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di onlypain
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ciao a tutti voi, lettori!

Dopo aver letto tante sasusaku, ho sentito il bisogno di scriverne una tutta mia, perciò: eccomi qui!
Sulla sinistra troverete il punto di vista di Sakura, sulla destra quello di Sasuke; più che POV, però, sono delle prospettive sui fatti che accadono, perchè ho deciso di scrivere tutto in terza persona.

Spero che vi piaccia, aspetto di sentirmelo dire da voi!

A presto,

onlypain


PS: il prossimo aggiornamento sarà domenica prossima!




 




Erano passati tre anni dalla fine della Quarta Guerra Ninja e Konoha era più florida che mai. Grazie all’aiuto di preziosi alleati dei villaggi circostanti, il Villaggio della Foglia era tornato al suo vecchio splendore.
 
Il sole brillava alto sulla montagna degli Hokage e si sentiva il vociare allegro, in special modo, dei bambini che giocavano per le strade e dei cittadini che approfittavano della bella giornata per sbrigare commissioni. Sebbene fosse già arrivato l’autunno, quella era una giornata particolarmente calda e allegra, coronata dal turbinio di foglie secche e appassite che andavano a poggiarsi ai piedi di una certa fanciulla dai capelli rosa.
 
Guardava a destra e a sinistra, col sorriso sulle labbra piene e rosee, cercando di memorizzare tutto ciò che accadeva intorno a lei. Ricordava ancora, dopo tutto questo tempo, le condizioni del villaggio subito dopo la guerra e rivederlo come una volta per lei era sempre una gioia. Ricordò quanta fatica e quanto sudore e quanto tempo ci volle per rimettere in sesto, prima di tutto, il centro ospedaliero e il palazzo dell’Hokage e, successivamente, la maggior parte delle abitazioni.
 
Nei primi mesi dopo la fine dello scontro decisivo contro Madara Uchiha, infatti, una buona parte della popolazione di Konoha si era dovuta sistemare in tende scomode e per nulla accoglienti, andando a formare una vera e propria tendopoli; purtroppo, era stato necessario al fine di avere il tempo materiale per ricostruire la moltitudine di abitazioni andate distrutte. Ora, tutti erano felici e la guerra, seppure un ricordo molto doloroso, rimaneva solamente uno spettro.
 
Proprio quel giorno, Sakura si stava recando a fare visita ai caduti, fermandosi dapprima al monumento dedicato loro e, successivamente, al cimitero: infatti, quella era una data speciale. Non direttamente per lei, ma per una persona molto cara che al momento non era presente.
 
Quel giorno ricorreva il quarto anniversario della morte di Itachi Uchiha.
 
 
 

 
Quello era un giorno pieno di ricordi dolorosi, per lui. Rammentava ancora lo scontro avuto con suo fratello e si rammaricava di non avergli dato un ultimo addio come si deve.
 
Perciò era lì. A Konoha.
 
Si era appostato su un grande ramo di un pino proprio davanti alle tombe degli Uchiha, fissando con lo sguardo quel nome, quelle date e quella dedica che, sotto l’esplicita raccomandazione di Naruto, l’attuale Hokage – il loro maestro Kakashi Hatake – aveva ordinato di scrivere.
 
Eroe.
 
Eh sì, suo fratello per lui era sempre stato un eroe, fino a quel momento. Quello in cui era tornato a casa e si era trovato davanti i corpi esanimi dei suoi genitori e il loro sangue sulle mani del suo onii-san.
 
Da quel momento, il suo fratellone, che era stato sempre così protettivo, dolce e premuroso nei suoi confronti, era diventato il suo principale obiettivo.
 
Per anni si era allenato per riuscire a tenergli testa e, alla fine, alla resa dei conti, ce l’aveva fatta. Aveva vendicato la sua gente, i suoi parenti, i suoi genitori e la sua infanzia perduta.
 
Poi, il mondo aveva smesso di girare. O aveva solamente iniziato a girare al contrario. Aveva scoperto la verità e un macigno gli era piombato addosso.
 
Mi hai sempre protetto, onii-san. E io ti ho ucciso.
 
I sensi di colpa l’avevano divorato talmente tanto che aveva cercato sollievo nella vendetta, di nuovo.
 
Voleva radere al suolo Konoha, voleva distruggerla. Poi, la redenzione, il ritorno sulla dritta via, grazie a quelle persone che sapeva non l’avevano mai abbandonato.
Naruto, che si ostinava a volerlo riportare a casa a tutti i costi.
Sakura, che gli voleva ancora bene, ne era certo.
Kakashi - sensei, che aveva sempre fatto parte dei piani di ricerche di Naruto.
 
Era grazie a loro che era tornato, per riportare la pace, per sconfiggere Madara, per pagare i suoi errori. E lui aveva avuto successo.
La pace era tornata sul Paese del Fuoco, Uchiha Madara era soltanto un – brutto – ricordo e lui aveva pagato.
 
Dalla fine della guerra, Tsunade – sama aveva lasciato il posto di Hokage al suo, anzi, al loro maestro. È stato grazie a lui che gli anziani, dopo aver saputo la verità sul conto di Itachi, di Danzo e tutti gli scomodi eventi causati da quella maledetta congiura, hanno accettato di rimuovere quella fastidiosa etichetta di nukenin dalla sua faccia.
 
Merito suo fu anche lo sconto della pena, basata su ore e ore di servizi sociali. Si ricordò di quando sentì il suo maestro pronunciare quelle parole: aveva inarcato le sopracciglia ai limiti delle possibilità umane e assunto una smorfia sprezzante, con le labbra incurvate all’ingiù, come a dire “Io, Sasuke Uchiha, servizi sociali? Tsk!”. Ovviamente aveva subito recuperato il suo contegno, mentre la faccia di Naruto, accanto a lui, si incurvava in un ghigno di soddisfazione e divertimento.
 
Soltanto dopo aveva scoperto che il suo ruolo era quello di aiutare nel ricostruire gli edifici e i palazzi di Konoha andati distrutti e, in fondo, ma molto in fondo, era stato grato a Kakashi – sensei per avergli dato quell’opportunità. In quel modo, poteva riscattarsi, poteva dimostrare – anche se non avrebbe mai ammesso che per lui fosse necessario – che era cambiato, poteva chiedere perdono agli abitanti del villaggio e sarebbe stato perdonato.
 
Peccato che così non fu.
 
Solo poche persone, infatti, si erano ricredute su di lui.
La rimanente parte pensava che lo facesse soltanto perché era costretto; questo era anche vero, ma nessuno di essi era giunto alla conclusione che poteva anche lasciar perdere e andarsene. Dopotutto era Sasuke Uchiha, poteva fuggire quando gli pareva e quando avesse voluto.
 
Tuttavia, non lo fece e lavorò duramente, fianco a fianco con altri uomini, finché non ebbe terminato le ore che gli avevano assegnato.
Aveva ripagato il suo debito con Konoha.
Si sentiva libero, finalmente.
 
Poi, una notte, dopo aver fatto visita alle tombe dei suoi genitori e di suo fratello, scomparve. Perché Konoha non era più niente per lui e lui, dopotutto, non era nulla per Konoha.
 
Tornava solo quel giorno, per chiedere, ancora una volta, perdono a suo fratello e per riportare alla mente la memoria della sua famiglia, quando era ancora tutta unita, sorridente, felice. Ogni anno, da quando aveva lasciato il suo villaggio, tornava di soppiatto e si metteva comodo su un pino a pensare.
 
Stava attento a non farsi vedere, perché già sapeva che, se fosse stato visto – o meglio, se Naruto o Sakura l’avessero visto – l’avrebbero tormentato fino a farlo rimanere.
E lui non voleva. Perché il villaggio non era più casa sua.
 
Venne distolto dai suoi pensieri da un urlo lontano, un grido da bambinetta, di quelli che si fanno quando si è piccoli e si sta giocando.
Fu in quel momento che si accorse di una persona che stava entrando nel cimitero, una persona che lui conosceva bene e che gli fece perdere un battito.
 
Sakura.
 
Ho soltanto paura che mi scopra” si disse, giustificando in tal modo il battito lievemente accelerato del suo cuore. Tuttavia, non perse un solo movimento di quella figura che, lentamente, si dirigeva proprio in quella direzione.
 
Sasuke si spostò silenziosamente più in alto, nascondendosi tra le fronde dell’albero e accucciandosi per non essere scoperto. Iniziò ad osservare attentamente la sua – ex – compagna di team, che, da quando era partito, era cambiata molto.
 
Ora, la ragazza camminava dritta fra le lapidi delle vittime della guerra, con il portamento degno di una donna, con lo sguardo fiero davanti a sé, mentre i lunghi capelli – cresciuti fino ad coprire, di nuovo, lo stemma del suo clan – ondeggiavano passo dopo passo.
 
 
La sua figura, armoniosa e aggraziata, si fermò a un certo punto, di botto, tanto che Sasuke pensò che lo avesse sorpreso a spiarla, ma, qualche secondo dopo, la vide accucciarsi davanti a due lapidi e accarezzarle con la punta delle dita.
 
Il ragazzo strinse gli occhi e si sforzò di leggere i nomi dei due caduti; quando ci riuscì, sobbalzò: che stupido, erano i suoi genitori, deceduti per mano di ribelli fedeli a Madara.
 
Fissò la schiena della ragazza, aspettandosi di vedere un lieve tremolio, segno dei singhiozzi e delle lacrime – facili - che, fin da piccola, l’avevano resa una bambina insopportabile, piagnucolona e, sì, noiosa, ai suoi occhi.
 
Non scorse alcun movimento, anzi, rimase piacevolmente sorpreso quando la vide alzarsi e voltare lo sguardo – uno sguardo verde acceso, brillante e lievemente  lucido – a uno stormo di corvi che si erano appena innalzati al cielo con un piccolo sorriso sulle labbra.
 
Rimase in quella posizione per diversi secondi e lui ne approfittò per studiarla: ricordava ancora quando, durante le brevi uscite del team 7, incluso quel suo rimpiazzo, quel bamboccio con un sorriso perennemente falso e dalle pessime osservazioni, Sakura si arrabbiava e lanciava occhiatacce e pugni a Sai – che diavolo di nome è Sai?! – poiché lui ironizzava sulle sue forme.
 
Doveva dire, però, che, nel complesso, le forme della sua – ex – compagna di team non erano niente male; anzi, era ben proporzionata e a lui non sarebbe dispiaciuto …
Cosa, Sasuke? Cosa non ti dispiacerebbe farle?
 
Arrossì lievemente a quel pensiero, mormorando un “Tsk!” e distogliendo lo sguardo d’onice dalla ragazza, controllandone comunque i movimenti.
 
Perciò si sorprese non poco vedere che si dirigeva dalla sua parte, puntando le lapidi degli Uchiha; Sasuke trattenne il fiato, non sapendo che pensare. Che diavolo andava a fare là?
 
Pensò di essere caduto in un’illusione da parte di qualche nemico vedendola fermarsi proprio davanti a quella tomba. Forse Madara non era stato sconfitto? Forse l’aveva imprigionato in una dimensione parallela?
 
Quando la sua voce gli arrivò forte e chiara, però, si accorse che stava ancora trattenendo il fiato, che la sua voce aveva assunto un non so che di dolce e materno e che lui non stava sognando.
 
<< Ciao, Itachi – san >>.
 
Inspirò ed espirò più volte, profondamente, con le narici dilatate nell’assistere a quella scena; sentiva il rombo del sangue e il battito accelerato del cuore nelle orecchie. Dovette aggrapparsi con una mano al tronco dell’albero per paura di cadere e di essere scoperto, perché sentiva la testa girargli per quel cumulo di emozioni che lo stavano sopraffacendo.
 
Sorpresa, perché non avrebbe mai immaginato che Sakura potesse spingersi a tanto – gli aveva sempre detto che provava qualcosa per lui, va bene, ma non aveva mai considerato la possibilità che lei andasse a far visita al fratello, che tutti ritenevano ancora essere un traditore.
 
Commozione, perché quel gesto gli dimostrava quanto profondamente le stesse a cuore, mentre lui aveva sempre pensato che si trattasse di un’infatuazione da ragazzina.
 
Paura, perché non aveva mai provato tutto ciò.
 
Appena sentì pronunciare altre parole, però, assunse la sua solita espressione facciale impassibile e ascoltò.
 
<< Eccomi di nuovo qui, anche quest’anno. Te l’avevo detto che sarei venuta, almeno finché Sasuke non si presenterà di nuovo al villaggio. Perché tornerà, non è vero? >>.
 
Quindi è per questo che lo faceva? Perché pensava che lui non tornasse, ogni anno, di nascosto, da suo fratello?
 
Un gracchiare di corvi gli fece alzare lo sguardo al cielo e, subito dopo, restò interdetto nel sentire una lieve risatina provenire dal basso.
 
<< Sì sì, ho capito. Tornerà, prima o poi. Penso che verrò lo stesso quando ci sarà lui, sai? Eri il suo eroe e, secondo me, lo sei ancora, e io tengo tantissimo a lui, perciò tengo molto anche a te. Mi sarebbe tanto piaciuto conoscerti meglio, oltre quella facciata da traditore e assassino >>.
 
Questo lo aveva letteralmente buttato giù. Si dovette sedere, sul ramo, perché gli tremavano le gambe. Interiormente sbuffò, perché non poteva credere di essere messo al tappeto da delle semplici parole. Lui, Sasuke Uchiha, con le gambe che gli tremano.
 
Questo è il karma, si disse.
 
In quel momento, guardando meglio, si accorse che la rosa stava depositando sulla tomba di suo fratello un mazzolino di fiori di campo, legati da un nastrino bianco, che doveva aver avuto sempre in mano, ma di cui lui non si era accorto.
 
Vederla poggiare un leggero bacio sulla punta delle dita e depositarlo sulla dura pietra della lapide di Itachi fu il colpo di grazia per il ragazzo, che scattò in piedi come una molla preparandosi ad andarsene.
 
Nella fretta, però, commise un errore: non tenendo conto che il ramo sul quale era saltato in precedenza fosse più sottile e cedevole dell’altro, questo scricchiolò sotto il suo peso.
 
Sakura si voltò.
 
 
 

 
Sin dall’inizio, aveva avuto la sensazione di essere osservata, ma non aveva notato nessuno né aveva percepito tracce di chakra, seppur flebili.
 
Aveva dapprima fatto visita ai suoi genitori, poi era passata al suo obiettivo: Itachi. Ogni anno, dalla sua morte, si era sentita in dovere di andare a salutarlo e a depositare qualche fiore in suo onore e in ricordo del legame che ancora la univa, inesorabilmente, a Sasuke.
 
Perciò, immersa nei ricordi, era sobbalzata nel sentire quel rumore che, nel silenzio del cimitero, era rimbombato fino a giungere al suo orecchio. Subito dopo percepì qualcosa, una traccia di chakra, per essere più precisi. Il suo.
 
Si girò di scatto, percorrendo le sagome dei pini per scovare la minima traccia del suo passaggio, ma non trovò nulla di nulla.
 
Dovette darsi un pizzicotto, per essere sicura che non stesse sognando. Che si fosse immaginata tutto? Dopotutto, si sapeva che, spesso, per quanto si desideri qualcosa, la mente faccia brutti scherzi.
 
Ma no, non poteva esserselo immaginato, non poteva. Quella traccia – molto molto flebile e appena percettibile – di chakra era ancora impressa nella sua mente. E lei aveva riconosciuto subito a chi appartenesse.
 
Poi un pensiero la folgorò e un sorrisetto le comparve in viso.
 
Ma certo, non poteva essere altrimenti. Non era riuscita a trovarlo, ad accorgersene per un semplicissimo motivo.
 
Lui era Sasuke Uchiha.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ben ritrovati, lettori!
Innanzitutto, vi ringrazio per le recensioni che mi avete lasciato e per aver messo questa storia fra le preferite, le seguite o tra quelle da ricordare!
Poi...la scorsa volta ho dimenticato un piccolissimo - non tanto piccolo, a dire la verità - dettaglio: questa è una mini-fic!
Quindi questo è il penultimo capitolo!
Non so ancora se ci inserirò un epilogo, fatto sta che domenica prossima posterò l'ultimo capitolo!
Scusate, sono molto sbadata a volte...
Comunque, anche questo capitolo è strutturato come il primo: la prospettiva di Sasuke sulla destra, quella di Sakura sulla sinistra;spero di sentirvi numerosi e che questo capitolo vi piaccia!
A presto,

onlypain











Un anno dopo
 

 
Sakura era decisa. L’avrebbe riportato indietro, a casa.
 
Sapeva – o, almeno, sperava con tutto il cuore – che Sasuke sarebbe tornato anche quell’anno al cimitero, nonostante lei l’avesse quasi scoperto.
 
Conoscendolo, non si sarebbe fatto scrupoli a tornare, dopotutto la famiglia è sempre la famiglia. Conoscendolo, avrebbe pensato qualcosa tipo “Diavolo, sono uno dei nuovi ninja leggendari, sono molto più forte di loro, non potranno mai prendermi” e via dicendo.
 
Pensieri alla Sasuke Uchiha, insomma.
 
Peccato che si sbagliasse. Perché lei, Sakura Haruno, aveva preparato un piano. Per riportarlo indietro. O per partire insieme a lui.
 
Per farla breve: per stare insieme.
 
In quei dodici mesi si era allenata duramente, con l’aiuto di validi ninja, come il capitano Yamato, la signorina Tsunade e anche Kakashi – sensei. Le avevano fatto delle domande, ma che avrebbe potuto dire? Quale miglior motivo di voler diventare sempre più forte?
 
Aveva affinato i suoi sensi, in particolar modo l’udito, e si era esercitata nel captare qualsiasi traccia di chakra; aveva imparato a sfruttare la potenza inaudita del byakugou grazie a Tsunade – sama e aveva messo alla prova il suo corpo.
 
Era determinata a testare la sua resistenza, la velocità fino a stancarsi al punto da non riuscire ad alzarsi dal letto la mattina dopo. Ma lei l’aveva fatto comunque, perché doveva diventare più forte. Come lui.
 
Era anche lei una ninja leggendaria e tutti pensavano che lo fosse. Ma prima d’ora, lei era l’unica a sentirsi, sempre e comunque, inferiore a Naruto e a Sasuke. Adesso non lo pensava più, perché sentiva di essere arrivata al loro livello: lo aveva notato un giorno, quando, in missione, aveva annientato un gruppetto di ninja ribelli con le sue sole forze, prima che i suoi compagni potessero dire una sola parola.
 
Naruto si era complimentato subito per l’operato, come suo solito, e lei, per la prima volta, si era detta “Brava Sakura, ce l’hai fatta”. Da quel momento, si era tenuta in costante allenamento, per essere pronta per quel giorno.
 
Ritornò con la mente alla realtà quando scorse Naruto e Hinata seduti da Teuchi a mangiare del ramen e li salutò allegramente con la mano, passando avanti. Non si fermò perché aveva una missione, forse la più difficile della sua vita, e di certo anche la più importante; sperava di rivederli la sera o il giorno dopo, davanti una tazza di tè, con Sasuke al suo fianco.
 
Strinse piano la presa sul mazzo di fiori che, come tutti gli anni dalla morte di Itachi, portava sulla sua tomba; stavolta, però, gliel’aveva preparato Ino, perché lei aveva da fare. Stava pensando a un piano per riuscire a parlare con Sasuke e a convincerlo a tornare a casa, anche se l’amica credeva che si dibattesse fra un impegno e l’altro all’ospedale.
 
Perciò, Itachi – san, mi dispiace. Avrei voluto farlo io, il mazzo di fiori. Ma avrai qualcosa di più da me, te lo prometto. Avrai tuo fratello nella vostra casa, prima o poi, fosse l’ultima cosa che faccio!
 
Si diresse, quindi, verso ovest, dove si trovava il cimitero. Man mano che si avvicinava all’entrata di questo, il cuore iniziò a batterle sempre più forte, fino a doversi fermare un momento per calmarsi: doveva sembrare tranquilla, come se non stesse succedendo niente, come se non ci fosse nessuno che la stesse guardando.
 
Si impose di mantenere il controllo, inspirò ed espirò profondamente e rinchiuse in un angolino buio della sua mente i brutti pensieri e si concentrò; le vennero i brividi, ma non seppe dire se per il tempaccio di quei giorni o per il suo – probabile ma non sicuro – incontro con il ragazzo che non aveva mai dimenticato.
 
Quando si sentì abbastanza stabile sulle gambe da non insospettire la sua “preda”, varcò la soglia del cimitero come farebbe una qualunque persona che andava a trovare i suoi cari defunti. Mise in allerta i suoi sensi, per captare ogni minima traccia di chakra, di rumore o di odore e, per avere più tempo per raccogliere informazioni ed elaborarle e pensare al da farsi, passò a far visita non solo ai suoi genitori prima di andare da Itachi, ma anche al povero Neji, morto in guerra, al maestro Asuma e al maestro Jiraya.
 
Si soffermò in particolar modo da Neji, in parte perché le serviva più tempo, in parte perché era da tanto che non passava da lui: certo, non erano mai stati molto in confidenza né migliori amici, però era leale e onesto e, come tutte le vittima della guerra, non meritava di fare quella fine.
 
Ricordava quanto fosse stata male Hinata quando seppe che era morto, ma sorrise furtivamente quando le venne in mente che Naruto si era accorto di provare qualcosa di più della semplice amicizia per lei proprio standole accanto in quel brutto momento. Così, l’aveva invitata ad uscire, si erano frequentati per un po’ sotto il rigido controllo del padre di lei e, alla fine, erano diventati una splendida coppia.
 
Lei era comprensiva e amorevole con Naruto e lui era dolcissimo e molto protettivo nei suoi confronti; si completavano a vicenda in un modo tutto loro e Sakura invidiava parecchio il loro rapporto, perché era quello che avrebbe sempre voluto. E, forse, l’avrebbe ottenuto.
 
Passò alle lapidi dei suoi genitori, più vicine, rispetto alle altre, ai pochi pini che costeggiavano il muro di cinta del cimitero.
 
E lo sentì.
 
Era debolissimo, ma si concentrò ancora di più e lo percepì chiaramente. Era lui.
 
Si accovacciò davanti a ciò che rimaneva dei suoi genitori, per riflettere e dare le spalle al punto dal quale sentiva provenire quel flusso di chakra; si sforzò di mantenere la calma, di non agitarsi – per mantenere il battito cardiaco quasi invariato – e di pensare a come agire: forse era meglio avvicinarsi ancora di più, per raggiungerlo più in fretta.
 
Fece un profondo respiro, si alzò e depositò un leggero bacio sulle tombe dei suoi. Poi, con fare noncurante – anche se era consapevolissima dello sguardo del ragazzo su di sé – si diresse da Itachi.
 
Itachi – san, aiutami, ti prego.
 
 
 
 
Eccola. Se la ricordava proprio così.
 
Con i capelli di un rosa pastello così delicato da sembrare quasi naturale, con la bocca piena e rosea, con le gote leggermente arrossate che davano maggior risalto agli occhi smeraldini.
 
Qualcosa era cambiato, però. Non seppe dire cosa, ma ne aveva la certezza. Forse aveva un’aria più determinata dello scorso anno, forse gli sembrava un po’ diversa – fisicamente parlando – forse erano solo i propri occhi che gli facevano pensare queste assurdità.
 
Doveva ammetterlo Sasuke: era da un anno che non faceva altro che pensare a ciò che era accaduto quello stesso giorno, anche se non era successo proprio niente.
 
Più che altro non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Sakura che andava a fare visita a suo fratello, che gli portava dei fiori, che gli parlava, mentre lui se ne rimaneva nascosto, a guardare quella pietra dura e fredda e a rimembrare il passato.
 
Quel gesto l’aveva colpito molto e, anche se il suo orgoglio urlava a gran voce dentro di lui che non era per niente vero, sentiva che ad averlo colpito era stata anche – e soprattutto – lei.
 
Era diventata bella. Molto, molto bella.
 
Arrossì riportando alla memoria quei momenti in cui, pensando a lei, aveva sentito qualcosa e si era sentito uomo. L’aveva sognata qualche volta e aveva provato desiderio.
 
Di averla, di stare con lei e di farla sua, non solo fisicamente.
 
Perciò, quando la vide accucciarsi, sentì di dover distogliere lo sguardo prima di incappare in una situazione imbarazzante e scomoda. La tenne d’occhio comunque, come suo solito, e pensò che tutti i suoi dubbi sul tornare o no, solo quel giorno, a Konoha fossero infondati.
 
Era molto improbabile che Sakura, l’anno prima, l’avesse visto, figuriamoci riconosciuto. O, almeno, questo si diceva l’Uchiha per non cedere a inutili preoccupazioni e nervosismi.
 
Certo, lo scricchiolio del ramo sul quale era poggiato era arrivato alle sue orecchie e aveva attirato la sua attenzione, ma lui era balzato via in fretta senza guardarsi indietro, velocissimo.
 
Con la cosa dell’occhio, vide la ragazza rialzarsi, lasciare un bacio ai suoi genitori e tornare – anche questa volta – da Itachi.
 
Sasuke guardò il cielo: non seppe dire che ore fossero, perché quelle nuvole plumbee nascondevano del tutto il sole, ma capì che fosse passato un bel po’ di tempo da quando era arrivato, la mattina presto.
 
Dopo qualche oretta, aveva visto l’Haruno comparire nel cimitero e, guardandola mentre si dirigeva lontano da lui – da Itachi – e da sua madre e suo padre, si era chiesto il perché: aveva aguzzato la vista, aveva attivato, per un attimo solo, lo sharingan e aveva riconosciuto i nomi sulle lapidi dove lei si era diretta.
 
Quel ragazzo, lo Hyuuga, si ricordava che fosse deceduto in battaglia; per quanto riguarda gli altri due, il maestro e il ninja leggendario, non sapeva nemmeno che fossero morti.
 
Tornò con lo sguardo e con la mente alla ragazza davanti alla tomba di suo fratello e si perse di nuovo nella sua contemplazione.
 
 
 
 
Ecco, ci siamo.
 
Il cuore di Sakura ormai batteva all’impazzata e le sue gambe avevano ricominciato a tremare. Lo sentiva vicinissimo.
 
Salutò a voce alta Itachi – san, come aveva sempre fatto, ma continuò a parlare con lui dentro di sé, nella sua mente, perché sentiva di doverlo pregare, di dovergli chiedere di essere con lei in quello che stava per fare.
 
Ti prego, Itachi – san, aiutami a riportarlo a Konoha.
 
Fa’ che sia sempre lui, quel ragazzino che era prima che iniziasse tutto ad andare storto e di cui mi sono innamorata.
 
Dammi una mano, te lo riporterò indietro, da te.
 
 
 
 
Sasuke si chiedeva perché Sakura rimanesse zitta. Che avesse capito che c’era lui in ascolto, a spiarla, vicino a lei?
 
No, è impossibile, si disse.
 
La osservò attentamente, mentre lei continuava a dargli le spalle, e si accorse che stava poggiando il piccolo mazzo di fiori davanti a lei, chinandosi.
 
Sasuke arrossì e mormorò un’imprecazione a denti stretti, distogliendo lo sguardo.
 
Poi accadde.
 
 
 
 
Sakura si decise: era giunto il momento.
 
Lanciò un bacio con la punta delle dita al monumento commemorativo di Itachi e lentamente si chinò – sentiva bruciare la schiena sotto lo sguardo di lui – e depositò i fiori sulla pietra grigia e fredda.
 
A quel punto, sentì qualcosa. Qualcosa che aveva detto lui.
 
Sembrava un’esclamazione, le era parsa come un’imprecazione.
 
Rialzandosi, decise di agire. E agì.
 
Velocemente, si girò, corse per darsi lo slancio e saltò; balzò proprio su un ramo dietro di lui e ghignò quando, dopo pochissimi secondi, lui scappò.
 
Mantenendo gli occhi saldi su quella schiena forte e muscolosa, si lanciò all’inseguimento.
 
 
 
 
Stava ancora tentando di riassumere il controllo del suo corpo – nervoso ed eccitato – quando, con la coda dell’occhio, captò un movimento velocissimo.
 
Riportando lo sguardo sul punto in cui lei stava in piedi, pochi attimi prima, non ci trovò nessuno.
 
Dove … dove diavolo è andata?!
 
Poi si irrigidì, a tal punto che i muscoli della schiena e delle spalle, intorpiditi dal lungo appostamento, si fecero sentire sonoramente. Era dietro di lui!
 
Mi ha scoperto.
 
Scappa, Sasuke, scappa più veloce che puoi.
 
Con un movimento quasi impercettibile ad occhio nudo, aggirò la ragazza e corse. Saltava di ramo in ramo, correndo sul tetto di qualche casa quando se le trovava davanti, lanciando talvolta uno sguardo dietro di sé: la rosa gli stava alle costole.
 
Correndo, giunse presto ai confini di Konoha e, senza farsi vedere dalle guardie appostate alla grande entrata del villaggio, sparì nella fitta foresta.
 
Sperava di seminare in fretta la giovane kunoichi, ma, concentrandosi, percepì ancora la sua presenza dietro di lui.
 
Da predatore, sono diventato preda, diamine!
 
Attivò lo sharingan e cercò un posto dove potersi nascondere o dove poterla ingannare, perché non voleva arrivare allo scontro corpo a corpo. Era una sua vecchia compagna di team, dopotutto! Era quella stessa ragazzina che lui e Naruto, sia nelle vecchie missioni quando erano ancora un team unito e affiatato, sia nello scontro con Madara durante la guerra, si ostinavano a proteggere, facendole da scudo con i loro corpi. Non poteva assolutamente pensare di battersi con lei.
 
Ma se hai tentato perfino di ucciderla!
 
Se proprio sarà necessario, allora la affronterò, si disse il ragazzo.
 
Scosse la testa a quei pensieri e si concentrò: se la ricordava meno forte, pensava che sarebbe stato facile far perdere le sue tracce, ma dovette ricredersi quando la vide correre al suo fianco.
 
La guardò intensamente, con uno sguardo di sfida, e lo sorprese notare un sorrisetto astuto sulle sue labbra. Il cuore, anche a causa della corsa – soprattutto, gli disse l’orgoglio – aumentò considerevolmente il battito, tanto che Sasuke non riusciva a sentire altro se non quello.
 
Spinto dalla paura e dal panico, deviò a sinistra, accelerando il passo, ma dovette fermarsi all’improvviso quando Sakura gli comparve proprio di fronte, così velocemente che, se non fosse stato attento, le sarebbe andato addosso.
 
<< Adesso basta, Sasuke >> disse la rosa, sbarrandogli la strada con le braccia.
 
La guardò negli occhi e vi lesse decisione, determinazione, furia e pensò che aveva il suo stesso sguardo di anni e anni prima, quando lui aveva in mente un obiettivo.
 
Adesso anche lei ne aveva uno.
 
E capì di essere in trappola.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Bentornati, cari lettori!

Come vi avevo già anticipato, questo è l'ultimo capitolo e, ahimé, non ci sarà un epilogo...ce ne sarà una raccolta intera!

Ta-daaaaan!

Siccome sono un'inguaribile romantica, non potevo mica limitarmi a un solo momento sasusaku! Perciò ho deciso che farò una raccolta di flash-fic in cui racconterò la "fine" di questa adorabile coppia!

Ancora devo decidere quali momenti inserire in questa raccolta, quindi ancora non so dirvi quando pubblicherò il primo "epilogo".

Ma ora passiamo a questo, di capitolo!

Ho paura che Sasuke sia leggermente OOC e che sia un po' troppo sdolcinato come capitolo (non per me u.u), ma spero che vi piaccia comunque!

Infine, grazie a tutti coloro che hanno inserito la mia storia tra le seguite, le preferite o tra quelle da ricordare, a chi mi ha lasciato una recensione e a chi ha letto solamente!! Grazie di cuore a tutti voi!

A presto,

onlypain

<< Adesso basta, Sasuke >> disse la rosa, sbarrandogli la strada con le braccia.

 

La guardò negli occhi e vi lesse decisione, determinazione, furia e pensò che aveva il suo stesso sguardo di anni e anni prima, quando lui aveva in mente un obiettivo.

 

Adesso anche lei ne aveva uno.

 

E capì di essere in trappola.

 

 

 

 

Lo guardò negli occhi e, vedendolo riprendere fiato mentre valutava l’avversario – lei, quella volta - si soffermò a guardarlo per pochissimi istanti.

 

Era cresciuto ancora, era cambiato da quando lo aveva visto l’ultima volta, al villaggio, il giorno prima che partisse.

 

I lineamenti del viso, se possibile, erano ancora più squadrati e aguzzi, della stessa carnagione pallida, perlacea che lo aveva sempre contraddistinto. Gli occhi neri – che, durante la corsa, si erano dipinti di rosso – erano impassibili e la scrutavano nella stessa maniera in cui lo stava facendo lei. I capelli scuri erano una massa indomita che troneggiava sulla sua testa, ribelle come lo era sempre stata.

 

Il suo sguardo scese lungo il naso dritto e si soffermò per qualche istante di troppo sulle labbra pallide e sottili; la ragazza si rifiutò di arrossire e di mostrare – ancora una volta – l’effetto che lui le faceva, anche se non poteva negare le innumerevoli volte che si era estraniata da ciò che la circondava per immaginare il loro primo bacio, il suo primo bacio in assoluto.

 

Destandosi dai suoi pensieri, si prese ancora qualche secondo per squadrarlo dal collo in giù, anche se ci trovò solo e soltanto muscoli, muscoli e ancora muscoli – non che fosse un male.

 

Sasuke doveva essersi allenato duramente per ottenere un corpo solido come quello: la stoffa della maglia bianca si tendeva sulle spalle e lasciava scoperta una porzione di petto maggiore di quanto ricordasse; le gambe erano più muscolose di quattro anni prima e, in quell’assurda posizione di attacco, lo facevano sembrare enorme e, soprattutto, pericoloso.

 

Fu proprio la posizione che il ragazzo aveva assunto a portare Sakura ad alzare gli occhi sul suo viso; tuttavia, non si aspettava quello.

 

Non si aspettava di trovare i suoi occhi rossi.

 

Cercò di sottrarsi a quella morsa che le stavano procurando – che lui le stava procurando – ma si arrese quando capì di non essere più nella foresta. Ora era in un’altra dimensione, da sola.

 

Si guardava intorno, freneticamente, non perché avesse paura di qualcosa, ma perché aveva paura di quello che sentiva. Una sensazione la stava divorando dall’interno.

 

Sentiva un senso di ansia, panico, desolazione. Abbandono.

 

A quel punto, davanti a lei, comparve Sasuke con la solita espressione neutra in faccia e lo sguardo cremisi puntato su di lei. Poi ghignò e dei corvi la attaccarono.

 

Sakura iniziò a urlare e a divincolarsi, per cercare di nuovo – sempre e comunque – il ragazzo con lo sguardo. Allora i corvi la liberarono dalla loro presenza e lei, con orrore, si accorse che i corvi provenivano dal corpo di Sasuke, il quale si stava dissolvendo con lo stesso stupido sorrisetto. Come Itachi.

 

Il nome di Itachi le fece scattare una molla nel cervello e rammentò la promessa che gli aveva fatto.

 

Lo riporterò indietro, Itachi, da te.

 

Allora urlò e, con i polmoni in fiamme, si scaraventò contro la figura del ragazzo, con il pugno in aria, pronta a calarlo su di lui.

 

E, subito, si ritrovò nella foresta, ansimante, con il pugno ancora per aria.

 

Diede un’occhiata all’avversario, che aveva abbandonato lo sharingan e la scrutava leggermente sorpreso ma in allerta, in attesa della sua prossima mossa.

 

La rosa fece ricadere la mano lungo il fianco, sciogliendo la stretta delle dita sul palmo, e, subito dopo, la fece passare tra i capelli, sospirando. Guardò attentamente Sasuke per un istante e poi mosse un passo, poi un altro e un altro ancora.

 

Voleva arrivare davanti a lui, vicinissima, per guardarlo negli occhi e chiedergli – supplicarlo – di tornare insieme a lei a Konoha. Il suo orgoglio le urlava di non farlo, di attaccarlo, di dargli una bella lezione, perché l’aveva attaccata, l’aveva fatta soffrire, se lo meritava.

 

Ma lei continuava a camminare, calma e tranquilla.

 

L’Uchiha, tuttavia, non era della stessa opinione, a quanto pareva, poiché assunse una posizione di difesa, con una mano poggiata sull’elsa della sua katana. Sakura lo ignorò e continuò ad avvicinarsi, lentamente, per non dargli l’impressione di volerlo attaccare.

 

Dovette dargli l’impressione sbagliata, però – o Sasuke era davvero molto stupido – perché, in un lampo, egli sfoderò la lama e si diresse correndo verso di lei, con fare minaccioso e l’intenzione di attaccarla.

 

Sakura sbuffò – ma perché gli uomini devono essere così cretini?! – e, quando se lo ritrovò davanti, bello come un dio, lo superò con un balzo, atterrando alle sue spalle e voltandosi subito a fronteggiarlo. Lui si girò fulmineo e roteò la katana per attaccarla, sfiorandola sul fianco e strappando la casacca rossa. Un rivoletto di sangue sporcò l’indumento e Sakura si infuriò – non per la casacca rovinata, ovviamente.

 

Trovandoselo di fronte, gli tirò un poderoso calcio nell’addome, che il ragazzo non poté evitare perché troppo concentrato su di lei, e lui venne sbalzato all’indietro, volando per parecchi metri.

 

La ragazza lo seguì e, mentre il moro era ancora per aria, prendendolo per il collo senza stringere troppo, lo sbatté sul terreno, facendogli fuoriuscire dalla bocca peccaminosa un lamento di dolore. Spostò la mano dal collo alla maglia e, stringendola nel pugno, gli gridò contro: << Smettila, stupido che non sei altro! >>.

 

 

 

 

Lui incatenò i suoi occhi a quelli della rosa mascherando la sua incredulità e stette lì, fermo, per terra, bloccato da una femmina.

 

Già se lo immaginava: Naruto che lo derideva e sghignazzava nel sentire che era stato steso da Sakura. In sua difesa, però, poteva dire che la ragazza non poteva essere considerata normale, per via della sua forza.

 

Per un momento pensò di dimenarsi e ribellarsi sotto la sua presa, giusto per dare l’impressione che non gli andasse a genio il fatto di essere sottomesso da una donna. Tuttavia, lasciò perdere, perché, dopotutto, a lui piaceva.

 

 

 

 

<< Adesso parliamo, noi due >>.

 

Sakura se ne stava in piedi, davanti a Sasuke seduto per terra, che lei aveva gentilmente liberato dalla sua stretta. Lui aveva raccolto la sua katana e la stava ripulendo in silenzio, quando la ragazza esordì con quelle parole.

 

La guardò con un sopracciglio arcuato e lei, per fargli capire che non c’era nulla da ribattere altrimenti lo avrebbe volentieri sbattuto un altro paio di volte per terra, si mise le mani sui fianchi. Subito dopo, però, se ne pentì.

 

Aveva sfiorato la ferita sul fianco destro, che, nonostante fosse leggera e superficiale, aveva iniziato a bruciare; guardò male la persona davanti a lei e si passò la mano destra sul taglio per sanarlo con il chakra.

 

Pochi secondi dopo, quando si disse soddisfatta, alzò lo sguardo dalla pelle di nuovo perfetta e sorprese il ragazzo a fissarla ardentemente; non riuscì a interpretare quello sguardo, ma si scoprì turbata da quel gesto. Non l’aveva mai guardata in quel modo…

 

Sakura si accovacciò per poter essere alla stessa altezza dell’Uchiha, non distogliendo gli occhi da lui. Era un piacere guardarlo dopo così tanto tempo!

 

<< Come stai? >> gli chiese con voce malferma. Alla fine la preoccupazione aveva avuto il sopravvento sulla rabbia, ti pareva!

 

Vide la strana – e buffa – espressione che assunse per qualche momento il ragazzo; doveva essere rimasto sorpreso da quella domanda, si aspettava una predica, forse?

 

Non ci mise molto, comunque, a riprendersi e a rispondere con un “Mph”. Ah, quanto le erano mancati quei mormorii!

 

Alzò gli occhi al cielo e si sedette anche lei sul suolo umido; era piovuto l’altro giorno e, molto probabilmente, sarebbe piovuto anche quel dì. Sperava solo di tornare a casa in tempo.

 

<< Dai, dico sul serio. Siamo stati tutti in pensiero per te, in questi anni. A me e a Naruto sei mancato molto >> riprovò la ragazza, non ottenendo alcuna reazione da Sasuke se non che abbassasse lo sguardo sulla lama che teneva in grembo, continuando a pulirla.

 

Seguì un momento di silenzio, in cui si fecero sentire solo quel vento fresco tipico dell’autunno e il frusciare delle foglie. Sakura stava valutando se andare dritta al punto o se girare attorno alla questione, quando Sasuke alzò la testa di scatto e la guardò infastidito.

 

<< Che cosa vuoi da me, Sakura? >> le disse con astio, ma la sua mente, più che sul tono, si soffermò sul suo nome detto da lui.

 

Lo aveva detto lentamente, in un modo che a lei era sembrato sensuale, anche se la sua ragione le suggeriva che, in quella situazione, ci fosse ben poco di sensuale. Per parecchi secondi, così tanti che il ragazzo si spazientì, quel suono le vorticò in testa e, solo quando lui abbaiò un “Allora?”, cercò di riprendersi.

 

Decise di essere diretta e lo guardò dritto in volto: << Voglio che torni a casa con me >>.

 

L’Uchiha impallidì ancora di più, se possibile, e, con uno “Tsk!” sprezzante, si alzò.

 

<< Casa, dici? >> disse, con tutta la calma del mondo. Sakura lo imitò, alzandosi da terra lentamente. Annuì velocemente, chiedendosi come gli fosse possibile non mostrare alcuna delle emozioni che gli vorticavano dentro.

 

<< Io non ce l’ho più una casa! >> sibilò il ragazzo all’improvviso, rivolgendole un’occhiataccia con espressione dura.

 

<< Sasuke, non dire così… >> lo implorò lei, devastata dal sentire quelle parole.

 

<< Smettila! >> tuonò imperioso, lui. Facendo vorticare la katana in aria fra di loro, la rinfoderò e il sonoro scatto dell’elsa che sbatteva contro il fodero della lama riempì il silenzio che era sopraggiunto sulle loro teste.

 

Nello stesso momento, un fulmine si librò nel cielo e a Sakura ricordò tanto la tecnica che Sasuke aveva imparato dal loro maestro. Passò qualche secondo carico di tensione e il rombo del tuono rimbombò sulle loro teste, fra gli alberi delle foreste.

 

Guardò Sasuke e si maledì interiormente quando non vide più nessuno davanti a lei, ma divenne di pietra quando una mano pallida e callosa proveniente dalle sue spalle le bloccò il collo, in modo che potesse guardare solo davanti a sé.

 

Il ragazzo l’aveva bloccata in quell’assurda – ma che le faceva venire le farfalle nello stomaco – posizione; lei, in quel modo, riusciva a sentire tutti i suoi muscoli del petto e dell’addome e arrossì leggermente.

 

Lui si avvicinò con il viso al suo orecchio destro e, dopo averle fatto una carezza lungo il collo scoperto con quella stessa mano che la teneva ferma, sussurrò lentamente con tono brusco: << Konoha non è più la mia casa >>.

 

Detto ciò, l’Uchiha la liberò dalla sua presa. Si aspettava di sentirlo andare via, ma lui rimase fermo lì, immobile, come se non volesse davvero andarsene.

 

Sakura sentì gli occhi pieni di lacrime e alzò gli occhi al cielo; non riusciva a capire se l’avesse fatto per trattenerle o per pregare ancora una volta Itachi di non farle questo, di renderla finalmente felice, perché lei aveva sofferto tanto, troppo e sentiva di meritarsi la felicità con la persona che amava, che aveva sempre amato.

 

Un tuono esplose di nuovo sopra di loro e qualche goccia di pioggia andò a posarsi sulla fronte di Sakura, sulla guancia sinistra, sulle sue labbra. L’odore di pioggia e la freschezza delle poche lacrime cadute dal cielo sulla sua pelle la riportarono indietro, alla realtà.

 

La rosa si ricordò della sua parola, del suo obiettivo e strinse i pugni, voltandosi per fronteggiare ancora una volta l’amato.

 

<< Ti sbagli, Sasuke >> disse con tono deciso, per fargli capire che era convinta di ciò che diceva. L’interlocutore la guardava a braccia conserte, impassibile, in attesa di una spiegazione. Quando passò qualche secondo e lei ancora non aveva aperto bocca, decise di prendere la parola.

 

<< So quel che dico. Perché credi che me ne sia andato? Konoha non è più casa mia, non lo è mai stata da…da quando… >> sospirò pesantemente e Sakura completò la frase nella sua testa. Da quando erano morti i suoi genitori e suo fratello era diventato un traditore.

 

<< Quello che voglio dire è che non voglio vivere in un posto dove non fanno altro che scansarsi quando passo per le strade, bisbigliare quando mi vedono, guardarmi come se dovessi essere morto >> mormorò il moro, sotto lo sguardo colpevole della ragazza.

 

Sì, Sakura si sentiva in colpa, perché non se n’era mai accorta o forse aveva fatto finta di non vedere. Perché non aveva fatto nulla per evitarlo, tipo mandarli a quel paese o rimproverarli.

 

Ma ti prometto, Sasuke, che, se tornerai, mi prenderò io cura di te e non subirai più tutte queste angherie e ingiustizie.

 

<< Perciò non torno >>.

 

Sakura sentì rimbombare come un’eco quelle due parole nella sua mente, fino a farle dimenticare ciò che doveva fare, ciò che voleva dire, tutto.

 

Non torno.

 

Non torno.

 

Non. Torno.

 

<< No! >> urlò, ma un tuono scelse proprio quel momento per sovrastare la sua voce.

 

<< Aspetta, Sasuke! Aspetta! >> gli andò incontro, mentre lui le dava le spalle e iniziava ad andare per la sua strada. Afferrò la sua maglia e lo fece girare bruscamente, in modo da guardarlo in viso, e solo allora si accorse che stava piovendo e che loro erano ormai fradici.

 

<< Devo andare, Sakura >> disse atono lui e strattonò il braccio per liberarlo dalla presa della rosa, ma lei urlò di nuovo un “no!” e i loro occhi rimasero incollati.

 

<< Ti ringrazio per…per Itachi, per avergli fatto visita ogni anno. Grazie >> le sue labbra si soffermarono su ogni singola lettera di quella parola che, per tanto tempo, era rimasta sospesa fra di loro e il cui significato ancora le era ignoto.

 

Che la stesse congedando?, si chiese. Vuole abbandonarmi così? Di nuovo con un “grazie”?

 

<< Ascoltami, per favore >> disse la ragazza in tono sommesso, mollando la presa.

 

Abbassò per un momento lo sguardo e, subito dopo, lo riportò su di lui, che la guardava dall’alto in basso; eh sì, era cresciuto parecchio.

 

<< Un luogo non può essere la tua casa >> mormorò << Konoha non è la casa di nessuno, nemmeno la mia >> il ragazzo sbuffò, roteando gli occhi.

 

Sakura cercò di non dare tanta importanza a quella buffa espressione facciale, una delle poche che aveva mai visto su Sasuke, e continuò a parlare, fregandosene della pioggia e del freddo che si stava impossessando del suo corpo.

 

<< La casa di ciascuno di noi risiede nelle persone a cui teniamo, a cui vogliamo bene, che amiamo >> allungò una mano e gliela passò sulla guancia umida, guardandolo intensamente negli occhi << capisci? La mia casa erano i miei genitori, sono Naruto e i nostri amici,ma anche la signorina Tsunade, il capitano Yamato, Kakashi – sensei… >>.

 

La rosa inspirò profondamente e sganciò la bomba.

 

<< La mia casa sei tu >>.

 

Il moro sgranò leggermente gli occhi, ma non disse niente e allora Sakura continuò.

 

<< Perché vi voglio bene, tengo tantissimo a voi, siete la mia famiglia! >> fece ricadere il braccio lungo il fianco e capì che ancora doveva convincerlo.

 

<< Tu…tu stesso prima l’hai detto! >> gli fece notare. Lui sollevò un sopracciglio, cercando di riportare alla memoria il momento in cui aveva detto una tale sciocchezza.

 

Nel momento in cui lo capì, Sakura lo espresse a parole: << Hai detto che, dopo la morte dei tuoi genitori e-e dopo che tuo…tuo fratello se ne fu andato, non ti sei più sentito a casa al villaggio. Ed è normale, perché avevi perso la tua famiglia, le persone alle quali eri più affezionato; però, prima di allora, non consideravi Konoha come casa tua? >>.

 

Il ragazzo non rispose, non fece alcun cenno finché Sakura, duramente, lo spronò a confermare la sua ipotesi. Lui annuì una sola volta e distolse brevemente lo sguardo, che riportò sulla figura della ragazza non appena lei ricominciò a parlare.

 

<< E la consideravi tale perché era lì che vivevano i tuoi genitori, tuo fratello, i tuoi parenti >> finì il suo discorso con gli occhi lucidi, ma non si vergognò nel farlo notare al ragazzo, anche se, con tutta quella pioggia, non era certa che lui potesse accorgersene.

 

<< Ora, quindi >> tirò su col naso, sentiva proprio freddo << dov’è la tua casa? >>.

 

 

 

 

Eh già, Sasuke, dov’è la tua casa?

 

Chi è la tua casa?

 

Sasuke sentiva che stava per crollare. Troppe, troppe emozioni a cui non era abituato, troppi ricordi che non spolverava da tempo.

 

Vide che Sakura indietreggiava di pochi passi e la sua mano che si tendeva nello spazio fra di loro, con il dorso rivolto al cielo.

 

 

 

 

Prendi la mia mano, Sasuke.

 

 

 

 

Prendila, prendi la mano che ti porge.

 

Torna a casa, torna con lei. Da lei.

 

 

 

 

Coraggio, affronteremo questa vita insieme.

 

Nessuno ci guarderà male, nessuno parlerà di noi malignamente, nessuno più si scanserà al nostro passaggio, perché ci sarò io con te.

 

 

 

 

Non voglio più sentirmi così solo.

 

 

 

 

Non lo sarai più, Sasuke.

 

Vieni con me.

 

 

 

 

Va bene.

 

Verrò con te.

 

Verrò a casa.

 

Sasuke prese la mano che la rosa gli stava porgendo e fece qualche passo nella sua direzione, fino a ritrovarsi vicinissimi, con i nasi che si sfioravano, le mani strette in quelle dell’altro, gli occhi incatenati.

 

Sentiva il profondo desiderio di farle capire che stava facendo sul serio e capì che doveva fare solo una cosa.

 

Seguì il suo istinto e inclinò la testa, avvicinandosi sempre di più al volto della ragazza; la vide socchiudere le labbra e abbassare le palpebre e avvicinarsi piano a sua volta.

 

Quando le loro labbra si sfiorarono, Sakura gemette e il ragazzo non poté non sogghignare dentro di sé, ammettendo, però, che anche lui si sentiva come lei, soddisfatto e, soprattutto, completo.

 

La bocca di Sakura era morbida al punto da fargli perdere la ragione e lui non perse tempo: passò languidamente e lentamente la lingua sul labbro inferiore di lei, per assaporare la dolcezza di quel miele che, lo sapeva, aveva fatto suo.

 

Lei socchiuse ancora di più le labbra e il moro non si fece pregare oltre: infilò la lingua in quella cavità candida, cercando e trovando la sua; al loro contatto, l’aria fra di loro si infiammò e un piccolo gemito della rosa si perse in lui.

 

Portò le sue mani sui fianchi morbidi di lei e, a malincuore, si staccò per riprendere fiato.

 

<< Ti amo >>.

 

Sentire quelle due parole uscire dalla bocca di Sakura gli fece sciogliere il cuore e promise a se stesso che, prima o poi, gliel’avrebbe detto anche lui, perché sentiva che loro due erano fatti per stare insieme.

 

<< Io…io… >> non si accorse nemmeno di aver aperto bocca Sasuke, finché la rosa non lo zittì poggiando la punta delle dita sulla sua bocca.

 

<< Imparerai ad amarmi anche tu, lo so >> gli sorrise dolcemente e, al posto delle dita, lasciò sulle sue labbra un piccolo e dolcissimo bacio.

 

Guardò le iridi smeraldine della ex compagna di team e si compiacque nel vedere un leggero rossore campeggiare sulle gote di lei; tolse le mani dal suo corpo e la prese per mano.

 

<< Torniamo a casa >> disse sommessamente.

 

E, sotto la pioggia battente, due cuori vennero uniti, due persone si ritrovarono e un corvo spiccò il volo.

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