Cuori di Carta

di gateship
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** J. H. Watson ***
Capitolo 2: *** Compagni di Stanza ***
Capitolo 3: *** Fratelli e telecamere ***
Capitolo 4: *** Gelati Cifrati ***
Capitolo 5: *** Calore Specifico ***
Capitolo 6: *** A caccia di enigmi ***



Capitolo 1
*** J. H. Watson ***


Cuori di Carta

 

- J. H. Watson

 

La stazione ferroviaria di Londra.

Una matassa senza fine di treni, binari, persone, sudore.

800 miglia di tracciato.

Genitori che abbracciavano i figli, prima di lasciarli andare per la loro strada, ai college meno o più rinomati del paese.

Uomini e donne che si baciavano come se non ci fosse un domani.

Bambini che strillavano.

Ragazzine che piangevano.

Sei milioni di passeggeri al giorno che buttavano cartacce sui pavimenti, attaccavano chicles sui bidoni della spazzatura.

King's Cross.

Il caos.

 

Mamma dice che ci mancherai. MH

 

Sherlock sbuffò, sfilandosi un guanto di pelle dalla mano per rispondere al messaggio del fratello.

 

E tu cosa dici? SH

 

Che parlerò ogni mese con i tuoi professori, che saprò ogni tua mossa, e che se oserai di nuovo bruciare la tua camera da letto verrò a prenderti di persona. MH

 

Sto tremando... e non è colpa mia, i professori saranno sicuramente degli idioti. SH

 

Rispetto a te? Ne sono convinto. Buona scuola, fratellino. MH

 

Potrei insegnare le loro materie e ho un terzo degli anni che hanno loro. Grazie, Myc. SH

 

Il ragazzo ripose il cellulare nella tasca del cappotto scuro, sospirando, mentre si stringeva al petto il regalo di suo fratello. Centinaia di nuovi, bellissimi, fascicoli.

Essenziali, per chi come lui voleva intraprendere una carriera non ancora esistente.

Controllò per l'ennesima volta l'orario del suo treno.

Di nuovo in ritardo.

Avrebbe potuto chiede un inutile rimborso, all'occorrenza.


 

“Farai tardi, John! Dai, sbrigati e comportati bene!!”

Il quindicenne diede svelto un bacio alla madre, salutando il padre con un cenno della testa. “Ci vediamo presto!”, replicò sorridendo “E badate a Harry.”

I genitori annuirono e John, con un ultimo sguardo, si precipitò verso i binari della stazione di King's Cross, binario 9.

Dannazione, cinque minuti di ritardo.

Saltò i gradini a due a due, correndo forsennatamente verso il binario prestabilito.

Frenò a pochi metri da una panchina, lasciandovisi cadere sopra con un sospiro.

Ce l'aveva fatta.

Il treno era in ritardo, si accorse guardando su quel cartellone, che, era sicuro, avrebbe preannunciato la sua prematura espulsione dai corsi.

Il treno era in ritardo, lui era in ritardo.

Ma ce l'aveva fatta. Il suo primo giorno di liceo, la scuola che avrebbe occupato i successivi cinque anni della sua vita.

E poi, di corsa a studiare medicina.

Un percorso lineare, il suo.

Niente ostacoli di alcun genere.

Solo cinque anni di liceo insieme a persone che non conosceva, insegnanti che non lo avrebbero degnato di uno sguardo, compiti, test, tutto più difficile e complicato, pensò con una fastidiosa stretta allo stomaco. Per fortuna era sempre stato abbastanza bravo a farsi amici.

Senza genitori ci sapeva stare, senza Harry... sì, avrebbe potuto farcela anche senza di lei, senza dubbio. L'aveva sempre fatto. Era come avrebbe agito lei, che lo interessava. Ma non c'era da preoccuparsi, a dicembre li avrebbe rivisti, tutti loro. Avrebbero parlato, si sarebbero racc...

Una follata di vento gli scompigliò i capelli, costringendolo a chiudere gli occhi e un foglio gli volò in faccia, sbattendogli sulla punta del naso. “Cos-?” afferrò con le mani il pezzo di carta bianco. Sbatté le palpebre, mettendo a fuoco l'area circostante, un treno si era appena fermato dietro di lui, e un ragazzo lo guardava impaziente.

“Ti vuoi sbrigare?”

John sgranò gli occhi, osservando lo strano tizio che lo fissava, occhi azzurri gelati che ricambiavano il suo sguardo. “Eh?”

“Il foglio. Me lo vuoi dare oppure no?” spiegò il quindicenne davanti a lui, tendendo la mano irritato.

Il Watson annuì spaesato, porgendogli il pezzo di carta senza terminare il contatto visivo. “Chi sei?” chiese senza neanche accorgersene.

“Sherlock.”

John corrugò la fronte, guardando negli occhi il suo interlocutore, “Sherlock che? È un linguaggio di Star Trek? Non conosco il vulcaniano, sai? Quindi se vuoi...”

Il ragazzo sospirò, “È il mio nome. Sono Sherlock, Sherlock Holmes.”

“Oh.”, arrossì lui “Piacere. Sono... mi chiamo...”

“Jack H. Watson. Primo anno al liceo Curie. Devono aver speso un occhio della testa, i tuoi genitori. È uno dei più cari dell'Inghilterra, e tu vieni dalla campagna” concluse il suo nuovo compagno di scuola, come se fosse la cosa più normale del mondo.

“Oh.”

“Oh?” chiese Sherlock, guardandolo a sopracciglia alzate.

“Cioè... io... come fai a saperlo?” riformulò lentamente Watson, mentre, incurante di quello che accadeva loro, una buona parte dei sei milioni di passeggeri dei treni di King's Cross si muoveva indisturbata tra i binari.

“Sei ben vestito, ma hai rivoltato il collo alla tua camicia, la tua sciarpa è consumata, tuttavia è tutto perfettamente pulito. In altre parole, non sei molto ricco. Potresti frequentare un altro liceo, sì, ma questo treno passa solo per città piccole, non viaggeresti mai solo per andare in un altra scuola. A meno che non sia di prestigio, in altre parole il Curie, che è al capolinea. Dalla tua borsa si vede un libro di algebra, è uguale al mio, il che sostiene la mia tesi. Sei al primo anno, sei qui da solo, ma non sei una persona timida, anzi, abbastanza socievole: saresti venuto con qualcuno, qualche amico o compagno, ma ancora non conosci nessuno. La campagna. Ovvio. Basta vedere lo stato delle tue scarpe, hanno del fango sulla punta. Hai l'aria spaesata, non sei mai stato in una grande stazione, meno che mai qui a Londra. Il tuo nome è la cosa più semplice. Sulla tua valigia c'è scritto J. H. Watson, Jack è il nome maschile che inizia per J più utilizzato nella lingua inglese. È elementare.” [1]

John sbatté le palpebre e lo fissò, “Wow. Davvero... cavolo!!”

“Grazie... credo. Lo devo prendere come un complimento?”

Un sorriso si fece strada sulla faccia di Watson, “Assolutamente! Sei stato... bravissimo!!”

Le labbra di Sherlock si piegarono verso l'alto, gli occhi gli si illuminarono leggermente, “Grazie, Jack.”

Il biondo fece per ribattere, quando una voce pregò i vari passeggeri di “non oltrepassare la linea gialla”, mentre il treno del binario 9 si apprestava a fermare la sua corsa.

Mentre le porte si aprivano rumorosamente, il ragazzo urlò: “Sherlock, non è Jack!! È John!”

 

 

Lo scompartimento del treno dove si erano rintanati era tranquillo.

John fissava il paesaggio fuori dal finestrino, la campagna inglese che correva, lasciandoli alle spalle.

Sherlock, da parte sua, aveva iniziato a leggere i fascicoletti, sparsi sul sedile accanto al suo. Più che leggerli, li stava scrutando, rivoltando, cercando di carpire da loro ogni singola briciola di sapere.

“Cosa sono?” chiese John, in un molto ovvio tentativo di rompere il ghiaccio.

Sherlock alzò le sopracciglia, e pensare che quel ragazzo gli era sembrato persino più sveglio della media umana, con il suo maglione peloso e la giacca di pelle, “Fascicoli, mi sembra ovvio.”

“Puoi essere più specifico?”

“Oh. Rapporti di polizia su casi irrisolti. Ci sono voluti anni prima di averli, sai... da grande voglio diventare consulente investigativo.”

John alzò le sopracciglia, sarcastico, e non per l'originale professione scelta dal suo interlocutore, “Anni?”

Sherlock annuì sovrappensiero, il naso immerso nei fogli, “Cinque. Sai come sono le persone, no? Tutti stupidi. Nove anni di età, e non danno a un ragazzo i loro fascicoli riservati. E a otto mi ignoravano.”

John lo guardò, aspettando il fatidico momento in cui il compagno di viaggio si sarebbe messo a ridere come un matto, dicendogli che era uno scherzo. Non accadde. “Oh sì...” confermò qualche secondo più tardi “La gente è stupida.”

“Mmm.” borbottò lui, girando pagina senza alzare lo sguardo “Quello che dico sempre anch'io.”

 







Notemie

 

I vari dati della stazione me li sono inventati di sana pianta. Ho guardato quelli della Tube per avere un'idea, e considerato quanto sono enormi i numeri soltanto nella metropolitana di Londra... qui li ho ingranditi un bel po'. Ma se qualcuno ha informazioni più precise non esiti a dirmelo... sono curiosa!!
 

[1] Credo che qualcuno di voi abbiano visto Piramide di Paura. Ecco, la deduzione si rifà a quella che il giovane Sherlock del film fa su Watson appena questi arriva alla scuola. Non ricordo quanto ho preso da lì, di sicuro lo scambio di nomi da John a qualcos'altro sì. Ho evitato di rivederlo perché inevitabilmente mi farei contagiare da quel film, usando le sue quotes più del dovuto.

 

Che dire? Codesta cosa è una teenlock, una johnlock, che il rating potrebbe colorarsi di giallo, ma che non ne sono per niente sicura, e che è ispirata a questa perfetta fan art (e ciò spiega perché è ambientata anche in una stazione londinese). 
Click
È betata dall'altrettanto incredibilmente perfetta beta che ognuno vorrebbe, c_underwater

È dovuta, oltre che alla fan art, anche a un certo Hobbit (che non è Martin Freeman, quindi grazie mille Simo!)

Ho già scritto una ventina di pagine sei capitoli, perciò gli aggiornamenti dovrebbero essere abbastanza regolari, diciamo... ogni lunedì?

Spero che vi sia piaciuto l'inizio! (o almeno non lanciatemi pomodori, bombe all'olio santo e cacciaviti sonici mentre siamo ancora al prologo) :D

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Capitolo 2
*** Compagni di Stanza ***


- Compagni di Stanza


La prima ora dentro le mura del Curie non era stata poi così male, rifletté John, mentre, armato di chiavi, si dirigeva spedito verso la sua nuova camera.

La professoressa di lettere aveva parlato loro del programma che avrebbero seguito, quella di scienze del comportamento. Quella di educazione fisica aveva fatto battutine prive di un qualsivoglia umorismo. Oh, e quello di arte li aveva fissati uno ad uno come degli schiavi in attesa si essere venduti.

E il giorno dopo, naturalmente, le prime lezioni. La composizione delle classi pronta di prima mattina, consegnata durante la colazione.

Si fermò davanti alla camera 221. La sua stanza, tutta sua.

Niente sorelle rompiscatole o padri che usavano il rasoio elettrico alle ore più impensabili.

Non aveva mai visto una scuola così di lusso.

Persino i bagni privati.

Fece girare la chiave dentro la serratura, aprì la porta, e fu subito investito da una nuvola di fumo. Si addentrò nell'appartamentino tossendo, cercando di diradare la nebbiolina con una mano.

E una testa riccioluta gli comparve davanti.

“Sherlock?!?”

“John” disse il ragazzo a mo' di saluto, tappando il becher dal quale usciva il fumo con il libro di chimica “Che ci fai qui?”

“Io?! È la mia camera, Sherlock!”

“Come, scusa?” chiese il ragazzo, mentre il fumo del suo esperimento cominciava a diradarsi.

“Siamo nella 221. È la mia camera.”

“No, è il salottino. Che è mio.”

“Ma che...?”

Sherlock sbuffò. Ragazzini, sempre i soliti. “Io sono nella 222. Tu nella 221. Sono comunicanti, ricordi? Bagno e area di studio in comune. È come avere un 221b.”

“No!!”

Sherlock in tutta risposta gli sventolò le chiavi della camera in faccia.

“Intendi dirmi che tu sei...” borbottò John fissandolo stralunato.

“Il tuo nuovo compagno di stanza, esatto.”

John non ebbe nemmeno la forza di sorprendersi.

Sherlock Holmes. Il suo nuovo coinquilino.

Suonava sorprendentemente bene.

Watson sospirò, guardandosi attorno, “Allora dovremmo mettere a posto tutto questo casino.”

Sherlock gli lanciò un'occhiata mortificata, “Non è disordine. Sono le mie cose.”

L'altro sentì le gote infiammarsi, “Oh.”

“Ma...” il ragazzo si schiarì la gola “Se vuoi non vedo perché io non possa mettere in ordine.”

John si guardò attorno, provette accatastate sull'orlo del divanetto. Becher, beute, piastre petri e quant'altro sul termosifone. Sul piccolo tavolino, l'esperimento che Sherlock stava conducendo. Ed era solo il primo giorno. “Già” disse annuendo “Forse dovresti farlo.”

 

Quella sera, Sherlock, il ragazzo che apparentemente si era eletto a suo nuovo coinquilino, era stravaccato sulla poltrona, tuta del pigiama e vestaglia di lino blu scuro, tra le mani un libro di chimica che leggeva sottovoce.

John, poco distante, era disteso sul suo letto, un romanzo alzato sopra la testa.

Era passato un giorno.

E quel ragazzino si era catapultato nella sua vita, un nome assurdo, capelli impossibili. Lo aveva dedotto in un attimo, aveva iniziato a fare esperimenti nel loro salottino, in un liceo snob, per di più.

Ed era già diventato tutto perfettamente normale.

“Sai in che classe ti metteranno?” chiese John, interrompendo il lungo, ma rilassato, silenzio.

“No”

John sbuffò. Non era di certo loquace, quel suo nuovo amico. “Ma l'indirizzo sì, vero?”

“'Ovviamente”, rispose Sherlock monosillabico, mentre continuava a leggere imperterrito il suo libro.

“Quale?” spinse John con un sospiro.

“Scientifico potenziato.”

“Oh. Io scientifico classico,” disse un po' deluso il ragazzo. Il suo unico amico, e non potevano stare in classe assieme. Magari qualche lezione, se erano fortunati.

Sherlock non commentò, limitandosi a sospirare.

Dopo qualche minuto passato in silenzio, John rotolò sul letto e si mise su un fianco, “Cosa stai facendo?”

“In che senso?” chiese brusco il ragazzo, alzando la testa dal libro.

John sorrise. “La tua faccia.”

“Sì?” chiese Sherlock scrutandolo.

“Stai tenendo il broncio.”

“No”

“Oh, si invece,” insistette John con un ghigno.

Lui lo fulminò con lo sguardo, “Mi annoio. E la tua conversazione era palesemente noiosa.”, disse, come per giustificarsi

L'amico si alzò dal letto, dirigendosi verso la valigia. “Che ne dici se giochiamo a Cluedo?”

 

 

Con il senno di poi, fare usare quel Cluedo a Sherlock non era stata affatto una buona idea. Peccato che il senno di poi venisse sempre... poi. [1]

Era stato grazie a quel gioco che ne aveva avuto conferma: Sherlock Holmes e gli omicidi erano fatti l'uno per l'altro.

Perché non era possibile che la vittima si fosse suicidata buttandosi dal tetto di un palazzo altro tre piani... salvo poi per non essere morta e aver falsificato il tutto.

 

Contro ogni previsione, quella mattina non fu John ad essere di malumore. Fu Sherlock, che per metà colazione gli lanciò occhiatacce e tenne quello che Watson aveva presto definito 'il broncio alla Sherlock Holmes', perché nessun altro sapeva tenere le labbra inclinate verso il basso e gli occhi pietosamente teneri quanto lui.

“Tu russi.”

Il thè gli andò di traverso, ustionandogli la trachea. Tossendo, John lo guardò arrossito, “Come, scusa?”

Sherlock lo guardo serafico. “Tu russi. Russare significa emettere durante la notte un rumore cupo in corrisp-”

John scosse la testa, bevendo un bicchiere d'acqua a piccoli di sorsi e cercando di non uccidersi, “So cosa vuol dire russare”, rispose con voce roca “È che io non russo.”

“Sì, invece.”

“No, per niente.” Russare? Come russare? Harry in tutti quegli anni non gliene aveva fatto parola. Ma d'altro canto... lui e Harry di certo non parlavano molto.

Sherlock in tutta risposta sospirò, chinandosi a prendere dalla borsa in pelle – che non assomigliava neanche lontanamente a quelle prestabilite dal regolamento – il cellulare. Lo accese, sotto lo sguardo allibito di John, e, dopo aver toccato qualche tasto, il suo nuovo coinquilino poté chiaramente ascoltarsi emettere degli strani versi durante il sonno. “Hai qualcosa da aggiungere?” chiese Sherlock pazientemente, un piccolo sorriso che ora si era sostituito al broncio sherlockiano.

“Io non russo.” gli ripeté John senza convinzione “Io non russo!!” insistette, diventando rosso scarlatto sotto lo sguardo divertito dell'amico.

 

 

Dopo aver scoperto che effettivamente non erano in classe assieme, ma che avrebbero frequentato le ore di educazione fisica e storia nella stessa aula, John si diresse verso la lezione di matematica.

Algebra.

Geometria Analitica.

Geometria.

Poliedri.

Sfere.

Perché improvvisamente sembrava tutto lontano anni luce?

“È il primo anno anche per te, vero?” disse una voce calda alle sue spalle. John si girò per vedere un ragazzo di circa quindici anni, il naso leggermente a patata, gli occhi e i capelli color cioccolato.

“Greg Lestrade, piacere.” si presentò il giovane tendendogli la mano.

Watson la afferrò con un sorriso; forse non sarebbe stato poi così solo.

 







Notemie

[1] Non è mia, l'ho presa dal libro "Melody Malone: The angel's kiss", che è in inglese, ma che, se amate DW e River, dovete leggere!


Perchè sì, io e Sherlock frequentiamo lo stesso indirizzo, oh yiss!
High five Sherly.
E buona vigilia di compleanno al nostro hobbitdoctor preferito!

 

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Capitolo 3
*** Fratelli e telecamere ***


- Fratelli e telecamere



John era paziente. Probabilmente uno dei più tolleranti fra i mortali, costretto a sopportare interruzioni sardoniche[1] , quisquilie varie ed esperimenti chimici a base di cianuro nel luogo in cui di pomeriggio si sedeva per studiare

 

Posso non parlare per giorni, suono il violino alle ore più impensabili, faccio esperimenti e nella scuola precedente ero diventato il flagello d'Istituto.”

 

Sulle prime aveva pensato che la presentazione di Sherlock fosse modesta.

Molto anche, perché, andiamo, nessuno avrebbe potuto fare tutte quelle cose.

Non a quindici anni, comunque.

 

Poi però, scoprì che non era modestia, perché in Sherlock Holmes di umile non c'era proprio niente.

E che no, quelli non erano i suoi difetti peggiori.

Perché forse avrebbe dovuto accennare che, oltre a stare zitto per tempi inimmaginabili, era anche capace di fare sproloqui per molto di più.

Perché non suonava lo Stradivari da due milioni e mezzo di sterline, lo strimpellava come se fosse stata una chitarra elettrica.

Faceva ragionamenti impossibili, che gli aveva spiegato con una lunga ramanzina sulla scienza della deduzione, “Voi camminate per le strade e vedete persone, vetrine. Io non sono così John, riesco a vedere tutto. Ogni singolo movimento urla tutto su una determinata persona, ogni singola parola è un lago di informazioni, ogni chiacchiericcio di sottofondo che voi udite a malapena io lo sento, lo analizzo, lo capisco. Dio, ma come fate a non annoiarvi, voialtri?”

E così, dopo una settimana di convivenza con quell'essere strampalato, John Watson era fermamente convinto di aver visto tutto.

 

 

“SHERLOCK, COSA DIAVOLO È QUESTA?!” l'urlo di John svegliò Sherlock, come probabilmente metà degli studenti del Curie, di soprassalto.

Il ragazzo corse verso la camera dell'amico, quasi sfondando la porta nella fretta di raggiungerlo, “Cosa?”

John gli si parò davanti e gli mostrò un oggetto rotondo con uno schermo in vetro.

“Oh.” fece Sherlock, osservando il minuscolo congegno elettronico.

“Oh, sì.” rispose aspro Watson “Vuoi spiegarmi cosa ci fa una telecamera di sicurezza nella mia camera da letto? E non dirmi che è in dotazione alla scuola, perché non ci cascherei. Era. Esattamente. Sopra. Il. Mio. Letto.” ripeté con voce irritata.

Sherlock inclinò leggermente la testa. “Mycroft.” disse semplicemente, maledicendo quella dannata persona con ogni insulto che conosceva.

“Mycroft?”

“Mio fratello.” spiegò con una scrollata di spalle.

“Cosa?”

“Mycroft. Mio fratello.”

Cosa?” chiese Watson esasperato. [2]

L'amico diede una scrollata di spalle, “Mycroft è mio fratello.”

“Oh, hai anche un fratello adesso?” sbottò John “Senti, Sherlock, è stata una brutta giornata, per favore, solo... toglimela dai piedi.” gli disse, il tono stranamente pacato.

Il ragazzo annuì, prendendogli la telecamera dalle mani bruscamente, “Lavora nel Governo, lui. Una posizione minore, ovviamente, ma gli offre certi vantaggi.” tentò di spiegare mentre si passava l'oggettino da una mano all'altra, sistemandosi sulla poltrona del mini-appartamento.

“E quindi mi spia?” chiese John buttandosi sul letto.

“Non te, me.”

“Tuo fratello ti spia?”

“Perchè tua sorella, no?” ribatté. Solo Sherlock avrebbe potuto fare suonare una domanda del genere così perfettamente innocente.

Inaspettatamente, sul volto di John passò un lampo di tristezza, che il giovane mascherò subito, costringendosi a fare un sorriso, “Sai, quando una persona beve così tanto non...”

Sherlock annuì. “Ti chiedo scusa da parte di mio fratello”, sussurrò, portandosi davanti alla faccia la piccola telecamera “È un vero idiota!” disse ad alta voce, gli occhi fissi sulla piccola lucina rossa che il dispositivo emetteva e che il fratello stava monitorando. Anzi, con ogni probabilità Mycroft lo stava fissando dall'altra parte di una webcam in camera sua.

John sorrise leggermente, “Fate sempre così, voi due?”

Sherlock alzò le sopracciglia, “Ovviamente, siamo come acerrimi nemici.”

“Oh, dai, sono sicuro che in fondo vi volete bene”, rispose l'altro.

Se gli sguardi avessero potuto uccidere, John si sarebbe trovato carbonizzato sul posto.

 

 

“Com'è andata con le ripetizioni?” chiese a mo' di saluto Watson quando Sherlock varcò la soglia dellla 221.

“Non capisco come queste persone possano essere finite in un posto del genere. Anderson non sa neanche cosa sia il quadrato di un binomio, come diavolo dovrei fare a spiegargli gli altri prodotti notevoli?” gli rispose secco, lasciandosi cadere sulla sedia della scrivania per controllare alcuni esperimenti, che ribollivano sul tavolo in frassino.

“Oh, andiamo. Sono certo che con la tua maestosa presenza riuscirai a trasfondergli un po' di sale in zucca.” rispose John pacato, sfogliando il nuovo numero di Superman senza apparente interesse.

Sherlock, con una pipetta, versò l'acido cloridrico nel becher di vetro, poi alzò lo sguardo verso l'amico: non aveva dormito bene – indipendentemente dalla telecamera, se fosse stato nel sonno REM non se ne sarebbe neppure accorto - a disagio.

I suoi genitori avevano chiamato.

Occhi lucidi.

“È Harry, vero?”

Il ragazzo diede una scrollata di spalle, “Ha avuto in incidente, solo qualche graffio e una caviglia lussata, fortunatamente. Volevo raggiungerla ma i miei mi hanno detto di restare a scuola.”

Sherlock annuì, “Hanno ragione, devi rimanere.”

“Non è la prima volta”, riprese a bassa voce Watson, chiudendo il fumetto di scatto “Sherlock, ha soltanto cinque anni più di me e beve più di quanto mia madre e mio padre abbiano mai fatto.”

“Oh.” fece l'altro inclinando leggermente il capo, mentre la sua brillante mente cercava di capire dove l'amico volesse andare a parare.

“Dovresti dire che ti dispiace, a questo punto.” gli suggerì John, guardandolo.

“Mi dispiace.” confermò Sherlock semplicemente.

Watson, suo malgrado, si lasciò sfuggire una risata tremolante: quel ragazzo era incredibile. “Come hanno fatto i tuoi amici a sopportarti?” gli chiese con uno sbuffo, mentre metteva i piedi scalzi sulla poltrona.

Sherlock aggrottò le sopracciglia, “Amici?”

“Già.” rispose John annuendo.

“Non ho mai avuto amici.” gli disse semplicemente, mentre vuotava il contenuto del becher in una beuta dall'aria malandata.

“Dai, qualcuno per forza.”

Holmes alzò gli occhi al cielo.

“Proprio nessuno?”

“No.”

“Ma dico, proprio... nessuno?”

“John, sembri un disco inceppato. Ovviamente: nessuno. Sei il mio primo amico.” Watson sorrise, non si sarebbe mai aspettato di essere il primo amico di qualcuno, non all'età di quindici anni suonati, comunque. “Non fare quell'espressione, non significa che tu sia meno stupido degli altri.” gli rinfacciò Sherlock, le gote inaspettatamente arrossate “E levati quel sorriso dalla faccia!” sbuffò, prendendo un cuscino dal pavimento e lanciandoglielo.



 

Notemie

[1] È una citazione da “La Valle della Paura”, di Conan Doyle. Naturalmente per renderla più liceale l'ho modificata un po, l'originale è: “Credo di essere uno dei piú tolleranti fra i mortali, ma devo ammettere che fui seccato da quell'interruzione sardonica. ”
Sono le prime parole in assoluto del romanzo.

[2] Supernaturaaal! Non si nota, è accennato, ma mi sono ispirata al dialogo di Reading is Fundamental, dove c'è un gioco di parole tra Sam e Dean su Metatron (lo scriba di Dio) e Megatron (il Transformer). Ve lo riporto:

Cas: Questa è la calligrafia di Metatron
Sam: Metatron?!? Stai decendo che la parola di Dio è stata scritta da un Transformer?
Dean: No, quello è Megatron.
Sam: Cosa?
Dean: Il Transformer. È Megatron
Sam: Cosa?



Buona scuola a tutti! 

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Capitolo 4
*** Gelati Cifrati ***


- Gelati Cifrati

 

La flebile luce solare iniziava a tramontare dietro le colline inglesi, e John, con un sorriso stanco, mise finalmente via il libro di inglese per tirare fuori un portatile.

Sabato. Il giorno più bello della settimana, a detta di un poeta italiano.

L'aspettativa dello svegliarsi tardi, per una mattina ogni sette giorni. Fare le cose con calma, bere una tazza di thè e iniziare i compiti verso le dieci.

Sabato, il giorno della pregustazione.

Stava cercando un film da vedere quella sera quando Sherlock Holmes si precipitò in camera sua, un sacchetto di plastica in mano.

“La tua stanza non la puoi usare proprio mai, vero?” chiese John con un piccolo sorriso, mentre continuava tranquillamente la sua ricerca.

“Oh, è noioso! Tieni”, disse secco, tendendogli il sacchettino.

John lo fissò, “C'è una bomba dentro?”

Sherlock gli rispose con un'occhiataccia.

Watson aprì la borsa di plastica e ci guardò dentro, poi sbuffò, “Siamo a fine ottobre, Sherlock!” commentò cercando di sembrare seccato, quando invece un sorriso gli si faceva strada sulla faccia.

“Non ti piace?” gli chiese l'amico innocentemente.

 

Come Holmes fosse riuscito a procurarsi mezzo chilo di gelato con quel freddo era un mistero.

Con i loro gusti preferiti, provvisto di coni e per di più artigianale.

Crema e bacio per John, menta e frutti di bosco per Sherlock.

 

“Sai, dovremmo farlo più spesso”, disse Watson, dando un primo morso “Giusto per farti mangiare qualcosa di tanto intanto.”

Sherlock gli sorrise leggermente, “Nelle ultime settimane sembrava avessi perso interesse per il cibo della mensa.”

Lui annuì leggermente: nessuno di loro lo avrebbe mai confessato, ma era bello restare così, a godersi gli ultimi spiragli del Sole, in camera a vedere un qualche film, invece che in una affollata sala con centinaia di studenti.

“È buffo come mangi il gelato”, commentò Sherlock con un mezzo sorriso dopo qualche minuto, quando, sotto lo strato di crema del gelato di John, iniziava finalmente a intravedersi anche il cioccolato.

Il ragazzo arrossì, “Come?”

“Il modo in cui lo mangi è buffo. Consumi prima tutta la parte superiore, quella alla crema in questo caso, quando il livello arriva ad un centimetro dall'inizio del cono smetti e inizi a spingere giù il gelato con il cucchiaino, in modo che la parte inferiore, quella al bacio, tocchi il fondo. Poi inizi a mangiare la parte di cono dove prima c'era il gelato, ora sprofondato. In questo modo riesci a fare durare il sapore per tutta la degustazione. È strano. Non lo fa mai nessuno.”

John passò lo sguardo dal cono a Sherlock, “Come hai fatto a notarlo?” sussurrò.

“Semplice, ti guardavo.”

“Ma noi stavamo vedendo The Imitation Game”, contestò, occhieggiando il televisore.

“No, tu lo stavi facendo, io l'ho visto con Mycroft.”

John lo guardò, leggermente imbarazzato, “Vuoi che cambiamo?”

Sherlock scosse la testa, “Non mi sto annoiando.”

“Oh, beh, sai… io… suppongo che a guardare il resto della stanza non ci si diverta poi tanto.”

“Non stavo facendo quello”, rispose Sherlock, nella voce una nota leggermente più fredda.

“Tu stavi… oh. Guardavi me, mentre io guardavo il film?”

Sherlock annuì, del tutto incurante delle varie tonalità di rosso che stavano passando sul vido dell'amico.

“Avresti potuto non farlo, sai? Se me lo avessi detto...”

“Sei interessante da osservare, John. In apparenza sembri così normale… eppure hai qualità che tieni nascoste persino a te stesso.”

“Come mangiare il gelato in modo buffo?”, chiese l'altro, cercando di alleggerire la tensione.

Sherlock gli sorrise. “Sì, anche quello.”

 


 

 

Il primo vero problema nella sua vita liceale, John lo ebbe qualche settimana dopo, durante l'ora di storia. Quando il suo compagno di banco gli recapitò un messaggio:

 

PL DQQRLR

 

Si voltò verso Sherlock, seduto qualche banco dietro il suo, l'unico in tutta la classe che fosse in grado di fare qualcosa del genere. L'amico gli ghignò leggermente, tornando poi a rivolgere la sua attenzione alla professoressa.

 

John voltò il biglietto, a caratteri minuscoli c'era scritto: “A proposito di Cesare...”

Ma Watson non riuscì proprio a vedere cosa quelle lettere avessero a che fare con l'argomento della lezione.

Aveva ripreso ad ascoltare Mrs. Ride quando Greg gli mollò una gomitata nello stomaco, passandogli seccato un altro bigliettino di Sherlock.

 

OD SURIHVVRUHVVD KD XQD UHODCLRQH FRQ OD ILJOLD GHOOD SUHVLGH

 

Cercò di decifrarlo, ma tra Cesare e degli ammassi di lettere senza senso non trovava decisamente il nesso. Fissò il bigliettino per qualche altro minuto fino a quando una poderosa gomitata, ben più forte della precedente, gli arrivò dritta nel fianco.

John alzò lo sguardo, incontrando, contro ogni aspettativa, quello torvo della professoressa.

“Sì?” chiese, la voce ridotta ad un sussurro spaventato.

“Cos'è quello, Watson?”

Il ragazzino iniziò a bofonchiare qualcosa di confuso, il volto in fiamme, quando la donna gli strappò i due biglietti di mano, “Crittografia?”, commentò lei.

Watson aprì la bocca per confessare qualcosa di campato in aria, quando si accorse che l'insegnante non era più china su di lui, ma su Sherlock. Che la guardava con lo stesso interesse di cui avrebbe degnato un moscerino, “Davvero, Holmes? Crittografia?” ripeté incredula, “Ha qualche spiegazione in proposito?”

Sherlock si fece angelico, “Lei non lo vuole sapere.”

E fu in quel momento che John si rese conto che la sua reputazione da studente modello sarebbe crollata ancora prima di nascere.

Chiuse gli occhi, pizzicandosi la coscia.

“Oh, sì che voglio.”

Holmes diede una scrollata di spalle, “La lezione è noiosa, lei insegna cose palesemente errate, e devo informarla che il libro che stiamo usando è...”

 

 

“Io l'avevo avvertita”, si lamentò Sherlock, mentre ritagliava come punizione l'ennesimo pezzo di buccia di cipolla per la lezione di chimica.

“Non avresti dovuto, e lo sai.” lo rimproverò John asciugandosi gli occhi lacrimanti con un fazzoletto. I cinque bicchieri di acqua non era bastati, evidentemente. [1]

Non che Sherlock se la stesse passando meglio anzi, delle lacrime gli stavano scendendo dalle gote.

“Oh, John, ammettilo. È stato divertente.” provocò lui con un ghigno, riponendo il quadrato di buccia su un vetrino del microscopio.

Watson gli sorrise complice.

Perché quel ragazzo riusciva sempre a farla franca, con lui? “A proposito, cos'hai scritto in quei foglietti? Era davvero crittografia?”

Mi annoio.” rispose Holmes.

“Oh, anche io, se è per questo.”

“No. Sul biglietto. C'era scritto 'mi annoio'.”

“Come scusa?”

“Non sapevo a chi altro dirlo. Ah, ed era il cifrario di Cesare.” aggiunse con una punta di orgoglio nella voce.

John lo guardò sorpreso, “Davvero?”

“Ovviamente.”

Watson posò il vetrino che aveva in mano sul tavolo dell'aula vuota, “Hai usato un cifrario vecchio di 1900 anni per comunicarmi che ti annoiavi?”

Holmes diede una scrollata di spalle, asciugandosi gli occhi con la manica della camicia, “Anche per informarti che la professoressa ha una relazione con la figlia della preside.”

 




Notemie

Il Codice di Cesare viene utilizzato anche sul “blog” di Sherlock, The Science of Deduction, ogni parola viene spostata di tre posizioni verso destra.

Le traduzioni sono rispettivamente, “Mi annoio” e “La professoressa ha una relazione con la figlia della preside.”
In prima liceo, e soprattutto agli inizi, non si studia Cesare, lo so, ma... ma ormai mi sono innamorata di questo codice qui, quindi... quindi resta. Ecco.

[1] Utilizzare bicchieri d'acqua quando si taglia la cipolla è utile per non far lacrimare gli occhi, o almeno, ho sempre fatto così!

 

Ed eccomi qui! Mi dispiace davvero per il mesetto di ritardo (il tempo vola quando si studia eh?), ma non ho avuto un attimo di tempo per aggiornare. Prometto che risponderò alle vostre stupenderrime recensioni al più presto, appena ho un altro attimo (no, susu, non sarà tra un mese, si spera), e ne approfitto per ringraziare tutti quelli che hanno letto, recensito, preferito, seguito e ricordato... non pensavo che questa schifezzuola potesse davvero piacere a qualcuno!

Detto questo, sono troppo eccitata per la puntata di domani di SPN, che vedrò senza sottotitoli e capendoci poco, come al solito. Ma l'importante è vedere il visino di Cas.

See you soon (-ish)!

Si, l'ho presa da Moffat, ma ehi, dicembre si avvicina!!



 

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Capitolo 5
*** Calore Specifico ***


- Calore specifico

 

Watson, ti vuoi muovere!!?”


John sbuffò, continuando a correre a perdifiato, cercando di completare il più velocemente possibile quel giro di campo. Sherlock gli si affiancò, pantaloni lunghi e canottiera di lino bianco, sembrava essere esattamente nel suo elemento. I muscoli delle braccia e dell'addome, ben scolpiti, si intravvedevano sotto il tessuto leggero, mentre l'aria gli agitava i riccioli perennemente disordinati. “Stai bene?” gli sussurrò, rallentando un po' la corsa per far riposare l'amico.

John annuì, “Quanti ne mancano, dopotutto? Solo sei.”

Sherlock chinò il capo in cenno d'assenso, tralasciando il fatto che... beh, lui i suoi venti giri li aveva finiti da un pezzo. Si guardò attorno, gli altri ragazzi stavano parlottando tra loro, correndo il più lentamente possibile, quasi camminando a passo veloce.

“Menti.” sbuffò il giovane detective tra un respiro e l'altro.

“Come scusa?” chiese ansimante.

“Fai un altro giro e fermati. Quasi tutti hanno finito, e di certo quella prof non è rimasta a contare quanto hai corso tu.”

John alzò le sopracciglia. Non che Sherlock fosse un campione di moralità, ma... “Grazie.” disse con un filo di voce, mentre piano piano rallentava e si stoppava. Le mani sulle ginocchia, la milza in fiamme. Si passò una mano tra i biondi capelli sudati.

Sherlock gli lanciò uno sguardo duro, o almeno, che voleva essere tale: sembrava quasi intenerito.

Ma fu un solo lampo, una piccola luce, così veloce che John la attribuì ai lampadari della palestra.

“Che faremo?” chiese qualche secondo dopo, mentre la classe cominciava ad avvicinarsi alla professoressa, intenta a spiegare cosa si sarebbe fatto nel resto dell'ora.

“Pallavolo.” soffiò Sherlock con disappunto, mentre l'espressione di John diventava interrogativa. “Oh non fare quella faccia, è ovvio. La rete non c'è ancora, ma la monterà presto. Sta occhieggiando le palle nel carrello da due minuti e ora sta guardando Mary e Sally, sono le più brave in questo sport, ricordi?

John gli sorrise, accompagnandolo dal resto della classe.

 

Come sempre, le squadre venivano scelte dai ragazzi.

Come sempre, John era stato tra i primi a venire chiamato.

Come sempre, Sherlock, ultimo ad essere scelto, era stato solo una seccatura che bisognava accodare a una delle due squadre, quella di John, ovviamente.

Erano un pacchetto unico quei due: uno bravo nella corsa, pessimo in tutto il resto, l'altro esattamente il contrario.

John si precipitò al posto del libero, era il migliore della classe in quel ruolo. Sherlock si mise in panchina, le affusolate gambe accavallate, le braccia incrociate: un secco diniego nei confronti della classe e del resto del mondo.

Un fischiò, poi Molly Hooper urlò “Palla!!” dall'altra parte del campo, lanciando occhiate spaventate verso i compagni di squadra.

Il pallone volò oltre la rete, finendo in sesta posizione, dove, con un bagher, John riuscì a passarla a Greg, che a sua volta, la rimandò nel campo avversario, facendo punto.

Sarah uscì con uno sbuffò, mentre Sherlock prendeva la palla di rimbalzo, preparandosi a battere. Fece un profondo respiro, posizionandosela sulla mano destra, mentre la sinistra, stretta a pugno, si preparava a colpire il cuoio bianco.

Un piede in avanti, dritto verso l'alzatore della squadra avversaria, perfettamente allineato, i muscoli tesi.

L'arbitro fischiò, e la palla finì in alto, molto in alto. Per un attimo, Sherlock si complimentò con se stesso per il raggiungimento dell'obbiettivo, poi sentì qualcuno chiamare il suo nome, e la seconda cosa di cui si accorse fu che la palla gli aveva colpito in pieno il viso.

John gli corse vicino, le scarpe che calpestavano il pavimento della palestra come unico suono. “Stai bene?” gli chiese, mentre lo costringeva a togliersi le mani dal viso, prendendo quelle dell'amico nelle sue.

Il labbro era spaccato, lo sguardo frustrato.

“Prof, Holmes dovrebbe andare a...”

La donna annuì con sguardo preoccupato e John sorrise leggermente a Sherlock, in silenzio fino a quel momento, “Tra un paio di giorni potrai tornare a parlare e potrai insultarmi come prima.” gli disse in tono rassicurante, mentre il ragazzo, con un cenno della testa, iniziava ad allontanarsi.

 

Inutile dire che, per il resto di quei trenta minuti, l'attenzione di John fu ai livelli minimi.

 

“Starà bene il tuo ragazzo, Watson?” chiese la voce strascicata di Sebastian Moran una volta che la porta dello spogliatoio maschile si fu chiusa.

John gli lanciò un occhiataccia, togliendosi la canottiera bagnata di sudore nella luce bianca, simile a quella degli ospedali, proveniente dai lampadari, “Sherlock non è il mio ragazzo.”

Sebastian sorrise mellifluo, “La domanda è se lo diventerà.”

Watson chiuse gli occhi, riabbottonandosi la camicia.

“Anzi, quando.”

“Io e Sherlock non siamo una coppia.” gli ripeté, girandosi di scatto verso di lui, la camicia mezza abbottonata sopra i pantaloncini da basket.

“Sai una cosa Watson?” disse Moran allacciandosi le scarpe da ginnastica “Dovresti chiederti se lui in proposito la pensa come te.”

 

 

 

Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per innalzare la temperatura di una qualsiasi kilogrammo di sostanza di un grado kelvin.

Era sulla stessa definizione da quaranta minuti buoni.

Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per innalzare la temperatura di una qualsiasi kilogrammo di sostanza di un grado kelvin.

“Il calore specifico di una sostanza è una temperatura, no... Il calore specifico di una sostanza è la quantità di volume, NO!” sbottò John sbattendo il libro sul letto.

Perché era così dannatamente difficile?

Perché non poteva studiare solo il metabolismo umano, se era chiaro che voleva diventare un dottore?

Sospirò pesantemente, portando il libro “Chimica Aperta” più vicino alla lampadina.

Si costrinse a concentrarsi sul significato di quelle parole.

“Il calore specifico è la quantità di calore necessaria per far innalzare in un grado kelvin la... la... la... il calore specifico è la quantità di calore necessaria per... E il tempo? Come faccio con il tempo?”

La voce impastata dal sonno di John Watson venne interrotta dall'aprirsi di una porta, “Cosa c'è Sherlock?” chiese stancamente.

Il ragazzo si strinse nelle spalle, andandogli vicino e sedendosi sul bordo del letto, aveva il petto completamente nudo, scolpito come John aveva potuto scorgere in palestra. Le braccia coperte dalla vestaglia blu che tanto amava. Quale essere umano avrebbe mai potuto dare vita ad una creatura così perfetta, dalla pelle così marmorea e gli occhi così perennemente accesi?

John arrossì furiosamente, distogliendo lo sguardo dall'orlo dei pantaloni dell'amico, “Sher... cosa..?” fece, portandosi istintivamente il lenzuolo fino alle spalle

Il ragazzo sbuffò, prendendogli il libro dalle mani e chiudendoglielo, poi gli parlò sottovoce, “Il calore specifico è la quantità. Se voglio aumentare di un grado la temperatura di 1 kg d'acqua e quella di un l kg di alcool etilico, l'acqua ci metterà di più perché ha un calore specifico più elevato, un altre parole, ha legami più forti tra le particelle. Il tempo, quello che ti tormenta, non è importante, quello che è importante è la quantità di calore, non il tempo. Chiaro?” chiese Sherlock con voce baritonale scrutando John da capo a piedi.

“No. Cioè, sì. Forse. Sherlock, io...”

Il ragazzo lo interruppe, posando con leggerezza il libro sul comodino, “Dormi. E non parlare più ad alta voce. Ci sono momenti in cui anche io ho sonno, e gli antidolorifici non hanno di certo aiutato.” concluse, svanendo tranquillamente come era arrivato.

Dietro di lui, John rimase a fissare la porta della stanza per un'altra mezz'ora.

 

 

Notemie

Hola! Come si dice, chi non muore si rivede. A meno che tu non sia un Winchester, Sherlock Holmes o Rory Williams, perché in quel caso... ad ogni modo, eccomi!

Come avrete tutti certamente notato il capitolo non è betato. Purtroppo c'è stato un disguido con la mia beta, ma non volevo farvi aspettare quindi... eccovi il capitolo sprovvisto di punteggiatura. Da ora gli aggiornamenti potrebbero essere più regolari, ma in vista Reunion STIC (si parte tra pochi giorni, siiii) e verifiche (no, quelle no. Ho appena fatto matematica, tutto il resto si può superare) non ci giurerei.
Il giorno in cui rispetterò una scadenza Lucifero uscirà di nuovo dalla Gabbia e con lui Michele.
In più devo mettermi avanti nella scrittura, devo davvero mettermi avanti.

Magari durante le vacanze natalizie lo faccio. O forse quelle di Pasqua.

Mi rendo conto che il capitolo non sia spettacolare, sia corto, e con scene neanche troppo interessanti (però dai, Sherlock che va in camera di John mezzo nudo è carino eh?)... ma mi serviva per farli avvicinare. Senza spoiler... ma nel prossimo capitolo inizierà finalmente il caso. Studentesco... ma pur sempre un caso.

 

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Capitolo 6
*** A caccia di enigmi ***


- A caccia di enigmi
 

Il fatto era semplice: John Watson al liceo non avrebbe dovuto iscriversi. La sua media era bassa, così bassa che rischiava di andare verso il centro della Terra.

Cinque. In matematica aveva cinque. Lui. E solo perché no, non aveva scritto la parola “risposta” in un problema.

E poi c'era educazione civica, compresa tra le tediose ore di storia.

 

La lezione di quel giorno, in particolare, era stata sulle buone azioni. “Dovrete portarmi un elenco di cinque buone azioni che farete durante le prossime due settimane. Non voglio leggere cose come studiare, dare ripetizioni e così via. Le voglio serie. Voglio che vi impegniate. In coppia. Ed entro il 20 di dicembre”

Un coro di “Si professoressa” si era levato dagli studenti.

 

Coppie.

Naturalmente John e Sherlock avrebbero fatto coppia.

Nonostante, come ci teneva tanto a dire John a chiunque gli capitasse a tiro, non lo fossero. Non di quel tipo almeno.

 

 

Ed era proprio dallo studente riccioluto che era nata l'idea.

“So quale sarà una delle nostre cinque buone azioni.” annunciò quella sera, entrando in camera.

“Ovvero?” chiese John dal suo letto, un libro ancora alzato sopra la testa.

“Noi, John Watson, risolveremo un crimine.”

 

 

Quel giorno, mentre si aggiravano con aria persa tra i corridoi della scuola, cercando delle possibili vittime o sospettati, il parametro di ricerca andava da 'hanno rubato la cravatta a Mike' ad 'hanno fatto una strage nella hall'.

“Vedi quello?” chiese Sherlock sottovoce, indicando un ragazzo intento ad allacciarsi le scarpe davanti ad un'aula “È del quarto anno, è fidanzato con una del quinto, Clara, peccato che non la ami, ma progetti di lasciarla dall'inizio della relazione. Oh, e per un altro maschio, aggiungerei.” fece poi Holmes in tono cospiratorio inarcando le sopracciglia.

“Come lo sai?” sussurrò John accigliato.

“Osservalo, sta guardando quel ragazzino da una decina buona di minuti, le scarpe continua a slacciarsele ed allacciarsele. E il fatto che voglia lasciarla è ovvio, perché altrimenti non avrebbe ancora copulato con lei?” chiese, una piccola smorfia.

“E come puoi capire che non hanno... No, no, non voglio saperlo.”

Lui sospirò, “Sono Sherlock Holmes, lo so e basta.” rispose secco. [1]

“Ma...” contestò.

“Oh, sta zitto.” Improvvisamente afferrò il polso di John, trascinandolo per il resto del corridoio quasi di corsa. “Loro”, affermò poi, osservando tre ragazzi appartati parlottare sottovoce.

John inarcò le sopracciglia, guardando gli sconosciuti, “Sicuro?”

Sherlock annuì secco, dirigendosi verso il gruppetto, “Ragazzi, credo che abbiate bisogno del mio aiuto.”

 

 

“... e improvvisamente i personaggi hanno iniziato a prendere vita.” concluse Chris Melas, ex-studente modello e amante di supereroi.

Sherlock annuì pensoso, le mani giunte sotto il mento, mentre John prendeva freneticamente appunti per la loro ricerca.

“È interessante.” commentò Holmes qualche secondo dopo, incurante dell'occhiataccia lanciatagli da Watson. Come potevano tre fissati essere considerati materia per un compito?

“Quindi?”, chiese speranzoso James, una maglietta di Batman fieramente portata e jeans nero pece. “Ci aiuterai?”

 

Il modo per convincerli delle doti innaturali di Sherlock, era consistito in una breve, ma altrettanto dettagliata, descrizione della vita sessuale, sentimentale e scolastica dei tre ragazzi: James, Chris – occhi marroni e capelli neri come il petrolio, precedente primo della scuola in fisica e biologia, i suoi voti stavano mostruosamente calando – e Bill – corpulento e bianco come un cadavere, metà dell'istituto si chiedeva perché non fosse lui ad insegnare latino.

 

Sherlock per tutta risposta diede un'occhiata all'orologio della camera 221, ci sarebbero volute ore se quei tre non iniziavano a rendersi utili. “Racconta dall'inizio, Chris, e, ti prego, non essere noioso.”

Il ragazzo, dal suo metro e settantacinque di altezza, annuì, “Noi tre – iniziò indicando se stesso e gli altri due amici – abbiamo questo sito web, o meglio: una pagina su tumblr. È frequentata da diversi utenti, che non sono altro che compagni di scuola, si chiama fyeahkratides. Parla di questo gruppo di supereroi, i KRATIDES... sono come... gli X-men, o la Justice League... Non so se mi spiego. Fanno parte del giornalino d'istituto, sono storie, ambientate qui nell'istituto, con dei supereroi come protagonisti: svolgono la normale routine studentesca fino a quando non scoppia un'emergenza, come una giornata di Clark Kent al Daily Planet. Max le scrive, e un gruppo di studenti disegna.”

 

Sherlock rispose con un cenno della testa e John si limitò a sussurrare un “li conosco”.

 

“Ma non è quello che pensate, non sono cose stupide, sono... sono belle, hanno dei messaggi nascosti all'interno, messaggi che solo veri professionisti riescono a capire.” continuò con fervore il ragazzo.

“Come voi, immagino.” commentò aspro Sherlock, apparentemente disinteressato.

Chris annuì, non cogliendo l'insulto, “E fin qui tutto bene, no? Fino a che... fino a che non li abbiamo visti, Sherlock, abbiamo visto quei supereroi nella vita reale.”

“I personaggi dei vostri fumetti sono improvvisamente apparsi nella scuola?” chiese Watson, la voce impregnata di sarcasmo, la penna a mezz'aria.

“Non sono fumetti, sono graphic novel. [2] E sì, li ho visti.” ribatté Chris con voce acuta, lanciando un'occhiata infuocata a John, che in tutta risposta gli sorrise debolmente.

“In che senso? Cosa vuol dire che li avete visti?” chiese la voce baritonale di Sherlock, incuriosita.

“Ho...” Chris si passò una mano tra i capelli, mentre gli altri due amici annuivano solidali nei suoi confronti, “Ho visto Sophy, la Wolflady dei KRATIDES che portava alcuni zaini pieni da un'aula ad un altra, era... era vestita esattamente come lei, quella dei fumetti... era perfettamente uguale! E poi, un altra volta in sala mensa, il Randello Volante, lui stava... stava appendendo dei cartelloni con su scritto “Votazione per l'impiego delle ore di alternativa”, e poi...”

Sherlock alzò una mano per zittire il ragazzo, gli occhi ridotti a due fessure, “C'è qualcos'altro.” affermò, in attesa di sapere cosa veramente turbava Chris e i suoi amici.

“Beh...” iniziò James, “Questi avvenimenti, tutti quelli che Chris ha visto, sono raccontati anche nei fumetti.”

John sorrise mestamente, preparandosi ad uno Sherlock che cacciava i loro ospiti, arrabbiato per il tempo sprecato. Invece, Holmes tranquillamente continuò a porre domande, “E li ha visti solo Chris?”

L'interpellato annuì, nervoso.

“Non potresti esserteli solo immaginati?” chiese John con una punta di scetticismo. Ma andiamo, supereroi nella vita reale? Anche lui amava i fumetti, ma quello...

Chris in tutta risposta scosse la testa, infilando una mano in tasca per tirare fuori un cellulare dall'aria malandata, “Guardate.” incoraggiò, mostrando a Sherlock e a John, seduti sul letto a pochi centimetri di distanza l'uno dall'altro, lo schermo del telefono, “Questa l'ho scattata qualche settimana fa. Lo vedete? Non me li sono immaginato, sono reali.” disse, indicando l'uomo della foto.

John avrebbe potuto anche ribattere, dire che niente di tutto quello era assolutamente possibile; solo che l'uomo aveva la pelle blu, un costume da supereroe, ed era terribilmente simile al Professor Davenport, dei KRATIDES.

 

 

“Le alternative sono poche – iniziò Sherlock mentre la porta della 211 si chiudeva dietro Chris e i suoi amici – o Melas ha iniziato ad avere allucinazioni, e in questo caso tu gli potresti essere di più aiuto dandogli sostegno psicologico, o i KRATIDES esistono, con tutti i loro superpoteri e costumi, cosa poco probabile e non scientificamente provata, oppure qualcuno sta cercando di fargli un brutto scherzo.”

John sospirò, appoggiando la testa sul materasso, i capelli che sfioravano i pantaloni di Sherlock, seduto qualche centimentro più in là. “Ne sei sicuro?” chiese Watson, guardandolo con i profondi occhi grigi, una sfumatura di indecisione.

“Ovviamente. La foto esclude la prima opzione.”

“Non è il crimine sul quale hai sempre voluto indagare. Non sappiamo neanche se sia un crimine.”

Sherlock si strinse nelle spalle, ricambiando lo sguardo per un lungo, interminabile momento, “Per ora è l'unico caso che abbiamo.”

John annuì, mordendosi l'interno della guancia, “Sì, ma se continuassimo a cercare...”

“Vuoi dirmi che tutto questo non ti incuriosisce neanche un po'?” gli chiese poi, la testa chinata verso il basso per osservare i capelli biondi dell'amico.

“Beh, sì.” ammise l'aspirante medico. John alzò le sopracciglia, guardando Shrerlock con aria di sfida; l'altro si limitò a ricambiare l'occhiata. “È interessante, molto, d'accordo. Ma... strano? Sherlock per l'amor del cielo, sembra di essere entrati in una puntata di Supernatural.” [3]

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa “Chris non soffre di allucinazioni, non corrisponde al classico profilo dello schizofrenico o di un qualunque altro tipo di malato mentale. C'è qualcosa sotto, ci deve essere.”

“Conosci i sintomi della schizofrenia?”

Sherlock gli rispose con un'alzata di sopracciglia, Ovvio, no?

John sospirò, appoggiando la testa contro lo schienale del letto, “D'accordo. Facciamo come farebbe Poirot. Dobbiamo trovare il movente per questo caso.”

L'altro annuì.

“Perchè una persona commette un crimine nei gialli? Amore, gelosia, eredità... soldi? Al giorno d'oggi mi sembra un'opzione più che probabile... oppure...?”

Sherlock annuì pensoso, poi continuò a fare gesti affermativi, sempre più velocemente, e schizzò in piedi, battendo le mani, “Oh!” esclamò con un sorriso entusiasta, “Oh!! John Watson, tu sei incredibile! È così ovvio! Oh, che stupido, è elementare!”

“D'accordo, cos'ho fatto per essere così stimolante?”

Sherlock lo prese per le spalle, alzandolo bruscamente, “Oh John, i tuoi gialli! Benedetto il giorno in cui ti ho incontrato! Sono sempre i gialli! Chi avrebbe potuto guadagnare qualcosa da tutto questo?”

John lo guardò interrogativo, mentre Sherlock continuava a scuoterlo eccitato, “Io...”

“Andiamo!!! La pagina web di Chris!! Perché qualcuno dovrebbe fare una cosa del genere? Per fama, oh, dai è così ovvio, John!”

“Che? Cosa?” balbettò lui.

“Oh, John, ora si che il gioco è iniziato!”

 

 

 

 

 

 

 

[1] So che è una citazione, su Sherlock credo, ma non so da dove posso averla presa. Forse è Doctor Who. No, davvero, quella risposta non so da dove proviene.

[2]Graphic novel, o romanzo grafico, è un particolare genere narrativo del fumetto in cui le storie hanno la struttura del romanzo, quindi autoconclusive.

[3] Nell'episodio Changing Channels, 5x18, di Supernatural, il Trickester (quel simpatico tipetto nel mio attuale avatar) trasporta Sam e Dean in diverse serie TV. Insomma, in altre parole, i due entrano dentro a vari telefilm, interagendo con i personaggi fitizzi di questi ultimi. È uno degli episodi più belli dell'intera serie. Perché c'è il Trickster, e se c'è lui allora l'episodio è stupendo.

 

Avete capito qualcosa? Bene. Non avete capito niente? Ancora meglio! Capirete... con il tempo.

Per finire due parole sul caso: ho letto il blog di John da cima a fondo, e volevo inserire un giallo in questa ff. Piuttosto che inventarmi qualcosa di sana pianta (lo ammetto, avrebbe fatto un po' schifo) ho deciso di unirlo a The Geek Interpeter.

È un giallo studentesco, resta all'interno della scuola, non perché Sherlock non sia in grado di affrontarne uno più complesso, ma non mi pareva argomento per questa storia.


Per finire, volevo ringraziare tutti ancora una volta per le recensioni... cerco sempre di mettermi in pari appena ho un po di tempo libero, ma ne ho davvero poco! 

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