My happy ending is you

di gattina04
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gennaio: Metodi infallibili per scaldarsi ***
Capitolo 2: *** Febbraio: Le tradizioni di questo reame ***
Capitolo 3: *** Marzo: L’etichetta di “eroi” o di “cattivi” ***
Capitolo 4: *** Aprile: L'effetto che hai su di me ***
Capitolo 5: *** Maggio: Sarà l’amore a salvarmi ***
Capitolo 6: *** Giugno: La privacy di una casa tutta mia ***
Capitolo 7: *** Luglio: L’oscurità di un giorno estivo ***
Capitolo 8: *** Agosto: Il gioco di sguardi di una serata perfetta ***
Capitolo 9: *** Settembre: Ciò che desidero veramente ***
Capitolo 10: *** Ottobre: Come regalarmi la completa felicità ***
Capitolo 11: *** Novembre: Lasciami guidare la tua nave ***
Capitolo 12: *** Dicembre: Sì, lo voglio ***



Capitolo 1
*** Gennaio: Metodi infallibili per scaldarsi ***


Gennaio: Metodi infallibili per scaldarsi
 
Stavo seduta accanto al camino nel tentativo di scaldarmi. Eravamo in inverno inoltrato e con l’arrivo di gennaio era arrivata anche la prima neve. Aveva nevicato tutta la notte e la mattina, al risveglio, tutta Storybrook era coperta da una coltre bianca. Henry e miei genitori, insieme al piccolo Neal, erano usciti a godersi quell’inaspettato imprevisto, lasciandomi la casa finalmente a mia completa disposizione. Sebbene avessero insistito per farmi andare con loro, avevo resistito alle loro incessanti richieste ed ero riuscita a conquistarmi un momento di privacy.
Era stato bello starmene un po’ per conto mio, senza nessuno intorno. Non riuscivo mai ad avere un po’ di tempo per me, in quella casa c’erano fin troppe persone. Avevo davvero bisogno di un posto tutto mio. Era stato bello, finché il riscaldamento non era partito.
Avevo già chiamato per far risolvere il problema e mi avevano assicurato che avrebbero mandato un tecnico il prima possibile. Così non mi era restato altro da fare che accendere il vecchio camino che era rimasto inutilizzato fino a quel momento. Per fortuna avevo trovato con facilità il luogo dove David aveva sistemato la legna ed appiccare il fuoco con la magia era stato un gioco da ragazzi.
Strofinai le mani per scaldarle. Il freddo sembrava essersi diffuso in un batter d’occhio, la temperatura sembrava scendere vorticosamente, nonostante fino a poco tempo prima il riscaldamento fosse funzionante.
Sebbene fossi avvolta in una coperta e il fuoco fosse accesso, cominciavo a sentire le dita intorpidite. I miei pensieri tornarono ad Elsa e alla caverna di ghiaccio. Non mi era mai piaciuto il freddo e da quella esperienza mi era piaciuto ancora meno.
In quel momento bussarono alla porta risollevandomi il molare. Mi avviai di corsa ad aprire, sperando di poter così risolvere il problema al più presto.
“Per fortuna sono stati veloci, quasi non ci speravo”.
Quando aprii la porta però non mi ritrovai davanti il tecnico della caldaia, bensì Killian. Nonostante mi fissasse con il suo splendido sorriso e che fosse ancora più attraente con la neve tra i capelli, non potei che restare un po’ delusa.
«Ah sei tu», sbuffai facendolo entrare.
«Ma come Swan non sei felice di vedermi? E io che ho affrontato il freddo e la neve per venire a trovarti!».
«Non credo che sia stata una impresa così eroica», replicai tornando al mio posto per terra accanto al camino.
«Accidenti e io che mi aspettavo un’accoglienza un po’ più calorosa». Ammiccò, chiudendo la porta, per poi seguirmi.
«Be’ Hook mi dispiace ma sicuramente il calore non è un comfort che questa casa potrà offrirti oggi».
«In effetti qua dentro fa piuttosto freddo. Cosa è successo?».
«Il riscaldamento deve essersi rotto. Stavo aspettando il tecnico per questo non pensavo che fossi tu».
«Ho capito. È per questo che oggi siamo così scontrosi?».
«Io non sono scontrosa!», protestai voltandomi a guardarlo. Lui mi fissò con il suo sguardo che sembrava suggerire tutto il contrario. Beh forse ero stata un po’ brusca con lui, ma quella che era partita come una splendida giornata si stava rivelando tutto il contrario.
«È che il freddo mi rende nervosa», cercai di spiegarmi.
«Bene se è solo questo, allora ho la soluzione». Si sedette sul tappeto accanto a me. «Swan conosco un metodo infallibile per scaldarti». Si avvicinò sempre più circondandomi con le braccia e facendomi accoccolare sul suo petto. Sorrisi del suo approccio ma ne fui felice. In fondo avevo voglia di vederlo e se non ci fosse stato quell’imprevisto, avrei sicuramente finito per chiamarlo.
Negli ultimi mesi il nostro rapporto era diventato sempre più profondo. I miei sentimenti per lui erano cresciuti esponenzialmente, anche se non ero ancora pronta ad ammetterlo apertamente. Almeno non davanti a lui.
Mentre ero persa tra i miei pensieri, sollevò il viso con la mano e mi fece incontrare le sue labbra. Mi lasciai completamente andare al suo bacio, affondando le dita nei suoi capelli e intrecciando la lingua alla sua. Era incredibile quanto in poco tempo quei gesti fossero diventati normali e quasi indispensabili. Ed era altrettanto strano come lui riuscisse a calmarmi con un semplice gesto. Ero sempre stata una donna autonoma e indipendente, ma nell’ultimo periodo mi stavo accorgendo dell’influenza che Killian aveva su di me.
«Credo di essermi fatta perdonare per la gelida accoglienza», sussurrai quando lui passò a baciarmi la guancia. Mugolò in risposta continuando il suo peregrino viaggio sulla mia pelle. Dalla guancia passò al mento, scendendo lungo la mia gola, lasciando una scia di baci su e giù sul collo.
Con l’uncino mi scostò una ciocca di capelli portandomeli dietro l’orecchio. Il contatto con il freddo metallo non mi fece rabbrividire, bensì mi fece avvampare. Era quello l’effetto che lui aveva su di me. Riusciva ad accendermi con semplice gesto.
Aveva ragione: sicuramente i suoi baci erano un metodo infallibile per scaldarmi. Le sue labbra erano bollenti o forse era il semplice contatto che mi infiammava. Sentivo la pelle bruciare nei punti in cui depositava i suoi baci.
«Killian», sospirai quando le sue labbra scesero sulla mia spalla, scostando via la coperta e tirando il bordo del golf. Quello che era partito come una protesta nella mia mente, suonò più come un gemito di piacere che lui interpretò come un invito a continuare.
Lentamente torno sui suoi passi tornando a dedicarsi al mio collo. Sempre con la stessa lentezza esasperante mi scostò i capelli dall’altro lato e andò ad occuparsi dell’altra spalla.
Quando mi resi conto che non sarei riuscita a fermarlo, o forse che non volevo fermarlo, chiusi gli occhi e lasciai che mi inondasse con i suoi baci. Il freddo sembrò passare in secondo piano e infine sparire mentre il mio corpo si scaldava. Cominciavo ad avvampare sempre di più. L’effetto che lui aveva su di me era davvero potente. Nessuno era mai riuscito a farmi provare emozioni così intense, nessuno era più riuscito a insinuarsi così nel mio cuore da tanto tempo.
Dopo quella che sembrò un’infinità ma anche un momento troppo breve, sentii di nuovo le sue labbra sulle mie.
«Allora Swan hai ancora freddo?», sussurrò sulla mia bocca.
«Direi di no». Leccai il contorno delle sue labbra per sentire il suo favoloso sapore prima di perdermi in un altro bacio.
Quando ci staccammo, rimanendo appoggiati l’uno sulla fronte dell’altro, i nostri sguardi inevitabilmente si intrecciarono. I suoi occhi del colore del mare mi fissavano incorniciati dal suo solito sorriso soddisfatto e impertinente. Con la mano cercai la sua, intrecciando le nostre dita, e beandomi di ogni nostro contatto.
«Sono così bravo», si vantò, «che non ti sei neanche accorta che il fuoco si è quasi spento». Voltai la testa quel tanto che bastava per vedere che nel camino non restava altro che qualche debole fiammella. Di lì a poco si sarebbe spento del tutto.
«Non vantarti troppo Capitano o comincerò a pensare a cosa, o meglio a chi, ti ha fatto arrivare a questo livello». Sapevo che lui, in quel campo, aveva avuto molta più esperienza di me, ma aveva anche diversi secoli di esperienza alle spalle.
«Gelosa Swan?». Il suo era un tono piuttosto esultante e sfacciato.
«E tu?», lo provocai alzandomi in piedi. Non avrei resistito se fossi rimasta lì accanto a lui e non era quello il momento per lasciarci andare a certe intimità.
«Ehi dove credo di andare tesoro?». La sua mano ancora intrecciata alla mia mi richiamò giù.
«Vado a preparare una cioccolata calda. Ti va?». Mi divincolai dalla sua stretta e andai in cucina, cercando di allontanarmi un po’ dal suo corpo fin troppo irresistibile.
«Pensavo di poterti scaldare un po’ più a fondo. È così raro restare da solo con te, devo pur approfittarne». Mi aveva seguito e si era appoggiato al bancone per osservarmi meglio.
«Killian il tecnico potrebbe arrivare da un momento all’altro», gli feci notare. «Ed in più anche Henry e i miei potrebbero rientrare a momenti».
«Non credo. Li ho incontrati mentre stavo venendo da te e Mary Margaret mi ha detto che avevano intenzione di andare a pattinare. Probabilmente non torneranno prima dell’ora di cena».
«Sì ma non toglie il fatto che il riscaldamento si è rotto e tra poco qualcuno busserà a quella porta».
«Mm». Lo vidi sforzarsi per cercare un modo di ribattere ma era evidente che io avessi ragione.
«Swan hai vinto. Però la cioccolata io la prendo corretta», si arrese infine.
Sorrisi e mi avvicinai a lui. «Grazie di essere così paziente, vedrai che mi farò perdonare». Proprio in quel momento altri colpi alla porta ci interruppero.
Andai ad aprire pensando che, se il problema si fosse dimostrato più semplice del previsto, avrei potuto mantenere la mia promessa anche quel giorno stesso. Speravo davvero di poter tornare alla nostra solitudine il prima possibile. 



 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Anche se in ritardo voglio partecipare anche io a questa iniziativa. Questa è la prima fanfiction che scrivo però adoro troppo Emma e Hook, così ho deciso di provarci! Spero che la storia vi piaccia.
A presto!  

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Capitolo 2
*** Febbraio: Le tradizioni di questo reame ***


Febbraio: Le tradizioni di questo reame
 
Avevo odiato San Valentino fin da ragazza. Mi era sempre sembrata una festa inutile, solo un giorno inventato per arricchire fiorai o chiunque vendesse cioccolatini e altri oggetti simili. Mi ero categoricamente imposta di non festeggiarlo, anche quando avevo qualcuno con cui farlo. Avevo gioito del fatto che Killian non sapesse minimamente di cosa si trattasse e avevo glissato le sue domande su un certo Valentino e su chi diavolo fosse.
Ma ovviamente Hook aveva capito il mio gioco ed era stato più furbo di me. Mi risuonavano ancora le sue parole quando una sera, mentre stavamo cenando con i miei genitori, l’aveva chiesto candidamente a mia madre.
«Mary Margaret potresti spiegarmi in cosa consiste San Valentino? Sono alquanto confuso dalle tradizioni di questo vostro reame». E lei se ne era saltata fuori con la storia della festa degli innamorati e tutti il resto. Certo sapevo che lui prima o poi l’avrebbe scoperto, bastava che domandasse un po’ in giro, ma chiederlo proprio a mia madre era stato un colpo basso.
Così in quel momento mi stavo preparando per l’appuntamento romantico che Killian doveva aver organizzato. Non che mi dispiacesse stare con lui ma non ero proprio il tipo sdolcinato e sentimentale. Esternare i miei sentimenti mi era sempre risultato difficile, per quanto forti potessero essere. Era un meccanismo di difesa e di protezione che ormai mettevo in atto quasi inconsciamente. Il fatto era che non volevo sentirmi vulnerabile ed espormi mi avrebbe reso tale.
Quando scesi in cucina trovai i miei davanti alla televisione.
«Sono pronta», sospirai. «Che ve ne pare?». Avevo indossato un vestito rosso che ero riuscita a scovare nell’armadio, appartenente alla mia vita precedente, quella prima di scoprire che le favole fossero la realtà. In più avevo trovato anche delle scarpe con un tacco più alto di quanto ricordassi.
«Mi sembra che tu sia un po’ troppo nuda», protestò mio padre. «Credo che dovresti indossare qualcosa di più lungo».
«Non ascoltarlo. Stai benissimo tesoro. Sono sicura che Hook apprezzerà».
«È proprio di questo che mi preoccupo», intervenne David.
Sorrisi tra me e cercai di cambiare argomento. «E voi cosa farete stasera?».
«Oh niente di speciale. Con un bambino piccolo abbiamo pensato che forse sarebbe stato meglio fare qualcosa di più tranquillo».
«Così stasera ceneremo e guarderemo il Super Bowl in tv», terminò mio padre.
«No!», mi lamentai. «Non mi dire che stasera c’è il Super Bowl? Non ci credo, accidenti a San Valentino. Mamma perché hai dovuto spiegare a Killian di che cosa si trattava. Adesso me ne starei seduta in pantofole a guardare la partita».
«Non ti saresti fatta così bella se in fondo non avessi voluto festeggiare questo giorno con lui», ribatté mia madre. Feci una smorfia, poteva sembrare così ma in realtà avevo fatto tutto per Killian. Era stato così felice di organizzare qualcosa di romantico per noi e non volevo deluderlo con il mio atteggiamento menefreghista.
«Mi sono vestita così solo per farlo contento», replicai. «Se avessi saputo del Super Bowl l’avrei convinto a restare a casa». Mio padre stava per ribattere su quanto fosse inappropriato il conciarmi così per un pirata, quando un colpo alla porta mi salvò in extremis.
Non gli diedi neanche il tempo di entrare. Afferrai il cappotto e la borsa, salutai i miei, e mi sbattei la porta alle spalle prima che David potesse anche solo riaprire bocca.
«Accidenti Swan! Non pensavo che fossi così entusiasta. Potevi almeno lasciare che entrassi».
«Non credo che tu voglia sentire l’ennesima paternale di David. Per questo ti avevo detto di farmi uno squillo sul cellulare».
«Dovresti saperlo che sono un tipo all’antica. Non mi piace usare il parlofono per queste cose. Mi sembra troppo informale». Sorrisi per il suo linguaggio. Quando mai si sarebbe abituato?
«Cellulare», lo corressi avvicinandomi a lui. «Si chiama cellulare o telefono. Comunque ciao». Lo baciai dolcemente per farmi perdonare per il brusco saluto.
«Ciao», sussurrò sulle mie labbra. «Sei incantevole, bella da mozzare il fiato». 
«Grazie. Vogliamo andare?», gli chiesi infilandomi il cappotto. «Devo prendere la macchina o andiamo a piedi?».
«A piedi. Non è molto lontano».
«Lo spero per te, non ho le scarpe adatte per camminare». Ci avviammo mano nella mano per le vie di Storybrook. In giro non si vedeva anima viva. Le ipotesi erano due: o erano tutti intenti a fare i piccioncini in amore o si stavano preparando per il Super Bowl, come avrei voluto fare io.
Dopo cinque minuti eravamo arrivati al porto.
«Che ci facciamo qui? Dove mi stai portando?».
«Alla Jolly Roger naturalmente».
«Mi stai portando sulla tua nave?», gli domandai perplessa.
«Beh pensavo, vista la tua avversione verso questa particolare tradizione, che sarebbe stato meglio qualcosa di più intimo. Niente cuori, niente fiori, niente altre coppiette felici. Solo io e te». Aveva scelto le parole che avevo usato per convincerlo a non festeggiare.
«Bene sono contenta che ti sia rammentato come la penso».
Dopo poco eravamo a bordo della sua nave.
«Queste sono inutili». Mi tolsi le scarpe per riuscire a scendere meglio nella sua cabina. Mi ricordavo la sua stanza ma non mi era aspettata di trovarla così. Aveva messo il tavolo al centro e aveva apparecchiato alla perfezione con una tovaglia bianca e quello che doveva essere il servizio migliore della Jolly Roger. L’odore della cena che doveva aver preparato era invitante. In più sul tavolo c’erano anche due candele: era perfetto.
«Wow».
«Ti piace?». Mi abbracciò da dietro stringendomi forte.
«Sì io non mi aspettavo tutto questo. Hai cucinato tu?».
«Avrei potuto ma per non rischiare ho preferito ordinare da Granny. Però sarò lieto di cucinare per te qualche volta».
«Non credevo ne fossi capace».
«Un uomo di mare deve adattarsi a fare tutto. Ma vieni, mia signora, accomodati». Mi aiutò a togliere il cappotto, mentre ancora mi guardavo attorno stupita.
«Killian è tutto bellissimo. Non avresti dovuto».
«Certo ma lo volevo. Nonostante il tuo atteggiamento ho pensato di sorprenderti, voglio adattarmi alle tradizioni del tuo mondo».
Sorrisi. «Forse dovevi iniziare da qualcosa di diverso da San Valentino». Mi aiuto a mettermi a sedere ed io accesi le candele con la magia, prima che potesse farlo lui.
«Bene Swan prima che tu perda questo tuo atteggiamento conciliante, devo confessarti che la cena non è l’unica sorpresa».
«Hook! Perché?». Il mio tono fu brusco e severo. Mi alzai in piedi quasi istintivamente, ritrovandomi di colpo arrabbiata. Quando gli avevo detto che non volevo festeggiare quella stupida ricorrenza, lui dove era con la testa? Mi aveva mandata fuori strada quando mi avevo detto che ci aspettava qualcosa di più intimo. In realtà aveva fatto le cose in grande, in pieno stile moderno.
«Non prendertela con me», replicò imbronciato. «Volevo solo…». Si interruppe e lasciò la frase in sospeso. Sul suo volto apparve la delusione per quel mio atteggiamento.
«Volevi solo…?», lo incitai. Posai la mano sulla sua, cercando di essere un po’ più accomodante. In fondo aveva fatto tutto alla perfezione, avrei dovuto essere felice e lusingata e non arrabbiata per il fatto che non mi avesse dato ascolto.
«Insomma è la festa degli innamorati pensavo sarebbe stato giusto festeggiare, noi o meglio io…». Non concluse la frase, ma non era difficile capire cosa volesse dire. Io lo sono.
Mi sentii in colpa per aver reagito così, ma era stato quasi un riflesso incondizionato. Lui aveva fatto di tutto per me e sapevo che avrebbe continuato a farlo. Aveva una pazienza infinita, non mi aveva mai messo fretta ed era sempre lì per me. Io non ero abituata ad essere il centro della vita di qualcuno.
«Scusami», sussurrai. «Hai ragione, non avrei dovuto prendermela. È solo che non sono abituata a tutte queste attenzioni Nessuno mi ha mai trattato così».
«È davvero un peccato Emma, tu dovresti essere amata profondamente ogni giorno». Arrossii: quello era un modo indiretto per confessarmi i suoi sentimenti. Sapeva che ancora non ero pronta a sentire quelle due paroline magiche, però voleva anche riuscire a farmi capire quanto io fossi importante per lui.
«Allora Capitano», allentai la tensione. «Mi mostri questa sorpresa?».
«Sorprese», mi corresse ritrovando il suo sorriso da ragazzino. Feci una smorfia ma non aggiunsi altro. Mi rimisi a sedere e aspettai l’inevitabile.
Mi porse una piccola scatola con una coccarda sopra.
«Se ti consola questo l’avevo già comprato prima di sapere di San Valentino». Scartai il pacchetto con cura. Dentro c’era un braccialetto: era un semplice cordoncino nero con attaccati tre ciondoli. Un uncino, un cigno e nel mezzo un cuore.
«Killian è stupendo». Era adatto a me e quello che rappresentava era così limpido e cristallino. Eravamo noi ed eravamo uniti; quello che si era creato era diventato molto profondo, qualcosa di duraturo.
«Sono contento che ti piaccia. Volevo che tu avessi qualcosa di mio».
«Però io non ti ho regalato nulla», protestai.
«Non importa a me basta stare con te».
«Lo sai che potrei usare questa frase contro di te. Anche a me basta stare con te e quindi tutto questo non era necessario».
«Swan!», protestò. Sorrisi facendogli capire che l’avevo detto solo per stuzzicarlo.
«Comunque per l’ultima sorpresa devo ringraziare Henry. Stamattina mi ha dato una dritta molto importante».
«Oh accidenti un vecchietto come te che prende dritte da un ragazzino», lo provocai.   
«Per quanto riguarda la tecnologia di questo reame lui è molto più informato di me. Mi ha detto che un giorno mi insegnerà a navigare in quello che voi chiamate…». Cercò di ricordare la parola ma inutilmente.
«Internet», conclusi.
«Esatto anche se non capisco perché lo definite navigare visto che non si usa una barca. Ma torniamo a noi; mi ha detto che saresti stata felice se stasera avessi avuto una di quelle scatole magiche qui con me. Così mi ha prestato questa: anche se è molto più piccola di quella che tu hai a casa». Tirò fuori il televisore portatile di Henry, quello che gli avevo regalato quando stavamo a New York.
«Oh mio Dio!», esultai.
«Mi ha detto che ti sarebbe piaciuto vedere un certo Super Bowl, anche se non so minimamente chi sia e non so proprio perché tu lo voglia guardare quando hai un capitano della mia prestanza a disposizione».
«Non ci posso credere». Mi alzai e gli buttai le braccia al collo.
«Tesoro sembra quasi che tu sia più entusiasta di questo che del braccialetto. Devo essere geloso di questo tizio?». Sorrisi per la sua inconsapevolezza. Era un pirata eppure riusciva ad essere così innocente. Quello era il mio Killian.
«Oh no, certo che no. Il bracciale è bellissimo, ma ci tenevo a vedere la partita». Lo baciai per ringraziarlo per entrambi i regali.
«La partita?», mi chiese mentre io mi rimettevo a sedere e accendevo il televisore.
«Sì. Il Super Bow è una partita di football».
«Football?». Giusto, avrei dovuto impiegare più tempo per farglielo capire.
«Siediti Capitano così mentre mangiamo cercherò di spiegarti in che cosa consiste questo sport. Inizio ad avere un certo appetito».
«Ai suoi ordini mia signora». Cominciò a servirmi la prima portata.
«Swan posso farti un’altra domanda?», mi chiese prima di iniziare a mangiare.
«Certo».
«Perché mai tuo figlio stamattina era vestito da vampiro?».
«Oh semplice per carnevale».
«E chi è questa Carnevale? Una ragazza?».
Scoppiai inevitabilmente a ridere.
«Ah ti faccio ridere?». Fece il finto offeso, ma in realtà sorrideva anche lui. «Anche tu ti troveresti spaesata se vivessi nel mio mondo».
«Hai ragione. Carnevale non è una ragazza, è un’altra festa tipica di questo periodo. Comunque Henry è troppo piccolo per pensare alle ragazze».
«Io non direi, secondo me ha l’età adatta per cominciare a pensarci». Lo fulminai con lo sguardo. Ci mancava solo che mio figlio cominciasse con i primi amori. Era troppo presto, in fondo mi ero assunta la responsabilità di madre da troppo poco tempo. Lui era ancora il mio bambino, quello che viaggiava con il suo grosso libro e che aveva il cuore del vero credente.
«Va bene», si arrese. «Quindi per carnevale ci si maschera da vampiri?».
«Okay Hook. Facciamo così mangiamo visto che sto morendo di fame. Durante la cena ti spiego cosa si fa per carnevale e dopo quando comincia la partita cercherò di iniziarti al football. Vedrai staserà imparerai altri aspetti del nostro “reame”».
«Beh  mi sa che con una maestra come te diventerò un allievo modello». Sorrisi felice di poter trascorrere quella piacevole serata con lui.
Forse da quella sera avrei potuto cominciare a considerare San Valentino in maniera diversa. Non era poi tanto male, bastava solo trovare la persona giusta con cui passarlo.



 
Angolo dell'autrice:
E anche Febbraio è andato! Questo capitolo è stato più difficile da scrivere, però ho già un'idea per Marzo.
Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia storia e che l'hanno messa nelle seguite e nelle preferite, e anche chi ha recensito il primo capitolo!
A presto! 

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Capitolo 3
*** Marzo: L’etichetta di “eroi” o di “cattivi” ***


Marzo: L’etichetta di “eroi” o di “cattivi”
 
Le abitudini da uomo di mare difficilmente vengono perse, come per esempio l’abitudine di svegliarsi all’alba con le prime luci del giorno. Ma quello fu un risveglio diverso.
Ormai era arrivato marzo e l’inverno era quasi finito. Presto sarebbe arrivata la primavera e con lei anche le belle giornate. Quel mattino il tempo non sembrava però così benevolo. Sembrava invece rispecchiare l’umore della mia dolce e forte principessa, che dormiva tra le mie braccia.
Ricordavo ancora le sue parole la sera prima.
«Killian posso restare a dormire da te? Non me la sento di affrontare David e Mary Margaret».
«Non ci sono problemi tesoro poi restare tutto il tempo che vuoi». Era appena rientrata da una vano tentativo di rintracciare l’Autore, dopo che era sfuggito senza lasciare tracce, ed era ancora sconvolta per le rivelazioni dei suoi genitori. La sua reazione quando le avevano confessato la verità era stata del tutto imprevista. Capivo la sua rabbia, ma lì per lì, aveva rifiutato persino il mio contatto. Era stato solo un momento, ma la delusione nei confronti di chi aveva sempre creduto essere gli eroi era stata davvero troppa. Si era sentita ferita e tradita come si era già sentita molte, troppe, volte.
Avrei voluto prendere a pugni gli Charmings. Facevano tanto gli eroi quando in realtà non erano affatto diversi dai cattivi. L’essere buono o cattivo era solo un etichetta, e loro erano stati fortunati ad essere etichettati con la prima. Il fatto che “i buoni vincono sempre” sembrava che giocasse a loro favore. E l’aver mentito ad Emma, non averle mai detto la verità, era inaccettabile. Lei stava cominciando ad aprire il suo cuore, ma quella confessione l’aveva fatta di nuovo chiudere nel suo guscio.
Per fortuna ero riuscito a farle capire quanto non dovesse preoccuparsi con me. Io non avrei mai fatto nulla per ferirla, almeno non spontaneamente. Così quella sera aveva messo una mia camicia e si era stesa al mio fianco, a bordo della mia adorata Jolly Roger. Si era rigirata a lungo, agitata e irrequieta. Alla fine l’avevo abbracciata e stretta a me, impedendole quel continuo movimento.
«Tranquilla Swan, ci sono io con te». Non ricordavo quanto tempo fosse passato prima che si addormentasse, o prima che io mi addormentassi. Ma quando mi ero risvegliato era lì tra le mie braccia, così fragile e così forte allo stesso tempo. Voleva sembrare invincibile ma dentro portava fin troppe cicatrici.
Nonostante tutto era stato un magnifico risveglio. Era la prima volta che passavamo tutta la notte insieme e avevo sognato fin troppe volte di svegliarmi con il mio cigno tra le braccia.
Con la mano sfiorai i suoi capelli spostandole una ciocca che l’era caduta davanti agli occhi. Almeno in sonno sembrava avere un’espressione tranquilla. Potevo solo minimamente immaginare il tumulto interiore che stava provando, come non potevo certo capire fino in fondo quanto dovesse essere stata difficile la sua infanzia. Il sentirsi abbandonata, non voluta, l’essere tradita per lei era sempre stata la normalità e nonostante adesso le cose fossero cambiate, sarebbe sempre rimasta in lei una parte di diffidenza volta all’autoconservazione.
Le passai la mano sulla guancia, non riuscendo a resistere alla tentazione della sua pelle sotto le mie dita e inspirai il suo odore. Non avrei più saputo rinunciare a gesti come quelli. Il poter svegliarmi ogni giorno insieme a lei sarebbe stato sicuramente il miglior lieto fine che avessi mai potuto desiderare. Però sapevo che dovevo essere paziente, me l’aveva detto lei stessa, anche se ultimamente la nostra relazione aveva fatto passi da giganti.
Proprio quando mi accingevo a farle un’ennesima carezza, Emma mugolò piano iniziando a risvegliarsi.
«Killian», biascicò stropicciandosi gli occhi.
«Scusami non volevo svegliarti tesoro», le sussurrai all’orecchio.
«Che ore sono?».
«Non preoccuparti è presto, è appena l’alba».
«Allora che cosa ci fai sveglio?». Si rigirò verso di me in modo da potermi guardare in faccia. Io mi spostai per farle posto e poter anch’io bearmi di quell’oceano verde che erano i suoi occhi.
«Sono un uomo di mare, sono abituato a svegliarmi all’alba. Ma tu puoi rimetterti a dormire, ti sveglierò io più tardi».
«Grazie». Mi baciò dolcemente per poi accoccolarsi sul mio petto, stretta nel mio caldo abbraccio. «Comunque non credo che riuscirò a riaddormentarmi».
«Sei riuscita almeno a riposare un pochino?».
«Si anche se sono rimasta ancora un bel po’ sveglia dopo che ti sei addormentato. Beh Capitano non russi, questo è un punto che va a tuo favore». Riusciva a stuzzicarmi anche quando il suo morale era a terra. Ma era davvero così forte o stava soltanto cercando di dimostrarsi tale?
«Tu invece sì», scherzai.
«Non è vero». Mi colpì con la mano ma io la bloccai.
«Hai ragione non è vero, volevo solo vedere la tua reazione. Swan non ti facevo un tipo permaloso».
«E tu sei proprio un pirata», sbuffò.
«Davvero non hai trovato un appellativo migliore? Stai perdendo la tua verve?».
«Tu la tua però non l’hai persa». Intravidi spuntare un piccolo sorriso sul suo volto e mi sentii soddisfatto. Ero riuscito a smorzare la sua tensione, anche se in minima parte.
«Grazie Killian». La sua espressione era tornata seria. Non mi guardava ma era intenta a giocherellare con la mia mano e con i miei anelli.
«Per cosa?».
«Per tutto, per avermi fatto stare qui, per avermi abbracciata stanotte, perché so cosa stai facendo».
«Ah sì e cosa sto facendo?».
«Sei preoccupato per me e cerchi in tutti i modi di starmi accanto e di distrarmi».
«Non proprio Swan», puntualizzai. «Se avessi voluto distrarti avrei usato sicuramente un altro approccio». Lasciai la sua mano e le alzai il viso per farle incrociare il mio sguardo. La baciai subito, intrecciando la mia lingua alla sua e succhiando le sue labbra. Il suo sapore era sempre fantastico, anche di prima mattina. Mi portai sopra di lei facendo leva sul moncone per non pesarle e iniziai a baciarle il collo. Adoravo il suo collo, adoravo la sua pelle, adoravo il suo odore. Amavo tutto di lei.
«Sì», sospirò, «hai ragione. Questo è sicuramente un buon metodo per distrarmi».
«Questo metodo funziona sempre», confermai. Facendo uno sforzo contro i miei più bassi istinti mi distesi di nuovo al suo fianco.
«Che fai Capitano, abbandoni il campo?». Si voltò a pancia in giù e appoggiò il mento sulle mani.
«Non è il momento, non dirmi che avresti davvero voluto che continuassi?».
«No, è vero. Non sono proprio dell’umore».
«Puoi parlarne con me, tesoro, puoi dirmi tutto». Le sfiorai la guancia con il moncone, non ricordandomi che non avevo l’uncino. Ritirai il braccio immediatamente facendo una smorfia.
Lei senza dire una parola si tirò su per potermi prendere il braccio. Poi sempre silenziosamente si distese su un fianco, tirandomi in modo che potessi abbracciarla e stringerla con il moncone. Senti le sue dita accarezzarmi là dove la pelle ormai si era cicatrizzata.
«Non devi preoccuparti che questo sia un problema per me. Non lo è affatto. Sai non sei il solo capace a leggere dentro le persone. So farlo anch’io e capisco che certe volte sei a disagio, ma davvero Killian non mi importa della mano, non è che senza quella io non ti a…». Si interruppe. Il mio cuore iniziò a battere forte. Lei me lo stava davvero dicendo? Era la prima volta che si esponeva così tanto. Certo avevo ormai capito da tempo che i miei sentimenti erano completamente ricambiati ma sentirlo dire era tutta un’altra storia. Però si era fermata, segno che non era ancora pronta ad affrontare le conseguenze che quella confessione avrebbe portato.
«Va bene così tesoro. Grazie». Le diedi un bacio sull’orecchio e la strinsi di più, permettendo al suo corpo di aderire meglio sul mio. Sospirò quando intrecciai le mie gambe alle sue e si lascio ad andare a quell’abbraccio, beandosi di quel contatto, proprio come facevo io.
«Chissà con quante altre donne sei stato così in questo letto», borbottò dopo qualche minuto di silenzio.
«Ti sbagli invece».
«Hook non c’è bisogno di nasconderlo. Sei un pirata troppo affascinante per darmela a bere».
«E così pensi che sia affascinante?», la punzecchiai inorgoglito. «E sono anche sexy?».
«Mm decisamente sì ma non montarti la testa». Infilai le labbra tra i suoi capelli e le baciai il collo.
«Sono irresistibile», scherzai. Scosse la testa e accennò un altro piccolo sorriso.
«Comunque Swan per quante donne possa aver portato in questo letto, solo con due sono stato così come adesso; e solo una in questo secolo. Le altre erano semplicemente un passatempo, non sono mai state altre che puro divertimento. Può sembrare un comportamento tipico di un pirata ma non mi è mai importato niente di chi soddisfaceva i miei bisogni durante i miei lunghi viaggi».
«Forse lo era». Accarezzò ancora il mio braccio e mi strinse più forte. «Ma adesso sei diverso. Io vedo l’uomo che sei veramente».
«Anch’io ti vedo per quello che sei Emma», le sussurrai all’orecchio. «Una bellissima donna che è stata ferita troppe volte e che ha paura di esserlo di nuovo. Per questo ti è difficile aprire il tuo cuore».
«Ma questo non mi ha impedito di essere ancora una volta tradita dalle persone a cui voglio bene». Eravamo tornati al nocciolo della questione: quello che la stava tormentando. Dal suo tono capii che stava lottando contro il nodo che aveva in gola e che premeva per uscire.
«Perché non me ne parli? Non devi per forza, ma io posso ascoltarti magari sfogarti ti fa bene».
«Non lo so», sussurrò. Rimase in silenzio, senza aggiungere altro e io lo interpretai come un rifiuto. Sospirai e rimasi a cullarla tra le mie braccia accettando la sua decisione.
«Quando ero piccola», disse all’improvviso, «avevo preso l’abitudine di andare al parco e di sedermi sull’altalena». Non dissi nulla, felice e sorpreso, per quel cambiamento d’opinione. Lasciai che fosse lei ad aprirsi con me, con i suoi tempi, senza fare pressioni.
«Non importava dove fossi, in quale casa famiglia, io andavo al parco e mi sedevo sull’altalena a guardare gli altri bambini. In realtà guardavo i loro genitori che li richiamavano o che si preoccupavano per loro. E desideravo con tutto il cuore essere al loro posto». Sospirò, come a scacciare quel brutto ricordo, e poi proseguì.
«Per ventotto anni io ho odiato i miei genitori, anche se non li conoscevo. Ero così arrabbiata con loro. Che razza di persone potevano abbandonare una neonata in mezzo al bosco? Pensavo che se proprio non mi volevano potevano aver trovato un altro modo per abbandonarmi. Avevo anche provato a cercarli ma sembrava non esistessero. Avrei voluto solo incontrarli per sfogarmi e per dire loro tutto quello che mi avevano fatto passare. Non avrei chiesto nulla, volevo solo farli sapere quanto ero arrabbiata con loro.
Quando dopo sono rimasta incinta, sapevo che non ero in grado di occuparmi di un bambino. Ero in prigione e prima dovevo riuscire ad occuparmi di me stessa. Avevo il cuore a pezzi per Neal, era stato l’unica persona che mi aveva fatta sentire amata e mi aveva tradito. Presi tutte le precauzioni in modo tale che Henry non subisse la mia stessa fine, ma venisse affidato appena nato ad una famiglia che l’avrebbe potuto amare come un vero figlio.
Poi dieci anni dopo Henry mi ha trovato e mi ha portato qui. E qui ho scoperto tutto. Ho scoperto chi fossero i miei genitori e che le persone che avevo sempre odiato erano state costrette ad abbandonarmi. Loro non mi avrebbero mai lasciato se non fosse stato per il sortilegio e sei io non fossi stata la Salvatrice. Loro non avrebbero mai voluto farmi vivere l’inferno che è stata la mia infanzia. Loro mi volevano bene ed erano felici di ritrovarmi anche se dopo ventotto anni. Ma Killian io ero arrabbiata, lo ero stata per troppo tempo e all’improvviso non sapevo più con chi prendermela. Non riuscivo a vederli come i miei genitori fino in fondo, all’inizio erano solo dei coetanei e nonostante cercassero costantemente di dimostrarmi il loro amore io proprio non ci riuscivo.
Ma quando siamo tornati indietro nel tempo ho capito tutto. Come ti ho già detto stavo scappando e stavo scappando anche da loro». Tacque ed io la strinsi più forte. Il mio fragile cigno si era aperto più di quanto mi fossi aspettato. Non aveva pianto anche se sapevo, senza neanche guardarla, che aveva gli occhi lucidi.
«Non mi importa dell’oscurità», riprese. «Non è quello il mio problema, io so chi sono. Ma loro hanno separato volontariamente una madre dal suo bambino, hanno condannato un povero neonato, una creatura innocente, con la scusa di volermi proteggere. Non avevano il diritto di fare una cosa del genere nemmeno se fosse stato il figlio del diavolo in persona. Un bambino non dovrebbe essere etichettato solo perché la madre fa parte dei cattivi. Io dovrei essere una principessa, ma sappiamo bene che non lo sono affatto. Quel povero bambino non doveva essere per forza cattivo, è dovuto crescere senza la sua vera madre e quello che ha sofferto nessuno può saperlo meglio di me».
«Non sai se ha avuto la tua stessa sorte», puntualizzai. «Potrebbe essere stato più fortunato».
«Sì ma questo non toglie il fatto che hanno impedito a Malefica di crescere suo figlio, condannando l’uno e l’altro ad una separazione che non farei provare nemmeno al mio peggior nemico». Non potendo aggiungere altro, capendo il suo punto di vista e concordando con lei, rimasi in silenzio stringendola più forte.
«Non sono degli eroi», sospirò dopo un po’. «Non lo sono mai stati. Se avevano tanta paura per me non era questo il modo di affrontarla».
«Volevano salvarti», azzardai. D’altra parte erano pur sempre i suoi genitori. «Ma niente giustifica il loro comportamento».
«Non mi hanno salvata Killian, se proprio volevano salvarmi avrebbero dovuto crescermi da eroi. Non si è buoni e cattivi dalla nascita, è la vita che ti fa diventare tale. Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro».
«Certo che lo so. È il dolore che ti fa prendere la cattiva strada. L’oscurità come ti ho detto è una cosa buffa, si insinua dentro di te senza accorgertene. Penso che tutti abbiano un lato oscuro perché in fondo tutti abbiamo sofferto».
«Lo vedi? Come puoi considerarti uno dei cattivi quando parli così? Non sei certo stato più terribile di loro. Io mi ero fidata, pensavo fossero un modello ideale e invece…».
«Sei arrabbiata e non vedi le cose chiaramente. Sono sicuro che troverai la forza per perdonarli e che loro faranno di tutto per riottenere la tua fiducia».
«Non ci riusciranno», ribatté. «Non vedo come potrebbero. Io sono sempre stata sola e ogni volta che comincio ad affezionarmi a qualcuno, che comincio a fidarmi di lui accade sempre qualcosa che non fa altro che farmi sentire più sola di prima».
«Non ora», replicai. «Non questa volta. Emma tu non sei più sola e se dipenderà da me non lo sarai mai più. Io ti amo». Mi era sfuggito ma non potevo lasciare che il mio cigno pensasse di essere sola perché non lo era affatto. In fondo non avevo mai usato quelle parole ma Emma sapeva l’intensità dei miei sentimenti.
La sentii sospirare tra le mie braccia per poi rigirarsi verso di me. I suoi occhi erano lucidi come avevo immaginato.
«Lo so, grazie di essere qui». Mi baciò dolcemente e per me fu come l’ennesima conferma del suo amore. Un giorno avrebbe fatto cadere tutte le sue difese e l’avrebbe ammesso, ma per quella mattina aveva detto anche troppo. Mi aveva lasciato vedere la vera Emma e per me era molto più di un semplice ti amo.


 
Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui con un altro mese. Questo capitolo non è allegro come i precedenti ma dopo aver visto la 4x16 ho pensato subito a questa storia. Così ho deciso di pubblicarla in attesa della prossima puntata.
Vorrei comunque ringraziare tutti quelli che leggono la mia storia e che recensiscono. Grazie mille!
Ormai mi sono quasi messa in pari! Alla prossima! :*

 

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Capitolo 4
*** Aprile: L'effetto che hai su di me ***


Aprile: L’effetto che hai su di me
 
Quando arrivai alla centrale era già tardi. Ero stata fuori tutto il giorno: essere lo sceriffo di Storybrook non era semplice. Per essere una piccola città non c’era mai un momento di tregua e in certi giorni era davvero stancate.
Era Aprile inoltrato, gli alberi erano in fiore e faceva anche caldo. In quel momento, dopo una giornata piena come quella, desideravo solo una bella doccia rilassante e di riuscire a godere di un po’ di tranquillità. Per fortuna avrei potuto direttamente farla nel bagno della centrale senza dover aspettare di arrivare nella mia fin troppo affollata casa. Lì avrei potuto riprendermi prima di affrontare il caos che era la mia famiglia.
Pensavo che non fosse rimasto più nessuno ma quando entrai notai la luce accesa e avvicinandomi alla mia scrivania vidi Killian seduto al mio posto.
«Hook», esclamai sorpresa.
«Ciao Swan!». Mi rivolse uno dei suoi meravigliosi sorrisi e il mio cuore iniziò a palpitare. Mi sarei mai abituata a quello sguardo? Come faceva a togliermi il respiro con una semplice occhiata?
Si alzò e mi venne incontro baciandomi dolcemente sulla guancia. «Sei tornata finalmente».
«Che ci fai qui?», gli domandai passandogli le dita tra i capelli.
«Ti stavo aspettando, non è ovvio?». Fu solo in quel momento che notai la stecca di cioccolata sulla mia scrivania.
«Ehi quello è il mio cioccolato!». Lo lascai e andai a vedere quanto ne fosse rimasto. «Ma te lo sei finito quasi tutto!». Ora avrei dovuto ricomprarlo. Era il mio cioccolato di scorta, quello che tenevo per tirarmi un po’ su di morale nei momenti più bui.
«Non credevo che fosse un problema». Aveva usato il suo tono più provocante, quello da vero pirata, che usava quando voleva stuzzicarmi. Ebbi un’illuminazione: forse per una volta avrei potuto fargli io uno scherzo.
«Beh invece sì. Era il mio cioccolato di scorta», mi finsi arrabbiata. «Lo tenevo nascosto nel mio cassetto per evitare che qualcuno lo mangiasse».
Ripensai a quello che avevo appena detto. «Aspetta hai frugato nei miei cassetti?».
«Swan ti posso spiegare». Alzò la mano e l’uncino in segno di resa e mi lanciò il suo sguardo da cucciolo. Era furbo ma non sapeva che io stavo giocando con lui.
«Sarà bene». Mi portai le mani ai fianchi e puntai lo sguardo dritto nel suo.
«Ti aspettavo da una vita e mi era venuta fame. Ho pensato di andare da Granny ma tu potevi tornare da un momento all’altro. Mi sei mancata oggi». Astuto: cercava di farmi sentire in colpa.
«E con questo? Potevi mandarmi un messaggio e dirmi che mi aspettavi là».
«Ho provato a chiamarti ma il tuo… telefono era rimasto qua». Si era corretto ed aveva usato il termine corretto. Stava facendo progressi.
«Questo non cambia le cose». Faticai per non sorridere e mantenere un’espressione seria. Era buffo vederlo sulle spine.
«Sì lo so. Vedi ho aperto il cassetto e ho visto il cioccolato. Non pensavo che te la saresti presa tanto. Te lo ricompro, giuro». Non potei più resistere e scoppiai a ridere. Lui mi fisso perplesso, non riuscendo a capire il mio comportamento.
«Scherzavo, ti ho fregato pirata». Mi avvicinai di nuovo a lui e lo abbracciai. «Puoi mangiare tutta la cioccolata che vuoi mio bel capitano, e puoi anche frugare nei miei cassetti. Tanto non è sicuramente questo il posto dove nasconderei qualcosa». Lo baciai godendo del suo sapore. Sapeva ancora di cioccolato e questo rendeva il suo gusto ancora più invitante. Sentii il suo uncino risalirmi lungo il fianco mentre approfondivamo il bacio.
«Bene», mi staccai da lui a malincuore. «Adesso se non ti dispiace vado a farmi una doccia, dopo possiamo andare a mangiare qualcosa insieme. Non credo che il cioccolato ti sia bastato».
«Beh adesso ho un altro tipo di fame». Si leccò le labbra inconsciamente rendendo la sua offerta ancora più invitante. «Potremmo fare la doccia insieme, che ne dici? È una di quelle diavolerie moderne per cui vado matto, soprattutto se ci sei tu dentro tutta nuda e tutta bagnata». Dio! Avrebbe potuto essere più malizioso di così? E perché il mio corpo sembrava essere pronto per mettere in atto la sua proposta?
«Killian», tentai di tornare con i piedi per terra. «Siamo nell’ufficio dello sceriffo».
«E questo cosa significa?». Mi baciò di nuovo usando le sue tecniche di persuasione migliori.
«Beh io sono lo sceriffo». Riuscire a pronunciare quella frase fu più difficile del previsto. Mentre il mio corpo lo desiderava, non potevo certo soffocare la parte più razionale di me. «Devo dare il buon esempio e non possiamo fare queste cose qui». Senza più indugiare mi allontanai da lui e mi diressi in bagno. Restare avrebbe fatto vacillare la mia capacità di giudizio.
«Bene Swan staremo a vedere», lo sentii sussurrare prima di chiudere la porta.
In quel momento ero passata dal desiderare una doccia calda ad aver bisogno di una doccia fredda per calmare i miei bollenti spiriti. Nessun uomo era mai riuscito ad avere un effetto così potente su di me.
Mentre ero sotto il getto d’acqua chiusi gli occhi e cercai di rilassarmi, ma Killian rimaneva comunque il mio pensiero fisso. Non solo era riuscito a farmi dimenticare quella faticosa giornata solamente con il suo sorriso, ma in quel momento tutto il resto era passato in secondo piano.
In più mi rendevo conto che l’attrazione fisica era solo una parte di quello che c’era tra noi. Non mi ero mai sentita così attaccata a nessuno. Mi sembrava di essere allo stesso tempo una ragazzina alle prese con una cotta adolescenziale e una donna invece che ha finalmente trovato il suo vero amore. Il vero amore!
Avevo sentito fin troppe volte mia madre parlarne e l’avevo visto più volte con i miei stessi occhi. Non avevo mai capito pienamente la profondità di quell’amore di cui Storybrook sembrava essere piena; non l’avevo capito fino a quando non l’avevo conosciuto. Killian era stato così paziente con me, mi era rimasto accanto, mi aveva aiutato, aveva sacrificato tutto per me e miei sentimenti erano cresciuti in maniera esponenziale.
Quando spensi il getto d’acqua cercai l’accappatoio che avevo lasciato fuori dalla cabina ma allungando la mano non lo trovai. Mi sporsi per vedere se fosse eventualmente caduto per terra, invece quello che notai mi lasciò basita. Non solo il mio accappatoio non c’era ma non c’erano più neanche i miei vestiti.
«Hook!», gridai. Era palese che si stesse vendicando per il mio scherzo di prima. Dovevo essere entrato mentre ero persa nei miei pensieri; così non l’avevo sentito e adesso doveva essere di là a spassarsela alle mie spalle. «Non è divertente».
Notai che l’unica cosa che aveva lasciato nel bagno era un asciugamano. Lo presi e mi ci avvolsi. Riusciva a stento a coprirmi, lasciava davvero poco posto alla immaginazione.
Sul lavandino era rimasto anche il braccialetto che mi aveva regalato a San Valentino. Ovvio: stava giocando con me come io avevo fatto con lui poco prima. Lo infilai sperando che il mio pirata quel giorno fosse meno ostinato del solito, o almeno meno di me.
«Killian questo scherzo non mi piace», urlai di nuovo. «Se davvero speri di ottenere qualcosa con questa bravata, ti sbagli di grosso». Nessuna risposta.
Tentai un altro approccio. «Va bene mi dispiace per prima, adesso puoi ridarmi i vestiti? Ho capito: sei un signor capitano! Perdono». Ancora niente; cominciai ad innervosirmi. Sapevo dove voleva arrivare: voleva farmi uscire in quelle condizioni.
«Hook! Il gioco è bello quando dura poco. Finiscila e forse potrai evitare che ti prenda a calci nel sedere». Rimasi in silenzio guardandomi nello specchio indecisa sul da farsi. Non potevo certo rimanere lì fino a che non si fosse stancato di aspettarmi. Sarei dovuta andare da lui e così avrebbe avuto quello che desiderava. L’unica consolazione stava nel fatto che una volta ripresi i vestiti avrei potuto ucciderlo con calma.
Aprii titubante la porta osservandomi attorno. La centrale ovviamente era diserta: era tardi. Mi avviai verso il mio ufficio immaginando già il suo sorriso presuntuoso. Rabbrividii sentendo l’aria più fredda rispetto al bagno. In più i capelli mi gocciolavano sulla schiena ed ero anche scalza;  sentivo il freddo del pavimento ad ogni passo.
“Se mi ammalo o se mi vede qualcuno, me la pagherai cara”, pensai.
Killian era seduto sulla mia sedia, con i piedi appoggiati sulla mia scrivania, lo sguardo fisso verso la direzione in cui sarei dovuta arrivare. Appena mi vide il suo sorriso si allargò e potei leggere il desiderio e la soddisfazione nei suoi occhi.
“Dopo questo scherzo, il resto, mio caro pirata, puoi anche scordartelo”.
«Wow, la mia immaginazione non riesce mai a renderti merito Swan», sogghignò. «A proposito bel braccialetto».
«Fai anche dello spirito adesso?». Mi misi le mani sui fianchi. «Allora? Dammi i vestiti, questo scherzo è durato fin troppo».
Si alzò con una lentezza esasperante e mi venne vicino abbracciandomi da dietro. Sentii la sua mano premermi sulla pancia, per stringermi nel calore del suo petto; l'uncino invece risalì lungo il mio fianco. Le mie gambe vacillarono e tutta la mia determinazione sembrò dissolversi come fumo.
«Ti avevo detto che forse insieme a me avresti trovato un modo migliore per rilassarti. Tu non mi hai dato ascolto e allora ho pensato di convincerti in un altro modo». La sua voce era suadente e le sue labbra sfiorarono il mio orecchio facendomi fremere.
«Killian». Feci un profondo respiro e ignorai le fitte di desiderio che lui riusciva a generare in me. Dovevo essere arrabbiata e non smaniosa di sentirmi stringere in quel modo. «Dove hai messo i miei vestiti?». Scandii ogni parola per sembrare più determinata.
«Sono nel tuo armadietto», rispose dandomi un bacio sul lobo. Una risposta inutile: la chiave dell'armadietto era nei miei jeans. E adesso doveva averla presa lui.
«Bene: immagino che tu non l'abbia lasciato aperto».
«Esattamente: la chiave ce l'ho io. Se la vuoi dovrai prenderla». Era sottinteso che ce l'aveva addosso e che per prenderla avrei dovuto iniziare con il togliergli i vestiti. Era davvero molto ingegnoso. Provai a stare al suo gioco per ottenere ciò che volevo. Mi girai e lo abbracciai facendo aderire il mio corpi al suo.
«È davvero un peccato», dissi strusciandomi a lui, «che tu non voglia essere collaborativo». Mi avvicinai ancora di più rimanendo ad un millimetro dalle sue labbra. Riuscivo a sentire la sua eccitazione mentre mi stringeva con la mano e mi accarezzava con l'uncino. Nei suoi occhi potevo scorgere la sua bramosia. Non era solo lui ad avere una potente attrattiva su di me; anche io riuscivo a sedurlo e a farlo impazzire.
«Sì davvero un peccato». Senza un attimo di esitazione mi staccai da lui e mi spostai. Hook mi fissò sbigottito e contrariato mentre mi allontanavo. La sua espressione passò dalla soddisfazione alla delusione.
Quando mi avvicinai alla mia scrivania notai una busta. L’avevo portata con me quella mattina ma mi ero completamente dimenticata di averla messa lì. Forse avrei potuto usare anche quella a mio favore.
Mi voltai di nuovo verso di lui, che mi squadrava sospettoso aspettando la mia prossima mossa. 
«Sai qui avevo qualcosa per te», dissi sollevando il sacchetto. «Ma visto che stai insistendo con questo gioco e che non stai collaborando, penso proprio che lo terrò per me».
«Mi hai fatto un regalo Swan?». Il suo tono era sia incuriosito che perplesso. Stava cercando di capire dove volessi arrivare. Avevo ribaltato la situazione ed ero passata in vantaggio.
«Forse ma se non mi darai la chiave non lo scoprirai mai». Sembrò riflettere sulle mie parole per cercare di capire se stessi bleffando.
«Al diavolo», disse infine. «Hai vinto». Si frugò nella tasca interna della giacca e tirò fuori la chiave.  La curiosità aveva avuto il sopravvento, forse perché era pure la prima volta che gli facevo un regalo. Anche se in effetti non si poteva proprio definire in quel modo.
Afferrai la chiave e gli passai la busta. Restai ad osservare la sua reazione. A quel punto era inutile che corressi a vestirmi. Ero rimasta in quelle condizioni già a lungo: cinque minuti in più o in meno non avrebbero cambiato niente. Ero troppo curiosa di vedere come avrebbe reagito.
Emozionato tirò fuori il contenuto della busta scoprendo di che cosa si trattasse.
«Un tuo pigiama Swan? Che razza di regalo è mai questo?».
«Beh sei stato tu a parlare di regalo io non l'ho mai definito tale», precisai.
«Mi hai ingannato». Contorse le labbra e assunse un'espressione contrariata. Il suo gioco gli si era ritorto contro.
«In realtà c'è una spiegazione». Mi avvicinai a lui e gli misi le braccia intorno al collo. Ormai avevo ottenuto la mia vittoria potevo anche spiegargli le mie intenzioni che sicuramente lo avrebbero soddisfatto. «Pensavo che potresti tenere il mio pigiama sulla Jolly Roger così la prossima volta che rimarrò da te per la notte non dovrai prestarmi la tua camicia».
«Così hai intenzione di passere con me altre notti?». La sua mano lasciò cadere il pigiama di nuovo nel sacchetto e mi premette contro il suo petto.
«Direi proprio di sì». Il suo viso si illuminò e mi rivolse un sorriso felice ed emozionato, come un bambino che ha appena ricevuto il giocattolo che ha sempre desiderato.
Fu proprio quella sua espressione a destabilizzarmi e a farmi perdere tutta la mia determinazione. Bastava così poco per farlo contento? Io riuscivo a renderlo felice anche con un così piccolo gesto?
Mi baciò appassionatamente e mentre la mia lingua si intrecciava alla sua, il mio corpo prese il sopravvento sulla ragione. Il mio cervello si scollegò e il desiderio di lui tornò a farsi sentire intensamente. Gli passai le dita tra i capelli, lasciando cadere la chiave a terra senza più preoccuparmi di riprendere i vestiti e di coprirmi. 
Mi spinse indietro finché non mi trovai a sbattere contro la scrivania. Intanto la mia bocca non voleva lasciare la sua, le nostre lingue intrecciate insieme, i nostri corpi sempre più uniti. Mi ero sbagliata non avevo vinto, non avrei mai vinto quella battaglia con lui. L'attrazione che provavo per lui era troppa e non solo quella fisica.
Con il braccio spostò i vari fogli e oggetti che stavano sul tavolo e mi fece distendere. Le sue labbra scesero e arrivarono al bordo del mio asciugamano depositando una scia di baci. La sua mano dall'altra parte si era insinuata sotto il tessuto e l'uncino mi accarezzava una coscia facendomi fremere.
Allungai le mani e incespicai con la sua cintura desiderando di più. Fu in quel momento che, solo per un breve attimo, mi trovai a guardare verso l'ingresso e a percepire la sconvenienza di quella situazione. Stavamo per fare l'amore sulla mia scrivania e in ogni momento qualcuno avrebbe potuto sorprenderci. David sarebbe potuto entrare in ogni istante con la scusa di vedere dove mi fossi cacciata. La cosa più grave era che, anche se me ne rendevo conto, non mi importava.
«Ho chiuso la porta a chiave», sembrò leggermi nel pensiero. «E ho avvisato tua madre che avresti fatto tardi». Quindi lui non aveva mai dubitato della sua vittoria. Beh vista la situazione aveva avuto ragione.
«Lo vedi che effetto hai su di me?», sospirai quando finalmente riuscii ad aprirgli i pantaloni.
«Emma non puoi neanche immaginare quello che tu hai su di me». Sottolineò la parola “tu”, facendomi capire quanto la cosa fosse reciproca. Anche per lui resistermi era difficile. Lo baciai di nuovo permettendo ad entrambi di sfogare il nostro desiderio.
«Fammi tua», gemetti sulla sua bocca. Non c'era altro da aggiungere, ormai era chiaro che ero completamente, incondizionatamente e perdutamente innamorata di lui.  


 
Angolo dell'autrice:
Finalmente ce l'ho fatta a mettermi in pari! Realizzare questo capitolo è stato piuttosto difficile: all'inizio non avevo idee che potessero essere attinenti con il prompt. Comunque adesso sono abbastanza soddisfatta di come questo capitolo è venuto fuori! Spero che piaccia anche a voi! 
Beh a questo punto non più a presto, ma bensì a maggio! :*   

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Capitolo 5
*** Maggio: Sarà l’amore a salvarmi ***


Maggio: Sarà l’amore a salvarmi
 
Vedevo le fiamme levarsi alte dalla barca. Il cielo notturno  risplendeva del bagliore che si librava da quel rogo. Le mani ancora mi bruciavano per la magia che avevano appena liberato.
Là sul molo, una barca stava prendendo fuoco, senza più possibilità di essere salvata. Bruciava e il crepitare delle fiamme mi riempiva le orecchie. A poca distanza da me, di fronte a quell’incendio, un uomo guardava quello spettacolo come disperato, non potendo più fare niente e incapace allo stesso tempo di distogliere lo sguardo. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, la schiena curvata da un terribile dolore.
Ma quelle braccia non avevano mani, o meglio terminavano con una mano e dall’altra parte con un uncino. Fu allora che tutto mi fu chiaro: non era una barca qualunque quella che stava andando a fuoco. Era la Jolly Roger, e quello davanti a me non era un uomo qualunque, era Killian che disperato guardava la sua casa bruciare.
Mi guardai le mani incapace di credere all’evidenza dei fatti. Sentivo la magia scorrermi nelle vene e sapevo che ero stata io la causa di tutto. La parte oscura di me era riuscita a vincere e a ferire una delle persone che amavo di più.
Il mio respiro si fece affannoso, le lacrime iniziarono a pungermi gli occhi chiedendo solo di uscire. L’ultima cosa che volevo era farlo soffrire. Ma l’Emma oscura non si era fermata di fronte a nulla. Come avevo potuto perdere così tanto il controllo di me stessa?
«Killian», sussurrai disperata. Nessuna risposta. Non pareva neanche che mi avesse udito. Restava lì immobile con lo sguardo rivolto alla sua nave che piano piano si stava sgretolando.
«Killian», tentai di nuovo. «Mi dispiace, non volevo». Feci un passo in avanti e gli afferrai la mano. La sua risposta fu immediata e inaspettata. Si scansò impedendo alle nostre dita di intrecciarsi, in un gesto che ormai ci veniva quasi automatico. Si voltò verso di me e lo sguardo che mi lanciò fu peggio di mille coltellate. Non c’era paura né compassione ma c’era solo dolore e rabbia. Non mi aveva mai guardato così, pieno di odio e non di amore.
«Scusami io non ero in me», azzardai.
«Zitta». La sua voce era solo un sussurro.
«Killian perdonami». Feci un altro passo in avanti tentando il tutto per tutto.
«Lasciami». Il tono era tagliente come il suo sguardo. «Vattene via, non voglio più vederti». Sentii il mio cuore rompersi e andare in frantumi per l’ennesima volta. Ma in quella circostanza ero stata solo io l’artefice del mio dolore. Avevo ferito l’unica persona che mai mi avrebbe fatto del male e l’avevo fatto in modo irreversibile. Avevo distrutto la sua unica casa da quando era ragazzo, l’unico oggetto che potesse ricollegare a suo fratello, al suo passato, quello ancora prima di entrare a far parte dei cattivi.
«Io…». Non sapevo più cosa dire o cosa altro aggiungere. Restavo lì immobile sotto il suo sguardo affilato come una lama, esattamente come era rimasto lui poco prima davanti alla Jolly Roger.
«Ti odio». Quelle parole furono la fine. Avevo capito fin da subito che l’unica possibilità di salvezza sarebbe stato l’amore, ma non avevo previsto di riuscire a distruggere quello che avevo. Non c’era più niente per cui lottare, non c’era scampo per me. L’avevo perso visto che l’unica persona che poteva mettermi in salvo era stata distrutta da me stessa. La Salvatrice questa vola non si sarebbe salvata. L’oscurità aveva vinto, il mio cuore ormai era nero come la pece.
 
Mi svegliai di soprassalto, tirandomi a sedere sul letto. Avevo il respiro affannoso ed anche i sudori freddi. Il cuore mi batteva all’impazzata e sembrava volermi uscire fuori dal petto.
“Era solo un sogno”. La consapevolezza di quella affermazione mi fece provare un sollievo inaspettato. Ero nella mia camera, a casa dei miei genitori. Io e Regina eravamo appena tornate da New York con Lily e io, anche se per poco, non avevo ceduto al lato oscuro.
Hook era rimasto sulla sua barca, nonostante il fatto che mi fosse mancato terribilmente in quei pochi giorni. Aveva preferito che passasi la serata con mio figlio e con la mia famiglia anche se avrebbe voluto, come me, passare la notte insieme. Ma ero tornata anche molto stanca e forse era stato meglio così.
“È stato solo un brutto sogno”, pensai nuovamente per tranquillizzarmi. Ma l’inquietudine non voleva abbandonarmi. La scena era sembrata così reale: l’odio negli occhi di Killian era sembrato così vero ed era stato così doloroso essere guardata da lui in quel modo.
Mi alzai sapendo che non sarei riuscita comunque a riaddormentarmi e andai alla finestra. Era l’alba, il sole stava sorgendo e Storybrook dormiva ancora. Mi vestii velocemente e uscii di casa, pensando che forse una passeggiata avrebbe potuto schiarirmi le idee.
L’aria era frizzante, nonostante ormai maggio fosse arrivato. Quella brezza fresca, però, mi fece bene, svegliandomi del tutto e riuscendo un po’ a calmarmi e a farmi ragionare più logicamente. Lasciai che fosse l’istinto a guidarmi; non avevo una meta precisa ma senza neanche accorgermene mi ritrovai al porto. Camminai sul molo fino ad arrivare davanti alla Jolly Roger. La nave era lì, come lo era da un pezzo, in tutto il suo splendore.
«Hai visto: non è successo niente», mi dissi. «Era solo un incubo. Killian sta bene, è tutto come sempre. Adesso lui starà dormendo, ma dopo verrà da te e ti guarderà con quello sguardo che ti toglie il respiro ogni volta». Scossi la testa, il fatto che stessi iniziando a parlare da sola non era certamente un fatto positivo.
Siccome era ancora presto e non volevo disturbarlo, mi voltai e mi allontanai, lasciando che fosse di nuovo l’istinto a guidarmi. Senza pensarci presi un sentiero in mezzo al bosco che prima di allora non avevo mai scorto e poco dopo mi ritrovai in una radura.
Lo spettacolo che mi si parò di fronte fu improvviso e inaspettato. Avevo davanti un grande campo pieno di fiori. Margherite, viole, ranuncoli, primule, e campanule coesistevano insieme creando un prato pieno di colori. La primavera era riuscita a creare quel meraviglioso spettacolo naturale. Sembrava impossibile che non mi fossi mai imbattuta in quel posto prima; ma probabilmente durante le altre stagioni non era altro che una immensa radura vuota.
Mi sedetti per terra, nonostante l’erba fosse ancora bagnata della rugiada notturna. Quello era il luogo perfetto per pensare e per restarmene un poco per conto mio.
Da un po’ sentivo che mi stava succedendo qualcosa. Non avevo bisogno di chiedermi il motivo dell’incubo. Da quando avevo ucciso Crudelia qualcosa in me era cambiato. Tutti continuavano a ripetermi che era stato un incidente; forse era vero ma non cambiava il fatto che, nonostante tutto, avevo tolto la vita a qualcuno.
In più anche con Lily, le avevo puntato la pistola contro e se non fosse stato per Regina sicuramente non avrei resistito alla oscurità. Non riuscivo a riconoscermi, era come se una parte di me, che non avevo mai conosciuto stesse cercando di prendere il sopravvento.
Killian aveva ragione: era difficile resistere al lato più oscuro. Lui aveva affrontato tutto questo? Era questa la battaglia che combatteva ogni giorno per rimanere sulla retta via?
Sfiorai il suo braccialetto, quello che ormai portavo sempre al polso. Il cuore spuntava tra il cigno e l’uncino. Lui mi aveva detto che non aveva resistito all’oscurità perché non aveva nulla per cui vivere, ma per me era diverso. Avevo la mia famiglia e anche se mi avevano mentito erano pur sempre i miei genitori; avevo Henry e avevo lui. Era l’amore che mi impediva di andare a fondo.
Sfiorai con le dita quei fiorellini che spuntavano dal terreno. Mentre quei fiori stavano nascendo, sbocciando e crescendo rigogliosi, io mi sentivo come se una forza da dentro tentasse di farmi appassire. Per quanto potessi essere la Salvatrice in quel momento non mi vedevo certo come un’eroina. I miei gesti non erano affatto quelli di una buona persona. E per quanto mi accorgessi che l’oscurità fosse in vantaggio non riuscivo a riemergere dall’abisso in cui stavo affondando. L’unico salvagente era Killian ma quel sogno mi aveva turbato profondamente.
Rabbrividii, nonostante che con il sorgere del sole la temperatura stesse aumentando. Mi raggomitolai stringendomi le ginocchia con le braccia. Cercai di riprendere un po’ di contegno e di proteggermi dal freddo che era dovuto ad una sensazione interna piuttosto che al tempo.
All’improvviso qualcuno mi posò una giacca sulle spalle e non ebbi bisogno di alzare lo sguardo per capire chi fosse. L’odore di salsedine e di rum che impregnavano l’indumento erano già un indizio sufficiente.
«Come hai fatto a trovarmi?», sussurrai.
«Ti ho vista di fronte alla Jolly Roger e ti ho seguita. Swan dovresti saperlo che sono un tipo mattiniero. Tutto bene tesoro?». Si sedette accanto a me ed io mi avvicinai per farmi stringere dalle sue braccia.
«Sì adesso sì». Era di quello che avevo bisogno: di stare stretta nel suo abbraccio. La testa appoggiata sulla sua spalla, lui che mi accarezzava i capelli. Quella era casa.
«Cosa ci fai qui a quest’ora?», mi domandò, le labbra a sfiorare la mia testa.
«Ho fatto un brutto sogno e avevo bisogno di fare due passi e di riflettere un po’». Restò in silenzio lasciandomi libera di continuare oppure no. Con lui sapevo di potermi aprire e di poter parlare liberamente. Era stato l’unico a cui avessi rivelato i tormenti della mia infanzia. In più Killian riusciva a non mettermi sottopressione, lasciava che fossi io a decidere quando e quanto aprirmi. Come avevo fatto senza di lui per due giorni?
«Mi sei mancato tanto», sussurrai.
«Anche tu Swan, non sai quanto».
«È tutto così difficile», mormorai. «Non so più chi sono. Non sarei dovuta essere la Salvatrice e adesso non lo sono più di sicuro». Mi mise un dito sulle labbra per farmi segno di tacere.
«Tu sei Emma, una donna forte che ha già combattuto e vinto tante battaglie e che sta combattendo tuttora una battaglia forse ancora più difficile».
«Non so se sto vincendo però», ammisi. «Se non ci fosse stata Regina avrei…».
«Ma non l’hai fatto», mi interruppe.
«Si ma non toglie il fatto che ho…».
«Smettila», mi fermò di nuovo. «Il solo fatto che tu riesca ad accorgerti di come potresti cedere all’oscurità significa già che sei in vantaggio. Non te ne accorgeresti se il male avesse preso il sopravvento, te lo garantisco». Sospirai e mi strinsi ancora di più tra le sue braccia.
«Stanotte», confessai, «ho sognato che davo fuoco alla Jolly Roger e che me ne accorgevo troppo tardi. Tu eri lì, tentavo di chiederti scusa ma non volevi più saperne di me, mi dicevi che mi odiavi».
«Davvero tesoro sei sconvolta per questo?». Anche se non potevo vederlo percepivo il suo sguardo intenerito e anche un po’ presuntuoso. «Era solo un brutto sogno, io non potrei mai odiarti».
«Ne sei proprio sicuro? Neanche se distruggessi la tua nave?». Alzai la testa per fissarlo in viso. I suoi occhi azzurri erano più luminosi e sicuri che mai.
«No, perché saprei che quella non sei veramente tu. Ricordi Swan io ho deciso di vedere la parte migliore di te sempre e comunque».
«Ed io di te». Lo baciai dolcemente, lasciando che fosse lui a spazzare via le mie paure. Se l’amore poteva salvarmi allora era Killian la mia salvezza.
Ripensai alle parole che mi aveva detto la notte in cui i miei genitori mi avevano raccontato la verità. Emma tu non sei più sola e se dipenderà da me non lo sarai mai più. Io ti amo. Era stata la prima volta che mi aveva confessato così apertamente i suoi sentimenti ed era stata anche la prima volta che avevo sentito un bisogno di lui così incessante. Io che me l’ero cavata da sola fin da piccola, avevo sospirato di sollievo perché almeno una volta nella vita qualcuno mi metteva al primo posto. Nessuno mi aveva amato così incondizionatamente e allo stesso tempo sentivo anche di non aver mai provato un sentimento così forte per nessuno.
Lui sarebbe stato lì e niente avrebbe potuto cambiare quel dato di fatto. Se il mio cuore si era macchiato doveva essere solo una parte, perché in un momento come quello ciò che riuscivo a sentire era solo l’amore immenso che provavo per il mio pirata.
Mi staccai dalle sue labbra, restando però fronte contro fronte. Mi specchiai nell’oceano dei suoi occhi e ancora una volta mi sentii a casa.
«Io ti amo», sussurrai. «Tanto». Vidi il suo sorriso allargarsi e il suo sguardo accendersi di emozione.
«Anche io ti amo. Anche se ormai l’avevo capito non sai quanto è bello sentirtelo dire». Mi baciò dolcemente, assaporando le mie labbra e intrecciando ancora di più la mano nei miei capelli. Il suo sapore così come il suo odore era inebriante ed irresistibile.
Lentamente mi fece distendere sul prato, portandosi sopra di me. Le sue labbra calde e delicate cercavano le mie e quel contatto era esattamente quello di cui avevo bisogno e di cui avrei avuto bisogno per il resto della mia vita.
La sua bocca scese senza fretta lungo il mio collo, permettendogli di assaporarmi meglio e di farmi fremere allo stesso tempo. L’uncino e la mano esploravano il mio corpo ormai esperti, così come io esploravo il suo beandomi di ogni centimetro dei nostri corpi che veniva in contatto.
Fu solo quando il mio stomaco iniziò a borbottare per la fame che smettemmo di baciarci. Non potevo trovare momento peggiore per far uscire fuori la mia voracità. Nonostante avessi voglia di lui, fu tutto un altro tipo di fame a farsi notare.
«Hai fame Swan?», sorrise sulle mie labbra.
«Beh un po’», confessai.
«Da come brontola il tuo stomaco si direbbe che tu sia stata a digiuno per tre giorni». Si tirò su, facendomi rimettere a sedere.
«Ma come tesoro? Siamo qui, in questo prato pieno di fiori, da soli che ci baciamo e tu vuoi mangiare?». Mi stava prendendo in giro, ma il suo sorriso a trentadue denti mi impedì di ribattere prontamente. Mi stavo davvero addolcendo troppo, visto che non riuscivo a rispondere alle sue frecciatine.
«Ho cenato a malapena ieri sera», cercai di trovare una scusa. Più ci pensavo, più il buco allo stomaco diventava una voragine.
«D’accordo». Raccolse la sua giacca che era scivolata sull’erba e me la rimise sulle spalle. Colse una margherita e me la mise tra i capelli, portandomi una ciocca dietro l’orecchio. Dopo di che mi dette un bacio sulla fronte e si alzò in piedi. «Aspettami qui principessa, torno subito».
«Dove vai?», protestai, afferrandolo per l’uncino. «E non provare più a chiamarmi principessa».
«Va bene, dolcezza». Lo fulminai di nuovo con lo sguardo. « Comunque non ha importanza dove vado, torno subito. Questione di pochi minuti, ti fidi di me?».
«Sì. Purtroppo ho il brutto vizio di fidarmi dei pirati». Almeno avevo recuperato la mia persistente risposta pronta.
Mi lanciò un ultimo sorriso prima di lasciarmi da sola nella radura.
E come volevasi dimostrare Killian era riuscito per l’ennesima volta a rasserenare la mia giornata. C’era da chiedersi come avevo potuto sopravvivere per trent’anni senza di lui. Era chiaro che non avessi mai saputo cosa volesse dire amare ed essere amati prima di conoscerlo, ed era altrettanto naturale il fatto che non avrei potuto più farne a meno. Era come il caffè, finché non l’hai provato non puoi dire se ti piace o meno, ma poi, se è di tuo gradimento, una volta scoperto, diventa indispensabile.
Caffè, cibo, colazione. Il mio stomaco brontolò per protesta. Dovevo smetterla con quei pensieri.
Rimasi ad osservare i vari fiori, ma questa volta con pensieri più allegri. Mi tolsi la margherita dai capelli e iniziai a rigirarla tra le dita.
La sua giacca di pelle mi scaldava e mi inebriava con l’odore più seducente del mondo, ricordandomi che non sarei più stata sola. Ormai avevo trovato la mia arma vincente, quella che non mi avrebbe fatto cedere. Dovevo solo ricordarmi, anche nei momenti più bui, di quanto fosse importante Killian per me.
Non passò molto tempo che sentii dei passi avvicinarsi e vidi spuntare il mio capitano di ritorno con un sacchetto di carta, con il marchio di Granny, che penzolava dall’uncino e due caffè nella mano.
«Sì!», esultai. «Mio eroe». Si sedette di nuovo accanto a me, lasciando che io prendessi il sacchetto e il mio caffè.
«Ho pensato che questo posto è perfetto per fare uno di quelli che voi chiamate pic-nic».
«Senti senti come siamo forbiti oggi. Qualcuno si è informato», lo presi in giro.
«Beh Swan io ti porto la colazione e tu mi ringrazi prendendoti gioco di me?».
«No». Gli sorrisi e gli diedi un dolce bacio sulla guancia. «Grazie, è un posto perfetto per fare un pic-nic, soprattutto con te».
«Lo so, sono o non sono un uomo dalle mille qualità?». Sorrisi di nuovo, troppo innamorata per ribattere. Anche perché in effetti lo era davvero.
«Sì lo sei. Ma adesso fammi un po’ vedere cosa mi hai portato. Sto morendo di fame».
Con lui non mi sarei più dovuta preoccupare di essere me stessa. Lui conosceva la vera me, quella totalmente innamorata di lui, e l’avrebbe difesa, protetta per sempre. Lui non avrebbe mai potuto odiarmi perché avrebbe sempre riconosciuto la differenza tra bene e male e mi avrebbe accettato comunque, esattamente come per me non sarebbe mai stato un problema il suo passato qualsiasi cosa avesse fatto.



 
Angolo dell'autrice:
Ed eccomi con un nuovo mese, mentre attendo con ansia il finale di stagione! Vorrei ancora una volta ringraziare tutti quelli che stanno seguendo la mia storia o che hanno recensito. Riuscire a seguire i prompt e allo stesso tempo cercare di mantenere una sorta di filo conduttore sta risultando abbastanza impegnativo. Comunque spero che questo capitolo vi piaccia! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo mese! :*
Sara 

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Capitolo 6
*** Giugno: La privacy di una casa tutta mia ***


Giugno: La privacy di una casa tutta mia
 
Finalmente era arrivata l’estate. Il sole e il caldo sembravano aver portato via tutti i problemi. Eravamo riusciti a sistemare l’Autore, a sconfiggere l’oscurità. Io ero tornata alla luce esattamente come stava accadendo al mondo esterno.
Mi trovavo in uno stato idilliaco, come non mi ero mai trovata in tutta la mia vita. Mi sembrava quasi di vivere in un sogno, troppo bello per essere vero. Da una parte aspettavo che da un momento all’altro comparisse un nuovo pericolo: eravamo a Storybrook dopotutto, la tranquillità non era certo una delle sue qualità. Dall’altra ero perdutamente innamorata e Killian riusciva a rendere tutto migliore. Mi sentivo, con lui, come un’adolescente con gli occhi a forma di cuore.
Non era da me quel tipo di comportamento; io non mi lasciavo mai andare così tanto. Ma con Hook era stato talmente diverso che non avevo potuto farci nulla. 
Inoltre l’arrivo di Giugno e lo stato di assoluta felicità in cui mi trovavo, mi avevano fatto prendere una decisione importante. Finalmente io ed Henry ci saremo trasferiti in una casa tutta per noi. Era il tempo di lasciare ai miei genitori e al piccolo Neal la loro privacy e anche di guadagnare la nostra.
Henry aveva trovato un appartamento vicino al molo ed era assolutamente perfetto. Non era molto grande, c’erano solo due camere, un bagno e un salotto con un angolo cottura, ma per il momento poteva andare. Tra i tanti vantaggi c’era l’assoluta vicinanza con Killian che continuava a stare sulla sua nave. Sapevo che avrei potuto benissimo proporgli di convivere, Henry non avrebbe fatto storie, ma non volevo affrettare troppo i tempi, anche se in effetti passavo molte più notti sulla Jolly Roger che a casa. Nonostante ciò, prima dovevamo sistemarci io e mio figlio e solo dopo avrei potuto pensare anche a me e Killian.
Quel giorno Hook mi stava aiutando a portare gli ultimi scatoloni in casa. Il sole era alto e nonostante avessi dei pantaloncini corti e una magliettina stavo morendo di caldo. Mi sentivo sudata sia per l’afa che per la faticata del trasloco.
«Questi erano gli ultimi, tesoro». Killian arrivò dietro di me, appoggiando l’ultimo scatolone sul tavolo. Henry arrivò subito dopo appoggiando anche lui una scatola per terra.
«Non credevo che avessimo così tanta roba, ragazzino».
«Beh considera che io ho una parte anche dalla mamma», commentò.
«Credo che dovrai smettere di crescere a vista d’occhio se vogliamo avere il posto per tutte le tue cose».
«Si puoi contarci», rispose sarcastico.
«Che caldo», sospirai appoggiandomi al tavolo. Osservai Killian che aveva ancora i suo immancabili pantaloni di pelle. «Hook come puoi resistere conciato così con questo clima?».
Lui mi guardò sorridendo. «Per quanto apprezzi il tuo ridurre le dimensioni dei vestiti non credo che io farò lo stesso».
«Andiamo», intervenne Henry. «Non avrai indossato il tuo pastrano ogni estate anche nella Foresta Incantata?».
«Sì, anche se di solito passavo l’estate in piena navigazione. Le temperature sono diverse quando ti trovi in mezzo al mare».
«Perché non ti sei messo i pantaloncini che abbiamo comprato insieme?», continuai. «Ti stavano bene». D’altra parte, cosa non lo rendeva ancora più affascinante? L’avevo anche convinto a comprare un costume da bagno ed era stato molto difficile non saltargli addosso quando l’avevo visto solo con quello.
«Per quanto tu possa apprezzare Swan, io non ho intenzione di rinunciare al mio stile».
«Cioè al tuo aspetto da pirata», sorrisi. «Contento tu...».
«Senti mamma», intervenne Henry, «posso andare? Avevo fissato con mamma e Robin. Giuro che dopo ti aiuto a sistemare».
«Vai pure ragazzino, qui ce la caviamo anche da soli».
«Grazie, ci vediamo più tardi». Mi sorrise e uscì di corsa di casa, lasciando me e Hook soli.
«Beh ti sbagli Swan», mi disse quest’ultimo avvicinandosi a me. «Io non voglio rinunciare al mio aspetto da pirata… sexy». Marcò l’ultima parola, fermandosi ad un centimetro dalle mie labbra.
Lo baciai non potendo resistere a quel richiamo troppo invitante. Il suo sapore era delizioso come sempre, un misto di rum e sale che mi faceva impazzire. Mordicchiai il suo labbro perdendomi nei suoi profondi occhi.
«Finalmente soli», sussurrai sulla sua bocca.
«È da quando ti ho vista così poco vestita, che desidero baciarti in questo modo». Si rituffò sulle mie labbra senza darmi neanche il tempo di rispondere. Non che io desiderassi fare altro. Gli passai le dita nei capelli avvicinandolo sempre di più e incitandolo a continuare quel bacio, tutt’altro che casto.
«Wow», sospirai infine. «Se questa è la tua reazione al mio abbigliamento penso che questa sarà un’estate meravigliosa. E dire che ancora non mi hai visto in costume».
«Ho visto molto di più, tesoro. Credimi so cosa c’è sotto», mi provocò.
«Allora come mai continui a fissarmi e a sgranare gli occhi quando mi vedi un po’ più svestita. Dovresti asciugarti la bava Capitano».
Mi sorrise con la sua solita aria sfacciata, facendomi sentire le farfalle nello stomaco. «Non sono il solo dei due a sbavare se è per questo». Colpita e affondata.
«Beh non posso negare ma d’altronde, come hai appena detto, ho a che fare con un pirata molto sexy».
«Giusto». Mi sorrise ancora una volta per poi darmi un bacio sul naso e staccarsi da me.
«Allora vuoi che cominciamo a svuotare gli scatoloni?», mi propose.
«In realtà sono un po’ accaldata». Mi riavvicinai di nuovo a lui circondandogli il collo con le braccia. «Vorrei fare una bella doccia».
Accostai ancora di più il viso al suo in modo tale da ritrovarmi occhi negli occhi e a sfiorare le sue labbra. «Magari sei accaldato anche tu con i tuoi pantaloni di pelle».
Mi fissò malizioso, capendo dove volessi andare a parare, ma facendomi rimanere sulle spine. «Cosa avevi in mente Swan?».
«Dovremo darci una bella rinfrescata dopo la faticaccia che abbiamo fatto. Siamo soli, di là c’è una doccia ed è anche bella grande; sarebbe davvero un peccato non sfruttare un’occasione del genere».
«E così vuoi approfittare di me nella doccia».
«Non userei la parola approfittare quando tu sei del tutto consenziente». Accostai ancora di più il mio corpo al suo riuscendo a percepire il suo desiderio. «E poi dobbiamo rinnovare la casa, compreso il bagno, conosci un modo migliore?».
Scosse la testa e mi prese per mano. «Che cosa ti ho fatto diventare», sospirò divertito.
«Beh credo di aver sempre avuto l’animo da pirata, tu mi rendi facile farlo uscire». Gli lanciai un sorriso raggiante e lo guidai verso il bagno.
«Swan saresti un pirata fantastico», confermò chiudendo la porta del bagno. «Potresti benissimo avere una ciurma tutta tua, sei un tipo piuttosto autoritario».
«Ah sì? Bene allora perché non proviamo subito?», lo provocai. «Che ne dici di lasciarmi il comando adesso?». Lo fissai decisa sapendo quanto amasse prendere l’iniziativa in situazioni del genere.
«Agli ordini Capitano Swan», cedette infine.
«Bene». Accarezzai le sue labbra con le mie per poi andare a sfiorargli un orecchio. «Prima di tutto Jones devi stare fermo, è un ordine intesi?».
«Si».
«Cosa? Jones rispondi come si deve al tuo capitano».
Lo sentii sorridere. «Agli ordini signor Capitano».
«Così va meglio». Iniziai a togliergli la camicia concedendogli un bacio per ogni indumento che finiva per terra. Mi soffermai ad osservare compiaciuta il mio uomo completamente nudo di fronte a me. Lui, d’altro canto, mi fissò con un sorriso provocante come a sottolineare quanto fosse attraente e irresistibile.
«Bene». Andai dietro di lui e gli diedi un bacio tra le scapole. «Adesso Jones vai dentro la doccia e apri l’acqua. Io arrivo subito». Mentre lui obbediva io aprii lo scatolone che avevamo portato quel pomeriggio nel bagno. Tirai fuori il mio accappatoio, un asciugamano e una spugna. Poi cercai il mio beautycase ed estrassi il bagnoschiuma e lo shampoo.
«Capitano Swan devo ancora aspettarla molto?», si lamentò.
«Lo sai che sei un po’ troppo impertinente come sottoposto. Dovrei già averti dato in pasto agli squali o meglio ai coccodrilli». Sentendolo trattenere una risata alzai lo sguardo, ma lui si ricompose subito fissandomi serio da sotto il getto d’acqua. Il mio cuore accelerò notevolmente nel vederlo così. Poteva essere così incredibilmente bello?
Senza più indugiare mi spogliai velocemente ed entrai in doccia con lui. L’acqua era tiepida, più fredda che calda, ma in fondo era meglio così. C’eravamo già noi ad avere bollenti spiriti.
«Spero che la temperatura vada bene Capitano».
«Direi che può andare. E adesso Jones metti le mani lungo i fianchi e stai fermo e zitto. Voglio lavarti per bene». Fece come gli avevo ordinato mettendosi di fronte a me. Iniziai ad insaponarlo, strusciando la spugna su tutti i muscoli.
Insaponai il suo braccio fino ad arrivare al suo uncino. «Questo è meglio toglierlo». Con la magia lo feci scomparire, come già avevo fatto una volta, teletrasportandolo sopra il lavandino.
«Swan ti ho già detto che non è carino giocare con l’uncino di un uomo», protestò. Lo zittii mettendogli un dito sulle labbra.
«Non ti avevo detto di non parlare?», gli sussurrai mordicchiandogli un orecchio. «Sono io al comando ricordatelo».  Non aggiunse altro e si abbandonò di nuovo al mio tocco. Risciacquai ogni centimetro del suo corpo, accompagnando la spugna con una scia di baci. Killian teneva gli occhi chiusi e le labbra semiaperte, godendo del mio tocco. Vederlo così in preda al piacere solo per quel mio piccolo gesto mi fece fremere ancora di più.
Una volta finito lo baciai dolcemente facendo aderire il mio corpo al suo. Le sue braccia mi strinsero non sopportando più di essere costrette a quel ruolo passivo. Mi spinse lentamente contro il muro della doccia baciandomi con passione. Aveva resistito, senza prendere iniziativa, più tempo di quanto mi aspettassi.
«Fatti lavare i capelli da me», mormorò sulla mia bocca. «Anche io voglio sciacquarti tutta».
«Dopo. Prima che ne dici se facciamo altro?». Non c’era bisogno di dire nulla di più, entrambi sapevamo già la risposta. Ci amammo lì nella doccia, sotto il getto d’acqua, senza preoccuparci di niente altro. In quel momento ero a casa, e non tanto per via del nuovo appartamento, ma bensì perché Killian era dentro di me e non solo fisicamente. Riusciva a farmi sentire completa come non mi ero mai sentita.
 
Dopo un tempo indefinito uscimmo dalla doccia e ci decidemmo ad asciugarci. Mi avvolsi nell’accappatoio con i capelli grondanti, mentre Killian si mise l’asciugamano intorno ai fianchi.
«Dio! Sembra impossibile», sospirò abbracciandomi da dietro e appoggiando il mento sulla mia spalla.
«Cosa?». Fissai la nostra immagine riflessa nello specchio, non capendo a che si riferisse.
«Il fatto che tu sia ancora più bella con le guance arrossate, i capelli bagnati e gli occhi accesi dopo che abbiamo fatto l’amore». Sorrisi e voltai la testa per poterlo baciare.
Girai la testa verso di lui e appoggiai la fronte contro la sua, in un gesto che per noi era sempre stato molto significativo. “Noi”: non riuscivo più  ad immaginarmi da sola senza di lui. L’avevo visto morire, anche se solo nella realtà creata dall’Autore, ed era stato un inferno. E poi quando tutto era finito, quando l’avevo ritrovato, quando anch’io ero tornata me stessa, mi ero resa conto di quanto lui riuscisse in quello in cui tutti gli altri avevano fallito. Killian sapeva non solo rendermi felice, lui era riuscito a far crollare tutte le mie barriere. Mi ero resa conto che ormai ero sua anima e corpo, senza più possibilità di tornare indietro.
«Ti amo», sussurrai.
«Ti amo anch’io». Mi persi nel mare dei suoi occhi, non volendo più distogliere lo sguardo. Sarei rimasta per ore così, senza parlare, a guardare quell’oceano di un colore indescrivibile. Il suo sguardo valeva più di mille parole.
All’improvviso una porta che sbatteva ci fece sobbalzare, ridestandoci da quel momento di tenerezza.
«Che cosa è stato?», domandai. «La porta di casa era chiusa».
«Non ne ho idea».
Stavo per cercare qualcosa da usare contro l’eventuale ladro, quando la voce di mia madre mi fece sobbalzare. «Emma, tesoro? Sei in casa?». Quella sì che era l’ultima persona che mi sarei aspettata di sentire in quel momento.
«Come è entrata?». Killian era perplesso quanto me. «Le hai dato le chiavi?».
«Certo che no, altrimenti che senso avrebbe avuto trasferirmi in una casa tutta mia».
«Emma, sono la mamma. Ci sei?». Avevo due opzioni: non rispondere e sperare che andasse via, oppure rispondere ed eventualmente andare da lei.
«Emma?». Hook intanto mi fissava esortandomi a fare qualcosa. Non era proprio il caso che mia madre ci trovasse in quelle condizioni.
Dovevo pensare in fretta. Se non avessi parlato probabilmente sarebbe andata via, pensando che magari ero uscita, ma potevano esserci degli intoppi. Poteva provare a cercarmi in tutte le stanze o più probabilmente poteva chiamarmi al cellulare e allora, siccome il telefono era nei miei pantaloncini, sarebbe squillato in bagno; così ci avrebbe inevitabilmente scoperto. E il farmi trovare in quel modo da mia madre era proprio l’ultima cosa che desideravo. Nonostante avessi una casa tutta per me, mi sentivo ancora una volta come un’adolescente che deve nascondere il ragazzo per non farlo scoprire dai genitori.
«Mamma, sono in bagno», dissi alla fine. «Stavo facendo la doccia». Feci cenno a Killian di tacere e rimasi in attesa.
«Oh scusami se ti disturbo. Ho incontrato Henry per strada e mi ha dato le chiavi…». Avrei dovuto fare un discorsetto a mio figlio.
«Ho capito. Volevi qualcosa? È urgente?».
«No, ti ho solo portato una cosa. Posso entrare?». Fu tutto molto rapido: spinsi Hook da una parte in modo che fosse nascosto dalla porta e gli feci cenno di restare in assoluto silenzio. Mi affrettai ad aprire nello stesso istante in cui lo stava facendo lei. Evitai che spalancasse l’uscio e mi affacciai da uno spiraglio.
«Che c’è mamma?». Mary Margaret  mi fisso un attimo perplessa.
«Non volevo disturbarti, pensavo di trovarti intenta a svuotare gli scatoloni».
«Ero accaldata e ho preferito rilassarmi un momento prima di iniziare». Cercai di avere un tono piuttosto normale ma nel frattempo il mio cuore batteva a mille.
«Hai fatto bene, se vuoi quando sei pronta ti posso dare una mano. Se ci mettiamo insieme sono sicura che finiremo in un batter d’occhio».
«No». La mia voce uscii un po’ troppo stridula. «Cioè non importa. Sei venuta qui solo per aiutarmi?».
«No ti ho portato una crostata con la marmellata di ciliegie. L’ho appena fatta ed ho pensato che ti sarebbe piaciuta. Un semplice spuntino mentre sistemi la tua casa».
«Oh grazie. Senti mi asciugo e ti raggiungo di là». Mi sarei vestita e poi avrei trovato una scusa per uscire o per mandarla via, in modo tale da permettere ad Hook di venire fuori.
Lanciai un veloce sguardo a Killian che intanto aveva un espressione più divertita che preoccupata.
“Non c’è nulla di divertente”, riuscii a suggerirgli con gli occhi in quel brevissimo istante.
«Certo». Mary Margaret sembrò sul punto di seguire il mio consiglio. Poi però tornò a fissarmi rivolgendomi un ampio sorriso.
«Hook spero che ti piacciano le ciliegie», aggiunse. Sentii le guance andarmi a fuoco. In quel momento avrei voluto solo scomparire o nascondere la testa sotto la sabbia come gli struzzi. Tutto pur di non essere stata colta quasi in fragrante da mia madre.
«Sì molto, grazie», rispose lui come se nulla fosse. Ero solo io a sentirmi tremendamente imbarazzata?
«Da cosa l’hai capito?», domandai balbettando.
Mi indicò il lavandino. Sopra c’era ancora l’uncino in bella vista. «La prossima volta forse è meglio che ti telefoni prima di venire. Non volevo disturbarvi».
«Già, forse e meglio», bofonchiai. «Comunque mamma ormai rimani. Ti raggiungiamo subito di là». Finalmente chiuse la porta ed io potei voltarmi a guardare Killian, in modo tale da fulminarlo con lo sguardo.
«Spiegami una cosa Swan non è per evitare situazioni come queste che hai comprato questa casa?».
«Sta zitto». Lo colpii con la mano, ma il suo sguardo presuntuoso mi fece scoppiare a ridere. Per quanto potesse essere imbarazzante quella situazione era anche comica.
«Beh ti avevo avvertita riguardo all’uncino». Andò al lavandino per rinfilare quella che era una parte integrante di lui. «Comunque devo dire che tutto questo è stato piuttosto eccitante». Si avvicinò a me, abbracciandomi e spostando con l’uncino i miei capelli, ancora bagnati.
«Killian», sospirai quando lui posò le labbra sul mio collo. «Mia madre…».
«Lo so». Si scostò capendo che quello non era il momento più opportuno per le coccole.
«Sai qual è la cosa più strana?», gli domandai mentre iniziavo ad asciugarmi i capelli.
«Quale tesoro?».
«Che fino ad oggi, quando ancora stavo a casa con i miei, nessuno ci aveva mai scoperti. Invece è successo adesso quando finalmente avrei dovuto avere la mia privacy».
«E tutto per una torta con la marmellata di ciliegie», aggiunse.
Scoppiai di nuovo a ridere. «Già tutto per delle maledette ciliegie».


 
Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Eccomi di nuovo qui con un altro mese. Dopo il finale di stagione che, a mio parere, è stato perfetto ho deciso di allontanarmi un po’ di più dalla serie tv per seguire una storia tutta mia. Ho già pensato ad un filo logico per i prossimi mesi; spero che vi piaccia.
Questo capitolo all’inizio non mi convinceva tanto e ancora ho qualche perplessità, però mi piaceva scrivere di loro innamorati e felici….
Grazie ancora a tutti quelli che stanno leggendo la mia storia e che mi hanno fatto sapere la loro opinione.
Un abbraccio e al prossimo mese
Sara  

 

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Capitolo 7
*** Luglio: L’oscurità di un giorno estivo ***


Luglio: L’oscurità di un giorno estivo

La pioggia batteva forte contro le pareti della Jolly Roger. La barca, pur essendo attraccata al porto, continuava ad ondeggiare assecondando il mare mosso. Ma non c’era nulla di cui preoccuparsi: la mia adorata nave aveva sicuramente vissuto situazioni di gran lunga più terribili di un semplice temporale estivo.
Nonostante fosse luglio quella mattina Storybrooke si era risvegliata nel bel mezzo di una tempesta, e man mano che passavano le ore sembrava che la pioggia non avesse alcuna intenzione di smettere.
D’altronde quel tempo rispecchiava perfettamente il mio umore. Era il primo luglio e quello era sempre stato, e sempre sarebbe rimasto, il mio giorno oscuro. Troppi ricordi e troppi pensieri si affollavano nella mia mente in quella ricorrenza; troppe cose erano successe e io non riuscivo a dimenticarle.
Quello era il giorno dell’anno in cui mi sentivo ancora, di nuovo, più vicino al vecchio me. L’oscurità non mi apparteneva più, ma quel giorno mi ricordava un motivo per il quale avevo deciso di seguirla. Intraprendere la cattiva strada era stato facile, ero stato praticamente scaraventato e spinto a fare le scelte che avevo fatto. Il problema era che, probabilmente, se fossi tornato indietro, pur sapendo che quello non era il comportamento corretto da tenere, avrei comunque fatto lo stesso. Quel giorno, diversi secoli prima, il mio cuore aveva perso tutto quello per cui valeva la pena lottare e si era inevitabilmente macchiato.
Il temporale rappresentava perfettamente il mio tumulto interiore, in più mi dava una scappatoia per restarmene da solo e non dover uscire. Almeno con Emma potevo usare la scusa di restare rintanato sulla Jolly Roger per via di quel tempaccio. Mentre normalmente avrei fatto i salti mortali per passare dei momenti con lei, anche con quel tempo da lupi, quel giorno preferivo rimanere da solo e aspettare che la data cambiasse in modo tale da impormi di smettere con quei tristi pensieri.
Proprio come a cospirare contro di me, in quell’istante sentii dei colpi contro il portellone della cabina, che avevo ben chiuso in modo da non far passare l’acqua.
«Killian! Sei qui?». La voce di Emma risuonò sopra il rumore della pioggia.
«Swan!», mi alzai di scatto. «Che diavolo ci fai qui?». In quel momento un tuono squarciò l’aria facendo tremare le pareti della Jolly Roger.
«Hook fammi entrare ti prego». Andai velocemente ad aprirla. Nonostante il mio umore non potevo certo lasciarla là fuori. Quando finalmente fu entrata ed io ebbi richiuso la porta, mi voltai a guardarla. Era completamente fradicia e stava gocciolando dalla testa ai piedi. Aveva i capelli zuppi, che le si erano appiccicati sulla fronte, una maglietta bianca che aderiva completamente al corpo, attraverso la quale riuscivo a distinguere la forma dei suoi seni; pantaloncini corti che mettevano in risalto le sue gambe. Era sexy e bella da morire.
Deglutii prima di riuscire a parlare. «Che ci fai qui?», le chiesi di nuovo scostandole con l’uncino una ciocca di capelli che le era caduta sugli occhi.
«Ero preoccupata per te. Non rispondi al cellulare, quindi ho pensato che non prendesse bene per via del tempo; e poi sei certo che la Jolly sia abbastanza sicura? Potevi restare da me ieri sera».
«Tesoro la Jolly ha affrontato sfide ben peggiori non ti devi preoccupare». Le sorrisi e le diedi un leggero bacio sulle labbra. «Adesso perché non ti asciughi prima di prenderti un malanno?».
Annuì e andò verso l’armadio per prendere un asciugamano. Io tornai a sedermi di fronte al tavolo poggiandoci le gambe sopra. Ormai il mio momento di solitudine era stato interrotto e, per quanto detestassi dover fingere con lei, dovevo fare buon viso a cattivo gioco se non volevo che si accorgesse del mio insolito stato d’animo.
La fissai mentre si toglieva i vestiti di fronte a me e si infilava la maglia che di solito usava come pigiama. Le stava grande e le arrivava fino sotto il sedere. Resistere al richiamo del suo corpo nudo fu difficile ma non tanto come altre volte. Sicuramente, se non fosse stato per l’umore di quel giorno, avrei approfittato di quella magnifica opportunità e le sarei saltato addosso nel momento stesso in cui si era tolta il suo moderno corpetto, lasciandomi ammirare il suo seno turgido.
«Adesso va meglio», mi disse prendendo un altro asciugamano e frizionandosi i capelli. Si voltò verso di me e mi venne incontro. Senza bisogno di chiedere buttai giù le gambe dal tavolo e la feci sedere sulle mie ginocchia, in modo che potesse accoccolarsi sul mio petto.
«Lo vedi che ho fatto bene a venire». Mi mise una mano sulla guancia e mi incatenò con i suoi occhi verdi. «Killian ti senti bene?».
«Cosa? Sì certo». Era lì da neanche due minuti e già aveva capito che avevo qualcosa che non andava. Stavo perdendo le mie capacità di attore, ma d’altronde dovevo immaginare che sarebbe finita in quel modo. Emma era la persona che là a Storybrooke mi conosceva meglio e l’unica con cui, in fondo, mi mostravo per quello che ero.
«Hook! Non credo che tu possa darmela a bere».
«E perché mai tesoro? Io sto benissimo». Tentai di fingere ma sapevo che presto avrei dovuto rivelarle la verità su quella giornata.
«Ti ricordi del mio superpotere? Stai mentendo e non mi piace quando lo fai con me».
«Già lo so».
«Beh e poi anche se non avessi avuto il mio superpotere sarebbe stato palese. Sono arrivata qui fradicia con una maglietta attraverso cui si vedeva tutto e tu mi hai dato solo un casto bacio. Mi sono spogliata e tu non hai fatto o detto niente, nemmeno una battutina. Il solito Hook non avrebbe esitato ad approfittare della situazione». Colpito e affondato.
«Mi aspettavo almeno un “Swan certo non puoi proprio resistere dallo spogliarti di fronte a me” o cose del genere». In effetti, sarebbe stata un’uscita tipica da me. Non potei evitare di accennare un piccolo sorriso, tuttavia proprio in quel momento la nave ondeggiò di più sotto il temporale e un altro tuono si abbatté sempre più vicino.
«È sicuro restare qui?», mi domandò ancora, alzandosi leggermente.
«Sicurissimo Swan. Non metterei così a repentaglio le nostre vite». La feci di nuovo rannicchiare sul mio petto e la strinsi più forte.
«Bene». Tornò a fissarmi con il suo sguardo indagatore. «E poi a voler continuare è già da ieri che ti comporti in modo strano. Quando ti ho chiesto se ti andava di passare la giornata sulla spiaggia con me ed Henry non eri entusiasta e hai sospirato di sollievo quando hai saputo che oggi sarebbe piovuto. Allora mi vuoi dire cosa hai?».
Trassi un profondo respiro, pronto a confessarle la verità. «Vedi Swan oggi è una sorta di giorno oscuro per me».
«In che senso?». Il suo sguardo si fece più intenso, cercando, con le sue iridi verdi, di esplorarmi fino in fondo all’anima.
«Oggi…», iniziai. «Beh oggi è l’anniversario della morte di Milah».
«Oh». Potei vedere la sorpresa nei suoi occhi ma fu subito sostituita dalla consapevolezza di quello che le avevo appena confessato.
Lentamente avvicinò il viso al mio e mi baciò dolcemente. Era incredibile quanto, nonostante volesse sembrare dura e forte, potesse essere dolce, soprattutto in momenti come quello. Le sue labbra dicevano che capiva e che non mi avrebbe forzato a parlarne. Lei era lì per me esattamente come io c’ero stato nei suoi momenti più cupi e avrebbe accettato qualunque mia decisione sull’argomento.
«Mi dispiace», sussurrò infine tornando ad incatenarmi con lo sguardo. «Grazie di avermelo detto».
«Era giusto che tu sapessi». La strinsi più forte tra le braccia e sentii il bisogno di dirle di più.
«È difficile dimenticare. Ricordo tutto come se fosse ieri: il coccodrillo che le stritola il cuore, il suo ultimo sguardo, le sue ultime parole, Milah senza vita tra le mie braccia».
«Deve essere stato terribile».
«La cosa più terribile è stata che ho potuto sentire il mio cuore rompersi e da quel momento non mi è importato più di essere una persona onesta e corretta. Ero già un pirata, perché non esserlo del tutto, anche nella sua accezione peggiore? Da quell’istante ho lasciato qualunque cosa buona rimanesse in me e ho deciso di diventare un vero cattivo per riuscire a vendicarmi. La voglia di vendetta mi ha guidato per decenni. Oggi è il giorno che più di tutti mi ricorda quello che sono stato prima di incontrare te».
«Credo che la tua reazione fosse comprensibile. Non è facile perdere la persona di cui si è innamorati, anche io lo so». Si riferiva a Neal, ma era stato diverso, i tempi e i trascorsi erano stati diversi. Anche il modo stesso in cui lei gli aveva detto addio non era paragonabile al mio.
«È vero, anche tu sai cosa significa. Ma io in quel frangente sono stato debole ed ho lasciato che la vendetta mi allettasse più della giustizia stessa».
«Killian nonostante tu oggi possa sentirti più cattivo del solito, tu non sei più quella persona. E le scelte che hai fatto ormai non si possono cambiare».
«È questo il punto: la cosa peggiore è che io non cambierei le scelte che ho fatto neanche se ne avessi la possibilità». Emma sembrò riflettere sulle mie parole, mentre io cercavo in qualche modo di carpire i suoi pensieri attraverso il suo profondo sguardo.
«Se sono state quelle scelte», disse infine, «a fare di te l’uomo che adesso io amo così tanto, sono contenta che tu l’abbia fatte e che tu non voglia cambiarle. Probabilmente se avessi fatto scelte diverse non mi sarei ritrovata così perdutamente innamorata di te e Killian tu sei la cosa più bella che sia mai successa in tutta la mia vita». Il mio cuore accelerò. Lei, Emma Swan, che non era mai stata il tipo da esternare i propri sentimenti con facilità, mi aveva appena fatto la dichiarazione d’amore più bella che avessi mai ricevuto. Solamente con quelle parole aveva reso un po’ meno oscuro quel giorno.
Non volendo rovinare quel momento con inutili frasi, avvicinai le mie labbra alle sue e la baciai lentamente, gustando a pieno il sapore della sua bocca, della sua lingua, di lei.
«Ti amo», sussurrai quando alla fine appoggiò la testa sulla mia spalla per lasciarsi cullare da me. Iniziò a coccolarmi silenziosamente, passandomi le sue dita affusolate sul petto e lungo il braccio. Chiusi gli occhi e mi lasciai assorbire dal suo tocco.
Avevo sbagliato a voler rimaner solo in quel giorno. Dovevo ricordarmi che adesso non lo ero più ma c’era e ci sarebbe sempre stata Emma. Dopo tutto quello che avevamo passato lei era la persona che riusciva a capirmi meglio di chiunque altro. Lei mi aveva accettato per quello che ero stato e per quello che stavo tentando di diventare. Chi poteva capirmi meglio di lei che aveva lottato e vinto contro l’oscurità?
Fuori dalla nave, fuori da quel nostro angolo di tranquillità, la pioggia stava diminuendo. Ormai si sentiva solo un lieve scroscio d’acqua segno che il più era passato e che presto sarebbe rispuntato il sole e tutti gli abitanti di Storybrooke sarebbero potuti ritornare alle loro attività estive sulla spiaggia.
Lentamente Emma mi accarezzò il braccio destro alzandomi la manica della camicia. Disegnò con le dita il contorno del mio tatuaggio soffermandosi sul nome inciso sulla mia pelle.
«Che tipo era Milah?», mi domandò all’improvviso. «Non devi parlarmene per forza».
Posai l’uncino sulle sue labbra per farla tacere. «Era una donna forte, aveva un carattere capace di farsi rispettare, un po’ come il tuo Swan».
«Ti piacciono le donne che sanno farsi valere, giusto Capitano?».
«Immagino di sì. Aveva anche lei il suo bel caratterino. Fu Milah a raggirarmi per portarla con me durante i miei viaggi. Aveva l’animo da vero pirata, ma non credere che la scelta di abbandonare tutto e partire all’avventura fosse stata facile per lei. Non era più innamorata del Coccodrillo, se anche lo era stata il comportamento di lui l’aveva talmente umiliata da non riconoscere più l’uomo che aveva sposato. Però amava suo figlio Baelfire… Neal. Non avrebbe mai voluto abbandonarlo; non passava giorno senza che Milah pensasse a lui. Credo che lasciarlo sia stata la scelta più dura che abbia fatto e anche che fosse l’unica cosa che si sia sempre rimproverata. Avevamo progettato di andarlo a prendere, di portarlo via con noi ma non abbiamo fatto in tempo».
«Avresti cresciuto Neal come se fosse stato tuo figlio?».
«Sì». Le alzai il viso con l’uncino in modo da incrociare i suoi occhi. «Lo stesso vale per Henry».
«Lo so, lo stai già facendo. Lui ti è molto affezionato e tu sei fantastico con lui. Te la cavi bene con i ragazzini, ma forse è solo per il fatto che hai un uncino al posto della mano».
«Beh sbaglio o l’uncino piace molto anche alle mamme dei ragazzini?».
«Sì, devo dire che ha il suo fascino. Ma torniamo a noi, Milah amava Neal e poi amava te ovviamente».
«Sì. Non era iniziata così ma ci eravamo innamorati».
«Tu l’amavi». Non me lo stava chiedendo, sapeva benissimo che quella era la verità. «Killian avete mai pensato di avere una famiglia tutta vostra, di avere dei figli?». Era una domanda che non mi aspettavo soprattutto da lei.
«Sì», risposi, «ne avevamo parlato. Però, per via di Bealfire, Milah non voleva avere altri figli, non prima di aver risolto le cose con lui».
«E tu avresti voluto dei figli?». Sbattei le palpebre perplesso: avevo sentito bene? Era una domanda riferita solo al mio passato con Milah o in generale? Mi stava indirettamente chiedendo se desiderassi dei figli con lei?
«Si», dissi infine. «Li avrei voluti, ma non sarei mai andato contro al suo desiderio».
«Beh questo è tipico di te».
«Emma la stessa cosa vale per noi», aggiunsi in un sussurro. Non potevo dirle apertamente che desideravo dei figli da lei, anche perché non ci avevo mai pensato seriamente e non ne avevamo mai discusso. Però volevo farle capire che, se fosse successo all’improvviso o semplicemente l’avessimo desiderato nel nostro futuro, io ne sarei stato felice.
«Bene». Mi sorrise e cercò di cambiare argomento. «Henry mi ha detto che gli hai mostrato una specie di ritratto di Milah».
«Sì voleva sapere che aspetto avesse sua nonna. Se vuoi puoi prenderlo, è nel primo cassetto della libreria». Si alzò e si diresse verso il mobile.
«Certo che è strano», disse mentre apriva il cassetto.
«Cosa?».
«Che la nonna di mio figlio sia anche la ex del mio uomo».
«Non più strano del fatto che i tuoi genitori sembrino tuoi coetanei e che il tuo uomo abbia circa due secoli più di te». Rimarcai la parola uomo: mi era piaciuto essere chiamato così.
«Beh hai ragione; siamo peggio di Beautiful».
«Di cosa?». Beauti che?
«Lascia perdere, vecchietto». Stavo per ribattere a quel suo ultimo appellativo quando esultando tirò fuori un foglio.
«L’ho trovato!», esclamò e tornò verso di me fissando il ritratto di Milah.
«Era bella», mormorò esaminandolo. «Mi chiedo come abbia potuto sposare uno come Gold».
«Non ti dà fastidio che io tenga ancora il suo ritratto?». In fondo era stata pur sempre il mio primo amore; ma Emma non sembrava gelosa.
«No, perché dovrebbe? Anche io ho una foto di me e Neal tra le cose della mia infanzia». Già, la loro foto! Era esattamente lo stesso ragionamento: come Milah era stata una parte della mia vita, così Neal era stata una parte importante di quella di Emma. Però quello che contava era che comunque entrambi rimanevano il passato, mentre nel presente e nel futuro saremo stati solo noi, Killian ed Emma, ognuno il lieto fine dell’altro.
«Ah quasi dimenticavo!», proruppe all’improvviso, ridestandomi dai miei pensieri. Rimise il ritratto al suo posto e andò verso la porta della cabina. Ormai il temporale era passato e alcuni raggi di sole stavano cominciando ad uscire. Quel giorno il tempo sembrava andare di pari passo con il mio umore.
Emma tornò con un sacchetto in mano. «Ti avevo portato del gelato, ma credo che adesso si sarà sciolto». Tirò fuori una vaschetta e l’appoggiò sul tavolo di fronte a me.
«Sono proprio una frana», sospirò. «Non solo non ho preso l’ombrello ma, fradicia come ero, mi sono dimenticata di averti portato il gelato».
«Non importa tesoro. Possiamo mangiarlo anche sciolto. Che gusti hai preso?».
«Vaniglia e nocciola, come piace a te». Andò a prendere due cucchiai dal cassetto. Era davvero sorprendente come Emma si trovasse a suo agio nella mia cabina. Ormai era come una seconda casa per lei, un po’ come stava diventando per me il suo piccolo appartamento. Vederla girare sulla mia nave come se fosse stata la sua mi rendeva profondamente felice.
Si sedette di nuovo sulle mie ginocchia e prese la vaschetta tra le mani, togliendo il coperchio e porgendomi un cucchiaio.
«Credo che non ci sia niente di meglio del gelato, anche se un po’ sciolto, per riuscire a farti affrontare e superare questo tuo giorno oscuro».
«Grazie», le sussurrai, le mie labbra a sfiorarle un orecchio. «Non del gelato ma di essere qui con me, è l’averti qui che sicuramente ha rasserenato un po’ questa giornata».
«Io ci sono sempre per te Killian, basta che tu me lo dica. Non sei più solo devi mettertelo in testa, noi possiamo affrontare tutto basta che stiamo insieme».
«Per sempre». Il mio fu un sospirò quasi impercettibile.
«Per sempre», confermò lei. Non avevo bisogno di altro: la certezza che, se fosse dipeso da noi, non avremmo più passato un solo giorno della nostra esistenza senza l’altro. Fossero stati solo pochi anni, dei decenni, o dei secoli, noi li avremo passati insieme.



 
Angolo dell’autrice:
Buon luglio a tutti! Eccomi qua con un altro mese come promesso.
Ho riscritto questo capitolo due volte; volevo trattare il tema della morte di Milah e all’inizio l’avevo incentrato dal punto di vista di Emma, ma non mi piaceva come era venuto fuori. Così ho cancellato tutto e ho lasciato che fosse Killian a narrare. Questo mese è più riflessivo e meno spensierato del precedente ma mi sembrava giusto far capire quanto il loro rapporto stia diventando profondo e maturo e quanto entrambi desiderino un futuro felice insieme.
Comunque vi anticipo che nel prossimo mese ci saranno momenti molto più dolci e spensierati tra i nostri due protagonisti, ho già molte idee per la testa.
Spero come sempre che il capitolo vi piaccia e ringrazio chiunque legga e recensisca la mia storia.
Ad agosto! Un abbraccio
Sara
 

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Capitolo 8
*** Agosto: Il gioco di sguardi di una serata perfetta ***


Agosto: Il gioco di sguardi di una serata perfetta
 
Casa: ero cresciuta senza averne una e solo da poco avevo scoperto cosa significasse averla trovata, ma sicuramente stare tra le braccia di Killian Jones per me era essere a casa. Non c’era un posto che mi mancasse di più quando ne ero lontana né una persona che desiderassi così tanto al mio fianco.
Calore: ecco un’altra parola adatta per descrivere il suo abbraccio. Non solo calore nel senso fisico del termine; il modo in cui mi stringeva, in cui mi fissava, in cui mi baciava o semplicemente mi accarezzava mi scaldavano meglio di un fuoco acceso. Nello stare così avvinghiata a lui il mio cuore iniziava a battere ed io mi scioglievo. Non ero una preda facile da conquistare, ma lui mi aveva completamente catturato ed era riuscito a penetrare fino alla parte più profonda di me. Aveva abbattuto tutte le mie difese e mi aveva scaldata dopo tanto tempo in cui avevo cercato di mantenere il mio cuore più freddo possibile.
Anche se era agosto e il tempo era più caldo del previsto, sentivo il bisogno di stare accoccolata tra le sue braccia. La sensazione di pace e calma che provavo stando avvinghiata a lui, sicuramente superava problemi sciocchi come l’elevata temperatura esterna. Se fosse dipeso da me sarei rimasta in quella posizione per sempre.
Stretta nel suo abbraccio, girai leggermente la testa in modo da poterlo guardare e ammirare. Eravamo sulla Jolly Roger e stavamo guardando le stelle. Quella di fare una mini gita con la nave per un paio di giorni era stata un’idea improvvisa di Hook. Aveva detto che voleva farmi vedere le stelle cadenti, ma io avevo percepito che per lui c’era qualcos’altro sotto. Era solo una sensazione, ma avevo intuito che Killian volesse allontanarsi da tutti e partire esattamente quei due giorni. Io d’altro canto ne ero stata felice; non avevamo mai fatto una vacanza insieme, se non fatta eccezione per il viaggio nel tempo, e anche se sarebbe stato solo per un brevissimo periodo era bello poter staracene da soli, senza nessuno ad invadere la nostra privacy.
Così eravamo salpati con la Jolly Roger fino ad arrivare in un punto indistinto in mezzo all’oceano. In quel momento stavamo ammirando le stelle su una postazione di cuscini che Hook aveva allestito sul ponte della nave. Era tutto molto romantico: noi due stretti in un abbraccio, un paio di candele accese per fornirci un minimo di luce, le stelle, il rumore lento e regolare del mare.
Ammirai il suo profilo studiandolo fin nei minimi particolari. I suoi occhi erano concentrati a scrutare il cielo e brillavano di un colore stupendo. Riuscivo a scorgere l’oceano dei suoi occhi anche con il solo bagliore delle stelle e delle candele. Se avessi dovuto scegliere una parte del corpo di Killian a cui non avrei mai saputo rinunciare sarebbero stati sicuramente i suoi occhi.
Aveva le labbra leggermente socchiuse, così perfette da farmi venire voglia di baciarle, il mento rivolto verso l’alto con appena un accenno di barba; il naso dritto e fiero, il volto segnato da alcune piccole cicatrici, residuo delle tante avventure che aveva vissuto nei suoi anni da pirata. Avrei passato ore così incantata ad ammirarlo: un atteggiamento per niente da me ma che non riuscivo a controllare.
All’improvviso, come percependo il mio sguardo su di sé, si girò leggermente sorprendendomi imbambolata ad osservarlo. Voltai la testa di scatto, distogliendo lo sguardo dal suo, e mi sentii avvampare per il semplice fatto di essere stata colta in fragrante.
«Beh Swan capisco che sono uno spettacolo irresistibile, ma ti avevo portato qua per vedere le stelle cadenti». Era palese che approfittasse della situazione per fare una delle sue solite battutine.
Sentii le sue labbra vicino all’orecchio; il suo respiro caldo mi face fremere come accadeva ogni volta. «D’altronde, tesoro», continuò, «tu puoi ammirarmi tutti i giorni, questo spettacolo naturale invece accade solo poche volte all’anno».
«Dovresti essere lusingato del fatto che io mi perda ad ammirare te invece che le stelle».
«Oh lo sono, credimi». Mi diede un bacio sulla guancia, per poi spostare di nuovo le labbra sul mio orecchio. «Del resto se tu volessi approfittare della situazione e decidere di dedicarci a qualcosa di più fisico e movimentato per stasera, io sarei del tutto d’accordo». Mi girò il viso con la mano in modo da poter incrociare di nuovo i nostri sguardi. Il suo era pieno di lussuria, esattamente come lo era stato il tono delle sue parole.
Nonostante mi stessi già sciogliendo e avessi una tremenda voglia di baciarlo appassionatamente, tentai di resistere e di essere forte. Non potevo certo dargliela vinta così facilmente.
«Sei sempre il solito. Basta un minimo gesto, come il guardarti, e tu pensi subito che voglia portarti a letto. Beh Hook non sono così smaniosa».
«Davvero, tesoro?», replicò sorridendo. «Beh forse mi confondo con l’altra Emma, quella che - lo ammetto - con mio enorme piacere, richiede i miei servigi quasi ogni notte e non solo».
Aprii la bocca per ribattere ma non mi venne in mente niente per poter smentire la sua affermazione. Era vero e non potevo negarlo.
Sorrise ancora di più vedendo che mi aveva messo a tacere. «Visto? Ho ragione io».
«Beh il solo fatto che desideri fare l’amore con te non significa che non possa anche semplicemente guardarti per il solo gusto di farlo. Anche tu lo fai».
«E sentiamo quando mi impunterei a fissarti?».
«Vuoi davvero l’elenco completo?». Continuò a studiarmi non distogliendo lo sguardo e aspettando che proseguissi. Ci pensai su per poter fare una lista abbastanza lunga da permettermi di riconquistare il punto che avevo appena perso. «Quando indosso qualcosa di particolare… come i pantaloncini. Lo fai sempre quando ho le gambe scoperte più del solito».
«Swan sono vissuto per secoli in un mondo dove era impossibile vedere scoperto anche solo un polpaccio di una donna, non puoi aspettarti che non mi attirino le tue gambe nude. Ma vai avanti».
«Quando dormo. Tu mi guardi quando dormo».
«Come fai a sapere che ti guardo se stai dormendo?». Accidenti!
«Lo so e basta. E poi quando sono in costume da bagno o in biancheria. Insomma tu mi fissi esattamente come io fisso te».
«Beh è proprio qui che ti sbagli: tu mi hai appena detto che quando mi osservi non hai in mente il sesso, giusto?».
«Sì non c’è sempre solo quello».
«Sta proprio qui la differenza: io quando ti osservo ho quasi sicuramente per la mente il sesso».
«Porco». Gli diedi una pacca sulla spalla e incurvai le labbra in un sorriso.
«Io sono solo sincero a differenza di te».
«Anche io sono sincera», protestai.
«Bene allora dimmi a cosa stavi pensando prima, quando mi stavi fissando in maniera così intensa, visto che abbiamo appurato che non pensavi a me in quella maniera».
Arrossii. Non potevo certo dirgli che stavo pensando a quanto adorassi i suoi occhi e a quanto fosse bello. E in più non potevo nemmeno provare ad uscirne con una frase del tipo “pensavo a quanto ti amo”: era troppo sdolcinata e per niente da me.
L’unica possibilità era cambiare argomento e accettare quella bruciante sconfitta, sperando che Killian non me la facesse pesare troppo.
«Bene che ne dici se smettiamo di parlare e ci dedichiamo a qualcosa di più fisico e movimentato?».
Mi guardò alzando un sopracciglio, notando che avevo appena usato le sue stesse parole.
«Porco di nuovo», scherzai. «No parlavo di quello. Che ne diresti di un bagno di mezzanotte?».
«Adesso?». La sua espressione era perplessa. «Nel mare?»
Scoppiai a ridere. «Certo e dove altrimenti?».
«Ma è buio».
«Se no non si chiamerebbe bagno di mezzanotte».
«Potrebbe essere pericoloso».
«Che c’è Capitano, non mi dire che hai paura?», lo provocai. Sapevo che quella era la strada giusta per farlo cedere. Il suo orgoglio avrebbe preso il sopravvento su tutte le sue remore.
«Io non ho paura». Appunto, come previsto.
«Bene allora cosa stiamo aspettando?». Mi alzai e mi stiracchiai per riprendermi dopo che ero stata molto tempo rannicchiata. Vedendo che lui rimaneva ancora seduto gli lanciai uno sguardo di sfida per incitarlo ad alzarsi.
«E va bene Swan, vado a prendere la scaletta, così dopo possiamo risalire a bordo senza problemi». Si alzò per poi sparire sottocoperta.
Nel frattempo ne approfittai per spogliarmi, togliendomi il vestito leggero che avevo indosso. L’aria era calda e la brezza che c’era non serviva a stemperare il clima torrido di agosto.
Mi tolsi anche gli slip e il reggiseno, pregustando lo sguardo che Hook mi avrebbe lanciato al suo ritorno.
Quando Killian risalì sul ponte portava tra le braccia una scala di corda che posizionò in modo che potessimo utilizzarla senza difficoltà. Quando si voltò verso di me lo vidi, anche con estremo piacere, strabuzzare gli occhi. Tentò di ricomporsi sapendo che io stavo osservando la sua reazione fin nei minimi particolari, ma non riuscì a distogliere lo sguardo.
Mi appoggiai con le braccia al parapetto della nave in maniera provocante, in modo che potesse ammirare ogni forma del mio corpo. «Adesso chi ha vinto Capitano?».
«Esibizionista», sussurrò abbastanza forte perché io potessi sentirlo. Sorrisi riconquistando almeno un punto dei tanti che avevo rovinosamente perso poco prima. Voltai la testa per guardare l’oceano che si stendeva sotto di noi. Era un’immensa tavola nera che mi attirava più di quanto potesse invece spaventare. Non vedevo l’ora di trovarmi a nuotare in quel vasto mare nero.
Mentre ammiravo la natura che ci circondava, anche Killian si spogliò. Udii distintamente il rumore dei suoi vestiti e del suo uncino cadere a terra, e mi fu ancora più chiaro quando sentii il suo corpo premere sul mio, facendomi percepire la sua crescente eccitazione.
«Allora Swan che ne dici, andiamo a farci questo bagno?». Si staccò soltanto per farmi voltare. Finalmente le mie labbra incontrarono le sue ed io mi allacciai al suo collo stringendomi ancora di più contro di lui. Beh era impossibile non pensare al sesso quando Killian era così con me.
Quando si staccò per riprendere fiato, mordicchiai il suo labbro inferiore impedendogli di allontanarsi di più.
«Hai cambiato idea?», mi chiese ad un centimetro dalla mia bocca.
«No Killian. Ho tutta l’intenzione di farti percorrere la passerella». Mi sorrise per poi allontanarsi da me con lo scopo di andare ad allestire il nostro trampolino improvvisato. Non potei che rimanere incantata a guardarlo, di nuovo. “Bene Emma siamo già a due per stasera”.
«Beh Swan io la percorrerò solo se tu lo farai con me», dichiarò mentre stava sistemando l’asse in modo che fosse abbastanza stabile.
«Ci sto». Una volta che ebbe finito tornò da me prendendomi per mano.
«Prima le signore», mi disse aiutandomi a salire.
«Non credo che sia un onore, in questo caso, rispettare il galateo. In teoria staresti per gettarmi in pasto agli squali».
«Non ci sono squali qua se no non ti avrei mai assecondata in questo tuo bizzarro desiderio».
«Buono a sapersi». Lo feci posizionare accanto a me sempre stringendo la sua mano nella mia. «Al mio tre?».
Annuì. «Uno, due e tre». Ci tuffammo insieme, con le nostre dita intrecciate. L’impatto con l’acqua mi costrinse a lasciarlo andare. Affondai nell’acqua scura e abbastanza fredda per essere agosto, per poi ritrovarmi a risalire verso la superficie. Era stata una scarica di adrenalina pazzesca.
Quando riemersi in superficie, sbattei gli occhi per riuscire a distinguere qualcosa intorno a me che non fosse l’oscurità che mi circondava. Nonostante il cielo stellato, vista da quella posizione la notte sembrava molto più buia del previsto. Le onde leggere del mare mi spostavano leggermente mentre galleggiavo immersa nelle tenebre; riuscivo solo a scorgere il profilo massiccio della Jolly Roger al mio fianco.
«Killian?», chiamai cercando di girarmi dalla parte in cui presumibilmente doveva trovarsi.
«Emma». Seguii il suono della sua voce fino a scorgere la sua figura poco distante da me. Nuotai verso di lui cercando di avvicinarmi il più possibile per quanto me lo permettesse il continuo movimento del mare.
«È stato fantastico», esultai elettrizzata. Il mio tono sembrava quello di una bambina su di giri.
«Sì, tesoro. Lo è stato». Anche se non potevo scorgerlo ero sicura che sul suo volto fosse stampato un sorriso. D’altronde sapevo che il solo fatto di vedermi ridere rendeva, di conseguenza, felice anche lui.
Sentii la sua mano sfiorare il mio corpo, l’unica cosa calda in quel mare freddo. Purtroppo un’altra onda ci allontanò impedendoci anche il minimo contatto.
Un brivido percorse il mio corpo e per scaldarmi mi misi a nuotare senza allontanarmi troppo dalla nave. Mentre mi muovevo intorno a me c’era un’assoluta tranquillità e un assoluto silenzio. C’era solo il rumore del mare, il profilo scuro della Jolly e Killian da qualche parte là intorno. Ero in uno stato di assoluta pace.
Mi soffermai a guardare le stelle, in fondo era quello il motivo di quella mini vacanza. Era incredibile quante stelle potessero esserci; da Storybrooke con le luci della città era impossibile scorgerle tutte. Mi sarebbe servito l’aiuto di Killian per poter distinguere le varie costellazioni. Lui era molto più esperto di me in quel campo. Un giorno avrei dovuto chiedergli di insegnarmi: l’astronomia era stata una materia che mi aveva sempre affascinato.
All’improvviso notai una stella cadente. “Esprimi un desiderio Emma”, mi dissi. Ma in momenti così perfetti come quello era più facile a dirsi che a farsi.
“Voglio che questa pace duri per sempre”, pensai infine, desiderando non solo la pace ma soprattutto Killian per l’eternità.
 
Ero di nuovo accoccolata tra le braccia del mio bel pirata. Questa volta ci trovavamo nel nostro letto nella cabina del capitano. Alla fine eravamo risaliti sulla nave, con mio enorme dispiacere, ed eravamo, con grande gioia di Hook e anche mia, finiti col fare l’amore.
In quel momento, per la seconda volta in quella stupenda serata, stavo pensando alla bellezza del suo caldo abbraccio. Il calore in cui ci trovavamo non era solo fisico, ma per me era un vero e proprio stato mentale.
Passai le dita sul suo petto, osservando il suo torace abbassarsi e alzarsi per il suo lieve respiro. L’uncino mi stringeva su un fianco, ma anche il contatto con il metallo freddo a me sembrava invece bollente. Quella era stata una giornata meravigliosa, era stata sicuramente la vacanza più bella che avessi mai fatto in tutta la mia vita
«C’è forse un motivo particolare per il fatto che tu sia voluto partire esattamente per questi due giorni?», gli domandai ricordandomi la sua ostinazione nel voler andare via in quella data.
«In che senso?». La sua mano mi sfiorò il braccio accarezzandomi dolcemente.
«Mi sono accorta che hai insistito per far sì che mi liberassi proprio oggi, in modo da poter partire questa settimana e non la prossima».
Non rispose e questo mi diede la conferma che avevo avuto ragione.
«Allora», continuai, girandomi sulla pancia in modo da poterlo guardare in faccia. «Perché proprio questa data?».
«Va bene. Che ore sono?».
Lo guardai perplessa non capendo il perché della sua domanda. Il suo sguardo deciso dritto nel mio mi convinse a prendere il cellulare per poter controllare. «Le due di notte, perché?».
«Beh Swan…». Si tirò su per poter incatenarmi meglio con il suo sguardo. «Oggi è il mio compleanno». Sentii la mia bocca spalancarsi dalla sorpresa. Anche se lui mi stava osservando attentamente, non potei fare a meno che le mie espressioni fossero esplicative dei miei sentimenti. Prima ci fu lo stupore, poi passai dalla sorpresa alla rabbia: perché diavolo non me l’aveva detto? Non ci dovevano essere segreti tra noi soprattutto per una cosa del genere. Dopo la rabbia sopraggiunse la colpevolezza: che razza di fidanzata ero se non sapevo neanche quando era nato il mio uomo? Non mi ero mai posta la domanda, ma era ovvio che anche lui avesse un compleanno.
“Bene, 11 agosto: imprimitelo nella memoria per l’anno prossimo”.
Oltre la colpevolezza giunse la delusione e il dispiacere: non avevo avuto modo di potergli comprare nulla. Tenendomelo nascosto aveva impedito che potessi fare qualcosa per lui, dall’organizzargli una festa ad un semplice regalo. Avrei potuto pianificare la giornata, anche se quella che stavamo trascorrendo era alquanto perfetta; avrei potuto cucinare un dolce, comprare le candeline, anche se probabilmente non sarebbero entrate tutte su una torta. Anche se non sapevo ancora l’anno, sicuramente erano più di duecento.
Dopo la delusione sopraggiunse la consapevolezza del fatto che se me l’aveva tenuto nascosto, probabilmente era per un buon motivo. Magari voleva semplicemente evitare di essere al centro dell’attenzione per quel giorno, ma quello era più un comportamento da me che da lui.
«Emma per favore di’ qualcosa», mi supplicò vedendo che non riuscivo ancora a parlare.
«Io…», tentai di riprendermi. «Beh auguri, buon compleanno amore». Mi avvicinai a lui per dargli un dolce bacio sulla guancia.
«Grazie». Accennò un sorriso colpevole sapendo che non avrei lasciato correre sulla sua omissione.
«Perché non me l’hai detto? Avrei potuto… noi avremmo potuto…». Mi mise un dito sulle labbra per zittirmi.
«Io non ho molta voglia di festeggiare, dopo aver vissuto per decenni, l’abitudine di celebrare il proprio compleanno perde di valore».
«Quanti precisamente?».
«Questo non te lo dirò. Accetta semplicemente il fatto che sono nato oggi tanto tempo fa».
«Sei peggio di una donna», scherzai ma non insistetti. «Comunque se non volevi festeggiare potevi dirmelo e ti avrei assecondato, non c’era bisogno di tenere nascosta la ricorrenza in generale».
«Lo so, ma tu mi avresti comunque regalato qualcosa e…».
«Certo. Avrei voluto». Questa volta fui io ad interromperlo. «Non è giusto che tu sia l’unico tra i due che può permettersi di fare un gesto romantico. Io ti avrei comprato qualcosa, anche una stupidaggine ma avrebbe avuto un significato diverso per noi».
«Emma a me basta passare la giornata con te. Questo compleanno è il migliore che abbia mai avuto solo perché tu sei con me. In questo momento non mi interessa nient’altro al di fuori di noi due».
Sospirai e mi accoccolai di nuovo tra le sue braccia, lasciando cadere la questione.
«È tutto perfetto così come è», mormorò accarezzandomi il braccio.
«Lo so, solamente mi è dispiaciuto averlo saputo così. Oggi è un giorno importante non solo per te, sai? In questa data tanto tempo fa è nato Killian Jones, cosa farebbe Emma Swan oggi senza il suo Killian Jones?». Alzai la testa per vederlo sorridere e per poterlo baciare.
Avevo ammesso da tempo quanto lui fosse fondamentale per me. Ormai non avrei più potuto fare a meno di lui e non riuscivo neanche ad immaginare come potesse essere la mia vita futura senza averlo al fianco. Non avevo previsto di innamorarmi fino a quel punto, ma probabilmente era perché fino ad allora non sapevo cosa volesse dire trovare “il vero amore”.
All’improvviso mi ricordai che, nonostante non avessi potuto comprargli nulla, avevo comunque qualcosa da regalargli. Mi alzai di scatto dal letto per andare a cercare il mio borsone.
«Dove vai?», protestò.
«Ho qualcosa per te». Iniziai a frugare nella sacca fino a che non la trovai.
«Quale parte del discorso non hai compreso? Non voglio regali. Se proprio vuoi fare qualcosa per me, io proporrei attività che non implichino l’alzarsi da questo letto. Sai puoi soddisfarmi in tanti modi».
«Smettila». Tornai verso di lui rimettendomi seduta al mio posto. «Allora, prima di tutto: non è un vero e proprio regalo; te l’avrei data lo stesso prima o poi. Secondo devi accettare le mie condizioni».
«Davvero Swan?». Alzò un sopracciglio con fare ironico. «Ti ho detto che non voglio regali ed oltre a questo dovrei accettare le tue condizioni? Puoi tenerlo qualunque cosa sia».
«Dai Killian!», insistetti. «Sono sicura che non la penseresti così se sapessi di cosa si tratta».
«E va bene. Sentiamo: quali sarebbero le tue condizioni?».
«Voglio anch’io poter non festeggiare per il mio compleanno e non voglio regali, intesi?».
«Ah ho capito. La tua è soltanto invidia per il fatto che per me, questo giorno, è passato sotto silenzio. Beh potremmo organizzare una gita in barca anche ad ottobre, non dovrebbe essere troppo freddo».
«Hook, sono seria. Niente regali, niente feste, niente sorprese almeno da parte tua».
«Va bene lo prometto, ma solo se tu per oggi farai quello che vorrò io». Quello di certo non era un problema, potevo benissimo soddisfare quella sua richiesta. Con molta probabilità avrebbe voluto passare la giornata esattamente come volevo passarla io.
«Accetto, siamo d’accordo. Ecco a te». Gli presi il palmo della mano e vi misi la chiave che avevo tenuta nascosta nella mia.
«Cosa è?», mi domandò perplesso fissandola.
«La chiave del mio appartamento. Visto che ormai passi più notti da me che qua sulla Jolly, mi sembrava giusto che tu ne avessi una copia». L’espressione che si dipinse sul suo volto fu in grado di scaldarmi più di mille suoi abbracci. Non era solo felice ma molto di più.
«Grazie». Si avvicinò per darmi un bacio, anzi per ricoprirmi di baci.
Anche se avevo tenuto la chiave nascosta ero contenta di avergliela finalmente data. Non c’erano più dubbi a riguardo: Killian Jones faceva parte della mia vita ed era diventato una parte integrante di me. Forse, nonostante le mie paure e le mie incertezze, eravamo davvero pronti per quel passo e anche per quelli successivi.



 
Angolo dell’autrice:
Buon agosto e quindi buone vacanze, sia a chi le ha già fatte ma anche a chi - come me - deve aspettare ancora un po’ prima di andare al mare.
Ecco qua un altro capitolo. Questo mese è abbastanza leggero e spensierato. Ho voluto descrivere un momento tranquillo della loro relazione. Devo dire che mi sono divertita molto a scrivere delle loro battutine e del loro tenero punzecchiarsi a vicenda.
Come sempre spero che il capitolo vi piaccia e vi ringrazio di leggere la mia storia e di recensire!
Al prossimo mese, un abbraccio
Sara
 

 

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Capitolo 9
*** Settembre: Ciò che desidero veramente ***


Settembre: Ciò che desidero veramente
 
Cercai invano di ricordare cosa mi aveva detto Emma sul quel particolare congegno. Lei l’aveva chiamato aspira qualcosa: era ovvio che la sua funzione fosse quella di pulire. Il problema principale era riuscire a farlo funzionare. Dovevo assolutamente riuscirci prima che lei rientrasse.
Emma era uscita a bere qualcosa con Regina per una “serata tra amiche”. Quando le avevo fatto notare che detta così non sembrava una cosa né da lei né da Regina, mi aveva fulminato con lo sguardo. Ma il peggio era successo dopo. Emma mi aveva proposto di aspettarla a casa, quella che stava piano piano diventando casa nostra, e visto che Henry sarebbe rimasto dai nonni, dopo mi avrebbe alleviato la solitudine subita. Fin qui non ci sarebbe stato niente di male se non fosse stato per la mia sbadataggine. Nel tentare di afferrare quella specie di bacchetta per comandare la scatola magica, avevo accidentalmente buttato per terra la pianta che era sopra al tavolino. Così il vaso si era rotto e il pavimento era ricoperto di terriccio. In quel momento l’unica cosa che potevo fare era riuscire a pulire tutto prima che Emma rientrasse, sperando che non tenesse particolarmente a quella dannata pianta.
Se solo fossi riuscito a far funzionare l’aspira… polvere! Ecco aspirapolvere era quello il nome giusto!
“Beh Killian non ti serve il nome, pensa piuttosto a come accenderlo”. Se avessi usato una scopa normale ci avrei messo troppo e non sarei riuscito a togliere tutto quel terriccio. Quella era l’unica possibilità.
Fissai la parte che mi sembrava si chiamasse spina. Probabilmente avrei dovuto attaccarlo a qualcosa per riuscire ad usare la corrente che faceva andare tutte quelle moderne tecnologie.
«Accidenti!», inveii. «Per mille velieri perché diavolo non sono stato attento mentre Emma mi mostrava come usarlo».
Proprio mentre stavo perdendo la pazienza e accantonando l’idea di poterla passare liscia, sentii il telefono squillare. Almeno di quello ero riuscito ad imparare il nome.
Guardai lo schermo credendo che comparisse la scritta Emma, ma invece non fu così.
«Pronto? Regina?», risposi titubante.
«Hook, per fortuna mi hai risposto sub…».
«Emma sta bene? È successo qualcosa?». Non le lasciai neanche il tempo di finire la frase: la preoccupazione aveva preso il sopravvento. In un solo secondo mi erano balenate in testa mille possibili terribili teorie. Emma era con Regina, se quest’ultima mi aveva chiamato voleva dire che le era successo qualcosa.
«Tranquillo, non è niente di grave. Emma sta bene, ho solo qualche problemino a farla stare buona».
«In che senso?».
«Hook la tua cara fidanzata, ha alzato un po’ troppo il gomito stasera. Conoscendo la tua predilezione per il rhum non c’è da meravigliarsi: chi va con lo zoppo impara a zoppicare».
«Emma è ubriaca?», balbettai sorpreso.
«Decisamente. Io devo andare da Robin, ma non credo che lei sia capace di tornare a casa da sola in questo stato. Puoi venire a prenderla?».
«Certo». Mi feci dare l’indirizzo: erano in un locale di Storybrooke poco conosciuto a una ventina di minuti a piedi.
Lasciai perdere il congegno e mi precipitai fuori casa. Se Emma era davvero sbronza non avrebbe notato il mio piccolo incidente e sicuramente avrei potuto farlo passare in secondo piano una volta tornata sobria.
Il fatto che si fosse ubriacata però era alquanto strano. Sicuramente non era quello che accadeva in una normale “serata tra amiche” e certamente non era da Emma. Lei non amava perdere il controllo, lo sapevo bene, e non era neanche il tipo da non reggere l’alcool. Era evidente che fosse successo qualcosa di particolare, ma probabilmente non sarei riuscito a scoprirlo quella sera. Se neanche Regina riusciva a tenerla a bada, la mia piccola Swan doveva averci dato dentro della grossa.
Quando arrivai al locale non sapevo bene cosa aspettarmi. Come sarebbe stata Emma sbronza? Sarebbe stata più chiassosa o invece tutto il contrario? Sarebbe stata felice o triste? Da quel poco che mi aveva detto Regina sembravano più vere le prime opzioni. Sicuramente, se era riuscita a mettere alle strette la regina Cattiva, doveva essere abbastanza complicato trattenerla.
Appena entrai trovai Regina all’ingresso del locale.
«Bene pirata sei arrivato», sospirò di sollievo.
«Che cosa è successo?».
«Beh abbiamo iniziato con un paio di bicchieri di vino, ma sono diventati evidentemente di più quando io mi sono assentata un attimo. Però credo che se vuoi capirci qualcosa dovrai chiederlo direttamente a lei domani».
«Già penso anche io».
«Grazie di essere venuto. Robin mi ha chiamato, è successo un imprevisto con l’Allegra Brigata. Non è niente di greve ma ha bisogno che vada a casa sua per non lasciare Roland da solo».
«Capisco vai pure, ci penso io. Lei dov’è?».
«Sta ballando». Mi indicò una piccola pista accanto ad alcuni tavoli. Emma stava sicuramente dando spettacolo là al centro della pista, con troppi uomini attorno a lei, pronti ad approfittare di quella sua momentanea instabilità. Il mio sguardo si fece più truce, se solo qualcuno avesse osato metterle le mani addosso…
«Ah Hook». Regina mi fermò prima che mi potessi avvicinare. «Di’ pure alla tua cara fidanzatina che, se dovesse ricapitare una cosa del genere, non uscirò più con lei».
«Riferirò il messaggio». Mi sorrise ed uscì dal locale. Feci un sospiro e andai incontro ad Emma che nel frattempo continuava a ballare, in maniera un po’ troppo disinibita per i miei gusti.
«Killian!», gridò vedendomi. Mi corse incontro buttandomi le braccia al collo. «Tesoruccio». Non era decisamente da lei essere così smielata, era già un record se qualche volta riusciva a chiamarmi amore di fronte ad altre persone.
«Ciao splendore». Riuscii giusto a terminare la frase prima che mi ritrovassi la sua lingua nella bocca. Era decisamente molto disinibita e sapeva di vino in maniera esagerata.
«Che ci fai qui?», mi chiese quando staccò le sue labbra dalle mie. Mi rivolse un sorriso radioso, puntando i suoi stupendi occhi verdi dritti nei miei.
«Regina mi ha chiamato, è dovuta andare via».
«Oh!». Mi fissò perplessa per un secondo prima di riuscire ad afferrare quello che le avevo appena detto. «Che peccato volevo salutarla… però adesso ci sei tu. Mi sei mancato tanto». Mi baciò di nuovo, non lasciandomi altra scelta se non quella di ricambiarla.
Bene Emma da ubriaca era dolce e melensa, e particolarmente affettuosa. Forse dovevo cominciare a pensare all’idea di farla bere un po’ più spesso, ora non da farla sbronzare ma solo quel tanto da renderla un po’ più esplicita. Ma sicuramente il mio cigno da ubriaco aveva in serbo ancora molte altre sorprese, visto che aveva dato del filo da torcere a Regina.
«Vieni a ballare con me». Mi tirò per l’uncino, cercando di trascinarmi dietro di lei. Nel frattempo due o tre tizi mi lanciarono delle occhiatacce che ricambiai prontamente. Per fortuna il comportamento di Emma aveva messo subito in chiaro che lei non era disponibile, e il mio sguardo serviva solo a confermare che quello era il mio territorio e che nessuno poteva invaderlo.
«No Swan, basta ballare andiamo a casa». La tirai di nuovo verso di me, in modo da dirigerla verso l’uscita ma ovviamente non fu così facile.
«No. Io non voglio andare a casa. Mi sto divertendo». Mi lasciò l’uncino e mi fissò imbronciata. Avevo due opzioni: la prima era quella di prenderla di peso e portarla via, senza curarmi delle sue proteste; però c’erano troppe persone e qualcuno avrebbe potuto tentare di fermarmi. E non avevo decisamente voglia di fare a pugni con qualcuno. La seconda prevedeva di assecondarla e cercare di invogliarla ad uscire.
«Beh d’accordo Swan», iniziai. «Ma precisamente come si fa a ballare con questo rumore? Questa certo non si può definire musica». Erano dei suoni ritmati che decisamente non erano tipici di un ballo. In quel mondo moderno sicuramente non avevano orecchio per la buona musica.
Mi sorrise e mi abbracciò di nuovo, strusciando il suo corpo sul mio. «Non c’è solo il… come si chiama?».
«Valzer».
«Quello. E poi la prima regola è scegliere un compagno che sappia danzare». Nonostante la sbronza riusciva a ricordarsi piccoli dettagli come quello; era piuttosto ammirevole.
«E tu sapresti ballare Swan, in queste condizioni? Quanto hai bevuto stasera?».
«Solo un pochino». Accompagnò la frase con il gesto delle dita.
«Un pochino?». Alzai un sopracciglio e la fissai scettico.
«Beh forse un po’ di più. Qualche bicchiere di vino non ha mai fatto male a nessuno. E poi tu non dovresti criticare: vai sempre in giro con una fiaschetta piena di rhum».
«Va bene». La strinsi di più a me e la baciai dolcemente. Se avevo visto giusto potevo sfruttare l’attrazione che provava per me a mio vantaggio. «Senti perché invece di restare qua in questa confusione, in mezzo a tutta questa gente, non ce ne andiamo? Ti assicuro che troverò il modo di farti divertire».
Mi guardò incerta, mordicchiandomi il labbro. «Va bene», acconsentì infine.
Intrecciai la mano alla sua e la trascinai fuori dal locale. Ma non appena fummo usciti Emma mi saltò di nuovo addosso. Mi ritrovai di nuovo le sue braccia intorno al collo, le mani tra i capelli, le labbra sulle mie e la sua lingua sempre più invadente.
Riuscire a frenarla non era poi così semplice, anche perché prima di trattenere lei dovevo comunque trattenere me stesso; e non era per nulla semplice quando lei si comportava così.
«Emma, tesoro aspetta», riuscii a dire tra un bacio e l’altro.
«Perché? Mi avevi promesso il divertimento e questo è divertirsi». Si strusciò di più addosso a me, facendomi sentire il suo seno sul petto e il suo bacino contro il mio; un gesto che normalmente mi avrebbe fatto perdere il controllo. Però dovevo rimanere lucido e riuscire a gestire la situazione, almeno il tempo necessario per portarla a casa.
«Swan non c’è un po’ troppo pubblico? Forse è meglio aspettare per questo».
«Io non voglio aspettare», piagnucolò. «Voglio solo te dentro di me». Feci un profondo respiro riuscendo a reprimere ogni minimo mio desiderio. Dovevo portarla via di lì e certo potevo sempre mettere in atto l’opzione uno ma sarebbe stato meglio se mi avesse seguito di sua spontanea volontà.
«Che ne dici se facciamo una passeggiata al chiaro di luna?», le proposi, spostandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Magari troviamo un posto più appartato».
Mi guardò imbronciata ma alla fine accettò. «Uffa. Non ti facevo così moralista. Però dovrai farti perdonare». Lasciò che io le circondassi la vita con il braccio e iniziò a camminare appoggiandosi a me. O meglio a barcollare se non fosse stato per me che la sorreggevo.
L’aria di settembre era ancora calda, ma la sentii stringersi di più contro la mia spalla. Solo allora notai che indossava solo una maglietta scollata. Probabilmente aveva dimenticato la giacca da qualche parte dentro il locale, ma visto che ero riuscito a trascinarla via non sarei certo tornato indietro a prenderla.
«Metti questa», le dissi togliendomi la mia giacca e poggiandogliela sulle spalle. Lei mi sorrise, la infilò, e tornò ad appoggiarsi a me.
«Sa di mare e di rhum», mi disse annusando la pelle. «Sa di te. Lo sai che il tuo odore mi fa impazzire? È così buono».
«Anche tu hai un buono odore Swan, di solito. Adesso invece puzzi di vino». Non so se fece finta di non aver sentito o se proprio non mi stesse ascoltando.
«E poi amo i tuoi occhi», continuò con un tono trasognato. «Sono così belli. Come fanno ad avere quel colore? Come quello dell’oceano».
«Avresti dovuto chiederlo a mia madre, li ho ereditati da lei. E poi cos’altro ami di me?». Ero curioso di sentire tutti quei complimenti che l’Emma sobria si sarebbe tenuta per sé.
«Tutto. Sei così bello e affascinante, con il tuo aspetto da cattivo ragazzo, da vero pirata. Sei così maschio, soprattutto con il tuo uncino. Ecco mi piace tanto anche l’uncino è così sexy». Avrei dovuto usare uno di quei congegni per registrare. Chissà che faccia avrebbe fatto risentendo le sue parole una volta in sé. Sarebbe arrossita e avrebbe negato.
Continuammo a camminare in silenzio, tanto che pensai che il peggio fosse passato e che magari le stesse venendo sonno. Non sarebbe certo stato un problema prenderla in braccio e, una volta addormentata, metterla a letto.
Le mie speranze, però, furono presto deluse. All’improvviso alzò la testa dalla mia spalla e impuntò i piedi, costringendomi a fermarmi.
«Basta non ho più voglia di camminare». Mi fissò con uno sguardo contrariato incrociando le braccai al petto.
«Dai tesoro, continuiamo solo un altro poco». Allungai la mano verso di lei sperando che la stringesse. Eravamo su una strada che costeggiava l’oceano. Non mancava molto a casa.
«No, sono stanca». Barcollò fino al bordo del molo, e ondeggiò pericolosamente vicina al pelo dell’acqua.
«Emma!». Mi affrettai ad afferrarla prima che cadesse in mare tra un passo e l’altro.
«Ce la faccio», protestò. Scacciò la mia mano e per fortuna riuscì a mettersi a sedere per terra, con le gambe penzoloni. Sospirai e mi sedetti accanto a lei. Probabilmente se avessi tentato di prenderla in braccio si sarebbe ribellata, rischiando di farci cadere entrambi nell’acqua.
«Allora Swan che facciamo adesso?». Non mi rispose e continuò a fissare la barca che era ormeggiata di fronte a lei.
«La Jolly non c’è?», mi chiese all’improvviso.
«È attraccata più in là, perché?».
«Potremmo prendere e partire, fare un viaggio solo io e te».
«Davvero? E dove vorresti andare di preciso?».
«Dappertutto». Fece un enorme sorriso e si sporse per prendermi la mano. «Non sarebbe meraviglioso?».
«Credo che viaggiare con te sarebbe fantastico, tesoro».
«Potremmo visitare l’Europa. Ho sempre voluto vedere il mondo, poter viaggiare in lungo e in largo».
«E non ti mancherebbero Storybrooke, i tuoi genitori e Henry?».
«Certo ma così avremo un posto e delle persone da cui tornare, una volta concluse le nostre avventure. Potremo tornare a casa». I suoi occhi si illuminarono di felicità e di emozione. Le accarezzai una guancia, riconoscendo in pieno la mia Swan. Era quello il suo spirito, la voglia di libertà ma anche il bisogno incessante di un qualcosa di stabile a cui aggrapparsi e dove poter tornare.
All’improvviso, la sua espressione cambiò. Tirò su le gambe e si sporse dal molo iniziando a vomitare. Mi affrettai subito a sorreggerla e a scostarle i capelli con l’uncino per evitare che si sporcasse. Lasciai che si liberasse del tutto e che cominciasse così a smaltire la sbornia.
«Bene tesoro credo sia giunto il momento di andare a casa», affermai quando ebbe finito di rimettere. Mugolò ma non si oppose quando la sollevai, anzi mi mise le braccia intorno al collo e appoggiò la testa sulla mia spalla.
Il resto del tragitto fu piuttosto tranquillo. Emma sembrava non dover più vomitare e si stava lentamente addormentando. Più difficile fu aprire la porta di casa con un uncino, una mano sola e una donna in braccio. Avrebbero dovuto darmi una medaglia per quell’impresa.
Appena entrai notai il mio piccolo disastro, di cui mi ero completamente dimenticato. Tirai dritto, andando verso la camera: ormai quello era sicuramente passato in secondo piano.
Appoggiai delicatamente Emma sul letto, che nel frattempo si era appisolata. Probabilmente non avrebbe ricordato più nulla della sera prima, e l’unica cosa che le sarebbe rimasta sarebbe stata un tremendo mal di testa.
Le tolsi le scarpe e riuscii a metterla sottocoperte. Non tentai nemmeno di metterle il pigiama, temendo di svegliarla.
Feci per andarmene quando inaspettatamente la sentii mugolare. «Killian…».
Tornai indietro, sedendomi accanto a lei sul letto. «Tesoro va tutto bene, torna a dormire». Le diedi un bacio sulla fronte e mi alzai di nuovo.
«Resta con me», mi supplicò. Non potei far altro che andare dall’altra parte e stendermi accanto a lei. Appena fui al suo fianco si avvicinò poggiando la testa sul mio petto, lasciandosi avvolgere dal mio abbraccio.
Restai a vegliare su di lei, osservandola dormire. Il suo petto si alzava e si abbassava ad un ritmo regolare e lentamente, assecondando quella quiete, anche i miei occhi si chiusero. Mi risvegliai in piena notte non sapendo quanto tempo fosse passato, con Emma accoccolata sul mio braccio, che in quel momento era del tutto intorpidito.
Quando tentai di spostarla o anche solo di liberarmi dalla sua presa, Emma aprì lentamente gli occhi, fissandomi spaesata con le sue iridi verdi. Mi lasciò andare continuando a sbattere le palpebre confusa, ma visibilmente più lucida di prima.
«Sei a casa», le spiegai carezzandola con l’uncino. «Ti spiego domani va bene?».
«Non importa, penso di ricordare vagamente. Grazie».
«Non c’è problema amore».
«No davvero Killian, grazie di prenderti cura di me. E scusa per qualunque cosa sia successa».
«Sono qui per te. Mi hai fatto preoccupare lo sai? Non credevo che fossi il tipo capace di sbronzarsi». Continuai ad accarezzarle la guancia con l’uncino, fino ad arrivare alla sua fronte. Le appoggiai il metallo freddo procurandole un po’ di sollievo dall’emicrania che probabilmente doveva già avere.
«Non sono il tipo», sospirò dopo un po’, «una che beve solo per divertirsi».
«E allora perché ti sei ubriacata?».
«È stato stupido», aggirò la mia domanda.
«Molto, visto che qui quello alcolizzato sono io». Riuscii a strapparle un piccolo sorriso. «Ma non mi hai ancora detto perché».
Chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi mentre io le premevo l’uncino sulla fronte. «Certe volte il tuo uncino è davvero utile». Che non volesse rispondermi era palese, ma in quel momento non volevo insistere più di tanto. Doveva ancora smaltire la sbornia e non era pronta per le mie incessanti domande.
«Non devi dirmelo per forza se non vuoi. Potrai parlarmene quando sarai pronta».
«Voglio dirtelo, solo che mi sento una stupida ad aver abbassato così la guardia e non so bene come potrai prenderla».
La fissai perplesso, mettendomi più comodo su un fianco. Lei si tirò su fissandomi negli occhi, per poi stendersi supina, puntando lo sguardo al soffitto.
«Ieri», iniziò. «Ho comprato un test di gravidanza».
«Un test di cosa? Sei incinta?». Gravidanza era stata la parola che mi aveva fatto scattare.
«Lasciami parlare», mi rimproverò. «Comunque no, non sono incinta. Stavo dicendo che ieri ho fatto il test perché credevo di esserlo». Percepì il mio sguardo perplesso alla parola test e si affrettò a spiegarmi, prima che la interrompessi di nuovo. «È uno strumento che si compra in farmacia e che può dirti se una donna aspetta un bambino, anche solo dopo poche settimane dal concepimento. Quindi, avendo un forte ritardo, io ne ho comprato uno e l’ho fatto, è risultato negativo; e poi a confermare l’esito, oggi mi è arrivato il ciclo».
«Non capisco», intervenni notando che non proseguiva. «Dove è il problema?».
«Infatti. È quello che ho continuato a ripetermi in questi due giorni. Ero così preoccupata perché non eravamo stati attenti Killian, per il tuo compleanno sulla Jolly… e il ritardo sembrava voler confermare il tutto. Sarei dovuta essere sollevata quando ho visto il risultato, e invece no».
«No?». Studiai la sua espressione, sembrava avercela con sé stessa per quei sentimenti contrastanti.
«No. Ero così convinta di aspettare un bambino che non avevo considerato che potesse trattarsi solo di un semplice ritardo. Sono sempre stata puntuale come un orologio, non avevamo usato precauzioni e mi sembrava anche di sentirmi diversa».
«Avresti voluto essere incinta?», le domandai infine.
«Sì», ammise. «L’ho capito solo dopo, ero terrorizzata dall’idea di aspettare un bambino di nuovo, ma ho capito che sarebbe stato giusto. Killian io non ho mai desiderato avere dei figli, Henry non l’ho voluto, è solo capitato. Non ho mai avuto l’istinto materno, e poi sei arrivato tu ed è cambiato tutto. Ho iniziato a pensare che sarebbe stato bello aver un bambino con te nel futuro. Ed ieri quando ho visto questo futuro ipotetico avvicinarsi di colpo, mi ha spaventato ma l’avrei affrontato volentieri con te al mio fianco. E poi, quando tutto si è rivelato solo un falso allarme, mi sono sentita spaesata e mi sono rattristata. Io non volevo assolutamente sentirmi così, ma non potevo fare altro; volevo solo smettere di sentire qualsiasi cosa, per questo ho iniziato a bere».
Rimasi a bocca aperta. Non sapevo cosa dire: voleva avere un bimbo con me. Per quanto quella confessione potesse spaventare la maggior parte degli uomini, io invece ne ero felice. Avevo imparato che niente lega due persone come un figlio, e averne uno con lei sarebbe stato sicuramente il futuro più idilliaco che potessi avere. Non ero mai stato padre ma non potevo negare di averlo desiderato qualche volta nel corso della mia lunga vita.
«Perché non parli?», mi domandò voltandosi a guardarmi. «Ti ho spaventato, lo sapevo».
«No». Afferrai la sua mano intrecciando le sue dita alle mie. «Vuoi un figlio con me Emma?».
«Sì, e tu? Killian ti prego sinceramente, a prescindere da ciò che desidero io, cosa ne pensi?».
«Lo voglio anche io». I suoi occhi si allargarono, prima sorpresi e poi felici, e sul suo volto comparve un sorriso meraviglioso.
«Davvero? Anche adesso?».
«Sì Swan».
«Lo sai che non sarà più lo stesso dopo e che tra di noi…».
«Ssh», la fermai. «Lo so e per me va bene». La baciai dolcemente stringendola forte tra le mie braccia.
«Allora cosa stiamo aspettando?». Mi fece sdraiare, mettendosi a cavalcioni su di me e iniziò a sbottonarmi la camicia.
«Aspetta Swan», la fermai facendola stendere nuovamente. La coprii di nuovo con il lenzuolo e le diedi un bacio sulla fronte, ignorando il suo sguardo perplesso.
«Stai ancora smaltendo la sbornia», le spiegai. «Non sei ancora del tutto lucida; non voglio approfittare di te in un momento di debolezza. Desidero che tu lo voglia davvero. Quindi se domani, quando sarai tornata sobria al cento per cento, vorrai ancora avere un bambino con me io sarò il primo a darmi da fare per riuscire a concepirlo. Ma questo solo se tu lo vorrai davvero. D’accordo?».
Annuì. «D’accordo».
«Adesso dormi tesoro, se non vuoi che il mal di testa peggiori».
«Grazie di essere qui e di amarmi così tanto», sussurrò mettendosi più comoda e chiudendo gli occhi.
«Non c’è di che, tesoro». Le baciai dolcemente la fronte pensando che il giorno in cui avevo conosciuto Emma Swan era stato sicuramente il più fortunato di tutta la mia vita.


 
Angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Buon settembre.
Spero che le vacanze siano andate bene, io purtroppo sono tornata da un paio di giorni :(
Devo dire che questi capitoli stanno venendo sempre più lunghi, ma nonostante questo spero che siano di vostro gradimento.
Già qualche mese fa Killian ed Emma avevano parlato della possibilità di avere dei figli ed ora ecco qua! Emma lo desidera e anche Hook. Quindi staremo a vedere come si evolverà la cosa negli ultimi tre mesi. Vi anticipo già che questi ultimi quattro capitoli saranno un po’ più collegati tra di loro, visto che ho già in mente una linea guida generale fino al mese di dicembre.
Ringrazio sempre chi legge la mia storia, chi l’ha inserita nelle varie categorie e chi recensisce.
Ad ottobre (quando finalmente sarà tornato OUAT con la Dark Swan), un abbraccio
Sara
 

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Capitolo 10
*** Ottobre: Come regalarmi la completa felicità ***


Ottobre: Come regalarmi la completa felicità
 
Passavo le dita sulla stoffa, soffermandomi là dove la scritta ricamata conferiva un certo attrito a quel mio movimento. Non ricordavo più quante volte avevo compiuto quel gesto che ormai mi veniva quasi in automatico. Quante volte prima di scoprire la verità avevo cercato delle risposte in quella coperta, che era la sola cosa che mi legava al mio passato, ai miei genitori. E tante altre volte mi ero domandata, stringendo la copertina tra le braccia, chi mai avesse potuto abbandonarmi sul ciglio di una strada.
Quel giorno ormai la guardavo con occhi diversi. Esattamente trentadue anni prima mia madre, Biancaneve, in quello stesso giorno di ottobre, mi aveva dato alla luce e mi aveva avvolto in quella morbida stoffa; e sempre trentadue anni prima mio padre, il Principe Azzurro, aveva lottato contro le guardie della Regina Cattiva per riuscire a mettermi in salvo e a dare un’opportunità non solo a me ma a tutti loro.
Per molti anni avevo vissuto il giorno del mio compleanno da sola, ma da quando Henry era venuto a cercarmi non era più successo. Quel giorno mia madre, nonostante tutte le mie insistenze, aveva addirittura organizzato una festa.
Accarezzai di nuovo la coperta, non riuscendo a non pensare a ciò che era successo più di un mese prima. Sotto gli effetti dell’alcool avevo confessato a Killian il mio profondo desiderio di avere un figlio e poi mi ero ritirata di nuovo nel mio guscio. Avevo avuto paura della forza di tali sentimenti e del fatto che anche lui potesse provarli, ed ero scappata come ero fin troppo abituata a fare. Avevo fatto finta di essermi scordata anche di tutta la nostra conversazione, oltre a ciò che era successo prima. Quando mi aveva chiesto cosa ricordassi avevo omesso l’unica parte che ricordavo lucidamente.
Aver un figlio con lui era una cosa che volevo, ma al tempo stesso mi spaventava a morte. Un conto sarebbe stato se fosse capitato, se fossi rimasta incinta per sbaglio (come del resto avevo creduto), ma un altro era sicuramente decidere consapevolmente di concepire un’altra vita. Mi sentivo spiazzata, da una parte lo desideravo ma dall’altra ne ero terrorizzata.
«La scritta l’ho ricamata io». La voce di mia madre mi fece sobbalzare, facendomi voltare di scatto.
«Scusa non volevo spaventarti», aggiunse.
«Non ti preoccupare. Ero solo sovrappensiero».
«Penso che lasciarti andare sia stata l’impresa più difficile che abbia mai dovuto affrontare». Si sedette accanto a me sul letto, e mise una mano sopra la mia, fermando il mio movimento. «Se ci fosse stato un altro modo… ma non c’era tempo».
«Lo so, adesso lo so».
«Tutto quello che hai passato, tutta la tua infanzia, io non avrei voluto…».
«Mamma non importa. L’ho capito, e poi adesso siamo insieme no? Non dovevi organizzarmi una festa?». Il mio tono non le fece certo sfuggire quanto io poco sopportassi la cosa.
«Lo so che non sei entusiasta dell’idea; ma è il tuo compleanno, e tra una cosa e l’atra non l’abbiamo mai festeggiato. Quale occasione è meglio di questa, quando finalmente siamo in un periodo di pace?».
«D’accordo ma lo faccio solo per te, hai un bel po’ di compleanni da recuperare». Mi alzai e rimisi la coperta in una scatola dentro l’armadio.
«Bene allora è il momento di prepararti, io ero passata solo per prendere Henry. Hook dov’è?».
«È sulla Jolly Roger, mi ha detto che mi avrebbe aspettato là. Dopo verremo insieme da Granny».
«Okay, ma è successo qualcosa tra vuoi due?». Il suo tono era preoccupato. Era riuscita ad intuire la mia inquietudine per il mio segreto e per i pensieri di poco prima? Tra me e Killian non c’era nulla che non andasse, anche se ero sicura che lui percepisse il mio nervosismo. Non aveva battuto ciglio quando gli avevo mentito dicendogli di non ricordarmi più nulla. Se c’era rimasto male di sicuro non me l’aveva fatto pesare in nessun modo.
«No, stiamo bene. Gli ho chiesto di lasciarmi un po’ di tempo per prepararmi e per rilassarmi. Lui capisce cosa desidero in questo giorno». Era una frecciatina, ma almeno quella doveva sopportarla.
«Sono sicura che stasera ti divertirai». Detto ciò uscì dalla camera, lasciandomi sola.
Non ci misi molto a prepararmi e presto raggiunsi Killian sulla sua nave. Almeno avremo potuto trascorrere un po’ di tempo insieme prima della grande festa in cui, purtroppo, sarei dovuta essere la protagonista.
Trovai Hook vicino al timone, intento a guardare l’orizzonte. Il suo sguardo era perso in quello spettacolo immenso e sembrava più pensieroso del solito.
«Ehi pirata», lo salutai ridestandolo dai suoi pensieri. Gli diedi un bacio sulla guancia e intrecciai la mia mano alla sua. «Che fai?».
«Niente di che, pronta per stasera?».
Feci una smorfia. «Non me lo ricordare».
«Beh io ho mantenuto la mia promessa, non ti ho fatto regali, non ho organizzato niente. La festa è stata tutta un’idea dei tuoi genitori. Io mi limito a farti i miei più caldi auguri». In effetti, Killian era stato bravo: aveva mantenuto la promessa fatta per il suo compleanno. Siccome mi aveva tenuto all’oscuro della ricorrenza impedendomi anche il minimo gesto, anche lui doveva fare lo stesso.
«Sei stato bravo. E anche Henry».
«Ah sì?». Mi lanciò uno sguardo per indurmi a spiegarmi meglio.
«Sì mi ha regalato una zucca».
«Una zucca? Per mille balene che cosa te ne fai di una zucca?».
«Adesso ti spiego». Appoggiai la testa sulla sua spalla, con lo sguardo puntato verso il mare, permettendogli di abbracciarmi stretta. «È una zucca che Henry ha intagliato per me, per Halloween. Sa quanto io adori quella festa».
«Per Hallo cosa?».
Sospirai sorridendo. «Per Halloween, il trentuno ottobre. È una ricorrenza particolare, ti spiegherò in questi giorni di cosa si tratta. Comunque è tradizione fare delle zucche intagliate ed Henry me ne ha regalata una sapendo che non avrei voluto regali costosi, e quella sicuramente ha un valore molto più prezioso per me».
«Beh Swan questo però è barare». Mi fece girare in modo che potessi guardarlo negli occhi. «Un conto è dire che non vuoi regali, un altro è dire che non vuoi regali costosi».
Sorrisi. «A me basta stare con te». Lo baciai posando una mano sulla sua guancia.
«Non è giusto perché questo non è solo un dono per te ma anche per me», obbiettò appoggiando la fronte sulla mia.
«Beh se proprio vuoi farmi un regalo dimmi a cosa stavi pensando prima che arrivassi, sembravi così preso». Fece una smorfia, segno evidente che il rivelarmi i suoi ragionamenti non era nelle sue priorità, anzi sembrava tutto il contrario.
«Devo preoccuparmi?», gli chiesi mettendo fine al suo silenzio.
«Non so se è il momento».
«Tu parla, che sia o meno il momento. Voglio sapere che cosa passa in quella tua testa da pirata».
Fece un sospiro e poi mi prese per mano guidandomi verso il centro della nave, in modo tale che mi potessi sedere su un parapetto.
«Emma», iniziò, «lo so che ti ricordi cosa è successo dopo che ti sei ubriacata». Questa volta fui io a fare una smorfia.
«Non so di cosa tu stia parlando», mentii spudoratamente. Odiavo farlo, ma aveva ragione: non era il momento e non ero preparata ad affrontare un argomento del genere.
«Davvero?». Alzò un sopracciglio come per dire che non mi credeva affatto. «E allora perché hai fatto quella faccia quando te l’ho detto?».
«Quale faccia?».
«Quella di una che è stata colta in fragrante».
«E va bene. Mi ricordo, contento». Incrociai le braccia al petto e voltai la testa per non doverlo guardare negli occhi.
«E allora dimmi perché hai cambiato idea?». Mi prese il mento con la mano riportando i miei occhi dritti nei suoi. Il suo sguardo era triste e ferito ed era sicuramente una cosa che non potevo sopportare, non per colpa mia. Che volessi o no era giunto il momento di affrontare la cosa con lui.
«Io non ho cambiato idea», balbettai. «Non è così credimi».
«Beh io cosa dovrei pensare? Il giorno prima mi dici che vuoi fare un figlio con me e il giorno dopo fai finta di non ricordarti nulla. Eri troppo lucida quando me lo hai confessato, per quanto tu potessi aver bevuto avevi già smaltito parte della sbronza».
«Ho avuto paura Killian», confessai. «Ne ho tuttora».
«Tu credi che la cosa non mi spaventi? Io non sono mai stato un padre, credi che assumermi la responsabilità di crescere ed educare qualcuno sia una passeggiata per me? Sono un pirata, ho commesso più errori nella mia vita che scelte giuste. Ma io lo volevo davvero, lo voglio davvero».
«Io sto scappando Killian, lo sai come sono fatta. Sono terrorizzata da questi miei sentimenti, e dal fatto che se avremmo un bambino io non potrò più scappare. Io dovrò esserci per lui, così come ci sono adesso per Henry. Tutto questo è così spiazzante».
«Emma basta scappare, non ne hai più bisogno. Perché dovunque tu abbia intenzione di andare io ti seguirò. Non sarai più sola». Il mio cuore accelerò. Sapevo che era così, ma avevo anche bisogno di sentirmelo dire.
«Dirti la verità a voce è stata una cosa, ma fare sì che quella diventi realtà è tutt’altra».
«Tesoro io ti amo, e ti amerò sempre. Tu lo sai e affronteremo tutto insieme, ma devi permettere a me e a te stessa di vivere. Se è quello che vuoi davvero non puoi permettere a una stupida paura di sconfiggerti. Emma tu sei forte, non sei una che si lascia sopraffare dalle paure. Ed è vero è spiazzante, ma ciò non significa che non possa essere meraviglioso». Aveva ragione; dovevo prendere in mano le redini della mia vita e tuffarmi in questa nuova esperienza.
Mi alzai avvicinandomi al suo viso e poggiando la mano sulla sua guancia, la fronte contro la sua, lo sguardo dritto nell’oceano dei suoi occhi. «Vuoi fare un figlio con me Killian Jones? Questa volta sul serio, anche adesso».
«Sarebbe un onore». Le sue labbra sfiorarono le mie, con sopra disegnato un sorriso. «Però adesso sarò io a condurre il gioco».
«In che senso?».
«Prima, quando mi hai chiesto a cosa stessi pensando, beh non era solamente questo; c’era dell’altro. A dire la verità è un bel po’ che ci penso e forse anche per me è giunto il momento di agire. Vada come vada non voglio più aspettare».
«Non capisco», mormorai.
Fece un profondo respiro. «Vedi Swan forse mi giudicherai un po’ all’antica ma prima di creare una vera nostra famiglia con un figlio, penso sia necessario qualcos’altro».
«Continuo a non capire».
«Emma prima di incontrare te credevo che non avrei più amato nessuno; credevo che il mio cuore fosse destinato a morire da solo. Poi fin dalla prima volta che ti ho vista ho capito che tu eri diversa; all’inizio volevo conquistarti perché sembravi una che non si lascia facilmente catturare. Poi però quando ci siamo baciati a Neverland ho capito che tu saresti stata l’unica in grado di farmi innamorare di nuovo, eri l’unica che avrebbe potuto farmi tornare quello di un tempo. Tu sei come me, forte ma anche fin troppo ferita dalla vita. Siamo due spiriti affini, ognuno con le sue ferite e ognuno con la sua parte di oscurità».
Lo guardavo perplessa non riuscendo a capire dove volesse andare a parare ed il perché di quella dichiarazione d’amore. Poi mi fu tutto chiaro quando si mise in ginocchio di fronte a me. Il mio cuore si fermò per un istante per poi riprendere a battere all’impazzata, avevo le farfalle nello stomaco e le gambe improvvisamente tremanti.
Mi prese la mano nella sua. «Emma Swan vuoi sposarmi? Mi faresti l’onore di diventare mia moglie?». Lasciò un attimo la mia mano e tirò fuori un anello dalla tasca interna della giacca.
Lo guardai con la bocca spalancata, non riuscendo ad articolare neanche mezza parola. Riuscivo solo a sentire il mio cuore, che sembrava volesse uscirmi dal petto, le mie ginocchia vacillare e la sensazione di un nodo in gola che mi impediva di parlare.
«Non devi rispondermi subito», continuò dato il mio silenzio. «Magari vuoi parlarne prima con Henry, visto che è una decisione importante; puoi prenderti tutto il tempo che vuoi».
«Sì», riuscii finalmente a balbettare. Le mie labbra si piegarono in un sorriso, e sentii le lacrime premere per uscire. Avevo sempre odiato i sentimentalismi e adesso ero io a commuovermi. Ero un controsenso vivente.
«Sì vuoi del tempo per riflettere?», mi chiese titubante.
Scossi la testa per negare. «Sì lo voglio. Voglio sposarti Killian Jones».
Mi guardò perplesso. «Davvero?». Sembrava anche più sorpreso di quanto lo fossi stata io per la sua proposta.
«Sì, certo che sì».
Un ampio sorriso si disegnò sul suo viso, illuminando il mare dei suoi occhi. «Sicura?».
Mi sarei mai abituata all’emozione che provavo ogni volta che lo vedevo così felice solo per un mio gesto? «Sì Killian», confermai. Si avventò sulle mie labbra, impedendomi di aggiungere altro.
Gli allacciai le braccia al collo, passandogli le mani tra i capelli e approfondendo il bacio. Ben presto la mia lingua fu intrecciata alla sua, il mio seno a premere contro il suo petto, il suo uncino dietro la schiena per potermi stringere di più. Le nostre labbra si muovevano insieme e non volevano più saperne di lasciarsi andare.
Alla fine appoggiai la fronte contro la sua, cercando di riprendere fiato. «Non avresti dovuto essere così sorpreso dal mio consenso. Di solito una persona che fa questo genere di proposte vuole sentire una risposta affermativa».
«Lo so, Swan. Solo non credevo che sarebbe stato così facile».
«Pensavi davvero che avrei potuto rifiutare?». Il mio sguardo si perse nel suo, scrutandolo nel profondo.
«Non so. Ti ho già visto rifiutare una proposta di matrimonio».
«Sì, ma non eri tu». Con Walsh avevo avuto molti dubbi perché in fondo sentivo che non era reale, con lui invece il mio corpo, il mio cuore, aveva gridato solo una possibile risposta. «Killian per quanto detesti ammetterlo, visto che è una sensazione che mi fa sentire un bersaglio facile, devi sapere che io sono tua completamente».
Il suo sorriso si allargò ancora di più. «Ed io tuo». Sorrisi anche io e lo baciai di nuovo. Sentivo ancora il mio cuore battere all’impazzata, e non riuscivo a ricordare un momento della mia vita in cui fossi stata più felice. Non avevo mai pensato al matrimonio, ma nell’istante esatto in cui si era messo in ginocchio avevo capito quanto realmente desiderassi diventare sua moglie.
«Ma non avevi un anello?», gli domandai dopo una serie quasi infinta di baci.
«Giusto». Stringeva ancora il gioiello nella mano ed io ero abbastanza curiosa di vederlo per bene. Allungai la sinistra in modo che lui potesse infilarmelo all’anulare. I suoi occhi brillarono ancora di più mentre compiva quel semplice gesto.
Alzai la mano portandola all’altezza degli occhi. L’anello era semplicemente stupendo: era una semplice vera d’oro bianco con una piccolo diamante al centro. Anche se non ero abituata a portare molti gioielli pensai subito che fosse adatto a me.
«È bellissimo», sospirai. «È perfetto».
«Era di mia madre, è l’unica cosa che mi resta di lei». Lo fissai sorpresa non sapendo cosa dire. Killian non mi aveva mai parlato molto dei suoi genitori e anche per me era piuttosto difficile immaginarmelo bambino.
«Sei sicuro di volerlo dare a me?».
«Certo, mia madre me l’ha dato per la donna con la quale avrei voluto passare il resto della mia vita. E quella donna sei sicuramente tu Swan». Lo baciai di nuovo, troppo felice e commossa per poter esprimermi a parole.
«Non è giusto», sospirai dopo, «non hai mantenuto la tua promessa di non farmi regali».
Scoppiò a ridere. «Beh tecnicamente la mia è stata una domanda, sei tu che hai accettato. Quindi alla fine non ti ho regalato nulla. In più l’anello non l’ho neanche dovuto pagare».
Risi anch’io, incapace di fare altro. «Ti amo».
«Ti amo anche io. Ma adesso sarà meglio andare alla festa di tua madre, in modo tale che non mi uccida per averti fatto ritardare. Così potremo dare la bella notizia alla tua famiglia. Che ne dici?».
«Hai trovato l’unico modo per rendere ancora meno invitante quella festa. Comunque sì andiamo, abbiamo una bella avventura da affrontare. Dobbiamo dirlo a David».
«Beh allora vivrò ancora per poco. Se non mi ucciderà tua madre per il ritardo,  lo farà tuo padre appena saprà del matrimonio. D’altra parte non sarebbe una novità essere ucciso dai tuoi genitori». Scoppiammo a ridere e ci incamminammo mano nella mano.
 
Nonostante fossi al centro dell’attenzione, cosa che odiavo, non riuscivo a togliermi un sorriso ebete dalla faccia. Mi sentivo così felice, che non riuscivo a smettere di sorridere e potevo notare la stessa cosa anche in Killian. Lui mi teneva stretta la mano nella sua in modo tale che nessuno notasse l’anello prima che avessimo avuto l’opportunità di parlarne alla mia famiglia, ed eravamo entrambi al settimo cielo.
Quando vidi Henry in un angolo, finalmente solo, intento a giocare con il cellulare, approfittai per raggiungerlo.
«Tu resta qui io vado a parlare con Henry», sussurrai all’orecchio di Hook, lasciando la sua mano.
«Ehi ragazzino, vieni un attimo fuori con me?».
«Certo mamma». Lo guidai ad uno dei tavolini fuori dal locale, un posto speciale per me e Killian.
«Senti devo dirti una cosa», iniziai. Lui mi fissò attentamente, aspettando che continuassi. «Hook mi ha chiesto di sposarlo».
Fu sorpreso ma si ricompose subito. «Oh e tu hai accettato». Non era una domanda, il suo sguardo era caduto sul mio anello. Mi affrettai a coprirlo con l’altra mano.
«Sì, ma voglio prima sapere cosa ne pensi. Henry per me è importantissima la tua opinione e forse prima di accettare avrei dovuto parlarne con te…».
«Calmati mamma», mi frenò. «A me va benissimo, sono davvero contento per te». Mi abbracciò e sentii il mio sorriso allargarsi ancora di più, per quanto fosse possibile.
«Grazie».
«Killian mi piace, e non ti avevo mai visto così felice come con lui; poi ormai è come se voi foste sposati, dorme quasi sempre a casa nostra. Beh ora mi spiego il fatto che tu abbia continuato a sorridere per tutta la serata. Sembrava quasi che alla fine la festa della nonna ti piacesse».
«Non sia mai», scherzai.
«Lo hai già detto ai nonni?».
«No, però saranno i prossimi. Ora rientriamo così posso trovare Killian e andare ad affrontare i tuoi nonni». Hook mi aspettava sulla porta del locale, attendendo quello che era il verdetto da parte di Henry.
«Sarai ufficialmente uno di famiglia, ma se farai soffrire la mia mamma dovrai vedertela con me», gli disse quest’ultimo.
«Credimi ragazzino è l’ultima cosa che voglio». Lo ripresi per mano, lasciando che Henry andasse da Regina e Robin. Con la coda dell’occhio avvistai mia madre recarsi sul retro del locale così la seguii trascinandomi dietro Hook.
«Oh Emma, Killian», sussultò quando ci vide comparire. «Vi state divertendo? Stavo per prendere la torta».
«Mamma prima della torta, potresti chiamare di qua anche papà. Noi vorremmo parlarvi». Ci fissò perplessa ma poi annuì andando a cercare David.
«Lascia parlare me», sussurrai con il cuore a mille. Ero più agitata che mai; non avevo bisogno della loro approvazione, ma era comunque importante che loro fossero dalla nostra parte. Volevo con tutto il cuore che loro fossero felici per me, per noi.
«No Swan, hai parlato a tuo figlio da sola, lascia che almeno in questo caso ci pensi io».
Stavo per ribattere ma fui interrotta dall’arrivo dei miei. «Eccoci».
«Emma cosa sta succedendo?». Lo sguardo di mio padre si fece più cupo squadrando Hook da capo a piedi.
«Noi…».
Killian mi interruppe. «David vorrei scusarmi con te; anche se in questo mondo moderno non fate molto caso alle regole, secondo l’etichetta avrei dovuto parlare prima con te e solo dopo aver ottenuto il tuo consenso e la tua benedizione avrei dovuto chiederlo ad Emma».
«Cosa?». Mio padre era perplesso, invece lo sguardo di mia madre mi scrutò a fondo per poi illuminarsi. Guardò prima me, poi Killian e infine le nostre mani unite insieme.
«Oh mio Dio! È meraviglioso», esultò.
«Cosa? Io continuo a non capire».
«Papà, Killian mi ha chiesto di sposarlo ed io ho accettato. Ci sposiamo». La faccia di David era indescrivibile, un misto tra sorpresa, negazione e forse anche un po’ di gioia.
«Sono tanto felice per voi». Mia madre mi abbracciò ed io ripresi a respirare. «Benvenuto in famiglia Killian». Andò ad abbracciare pure lui, e potei percepire anche il suo sospiro di sollievo. Anche se non lo dava a vedere anche lui era teso per il giudizio dei miei genitori.
«Grazie Mary Margaret significa molto per me».
«Papà non dici nulla». Mi avvicinai a lui incrociando il suo sguardo.
«No», cercò di riprendersi, «è che sono un po’ sorpreso. Non credevo che foste già a questo punto».
«Io lo amo», sussurrai in modo che potesse sentirmi solo lui. «E Hook ama me. Il nostro è vero amore».
«Beh allora abbiamo un altro motivo per festeggiare stasera». Mi abbracciò dandomi un bacio sulla fronte, per poi allungare una mano verso Killian. «Benvenuto in famiglia».
«Grazie». Il mio sorriso si fece ancora più ampio mentre i due si stringevano la mano.
«Fammi vedere l’anello tesoro». Mia madre mi prese il polso, avendo notato l’anello alle mie dita. «Oh è stupendo. Mi devi raccontare tutto, come è successo, dove te l’ha chiesto, tu come hai reagito…».
«Va bene mamma, dopo. Adesso forse è meglio tornare di là». Preferivo sicuramente la festa al suo interrogatorio, che avrei comunque dovuto subire prima o poi. 
«Sì hai ragione», acconsentì David. Poi si rivolse ad Hook. «Sai per un attimo, quando Mary Margaret è venuta a chiamarmi dicendomi che volevate parlarmi, ho pensato che tu avessi messo incinta mia figlia».
Killian sorrise, certamente ripensando alle nostre ultime decisioni. Sicuramente se mio padre avesse saputo quanto in effetti lo volevamo, non avrebbe più scherzato su quell’argomento.
«David credimi se avessi voluto darti una notizia simile l’avrei fatto in un posto molto più affollato».
«Perché?».
«Per avere molti testimoni dalla mia parte nel caso tu avessi tentato di uccidermi, di nuovo». Rimarcò le ultime due parole, facendoci scoppiare tutti a ridere. Ripresi la mano di Killian e tornammo di là.
Ora che l’avevamo detto ad Henry e ai miei genitori, il peggio era passato e io ero assolutamente e completamente felice. Non avrei mai pensato di poter essere così fortunata.
In quel momento ci rimaneva solo un piccolo ostacolo da affrontare: dirlo a tutti. Ma insieme potevamo far fronte a tutto, anche una marea di abitanti di una piccola città con le loro domande impertinenti.


Angolo dell'autrice:
Salve a tutti e buon ottobre! 
Ormai è autunno, è ricomiciato OUAT (e alla grande direi), io sono riuscita a far fronte e a sopravvivere a tutti gli impegni di Settembre, e posso finalmente rilassarmi un attimo e anche con soddisfazione; e proprio per questo ecco a voi un capitolo piuttosto felice o molto felice per Emma e Killian.
Ringrazio come sempre chi legge questa storia e chi recensisce. Mi fa sempre molto piacere sapere cosa ne pensate.
Al prossimo mese! Un abbraccio
Sara

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Capitolo 11
*** Novembre: Lasciami guidare la tua nave ***


Novembre: Lasciami guidare la tua nave
 
Continuavo a guardarmi nello specchio assecondando il tumulto di sentimenti che mi si agitava dentro. Pur non approvando quel comportamento da parte mia, non ero riuscita a resistere e alla fine avevo fatto quello che non avrei mai pensato di fare. Avevo tirato fuori l’abito da sposa dalla sua custodia, ben nascosta nell’armadio, e l’avevo indossato. Mancavano poco più di due settimane al matrimonio, ma non riuscivo a placare la mia impazienza. Nonostante avessimo deciso di velocizzare al quanto tutti i preparativi, in modo tale da poterci sposare prima della fine dell’anno, mi sembrava che il tempo passasse al rallentatore. Non ero mai stata così impaziente in tutta la mia vita e mai avrei creduto di esserlo per un motivo simile.
Guardai di nuovo il mio riflesso nello specchio accarezzando le linee morbide dell’abito. Per quanto non desiderassi una cerimonia in grande stile avevo dovuto accontentare mia madre, lasciando a lei campo libero nell’organizzazione dell’evento, a patto che il matrimonio si tenesse entro la prima quindicina di dicembre. Ovviamente non avevo ceduto così facilmente, ma Mary Margaret era stata più testarda di me e avevo dovuto accontentarla, riuscendo però almeno a decidere la data. Mia madre aveva accettato, nonostante le lamentele per il poco tempo a disposizione, e così alla fine avevamo comprato un abito da sposa adatto alla situazione. Era molto classico, in realtà: aveva un’ampia gonna di tulle, con un scollo a cuore e delle semplici maniche. Per la prima volta, indossandolo, riuscivo a sentirmi una principessa. Con quell’abito riuscivo a sentirmi al mio posto anche se non sapevo esattamente spiegarmi il perché.
Ogni volta che mi ammiravo, inoltre, pensavo inevitabilmente alla faccia che avrebbe fatto Killian vedendomi. Lui che mi aveva sempre considerato molto più di una semplice principessa, sarebbe rimasto senza parole nel vedermi per una volta trasformata in quello che per nascita ero di diritto. Ricordavo ancora il suo sguardo quando avevamo danzato per la prima volta durante il nostro viaggio nel tempo. Mi aveva detto che sembravo nata per quello, per i grandi balli e le feste a palazzo. Beh e poi anche a Camelot aveva avuto lo stesso sguardo, solo che io non ero tanto in me in quel momento.
«Emma, tesoro, sei pronta?». All’improvviso sentii la porta sbattere e dei passi dirigersi verso la camera. Ero così presa ad ammirarmi che avevo perso la cognizione del tempo; e purtroppo non avevo considerato il fatto che Killian, prima o poi, dovesse tornare a casa.
«Non entrare», gridai, ma era già troppo vicino. Così dovetti ricorrere all’unica arma che potesse impedirgli di entrare: gli sbattei la porta in faccia chiudendola con la magia.
«Ahi», imprecò. «Maledizione Emma, vuoi rompermi il naso?».
«Scusa», sospirai affrettandomi a togliermi il vestito.
«Si può sapere che stai facendo? Perché non mi hai fatto entrare?».
Non avevo tempo di cercare una scusa credibile quindi optai per la verità. «Sto indossando l’abito da sposa, se vogliamo rispettare le tradizioni tu non puoi vederlo».
«E perché mai ti sei messa l’abito da sposa adesso? Ti sei forse dimenticata che dobbiamo andare alla cena del Ringraziamento dai tuoi genitori?». In realtà non me ne ero scordata, ma mentre mi preparavo avevo visto la custodia del vestito e non avevo resistito alla tentazione.
«Lo so, lo so. Solo che volevo provarlo soltanto per un secondo». Richiusi l’abito e lo infilai di nuovo nel suo nascondiglio sul fondo dell’armadio.
«Ecco adesso puoi entrare». Facendo un movimento del polso riaprii la porta. Killian entrò massaggiandosi il naso, mentre io mi infilavo il vestito che avevo preparato per quella sera.
«Lo sai, Swan, non ti facevo una di quelle donne che si provano l’abito da sposa davanti allo specchio i giorni prima del matrimonio, impazienti dell’arrivo del grande giorno. Una di quelle insomma che fin da bambina sogna il giorno del proprio matrimonio». Sorrideva sotto i baffi, sapendo quanto fossi suscettibile sull’argomento.
«Mi stai dando della ragazzina sciocca?».
Il suo sorriso si fece più ampio. «No sto solo dicendo che anche se lo celi molto bene, sei anche tu una sentimentale dolce donna che sogna il proprio matrimonio».
Lo fulminai con lo sguardo. «Se lo dici a qualcuno la pagherai molto cara. E lo sai che io mantengo sempre la parola data».
«Va bene, ma se non ti sbrighi faremo tardi e dovremo spiegare a David e a Mary Margaret il perché del nostro ritardo e…».
«Non oseresti», lo minacciai, superandolo e andando verso il bagno per truccarmi.
Lui mi seguì. «Lo sai Swan non ho paura della tua vendetta. Tu mi ami e mi vuoi sposare, lo hai appena dimostrato. Adesso sono io ad avere in mano informazioni compromettenti». Stava giocando con me, ma in fondo mi piaceva che lo facesse.
Gli sorrisi, sbattendo le ciglia. «Che cosa vuoi Killian?».
«È semplice, lasciami guidare il maggiolino fino a casa dei tuoi».
«Cosa?». Mi ficcai il mascara nell’occhio per la sorpresa. «Accidenti mi hai fatto sporcare. Spero che tu stia scherzando». Mi chinai a prendere lo struccante per rimediare al danno.
«Non sto scherzando. Voglio che tu mi insegni a guidare». Quando gli avevo chiesto cosa volesse per tenere la bocca chiusa avevo pensato che se ne uscisse con qualche richiesta più piccante, non certo quello.
«E vorresti imparare proprio oggi? Siamo già in ritardo Killian». E lui sembrava mettercela tutta per aumentare quel dato di fatto.
«In realtà no, sono passato in anticipo». Guardai l’orologio e sbuffai. Potevo prendermela con calma invece di fare tutto in fretta.
«Non importa Killian; è il giorno del Ringraziamento, e vorrei non dover ringraziare anche per essere arrivata sana e salva a casa dei miei».
«Non capisco bene lo scopo di questa festa, ma comunque da quello che mi hai spiegato non vedo come potrebbe esserci giorno migliore».
«Ah davvero? E per quale ragione?», gli domandai scoccandogli un’occhiata scettica. Presi la spazzola e iniziai a pettinarmi.
«Molto semplice Swan». Venne dietro di me e mi prese la spazzola di mano, iniziando a pettinarmi al mio posto. «Hai detto tu stessa che oggi saranno tutti impegnati a preparare dei grandi banchetti, quindi per le strade non ci sarà nessuno così sarà più facile per me».
Mi voltai verso di lui, permettendogli di sistemarmi le ciocche davanti con l’uncino. «Killian tu non puoi guidare mettitelo in testa».
«E perché mai?», protestò imbronciato.
«Beh mi pare ovvio. Hai una mano sola, e sai quanto questo sia poco importante per me, ma nessuno stato in questo mondo ti rilascerebbe la patente».
«Si ma ho anche un uncino. E tu potrai di certo confermare che anche con una sola mano, so cavarmela egregiamente in certe cosine». Mi scoccò un’occhiata maliziosa e piena di doppi sensi.
«È vero», sorrisi arrossendo inevitabilmente. «Ma io sono lo sceriffo Killian e devo dare il buon esempio».
«Emma ti prego, che cosa ti costa». Mi lanciò il suo sguardo da cucciolo, sapendo benissimo quanto quello potesse destabilizzarmi.
«Killian…», sospirai. «Non si può». Non ribatté ma usò comunque la sua arma migliore: mise il broncio e si allontanò da me con lo sguardo triste e amareggiato. Odiavo quando faceva così perché riusciva a farmi sentire in colpa anche se sapevo benissimo di aver ragione.
Chiusi gli occhi per poter pensare. Valutai i pro e i contro: beh sicuramente potevo farlo provare e accontentarlo, nonostante avesse una mano sola aveva dimostrato che quello per lui non era un handicap e quindi era come un semplice principiante che si accinge a guidare per la prima volta; in più aveva ragione per le strade non ci sarebbe stato nessuno. Dall’altra parte io ero lo sceriffo e dovevo far rispettare la legge, compreso quella di guidare con la patente o con qualcosa che identificasse l’idoneità alla guida. Inoltre il maggiolino aveva il cambio manuale e anche io mi ero trovata arresa la prima volta a guidarlo.
«Sarebbe meglio che tu imparassi con una macchina diversa», tentai. «Il maggiolino ha il cambio manuale e per te forse sarebbe più facile partire con una col cambio automatico».
«Se con più facile e per me ti riferisci al mio uncino mi pare di aver già chiarito ampiamente come questo non sia un problema. Tu lo sai, non puoi impedirmi di fare una cosa solo perché non ho…».
«Accidenti», sbottai interrompendolo. Mi ero messa intrappola da sola: l’aveva fatta diventare una faccenda personale tra me, lui e il suo moncone. Andai in camera presi il cappotto e la borsa, e quando tornai da lui gli lanciai le chiavi.
«È un sì?». Il suo volto si illuminò.
«Svelto prima che io cambi idea».
 Una volta in strada cambiare idea fu molto facile. Dalla finestra non mi ero accorta di quanta nebbia ci fosse: non si vedeva a due metri di distanza e sicuramente non era la situazione ideale per imparare a guidare.
«Beh direi proprio che dovremo rimandare», sospirai di sollievo. «C’è troppa nebbia oggi».
«Guarda Swan che io ci vedo benissimo», ribatté. «E poi ormai le chiavi ce l’ho io. Quindi non tentare di rimangiarti la parola». Dicendo ciò, salì in macchina dalla parte del guidatore e a me non restò altro da fare se non salire accanto a lui.
«Aspetta», lo fermai prima che infilasse le chiavi. «Prima ti devo dare delle lezioni base. Con il piede sinistro premi il pedale più a sinistra: quella è la frizione e devi usarla per inserire cambiare marcia. Con il piede destro premi o il freno, il pedale centrale, o l’acceleratore cioè quello a destra. Dammi la mano». Presi la sua mano e la portai sul cambio facendogli vedere come inserire tutte le marce.
«Parti dalla prima a salire. È tutto chiaro?».
«Penso di sì».
«Allora allacciati la cintura e infila le chiavi». Anche io allacciai la mia e mi voltai di nuovo per osservare ogni sua mossa. Quando la macchina fu accesa, misi per lui i fendinebbia e proseguii con le mie istruzioni.
«Allora per mettere la prima, devi premere la frizione e poi lasciarla andare lentamente. Via via che la lascerai vedrai che l’auto inizierà a muoversi. Prima però togli il freno a mano». Seguii le mie istruzioni, ma lasciò la frizione troppo velocemente e la macchina si spense con un singhiozzo.
«Maledizione», inveì. Gli sorrisi e aspettai che riprovasse. In effetti, non avevo mai avuto veramente paura a lasciarlo guidare: se sapeva gestire una nave era anche capace di guidare un auto. Si trattava più che altro di rispettare le regole. Però era divertente vederlo alle prese con qualcosa di cui non sapeva nulla.
«Riprova», sussurrai passandogli una mano tra i capelli. «Questa volta cerca di essere più delicato».
«Ci proverò, ma ti conviene smetterla di accarezzarmi se non vuoi distrarmi». Obbedii e tornai a fissarlo, riportando le dita sul freno a mano per precauzione.
Il suo volto era concentrato, gli occhi fissi sulla strada, una ruga di tensione a solcargli la fronte. Girò di nuovo le chiavi e inserì la prima; questa volta la macchina si mosse e un ampio sorriso si disegno sul suo volto.
Premette l’acceleratore e la macchina sobbalzò in avanti. «Oh!».
«Te l’ho detto devi essere più delicato, non fare movimenti bruschi», lo corressi. «Ti ricordi come si mette la seconda?». Annuì e si apprestò ad eseguire la manovra.
Ogni dubbio e perplessità svanì nel giro di poco; infatti, per essere un principiante se la cavava piuttosto bene. Nonostante la nebbia riusciva a tenere bene la strada, molto di più di quanto avessi fatto io la prima volta. Proseguimmo così lentamente, mentre io continuavo a spiegargli dettagli sulla tecnica, sulle varie spie e accessori e sui cartelli. Teneva il volante con l’uncino esattamente come l’avevo visto tenere il timone e via via che proseguivo vedevo il suo sorriso allargarsi sul suo volto. Avrei dovuto parlare con Regina per chiederle se non ci fosse un qualche modo per fare ottenere a Hook la patente. Vederlo felice era un incentivo sufficiente per invogliarmi a fare qualsiasi cosa per renderlo così sempre.
All’improvviso Killian, mise la freccia come gli avevo appena insegnato e accostò l’auto sul ciglio della strada spengendo il motore.
«Ma come ti sei già stancato di guidare?», lo presi in giro.
«No per niente». Si slacciò la cintura e si voltò verso di me. «Ho solo una tremenda voglia di baciarti». Un secondo dopo sentii le sue labbra premere sulle mie con dolcezza ma anche con passione. Prontamente sganciai anche la mia cintura in modo da poter voltarmi leggermente e ricambiare il bacio in maniera adeguata.
«Sai Swan», sospirò appoggiando la fronte sulla mia, «non sei l’unica ad essere impaziente. Non posso credere che ci sposiamo».
«Cos’è Capitano? Anche tu provi il tuo smoking di nascosto?».
«Beh non sono a questi livelli, ma credimi conto i giorni. Non vedo l’ora di poterti chiamare signora Jones». Sorrisi e intrecciai i miei occhi nei suoi.
«E chi ti ha detto che vorrò prendere il tuo cognome?», lo presi in giro. «Swan mi è sempre piaciuto e credevo che fosse di tuo gusto».
«Non mi importa del cognome, voglio solo che tu sia mia moglie». Lo baciai di nuovo, passando le dita tra i suoi capelli corti. Eravamo sul ciglio di una strada isolata, in mezzo ad un banco di nebbia: potevo lasciarmi andare e amoreggiare un po’ con lui. Era proprio quello di cui avevo bisogno prima della grande cena che sicuramente aveva organizzato mia madre.
«Grazie», sospirò alla fine di una serie di baci.
«Beh non devi ringraziarmi per un po’ di coccole. Lo so che in fondo sei un pirata tenero».
Il suo sorriso si allargo e i suoi occhi lampeggiarono nei miei. «Scherza pure, ma io ti stavo ringraziando per essere stata così paziente e avermi lasciato dirigere la tua nave».
«Il maggiolino sarebbe la mia nave? Devo dire che ne ha vissute parecchie anche lui. Comunque non sei per niente male. Sei bravo anche nella guida».
«Anche?», mi punzecchiò. «E in che cosa altro sarei bravo?».
«Non penso di doverti fare l’elenco completo. In fondo stai per diventare mio marito ed è quindi ovvio che io ti reputi bravo in molte cose». Questa volta ero stata io a creare doppi sensi, ma lui non raccolse le mie allusioni.
«Mi piace quando mi chiami tuo marito».
«Tra poco saremo una vera famiglia», sospirai trasognata.
«È così tanto che non ne ho una», mormorò. Potei notare le sue iridi scurirsi leggermente mentre dava voce a quel pensiero.
«Beh hai abbandonato la tua ciurma per me. Per inseguirmi hai rinunciato a molto».
«La ciurma non è come una vera e propria famiglia Swan. Devi mantenere un certa posizione e un certo controllo se vuoi che gli uomini ti rispettino. Quando ho scelto te non stavo rinunciando alla mia famiglia. È una cosa che non farei mai».
«Vuoi dirmi che in tutti gli anni in mare che hai passato con Spugna e con gli altri, non li hai mai considerati la tua famiglia?». Ero sbalordita, come si faceva a passare tanto tempo con delle persone e a non considerarle tali?
«Non fraintendermi Emma. Sono affezionato a tutti i miei uomini, e tengo a loro; e sì diciamo che sono stati una sorta di famiglia. Credimi avrei rischiato la mia vita per la mia ciurma se fosse stato necessario. Ma non è la stessa cosa di una famiglia basata su legami di sangue o sul vero amore. Un pirata va dove soffia il vento».
«Perché? Io ho cominciato a considerare Mary Margaret una di famiglia prima di scoprire che fosse mia madre».
«Non so dirti perché ma per me è diverso. In tutta la mia vita ho tradito la fiducia di molte persone, ma neanche nei momenti più bui avrei fatto una cosa del genere a mio fratello o a…».
«Milah», lo interruppi.
«Stavo per dire a te. Io non potrei mai, darei la mia vita per te».
«Ed io per te», sospirai baciandolo. Non capivo il suo punto di vista, o almeno non del tutto; forse era dovuto al fatto che avevo impiegato ventotto anni per riuscire ad avere una famiglia, o anche solo una persona da poter considerare come tale. Non lo capivo ma lo accettavo.
«Avrai di nuovo una tua famiglia Killian», affermai guardandolo negli occhi. «E poi proveremo ad avere un bambino». Il suo sorriso che mi rivolse fu oscurato da un’ombra nel suo sguardo.
«Che c’è?», gli domandai accarezzandogli una guancia.
«Emma tu credi che sarò un buon padre?». I suoi occhi mi scrutarono a fondo pieni di timore.
«Tu sarai un ottimo padre Killian. Ne sono certa». Non parve convinto dalle mie parole e perciò continuai. «Con Henry sei fantastico e sono sicura che nostro figlio sarà il bambino più fortunato del mondo perché avrà due genitori che lo amano. Un bambino non può chiedere di più».
«Non essere un bimbo sperduto», sussurrò.
«Non lo sarà. Noi non lo permetteremo. Killian io so bene cosa significa essere amati da te e nostro figlio non potrebbe avere un padre migliore. Essere amati da te è così travolgente: mi fai sentire come se fossi la persona più preziosa e speciale che ti sia mai capitata».
«Lo sei», mi interruppe.
«Lo so ed è per questo che so anche che nostro figlio o figlia avrà il padre migliore che possa desiderare».
Sospirò sollevato, come a liberarsi da quel profondo dubbio che evidentemente lo attanagliava già da un po’. Il mio tenero pirata insicuro! Era una parte che non tirava molto spesso fuori visto il suo ego abbastanza smisurato.
Lo baciai di nuovo per spazzare via ogni minimo dubbio che poteva essere rimasto. Presto i baci divennero più profondi e più intensi, fino a quando le sue labbra si spostarono sul mio collo in contemporanea con la sua mano che si faceva strada sotto il mio cappotto.
Lasciò una scia di baci roventi su e giù lungo la mia giugulare, per poi mordicchiarmi il lobo. L’uncino e la mano intanto salivano sempre più su sollevandomi cappotto e vestito. Era palese cosa stesse pensando, e l’avevo capito fin dal primo istante in cui aveva lasciato le mie labbra per andare a segnare la strada sulla mia pelle. Quello era il suo modo per dirmi che mi voleva ed era anche il mio punto debole.
«Killian», sospirai. Mugolò in risposta senza interrompere il suo lavoro.
«Non mi sembra il caso», tentai poco convinta io stessa. Strofinò il naso sulla mia guancia, facendomi fremere con il suo respiro caldo.
«Faremo tardi», protestai di nuovo. Appoggiò la fronte contro la mia facendomi naufragare nel mare dei suoi occhi. Gli passai le dita tra i capelli non riuscendo a resistere a quella enorme tentazione.
«Troveremo una scusa», mormorò in un tono appena udibile. Il suo uncino uscì da sotto i miei vestiti per andare a scostare una ciocca ribelle.
«Il maggiolino non è molto comodo per queste cose», era il mio ultimo tentativo, che sapevo già in partenza sarebbe fallito miseramente. Pur tutta risposta iniziò a baciarmi, sganciando il primo bottone del mio cappotto.
«Aspetta», lo interruppi ancora una volta.
«Maledizione Swan sai essere davvero testarda quando ti ci metti». Fece per scostarsi esibendo la sua migliore espressione imbronciata.
Lo fermai poggiando la mano sulla sua guancia e rivolgendogli un ampio sorriso. «Stavo per dire aspetta, fammi abbassare il seggiolino». Così dicendo con l’altra mano tirai giù la leva in modo tale che lo schienale assumesse una posizione orizzontale.
«Oh». Il suo sorriso riapparve più luminoso di prima. «La tua nave ha davvero mille sorprese. E poi dici che non è comoda». Non risposi e lasciai che mi prendesse ancora una volta.
 
Quando arrivammo dai miei, erano già tutti lì ed era evidente che stessero aspettando soltanto noi. Henry venne ad abbracciarmi esultando visto che stava morendo di fame. Regina era con Robin, Belle con Gold, il piccolo Neal stava giocando con Roland. Sembrava davvero una tipica riunione di famiglia per il giorno del Ringraziamento, se non fosse stato per il fatto che eravamo tutti personaggi delle fiabe. I miei genitori avevano la mia età, mio fratello poteva essere benissimo mio figlio, il mio fidanzato aveva un uncino al posto della mano, l’altra madre di mio figlio era anche la matrigna di mia madre ed era stata il motivo di tutto quel casino. Sarei potuta andare avanti così per ore.
«Perché siete arrivati in ritardo?», mi chiese Mary Margaret interrompendo il mio elenco mentale e prendendo i nostri cappotti.
«Abbiamo bucato», mentii prima che Killian potesse aggiungere qualcosa. Era stata la prima cosa che mi era venuta in mente anche se sapevo benissimo che non suonava per niente plausibile. La mia speranza era che non indagasse oltre.
«Oh». Sembrò perplessa ma lasciò perdere. «Bene adesso che ci siamo tutti possiamo cominciare». Se ne andò tirandosi dietro mio padre. Feci un sospiro di sollievo.
«Ma davvero?». La voce di Regina era scettica. Forse avevo cantato vittoria troppo presto. Mi voltai verso di lei sfoderando la mia migliore espressione innocente. Per fortuna nella stanza eravamo rimaste solo noi, Killian e Robin.
«Non capisco cosa tu voglia dire».
«Beh Emma forse potrai illudere tuo padre, e potrai avere la benevolenza di tua madre di non indagare oltre, ma non puoi certo ingannare me. Anche se siete ufficialmente fidanzati, non è stato cortese farci aspettare per dei motivi così futili».
Non sapevo come rispondere, anche perché sapevo benissimo che aveva ragione. Arrossii e cercai di balbettare qualcosa.
«Scusaci Regina», intervenne Killian cercando di togliermi da quel pressante imbarazzo.
«Da cosa l’hai capito?», riuscii a dire infine.
«Pensavo che una cacciatrice di taglie come te non avesse bisogno di queste domande. Forse l’amore ti ha annebbiato un po’ troppo la testa per non accorgerti dei dettagli anche più banali».
Stavo per ribattere quando Robin intervenne. «I vostri vestiti».
Mi guardai ed in effetti avevo i vestiti più sgualciti di quanto avessi notato. Erano decisamente in disordine.
«E i tuoi capelli», sospirò Regina rivolgendomi un sorriso, facendomi capire che il peggio era passato. «Sembra che tu abbia cercato di sistemarli con le dita e sicuramente è così».
«Oh merda», sbottai andando a guardarmi ad uno specchio.
«E per non parlare del fatto che hai le guance arrossate ed entrambi avete quel sorriso ebete di chi è stato appena appagato».
Killian intanto se la rideva sotto i baffi, insieme a Robin. Il fatto che fossero diventati amici non significava che dovessero prendersi gioco di me.
«Hook è tutta colpa tua», sbuffai puntandogli un dito contro.
«Allora che cosa aspettate?», ci interruppe mia madre venendo a richiamarci. «Perché non venite a tavola?». Killian approfittò subito per dileguarsi e uscire da quella situazione.
«Arriviamo», sospirai seguendo Regina e Robin verso l’enorme tavola apparecchiata.
«Emma per l’amor del cielo, forse è meglio se tieni i capelli sulle spalle».
«E perché mai?», sbottai spazientita.
«Non vorrei che tuo padre notasse il succhiotto che hai sul collo». Portai istintivamente la mano alla gola percependo benissimo il punto arrossato sulla mia pelle.
«Hook», gridai arrabbiata.
«Beh Emma calmati», mi sorrise mia madre. «Non sarebbe una cena del Ringraziamento in famiglia se non ci fossero moment imbarazzanti da poter raccontare in futuro». Detto ciò mi trascinò nel bel mezzo di quella che era la nostra strana famiglia.


 
Buon Novembe a tutti!
Sono di nuovo qua con un altro mese, che tra l'altro è il mio mese. Questo è un capitolo molto dolce e coccoloso, visto che ora come ora con la Dark Swan le cose sono un po' difficili (anche se poi ci regalano dei momenti stupendi Capitain Swan a Camelot). Comunque sia Emma che Killian non vedono l'ora che arrivi il giorno delle nozze, tanto che lei si prova il vestito da sposa ed ha anche lasciato l'organizzazione del matrimonio a Mary Margaret. Per il vestito io me l'ero immaginato più o meno così http://fotogallery.donnaclick.it/images/2014/02/Abirto-con-scollo-a-cuore-e-maniche.jpg 
Spero che il capitolo vi piaccia come sempre. Ringrazio chi legge, segue, recensisce la mia storia!
Un abbraccio e a dicembre!
Sara
P.S. Buon OUAT day!

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Capitolo 12
*** Dicembre: Sì, lo voglio ***


Dicembre: Sì, lo voglio


Continuavo a camminare avanti ed indietro per la mia stretta stanza. Il fatto di indossare un abito lungo e la presenza del letto matrimoniale non facilitavano decisamente quel mio andirivieni. Tuttavia, dovevo tenermi occupata; ero troppo agitata per non fare nulla. Il mio cuore sembrava impazzito, batteva ad una velocità incredibile. Probabilmente, se avesse continuato così, mi sarebbe preso un infarto prima di arrivare all’altare. Avevo lo stomaco chiuso, le farfalle che di solito si possono sentire, erano diventate degli pterodattili. Non avevo dormito, mi ero rigirata tutta la notte al solo pensiero che quel giorno sarei diventata sua.
Non mi piaceva l’idea di appartenere ad una persona, ma in quel caso non ero un passaggio univoco: Killian sarebbe diventato per sempre il mio Killian. Non che in quel momento già non lo fosse, ma lo sarebbe stato ufficialmente senza più nessun fraintendimento.
«Mamma dovresti fermarti». La voce di Henry mi colse del tutto di sorpresa. Era fermo sulla soglia della stanza ed io non mi ero neanche accorta della sua presenza. Mi stava fissando con uno sguardo comprensivo e dolce, ma neanche quello riusciva a ridurre la mia agitazione.
«Devo muovermi», protestai come una sorta di scusa.
«Finirai per sciupare il vestito», mi fece notare. «E la nonna si arrabbierà se tutto non sarà perfetto». In teoria ero io quella che si sarebbe dovuta preoccupare del vestito e non di certo mia madre; ma l’agitazione aveva sicuramente preso il sopravvento su tutto.
«Io… io…». Non sapevo cosa aggiungere per far capire a mio figlio che non potevo fermarmi, neanche se avessi voluto.
«Mamma, vieni qua». Si avvicinò a me, prendendomi per mano e nonostante le mie proteste mi fece sedere sul letto.
«Andrà tutto bene», mi tranquillizzò. «È normale essere agitati». Continuò a tenermi la mano e per sfogare la mia ansia iniziai a battere i piedi. I tacchi delle mie scarpe iniziarono a ticchettare sul pavimento.
«Mamma», continuò, «Hook ti ama e tu lo ami, insieme ne avete superate tante, non puoi lasciarti spaventare da un matrimonio».
«Non è il matrimonio in sé», ribattei, «è il suo significato che mi rende un po’ nervosa. Credimi lo so che noi ci amiamo e che questo è solo la classica conclusione di una storia d’amore, ma non riesco a calmarmi».
«Io non direi che questa è la classica conclusione di una storia d’amore, è piuttosto un inizio. E sono sicuro che sei nervosa ed agitata solo perché questa volta non hai nessuna intenzione di scappare. Tu lo vuoi talmente tanto che sei terrorizzata». Lo fissai stupita da quanto fossero vere le sue parole; non mi ero aspettata che lui riuscisse a capirmi in quel modo.
«Oh il mio ragazzino saggio», esclamai abbracciandolo. «Spero che tu non voglia iniziare già da ora a farmi commuovere».
«Tranquilla mamma, in realtà ero solo venuto a vedere come stavi. Ti sentivo scalpitare persino dal piano di sotto». Si staccò da me e mi rivolse un ampio sorriso. «Sei bellissima te l’avevo già detto?».
«No», risposi. «Grazie e non solo per il complimento».
«Beh è solo il mio dovere in quanto testimone dello sposo, giusto?».
«Non credo che spetti a te calmare una sposa isterica, comunque grazie lo stesso».
«Allora se sei più tranquilla io torno di sotto, ci sono ancora delle questioni dell’ultimo minuto da sistemare».
«Vuoi una mano?». Avrei fatto di tutto pur di non restare sola di nuovo con i miei pensieri e le mie ansie.
«No, tu cerca di mantenere un certo contegno almeno fin quando non sarai all’altare, d’accordo?». Annuii poco convinta e lo lasciai alzare. «Tra poco il nonno verrà a prenderti. Non manca molto».
«Lo sai che questo non mi rassicura, vero?».
«Fai dei respiri profondi, aiuta a calmarsi». Così dicendo mi lasciò sola e mi ritrovai di colpo in un silenzio così profondo da poter di nuovo udire i miei pensieri.
Provai a fare come mi aveva detto, cercando di regolare il mio respiro, ma quella poca calma che mi aveva trasmesso con la sua presenza mi abbandonò velocemente. Sentii di nuovo il mio stomaco sottosopra e l’agitazione salire alle stelle.
«Calmati Emma», mi dissi. «Stai solo per sposare l’uomo che ami e senza di cui non puoi vivere. È con Killian che vuoi passare tutto il resto della tua vita ed è quello che sta accadendo». Le mie parole non mi furono affatto d’aiuto e non fecero che peggiorare la situazione.
Con la mano sfiorai inconsciamente la catenina che portavo al collo. Mi ero completamente dimenticata di averla indossata anche quel giorno. Alla sua estremità, sul mio petto, ricadeva l’anello di Liam. Killian me l’aveva data a Camelot ed aveva un valore importantissimo per me. Era il portafortuna che mi aveva donato per mantenermi sulla retta via e non permettere all’oscurità di sconfiggermi, ed anche il promemoria del fatto che lui era lì ad aspettarmi, pieno di fiducia nei miei confronti. Rappresentava qualcosa che ci avrebbe sempre riportato l’una dall’altro.
Mi rigirai l’anello tra le mani pensando a quel giorno, a quei giorni. Nonostante stessimo vivendo momenti difficili, c’erano stati attimi pieni di amore e di significato. Killian era riuscito a fare quello che non credevo possibile neanche io: avere fiducia in me, a prescindere dall’oscurità, e a dimostrarmi che un futuro per noi era ancora possibile. Quel futuro che si stava realizzando proprio in quel momento. Quel giorno ci saremmo sposati, ma quello era solo il primo passo per costruire la nostra famiglia. Avere dei figli sarebbe stato il secondo.
Mi ritrovai a sorridere, stringendo l’anello tra le mani: io mi stavo per sposare, volevo dei figli con il mio vero amore. Quelle erano cose normali, naturali; in tutta la mia vita non avevo mai creduto che tutto quello fosse possibile. Da piccola non avevo mai sognato l’abito bianco come tutte le bambine. Non avevo mai pensato di poter rasentare così tanto la normalità; era davvero incredibile visto e considerato che stavo per sposare Capitan Uncino e che tutti gli abitanti di Storybrooke erano personaggi delle favole.
All’improvviso mi resi conto di non star più tremando. Il solo stringere il suo anello, uno dei simboli del nostro amore, mi aveva fatto capire quanto non avessi nulla da temere. Io ero pronta, lo ero davvero e non dovevo spaventarmi per questo.
«Tesoro tutto bene?». Mio padre entrò nella stanza, vestito con il suo smoking, elegante come non l’avevo mai visto.
«Sì penso di sì», risposi alzandomi.
«Dio Emma! Sei bellissima, lo lascerai senza fiato». Sorrisi arrossendo pregustando il momento in cui finalmente mi sarei specchiata nel mio oceano personale.
«Tua madre ha fatto davvero un lavoro eccezionale», continuò. Dovetti ammettere che aveva ragione. Era stata Mary Margaret a truccarmi, ad acconciarmi i capelli in una specie di chignon, a rifinire ogni particolare; io mi ero limitata ad indossare il vestito da sposa.
«È ora di andare?», domandai, lisciandomi la gonna con la mano, mentre con l’altra continuavo a stringere l’anello.
«Sì, siamo rimasti solo noi. Gli altri sono già tutti al municipio». Annuii e lo segui fuori dalla stanza e lungo le scale. Una volta di sotto mio padre si fermò per aiutarmi a mettere il cappotto; in fondo, era dicembre e l’aria era pungente.
«Aspetta un’ultima cosa. Tua madre mi uccide se mi dimentico di dartela».
«Cosa?», domandai perplessa. Andò verso la cucina e dopo aver frugato in un cassetto tornò con in mano una piccola scatolina. Me la porse e aspettò che io l’aprissi; all’interno c’era un piccolo fermaglio con incastonate alcune pietre di un colore blu brillante.
«Wow è bellissima», mormorai stupita.
«È tradizione che la sposa indossi qualcosa di blu e qualcosa di vecchio. Si dà proprio il caso che questo fermaglio appartenesse alla regina Eva, tua nonna».
Guardai la spilla commossa per poi abbracciare di slancio mio padre. «Grazie, grazie tante».
«Ringrazia tua madre, è stata lei a scovarla nel negozio di Gold». Avrei dovuto ringraziarla anche per molto altro. Era riuscita ad organizzare un matrimonio in pochissimo tempo ed ero sicura che sarebbe stato tutto perfetto. Anche se io e Killian non volevamo fare le cose in grande, potevamo anche sposarci a Las Vegas per quanto mi riguardava, sapevo che avremmo ricordato quel giorno per il resto della nostra vita. Le ero grata per aver reso quel giorno speciale.
«Aiutami a metterla», dissi cercando di fissare il fermaglio al mio chignon.
«Da qua, ci penso io». David me lo tolse dalle mani per poter fissarlo ai miei capelli, senza rovinare l’acconciatura.
«Ecco fatto», disse infine. «Adesso sei perfetta».
Sorrisi ancora di più, ormai pronta per andare incontro al mio destino. «Andiamo adesso?».
«Aspetta ancora un secondo», mi fermò mio padre prendendomi per mano.
«Che c’è ancora?», protestai.
«Siamo sotto il vischio, ricorda che tra un po’ è Natale e le tradizioni vanno rispettate. Non credi che dovresti dare un bacio al tuo vecchio?».
Ridacchiai e mi sporsi per dargli un bacio sulla guancia. «Ti voglio bene papà».
«Anch’io te ne voglio. Non posso credere che sto per accompagnare la mia bambina all’altare».
«Non sono più una bambina», ribattei.
«No, è vero; non sei mai stata propriamente la mia bambina, ma sappi che comunque sono orgoglioso di te e che non potevo lasciarti andare per nient’altro che non fosse vero amore, con la “v” maiuscola». Sentii le lacrime pungermi gli occhi per uscire; se cominciavo a commuovermi in quel momento cosa avrei fatto vedendo Killian?
«Vuoi farmi sciupare tutto il trucco? Perché ci stai riuscendo», protestai cercando di non piangere.
«Hai ragione», sorrise, «tua madre mi uccide se sciupo il suo capolavoro».
 
Non ci volle molto per arrivare al municipio. Mia madre ci aspettava fuori ed era già in fermento non vedendoci arrivare. Una volta entrati iniziò a risistemarmi il vestito ed i capelli, in preda di un’agitazione frenetica.
«Mamma», la fermai prendendole una mano tra le mie. «Grazie di tutto».
«Non c’è di che», rispose rivolgendomi un ampio sorriso ricco di commozione. «Ma guardati? Sei una bellissima donna che ha scelto e lottato per il suo amore e che alla fine è uscita vittoriosa».
«Beh la stessa cosa si potrebbe dire di te», affermai.
«Tale madre, tale figlia», intervenne mio padre che era appena rientrato nella stanza dopo essere andato a controllare la situazione nella sala. «Che ne dite di cominciare? C’è qualcuno di là che è molto nervoso e impaziente. Non vorrei che iniziasse a pensare che la sposa se la sia data a gambe levate». Il pensiero di Killian in smoking, fermo in piedi di fronte a tutti, agitato per quell’attesa mi travolse come un fiume in piena. Vedere Hook nervoso era una rarità, era sempre così sicuro di sé; invece in quel momento doveva star provando la stessa ansia che avevo provato poco prima e che si stava ripresentando anche in quel momento. Tuttavia, adesso era diversa: non ero più preoccupata di cosa stava per accadere, ma ero agitata perché ero consapevole di non vedere l’ora che accadesse.
«Andiamo», risposi sicura. Mia madre mi sorrise per poi precedermi nell’altra sala. All’improvviso il brusio di sottofondo che proveniva da là cessò per lasciare il posto ad un assoluto silenzio. Pochi istanti dopo iniziò la marcia nuziale e, al braccio di mio padre, varcai la porta che mi separava dal mio vero amore.
Lasciai che il mio sguardo vagasse sul salone, prima di soffermarsi su colui che mi interessava veramente. Sapevo che se l’avessi guardato per primo non avrei più saputo distogliere lo sguardo. Mia madre aveva fatto davvero un lavoro eccezionale: la sala era illuminata da moltissime candele, che davano sia uno spirito natalizio, ma anche un tocco di classe all’ambiente. Quelle tremule fiammelle rendevano davvero tutto speciale.
Tutta Storybrooke si era riunita in quel salone per assistere al mio matrimonio. Tutti, nei loro vestiti più eleganti, mi guardavano avanzare e nei loro occhi riuscivo a percepire l’emozione generale.
Spostai lo sguardo su mio figlio, accanto a colui che ancora non osavo guardare. Era in piedi, vestito con estrema eleganza che mi fissava sorridendomi e dandomi il più caloroso incoraggiamento.
Guardai poi davanti a me per osservare Regina, nel suo abito firmato più bello, che mi aspettava al nostro improvvisato altare. Avevo chiesto a lei di officiare la cerimonia perché non c’era assolutamente persona più adatta. Nonostante bramassi anche che lei fosse la mia damigella d’onore, il desiderio che lei unisse me e Killian per sempre aveva avuto il sopravvento. Oltre ad essere il sindaco di Storybrooke, aveva lottato duramente per il suo amore; chi altro poteva unire due persone, come me e Killian, che saremmo andati letteralmente all’inferno l’uno per l’altra? Osservando Regina Mills nel suo abito lungo, non potei che essere ancora più certa della mia decisione.
Infine il mio sguardo incrociò quello del mio destino. Il mio cuore perse un colpo, per poi iniziare a battere all’impazzata, le farfalle iniziarono a svolazzare impazzite nel mio stomaco e le mie ginocchia tremarono di emozione. Per fortuna ero al braccio di mio padre, altrimenti sarei caduta quasi sicuramente per terra.
Killian era bellissimo. Indossava lo smoking, ed era elegante come non l’avevo mai visto. Non fu certo però il suo abbigliamento a lasciarmi senza fiato. Mi stava fissando con un’espressione tale da farmi salire un brivido di emozione lungo la schiena. Aveva la bocca leggermente aperta per lo stupore di vedermi così bella, con quell’abito che non avrei mai immaginato di amare. Mi stava mangiando con gli occhi, glielo leggevo in faccia. Però nel suo sguardo c’era davvero molto di più.
Mi persi ammirando quello stupendo oceano, il mio mare personale. Le sue iridi più chiare che mai mi fecero capire che quello che stavo provando in quel momento, lo stava provando anche lui. C’era emozione, felicità, commozione, trepidazione.
Avevo avuto ragione: una volta incrociato lo sguardo di Killian Jones non avrei più saputo abbandonare quegli occhi. Gli sorrisi come una stupida mentre avanzavo per gli ultimi metri e il sorriso che si disegnò sul suo volto, in risposta al mio, mi fece sciogliere ancora di più.
Finalmente, dopo quello che a me era sembrato un percorso lungo chilometri, arrivai di fronte a lui. Mio padre mi lasciò andare affidandomi a Killian, in un gesto che simboleggiava il fatto che mi stava cedendo definitivamente ad un altro uomo.
«Swan, sei…», balbettò prendendo la mia mano con la sua.
«Lo so». Strinsi più forte le sue dita tra le mia; sulla faccia avevo dipinto un sorriso ebete ma in quel momento poco importava, perché finalmente il nostro futuro stava avendo inizio.
Regina cominciò a parlare, ma i miei occhi erano ormai fissi in quelli di Killian e non avrei distolto lo sguardo per niente al mondo. Non c’era nulla che avrebbe potuto far spostare la mia attenzione dall’oceano che avevo di fronte. In quel momento c’eravamo solo io e lui: tutte le persone lì riunite per assistere al nostro matrimonio erano scomparse. Quello che importava veramente eravamo noi.
Guardandolo negli occhi, lo rividi la prima volta che l’avevo incontrato: un pirata sprezzante che era pronto a schierarsi dalla parte del vincitore. Ricordai il suo fare arrogante, quell’ego decisamente smisurato, quello spirito sempre pronto a fare battutine e a provocarmi. Lui era stato il primo a vedermi per quello che ero realmente; per lui ero Emma, non ero mai stata la salvatrice, ero solo Emma.
Ricordai quel primo bacio, dato quasi per scherzo; e poi da lì era partito tutto. Avevo iniziato a capire che tipo di persona si celasse veramente dietro la facciata del pirata. Era un uomo disposto a salvare un amico, nonostante fosse suo rivale in amore; si era dimostrato un uomo d’onore, capace di aspettare per riuscire ad ottenere a pieno ciò che desiderava. Mi risuonarono in testa le sue parole, proprio come se le avesse pronunciate in quell’istante. “Credo anche nella correttezza, così quando ti conquisterò Emma, e so che ci riuscirò, non sarà grazie all’inganno, sarà perché tu vuoi me”. Ed era stato così: io avevo voluto lui e nessun altro.
Ricordai la sorpresa di vederlo a New York, la sua insistenza, il nostro viaggio nel tempo; il nostro primo ballo, dove lui mi aveva fatto sentire una principessa per la prima volta. Era stato al mio fianco in ogni istante, mi aveva aiutata ad aprire gli occhi ed era riuscito ad abbattere tutti quei muri che avevo issato per proteggere il mio cuore.
Rammentavo perfettamente l’agitazione che aveva provato al nostro primo appuntamento e anche la costante paura di poter perdere anche quell’opportunità. Nonostante Killian continuasse a ripetermi che era bravo a sopravvivere avevo il continuo timore che il destino mi togliesse anche lui e la felicità che aveva portato nella mia vita. E per poco non l’avevo quasi perso, prima per colpa di Gold e poi dell’oscurità.
Rievocai i momenti trascorsi a Camelot che erano stati unici, nonostante fossi diventata ciò che lui aveva sempre odiato. Lui aveva scacciato i demoni dentro la mia testa, dimostrandomi che l’amore poteva superare tutto. Il nostro amore poteva vincere, potevamo avere quel futuro felice insieme, quel futuro che adesso stava cominciando.
E poi c’era stata la disperazione, quando mi ero vista scivolare quel futuro via dalle mani. Non ero mai stata egoista, mi ero sempre sacrificata per gli altri, ma in quel momento non avevo avuto altra scelta. Avevo capito cosa potevo accettare e cosa no: potevo sopportare il rancore di Killian per averlo ributtato in quell’oscurità che aveva impiegato anni a scacciare, ma non potevo sopportare di vivere in un mondo senza Killian Jones. Ci eravamo detti parole dure, ma alla fine avevo lottato con tutte le mie forze per lui, per noi, dimostrando a tutti e anche a me stessa cosa volesse dire Vero Amore. E lui era il mio, lui e nessun altro.
«Emma?». La voce di Regina mi riportò alla realtà; non avevo ascoltato neanche una parola e non sapevo neanche a che punto della cerimonia fossimo arrivati.
«Eh?», balbettai arrossendo.
«Insomma vuoi prendere il pirata come tuo legittimo sposo, sì o no?». Notai che tutti stavano aspettando la mia risposta; probabilmente ero rimasta imbambolata un po’ troppo a lungo. Killian mi fissava con uno sguardo divertito e per nulla preoccupato. Doveva aver intuito che avevo la testa tra le nuvole ed il mio sguardo doveva comunque non lasciare dubbi sul mio responso.
«Sì, lo voglio», risposi con gli occhi lucidi.
«Era l’ora», commentò Regina. «E tu Killian Jones vuoi prendere la qui presente Emma Swan come tua legittima sposa?».
Killian mi guardò più intensamente e il suo sorriso si allargò. «Sì, lo voglio».
«Bene adesso scambiatevi gli anelli. Spero che alle fedi ci abbia pensato tu Swan visto il gusto del tuo quasi marito per gli anelli».
Ridacchiai e lasciai andare la mano di Killian, in modo tale che potesse prendere le vere che Henry gli stava porgendo. La mia mano tremò mentre infilava quel cerchietto d’oro al mio anulare, aiutandosi con l’uncino. Dopo fu il mio turno a prendere la fede e ad infilarla al suo dito.
«Peccato che non possa portarla alla mano giusta», sussurrò.
«Non ha importanza, basta che d’ora in poi resti sempre qui sul tuo dito». Esattamente come la mia sarebbe rimasta per sempre al mio anulare.
«Perfetto», concluse Regina. «Adesso non mi resta che dichiararvi marito e moglie. Credo che tu possa baciare la sposa».
«Finalmente», esultò. In un istante le sue labbra furono incollate alle mie, e mi ritrovai stretta tra le sue braccia, in quello che era un bacio appassionato. Ci furono fischi e applausi, ma passarono subito in secondo piano rispetto alla bocca invitante di mio marito. Mio marito, suonava addirittura meglio di quanto avessi immaginato.
«Ti amo signora Jones», sussurrò ad un centimetro dalla mia bocca.
«Ti amo anch’io». I miei occhi si specchiarono nei suoi rivelando tutta l’emozione che in quel momento stavamo provando entrambi.
Adesso era vero: quell’oceano, quello specchio, quello sguardo che riusciva ad arrivare fino in fondo alla mia anima, era mio per sempre. Ci appartenevamo ufficialmente, d’ora in poi avremo solo dovuto lavorare sull’eternità.

 
 
Angolo dell'autice:
Ciao a tutti! Ed ecco qui che questa fanfiction è finita. Ho concluso in estrema dolcezza visto la disperazione delle ultime puntate. Chissà se forse un giorno potremo vedere scene del genere...
Voglio ringraziare tutti coloro che hanno letto, inserito nelle varie categorie e recensito la mia storia. Voglio ringraziare i creatori di questa iniziativa. Mi è davvero piaciuto tanto partecipare e poter dare libero sfogo alla mia fantasia ogni mese. Spero che ci saranno altre iniziative del genere a cui parteciperò più che volentieri.
Un abbraccio
Sara

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