrambi fecero una smorfia prima di ridacchiare e tornare alla ricerca di… beh, non avevano idea di cosa stessero cercando, ma erano certi che l’avrebbero trovato.

George stava soppesando su una mano un sacchetto di “Caccabombe” e sull’altra uno di “Dolci Singhiozzini”, indeciso su quale tenersi, ma propenso a sgraffignare entrambi, quando Fred richiamò la sua attenzione.

Dal fondo di uno dei cassetti della scrivania di Gazza era venuto fuori un foglio di pergamena piegato più volte su se stesso che aveva un aspetto antico e rovinato; era classificato come “altamente pericoloso”.

«Bravo», disse George, dando una pacca sulla spalla al fratello: «Questo è il genere di cose inutilizzabili che speravo proprio di non trovare».

Fred sorrise mentre confutava la teoria del fratello: «Se fosse come dici tu, perché non è sulla scrivania accanto a tutte le altre pergamene bianche e inutili? Perché è contrassegnata con la scritta “altamente pericoloso”?»

George aggrottò le sopracciglia e rifletté un istante prima di fare spallucce: «Prendila, se ci tieni; è comunque una pergamena bianca in più».

Fred la infilò in una delle grandi tasche della divisa, certo che quella non fosse una normale pergamena, ma qualcosa in più.

Sentirono dei passi avvicinarsi e si affrettarono a chiudere cassetti e ante, prima di tornare seduti nelle sedie davanti alla scrivania.

Pochi istanti dopo entrò nell’ufficio Gazza che, con tono brusco, scacciò i ragazzi dall’ufficio, dicendo che in quel momento doveva occuparsi di questioni più serie di due mocciosi in cerca di guai e che li avrebbe convocati poi in futuro se avessero continuato a non rispettare le regole della scuola.

I gemelli Weasley non se lo fecero ripetere due volte e raggiunsero il corridoio con quattro veloci falcate. Avevano appena svoltato l’angolo verso le scale che portavano ai piani superiori, quando sentirono l’urlo furioso di Gazza e i suoi passi che si avvicinavano.

Qualcosa suggerì loro che il custode si fosse reso conto dello stato della gatta e che avesse intenzione di vendicarsi.

Senza bisogno di dirsi nulla iniziarono a correre e, per mettere in difficoltà l’uomo, presero strade diverse: George prese la scala che portava direttamente al quarto piano, mentre Fred quella che portava al secondo.

Il signor Gazza, che aveva raggiunto una certa età e si stancava facilmente, avrebbe preferito dare le dimissioni e ritirarsi in una spiaggia deserta con la sua inseparabile gatta, ma dato che lo stipendio da custode non era particolarmente generoso, aveva calcolato che avrebbe dovuto lavorare ancora una decina di anni prima di poter vivere di rendita per il resto della propria vita. La cosa che odiava di più in assoluto erano i mocciosi e l’impossibilità di dare loro qualche bella punizione, come le torture che decenni prima venivano utilizzate per premiare i ragazzini meritevoli. Ecco, il signor Gazza, senza pensarci due volte, avrebbe preso i due nuovi Weasley e li avrebbe legati per i piedi al soffitto, tenendoli lì per qualche giorno, come giusta punizione per aver osato drogare la sua povera e amata gatta.

Quando Fred e George si separarono, Gazza si fermò, considerando le tre opzioni che aveva davanti: come prima cosa avrebbe potuto fare dietro front, per andare ad assicurarsi che Mrs Purr stesse bene e poi raggiungere il preside Silente per metterlo a conoscenza del comportamento dei gemelli, la seconda opzione era quella di seguire quello che aveva preso le scale per il secondo piano e accontentarsi di beccarne solo uno, la terza possibilità era uguale a quella precedente solo che al posto del secondo piano sarebbe dovuto andare al quinto.

Alla fine optò per il ragazzo che era corso al secondo piano, il quale aveva meno possibilità di sfuggirgli raggiungendo la torre di Grifondoro.

Nel frattempo Fred, accortosi di avere il signor Gazza alle calcagna, decise di fare l’unica mossa che il custode non si sarebbe mai immaginato e che gli avrebbe permesso di sfuggirgli: si nascose nel bagno delle ragazze infestato dalla famigerata Mirtilla Malcontenta.

Il giovane Weasley sapeva che il “fantasma del gabinetto”, come l’aveva scherzosamente soprannominata con suo fratello, avrebbe potuto fare la spia col custode, ma sperava di riuscire a tenerla buona il tempo necessario per far perdere le proprie tracce.

Si chiuse la porta del bagno alle spalle e corse verso uno dei cubicoli, nascondendovisi all’interno.

Con tutti i sensi all’erta sentì i passi del custode produrre un forte e ininterrotto “tum-tum” contro il pavimento in pietra, mentre continuava a correre, superando il bagno delle ragazze del secondo piano.

Non aveva ancora finito di riprendere fiato – corto a causa della corsa – che iniziò a ridacchiare più silenziosamente possibile, dandosi da solo il cinque, in mancanza del suo gemello.

«Ehm, ehm», sentì qualcuno schiarirsi la voce e, interrompendo lo sfogo di ilarità, si voltò verso il gabinetto alle sue spalle, dal quale spuntava per metà il corpo perlaceo di Mirtilla Malcontenta.

La ragazza aveva come suo solito i capelli dritti e scuri schiacciati sul viso, e gli occhiali dalle lenti spessi che sembravano ingrandire smisuratamente i suoi occhi neri e perennemente lucidi di lacrime.

«Cosa ci fai tu qui?», chiese, con la voce fastidiosa e acuta, mentre emergeva completamente dalla tazza del water e stringeva con forza le braccia al petto: «Perché ridi?»

Il volto stravolto dalla rabbia del fantasma scatenava ulteriormente l’ilarità di Fred ma, come sua madre aveva insegnato a lui e i suoi fratelli, bisognava portare rispetto per i morti, soprattutto a quelli che non se ne erano ancora andati del tutto e che quindi avrebbero potuto essere vendicativi.

«Mi dispiace, Mirtilla», disse, sorridendole – non sapeva perché, ma sperava che lei avrebbe ricambiato e si sarebbe mostrata a sua volte felice, cosa che non accadde: «Sono riuscito a seminare Gazza, è per questo che sono contento».

Mirtilla scosse le spalle con noncuranza e fece una smorfia: «Non tollero che si rida nel mio bagno!», esclamò, lagnandosi.

«Non ti stanchi a stare sempre chiusa qui dentro a piangere?», chiese ingenuamente l’undicenne, mentre immaginava quanto sarebbe stato fico avere il potere di attraversare i muri, fare scherzi ai vivi, spaventarli e spiarli, spettegolando poi dei segreti di tutti con tutti.

L’espressione sul viso di Mirtilla Malcontenta s’indurì e un tic nervoso le fece chiudere ripetutamente l’occhio destro: «Cos’altro dovrei fare?!», urlò, fluttuando ad una velocità sovrumana a due centimetri dal viso di Fred Weasley, sul volto del quale scomparve il sorriso.

«Sono morta! Non c’è nessun tipo di divertimento quando si è morti! Tutto ciò che si ha è il rimpianto!», si sfogò il fantasma, aumentando sempre più il volume della voce, a mano a mano che andava avanti col suo discorso.

Fred abbassò lo sguardo: «Oh», sospirò, prima di sorridere: «So di cosa hai bisogno! Ti ci vuole un amico che ti tiri su di morale!»

Mirtilla Malcontenta allontanò il viso da quello del bambino e lo studiò con occhio critico per qualche istante: lentiggini, capelli rossi, occhi azzurri e un sorriso smagliante in volto; assomigliava in modo impressionante ad un ragazzino di Grifondoro che aveva conosciuto in vita e di cui non ricordava il nome.

«Un amico...», mormorò il fantasma, sedendosi sulla tazza del gabinetto, mentre con le mani si sistemava la gonna della divisa di Corvonero.

Mirtilla pensava alla sua vita, al fatto che non avesse mai avuto una vera amica, altrimenti quel giorno del lontano 1943 non sarebbe corsa in bagno a piangere, ma avrebbe raggiunto una persona cara con cui sfogare la sua tristezza. Aveva sempre pensato di non essere una persona abbastanza socievole da meritarsi l’affetto di un altro essere umano ed ora quel ragazzino pieno di lentiggini voleva esserle amico?

Lei non aveva bisogno di amici!

«Vattene via!», urlò lei, sollevandosi nuovamente in piedi, prima di iniziare ad ululare tra le lacrime e di svanire nel gabinetto da cui era venuta.

Fred non riusciva a sopportare il pensiero di aver fatto piangere una ragazza. Certo, tecnicamente, lei era un fantasma, non era propriamente viva e si divertiva quando altre persone erano disperate, ma questo non voleva dire che non gli dispiacesse per lei. Avrebbe voluto chiederle com’era morta e perché aveva deciso di rimanere nel mondo dei vivi come fantasma, ma sapeva che erano questioni delicate; mamma gli aveva detto più volte di non inimicarsi un fantasma e lui non aveva intenzione di disobbedire.

«Volevo solo farti sorridere», sussurrò, abbassando il capo, dispiaciuto per non esser riuscito nell’impresa che si era prefissato, o forse semplicemente offeso per il fatto che lei non avesse voluto accettare la sua proposta di amicizia.

Fred Weasley abbandonò il suo rifugio solo quando si fu accertato che Gazza non era più nei paraggi, mentre si allontanava dal bagno delle ragazze del secondo piano, sentì il forte desiderio di tornare presto a fare visita a Mirtilla Malcontenta: voleva farla sorridere.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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CAPITOLO 2

{Terza regola di mamma Molly: non ridere delle disgrazie altrui}

 

Febbraio 1990

 

Fred e George erano stati messi in punizione dal signor Gazza per un intero mese, durante il quale avevano dovuto aiutare la Professoressa Sprite a mettere in ordine le serre, catalogando le piante e concimandole; anche se il custode non aveva rinvenuto nessuna prova che fossero stati proprio loro due a far addormentare la sua gatta per ore e ore.

George avrebbe voluto trovare un modo per fargliela pagare, mente Fred stava tutto il suo tempo libero sulla strana pergamena che aveva rinvenuto dall’ufficio del signor Gazza, da bravo fratello ascoltava distrattamente le parole del gemello e i suoi piani malefici per riconquistare l’orgoglio perduto, ma dentro di sé sentiva che quel semplice foglio giallastro racchiudeva in sé qualcosa di importante.

Dopo lo scontro che aveva avuto con Mirtilla Malcontenta non era più riuscito a tornare nel bagno delle ragazze del secondo piano per mantenere la sua promessa; anche perché tra i pomeriggi di punizione e le ore spese nel vano tentativo di rivelare il mistero della pergamena, non aveva avuto molto tempo per portare a compimento il suo piano.

I primi di Febbraio, Fred decise di cercare in Biblioteca degli incantesimi che avrebbero potuto aiutarlo con la vecchia pergamena e chiese a George una mano. Non dovette insistere molto e alla fine decisero di provare a turno delle possibili frasi che potessero permettere loro di svelare i segreti di quel – apparentemente – semplice oggetto.

I volumi che consultarono in Biblioteca non furono di nessun aiuto, provarono decine e decine di incantesimi, ma nulla apparve sulla superficie della pergamena che rimaneva vuota e inutile.

Una volta, George, stanco di essere preso in giro da “un pezzo di carta”, provò a scriverci sopra il suo tema di Trasfigurazione; l’unico risultato che ottenne fu la scomparsa delle parole che a mano a mano stava scrivendo e, dopo pochi secondi, la piuma con cui stava imbrattando la pergamena prese fuoco, provocandogli una lieve ustione. Venne accompagnato in infermeria dal gemello, dove Madama Chips curò la mano con un unguento color lavanda dall’odore nauseabondo; nel giro di qualche minuto George era tornato come nuovo e, convinto sempre di più del potenziale della pergamena, corse con Fred nel dormitorio di Grifondoro, dove ricominciarono i tentativi di svelare il mistero “del pezzo di carta”.

«Svelati!», «Mostra il tuo contenuto!», «Apriti sesamo!», furono alcuni dei loro meno fantasiosi tentativi, mentre: «Oh, foglio bianco, colorati presto, sopra il banco, svelati lesto!», fu una delle frasi più complesse che venirono loro in mente.

Il giorno di San Valentino decisero di prendersi una pausa e di approfittare della festa per fare qualche scherzo in giro. Spedirono, per esempio, una scatolina di cioccolatini soporiferi a Mrs. Purr, un biglietto d’amore da parte di un “Ammiratore segreto” alla McGranitt, a Cedric Diggory fecero trovare sul suo banco, durante la lezione di Divinazione, un messaggio da parte di un rivale in amore, che lo minacciava di rapire la sua amata Cho e di fuggire con lei in luoghi sperduti, a Marcus Flitt spedirono un tortino al cioccolato da parte di una “Amante del Quidditch e dei giocatori di Quidditch”, a Kain Montague arrivò una rosa da parte di Marietta Edgecombe, a Marietta Edgecombe un biglietto d’amore da parte di Marcus Belby e a Marcus Belby una poesia d’amore firmata da Kain Montague.

Ad eccezione delle ore di lezione, George passò tutto il suo tempo attaccato ad un volume di incantesimi che aveva preso in Biblioteca, sempre alla ricerca di un indizio che avrebbe potuto aiutarlo a svelare il mistero della pergamena. Fred invece aveva deciso di rispettare la promessa fatta a se stesso e, dopo aver trovato nei giardini della scuola un mazzolino di fiori di campo color giallo acceso, era entrato nel bagno delle ragazze del secondo piano, chiudendosi la porta alla spalle.

Appena si fu abituato alla penombra, fece alcuni passi in avanti, guardandosi intorno; sentiva chiaramente il suono strozzato di qualcuno che cercava invano di trattenere le lacrime e i singhiozzi.

Seduta sotto la struttura centrale dei lavandini si trovava la figura perlacea di Mirtilla Malcontenta che, con le lacrime agli occhi, guardava il cielo plumbeo oltre le bifore della stanza.

Una volta che si fu voltata verso la porta, notò la figura del ragazzino che le aveva chiesto di essere amici qualche giorno prima... o erano passate solo poche ore?

«Perché sei tornato?», gli chiese, cercando di nascondere coi lunghi capelli scuri i suoi occhi colmi di lacrime. Il suo tono di voce era scontroso e stridulo, sembrava una povera bestia ferita e lasciata a soffrire sola nel mezzo di una foresta: come avrebbe potuto la bestia fidarsi nuovamente delle persone?

Fred sorrise, ignorando l’antipatia del fantasma, e si fece più vicino: «È San Valentino, nessuna ragazza dovrebbe sentirsi sola oggi», disse, porgendole i fiori di campo che aveva nascosto dietro alla schiena fino a quel momento.

Mirtilla scosse il capo, guardando quel dono con gli occhi ancora umidi per il pianto di poco prima: «Cosa me ne dovrei fare?», chiese, assottigliando lo sguardo.

Lei non aveva mai ricevuto in dono dei fiori in vita sua, nessuno aveva mai pensato che alla bruttina e timida Mirtilla sarebbe piaciuto ricevere un piccolo pensiero simile. Guardava il colore brillante e sano di quel semplice mazzolino di fiori di campo e provò per un breve secondo qualcosa, un sentimento diverso dal desiderio di vendetta e malinconia che aveva accumulato in quasi cinquant’anni di non-vita, qualcosa di genuino e dolce che le fece venir voglia di sorridere.

In quell’istante si sentì un forte rumore alla porta del bagno e, senza che Fred e Mirtilla riuscissero a vedere chi fosse stato, qualcuno lanciò a pochi passi da loro una Caccabomba e un SuperPallaGomma di Drooble; in pochi secondi la stanza si riempì di un forte odore nauseante, mentre numerosi palloncini color genziana cominciavano a duplicarsi e a riempire ogni angolo libero della stanza.

Mirtilla, con un ululato di disperazione era fuggita nel suo solito cubicolo per piangere e ideare una vendetta, mentre Fred, deluso di non essere riuscito nel suo intento di far sorridere il fantasma, lasciò il mazzolino di fiori accanto ai lavandini e, tappandosi il naso con le dita, uscì di corsa dal bagno, spostando decine e decine di palloncini che ormai erano ovunque.

Quando Gazza venne a sapere pochi minuti dopo dell’accaduto, chiese ad una strillante Mirtilla Malcontenta chi fosse stato, ma non ottenne risposte soddisfacenti. Nuotando in un mare di palloncini color genziana, con una molletta per stendere chiusa sul naso, arrivò ad alcune finestre che riuscì ad aprire con un po’ di olio di gomito, per far uscire l’odore nauseabondo della Caccabomba, mentre per i palloncini ci sarebbero voluti alcuni giorni prima che si sgonfiassero autonomamente.

A fine giornata quello non fu l’unico scherzo ben riuscito, infatti anche quelli dei gemelli Weasley ottennero risultati soddisfacenti: Gazza e la sua gatta, per esempio, non si presentarono a cena, probabilmente avevano assaggiato entrambi i dolcetti soporiferi, la Professoressa McGranitt guardava il Preside Silente con uno strano sguardo da pesce lesso che non le si addiceva per niente, Cedric Diggory non si allontanò dalla sua ragazza per un solo istante, guardando ogni essere umano di sesso maschile che le si avvicinava con uno sguardo assassino, Marcus Flitt mostrava il biglietto che gli era stato recapitato con il tortino al cioccolato ad ogni persona che gli capitava davanti, nella vana speranza di trovare  l’“Amante del Quidditch e dei giocatori di Quidditch”, Kain Montague, Marietta Edgecombe e Marcus Belby invece si erano inseguiti per tutto il giorno; Kain voleva invitare Marietta ad uscire, Marietta voleva ringraziate Marcus per il dolce pensiero e Marcus si nascondeva ogni volta che vedeva Kain nelle vicinanze. Gli appartenenti al triangolo amoroso ci avevano messo ore prima di capire che erano stati tutti presi in giro da un misterioso buffone, anche se Marcus rimase talmente segnato dalla giornata che non smise per giorni di evitare – per sicurezza – Kain Montague.

George non prestò molta attenzione alla riuscita dei loro scherzi, troppo occupato a strapazzare la pergamena con tutti gli incantesimi che gli venivano in mente, mentre Fred non riuscì a ridere delle espressioni deluse o confuse delle loro povere vittime; tutto quello a cui riusciva a pensare era al dolore che aveva causato a Mirtilla lo scherzo della Caccabomba e del SuperPallaGomma di Drooble. Gli venne in mente una delle frasi preferite di sua mamma: «Ragazzi, non si ride delle disgrazie altrui» e pensò che da quel momento in poi avrebbe trovato il modo di fare scherzi che facessero ridere tutti, nessuno escluso.

Nel bagno delle ragazze del secondo piano intanto, Mirtilla Malcontenta non aveva smesso di piangere un solo momento, mentre cercava con tutte le sue forze di fantasma di far scoppiare quegli stupidi palloncini. A fine giornata, dopo non aver ottenuto nessun risultato, decise di trasferirsi momentaneamente nel bagno dei Prefetti.

Mirtilla tornò nel suo adorato cubicolo solo dopo un paio di giorni e su insistenza del preside Silente che la rassicurò più volte che non c’erano più palloncini; una volta tornata nel suo regno ci impiegò un po’ di tempo prima di notare il mazzolino di fiori adagiato su uno dei lavandini e di riconoscere i fiori – ora non più sgargianti e pieni di vita come due giorni prima – che le aveva portato quel ragazzino dai capelli rossi.

Un sorriso spontaneo e dolce le comparve sul viso per solo un breve istante, prima che la tristezza, la malinconia e la solitudine tornassero a gelarle i lineamenti perlacei in una smorfia di dolore.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


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CAPITOLO 3

{Seconda regola di mamma Molly: non essere scortesi}

 

Marzo 1990

 

Il signor Gazza, senza un apparente motivo, mise in castigo i gemelli Weasley, dopo che trovò nuovamente la sua gatta sotto sedativi. Fred e George tentarono in tutti i modi di fargli notare che era ingiusto dare la colpa a loro se qualsiasi cosa fuori dal comune accadeva ad Hogwarts, ma il custode non prestò loro attenzione e mise in mano ad entrambi una scopa, invitandoli a pulire i gabinetti dell’intero castello.

I gemelli Weasley non protestarono più perché in fondo era vero che era stata colpa loro, anche se il signor Gazza non aveva nessuna prova al riguardo.

L’idea era stata di George, che voleva tornare nell’ufficio del custode per scoprire se, nascosto in qualche cassetto, ci fosse scritto l’incantesimo che avrebbe permesso loro di svelare i segreti della pergamena. Avevano approfittato del pomeriggio libero settimanale del custode, non pensando alla gatta che, immancabilmente, si trovava nella sua cuccetta nell’ufficio del signor Gazza. Avevano dovuto drogarla per poter svolgere le ricerche indisturbati ed erano rimasti tremendamente delusi quando non avevano trovato nulla di nulla che potesse essere loro utile, tranne alcuni articoli di Zonco sequestrati dal custode, che avevano sgraffignato senza pensarci due volte.

Avevano cercato di far ragionare il signor Gazza, quando era venuto a chiamarli per metterli in castigo, nel modo più cortese possibile, consapevoli che – come diceva la loro mamma – essere scortesi col prossimo non avrebbe portato nulla di buono, ma non aveva funzionato come avevano sperato.

«Ci dividiamo i piani?», chiese George, guardando il fratello con un’espressione piena di sconforto, mentre maneggiava la scopa in modo buffo e poco professionale.

Il gemello annuì, sconsolato a sua volta dal terribile compito che li attendeva.

«Io quelli dispari!», disse George, alzando una mano, con un sorriso furbesco stampato in volto: «Buona fortuna col “fantasma del gabinetto”!», esclamò, ridacchiando contento, mentre si allontanava per adempire ai suoi doveri.

Fred fece una piccola smorfia inizialmente, poi però pensò che non vedeva Mirtilla Malcontenta da parecchio tempo e voleva ancora trovare il modo di farla sorridere e diventare suo amico, così decise di andare subito verso il bagno delle ragazze del secondo piano, per chiacchierare con lei e cercare di sollevarle il morale.

Nel tragitto verso il bagno incrociò suo fratello Percy, che gli lanciò uno sguardo di disapprovazione: «Cosa ci fai con quella scopa, Fred?», gli chiese, fermandosi davanti a lui.

«Gazza ha messo in punizione me e George», spiegò, sollevando le spalle, per far capire al fratello che era tutto nella norma.

Percy sospirò e con espressione annoiata e delusa fece gesto a Fred di andare ovunque dovesse andare e continuò lungo il corridoio, diretto probabilmente verso la Sala Grande, dove presto si sarebbe tenuto il pranzo.

Fred considerò molto triste la vita di suo fratello maggiore; sempre annoiato, triste, depresso e dedito al dovere; e si chiese se si fosse mai davvero divertito almeno una volta. Quel pensiero lo portò a pensare nuovamente a Mirtilla e al suo desiderio di farla ridere; doveva solo capire come fare...

Una volta raggiunto il bagno delle ragazze del secondo piano vi si chiuse dentro e, ignorando il compito assegnatogli da Gazza, si guardò intorno, aguzzando la vista e l’udito, nel tentativo di individuare la figura perlacea del “fantasma del gabinetto.”

Fu sorpreso di trovare Mirtilla Malcontenta fluttuare vicino ad una delle bifore della stanza, con in mano un mazzolino di fiori ormai secchi e ingrigiti dal tempo.

Senza rendersene conto Fred sorrise: «Sono i fiori che ti ho regalato, quelli?», chiese, avvicinandosi a lei.

La ragazza sussultò, guardando il nuovo arrivato con gli occhi sbarrati dalla sorpresa. Tentò di nascondere dietro di sé i fiori, per non far capire al rosso quanto avesse gradito quel piccolo dono, ma fu tutto vano; attraverso il corpo perlaceo della ragazza infatti quel semplice mazzolino di fiori era ugualmente ben visibile, come se avesse continuato a tenerlo contro il petto.

«Ancora tu?», chiese Mirtilla, fingendosi infastidita dall’improvvisa visita, mentre in realtà avrebbe voluto sorridergli.

Mirtilla malcontenta era un fantasma prima di tutto, il suo compito era tormentare i vivi, non fraternizzare con loro, come facevano Nick-Quasi-Senza-Testa o il Frate Grasso; aveva un’etica ed una certa fama, non poteva fare finta di niente ed abbassare tutte le sue difese per il primo ragazzino che sembrava essere più gentile rispetto agli altri. Semplicemente non era nella sua natura.

«Come stai?», chiese Fred, mettendo in mostra i suoi denti leggermente storti, decidendo di lasciar perdere il discorso “mazzolino di fiori”, avendo notato come la ragazza sembrasse imbarazzata quando lui li aveva nominati poco prima.

«Come pensi che possa stare?!», esclamò lei, corrucciando la fronte ed arricciando le labbra: «Sono triste!», spiegò, abbassando lo sguardo: «E sola», aggiunse, fluttuando verso i lavandini, dove appoggiò i fiori che continuava a nascondere dietro alla schiena.

«Ora ci sono io qua con te!», disse Fred, provando a tirarle su il morale. Si chiese di cosa avrebbe potuto parlarle per farla sentire meno sola e triste e pensò che magari lei avrebbe potuto aiutarlo col mistero della pergamena.

Senza pensarci due volte lasciò cadere la scopa a terra e tirò fuori dalla tasca del mantello il famoso pezzo di carta che negli ultimi mesi era diventato l’ossessione sua e di suo fratello.

«Io e George abbiamo trovato questa, ti va di aiutarmi a capire a cosa serve?», le chiese, mostrandole il foglio bianco piegato più volte su se stesso.

Mirtilla si voltò appena e lanciò un’occhiata indifferente all’oggetto che il ragazzino stava sventolando con sguardo trionfale: «È solo una stupida pergamena», disse lei, godendo solo per pochi istanti dell’espressione ferita del rosso, prima di sentire qualcosa di diverso... forse sentire non era il verbo giusto, lei in fondo era un fantasma che non aveva più molta dimestichezza con i sentimenti umani, ma dentro di sé, da qualche parte, percepì che si era comportata male, che era stata scortese con un ragazzo che aveva sempre cercato di farla sorridere e farla sentire bene.

Se Mirtilla Malcontenta fosse ancora stata abituata ai sentimenti umani avrebbe classificato quella percezione come senso di colpa e pentimento, ma erano anni ormai che non faceva altro che provare – in ricordo della sua vita passata – delusione, solitudine, tristezza e un forte desiderio di vendetta, per questo motivo ignorò quella percezione e continuò ad infierire: «E tu sei solo uno stupido ragazzino che vuole vedere qualcosa di bello in tutto ciò che incontra!»

Mirtilla prese in mano il mazzolino di fiori e lo lanciò contro il ragazzo, colpendolo al petto: «Non voglio la tua pietà, non voglio questi orribili fiori, non voglio un amico come te! Non me ne faccio nulla di un amico! Voglio solo piangere e far sentire gli altri come mi sono sentita io quando mi è stata strappata via la vita! Tu, tutti i tuoi amici, i tuoi compagni, i tuoi parenti non siete niente! Sorridi pure quanto vuoi, illuditi che la vita sia bella ed appagante, ma non venire qui a prendermi in giro!», il tono di voce del fantasma si era fatto sempre più stridulo e fastidioso a mano a mano che andava avanti col discorso, facendo male alle orecchie del giovane Weasley che, malgrado la sua naturale predisposizione al riso e all’allegria, si ritrovava con involontarie lacrime agli occhi e il forte desiderio di piangere.

Lui non voleva prenderla in giro, lui voleva essere davvero suo amico e gli dispiaceva infinitamente che lei non volesse, forse per orgoglio, forse perché era ormai abituata alla sua solitudine ed era spaventata dall’idea di cambiare quella che per anni e anni era stata la sua quotidianità. Fred guardò i fiori appassiti che aveva raccolto tre settimane prima per la ragazza e si chiese dove avesse sbagliato e perché gli dispiacesse così tanto aver fallito nel suo tentativo di renderla felice.

Un sorriso cattivo e malvagio comparve sul volto di Mirtilla Malcontenta che, ignorava la morsa del senso di colpa che le attanagliava lo stomaco e continuava ad infierire: «Prendi quella scopa, quell’inutile pergamena, questi orribili fiori e vattene via! Io non ho bisogno di avere amici per stare bene!», urlò con la vocetta graffiante, fluttuando intorno al ragazzo.

Fred alzò di scatto il volto: «Questa è una bugia e lo sai benissimo!», urlò, sentendo le prime lacrime rigargli il viso, mentre faceva come il fantasma gli aveva detto e raccoglieva da terra la scopa e i fiori che, fragili, continuavano a perdere petali e foglioline.

«Tu sei cattiva», disse il giovane Weasley, guardando dritto in faccia Mirtilla: «Ora capisco perché non hai amici che ti vogliono bene!»

Dopo quelle parole il ragazzo se ne andò, trattenendo solo per pochi passi il pianto che gli scuoteva il petto con forza. Si lasciò poi cadere a terra contro la parete del corridoio dove, raccolte le ginocchia vicino al petto, permise alle lacrime di arrossargli e consumargli occhi e gote.

Si disse che non avrebbe più provato ad essere gentile con Mirtilla Malcontenta, perché era stata scortese, quando lui aveva provato ad essere gentile ed anche perché lo aveva fatto piangere, cosa che cercava sempre di evitare perché lo faceva sentire debole.

A pochi passi di distanza intanto una disperata Mirtilla cercava invano di raccogliere i pochi resti di quei fiori che negli ultimi giorni l’avevano confortata e fatta sentire in un certo modo amata. Si pentiva di quello che aveva detto e si sentiva tremendamente in colpa, anche se non sapeva tradurre a parole ciò che le imperversava nel petto, sapeva nel profondo di aver sbagliato. Avrebbe voluto urlare a quel ragazzino che aveva mentito, che la vita valeva la pena di essere vissuta e che aveva un significato, che quei fiori non erano orribili, ma bellissimi e che sì, aveva bisogno di un amico. Ma dalle sue labbra non uscì nemmeno una parola, erano tutte stipate tra le corde vocali e l’orgoglio le impediva di farle uscire.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


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CAPITOLO 4

{Prima regola di mamma Molly: perdonare, sempre (a meno che non sia proprio impossibile)}

 

Aprile 1990

 

I gemelli Weasley ricevettero per il loro compleanno quattro pacchetti di Cioccorane a testa, due pacchetti di Gelatine tutti i gusti +1 da dividere e una strilettera inviata dalla madre che aveva saputo – molto probabilmente Percy aveva fatto la spia – delle numerose punizioni che avevano ricevuto dal custode durante l’anno.

Fred e George finsero indifferenza quando ricevettero la lettera, non volevano mostrare di esserci rimasti male di fronte all’intera Sala Grande, ma una volta soli nella camera che dividevano con altri due studenti del primo anno Grifondoro, decisero che avrebbero trovato un modo per farla pagare a quel ficcanaso perfettino di nome Percy Weasley.

Essere sgridati dalla mamma non era mai una bella cosa, soprattutto quando ci si ritrova di fronte a centinaia di altre persone, compresi professori e un ghignante e soddisfatto signor Gazza.

«Dobbiamo architettare un piano», disse George, sedendosi sul suo letto e battendo il pugno con l’altra mano aperta: «Percy non la passerà liscia questa volta», promise, guardando il gemello, in attesa del sostegno che si aspettava di ottenere.

George aveva notato che Fred negli ultimi tempi sembrava avere sempre qualcosa in mente, come se non riuscisse a liberarsi di un pensiero ricorrente. Aveva provato a chiedergli spiegazioni, ma il gemello gli aveva semplicemente detto di lasciar perdere, perché non era nulla; ovviamente George non gli aveva creduto e ogni tanto continuava a tartassarlo per cercare di carpirgli le informazioni minime indispensabili che gli avrebbero permesso di aiutarlo.

«Fred?», chiamò George, infastidito dall’apatia del fratello: «Ci sei?»

L’altro non rispose, mentre fissava la pergamena misteriosa tra le sue mani.

Nella stanza calò per pochi secondi un silenzio di tomba, prima che fosse proprio Fred a spezzarlo: «Pensi che, come dice mamma, bisogna sempre perdonare le persone a cui vogliamo bene?», chiese, guardando a lungo il gemello.

George, che pensava si stesse riferendo al colpo basso di Percy, scosse la testa: «Oh, no, fratellino! Non avremo nessuna pietà o perdono per lui! Ha fatto la spia alla mamma, merita la nostra ira», disse, puntando un dito contro il fratello e guardandolo con sguardo serio: «Non provarci nemmeno a farmi cambiare idea», aggiunse, certo che, se il gemello avesse detto qualcosa a proposito di tutte le volte che Percy li aveva difesi a casa quando erano più piccoli e combinavano numerosi guai, avrebbe ceduto.

«Siamo poi sicuri che sia stato lui? E se fosse stato il signor Gazza?», chiese Fred, rinunciando a ciò su cui stava rimuginando in precedenza, per dare corda al fratello.

George sbarrò gli occhi e socchiuse appena le labbra: «Dici che ne avrebbe il coraggio?», domandò sconvolto, tamburellando con l’indice sul suo mento: «Dobbiamo indagare», decise alla fine, alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta della stanza.

Quando si rese conto di non esser stato seguito, si voltò verso il gemello che, ancora seduto sul suo letto, scrutava la misteriosa pergamena con uno strano sguardo perso: «Vieni con me?», gli chiese, facendo un paio di passi verso di lui.

Fred alzò lo sguardo e sorrise debolmente: «Sì, volevo prima passare in biblioteca», disse, posando ciò che aveva in mano nelle tasche della divisa scolastica: «Poi ti raggiungo», aggiunse.

«Non ti sei ancora arreso con quella stupida pergamena? Dovremmo pensare ad uno scherzo coi fiocchi oggi, per celebrare il nostro compleanno!», disse George, sentendo chiaramente che il gemello gli stava nascondendo qualcosa.

«Tu indaga, io intanto vado in biblioteca, ci vediamo poi di nuovo qui per pensare ad uno scherzo», lo rassicurò Fred, alzandosi a sua volta e superando il fratello, per correre giù dalle scale.

George era perplesso, ma decise di fare come gli era stato detto e di andare a chiedere chiaramente a Percy se era stato lui a fare la spia con la mamma e, se così non fosse stato, avrebbe pensato ad una vendetta coi fiocchi per far capire al custode con chi aveva a che fare.

Fred si sentiva in colpa per aver mentito al fratello, ma non aveva avuto il coraggio di dirgli la verità su ciò che era successo, o forse sarebbe meglio dire non successo, con Mirtilla Malcontenta.

Erano passate due settimane circa dall’accaduto e Fred non riusciva a togliersi dalla mente le parole che il fantasma aveva detto per farlo soffrire. “Ma perché?”, continuava a chiedersi, tormentando quella povera pergamena e se stesso, senza trovare il coraggio di fare nulla in particolare.

Solo il giorno del suo compleanno gli erano venute in mente le parole di sua madre: «Tesoro, si devono sempre perdonare le persone a cui si vuole bene, perché noi vorremmo che loro, quando noi sbagliamo, ci permettano di fare ammenda, per questo motivo dobbiamo dare loro la stessa possibilità. Solo la morte può impedire il perdono, Fred» e aveva deciso di dare una seconda possibilità a Mirtilla Malcontenta.

Era pronto ad entrare nel bagno femminile del secondo piano e dire chiaro e tondo a quella ragazza che era stata cattiva e crudele, ma che le avrebbe dato una seconda occasione per farsi perdonare e ritirare tutte le cattiverie che aveva detto.

Durante il tragitto però, si sa, l’animo umano è volubile, e Fred finì col non essere poi più tanto sicuro di quello che avrebbe fatto o detto una volta che avesse superato la soglia del regno di Mirtilla Malcontenta. Sperava quasi di non incontrarla o di trovare il bagno occupato da qualche altra persona che gli avrebbe impedito di discorrere in privato col fantasma.

Fermatosi davanti alla porta del bagno si guardò intorno e, non vedendo nessuno, si decise ad entrare.

Come sempre l’unica luce del bagno proveniva dalle bifore della stanza, che permettevano al pallido e timido sole di inizio Aprile di illuminare il pavimento in pietra e di creare giochi di colore con le gocce d’acqua che perdevano da uno dei rubinetti.

L’unico suono della stanza era il pianto che proveniva da uno dei cubicoli; era un pianto disperato che faceva fremere il cuore di Fred perché, malgrado lei lo avesse ferito, lui voleva ancora farla sorridere.

Mosse pochi passi e poi aprì la porticina in legno, ritrovandosi di fronte una Mirtilla Malcontenta accucciata accanto al gabinetto, le gambe strette al petto e il viso nascosto dalle braccia.

Non fu poi molto sorpreso di vederla piangere, in fondo era quello che aveva fatto per anni, senza che nessuno avesse mai provato a confortarla, eppure qualcosa dentro di lui gli diceva di essere parte, in qualche modo, del dolore provato dalla ragazza e voleva a tutti i costi rimediare.

Si sedette accanto a lei, fissandola per alcuni secondi prima di sorridere appena: «Ciao», disse semplicemente, ricevendo come risposta uno stridulo e brusco: «Vattene via».

Fred non si diede per vinto e prese dalla tasca la misteriosa pergamena, rigirandosela tra le mani:

«Io e mio fratello abbiamo rubato questa dall’ufficio di Gazza», disse, sbirciando ogni tanto in direzione del fantasma accanto a sé: «Solo che non riusciamo a capire a cosa serva», continuò, spiegando il foglio davanti a sé: «Sappiamo che nasconde qualcosa, ma non riusciamo a capire cosa, abbiamo provato con tantissimi incantesimi, abbiamo letto libri su libri ma niente, non riusciamo a capire quale sia il suo segreto», spiegò, sospirando appena.

Mirtilla, che avrebbe voluto mostrarsi scontrosa e antipatica come al solito, non poté fare a meno di sorridere: «Io conosco questa pergamena», disse, mostrando a Fred il suo viso rigato da trasparenti lacrime: «È opera di alcuni ragazzi... saranno passati vent’ anni da quando l’ho vista per l’ultima volta in circolazione», aggiunse.

Quando Fred si voltò sorpreso verso di lei, Mirtilla cercò in tutti i modi di nascondere il suo sorriso, ma ormai il ragazzo l’aveva visto: «Stai sorridendo», constatò lui, con gli occhi che gli luccicavano per la contentezza e l’orgoglio.

«Non montarti la testa», disse lei, brusca, voltando il capo dall’altra parte, offesa.

«Sai qual è il segreto della pergamena, quindi?», chiese Fred, guardando con crescente speranza la figura perlacea accanto a sé, lei però continuava a guardare da un’altra parte e nuove lacrime le rigavano le guance.

«Mirtilla, stai bene?», chiese lui, allungando una mano, nel vano tentativo di appoggiarla sulla spalla della ragazza per consolarla, ma si fermò a mezz’aria, conscio che non sarebbe riuscito a toccarla neanche se avesse voluto.

Lei rimase in silenzio per pochi istanti poi, voltando il viso verso di lui, disse: «Mi dispiace per quello che ho detto, non volevo essere cattiva... anzi, non voglio esserlo, ma è più forte di me».

Fred sospirò, poi sorrise: «Ti perdono», disse, togliendosi dal petto un peso che era stanco di portare: «Amici?», propose, sporgendo la mano destra verso di lei.

Mirtilla appoggio le sue dita su quelle del ragazzo, facendo attenzione a non passarci attraverso, e sorrise timidamente: «Amici».

Si guardarono negli occhi per alcuni istanti, poi Mirtilla allontanò la sua mano e si asciugò con la manica della divisa le perenni lacrime che rigavano il suo viso.

Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi persi nei propri pensieri; Fred faticava ancora a credere di esser riuscito finalmente a far sorridere Mirtilla Malcontenta ed era fiero di se stesso e dei consigli di sua mamma dato che, senza di loro, probabilmente a quel punto si sarebbe trovato ancora in camera sua a rimuginare su cosa avesse sbagliato con la ragazza. Mirtilla intanto cominciava a capire quanto le diverse emozioni piacevoli della vita le erano mancate e che voleva continuare a chiacchierare con quel ragazzino, magari non sempre, ma ogni tanto, per sentirsi di nuovo bene. Questo non voleva dire che avrebbe smesso di tormentare chiunque l’avesse presa in giro, o di ridere malignamente delle ragazzine col cuore spezzato che venivano a frignare nel suo regno, o di piangere ogni volta che la nostalgia per la vita fosse venuta a bussare alla porta della sua anima.

«Devi dire: “Giuro di non avere buone intenzioni”», disse lei, guardando la pergamena che il suo nuovo amico stringeva ancora tra le mani: «E poi, quando hai finito, il contro incantesimo è: “Fatto il misfatto”».

Gli occhi di Fred si illuminarono: «Mirtilla, sei una grande!», disse, tirando subito fuori la bacchetta per provare.

«Ora ti dispiacerebbe lasciarmi un po’ sola... non sono abituata a troppa compagnia, rischio di diventare odiosa da un momento all’altro», spiegò lei, stringendosi nelle spalle.

Il ragazzo posò bacchetta e pergamena in una delle tasca della divisa e si sollevò in piedi: «Ci vediamo, allora?», domandò, sorridendo appena.

«Vienimi a trovare quando vuoi», disse lei facendo un veloce gesto con la mano.

Fred, emozionato per aver scoperto l’incantesimo, il contro incantesimo e per esser riuscito a far sorridere l’introversa Mirtilla malcontenta, corse verso la sala comune e poi verso la sua stanza, ansioso di parlare con George e di provare con lui la formula suggeritagli dal fantasma.

Nel frattempo nei bagni, Mirtilla non piangeva, ma rimaneva comunque accucciata sul pavimento su cui era morta anni prima, a guardare il muro vuoto di fronte a sé. Aveva sempre pensato che il pianto fosse liberatorio; che fosse il modo migliore per allontanare da sé il senso di vuoto ed inadeguatezza che si era portata con sè da quando era una semplice e timida ragazza di tredici anni. In pochi mesi invece aveva scoperto che sarebbero stati necessari un sorriso e un’amicizia per sentirsi meglio. Promise a se stessa di non essere troppo scontrosa in futuro, anche se temeva che non ci sarebbe riuscita.

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Capitolo 5
*** Epilogo ***


Epilogo

EPILOGO

{Prima e unica regola di Fred Weasley: sorridere, ridere e amare la vita, sempre}

 

Maggio 1998

 

Mirtilla Malcontenta e Nick-Quasi-Senza-Testa, durante le battaglie, si divertivano a salutare le anime dei defunti – che solo i fantasmi potevano vedere – consigliando loro di non tornare sotto forma di fantasma perché non ne sarebbe valsa la pena e di correre verso la luce.

Così avevano fatto durante la prima battaglia di Hogwarts e così decisero di fare anche nella seconda.

Speravano vivamente di riuscire a convincere tutti ad andare in Paradiso o Inferno o qualsiasi cosa ci fosse dopo la morte, anche perché ritrovarsi come vicino fantasma un crudele Mangiamorte non sarebbe stato carino. Già dovevano sopportare il Barone Sanguinario e il rumore insopportabile delle sue catene, per non parlare dei piagnistei senza fine della Dama Grigia e le battute prive di spirito del Frate grasso.

No, era meglio che non arrivassero nuovi arrivi fantasmi, altrimenti Mirtilla avrebbe trovato un modo per abbandonare il suo caro cubicolo, anche se sarebbe stato difficile, per andare ad infestare qualche altro edificio, magari la Stramberga Strillante...

«Ne arriva un altro», disse Nick, con tono sconsolato, mentre fluttuava sul soffitto della Sala Grande affiancato da Mirtilla, che per una volta aveva deciso di abbandonare il bagno delle ragazze del secondo piano.

«Ci penso io», disse lei con la sua vocetta fastidiosa, abbassandosi per raggiungere Madama Chips, che stava cercando di rianimare un corpo ormai privo di vita.

Accanto al corpo c’era una figura perlacea-trasparente che piangeva e cercava inutilmente di rientrare nel proprio corpo.

«Non puoi», disse Mirtilla, appoggiando una mano sulla spalla del ragazzo che le dava le spalle: «Tutto quello che devi fare ora è seguire la luce».

Quando il ragazzo si voltò verso di lei, la ragazza sentì una forte fitta al petto: «Sei tu», disse semplicemente, riconoscendo uno dei pochi ragazzi ad Hogwarts che avrebbe potuto definire suoi amici.

«Ciao Mirtilla», disse lui, sorridendo appena tra le lacrime: «Sono morto, vero?»

Fred tornò a guardare il suo corpo e il modo affannato e disperato di Madama Chips, che tentava invano di farlo svegliare.

«Temo di sì», disse lei, con gli occhi pieni di lacrime – come al solito, anche se per la priva volta nella sua non-esistenza non piangeva per se stessa, ma per qualcun altro.

Fred annuì appena: «Devo seguire la luce, dici?», mormorò, lo sguardo perso in uno spazio non ben definito di fronte a sé.

«A meno che tu non abbia qualcosa in sospeso», disse Mirtilla, che per la prima volta in vita sua avrebbe voluto che qualcuno diventasse fantasma, così da poter stare insieme ed essere amici per sempre.

«Ne ho di cose in sospeso, ma nulla che potrei portare avanti da fantasma...», sussurrò il volto perlaceo di Fred: «Ho amato la vita, mi sono divertito e ho riso tanto da star male. Non mi resta altro che accettare l’epilogo di questa mia grande avventura, sperando che George non se la prenda troppo con me».

Rimasero entrambi in silenzio per un istante, poi Fred si voltò verso di lei per l’ultima volta: «È stato bello conoscerti, Mirtilla, e ricordati di sorridere ogni tanto. Addio».

Mirtilla, con un groppo in gola non riuscì a dire nemmeno una parola, ma mosse piano la mano, in segno di saluto.

L’istante dopo l’anima perlacea di Fred era scomparsa.

 

 

 

FINE

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