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di Javaadda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Diary ***
Capitolo 2: *** Turn ***
Capitolo 3: *** Gun ***
Capitolo 4: *** Green ***
Capitolo 5: *** Us ***
Capitolo 6: *** Sea ***



Capitolo 1
*** Diary ***


27 agosto

Il mio nome è Noemi Vangelli, ho diciassette anni, e corre l'anno 2014.
Corre perchè il tempo, con me, ha sempre deciso di finir prima.

Ho una vita, che da 5 anni, non è più mia, ma di decisioni altrui. 
Non ho il diritto di scegliere per la persona che sono, devo solo portare a termine un piano, come fosse la ragione che mi tiene in vita. 
Un piano che, mio padre, non è riuscito a compiere.

A soli 13 anni ho imparato a maneggiare una pistola, e a vedere la vendetta come un traguardo.
A soli 13 anni mi hanno insegnato questa vita.

Devo diventare l'antagonista d'un ragazzo, mi han detto.
Consiste in ciò il piano, anzi propriamente consiste nel negare ad un padre, la gioia d'un figlio.
Perchè io ho perso il mio di padre, per questo conflitto.

Provrancore per i Garoti per questo, li odio ormai da ben 5 anni, si.
Ma non al punto d'andare dalla parte del torto, non al punto di diventare tali a loro.

Nonno dice anche che è per un fattore d'onore, che è per mio padre.
Che è la cosa giusta da fare.
Io credo che sia per un fattore d'orgoglio, e che non gli importi più di tanto il resto.

L'orgoglio è predominante, tra queste due famiglie.

Noi dovremmo essere il giusto, ma se fossimo così giusti non staremmo certo a tramare piani d'attacco.
Loro dovrebbero essere sbagliati, ma qua, credo di esserlo anch'io.

Il capo dei Garoti, come dicevo, nel settembre del 2009, ha ucciso il nostro capo, Alessandro.

Era un poliziotto in borghese, seguiva da anni i loro omicidi, ma un giorno divenne il loro colpo grosso.
Era un marito, oltre a quella vita, era un padre, era parte di me.

Alessandro, è il mio vuoto adesso, e l'unica mia ragione di lotta.

Credo che negare un figlio ad un padre, equivalga al mio dolore.
Una volta attuato il piano, ad ogni modo, il vuoto persisterebbe.

Oramai però sono così parte di questa vendetta che non potrei mai uscirne, a così poca distanza dall'attacco, e non dopo tutti quest'anni di preparazione.

Domani inizierà tutto, e quel tutto sarà sulle mie mani.

Mi chiedo se perderò ancor più me stessa, per quella strada.
Se riuscirò mai a trovarmi.
Se è la strada giusta da percorrere, e se troverò qualche briciolo di serenità nel camminarci sopra.

Mi chiedo che forma abbia il viso di quel ragazzo, e se siamo simili seppur con viste differenti.
Legati da macerie, e crolli continui.

Ma più profondamente vorrei chiedere a mio nonno, con quale coraggio si è permesso di immettere sua nipote in questo schifo di vita. 
E quanta forza ci ha messo nel credere che io potessi farcela.

Con più corrompenza chiedo a me stessa, voglio farcela?

Il nome del ragazzo è Lorenzo, trovo assurdo che il paese sia così piccolo da causare problemi, un senso di claustrofobia che ha fatto innamorare mia cugina di lui.

Il suo nome è Lorenzo, e non vorrei conoscere oltre, perché io mi ci perdo nelle persone.
E non so odiarle, solo perdonare ogni gesto, far scivolare le accuse, e giustificare i fatti.

Mi conosco così bene, da farmi paura.

E poi penso a mia cugina, bella e fragile nei suoi capelli mogano e occhi di cioccolato.
E penso se lui, le fa brillare gli occhi. 
Se le fa torcere il corpo dalle risate.
Se le fa incurvare le labbra in sorrisi distratti.
Se lui riesce a farsi amare lo stesso.

Poi penso a mio nonno, dal viso pallido e invecchiato d'un colpo. 
E penso a quanta energia ha sprecato dietro a questa vendetta, quanto tempo perso dietro le persone sbagliate. 
Capisco che anch'io, dopotutto, sono sbagliata per questo ruolo, perché non riesco ad esserne orgogliosa.

Mio padre invece, lo sento depositarmi serenità dall'alto, addolcendomi la posizione delle spalle. 
E penso che, se c'ha speso la vita per questa causa, ne valga forse la pena.

Allora mi dico, che ad ogni modo dovrò farlo, qualsiasi sia il mio volere.
E quindi, gli dico; ad ogni costo, ti renderò onore.

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Capitolo 2
*** Turn ***


Oggi ho diciassette anni, e domani mi crederò migliore.

Probabilmente crederò di poter gestire la mia vita, e di riuscire a prenderne le redini, che ormai da tempo ruotano in mani altrui. Mi crederò capace di abbandonarlo tra queste mura, e fingerò di sentirmi adulta, umana dopotutto. Crederò di riuscire a lasciarmi questa vita alla spalle, e forse un giorno, ci riuscirò sul serio.

Fingerò che andrà tutto bene, anche se non sarà così, ma ne avrò bisogno per andare avanti.

Tra solo poche ore mi raggiungerà l'attesa mezzanotte, e saranno quelle tenebre a segnare la mia libertà. Trovo strano che il semplice e lento scorrere del tempo, ora, abbia assunto così tanto spessore per me.

Il tempo non mi aveva mai fatto paura, prima d'ora.

Distruggerò i piani passati, le pagine che sono state scritte al posto mio, la vita che non mi sono scelta. Osserverò il fuoco lento della carta che brucia, e ricoprirò le mie ferite con la cenere ardente prodotta da quelle parole.

Tutto quello che ho sbagliato, lo so bene anche io.

Mi curerò con le menzogne dette, e quell'amore che non mi sono meritata.

Ma prima, devo completare l'ultimo schema, terminarlo. Non è un evento al quale posso ancora sfuggire.

Percorro la strada che mi condurrà alla sua casa, mura oscure di ricordi.

Io penso, a quattordic'anni non si dovrebbe imparare questa vita. Ci si dovrebbe divertire con poco, ma non con una pistola. Non si dovrebbe credere che la vendetta sia il traguardo di una serie di sconfitte. Eppure si ha l'infanzia che ci danno.

Afferro le chiavi che il giorno precedente avevo sfilato con cautela dalla sua giacca di pelle color nocciola, e apro la serratura. Avrei potuto scassarla ma non volevo presentarmi in casa sua come un'assassina, anche se era mia intenzione diventarlo.

Per questo non me lo meritavo, perché mi aveva insegnato ad amare ogni parte di lui mentre complottavo la sua distruzione, e questo non mi aveva portato a distogliere l'attenzione dallo scopo finale.

La metà di una bugia non fa la verità.

Avremmo potuto cambiarci, ma non avevamo mai preteso così tanto dall'altro. Ci andavamo bene com'eravamo, messi in piedi sul ciglio di un burrone. Potevamo cadere assieme, ed invece sono stata tanto egoista da decidere di farlo cadere solo.

Non è vero che tutte le rose fioriscono. Le nostre sono appassitemarcite insieme al nostro amore. |

Era una serata spenta, il cielo non lasciava intravedere luce al suo interno. C'era un impercettibile silenzio che accompagnava ogni sospiro, ed ogni cosa parlava di lui. Lui che aveva un nome, e nient'altro per me. Lui che era l'imbottitura del vuoto. Noi che eravamo attimi, e respiri trattenuti.

E poi c'era il mondo, che non era più uno. C'era il suo, e c'era il mio.

Il suo corpo, rude e cupo, ed il suo volto in lotta con quest'ultimo. Il riflesso della banalità. Era il suo carattere a rovinarlo. Cercava prede, scelte minuziosamente studiate. Poteva segnarti, o annullarti con un solo contatto. Era l'acqua di un mare in tempesta, era ciò che non volevo essere. Era lineare alle mie aspettative, ma non ci aspettavamo.

Avevo delle regole da rispettare, ed avrei gestito la mia vita in base a quest'ultime. Ero conscia del motivo per cui mi trovavo in quel luogo, lontana dai miei ideali. Ero consapevole che quelle mura dalla struttura instabile, e quel suolo dall'irregolare uniformità, non avrebbero dovuto racchiudere un odore al suo interno. Ero il frutto del mio lavoro, e quella concezione temporale aveva rivestito la mia vita.

Ma era in serate come quelle che avveniva la magia, e il cielo si contornava di una miriade di costellazioni che costituivano lo sfondo neutro al nostro incontro. E le sue labbra che incespicando si schiudevano interrottamente, costituivano il ritmo irregolare del mio respiro. Quello che impercettibilmente mutò l'andamento regolare della sua vita.

I suoi piedi si scontravano periodicamente, rendendo il mio battito nervoso, come se a sollevarli da terra richiedessero uno sforzo di un valore a cui non riuscivo ad intercedere. I suoni si ovattavano ad ogni suo avvicinamento, ed il corrompente rumore esterno mi procurava fastidio all'udito. Ma la sua voce, fece tremare il suolo fino a stabilire la quiete richiesta dal mio corpo.

< Piacere, Lorenzo. > affermò spavaldo. 
Un sorriso solcò il suo volto, e la sua mano sfiorò impercettibilmente la mia. 
< Noemi. > accennai, avvinghiandomi ad essa. Il suo contatto, procurò un'ardente scossa sul mio corpo.

La mia vita aveva uno scopo, portare a termine un lavoro che necessitava di essere concluso, e Lorenzo avrebbe dovuto scriverne la fine.

Aveva i capelli di un biondo cenere, e le sue mani erano pallide come il latte. Il suo sorriso era un'impercettibile linea sbilenca che divideva le sue labbra a metà, e le sue guance accennavano un lieve rossore che alleviava l'impatto dei minuscoli nei presenti sul suo volto.

Era una mappa, dalla quale avrei tentato di estrarre il tesoro.

Il suo corpo, sembrava fremere ogni volta che i miei occhi si stanziavano nei suoi, e il suo sguardo era puro ghiaccio dell'Artico.

C'era una rampa, nella parte posteriore di quel luna park. I lampioni riflettevano la luce sufficiente a distinguere i volti delle marionette che roteavano in essa, senza una meta, ed il buio puzzava di sporco.

Era di un colore sbiadito da cui si intravedevano piccole aste di legno marcio. Aveva una forma circolare che permetteva un inclinazione stabile per i salti con lo skateboard, e davanti ad essa, era posizionata una transenna di ferro barcollante, arrugginita dalla pioggia frequente.

Il suolo era lurido, ricoperto di cenere e mozziconi di sigarette. E quest'ultime giacevano a terra con fare disinvolto come fosse loro permesso prendere parte a quel logoramento.

Distava solo pochi metri dai giochi adibiti ai bambini, ma racchiudeva un pericolo al suo interno. Avevo trascorso l'intera adolescenza a distanza di sicurezza da tutto ciò, a proteggermi da ciò. Restando inerme davanti a quello spettacolo, tentavo solo di evitare il problema.

< Sali? > echeggiò la sua voce alle mie spalle. 
< No. > fremetti, evitando la sua mano alla cieca ricerca del mio polso.

La luce rifletteva una figura innocente estranea al suo corpo, ed osservai la mia ombra allontanarsi da esso. Mi avvicinai alla rampa, e lo affrontai con uno sguardo famelico, come a voler divorare le sue interiora, leggerlo dentro.

Volevo sciogliere i suoi occhi che parevano ghiaccio immutabile a prova di fuoco. E anche se non tolleravo le osservazioni, il suo sguardo puntato sulla mia esile e instabile figura, il suo sorriso compiaciuto come se già calcolasse ogni mia mossa, quegli occhi che credevano di conoscermi già, mi divertivano.

Mi ricordavano chi era.

Frederic invece mi osservava dal sopra di quella struttura barcollante, messa in piedi com'era. Mi porse l'enorme mano che oziava dolcemente nelle sue tasche di feltro, e mi aiutò a salire.

Era alto e muscoloso, incombeva su chiunque a Venturina, per questo non si lasciava intimidire dalle persone. Le sue spalle erano possenti ed il suo sguardo crudo era temibile, il tutto accompagnato da bicipiti scalfiti.

Possedeva una voce capace di demolire schiere di coraggio, eppure non era che un sottomesso, perchè qualcuno lo temeva e rispettava, Lorenzo. Lui, a dispetto di Fred, era minuto ed il suo fisico non era affatto allenato. Deteneva un porto d'armi nella piccola cittadina, e questo gli bastava per condurre una vita da sottomissore.

Lorenzo raggiunse con gesti controllati la mia posizione. 
< Di dove sei? > chiese, evitando il mio sguardo. Rielaborai mentalmente le informazione a cui mi era permesso intercedere, e mi assestai sullo scomodo suolo ai miei piedi. 
< Donoratico. > risposi, sistemando un ciuffo maldestro dietro l'orecchio sinistro.

Non appartenevo a quel luogo, non mi sentivo parte del degrado che mi si estendeva attorno, eppure distesi affianco su quel legno impregnato di fango, tra ragazzi che avevano paura persino di sognare, con gli sguardi persi nel buio della notte, mi sentivo parte di quella generazione che aveva imparato a convivere con la sensazione di poter perdere tutto.

Mi sentivo parte di quella società che non ci prometteva neanche un futuro, mi sentivo uguale a lui.

Infastidita dal silenzio accumulato, decisi di riprendere parola. 
< Elisa? > chiesi insistente, mentre le mie mani roteavano con inelegenza nella brezza estiva. 
< Ci sono andato. > rispose ammiccando un sorriso. 
< Tutto qua? > sbuffai. 
< Non costruirti una figura differente da quella che vedi. > 
Si formò una piccola incurvatura sul lato destro del suo labbro, e controllai la mia mano nell'inevitabile istinto di sfiorarla.
< Non hai da offrire altro? > Girai nervosamente i pollici, in una lotta contro me stessa. 
< No, le persone mi stancano. > Si stiracchiò velocemente le braccia, come ad essere realmente scocciato dalla conversazione. 
< Io ti stanco? > Agitai gli occhi, disturbata dal suo comportamento. 
< Non sei diversa dal resto. > sputò. 
< Neanche te. > Gli mantenni testa, e lui sorrise divertito. 
Si eccitava a vedermi gestire la situazione.

Mi vedeva debole come fossi incapace di difendermi, ma non mi conosceva affatto.

Allungai le gambe, fino a farle ricadere rozzamente sull'inclinazione della rampa. 
< Dicono che sei uno stronzo. > puntualizzai. 
< Si dicono certe cose sul mio conto? > domandò, incurante della risposta che gli avrei dato. 
< Si, lo dicono tutti. > affermai con disinvoltura, come a voler trafiggere con un ago la sua bolla di protezione.
< E ti piace omologarti, Noemi? > ancorò i suoi occhi ai miei, senza chiedere il permesso. 
< Perché dovrei pensarla diversamente? > soffiai, mentre il cielo sembrava finalmente assestarsi sopra di noi. 
< Non sai nulla di me. > sbuffò, in un'impercettibile risata che mi aggrottò la pelle. 
< Ti piace giocare con le persone, e questo mi basta. > sussurrai. 
< Mi piacciono le sfide. > Persi un respiro.
< Che tipo di sfide? > sfuggii al suo sguardo, per riaffrontarlo nuovamente l'attimo dopo. 
Tipo te. >

Il tempo sembrò puntualmente bloccarsi, e con intermittenza la mia mente impostò re-wind
< E che tipo sono io? > Sentii un calore estraneo, affollare il mio volto. 
< Hai paura del buio, ma non delle persone che si muovono in quell'oscurità. > 
< Che vuoi dire? > stridetti. 
< Che alle nostre spalle c'è la luce, e tu hai preferito stare nel buio con me. > disse, e le sue labbra sembrarono trovare l'equilibrio giusto a formare un perfetto segmento. 
< Ti ho preferito al vuoto, non vantarti dell'inesistente. > affermai. 
Il suo sguardo si impietrì bruscamente, colorandosi di un sentimento sconosciuto.

Era Lorenzo, quell'emozione.

Strinse bruscamente le mani in un pugno, e osservai la sua pelle lasciar intravedere le scure vene al suo interno.
< Non ci provo con tutte, se è ciò che ti hanno riferito. > andò sulla difensiva. 
< Non è affar mio. > alleggerii il tono. 
< C'avrei provato con Alessia, se così fosse. > affermò, beffeggiando.

Avrei voluto irritargli la pelle, prenderlo a pugni. Avrei voluto fargli del male, fargli provare i suoi stessi giochi sul proprio corpo.

Non si meritava mia cugina, eppure l'amore ti colpisce, ti penetra, ti disintegra.

L'amore non lo chiedi.

Lo trovi per la strada, per le vie sperdute di un luogo che neanche credi possa appartenerti. L'amore, Alessia non l'aveva cercato in lui.

Affrontai l'istinto di ferirlo, e mantenni un'instabile calma.
< Non te la prendere. > sbuffò, posando una leggera pacca sulla mia spalla sinistra. 
< Non mi toccare. > borbottai. 
< Era una battuta. > si difese, nuovamente. 
< Non era affatto divertente, allora. > Lo guardai come ad attendere un gesto di arresa
< Non ti chiederò scusa, se è ciò che stai aspettando. > Sembrò quasi decifrare il miei gesti. 
< Io non mi aspetto niente da te, Lorenzo. > mentii.

Fece roteare fastidiosamente gli occhi, ed io mi sistemai più comodamente al suolo. 
< Hai intenzione di continuare così tutto la serata? > chiese innervosito. 
< Così come? > brontolai, irritata. 
< Fingi che le mie parole non ti feriscano, ma ti fai prendere da ognuna di esse. > Scandì con disinvoltura le parole, attendendo una risposta alla loro altezza. 
< Il mondo non gira attorno a te. > fissai l'azzurro dei suoi occhi. 
Siamo noi a girare, Noemi. > affermò, e qualcosa nel modo di guardarlo mutò.

-

Spero inizierete ad amare i Loe. Fatemi sapere che ne pensate sotto :)

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Capitolo 3
*** Gun ***


Ad un tratto, mi ritrovai ad osservarlo come fosse un corpo capace di contenere una via d'uscita, uno sbocco, un'opzione alla mia prigionia.

Mi trovai ad assorbire ogni fluido buono della sua materia, e a vederlo sotto la luce della sua vita, prima di ogni scelta sbagliata.

Mi ammutolii per qualche istante, e mi alzai da terra.
< Perché gli altri hanno timore di parlarti? > chiesi, controllando la mia voce.
< La questione è: perché te non lo hai? > rispose con fare rude, sovrastandomi.

Appoggiai la mano sul suo petto per impedire il contatto con il suo corpo, e la sua forza mi impaurì tanto da socchiudere gli occhi.

< Non dovevo. > affermò indietreggiando.
< Scusarsi, è troppo complicato per te? > ruggii.
Mi guardò come fossi sciocca solo a porre una domanda del genere, e rise.

Un risata da paura.

< Sono le persone a scusarsi con me l'attimo prima che prema il grilletto. Non ti sembrano scuse finte quelle? Non mi hanno fatto niente di male, e si scusano lo stesso. Quindi finché non avrò una pistola puntata in fronte, non credere possa ammettere di essere realmente dispiaciuto per qualcosa. > Mantenni la distanza dalla sua figura, quelle parole avevano permesso alla paura di insinuarsi nei miei movimenti.

La mia ombra tremò distrattamente, oppure fu il mio cuore a vibrare.

Si sistemò nuovamente a terra, aveva la testa bassa sul telefono, quando un sorriso incoerente si stampò sul suo volto.

Un sorriso che fa chiedere, perchè ti manifesti sotto questa forma?

Involontariamente mi avvicinai per scorgere lo schermo, era curiosa di sapere il motivo di cotanta felicità.
Stava guardando le foto di una ragazza, ma non riuscii a scorgerne il volto.
< Scegli le tue prossime vittime? > chiesi disgustata.
< Sei preoccupata di non essere nella lista? > mi schernì.
< No, sono preoccupata di esserci. > Mi sporsi per togliergli di mano il cellulare, ma era più veloce di me.

Calcolava ogni mio spostamento.

< Fammi vedere. > urlai.
< Tieni. > disse con noncuranza, adagiando il cellulare tra le mie mani.

Lo afferrai osservando la sua reazione, ma quando riconobbi le mia figura stampata su quello schermo, fu lui ad osservare la mia.

< Stai guardando delle mie foto. > affermai attonita, scorrendo le immagini dalla sua galleria.
< Non vantartene troppo. > ridacchiò tra se e se.
< Come sei simpatico. > sputai.
< So di essere bello. > mi guardò con un sorriso compiaciuto, sviando discorso.

Ma non lo era, ed avrei voluto urlarglielo, perchè mi faceva schifo.

Era un disgusto dal sapore agrodolce, che si irradiava tra le labbra, e più stanziava al loro interno, più il sapore di buono aumentava.

Credeva di conoscere ogni cosa, ed io credevo di conoscere lui.
Ma non ci eravamo calcolati, e questo avrebbe potuto cambiare ogni piano.

< C'è di meglio.> affermai.
< Mi fai piangere così. > finse di asciugarsi una lacrima, per poi scoppiare in una risata fragorosa.

In quell'attimo mi accorsi che neanche se aveva il viso coperto dalle mani, e attraverso quei minuscoli spiragli si intravedevano solamente piccole parti di occhi, labbra, mascella.

Neanche mentre rideva in quel modo, con gli occhi leggermente strizzati all'ingiù che diventavano come delle fessure da cui pareva colare l'azzurro del mare, con quelle labbra che si stagliavo su quella pelle bianca procurandole delle leggere pieghe ai lati della bocca, con le guancia rosacee e con quella risata che trapassava i timpani.

Neanche sotto quel cielo che di stelle ne aveva tante, neanche così tanta immensità sarebbe riuscita a sminuirlo.

E non so come riuscii a trattenermi, perché avrei voluto baciarlo.

< Devi smetterla di giocare con le persone, con me. > dissi, annullando l'allegria.
< Sei acida, Noemi. > puntò i suoi occhi nei miei.

Racchiudevano gli uragani degli anni della mia vita.

< Non lo sono! Ma devi capire che non esisti solo te in questo mondo e non tutte cascano ai tuoi piedi. > dissi cercando di mantenere la calma.
< Non voglio che tu caschi ai miei piedi, ce ne sono già troppe. > guardò altrove.
< Allora ricordati di me quando avrai tra le mani una tipa pronta ad aprirti le gambe alla prima parola. Che piacere trovi in una così? > ringhiai.

Le mie mani presero a formicolare, e le mie esili dita si serrarono in un pugno.

< Magari le urla che mi rivolgi, le riserva per il letto. > spiegò, gesticolando disordinatamente con le braccia in aria.
< Va a 'fanculo. > urlai, e gli diedi le spalle infuriata.

Ci siamo scoperti uno strato alla volta come fossimo reperti fragilissimi. 
Fino ad aver paura dell'altro.

< Già a letto? > chiese beffeggiando.
< Lasciami stare. > risposi stizzita.

Mi prese per un braccio e mi fece girare, posizionandosi leggermente alle mie spalle.

< Non mi piacciono quelle tipe, non danno soddisfazione. > disse indicando un gruppo di ragazze disposte di fronte a noi.
< Non mi interessa chi ti piace o cosa te ne fai della tua vita, dovresti solo accettare opinioni diverse dalle tue. > dissi d'un tratto, e il suo sguardo divenne istantaneamente duro.
< Sto accettando le tue opinioni Noemi, anche se vorrei soffocarle. >

< Allora fallo, non ascoltarle, lasciami andare. Perché continui a stare con me? > chiesi, realmente incuriosita dalla risposta, che offuscava la mia mente dal primo istante.
< Siamo amici. > soffiò impercettibilmente, e potei udire il suono lieve delle sue labbra schiudersi in quelle poche parole.
< E questo quando l'hai deciso? > lo osservai.
< Quando ci siamo conosciuti e mi hai stretto la mano, la tua pelle era gelida. > affermò, come impotente davanti ad una situazione di tale calibro.

< Ho costantemente le mani fredde, Lorenzo. > spiegai.
Il mio calore ti completa. >

Il suo sguardo parve perfino innocuo sotto quelle luce offuscate, sembrava un mare dall'acqua limpida ora che la luce ci si risplendeva sopra.

< Riesci anche ad elaborare pensieri profondi, mi stupisci. > scoppiai a ridere.

Osservò l'imperfetto modo in cui la mio bocca produsse una stridula risata, e l'ineleganza con la quale le mie mani si affrettarono a coprire il mio sorriso.

< Se do noia, me ne vado. > fece per alzarsi.
< Ma non nasconderti. > affermò, sciogliendo la presa delle mie dita sul mio volto, sorridendo beffardo.
< Non dai noia. > mi affrettai a dire, azzerando il mio sorriso.

Afferrai la manica della sua giacca e lo avvicinai a me, rudemente.
< Ma abbandona quel comportamento da egoista presuntuoso, puoi essere meglio di così. > chiarii.
< E' bello vedere la convinzione nel tuo sguardo, un giorno svanirà. > sogghignò.
< Sei così convinto di conoscermi. > sbuffai.
< E te così cocciuta da tentare di cambiarmi. >

Era un pezzo rotto, uno scarto, gli mancava qualcosa, tipo me. Ci mancavamo a vicenda, avremmo potuto aggiustarci noi due.

< Non permetterei a nessuno di cambiare per me. > esordii.
< E te cambieresti per qualcuno? > chiese, opprimendomi con il peso del suo respiro.
< Potrei annientare ogni aspetto che regola la mia instabile vita, ma non mi vedo dalla parte del cattivo. >
< Troveresti un retrogusto di freschezza nell'aria che inspira dall'altra parte. > Mi parve quasi di avvertire il freddo nelle ossa, a quelle parole.
< La tua parte? > chiesi, allibita.
< Si, la mia. >
< Stai marchiando il territorio, per caso? > domandai sogghignando.

Un leggero click, scattò nella sua mente.

Ogni muscolo del suo corpo si irrigidì fino a mostrare ogni vena superflua. Potei nettamente distinguere i capillari all'interno delle sue pupille, da quanto il suo viso si avvicinò al mio.

< Ti spingerò a credere che questa via è migliore, che le strade sono più corte e non ci sono incroci da superare. Ti spingerò a credere che non correrai rischi e che il sangue non significherà dolore. Ti spingerò ad annullare ogni emozione, a vivere di terrore fino a renderlo orgoglio. Ti spingerò a nutrirti della paura, e tu crederai che tutto questo sia giusto. Diventerai tale e quale a me, ti sentirai sola ed inutile, quindi vattene. > Il suo respiro era affannato, ma tentava di inspirare lentamente.

A me la voce invece, mi si smorzò in gola, come incatenata da un turbinio di parole senza collocazione.

Era strano, lunatico e bipolare, era già identico a me. Era la pozione imperfetta di caratteri differenti, era un esperimento riuscito male, ed io ne ero la copia spiccicata. Lui era il nero, ed io il bianco, ma quando eravamo assieme, il tutto si fondeva.

< Non posso andarmene. > dissi debolmente.
< Cosa ti incatena qua? Il paese è uno schifo, e le persone, cazzo guarda me, sono perfino peggio. > disse, quasi rimproverando se stesso.
< Non puoi pretendere di conoscere ogni risposta. > Mi trattenni dal controbattere, perché lui non era fondamentalmente uno schifo.
< E tu non puoi pretendere che dia peso ad ogni tua parola. > soggiunse, serio.

< Invece si, lo pretendo. Perché io la sento dentro la tua voce che mi dice che sto sbagliando, che questa parte del buono non mi s'addice affatto. > urlai.
< Ti s'addice, invece. >

Mi disturbava la calma che traspariva dalla sua voce, perché gli urlavo contro e ciò non lo smuoveva affatto, mentre i suoi sussurri, oh, loro si che mi smontavano ogni schema.

< A te no, perché usi questa maschera? > assottigliai il tono.
< Non è una finzione. > ringhiò.
< So cosa significa nascondersi, e tu lo stai facendo. > puntualizzai.
< Il cattivo ragazzo che c'è in me, mi piace. > ammiccò un sorriso.
< A me non piace, invece. > risposi annientando la sua felicità.

Lorenzo non aveva nessuna paura perché non aveva niente da perdere, fino ad allora. Non sentiva la mancanza di un qualcosa perché si era negato la sofferenza, si era giurato di essere felice e forte, come invece non era.

Era la mia copia sputata.

< Vuoi venire con me? > chiese, dondolando freneticamente i piedi sul legno laterale della rampa.
< No che non voglio. > affermai, premendo con forza il palmo della mano sul mio ginocchio scavato.
< Ti mostro che tutta questa non è una finzione, che ci sono cose più grandi in ballo. > Afferrò il mio polso senza attendere risposta, e mi trascinò con foga verso l'uscita.

I presenti neanche ci fecero caso al modo scrupoloso di trascinarmi, evitando di imprimere eccessiva forza sulla mia pelle.

Mi fece accomodare sulla sella della sua moto, la quale vernice nera brillava sotto la luce dei fari delle automobili.
Mi porse il suo casco, e accese il motore.

Non ebbi neanche il tempo di elaborare le strade, che approdammo in un luogo a me sconosciuto.

Tutt'attorno a noi si estendevano dei condomini abbandonati, il grigio era il colore predominante. La luce era soffusa, riuscivo a malapena a focalizzare lo sconosciuto oceano che racchiudevano i suoi occhi. Prese la mia mano, ma la sfilai dalla sua presa e seguii il suo passo veloce. Avvertii il piccolo movimento corporeo con il quale afferrò un oggetto dall'interno dei suoi pantaloni.

Sentii un divampo di calore espandersi nel petto.

< Cosa hai intensione di fare? > chiesi con voce tremante.
< Nasconditi là dietro. > rispose, indicando un grande contatore elettrico.
< No, Lorenzo. Non voglio farlo, e non devi farlo. > blaterai, in preda al panico.
< Non mi permetterei mai di procurarti danno. > disse avvicinandosi a me.

Prese la mia mano, che lentamente dondolava inerme nel vuoto, e mi condusse dietro il possente contatore.

Puntò i suoi occhi sulle nostre mani unite, che si incastonarono come ad essersi richieste a lungo, e sciolsi così imbarazzata quella presa.

< Quando tornerò a prenderti non avrai neanche il coraggio di guardarmi in faccia, ma promettimi che tornerai via con me, dopo sarai libera di andartene. > La sua voce era rotta, come se quelle parole gli pesassero.

Annuii, ed osservai la sua figura muoversi ad agio con un'arma di quel tipo in mano.

Attraversò una porta, che prima di allora non avevo notato avesse una piccola insegna alla sua sinistra.

"Benji's Supermarket"

Sulle mura laterali scorsi una finestra dalla quale potei intravedere il volto mascherato di Lorenzo, la pistola rivestita di una colore nero metallico incastrata tra le sue mani, che soli pochi minuti prima avevano sfiorato le mie.

Il suo corpo sembrava rilassato come fossero movimenti ormai immagazzinati da tempo, abitudinari. Le sue gambe si muovevano frenetiche, e le sue labbra intonavano parole che non riuscivo ad udire.

Puntò la pistola alla testa del cassiere, e notai la bocca di quest'ultimo pronunciare una scusa sussurrata. Le labbra di Lorenzo si incurvarono in un lieve sorriso, prima di premere il grilletto.

Dei piccoli rigoli di sangue imperlarono il volto dell'uomo, ma questo non gli impedì di indossare un sottile guanto di pelle nera e recuperare il denaro dalla cassa. Per quanto tutto ciò mi incutesse paura, il mio corpo bramava un'adrenalina mai avuta al suo interno prima di allora.

Mi incamminai verso l'entrata, ma quella porta sembrava farsi piccola tra le possenti strutture che gli si estendevano attorno. Mi bloccai a metà strada, e la finestra non distava che pochi metri da me.

Contai i passi, fino a toccare il vetro di quest'ultima. Osservai l'interno di quel negozio.

Le pareti erano di un giallo aspro limone, e quasi credetti di avvertire quel sapore tra le labbra. Gli scaffali erano rivestiti da strati di polvere, e sul balcone di mogano bianco, una cornice conteneva una foto sulla quale preferii non focalizzarmi.

E poi c'era un uomo, dietro di esso. Un uomo che ha cessato i battiti, che ha finito il respiro, che ha vissuto i suoi ultimi istanti dietro quel balcone. Ed il giallo brillante alle sue spalle, rifletteva il sangue, anch'esso a suo spregio lucente, che sgorgava colmo di una vitalità che a quel corpo era stata sottratta.

Sentivo i pesanti passi di Lorenzo, avvertivo i brividi che il suo calore procurava al mio corpo, e le sue urla che mi trapassavano gli orecchi, graffiandomi i timpani, ma non riuscivo a muovermi.

< Coooorrri, Noemi. > urlava.

Avrei voluto farlo, precipitarmi sulla moto spenta che non attendeva che noi e i nostri sguardi ardenti, ma non controllavo i miei movimenti.

Mi afferrò per la vita, e con una forza che non gli avrei attribuito, mi condusse fino alla strada sterrata.
Mi adagiò sulla comoda poltrona di pelle, e mi porse il sacco colmo di denaro tra le mani.

Il vento acquisiva mano a mano potenza, i miei capelli sferzavano l'aria, mi ferivano la pelle lasciando sottili tagli su di essa. E così, senza neanche capacitarmene, tentando di acquisire il comando dei miei gesti, tornammo al luna park.

Scese dalla moto, e prese ad osservarmi. Ad osservare una me inerme che aveva degli scopi e delle convinzioni concrete prima di allora, che aveva un'insegnamento alle spalle che avrebbe dovuto preparare a situazioni di tale calibro, che non avrebbe dovuto avere paura, ma che invece era terrorizzata, completamente paralizzata davanti ad un assassino.

< Perché non sei ancora scappata? > chiese.
< Non ho paura di te. E' il tuo modo di essere in conflitto con tutti i miei ideali, a spaventarmi. > sussurrai con voce pacata.

I suoi occhi brillarono nella penombra di quel cielo illuminato, e le stelle ci si rifletterono sopra come fossero specchi. Specchi che in quell'attimo riflettevano la mia immagine in armonia con la sua concezione di lotta quotidiana, che era nettamente differente dalla mia.

< Te sei strana, ma mi piace questa cosa. > ammise.

Non eravamo materiali che potevano essere fusi assieme, eravamo scarti di un qualcosa che lottava contro l'altro.

< Non sei abituato a conoscere ragazze strane? > chiesi.
< Il mondo è bello perché è vario. > rispose solamente.

Eppure stretti dalla lieve brezza della sera, capii che i suoi occhi nascondevano un mondo capace di contenerci.

Capii che dietro quello sguardo c'era una strada che ci permetteva di incrociarci, e che nonostante i tortuosi dossi che la vita ci aveva e ci avrebbe continuato a costruire avanti, noi eravamo uguali.

Due vie da lettere differenti, ma con lo stesso tono vocalico.

< Dovresti avere paura di me, comunque. > ammise.
< Perché dovrei? > chiesi.
< Sarò io a cambiarti. > Mi irrigidii lievemente, ed una leggera scarica di vento mi pervase il corpo.
< Dovrei odiarti, te lo meriteresti. > dissi, mentre ripercorsi mentalmente ogni aspetto che avrei dovuto odiare di lui, convincendomene.

È vero è complicato odiarlo,
nessuno al mondo può negarlo.
Tantomeno quell'oggi io.

< Invece mi parlerai di te. > sussurrò, accovacciandosi di fronte a me. 
< Che ti piace fare? > chiese. 
< Scrivere. > risposi, evitando il suo sguardo gelido.
Scriverai di noi? >

Mi aspettai quasi di avvertire la sua risata, che allora neanche avrei riconosciuto, ma invece il suo sguardo si mantenne serio, e fiero come al suo solito.

Pareva niente e nessuno potesse scalfirlo.

Non esiste un "noi". > puntualizzai.

I suoi occhi si socchiusero leggermente fino a ridurre l'azzurro ad un sottile spiraglio, e si sistemò davanti alla mia figura.

< Ma scriverò di te e di me. > chiarii, e le sue spalle si rilassarono.

-

Se lasciate un commento, mi rendete felice, grazie.

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Capitolo 4
*** Green ***


Il suo corpo era rigido, nonostante la situazione. Un insieme uniforme di muscoli tesi, come fosse impostato a mantenere una posizione di continua difesa. E le sue labbra, assieme alla sua voce, evocavano al contempo un'espressione di equilibrio che contrastava le sue logiche fisiche.

Non c'era un tassello fuori posto, eppure io ero lì.

In un breve attimo, incastonò i suoi occhi nei miei, e quel gesto mi sembrò velato di una bellezza profonda. Come se di occhi come quelli, non ne potessero realizzare migliori. E le mie fragili dita, non sembrarono bramare di meglio che affondare in essi, ed esternare cotanta bellezza, dall'impurezza della sua quotidianità.

< Cosa non ti piace di te? > chiese d'un tratto.

In quel tratto sentii me stessa, affiorare come se dopo quattro lunghi anni, fossi riuscita a sopravvivere. Mi sentivo una tagliente scheggia di legno incastrata tra le costole e lo sterno di uno sconosciuto, che non riusciva ad espellermi.

Ero l'alone di un piano mancato, di un uomo mancato.

E sentivo affianco a me, un'altra scheggia farsi spazio tra la carne lacerata del corpo sconosciuto di cui mi ero impossessata, e quella scheggia era il mio nemico, di fronte a me.

Deglutii, rumorosamente.
< Dedico ogni parte di me a chi amo. > 
< Ed è sbagliato? > socchiuse gli occhi. 
< Potrei innamorarmi e perdere ciò che sono. > sogghignai. 
< Cosa sei? > soggiunse. 
Un'anima dalla forma indefinita, che ha preso vita in un corpo incapace di contenerla. > 
< Te, cosa sei? > chiesi, poggiando il mio peso al lato di un muro dall'intonaco scorticato. 
Sono un corpo senza anima. >

Ci eravamo scelti tra persone, che le scelte le sbagliavano ogni giorno.

Si poggiò al mio fianco, facendo sbattere scoordinatamente, e in modo irregolare, la spina dorsale, fino a farla aderire al muro alle nostre spalle.

< Gli altri hanno paura di te, per ciò che fai? > sussurrai.
< Nessuno sa, oltre te e Fred. > indugiò.
< Lo terrò segreto, se è ciò che mi stai chiedendo, ma ricordati che hai tempo per cambiare strada. > indugiai, di rimando.
< Non posso più tirarmi indietro, Noemi. Sei arrivata troppo tardi. >

Tempestò impetuoso i suoi occhi nei miei.

< E se fossi arrivata quattro anni fa, avrei potuto impedirti tutto ciò? > rabbrividii al ricordo di quell'anno.

L'anno in cui fui privata della mia libertà.

< Quattro anni fa, saresti stata la mia scelta. >

Sentii una fitta allo stomaco, di quelle che ti mozzano il respiro, e ti fanno ansimare. E sentii dolore, a tal punto da maledire il tempo.

Avrei voluto farci sviare le strade poste dinnanzi a noi, le strade che ci avevano portato l'uno contro l'altro.

Le strade che quell'oggi si erano incrociate, consapevoli di distanziarsi nuovamente.

Osservai l'orologio stretto al mio polso, dal cinturino di cuoio color amaranto, e dalle lancette dall'oro comparabile ai miei capelli.

< Devo andarmene. > affermai. 
< Ma è presto. > disse, e le parole gli si smorzarono in gola alla vista dell'orario. 
< Dammi il tuo numero. > affermò.

Afferrai il telefono dalle sue mani e digitai dieci numeri, poi glielo porsi di nuovo.

Le sue dita affusolate, scontrarono il mio palmo gelido, in un breve istante necessario a procurarmi la pelle d'oca.

< Probabilmente non ci rivedremo fino alla prossima estate. > disse, attendendo un mio contro-battito.
< Scommetto che ci rivedremo, Lorenzo.> ammiccai.

Una squillante risata tuonò dalle sue labbra, e quest'ultima comportò l'eco della mia.

Era bella la luce dei nostri sorrisi, la bipolarità della nostra gioventù.

Abbandonai quel luogo che di noi sapeva tanto, ne aveva proprio il sapore, e lo sentivo tra le labbra.

Raggiunsi Alessia alla sua auto, me ne andai con il suo odore incastonato in ogni arto. Lasciai Lorenzo con il cuore colmo di una sensazione di inadeguatezza mai provata prima.

Mi sentivo come se quel luogo che di bello non aveva nulla, fosse il più adatto a noi. Mi pareva che tutto potesse mantenersi solo in posti come quello.

D'altro canto speravo che non potesse continuare altrove.

Era tardi quando il motore si spense e mi ritrovai ad ammirare la dolce e armoniosa struttura della villa di mia cugina. I fiori aleggiavano leggiadri nella fresca brezza notturna, e l'immensa distesa di prato mostrava la rugiada brillare sotto i bassi e tozzi fari che ospitava il giardino.

Alessia aveva i capelli color mogano, che con corrompenza riportarono alla luce il volto del cassiere, seduto a gambe cianche sullo sgabello girevole dietro il bancone.

E possedeva i miei stessi occhi, dal color comparabile alla nocciola.

Ma, al contrario mio, aveva una corporatura minuta. Ogni suo arto era studiato in modo tale da completarne l'altro.

Entrammo in casa sua con cautela, intente a mantenere lo stato di quiete che predominava prima del nostro arrivo, e ci sistemammo sulle lenzuola candide del suo letto matrimoniale.

Ci guardammo, con i volti scavati ed i vestiti ancora avvinghiati al corpo.

Ci guardammo, e ci perdemmo nella presenza di noi stesse, nell'altro.

Avrei voluto farle provare le mie stesse sensazioni, l'adrenalina, il terrore, la sorpresa.

Avrei voluto tanto fare la mossa giusta.

< Stai bene? > chiesi.
< Si, sono solo stanca. > affermò. 
< Non ti merita, lo sai? > sussurrai, trasportata dal suono lieve del vento.
< E te, lo meriti? > stridette.

Cercai i suoi occhi, ma non mi concesse di osservarli.

< Sai perchè lo faccio. > ringhiai. 
< Non avevo capito dovesse nascere qualcosa tra di voi. > Prese a mordersi le unghie, segno di nervosismo che l'accompagnava dall'infanzia. 
< Devo arrivare a conoscere i suoi punti deboli, Alessia. > Allungai la mano per afferrare la sua, ed il suo sguardo lentamente si incatenò al mio.

< Mi dispiace. > ammise.
< Mi dispiace, cazzo. > soggiunse, portando lo sguardo sulla finestra socchiusa.

Si mosse a disagio, si fece piccola tra quelle lenzuola che in sere come quelle non servivano neanche.

< Non scusarti. > soffiai esausta.
< E' difficile stargli accanto? > disse, e sospirò.

Avvertii i muscoli contrarsi sotto il sottile strato di pelle che avvolgeva le miei ossa.

< Si alternano istanti in cui la mia voglia di ferirlo supera ogni mio schema. > ammisi.
< Dovrai farlo, arriverà il momento in cui il tuo rancore troverà una via di fuga. > 
< Quella via non ti piacerà, Ale. > mi distanziai dalla sua ombra.
< Tu non pensare a me. > disse, e sorrise leggermente per alleviare la tensione lentamente ancorata ai nostri sguardi.

Ridemmo assieme, istericamente.

Forse per tutta la sera, oppure solo un'istante prima di cadere sfinite sul materasso. 
Senza una giusta causa e ragione, non ci serviva neanche.

Ed il tempo, per una volta, non mi remò contro, ma viaggiò con me.

Tutto il resto scomparve perchè c'eravamo noi, e ci bastavamo.
E c'era la voglia incontrollabile di proteggersi a vicenda, che ci avvolgeva le ossa.

Ma quando pensai che la ragazza posta affianco a me, sdraiata distrattamente e imperfettamente sul quel letto, dormisse, questa aprì bocca.

< Posso accettarlo.. > biascicò. 
..puoi fingere di esserne innamorata. > 
< L'amore non potrà cambiarlo. > sussurrai.
< Lo so, ma le tue menzogne si. > sospirò, sommessamente.
< Buonanotte, Ale. > le accostai il mento sotto la coperta. 
< Notte. > mi parve di udire, come risposta.

La mia vita aveva degli schemi, era una struttura uniforme di piani. Piani colmi di menzogne, false speranze, giochi di parole. Avevo creduto di vedere il cielo stellato una volta arrivata al traguardo.

Avevo basato i miei movimenti sulla consapevolezza che sarei stata in grado di resistere alle tentazioni.

Avevo creduto Lorenzo non racchiudesse altro che il segno indelebile del sangue dei suo cadaveri, eppure qualcosa mi rincuorava che quella strada non se l'era consapevolmente cercata.

C'era finito dentro, trasportato da una forza maggiore della sua. 
C'era finito dentro, allo stesso modo in cui mio padre, in tempi remoti, era finito sulla strada del buono. 
Allo stesso modo in cui io, sono finita a cercarlo.

E non avevo mai visto le stelle brillare così prima di noi.

Al mio risveglio, i miei pensieri intrecciarono la visione della pistola che aderiva alle sue mani lattiginose. L'impugnatura perpendicolare all'asse della canna, l'assenza di una calciatura fissa, la sua leggerezza, l'agevolezza di ogni suo movimento.

Il mio corpo iniziò a sudare freddo.

Alessia mi accompagnò davanti casa dei miei nonni, e si diresse verso quella dei suoi. Girai la chiava del cancello sgualcinato. La sua pittura bianca mostrava parti scoperte, dalle quali si affacciava il corrompente colore della ruggine. Il viale era contornato da alberi di mandarini, e l'odore di quest'ultimi fluttuava nell'aria afosa.

< Buongiorno. > affermai irrompendo nella sala centrale.

Mio nonno se ne stava sdraiato sul divano di camoscio, rivestito da una coperta color rosa pastello. 
I suoi occhi erano contornati da un giallognolo intenso ed il suo sguardo era spento.

< Come sta? > chiesi, posando un leggero bacio sulla guancia di mia nonna.

Quest'ultima, intenta a sciacquare le poche stoviglie usate, interruppe le sue faccende. 
E posò lo sguardo su suo marito.

< Come vuole il Signore. > affermò, con voce tremante.

I suoi occhi erano imperlati di tristezza e la sua pelle era traslucida.

< Te, come stai? > chiesi rivolgendomi a lei.

I suoi capelli, al contrario del suo solito, erano disfatti e il colore ambrato aveva lasciato spazio alla ricrescita bianca. 
La sua pelle era ricoperta di piccoli ematomi, e il suo volto era invecchiato, lasciando in bella vista le marchiate rughe.

< Non è importante. > ammise.

Non riuscii a sostenere il suo sguardo, perché mi sentii trafitta dal dolore di qualcun'altro, che non era il mio, e non lo volevo. Perché la mia vita era quell'oggi, era presente, e gli eventi altrui mi distraevano dal viverla nel mio volere. E mi sentivo in colpa per sentirmi affranta dal peso della vita che mi derubava mio nonno, ma non riuscivo a evitarlo.

Era come se, in cuor mio, dovessi prendermi a dosso il peso di mia nonna, e trascinarlo con me perché mio dovere alleviarlo. Ma non lo volevo quel dolore, non le volevo altre promesse da mantenere.

La mia vita ne era piena, me ne strabuzzava l'animo.

< Potrei parlare con nonno? > sussurrai.

Lei annuì, e mi diede un sottile bacio sulla guancia, prima di chiudere la porta alle sue spalle.

< Nonno, ho conosciuto suo figlio. Ha ucciso davanti a me, e non sono riuscita a fare niente per impedirlo. >

I suoi occhi si socchiusero per qualche istante, ma mi esortì a continuare.

< Troverò il suo punto debole, ma cosa dovrò compiere una volta che l'avrò tra le mani? >

Le sue labbra si schiusero, ed un sospiro sussurrato disperse il suo alito nella stanza.

< Dovrai sottrarglielo. > soffiò, con un voce talmente sottile da sembrare immaginaria.

Il mio respiro si perse nella sua stessa irregolarità, e mi sentii avvampare il cuore.

< Ciao, nonno. Rimettiti. > urlai, prima di sbilanciarmi in una corsa squilibrata.

Uscii di casa affiatata, quelle mura parevano stringersi ad ogni mio passo, mi mancava l'aria.

Continuai a correre fino ad imboccare le possenti scale che mi avrebbero condotto all'ultimo piano del palazzo di Ivana, la nonna di Alessia.

Suonai il citofono lasciando scivolare la mia mano sudata sul bottone di plastica alla mia destra, ed un rumore assordante invase le mie orecchie. Ivana sorridente davanti al mio esile busto, mi aprì il portone.

Affondai le mie braccia nelle tasche del suo maglione, e mi strinse in un abbraccio confortevole.

Ma appena vidi affiorare un chioma ribelle alle sue spalle, mi avvinghiai alla esile figura di mia cugina, e ogni cosa sembrò colorarsi di verde.

verde era il mio colore preferito, perché non è che segni la speranza, quella no, ce la devi avere dentro.

Ma segna la vita, la felicitàl'eternità di un gesto, e noi eravamo tutto questo.

| Certi luoghi, certi calori, certe persone, ti paiono casa, anche se sei lontana da essa. |

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Angolo autrice: Mi presento belle pimpe, sono Noemi, compio 15 anni a novembre, e adoro scrivere, il mio più grande sogno infatti è pubblicare un libro. Vorrei sapere che ne pensate della storia, perchè per me è davvero importante, e se ci sono errori o passaggi che si comprendono poco, siete pregati di scrivermelo sotto, sono pronta a qualsiasi opinione, ma fatevi sentire perfavore. Ciao a tutte, un bacione. Noemi :)

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Capitolo 5
*** Us ***


Alessia mi condusse nella grande stanza alla nostra sinistra, incorniciata da una piccola porta di legno bianco. Ci avevo trascorso l'infanzia tra quelle mura, ma ogni volta che mi trascinavo all'interno di quella camera, essa mi pareva spegnersi, e affievolirsi pian piano. Ogni santa volta, negli ultimi quattro anni, che ci mettevo piede, il mio cuore sembrava fremere, e tremare come foglie in autunno, con la voglia di volare via, lontano da essa.

Sul mio cuore incombeva il peso della mancanza, della sua nostalgia.

Nelle pareti di cartapesta invece, delle foto erano appese come a far rimembrare in eterno la sua mancata presenza. Come a sprigionare il suo odore, e infettare i miei vestiti di lui. Lui, che era il mio uomo, e continua in me.

Al suo interno delle vesti distintamente ripiegate giacevano sul bordo del letto. Era questo il suo modo di migliorare ogni cosa, credeva, anzi Alessia ci metteva l'animo nello sperare che dei vestiti potessero occupare il vuoto che sentivo dentro. Ma sentivo freddo il petto, non l'armadio.

Mi invitò ad indossarli con la semplicità dei suoi gesti ripetitivi, perché ogni volta, ogni caduta che tempestivamente interrompeva il mio cammino, osava presentarsi con capi nuovi, così dal rendere il mio dolore quasi un vizio.

Così dal renderlo, quasi piacevole, a parer suo.

E le lasciavo credere fosse così, le permettevo di trovare una breve pace prima di contagiarla di nuovo col mio dolore, perché per lei avrei sorriso così forte da accendere una notte, se ce ne fosse stato bisogno.

Mi soffermai sui suoi occhi supplichevoli, e stanchi. Tormentati dall'incapacità d'illuminarmi la vita. Nemmeno lei se la meritava l'esistenza dietro un rottame, un rottame perché privo di voglia di aggiustarsi. Nemmeno lei si meritava questo puzzle di frammenti rotti.

< Stasera ci divertiamo, allora? > accennai a voce squillante. 
I suoi occhi brillarono, riflettendo una luce nuova.
< Si, cazzo si, finalmente! > stridette euforica.

Afferrai i vestiti, osservando l'acceso amaranto del tessuto nelle mie mani. 
Mi vestii frettolosamente, come ad essere impaziente di dimostrare di sapermela vivere questa vita.

Una volta pronta, tornammo al luna park.

Ad attenderci c'era Marta, la mia migliore amica. I suoi occhi erano contornati da una linea circolare, e le sue labbra erano marchiate da un colore rosa acceso. Si stava insistentemente sistemando i capelli boccolati, quando il suo sguardo si illuminò.

< Andiamo sui calci in culo? > chiese.
< Marta, non ora. > borbottai infastidita.

Ritrasse la gioia che accompagnava le sue parole, e la sua ristretta dentatura si contrasse in un ghigno. La sua capigliatura ondeggiava nel vuoto, quando Lorenzo le si stagliò dietro.

< Andiamo? > chiesi impaziente. 
Stava per ribattere, ma la zittii con uno sguardo.

Comprammo i biglietti per salire, scegliemmo il posto a nostro parere migliore, e partimmo per quel giro.

Era come un vortice di onde contro il mio viso, eppure il mare non l'avevo neanche mai visto. Sentivo dolore, gli occhi bruciavano come fossero d'acqua salata.

< Chi ti ha portato ad essere qui, Noemi? > chiese, urlando. 
< Mio padre, Marta, mio padre. >

Non vidi il suo volto, non volli vederlo perchè era da incosciente ripercorrere lo stesso cammino per la quarta volta, e lo sapevo. Glie l'avrei letta negli occhi quell'espressione corrucciata, pronta a ripetermi che stavo sbagliando, eppure l'aveva sempre saputo che non volevo superarlo veramente.

Il giro finì. Posizionai i piedi a terra, ogni cosa attorno a me girava. E lui invece era lì, fermo e immutabile, l'unico punto fisso che riuscivo a distinguere.

Iniziai a camminare nella sua direzione, ad ogni passo si accresceva la mia voglia di cogliere qualche insicurezza nei suoi movimenti, trovare un punto debole.

< Ho vinto, la scommessa. > affermai crudamente. 
< Vuoi un premio, per caso? > grugnì.
< Si, dammi delle opzioni. > affermai.

Si avvicinò fin troppo velocemente alla mia figura, fin tanto da ridurre le nostre ombre, ad un unico ammasso di tenebre.

< Vuoi un bacio? > soffiò, posizionando la sua testa parallelamente alla mia.
< No, Loo. > 
< Loo? > ridacchiò.
< Questo soprannome ti rende innocuo, e tu lo sei con me. > chiarii.
< Oh Benji, questo nome ti rende mia complice, e tu lo sei, con o senza di me. >

Mi allontanai dalla sua figura, continuando il tragitto che la sua voce aveva interrotto. Rimase inerme, di stucco.

Era ferrofreddo e immutabile, ed io non credevo di procurare effetti su di lui. Stupii perfino me stessa, perchè istantaneamente una mano conosciuta scosse il mio braccio.

< Che vuoi? > lo schernii.

Non disse nulla, che le sue labbra si schiusero impetuose in un leggero e quasi impercettibile bacio, sulla mia fronte.

Un bacio, da capogiro.

< Perchè me? > soffiai, mentre il suo calore bruciava la mia pelle, bramosa di lui.
< Perchè non ti ho scelto, e tu non hai scelto me. >

Avvinghiai la mia mano alla sua, non lo chiesi il suo permesso, perchè ci volevamo così tanto, in ogni modo possibile, e in ogni luogo, già allora.

Era l'inizio di uno di quegli amore distruttivi, con la passione che arde in ogni gesto, e la voglia incontrollata di farsi del male, perchè non si riesce a esprimere altro, a fare altrimenti. Uno di quegli amori sbagliatiinconsistenti, nati da un'odio che ad ogni modo, riuscirà nuovamente a dividere.

Sciolse la mia presa, non so con quale forza, ed io me ne andai. Non perchè mi sentissi respinta, un giorno lo avrebbe accettato, ero io a non potermelo permettere.

Mi sistemai sul lato destro della rampa, poco più in là c'erano Alessia e Frederic.

Mi soffermai sulla vasta varietà di skateboard presenti. Insiemi di strati di legno d'acero pressati ed incollati assieme in modo da garantire doti di robustezza e flessibilità alla tavola, derivavano tutti dallo stesso processo, eppure erano notevolmente differenti l'uno dall'altro.

Io e Lorenzo eravamo nel medesimo modo simili. Derivavamo da una stessa lavorazione che ci aveva garantito una sorta di protezione attorno, ma avevamo scopi differenti, strade differenti.

< Come mai ti chiama Benji? > mi chiese Fred, d'un tratto. 
< Storia lunga. > affermai. 
< No, storia nostra. > soggiunse Lorenzo, alle mie spalle.

Non avevo neanche avvertito il rumore dei suoi passi sul piano duro.

Frederic divenne d'un tratto serio, c'era qualcosa nel modo in cui Lorenzo guardava le persone, faceva paura, io lo capivo Fred. Alessia spostò lo sguardo altrove, forse infastidita, mentre lui si sedette al mio fianco.

< Non parlare al mio posto. > chiarii. 
< Non parlare di noi a gli altri. > 
< Ti vergogni di me? > chiesi, roteando le dita sul mio ginocchio. 
< No. > ringhiò.

Un ringhio da terrore, sembrò quasi volermi trafiggere con la sua voce, e l'intensità di quell'unica e semplice parola.

< E allora perchè? > chiesi, a bassa voce.
< Perchè te sei testarda, credi che io possa in qualche modo cambiare per gli altri, probabilmente per te. Ma la tua vita non è un libro che puoi scrivere a tuo piacimento. Qua non sei te a dettare le regole, Noemi. > prese fiato.
< E perchè so cosa vorresti da me, cazzo se lo so, e questo mi porta a comportarmi nel modo relativamente opposto a quello che ti aspetti. > fece sbattere la mani sul bordo della rampa, nero di rabbia.

< Io non mi aspetto nulla da te, Lorenzo. > tentai di alleviare il suo rancore.
< Non è vero. Mi guardi come a controllarmi, come fossi un'esperimento uscito male, un fallimento. Le mie labbra ti bramano ma non sei abbastanza per cambiarmi. Tu non significhi niente per me. >

Fitta, al cuore sentii una fitta sopraffarmi, ed un'altra ancora, alternarsi a dei respiri d'affanno, e un dolore atroce, dovunque.

Ogni parte che lo aveva desiderato, tutto il mio corpo.

< Non voglio cambiarti. > sussurrai.
< Allora smettila, smettila di farmi questo. > ammise.
< Farti cosa? > spalancai gli occhi gonfi.

Ripieni d'angoscia.

< Esaminare ogni mia mossa, e non permettermi neanche un tocco. > 
< Ti avrei permesso di toccarmi, dovunque volessi, perchè non c'è parte del mio corpo che non desideri il tuo contatto, e quel calore che pare possa avvolgere perfino le ossa, ma non mi meriti. > affermai.

Non fiatò, rimase come paralizzato da quelle parole, e forse avrei dovuto urlarglielo che volevo mi baciasse.

Poi puntualmente vidi i suoi occhi brillare nella poche luce che c'era.

< Vuoi scendere? > chiese. 
< No. > balbettai.

Mi diede velocemente le spalle, ed iniziò a parlare con Frederic. Le loro voci erano volontariamente basse, e di rado mi lanciavano sguardi poco rassicuranti. Guardai con fare allarmante Alessia, ma lei sembrava quasi divertiva, mentre io ero consumata dalla situazione.

Si alzarono frettolosamente, e mi vennero incontro. La loro corporatura sovrastava di gran lunga la mia, così tanto che non scorgevo altro, oltre le loro spalle.

< Sicura di non voler scendere? > chiese Fred con fare presuntuoso. 
Mi alzai in piedi, d'un balzo, e mi afferrarono per le caviglie. 
< Lasciatemi! > urlai, mentre iniziai a dimenarmi istericamente. 
< Calma, ci stiamo solo divertendo un poco. > rispose Lorenzo, con un sorriso malizioso increspato tra le labbra perlacee.

Mi avvinghiai alle sbarre di ferro alle mie spalle, ero in trappola, e me ne resi conto in quel momento. 
< Loo, smettila! > urlai nuovamente. 
Non riuscivo a muovermi, chiusa nella mia stessa morsa.

< Magari quando sarei a terra malconcia, potrò meritarti. > sogghignò.
< Non devi ascoltare le mie parole, sai che puoi annientarle, Loo! > urlai in preda al panico. 
< È quello che sto facendo. >

Mi ammutolii, di scatto, sopraffatta dal peso che le mie parole avevano raggiunto, per lui.

Ma ero stata allenata a combattere un uomo, ed anche se la statura di Fred troneggiava sulla mia figura, ciò non mi spaventava realmente.

< aaaaaaah. > il suo urlo catturò l'attenzione di alcuni ragazzi. 
< Non mi hai lasciato altra scelta. > dissi, ridendo lievemente. 
< Stai mentendo, avevi me. > soffiò al mio orecchio Lorenzo.

Si allontanarono entrambi, ma avvertii la corrompente risata di Lorenzo echeggiare in lontananza.

Era riuscito a difendersi dal mio calcio. Si difendeva sempre da tutto lui.

Si difendeva dall'amore, io invece ci annegavo dentro. Si difendeva dalle persone, io invece mi facevo prendere da ogni loro singola parola.

Lorenzo non era forte, ma si nascondeva bene. Per questo volevo vederlo star male, volevo sapere se sentiva dolore anche sotto quello scudo d'acciaio.

Percorsi la distanza che mi divideva da lui, e lo affiancai. 
< Sei uno stronzo, comunque. > puntualizzai.
< Finalmente l'hai capito. > ammise. 
< Vuoi farti odiare da me, è questa la tua intenzione? > chiesi, corrucciata.
< È più facile di quanto sembri, Noemi. >

Attesi qualche minuto per elaborare i miei pensieri.

Voleva spingermi ad odiarlo, e questo era ciò che mi serviva per attuare i miei piani. Dovevo odiarlo a tal punto da annientare le emozioni, per questo dovevo imparare a conoscere il suo modo di vivere.

Non dovevo odiarlo, a tal punto d'amarlo.

< Insegnami il tuo lavoro . > affermai. 
< Vuoi imparare a rubare? > chiese trattenendo la sue labbra schiuse per qualche attimo. 
< Voglio imparare ad impugnare una pistola. > dissi, decisa.
< Ti fidi di me? > chiese. 
< No, affatto. > risposi, rude.
< Ti voglio portare in un posto abbandonato, solo io e te. >

Deglutii profondamente.

< Ti fidi di me? > chiese di nuovo, guardando le mie iridi snocciolate
< Andiamo. > affermai, afferrando la sua manica.

---

Holaaaa, finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare, ma sto passando un periodo demmerda. Ho discusso con mia cugina, e con il ragazzo con cui sto uscendo, o meglio, con cui uscivo. Ma è arrivata l'estate e questo significa che avrò più tempo per dedicarmi alla scrittura, che liberazioneee. Vorrei sapere che ne pensate sotto, accetto qualsiasi opinione, ed inoltre ho una domanda da porvi: Come vi sentite quando siete con la persona che amate?

Un bacio, Noemi. :)

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Capitolo 6
*** Sea ***


| Dissi "andiamo", ma infondo, andiamo dove?
Dissi "andiamo", ma infondo chi, noi due?
Dissi "andiamo", ma infondo, resteremo?
Dissi "andiamo", e non siam tornati mai. |

Avvinghiata alla sua manica, raggiungemmo la moto.
Ogni mio arto si chiedeva dove nascondesse quell'arma.
Terrore puro era, e non riuscivo a comprendermi.

Il viaggio fu breve, ma non conoscevo quel luogo.
Non osservavo oltre i nostri bacini combaciati, mi era inaccessibile farlo.
E il nostro calore mi inebriava interamente, così dal rendermi incosciente.

Odorava di fresco, e di pulito, non come la città a cui ero solita sottostare.
Non c'erano palazzi, e specchi riflessi in direzioni sbagliate.
Auto di lusso, eHOTEL rinominati.
C'eravamo noi, ed eravamo così sporchi d'amore da fare schifo.

Scesi di sella, e osservai quel casolare abbandonato, lasciato a se stesso senza istruzioni.
L'intonaco era stato d'un arancio mandarino, in un passato non recente.
Ed all'ora, non era che una discarica, da quanta sporcizia gli si estendeva sopra.
Ogni angolo, era avvolto da tele di ragno, elaborate come fossero tessuto.

Ogni cosa, attorno a quelle mura, pareva essere studiata per logorarla.
Lui invece, Lorenzo, ci luccicava.

Un riflettore su un palcoscenico da paura.

Lo ammirai, sfidando l'abbagliante luce che sfibrava i miei occhi nel farlo.
Mi avvicinai cautamente al suo corpo inerme, e parve fragileindifeso sotto il mio palmo.
Avrei potuto liberarmi d'ogni maschera, da quanto lui era spoglio fronte a me.

La mia mano accarezzò freddamente il suo fianco, per poi sgusciare all'interno dei suo skinny jeans.
Lì, senza guardarci, avvertii il freddo materiale del quale era costituita la sua lurida pistola.
Non credetti di poter avvertire contatto più distaccato del suo, in quell'attimo.

< Hai paura? > stridetti.
< Di che? > sibilò, di soppiatto.
< Di qualcosa. >

Sembrò rivedersi, in quel minimo gesto, in me.
Sembrò riviversi, ancora giovane di vita, di speranza, e angoscia.
E mi desiderò così tanto, in quell'istante ricolmo di vuoti, preso dall'incontrollato desiderio di possedersi.

Ma si trattenne, a tentoni.

Guardò attorno a se, come a soffocare.
< Ho avuto paure, che tu non devi comprendere. Ed incubi, che tu non devi immaginare. Ma ora, e ormai da tempo, mi sono spento d'emozioni. > mi spiegò, sommesso.
< Io, nel mio piccolo, ho avuto difficoltàIMPOSTE da persone a me superiori. Ho avuto, e tutt'ora ho, terrori che mi portano a desiderare un'altra vita. Eppure, guardami, straripo di sentimenti. > dissi, d'un fiato flebile.
< Io ce l'ho le mie paure Lorenzo, che mi pesano quanto pesavano a te le tue. Ma una mi sento di urlartela più dell'altre, perchè c'ho così tanto timore, da tremare ancora ogni giorno. > sospirai, e le se labbra si incurvarono deboli.

< Ti direi, non devi, ma devi, e lo voglio. Perchè ti chiedo nuda, sotto di me. >
< Ti chiedo nuda, affianco a me. > si corresse, frettolosamente.
< C'ho paura di perdermi, Loo. > soffiai, sottile.
< A te ti trovo io, persino in fondo al letto disfatto. > sorrise, distratto.

Ed io distratta, da lui.

Sistemò la pistola nella mia mano silenziosamente, con un contatto caldo, da avvolgere il cuore.
Ma avvolse invece la mia gelida e esile mano, nel tentativo d'ancorarsi come un peso nel mio mare.
E' che io il mare, me l'ero creato color ghiaccio, così d'esser impassibile a pesi del genere.
Timoroso del sol.

Mi condusse nel retro della casa, sormontando tratti d'erba folta, ed alta.
Ad attenderci c'erano degli obbiettivi, rossi e bianchi, rotondeggianti.
Centri da mira.

Osservai la pistola tra le mani, incapace di destreggiarla fedelmente. 
Istruiscimi. > chiesi, imponendo.
< Vuoi davvero sentirti a dosso un così forte peso? > soffocò in quelle parole, d'un intensità spettrale.
< Ho già toccato quest'arma, ho sfiorato la morte di molte vite, l'ho vista cedere perfino una, con te. > rabbrividii.

Tremò perfino lui con me, al ricordo di quella sera.
Iniziò tutto così perGIOCO, una sfida da poco. 
Ora in ballo, e in bilico, ci teniamo con poco.

< E questo credi sia giusto? > incespicò, breve.
< No, affatto. Odio tu dipenda da questa via, odio tu ci sia annegato dentro fino all'orlo. Ma sarebbe peggio estraniarmene, e rinunciare a finirti l'ultimo respiro in quell'acque. > spiegai, angosciata.
< A me, non m'odi? > chiese, curioso.
< Sarebbe logicomaturo, e cosciente farlo. Ma a cosa mi porterebbe? > chiesi, quasi a me stessa.

Avrei voluto amarlo, quella sera per la prima volta.
Salvarlo dal petrolio che infangava il suo mare. 
Soccorrerlo, e donargli anche la metà dell'aria nei mio polmoni.
Prendere in mano la sua vita, e pulirla a nuovo.
Scintillare assieme a lui, leggiadri nello spazio che non ha fatto altro che dividerci, ancor prima del nostro incontro.

Eppure, minimamente lo odiavo.
Un minimo, da massimale.

Anche se mi guardava in quel modo, così da leggerti dentro e rivoltare le interiora.
Anzi, probabilmente lo odiavo per quello, per il suo, e inequivocabilmente solo suo, modo di far sembrar semplice ciò che non è mai stato tale.
Per il suo modo, di rubarti la bellezza d'una vita vuota, e ricolmarla con nuovi vuoti, capaci però di racchiudere suoni, odori, risate.
Di stravolgere un'anima in gabbia, spezzando le redini.
Di stroncarmi in
frammenti, che ad ogni modo, non avranno altraPROPRIETÀ se non la sua. 
E di scagliarmi scheggie nel petto, con su scritto il suo nome. 

Un tatuaggio del cuore.

Perchè questa, io e lui, noi, non eravamo che la vendetta a me imposta di incorniciare.
Non dovevo che rovinarlo, internamente.

Un punto debole, da negargli.

D'un tratto, un romboassordanteagghiacciante e penetrante, oltrepassò il mio timpano ad una velocità tale da farmi sobbalzare.
Il centro del mirino, contornato di rosso, ora ospitava un solco al suo interno.
Un vortice di sangue, mi parve di ammirare.

Pistola,SOLDI, cassiere, mogano, uomo, vita.
Un vortice di macabra morte, causata da Lorenzo.
Il mio Loo.

Distratta da un'assassino.

< Ma che fai? > chiesi, infuriata.
< Odiandomi, non assorbiresti questo. È una vita che ti si appiccica a dosso, per insinuarsi a fondo. È una vita, che te la strappa di mano, facendoti creder di giocarti una mano di Jolly. > ringhiò, debolmente.

< E al contrario? > chiesi, leggera.
< Al contrario, che? > sorrise, confuso. 
< Se dovessi farlo, m'accetteresti lontana? > sospirammo assieme.
< Lontana da sto posto, vicina a ciò che voglio. Un giorno ci uscirò, scapperò da qui. >
< Parti con me? > chiese, sommesso.

Un aspetto tremendo, uno sguardo già spento, un amore da dentro.

< Mi passi a prendere? > sogghignai, allegramente.
< Anche ora. > sorrise, sornione.
< Dove mi porti? > giocherellai con i capelli.
< L'hai mai visto il mare? > sorrise, beffardo.
< Non ancora. > sospirai, prima di sentirmi avvolgere dal suo calore corporeo.

Mi prese d'un balzo, trasportando il mio peso fino alla moto parcheggiata.
Avvinghiò inquieto il casco al mio cranio, e incastonò le mie mani davanti al suo petto.

Mi portò al mare, in quella notte chiara di stelle.

< Come te l'eri immaginato? > chiese, felice.
< Ognuno ce l'ha dentro il mare, che devo tirar fuori l'acqua? > scherzai.
< Tu c'hai la TRASPARENZA. > soffiò, a mezza voce.
< E tu c'hai il color. > affogai nelle sue pupille languide.
< Che vuoi fare? >

Baciarti, annegarti, non so scegliermi.
Spogliarti, spogliarmi, legarci, unirci.
Divorarci l'anima a suon di morsi.
Amarci, come fosse plausibile.

Oppure, guardarci così tutta la notte.

< Se ti prendo, e ti butto in acqua? >
< Se ti prendo, e mi baci? >

Lo fece, d'uno schiocco indecifrabile, di cui potrei rivestire il sottofondo delle ore.
Pesante, possente, violento di noi.
Un magazzino d'odio ci si poteva celar dietro.
Eppure, sorrisi.

Il mare un giorno, l'avrei ritrovato.
A lui, un'intera vita non mi sarebbe bastata per riprenderlo.

E così, forse inconsapevolmente, non focalizzai oltre lui.
E così, forse inconsapevolmente, mi persi un po in lui.
Consapevole d'affondare ogni schema.

-
Oioia, finalmente ce l'ho fatta, e non so come. Sono stata ad Assisi e mi è venuta l'ispirazione. Mi scuso per il ritardo se qualcuno era interessato alla storia, ma sono stata presa da altre cose. Ora, il capitolo è un po sdolcinato rispetto agli altri, ma capitemi, è quasi un'anno che scrivo di Lorenzo, e mi fa male il cuore. È doloroso, ma non ho ispirazione migliore di lui. Si manifesta sotto forma di parole. E lo ringrazio, dopo tutto. Sono le 4:23 del mattino, e vi saluto. È stato complicato aggiornare, quindi se riuscite a lasciarmi un commentino sotto, mi rendete davvero felice. Un bacio, Noemi.

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