Life, what's it but a joke?

di ehitsfrannie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 20: *** Capitolo XX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 23: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Capitolo I
 

L'inverno teneva in pugno l'intera cittadina, avvolgendola in un gelo costante.
L'aria era secca e, una volta scesa la sera, aveva portato fiocchi di neve che avrebbero ricoperto la cittadina in un soffice strato sottile.
La luna aveva fatto solo una breve comparsa, nascosta da uno spesso strato di nuvole grigie.
Un silenzio irreale avvolgeva Storybrooke, e ad Alice parse di essere l'unica creatura ancora esistente.
Ispirò profondamente, lasciando che l'aria pungente e gelida le entrasse nei polmoni risanando lo spirito e il suo corpo stanco e provato dal viaggio. Era contenta che il freddo, suo inseparabile compagno di viaggio da ben diciotto anni, l'avesse seguita fino nel Maine per starle accanto durante i grigi e monotoni pomeriggi che avrebbe dovuto trascorrere in quella che sarebbe diventata la sua residenza per un po' di tempo.
Alice scrutò con occhio attento ogni piccolo particolare della costruzione color mattone che la sovrastava. Due finestre spuntavano in mezzo alle erbacce da tagliare e l'edera arrampicatasi fino al minuscolo balcone, nel quale erano stati posati vasi di fiori che avevano urgente bisogno di estreme cure.
Il cancello arrugginito cigolò tremendamente non appena Alice varcò la soglia di ciò che si poteva definire in ogni modo tranne che un giardino.
Come ci si può dimenticare di qualcosa di tanto delicato e sensibile come un fiore?
Indignata davanti a cotale noncuranza e trascuratezza della propria dimora, la ragazza seguì i ciottoli che l'avrebbero portata davanti all'entrata evitando con attenzione di toccarne i bordi per paura che i suoi piedi prendessero fuoco, idea più plausibile, qualche insetto indispettito sbucasse fuori dagli irti cespugli per azzannarle una caviglia.
I ciottoli erano finiti. Restava un gradino di marmo e una porta malandata che anche il meno incallito e robusto dei ladri avrebbe potuto sfondare senza alcun problema.
Anzi, sfondarla non sarebbe stato necessario: quando Alice la aprì ebbe paura che il legno vecchio potesse caderle addosso.
L'aria viziata iniziò a pruderle il naso non appena entrò nella casa. Starnutì ripetutamente senza grazia e si guardò intorno, ormai rassegnatasi al fatto che mai avrebbe potuto trovare la casa dei suoi sogni se continuava a vagabondare da quel genere di porte alle altre.
Ma dov'è casa?


Scappa Adele, scappa.
Lo scalpiccio degli zoccoli sulla terra umida, gli alberi che si facevano sempre più fitti, il vento che sferzava l'aria e pizzicava il viso di Adele erano un comunissimo sinonimo della libertà ormai prossima.
Più veloce Adele, più veloce.
Aveva tanta, tanta paura. L'aveva avuta anche quando aveva visto sua madre, la Regina di Cuori, affondare senza pietà le dita sulla carne di uno dei prigionieri e strapparne il cure ancora pulsante con un orribile ghigno malefico stampato in volto. Ma la voglia di cambiare, di dimenticare tutto quel dolore e allontanarsi per sempre da quella donna era molto più forte.
Adele non era come lei. Non era come le sue sorelle.
Lei voleva una vita normale, senza magia. Voleva correre lontano, e ci stava riuscendo. Ancora un paio di metri e sarebbe stata finalmente libera.
Il cavallo improvvisamente frenò, affondando gli zoccoli nel suolo e nitrendo contrariato prima di superare il confine che delimitava il Regno della Regina di Cuori dalla Valle dei Tulipani.
Adele non poté prevedere la frenata e balzò in avanti, cadendo sulla terra e battendo la testa contro il tronco di un albero.
Vide il suo destriero impennarsi e nitrire selvaggiamente prima di voltarle le spalle e correre lontano.
Prima di svenire, Adele sorrise, consapevole di aver superato il confine e di essere finalmente salva.”


«E' permesso?» mormorò incerta Alice addentrandosi nella piccola cucina. Lì si trovava un cucinino, un lavabo, qualche scaffale e un piccolo tavolo con un paio di sedie sbeccate; oggetti che ella trovò assolutamente irrilevanti se non per evidenziare ancora di più il carattere del proprietario.
In che mani sei finita, Alice?
«C'è qualcuno?» tentò nuovamente, sobbalzando quando sentì una voce burbera e sommessa imprecare e borbottare da una camera vicina.
Superò la porta del bagno e, aspettandosi il peggio, si ritrovò nell'ufficio del suo futuro tutore.
Orologi di ogni tipo coprivano la carta da parati sbiadita in tutti gli angoli della stanza: a cucù, a pendolo, analogici, da polso; l'insistente tic-tac prodotto da ogni singola lancetta rimbombava impertinente nella testa di Alice che, sconcertata e altrettanto perplessa dalla presenza di tutti quegli orologi, si rivolse con tono scocciato all'ometto piccolo e tarchiato che se ne stava accucciata intento a riparare uno splendido orologio da taschino. «Ehm, ho bussato.»
L'uomo la fissò a lungo la nuova ospite, prima di togliersi gli occhi e abbandonare gli attrezzi sul tavolo per alzarsi e tenderle la mano. «Non avevo sentito. Mi chiamo Needle, Ernest Needle. Tu devi essere...»
«Alice.» lo precedette lei, esitando un momento prima di stringerle la mano callosa. «Alice Kingston.»
«La figlia adottiva di Geoffry e Miranda Kingston. Mi dispiace per ciò che è accaduto...»
La ragazza abbassò il capo, rammentando il dolore angosciato provato dopo la scomparsa dei genitori che ancora faceva pressione nel suo cuore come un pugno d'acciaio.
Dopo un minuto di silenzio, Ernest le chiese con fare impacciato se per caso avesse appetito.
«Ho già mangiato in aeroporto, la ringrazio molto.» affermò con un cenno della mano. «Mi piacerebbe, ecco...vedere la mia camera.»
Ernest le fece strada, uscendo dall'ufficio e salendo i gradini che ad ogni passo cigolavano sotto il loro peso. La scalinata traballante terminava con uno stretto corridoio.
«La tua camera è la prima a destra.» le indicò Ernest, per poi grattarsi il capo imbarazzato. «Non è un granché sai, spero che comunque tu ti ci possa sentire a tuo agio. Fa' come a casa tua.»
Alice rimase sola, con la mano stretta attorno al pomello. Dubbiosa e tuttavia incuriosita, la girò.
La prima cosa che la colpì fu la naturalezza e la semplicità con cui era stata lasciata la camera. Era spoglia, anonima, esattamente come Alice l'avrebbe voluta in modo da attaccare gingilli alle pareti e personalizzarla di suo gusto.
Soddisfatta, sbadigliò stiracchiando le braccia e strizzando gli occhi. Si sarebbe curata di sistemare le valigie il giorno dopo e, buttandosi di peso sul materasso venne avvolta tra le braccia di Morfeo.

 






Here I Am!
Buonasera a tutti e a tutti! Anche se è piuttosto tardi per dire buonasera...
Tuttavia, questa storia è frutto di un'idea malsana nata non so come. So solo che sono finalmente contenta di pubblicarla qui e spero che piacca a voi tanto quanto io ne sono affezionata!
Per farvi capire meglio, in questo primo capitolo si viene a sapere che Alice è stata adottata da una coppia che è venuta a mancare e dunque lei, ancora minorenne, è stata costretta a trasferirsi a Storybrooke dove vive il parente più prossimo che ha, un certo anziano di nome Ernest.
Nel Paese delle Meraviglie, c'è invece Adele, la figlia della Regina di Cuori, che sta fuggendo dalla follia e crudeltà della madre. 
In seguito Alice entrerà in contatto con tanti altri personaggi e solo più avanti la storia si farà più avvincente!
Mi farebbe davvero che voi commentiate facendomi sapere la vostra opinione, accetto anche critiche purché costruttive e consigli di ogni genere!
Grazie a chiunque sia arrivato fino a qui. 
A presto!
Frannie. :)

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Capitolo II


 

Alice sorseggiò il suo the limone e zenzero, mentre il foglio bianco della schermata del pc la osservava paziente e dall'icona accanto agli appunti lampeggiava allegro il titolo del suo nuovo romanzo.
Il terzo da quattro anni.
Era solo una bambina quando decise che la penna sarebbe stata la sua unica fonte di sostentamento, e poco sapeva di scadenze, scelte editoriali ed e-mail di rifiuto. Era convinta che il suo talento avrebbe incantato generazioni portando alla vita luoghi o persone che altrimenti sarebbero rimaste in eterno intrappolate nella sua immaginazione.
Scrittrice, questo era il suo mestiere, questa era la sua strada. Per questo, quando scoprì che poco lontano da Storybrooke vi era una scuola di scrittura creativa, non esitò a fare le valigie e trasferirsi da quel lontano zio di cui gli assistenti sociali le avevano parlato.
Dopo l'inaspettata morte dei genitori, Alice aveva passato otto mesi in ospedale senza mangiare, senza parlare, senza vivere. I ricordi di quella sera la tormentavano ad ogni ora, lasciandola con il respiro mozzato e gli occhi gonfi. Quegli incubi ballavano attorno al lettino d'ospedale soffocandola e accusandola di aver causato la morte delle due uniche persone che avevano provato a fare di lei qualcosa di buono.
E' colpa tua. Sei un mostro, dovevi morire tu al posto loro. Sei un mostro, gli hai uccisi tu!
Spesso si era chiesta chi fossero i suoi veri genitori e perché l'avessero abbandonata, ma mai aveva espresso il desiderio di cercarli per conoscerli. Forse perché non era di suo interesse o perché i suoi genitori adottivi si erano presi cura di lei quanto bastava, ma la verità era che Alice aveva paura. Paura di rimanere delusa. Di scoprire che i suoi genitori biologici erano morti o peggio, magari erano dei criminali o dei disagiati. Aveva paura di farsi del male, infondo aveva solo diciotto anni e seppur odiasse l'ignoranza e se ne tenesse ben distante, si rendeva conto che quello era il solo modo per proteggersi.
Così la ragazzina dai capelli ricci e crespi, gli occhi a mandorla color blu delle acque più limpide, i modi introversi ma educati aveva preferito vivere nel buio dell'inconsapevolezza pur di non soffrire.
Codarda.
Alice si era giurata di non scrivere più dopo il tragico incidente ma, ovviamente, aveva miseramente fallito. E ricominciando a scrivere, circondata da quelle mura bianche, gli incubi avevano mollato la presa. La fame era tornata, così come la voglia di vivere. Alice necessitava di un nuovo inizio.
Aveva cambiato città e, dopo un paio di settimane, si era ambientata in quella cittadina apprezzandone i paesaggi così diversi dall'Inghilterra in cui era nata e sopratutto le persone, bizzarre da sembrar appartenere ad un altro mondo.
Anche il suo tutore, Ernest Needle, era un personaggio alquanto particolare. Si alzava ogni mattina alle sei, né un minuto in meno né uno in più, e aveva la mania di allineare gli oggetti e guardare la televisione senza audio.
Inizialmente, Ernest le era sembrato un vecchio brontolone ossessionato dagli orologi e costantemente in ritardo per ogni cosa, ma in seguito aveva dimostrato una discreta premura nei suoi confronti e la ragazza aveva davvero apprezzato gli sforzi da lui compiuti per farla sentire “a casa”.
Ma dov'è casa?


''«Dove...dove mi trovo?»
Adele aprì pian piano le palpebre, notando di essersi svegliata in un letto caldo invece che con la schiena appoggiata al tronco di un albero nel quale aveva battuto il capo la notte precedente.
Sobbalzò spaventata quando vide seduto accanto al letto un giovanotto di poco meno di vent'anni, che la osservava con gli occhi spalancati.
«Vi siete svegliata, finalmente!» esclamò con voce allegra, balzando in piedi.
Adele si massaggiò piano la testa, mettendosi seduta. Si trovava in una casetta piccola, con il tetto a punta e le pareti colorate.
«Chi siete voi?» balbettò in direzione del ragazzo, che si portò il cilindro al petto e s'inchinò con fare teatrale.
«Jefferson Hatter*, per servirvi. Sono un viaggiatore. Vi ho trovato mentre raccoglievo funghi, suppongo stavate superando il confine per introdurvi nella Valle dei Tulipani.» affermò il giovane, passeggiando su e giù per la stanza. «Ciò che mi domando è: perché?»
Adele si morse il labbro, insicura se parlare allo sconosciuto del suo tentativo di scappare oppure tacere e non fidarsi ma, dopotutto, quello era lo stesso sconosciuto che l'aveva soccorsa. «Stavo fuggendo da Cora, io...»
«Cora?»
«Sì, la Regina di Cuori.»
Jefferson si arrestò sul posto d'un tratto. «Siete sua figlia Adele, non è vero?»
«Sì, lo sono. Ma vi prego, vi supplico non mandatemi via...»
Il Cappellaio osservò attentamente la ragazza davanti a sé. La sua disperazione era troppo evidente per lasciare indifferenti, e la sua bellezza di certo non aiutava Jefferson ad esprimere una scelta razionale.
Ma lui di scelte razionali non ne aveva mai fatte, e di certo non avrebbe incominciato quel giorno.
«No, non ho intenzione di mandarvi via.» esibì uno dei suoi più grandi sorrisi, mentre la ragazza arrossiva e si specchiava in quegli occhi tanto azzurri da far invidia al blu del cielo più intenso.”


Non sapeva quale grado di parentela li univa, probabilmente Ernest era lo zio di sua madre o il cugino del nonno...non ricordava esattamente, ma l'importante era che riuscissero a convivere pacificamente.
O almeno per il momento.
Fuori nevicava incessantemente da quando lei era arrivata. La coltre bianca aveva raggiunto pomelli delle porte, creando notevoli disagi e complicazioni ai poveri abitanti di Storybrooke.
Alice si riscosse dai suoi pensieri quando una mano le toccò la spalla, facendola sussultare e chiudere il pc di scatto.
«Scusa, non era mia intenzione spaventarti.» disse quella che poco prima le aveva servito l'ordine, soffocando una risatina. «Ho visto che stavi scrivendo e mi sono incuriosita. Di cosa si tratta?»
Alice incrociò i brillanti occhi marroni della ragazza, chiedendosi per quale ragione l'avesse disturbata mentre scriveva l'inedito letterario che avrebbe fatto la Storia.
Smettila di essere così acida. Lei sta solo cercando di essere carina e tu come al solito ti ritiri nel tuo guscio, avanti esci fuori!
Alice cercò di rilassare tutti i muscoli, sforzandosi di sorridere. «E' un romanzo sui pirati, ma la trama è appena abbozzata e sto tentando di inquadrare i personaggi dentro...»
«Ma è una forza! Scommetto che pubblicherai un sacco di copie, e sta pur certa che io ne avrò una.» la interruppe la giovane cameriera annuendo con sicurezza.
Tutto quell'improvviso interesse nei suoi scritti creò un profondo stupore che si fece spazio sul volto di Alice, coprendo la stizza e dandole il coraggio di porgere la mano alla nuova conoscente e sorriderle nel modo più convincente possibile. «Mi chiamo Alice.»
«Lieta di conoscerti, io sono Ruby! Sei nuova di qui? Non credo di averti mai vista, o almeno non in questo bar, sai...»
Prima che Ruby potesse incominciare la sua infinita lista di lamentele sugli orari lavorativi che era costretta a rispettare da Granny's, Alice ammise di essere arrivata solo una decina di giorni prima e che doveva ancora prendere mano con l'ambiente attorno a sé.
Ruby si diede un colpo sulla fronte con il palmo della mano. «Ma sì, tu sei la ragazzina inglese che Ernest ha deciso di ospitare!»
Più che altro non ha avuto scelta...
«E' stato un piacere conoscerti cara, ma ora devo proprio tornare a lavoro se voglio finire il turno, Granny sa essere così antica alle volte...spero di rivederti presto!»
Alice annuì incerta mentre la cameriera dagli abiti audaci e i modi frizzanti tornava ad occuparsi degli altri ordini. Ripensando divertita all'insolito personaggio appena conosciuto, Alice fece scivolare il portatile nel logoro borsone di pelle capiente abbastanza da contenere pc, librone da seicento pagine, quaderno con gli appunti e vari effetti che si possono generalmente trovare nelle borse delle donne. Lasciò il conto sopra il tavolo e uscì, lasciandosi avvolgere dalla nevosa serata.
Le strade erano impraticabili e i marciapiedi erano coperti da un sottile strato di ghiaccio; tuttavia la ragazza non si perse d'animo e, stringendosi la sciarpa viola al collo, s'incamminò verso casa sfidando le intemperie.
Nonostante la tenacia, Alice si ritrovò costretta a cercar riparo quando il vento iniziò a soffiare minaccioso. Se fosse proseguita con quel tempaccio, sarebbe tornata a casa in un'ora buona rischiando magari di ammalarsi.
Senza perdere tempo, si fiondò all'interno dell'edificio più vicino a sé e se l'insegna “Mr. Gold Pawnbroker & antiquities dealer” non fosse stata coperta dalla neve Alice avrebbe esitato prima di avventurarsi tra gli scaffali impolverati dell'uomo più temuto e potente di Storybrooke, i quali compaesani preferivano tenersi a debita distanza. 
Spinse la porta ed entrò, chiudendosela immediatamente alle sue spalle per impedire a quella tempesta di travolgere quello che sembrava un banco dei pegni.
Il suono della campanella d'ingresso annunciò la presenza della nuova cliente, che prese a girovagare tra i banchi e osservare con attenzione qualsiasi cosa si posasse sotto il suo sguardo. Notò manufatti di tutti i tipi dominare ogni singolo centimetro della stanza, un po' angusta e decisamente impolverata. Vi erano navi in bottiglia, servizi da the, penne a sfera, archi e frecce, addirittura bacchette e sfere trasparenti.
Sembra il covo di un mago, altro che banco dei pegni!
Aveva sentito parlare così tante volte di questo Mr. Gold da temere che fosse una celebrità fuggita dal mondo dello spettacolo rintanatasi nel Maine e datasi agli affari. Era famoso per i suoi sorrisi taglienti e i modi educati ma inevitabilmente gelidi e la scaltrezza e il sangue freddo che gli avevano permesso di ottenere tutto ciò che bramava.
Ma Alice, all'oscuro della vera identità di quell'uomo ambiguo, poteva giurare che c'era di più dietro tutto questo. E presto ne avrebbe avuto le ragioni.
«E' permesso?»
Quando Mr. Gold si accorse con crescente irritazione che qualcuno stava raggiungendo a passi lenti il retro del negozio, non si preoccupò nemmeno di nascondere in tono brusco delle parole con le quali informò che il negozio era chiuso.
«Mi scusi, ma fuori nevica e ho pensato che fosse meglio ripararsi fino a che il tempo non si fosse calmato...»
Nel preciso istante in cui Mr. Gold si voltò e poggiò lo sguardo sugli occhi del blu dei cieli più tersi che l'universo andò in frantumi, ed egli con lui. «Io...» fece una pausa, improvvisamente incapace di proferir parola. Ci mise un attimo per mantenere sotto controllo il leggero tremitio che si era impossessato della sua mano destra e, schiarendosi la voce, afferrò il suo bastone e lo strinse con forza.
E' lei. Deve essere lei. Solo che ancora non lo sa.
«...temo che dovrà andarsene. Le ripeto, signorina, che il negozio a quest'ora è chiuso.»
Alice, che non aveva badato alla brevissima seppur esplicita reazione dell'uomo alla sua vista, incrociò le braccia al petto assumendo un'aria di sfida. «E io, con tutto il rispetto, le ripeto che fuori sta diluviando
«Desolato, ma sono costretto ad insistere.» ripeté Mr. Gold, mantenendo l'aria seria ed indispettita.
«L'avverto, se ora mi fa uscire avrà sulla coscienza una ragazzina soffocata sotto la neve.»
Mr. Gold alzò gli occhi al cielo e accompagnò l'apparente sconosciuta verso l'uscita. Alice però non si arrese, e tentò un'ultima volta. «La prego, non è sicuro uscire con questo tempaccio.»
L'uomo stava perdendo completamente la pazienza, un minuto di più e sarebbe esploso. Tuttavia, decise di cambiare approccio in modo da giovare entrambi ma sopratutto a sé stesso.
«Le propongo un accordo.» disse, accennando un sorriso poco rassicurante. «Lei potrà restare qui finché la tempesta non si placa ma in cambio dovrà comprare qualcosa dal mio negozio.»
Alice aggrottò le sopracciglia, non del tutto sicura che fosse il momento per cantare vittoria. «Non capisco, anche se comprassi uno qualsiasi dei vostri gingilli per voi non cambierebbe nulla...il mio acquisto non avrebbe senso!»
«Infatti non dovrà comprare uno qualsiasi dei miei gingilli, perché sarò io a decidere quale lei dovrà prendere.»
Alice tacque, sospirando profondamente. Aveva finito le sue carte, non le restava altro se non accettare. «D'accordo, ci sto.»
Mentre il ghignò malefico di Mr. Gold si allargava ancora di più, egli si avvicinò ad una mensola e dovette utilizzare il suo bastone per far cadere l'oggetto posizionato nella mensola più alta. Lo afferrò al volo, per poi posarlo sopra il banco e mostrarlo ad Alice. «Si avvicini, prego.»
La ragazza si grattò il mento, pensierosa. «Un...contenitore? Che significato può avere?»
Ma, invece che darle una risposta, Mr. Gold svelò ogni mistero aprendo il coperchio del semplice contenitore di pelle per svelare un grande e nero cappello a cilindro.
«Un cappello. Vuole che compri un cappello?»
Mr. Gold rivolse alla sua cliente un'occhiata offesa e incredula davanti alla sua cecità. «Questo è il cappello. Non uno qualsiasi!»
Alice esitò, indecisa se scoppiare a ridere o stare al gioco, ma notando l'aria crucciata e severa di Mr. Gold preferì non tirare la corda, ma prendere quel dannato cappello e smetterla di fare domande.
Allungò le mani per afferrarlo e se lo posizionò sopra la testa. Era comodo, ma lei aveva la testa troppo piccola per poterlo portare. «Cosa devo farci?»
Mr. Gold sospirò, voltando le spalle alla giovane per ritornare nel retro del suo negozio. «Lanciarlo via.»
Lei poté solo fissarlo a bocca spalancata mentre egli si allontanava. Ora aveva finalmente trovato la giustificazione ai bisbigli malevoli, alle occhiate di compatimento e alla fama che precedeva quell'essere il quale nome veniva tuttavia pronunciato da ognuno con rispetto ed ammirazione: Gold aveva l'inebriante, eccitante consapevolezza di stringere tra le dita il destino delle persone.












*Hatter in inglese significa capellaio e siccome nella serie non specificano il cognome di Jefferson, ho pensato che questo fosse quello più adatto ;)




Here I am!
Eccomi di ritorno con il secondo capitolo! Qui le cose iniziano a svilupparsi: si scopre che Alice ama scrivere (una scelta ponderata, più avanti ne scoprirete il motivo) e che i suoi genitori addottivi sono morti in un incidente del quale Alice si colpevolizza. C'è anche Ruby, che si interessa alla nuova arrivata, e il signor Gold alias Tremotino (che nella ff chiamerò Rumplestiltskin perché mi piace molto di più hihi).
Mr. Gold sembra riconoscere Alice e le dona un cappello. uhuh, che funzione mai potrà avere? A voi le idee! lol 
Nel passato, Adele viene trovata da Jefferson che decide di aiutarla e i due iniziano a conoscersi meglio.
Per ambientare meglio la storia, dichiaro che Alice e Emma hanno la stessa età quindi se ora Alice ne ha diciotto, Emma ne ha diciotto. 
Non ho nient'altro da aggiungere. Spero che leggiate e commentiate in molti per farmi sapere le vostra opinione a riguardo! :)
A presto, 
Frannie. 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Capitolo III

 

Alice sospirò, versandosi una quantità generosa di cereali sullo yogurt. Leccandosi il pollice e afferrando la sua colazione, si affacciò alla finestra osservando il cielo rosato sopra di sé.
La mattina era il momento della giornata che più preferiva. Tutto si risvegliava, prendeva vita di nuovo, e di nuovo, e di nuovo. Il sole dava il buongiorno al mondo, e non importava se poi avesse piovuto, sarebbe stata una nuova giornata e si sarebbero commessi nuovi errori e nuove possibilità e occasioni sarebbero arrivate quando meno ce lo saremo aspettati.
La ragazza mandò giù un boccone nervosamente. Il pomeriggio stesso sarebbe finalmente incominciato il suo corso di scrittura creativa.
Era ciò che voleva. Essere libera, felice, viaggiare per il mondo contando solo su sé stessa senza aspettarsi mai nulla dagli altri. Sarebbe caduta in tante buche, avrebbe incespicato e non sarebbe stata al sicuro, mai. Ma c'è un prezzo da pagare per tutto, e lei era disposta a fare qualsiasi cosa per assicurarsi il futuro che aveva in mente per sé stessa.
Sé stessa, in quel momento era la cosa più importante. Si era lasciata trascinare troppe volte dai sentimenti e non era mai stata razionale, ma le cose erano cambiate.
E sarebbero cambiate ancora.
Ma dov'è casa?

 


Adele guardò con sguardo intenerito e pieno d'amore il frugoletto piccolo e tutto rosso che aveva tra le braccia, il quale la osservava incuriosito mangiucchiandosi e sbavando sul pollice.
La porta si spalancò, rivelando una figura alta e raggiante, che posò il cappello su un mobile.
«Ciao, piccola Grace.» salutò la figlia, accarezzandole la guancia rosea con le nocche.
La neonata rise gioiosa in risposta, sbrodolandosi di saliva mentre gli occhi ancora di un colore indefinito esprimevano tutta la sua felicità e soddisfazione nel vedere il suo papà.
Quest'ultimo alzò poi gli occhi su Adele, stampandole un bacio sulle labbra umide.
«Bentornato, Jefferson.»
Egli si grattò la testa distrattamente, facendo un amaro sorriso. «Temo che non mi tratterrò a lungo...»
«C'è bisogno di te qui a casa. Grace ha bisogno di te.» replicò Adele. guardandolo con il volto dispiaciuto e carico di delusione. «E anche io.»
Jefferson rimase immobile, non riuscendo però a ricambiare lo sguardo. Se avesse incrociato i suoi occhi, non sarebbe più riuscito ad andarsene e allora non avrebbe mantenuto l'accordo.
Doveva partire di nuovo, non aveva altra scelta.
«Adele, abbiamo fatto questo discorso molte volte...lo sai che mi dispiace.»
«Questo però non mi basta.»
Jefferson alzò gli occhi al cielo, avviandosi verso la porta, mentre quelli di Adele si velavano di lacrime. «La ami, vero?»
Il Cappellaio si fermò davanti alla porta, per poi girarsi spiazzato verso la fidanzata e prendendola tra le braccia. «Certo che la amo. Amo te, e amo la nostra piccola Grace. Vi amo più di quanto tu possa immaginare, lo sai.»
La ragazza accennò un sorriso, rassicurata dalle sue possenti braccia. «Si, lo so. Scusami.»
Jefferson lasciò un ultimo bacio sulla fronte di entrambe, prima di uscire definitivamente di casa e allontanarsi a grandi passi.
Adele sospirò, tornando a prendersi cura della bimba. «Hai visto? Il papà ti ama. E anche io ti amo. Ti ameremo per sempre, ricordalo piccola Grace.»
Prima di potersi aspettare una qualsiasi reazione da parte della figlia, qualcuno bussò energicamente alla sua porta.
Il resto sarebbe stato del tutto inaspettato.”


 

«Dove hai trovato questo?»
La voce di Ernest alle sue spalle la sorprese, ma ebbe il tempo di pensare ad una risposta valida mentre masticava. Egli esibiva con le sopracciglia inarcate il cilindro, incerto nel voler sapere la risposta.
Alice gli sorrise, tornando in cucina per mettere la ciotola sul lavandino. «L'ho trovato davanti a casa. Qualcuno deve averlo perso...»
Ernest sospirò, passandosi una mano sul volto. «Quando sei stata nel negozio di Mr. Gold?»
Non ebbe modo di replicare. Era stata scoperta, ma d'altronde sapeva di non essere un granché a mentire.
«Un paio di giorni fa'. Mi ha proposto un accordo e...»
«Un accordo?» esclamò Ernest, mentre le gote gli si coloravano di un rosso acceso. «E non l'avrai mica accettato, vero?»
Alice incrociò le braccia al petto, sconcertata da tutto quello stupore per un semplice cappello. «E anche se lo avessi fatto?»
«Alice, fare accordi con Mr. Gold è un vecchio trucco che non ti porterà molto lontano.» borbottò il vecchio orologiaio. «Tutti gli abitanti di Storybrooke gli devono qualcosa, ma lui non deve niente a nessuno.»
«Oh, tanto la mia parte l'ho già scontata.» affermò lei alzando le spalle con noncuranza.
«Come?»
«Comprando il cappello!»
Ernest la fissò sbalordito ma, prima di poter aggiungere altro, Alice glielo prese dalle mani e sorrise radiosa, osservandolo e maneggiandolo tra le dita. «E' un bel cappello, nonostante tutto.»
L'uomo sospirò nuovamente, accennando un debole sorriso. Da quando Alice era arrivata in casa sua, si era reso conto che tutto quel tempo passato da solo gravava sulle sue spalle da più tempo di ciò che credeva.
«Ascolta Alice...credo di non averti dato la giusta accoglienza quando sei venuta qui a Storybrooke. Saresti potuta andare da qualsiasi parte, perché proprio qui?»
Lo sguardo di Alice d'un tratto si fece triste. «Eri l'unico parente che mi rimaneva. Non avrei mai voluto ammetterlo perché sembro indipendente e forte per superare anche la solitudine, ma la realtà è che non volevo rimanere sola.»
«Non lo sei.» Ernest sorrise di nuovo, posandole una mano sulla spalla. «Ho un regalo per te.»
Alice alzò lo sguardo ora pieno di curiosità e spalancò gli occhi quando vide il suo tutore estrarre l'orologio d'oro da taschino che stava riparando il giorno in cui lei era arrivata e porgerglielo. Esitò un momento, indecisa se accettarlo o meno. «Ma, Ernest...potresti farci un sacco di soldi, è un orologio meraviglioso! Non ho fatto nulla per meritarlo, non posso...!» farfugliò ponendo le mani davanti a sé in segno di rifiuto.
«Insisto, prendilo come un regalo di benvenuto.»
La ragazza finalmente accettò il pensiero, rigirandoselo tra le mani e sorridendo radiosa. «E' bellissimo, grazie.»
Ernest se ne tornò nel suo studio senza rispondere, mentre il cuore di Alice si colmava come mai era successo dopo la morte dei genitori.

 

Jefferson la vide.
Poi crollò sulle ginocchia.
E infine pianse.
La sua Adele, la luce dei suoi occhi, il suo vero amore.
Gliel'avevano portata via, o meglio, lui non era riuscito a tenersela stretta.
Batté i pugni sul pavimento, stanco, distrutto. Era tutta colpa sua.
Il suo cuore sarebbe dovuto appartenere per sempre a lui, e invece quella megera capace solo di vendetta e odio gliel'aveva strappato e stretto brutalmente tra le dita, trasformandolo in cenere.
«Perché l'hai fatto?» chiese alzando lo sguardo verso il tetto della casa, in attesa di una risposta. «Lei se n'è andata da te perché non hai saputo farle da madre. Lei era felice con me. Non si meritava questo!»
Si alzò di scatto e, tremante, buttò per terra tutto ciò su cui posava lo sguardo, troppo ferito per ragionare.
Lui aveva promesso di proteggerla, ma non c'era riuscito. E in quel momento i sensi di colpa lo stavano divorando vivo.
D'un tratto, sentì un lamento, un gemito di qualcuno che piangeva.
Jefferson arrestò la sua furia, avvicinandosi titubante e ancora scosso all'armadio da cui provenivo i versi disperati.
Aprì le ante, ritrovando gli stessi occhi che pensava di aver perso per sempre. Prese tra le braccia la piccola creatura indifesa, che d'un tratto smise di piangere e allungò la manina per toccare il suo viso.
«Tranquilla, piccola Grace. Ora ci sono io, e ti terrò al sicuro.»
Jefferson sorrise, tirando su con il naso. Ringraziò tra sé e sé di essere stato graziato con un'altra possibilità, un modo per ricominciare da capo e fare per una volta le cose per bene.
«Non aver paura, non ti lascerò mai più. Te lo prometto.»”


 

Portando con sé l'orologio e il suo cilindro, uscì di casa sedendosi sullo scalino ed osservando la strada nella quale iniziavano a comparire ancora assonnati i primi abitanti.
Lancialo via.
Ancora non capiva come Storybrooke potesse essere così...ferma. Il tempo sembrava essersi fermato da molto tempo.
Scosse la testa, fissando il cilindro tra le sue mani.
Lancialo via.
Se si fosse lasciata conoscere da tutti loro, sarebbe stata accolta bene? E se non fosse stata all'altezza? Cosa ne sarebbe stato di lei?
Se i suoi genitori non fossero morti, lei sarebbe rimasta a Londra con i suoi amici, e avrebbe percorso la strada che più avrebbe preferito perché ci sarebbero state tante persone a sostenerla.
Lancialo via, ora.
Mentre le lacrime minacciavano di scenderle copiosamente dagli occhi, Alice buttò malamente il cappello a terra lontano da sé e, senza neanche rendersene conto, venne travolta da una nube viola che la avvolse e la fece precipitare in un'infinita voragine buia.
E precipiti, precipiti, precipiti.








Here I am!

Salve a tutti! Questa volta ho aggiornato presto perché domani parto e starò via fino al 20 (?) agosto, quindi non avrò la possibilità di pubblicare altri capitoli. 
Allora, Alice a finalmente a che fare con la magia! Il cappello comprato dal banco dei pegni di Gold si è rivelato essere un portale. Chissà di chi è, uhuh. 
Jefferson, nel passato, continua a fare il viaggiatore trai mondi ma come si può vedere ha messo su famiglia: Adele è diventata la sua comapgna di vita, il suo Vero Amore, e dalla loro unione è nata la piccola Grace che tutti conoscono. Purtroppo, il male ha sempre la sua rivincita. Adele viene uccisa da sua madre, Cora, e quando Jefferson torna nella loro dimora scopre il corpo privo di vita di sua moglie ed è convinto che sia stata tutta colpa sua. 
Grace però è stata messa al sicuro e così il Cappellaio decide di mollare tutto per stare accanto alla sua figlioletta. Direi che Alice e Jefferson hanno in comune un bel passato ricco di oscurità, mmh. Speriamo che in futuro vada meglio! ;) 
Commentate in tanti perfavore, ci tengo a sapere la vostra opinione :D 
Ci risentiremo tra due settimane, fate buone vacanze!
Frannie. xx

 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Capitolo IV
 

Alice cercò ogni appiglio al quale aggrapparsi per interrompere quell'infinita caduta, chiamò aiuto, si dimenò ma nulla sembrò portarla indietro.
La buca nera e buia nella quale sei caduta sembra decisamente troppo profonda per essere la tana di un coniglio.
Mentre il cuore le saliva in gola, Alice atterrò d'un tratto su qualcosa di duro e freddo.
La testa le doleva infinitamente, avvertì ogni muscolo del corpo contrarsi fino agli spasmi che la abbandonarono solo nel momento in cui aprì le palpebre. La sua caduta era stata così lunga che quell'impatto avrebbe potuto ucciderla.
Quando si rialzò in piedi a fatica si guardò intorno, troppo sconcertata e spaventata per muovere anche solo un passo. Era al centro di una stanza senza angoli ma circondata da porte di ogni tipo, forma e colore. Ce n'erano di minuscole, di giganti, di verdi, di blu, con le tende, senza tende. Troppe, tutte attorno a lei, e sceglierne una sarebbe stato impossibile.
Oltre quale proseguirai?

Le foglie secche si sgretolavano sotto gli scarponi di Jefferson, il quale passeggiava pensieroso tra gli alberi della Foresta Incantata.
«Cos'è quel broncio, Cappellaio?» lo interruppe una voce alle sue spalle, prendendolo in girò in tono canzonatorio.
Riconoscendo l'essere a cui apparteneva quella voce impertinente, Jefferson sospirò amaramente. «Non è il momento, Rumplestiltskin.»
«E invece sono arrivato proprio nel momento adatto, mio caro. Dimmi, perché sei venuto fin qui per chiedere aiuto?»
«Non mi sono trasferito nella Foresta Incantata per parlare con te dei miei problemi, quindi sparisci. Non sono in vena di fare accordi.»
Rumplestiltskin comparve davanti a Jefferson, guardandolo in modo offeso e sconcertato da tanta scortesia nei suoi confronti. «Ma io si! E questo basta.» alzò l'indice verso l'alto, ghignando divertito davanti alla faccia infastidita dell'amico. «Hai tradito le leggi del cappello portando tua figlia qui. Te l'ho detto, uno entra ed uno esce!»
«Non è importante, tanto non lo userò mai più. Ho perso la madre di Grace in Wonderland, non ho intenzione di perdere anche lei.»
«Oh, già, Adele. Che disgrazia.» disse Rumplestiltskin con le mani giunte davanti a sé. «Ma non crogioliamoci troppo nel dolore! Bisogna reagire, e io sono qui per aiutarti!»
«Dimmi cosa vuoi, Rumple.»
«Quanta sfacciataggine, Jefferson! Ma...» il sorriso del folletto si trasformò in un ghigno irritante. «...se ti dicessi che c'è un modo per potarla indietro? Scommetto che ti porgeresti con più rispetto, non credi?»
I brividi percorsero la schiena di Jefferson, che si mostrò d'un tratto interessato alla conversazione. «Illustra.»
«Ora si che ci intendiamo.» Rumplestiltskin rise con soddisfazione. «Devi uccidere la Regina di Cuori.»
«E' un'impresa suicida.»
L'Oscuro Signore rise nuovamente, iniziando a girare attorno alla sua potenziale vittima. «Lo so bene, ma se impedissi a qualsiasi mago o strega che sia di strapparti il cuore non potrebbe ucciderti, sgretolare quell'organo vitale è l'unico modo che ha per mettere fine alla vita dei suoi nemici.»
Jefferson serrò le mascelle, preso da un'improvviso dubbio. In quel piano c'era decisamente qualcosa che non tornava. «Perché non lo fai tu al posto mio?»
«Ma perché non ci guadagnerei nulla, naturalmente! E' un piano svitato per persone svitate, e tu sei proprio quella giusta, non sei d'accordo?»
Jefferson esitò per qualche minuto, riflettendo attentamente. «Avrò bisogno di un portale.»
«Richiesta interessante, quando proviene da qualcuno che ne porta sempre uno in testa.»
«Il Cappello ha i suoi limiti. Non posso portare Grace con me.»
«Non sarà necessario.» gli spiegò lo stregone. «Troverai di certo qualcuno a cui affidare tua figlia e il cappello funzionerà, ma potrà condurti solo in Wonderland.»
Jefferson si inumidì le labbra con la lingua, stringendo tra le dita il colletto del cappotto. «Dunque devo tornare a Wonderland, intrufolarmi nel castello di Cora e pugnalare il suo cuore. Ci proverò, ma in cambio voglio...»
«Incontrare di nuovo il tuo vero amore, non è così?» concluse Rumple, esibendo un sorrisetto malandrino e per nulla affidabile.
Jefferson tacque. A differenza di tutti gli altri, trovava Rumplestiltskin una persona interessante piuttosto che malvagia, ma questo non significava che si fidasse di lui. Nonostante ciò, aveva lavorato come galoppino per il Signore Oscuro tanto a lungo da sapere che se c'era una cosa che manteneva, erano di certo i suoi accordi.
Il Cappellaio dunque annuì, mentre Rumplestiltskin faceva un gesto teatrale con la mano. Gli comparve una pergamena nel pugno e tra le dita dell'altra stringeva una penna d'oca. «Affare fatto.»”

Alice girò intorno a sé, presa dallo sconforto. Come sarebbe tornata indietro? Perché c'erano così tante porte? Quale doveva scegliere?
Si avvicinò ad una porta verde smeraldo con una grande Z incisa sul legno. Girò la manopola d'oro ma la porta non si aprì.

Provò con tutte le altre e, nonostante i mille sforzi, nessuna di quelle si aprì. Spazientita e amareggiata alzò gli occhi al cielo ma, una volta data un'altra occhiata alla sala, sobbalzò riconoscendo una figura umana esattamente davanti a sé.
Sei tu, idiota!
Alice fece un respiro profondo, cercando di calmarsi. Ne sarebbe uscita, probabilmente quello era tutto un sogno e quando sarebbe finito si sarebbe ritrovata nel suo letto a Storybrooke.
Si avvicinò allo specchio, osservando bene la sua figura riflessa e tendendo una mano verso di lei.
Andrà tutto bene, tornerai a casa.
Quando le sue dita toccarono la superficie dello specchio, di certo tutto si sarebbe aspettata tranne che si presentasse gelatinosa al tatto. Spalancò gli occhi dallo stupore quando capì che poteva passarci i polpastrelli attraverso, e probabilmente anche tutto il resto del corpo.
Trattenendo il respiro, si fece coraggio e attraversò lo specchio.
Ma dov'è casa?

 

''«Ospiti! Chi è il benvenuto?» esclamò la Regina di Cuori, facendosi condurre dai Fanti suoi servi fino al suo trono.
«Un intruso, si è intrufolato nel castello, voleva attentare alla vita di Vostra Maestà.»
Questa scoppiò in una sonora risata, osservando attentamente il prigioniero davanti ai suoi occhi, il quale non tradiva alcuna emozione se non disgusto e tanta rabbia in cuore quanta ne portava lei.
«Jefferson, suppongo.» disse avvicinandosi a lui. «Avrei dovuto ucciderti tempo fa, insieme a quella buona a nulla di mia figlia Adele.»
«Sì, avresti davvero dovuto.»
Cora, furiosa, non pensò una volta in più ad affondare la mano nel petto del Cappellaio, cercando di estirpare fuori il suo cuore. Tirò indietro la mano mostrando una smorfia di dolore, massaggiandosi la bruciatura e facendola scomparire con un semplice gesto.
«Un incantesimo. Proprio come pensavo, lui aveva ragione.» rise di nuovo, afferrando tra le dita il mento di Jefferson e posando lo sguardo sui suoi occhi grigi. «Pensavi di farla alla Regina di Cuori un'altra volta, non è vero? Pugnalare il suo cuore e rivendicare così il tuo ver0 amore. Rumplestiltskin mi ha rivelato ogni cosa, caro Cappellaio, e ora ti aspetterà una sorte ben peggiore della morte.»
A Jefferson si gelò il sangue nelle vene. Com'era possibile che un vecchio amico come Rumplestiltskin l'avesse tradito così brutalmente? Non era negli interessi di entrambi uccidere quella malvagia fattucchiera una volta per tutte?
Ma soprattutto, come gli era saltato in mente di stipulare un accordo con lui?
«La prossima volta, fai più attenzione alle persone su cui intendi riporre la tua fiducia.» poi la Regina Cora si portò un indice sul mento, fingendosi dispiaciuta. «Ah aspetta, non ci sarà una prossima volta. Portatelo via!»
Due Fanti lo presero per le braccia, trascinandolo attraverso il corridoio. Jefferson urlò con tutta l'aria che aveva nei polmoni, si dimenò e gridò di nuovo, combattendo contro quel futuro angoscioso ma ormai prossimo che lo attendeva a braccia aperte.
Non avrebbe più rivisto Grace. Non avrebbe potuto mantenere la sua promessa.
Non sarebbe più potuto tornare indietro.''

 

Alice sussultò quando atterrò su un sentiero dall'altra parte dello specchio. Notò che era fatto di mattonelle colorate e che si intrecciava fra gli alberi, salendo e scendendo dalle colline.
Ma dove sei finita, Alice cara?
Si guardò intorno, troppo sconvolta per muovere un singolo passo. Nel cielo rosa privo di nuvole non vi era alcuna traccia del sole, nonostante la luce fosse il protagonista principale di quella fantastica e surreale visione. Vi erano funghi giganteschi e altrettanto gli alberi, ma la cosa che colpì di più Alice furono i fiori: crescevano rigogliosi e dai colori vivi, saturi, eccentrici e intensi; belli come mai ne aveva visti, presenti tutti intorno a lei.
Tuttavia era impossibile ignorare l'aria impregnata di profumo e l'atmosfera fin troppo inverosimile. In quel luogo, l'irrazionalità e la creatività si prendevano per mano.
E all'improvviso capì ogni cosa.
Vide tutto ciò che aveva davanti trasformarsi: il cielo diventava nero come la pece, i fiori si trasformavano in piante carnivore, gli alberi in lunghe torri dalle quali provenivano lamenti e pianti angoscianti. Fece qualche passo indietro mentre la paura si impossessava di lei, e dopodiché iniziò a correre.
Corri Alice, corri!
I rami delle querce si allungavano come braccia umane verso di lei, il terreno tremava, tutto mutava forma come nei suoi incubi. Di solito, quando delirava nel sonno, qualcuno veniva a svegliarla.
Ma nessuno venne quella volta.
Inciampò, rotolando in avanti e fermandosi solo un paio di metri più avanti quando andò a sbattere contro un ostacolo. Alzò di scatto la testa, allontanandosi spaventata quando vide un cavallo impennarsi e nitrire selvaggiamente davanti a sé.
Sarebbe morta di paura se non avesse visto un volto umano che, pacato, risoluto e per nulla impaurito, si chinava verso lei incuriosito. «Mia cara, stai bene?»
Alice balbettò poche sillabe, mentre d'improvviso la natura sembrava ritirarsi e tornare come prima. Tuttavia, ad Alice sembrò che ogni cosa trattenesse il respiro attorno a sé, come se fossero in attesa di qualcosa.
«Ma certo che no, stai tremando come una foglia!»
La donna era di una bellezza semplice e pulita, con i capelli rossi legati in un'articolata capigliatura e le carnose labbra rosse dalla quale proveniva la voce rassicurante che le trasmetteva una strana tranquillità. Portava una corona sulla testa ed era stata accompagnata da guardie vestite dello medesimo colore. Alice si chiese perché tutte quelle persone fossero vestite in quel modo ridicolo, a causa di cosa fossero lì, quale fosse il loro nome.
Per Alice questo era anche troppo. Con un ultimo sospiro, si lasciò andare sull'erba bagnata, perdendo i sensi.

«Ecco, è svenuta!» esclamò la Regina alzando gli occhi al cielo. «Portatela al castello. Ho bisogno di sapere chi è e come ha fatto ad arrivare fin qui.»
Uno dei Fanti fece un passo avanti verso di lei, mentre altri si affrettavano a prendere Alice ancora incosciente ed introdurla dentro la carrozza. «E poi, Vostra Maestà, cosa ne sarà di lei?»
La Regina di Cuori alzò le spalle, sbadigliando con noncuranza. «La sua testa rotolerà lontano, e non mi causerà più alcuna noia.»







Here I Am!
Buongiorno a tutte e a tutti :) Sono tornata dalle vacanze ieri (è stato un trauma) e ho deciso di postare subito per non perdere troppo tempo, visto che non aggiornavo da un sacco.
Questo capitolo è molto semplice in realtà: Alice cade dentro il cilindro di Jefferson ma non riesce ad aprire alcuna porta apparte quella di Wonderland perché Jefferson aveva infranto le sue leggi trasferendosi con Grace nella Foresta Incantata. Rumplestiltskin si rivela un grande cattivone ma aspettate prima di giudicarlo male, l'ha fatto per un buon motivo. Da sua grande fan tendo a difenderlo anche nelle mie storie. Che disagio.
Quindi, Rumple e Cora erano d'accordo e Jefferson viene imprigionato. Nei prossimi capitoli vedremo come Alice si ambienta nel castello della Regina di Cuori ma no spoiler!
A proposito, avete visto le foto del cast di OUAT in azione? Sembra proprio che la Captain Swan avrà un lieto fine hihi.
A presto! xx
Frannie.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Capitolo V


«Si sta' svegliando, non è vero?»
«Guardate, muove le palpebre!»
«Mia cara, come ti senti?»
Alice si mise seduta, guardando smarrita attorno a sé.
Fa' che sia stato tutto un sogno.
Vide la Regina, accompagnata da due Fanti, che le accarezzava con delicatezza il viso. «Va tutto bene, mia cara, hai solo sbattuto la testa. Hai dormito per un paio di giorni, ma ora ti va' di raccontarmi da dove vieni?» le chiese, con un sorriso rassicurante e premuroso.
Alice deglutì, ma la sua gola era troppo secca perfino per parlare. «Io...io credo di essere matta.»”
«Fa' che funzioni, fa' che funzioni. FA' CHE FUNZIONI! Fa' che funzioni, fa' che funzioni...» Jefferson continuava con quella frase da un tempo che non sapeva più definire. Settimane, oppure giorni, mesi, forse solo qualche ora.
Era impazzito. Faceva un cappello, poi provava a farlo funzionare. Era ogni volta tutto era inutile e allora iniziava da capo. Intorno a lui vi erano sempre più cappelli a cilindro, che sembravano non finire mai: aumentavano di minuto in minuto, o forse erano tempi più lunghi, ma lui non sapeva.
Era solo il Cappellaio Matto. Alla corte della Regina di Cuori ormai era conosciuto con quel nome, probabilmente per via di quegli occhi spiritati che aveva costantemente.
Non curava più il suo aspetto, niente aveva più senso o importanza a parte cercare di far funzionare un cappello e tornare da Grace. La sua piccola era la sola cosa che lo tenesse ancora lucido, seppur poco. Ma ogni giorno che passava portava via con sé un pezzo delle sue speranze, finché sarebbe arrivato a non averne più e perdere se stesso completamente.
Aveva finito un altro cappello e ora lo fissava, con sguardo vuoto. Aveva già visto la stessa scena troppe volte per crederci davvero.
All’improvviso l’immensa porta della stanza si aprì con gran rumore, ma Jefferson, girato di spalle, non ebbe alcuna intenzione di dedicare la sua attenzione al nuovo ospite.
«Oh, salve...scusatemi, credevo che questa fosse la porta della mia stanza. Cielo, qui le porte sono tutte uguali...»
Jefferson si girò di scatto e vide a chi apparteneva la voce squillante ma delicata che l'aveva svegliato dal suo torpore: una ragazza, dai lunghi capelli biondi, ricci e parecchio scompigliati, che le cadevano in alcune ciocche sul viso e che indossava un abito azzurrino semplice nel quale però era evidente si sentisse a disagio, indice che non era solita a indossare vestiti del genere. Lo fissava con i suoi occhioni azzurri, vispi e curiosi, scioccata alla vista di tutta quella orda di cappelli sparsi che li dividevano.
«Tu chi sei?»
«E tu come sei arrivata qui?»
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, è maleducazione. Comunque, io farò la persona educata. Mi chiamo Alice.» affermò lei, avvicinandosi.
Jefferson la fissava, quella ragazza, la fissava senza capire. Gli occhi di un pazzo, che si specchiavano in quelli curiosi di lei. C'era qualcosa in essi, così profondi, così infantili, così immensi, che lo inchiodava lì dov'era.
Lo osservava come se fosse uno strano fenomeno da baraccone.
«So che può sembrare strano, ma...be', un cappello ha aperto una voragine sotto ai miei piedi proprio davanti a casa quando l'ho lanciato via e ci sono caduta dentro. Ecco come sono arrivata.»
Cappello.
Un brivido folle percorse la schiena di Jefferson e una risata da matto qual'era esplose fuori dalle sue labbra. «Un cappello! Dunque io, mia cara Alice, io sono il Cappellaio Matto.»
Prese il suo cilindro, lo sollevò e lo abbassò facendo un profondo inchino, senza nemmeno saperne il perché. Era il Cappellaio Matto, lui non doveva avere un perché. Tutto gli era concesso. Non era Jefferson, chi era Jefferson? Un uomo disperato che faceva inutili cappelli che non avrebbero più funzionato, un fallito, un'anima solitaria che si era fatta prigioniera di sé stessa.
I cappelli erano inutili ma quella ragazza, quella ragazza era la chiave di tutto. Avrebbe solo dovuto tornare alle specchio e poi...la libertà. La libertà, tornare da Grace.
Grace, Grace, Grace.
Quel nome si rigirava tra la lingua come una caramella. Poteva importare altro a quel mondo? Niente. Niente doveva importare. Nemmeno il destino di quella giovane donna che aveva di fronte. Alice. Avrebbero potuto farle quello che ne volevano, lui non poteva pensare anche alla sua piccola Grace.
Si avvicinò alla sconosciuta, scavalcando i cappelli e prendendola a braccetto. I suoi modi erano così spontanei e privi di senso che la bionda, seppur confusa, non poté far altro che assecondare.
I pazzi si assecondano. E' questo il loro vantaggio, nessuno cerca mai di contraddirli, perché in fondo tutti ne hanno paura.
«Allora. Alice! Raccontami da dove vieni, ti va?»
La ragazza lo guardò spalancando la bocca, e stizzita ritirò il braccio da quello di Jefferson.
«Sinceramente mi sembri più il figlio di Dracula e Biancaneve che Il Cappellaio Matto.» ammise con ironia. «Il Cappellaio non esiste. E' parte di una favola, così come la Regina di Cuori.»
«E dimmi, mia cara, di quale favola fanno parte?»
«Di...Alice.» questa rabbrividì al solo pensiero che tutto ciò fosse reale. «Alice in Wonderland. Ma questo non è possibile!»
«Solo se credi che lo sia! Comunque, io sono il Cappellaio Matto, e puoi chiamarmi così se ti va. Se non ti va, non chiamarmi.»
«Questo è solo un sogno!» insisté Alice. «Non posso essere la vera Alice, lei cade dentro la tana di un coniglio e...»
«E incontra tante creature strane come un Cappellaio Matto, una Regina malvagia, il Brucaliffo e...»
«Ma tu come fai a saperlo?» domandò lei, assumendo la medesima espressione sconcertata del compagno.
Jefferson scrollò le spalle, sorridendo nostalgico. «So tante cose, Alice, ma infondo non so nulla. E ancora non so bene come sei arrivata fin qui...»
«Te l'ho detto, sono stata travolta dentro un cilindro dopo averlo lanciato per terra!»
Dopo quelle ultime parole, gli occhi spiritati di Jefferson diventarono grandi come laghetti. Lanciò un grido stridulo e la prese per le spalle, scollandola con forza. «Un cilindro. Un cilindro?!»
Questa annuì con foga, spaventata a morte ma al contempo affascinata dai comportamenti pazzoidi di quell'eccentrico individuo.
Jefferson rise. Una risata cristallina, euforica, maniacale; e di nuovo il suo sguardo fu attraversato da un improvviso bagliore di lucidità.
«Significa che posso tornare dalla mia Grace!»
«Chi è Grace?»
«Una...persona. Una persona importante, importantissima.»
Alice rimase piacevolmente colpita dal modo in cui tutto il dolore e il tormento patito abbandonava il volto di Jefferson quando parlava di questa Grace. Che fosse una moglie, un'amica o un parente, l'amore che il Cappellaio provava per lei era palpabile ed incondizionato. «Ma come farai a tornare da lei? Sembra che tu abbia passato tanto tempo qui dentro e non credo che la Regina sia intenzionata a liberarti...»
Egli afferrò il gomito della giovane e la trascinò fino al corridoio. «Con il tuo aiuto. Ho bisogno che tu mi porti uno dei funghi che crescono nel giardino di Cora. No, non uno qualsiasi. Bada bene: il fungo più scuro ti fa crescere, quello più chiaro ti fa rimpicciolire.»
Alice lo guardò perplessa, incerta se credere alle parole di quel povero malcapitato oppure no. Il volto del Cappellaio però non ammetteva repliche e ciò turbò ancora di più la ragazza.
Cappellai, funghi che fanno crescere e che fanno tornare piccoli, Regine e Fanti. Credi ancora di essere in una favola? Crederai a tutto ciò quando sarà troppo tardi?
«Va bene, ma prima voglio sapere il tuo nome, quello vero.»
«Sono un semplice cappellaio, te l'ho già detto.»
Alice sbuffò, prima allontanandosi lentamente, poi correndo e attraversando un corridoio dopo l'altro attenta a non incrociare i Fanti o, peggio ancora, la Regina stessa.
Perché ella aveva rinchiuso il Cappellaio in una torre? Chi era Grace? E perché egli stesso aveva creato tutti quei cappelli?
Ma tanto, se è un sogno, perché dovrebbe interessarti?
Una volta giunta fuori dal castello si arrestò di colpo, notando dei grandi funghi porcini in mezzo ai cespugli. Si allungò il più possibile per prendere quelli più chiari, color arancio sporco, e raccoltone uno se lo mise in una tasca con soddisfazione. In cambio di quel fungo voleva ottenere la libertà.
Ripercorse il giardino e i corridoi silenziosi, ritrovandosi davanti alla porta socchiusa nella quale il Cappellaio la stava aspettando. Il portone cigolò e in quel preciso momento Jefferson le fu addosso, pretendendo il suo fungo a tutti i costi. «Ce l'hai fatta? Qualcuno ti ha vista?»
«Calmati, Cappellaio, non c'è motivo di allarmarsi.» Alice estrasse il fungo, esibendolo sul palmo della mano. «Eccolo qui.»
Jefferson strabuzzò gli occhi spiritici, allungando le dita callose a causa del continuo cucire verso l'unica speranza che l'avrebbe portato da Grace. Lo strappò dalle mani di Alice, che lo fissò confusa mentre egli si avviava verso la finestra.
«Aspetta! Ovunque tu stia andando, portami con te.»
«E perché dovrei farlo?»
«Voglio tornare a casa.»
Ma dov'è casa?

 

«Perdonatemi, io...si è scheggiata.» pronunciò Belle con voce flebile e dall'aria desolata, piegandosi per raccogliere la tazzina caduta rovinosamente sul tappeto. «Non si nota nemmeno, ma ecco...» mostrò il danno fatto a Rumplestiltskin, che alzò le spalle stupido dal dispiacere e della premura nei confronti di quel semplice e banale oggetto in ceramica del quale a nessuno era mai importato un granché.
Sembrava che, lasciandoselo scivolare dalle mani, gli avesse fatto un torto irreversibile.
«Non m'importa, è solo una tazza.»”

 

«Be', ma tu sei entrata da sola nel cappello, giusto?» chiese Jefferson, togliendo il piede penzolante nel vuoto per girarsi verso Alice. «Dunque uno solo può uscire e ne sono desolato, lo sono davvero mia cara, ma io ne ho molta più urgenza di te.»
E dopo queste parole spiazzanti, Jefferson addentò un pezzo del fungo e balzò fuori dalla finestra mentre si trasformava in un omino non più grande di un pollice.
«No!» urlò Alice in preda alla disperazione più totale, affacciandosi alla finestra.
Del Cappellaio però non c'era più traccia, e così era scomparsa la sua unica possibilità di tornare a casa.
Si appoggiò al muro, lasciandosi scivolare per terra e portando le mani al viso.

L'avrebbe fatta pagare molto cara e quello screanzato di un Cappellaio!






Here I Am!
Ciao a tutti c: spero le vacanze stiano andando bene per tutti voi (anche se, disgraziatamente, stanno per finire).
Dunque, in questo capitolo Alice si trova più nei guai di quanto le pensi. Arrivata nella corte della Regina di Cuori, Alice si sveglia e incontra il Cappellaio Matto (finalmente lol) trasandato e lunatico, il quale solo pensiero è di tornare dalla sua Grace. Infatti, una volta scoperto che Alice è arrivata a Wonderland trammite il suo cappello, subito la inganna per correre dallo specchio per tornare da sua figlia. Oltretutto, Cora non sembra disposta ad aiutarla, e per questo Alice dovrà cavarsela da sola. 
Be', spero che questo capitolo via sia piaciuto! Da  qui in poi ci saranno molte parti Rumbelle tutte gentilmente offerte dalla raccolta di padme83 "In the morning you always come back" :)
A presto,
Frannie.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Capitolo VI

 

«Alice, Alice!» si sentì chiamare la ragazza, che si girò di scatto verso colui che l'aveva chiamata a gran voce.
«Ciao, Will.» salutò il Fante con un sorriso, ma egli non sembrò in vena di chiacchiere.
William Scarlett, un Fante al servizio della Regina di Cuori, l'aveva aiutata a ristabilirsi dopo lo svenimento e ad orientarsi all'interno del castello; avevano fatto conoscenza ed Alice, seppur introversa e schiva, era felice di aver almeno un appoggio in quel che dicevano fosse Wonderland. Di lui, almeno, sembrava ci si potesse fidare.
Will interruppe la sua corsa, ansimando con gli occhi inquieti che saettavano da una parte all'altra per verificare che non ci fosse qualche presenza indiscreta nei dintorni. «Hai liberato il Cappellaio, vero?»
Il volto di Alice si tramutò, diventando serio e carico di rabbia repressa. «Si, ma non è servito a molto...»
«Cora lo sa.» dichiarò allora Will. «Lo sa, maledizione! E vuole giustiziarti oggi stesso.»


Jefferson sentì il suo corpo ingrandirsi ed allungarsi sempre di più, fino a quando non raggiunse la sua altezza normale. Stizzito e seccato, si domandò perché diamine l'effetto del fungo fosse finito così presto, ma ogni suo quesito ottenne una risposta quando sentì una voce glaciale alle sue spalle.
«A quanto vedo, ora sei libero.»
Rimase fermo sul posto, quasi pietrificato. Era la sua voce.
Si girò di scatto, procedendo con passo marcato verso colui che aveva parlato e se ne stava comodamente appoggiato al gambo di un fiore, guardandolo con le pupille tonde e penetranti.
«Tu!» gridò, puntandogli un dito contro e tremando di rabbia. «Come osi rivolgermi la parola dopo tutto ciò che mi hai fatto?»
Rumplestiltskin si mise ritto e, nonostante fosse mezza testa più basso di Jefferson, non esitò a scoccargli un'occhiata di sfida, portandosi una mano al petto. «Io ho solo rispettato il nostro accordo.»
«E come? Consegnandomi a Cora e facendomi rinchiudere per tutto questo tempo?» lo accusò il Cappellaio, con il viso rosso e gli occhi spalancati.
«Pensavo che questa esperienza ti avesse insegnato qualcosa...» Rumplestiltskin sorrise. «Per esempio che non bisogna abbandonare le persone che ti porgono un aiuto prezioso.»
Jefferson abbassò l'indice e fissò il folletto senza capire. «Di che cosa stai parlando?»
«Della povera fanciulla che hai abbandonato al suo malaugurato destino, ovviamente! La giustizieranno molto presto per averti aiutato.»
«Devo tornare da Grace, nulla ha più importanza di questo. Tu sai dove si trova, non è così?»
«Certamente.» rispose Rumplestiltskin. «Tuttavia, la Regina Cattiva ha lanciato un sortilegio e...»
«Lo so cos'è successo. Voglio solo sapere dov'è mia figlia, me lo devi.»
«E' nello stesso luogo da cui proviene Alice.»
Jefferson arretrò, come se fosse stato colpito da un pugno invisibile. Non si domandò perché Rumple sapesse il nome di quella ragazza, l'unica cosa che riusciva a pensare era che gli sarebbe bastato attraversare lo specchio che stava a pochi passi da lui per rimettere tutte le cose al loro posto.
«C'è qualcosa che non torna.» affermò il Cappellaio dubbioso. «Se tu sei riuscito a tornare indietro...perché nessun altro l'ha fatto?»
Rumplestiltskin rise, allargando le braccia con fare teatrale. «Io non sono mai tornato, Jefferson. Non sono realmente qui.»
Quest'ultimo strizzò gli occhi, confuso e disorientato sempre più. Il suo cervello non avrebbe retto a tutta quella follia ancora per molto: doveva capire al più presto cosa fosse successo, oppure avrebbe perso quel poco di lucidità che ancora possedeva.
«Non capisci? Le ho dato io il cappello, in modo che venisse a liberarti.»
«Ma...perché?» gli chiese aggrottando le sopracciglia.
«Io rispetto sempre i miei patti.»
Silenzio. Silenzio assoluto.
Sentì solamente il suo battito cardiaco aumentare sempre di più, mentre ricordi lontani creduti inafferrabili si facevano spazio nella sua mente.

«Dunque devo tornare a Wonderland, intrufolarmi nel castello di Cora e pugnalare il suo cuore. Ci proverò, ma in cambio voglio...»
«Incontrare di nuovo il tuo vero amore, non è così?» concluse Rumple, esibendo un sorrisetto malandrino e per nulla affidabile.
Jefferson sospirò a fondo, ma Rumplestiltskin non poté ignorare i suoi occhi diventare lucidi al chiarore della luna. «Dimmi cosa devo fare.»”


 

Alice rimase immobile. «Ma questo è un sogno, non mi può accadere nulla di male.»
Will la prese per le spalle, costringendola a guardarlo in faccia. «Questo non è un sogno! Devi scappare e allontanarti da qui!»
La ragazza non poté far a meno di venir contagiata dall'angoscia palpabile mostrata dal Fante.
E' un sogno piuttosto reale, non credi?
«La Regina è malvagia, strappa i cuori dai corpi delle persone e pratica la magia nera; non ti puoi fidare di lei.»
Alice sospirò, grattandosi il capo con perplessità. «Se credi che scappare sia la cosa giusta da fare...»
«Maledizione Alice, certo che lo è!» esclamò Will spazientito. «Attraversa lo specchio e tornatene a casa.»
«Temo non sia più possibile.»
Ma dov'è casa?


 

*"«Basta così, Belle. Mi hai convinto.»
Con un ultimo, fluido gesto del braccio, Belle ritornò alla posizione di guardia, ed un lieve sorriso trionfante prese ad incresparle le labbra vermiglie.
Impudente
.
Irresistibile.
«Chi ti ha insegnato tutto questo, dearie?»
Rumplestiltskin avrebbe parlato di qualsiasi cosa, anche dei capricci improvvisi del tempo, pur di distogliere l'attenzione dai riccioli ribelli che ricadevano sul collo sinuoso di Belle, e che correvano a solleticarle lievemente le scapole nude e perfettamente modellate – lembi di pelle nivea ed invitante, che facevano capolino attraverso l'audace scollatura della camicia, e che lo tentavano al limite di ogni sopportazione.
Ammaliandolo.
Torturandolo.
«Garet Jax, Signore, il Capitano delle Guardie Reali di mio padre.»
«Garet Jax...sì, ne ho sentito parlare, ma è morto parecchi anni fa, proprio nella vostra Guerra contro gli Orchi, mi sembra. Non ho avuto la possibilità di incontrarlo di persona, poiché mai si è rivolto a me per stipulare un contratto. Il che in effetti fa presupporre che la sua intelligenza non fosse solo il frutto delle leggende che circolano su di lui.»
«Sono molte le leggende che circolano su di lui, Signore, ma la sua intelligenza non è mai stata solo una diceria, era un dato di fatto.» lo sguardo di Belle si illuminò di sentimento mentre si lasciava sommergere dalla marea dei ricordi, e Rumplestilskin, sensibile ad ogni più piccola sfumatura d'emozione che attraversava il volto della fanciulla, percepì chiaramente una parte di sé spezzarsi con un colpo secco e sordo proprio lì, all'altezza del cuore. E cominciò a sanguinare dentro, lentamente, senza rimedio.
«Lo ammiravi molto.»
Non una domanda. Una constatazione.
«Sì, certo, come tutti, credo. Ne ammiravo l'integrità, e l'incomparabile coraggio. Non sono molti gli uomini a questo mondo che ne dispongono in egual misura.»
Ce ne sono addirittura meno di quanto credi, sweetheart, e la bestia che sta accanto a te ne è una prova lampante. Integrità. Coraggio. Parole che mi sono del tutto estranee. Nemmeno con tutto il mondo ai miei piedi sono riuscito a liberarmi dalla certezza di essere sempre un vigliacco, inevitabilmente incapace di prendere una decisione che non ponga me stesso al di sopra di tutti gli altri e al sicuro da ogni pericolo. No, io non sono come lui, io non sono come te, perché la verità, sweetheart, è che c'è più coraggio nell'unghia di un tuo dito che in tutta la mia onnipotenza. E non guardarmi così, maledizione, come se cercassi di farmi capire che quello che scorgevi nel tuo Maestro sia presente anche un po' in me, nascosto da qualche parte, perché non è così, te lo posso assicurare. Non intestardirti a voler scovare qualcosa che in realtà non c'è, non c'è mai stato, né mai ci sarà. Io sono un codardo, Belle, un codardo ed un inetto e tu... tu non hai niente a che fare con me. E adesso...adesso capisco da dove arriva tutta la straordinaria forza che hai dimostrato quando ti ho portata qui con me. Chissà se avevi lui davanti agli occhi mentre ti strappavo via dalla tua famiglia. Chissà se è a lui che hai rivolto il cuore mentre mettevi il tuo popolo davanti alla tua stessa vita. Sarebbe fiero di te, di questo puoi esserne certa. E, d'altra parte, solo uno come lui potrebbe essere degno di te. 
E quel qualcuno, Belle, non sono io.
«Dubito che la cena si prepari da sola, dearie.» Le parole uscirono come serpi sibilanti dalle labbra di Rumplestilskin. «Adesso vuoi cortesemente lasciar perdere le spade e filare in cucina, se non ti dispiace
Delusione – dolore – nei suoi occhi di rugiada.
«Ai vostri ordini, Signore
Belle lasciò la sala d'armi sbattendo la porta, e i pensieri dell'Oscuro si tinsero di tenebra, mentre la bocca si contorceva in un ghigno inumano e spaventoso – la smorfia ferina e crudele di un demonio.
Un giorno – neanche troppo lontano – mi ringrazierai, Belle.
Credeva che almeno questo gli sarebbe stato di qualche conforto. Si sbagliava.
Non c'era alcuna luce nel suo oceano di oscurità.
Era stata solo un'illusione.''*


«Ci sono tre pietre: ametista, rubino e smeraldo. Si trovano in mondi diversi e se stretti insieme tra le dita possono avverare il desiderio che più agogniamo, uno e uno solo, ma solo la mano di una persona che possiede la magia può prenderle senza recare danni a sé stessa»
Il Cappellaio fissò il suo compagno con perplessità. «E Alice ne dispone?»
Inaspettatamente, le labbra sottili di Rumplestiltskin esalarono un sospiro, un sospiro ricco di frustrazione e ripensamenti.
Un sospiro di dolore.
Un sospiro che lasciava intendere ogni cosa e che perfino il Cappellaio colse al volo.
Arretrò precipitosamente, mentre i suoi occhi tornavano folli più di prima. «Lei è tua figlia!»
«Proteggila. Portala con te e trovate le pietre, ma attento, le pietre mettono alla prova. Tornerete entrambi a casa.» concluse il folletto che, con uno schiocco delle dita, si dissolse in una nuvola viola.
Jefferson rivolse un ultimo sguardo allo specchio dietro di sé. Avrebbe potuto attraversarlo una volta per tutte e
lasciarsi alla spalle tutta quella storia.

Ma quando avrai Grace, ritroverai anche Adele. Perché lui mantiene sempre i suoi patti."



*”In the Morning You Always Come Back”; padme83 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2809978&i=1





Here I Am!
Salve di nuovo :D Allora, arriviamo subito al dunque. Intanto ringrazio moltissimo - e di nuovo lol - padme83 per avermi gentilmente dato la possibilità di pubblicare parte della sua raccolta nella mia storia.
Ma ora arriviamo al capitolo. Succedono un sacco di cose: per cominciare, un William Scarlett al servizio della Regina di Cuori sembra voler aiutare Alice avvertendola che Cora vuole liberarsi di lei per aver lasciat scappare il Cappellaio.
Jefferson, invece, incontra una persona speciale e si viene così a sapere che Alice è la figlia di Rumplestiltskin. Interessante, eh?
In un primo momento sembrerà cedere al suo egoismo ma, ripensando al patto di Rumple e a ciò che ne guadagnerebbe, decide di restare. Ora spetta a lui andare a liberare Alice e trovare le Tre Pietre che daranno ad entrambi l'opportunità di tornare a casa.
Oppure no?
Al prossimo capitolo! c:
Frannie.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Capitolo VII

 

Will fissava Alice come se avesse compiuto l'idiozia del secolo.
«Credevi veramente che quel tizio ti avrebbe aiutata a scappare?»
La ragazza sospirò amaramente. «Be', in effetti nella favola di Lewis Carroll non lo fa...»
«Si era messo nei guai con Cora anni fa, non vedeva l'ora di scappare!» il Fante scosse la testa e si fece più vicino, abbassando il tono della voce. «Se vuoi un consiglio, scappa il più lontano possibile. Non svelare mai a nessuno il tuo vero nome e rivolgiti al Brucaliffo, forse lui può darti una mano.»
Il Brucaliffo? Perfetto.
«Come posso trovarlo?»
Prima che Will potesse rispondere, Alice scorse una figura oltre le spalle del ragazzo che marciava disinvolta verso di loro e serrò le mascelle, irrigidendosi. Will notò l'espressione contratta sul suo volto e giratosi rabbrividì, inchinandosi precipitosamente davanti alla Regina di Cuori ormai ad un paio di metri da loro.
«Non volevo interrompere la vostra chiacchierata, miei cari. Prego, continuate pure.» disse sorridendo e con voce rilassata.
Solo dopo ciò che aveva scoperto, Alice riuscì a notare quell'impercettibile velo di falsità che traspirava dal volto della donna.
Trattenendo una smorfia di disgusto, ricambiò il sorriso e accennò un piccolo inchino. «Stavo facendo notare al Fante quanto belle fossero le rose rosse del vostro giardino, Vostra Maestà. Crescono numerose e rigogliose in tutti i cespugli e devo ammettere di non averne mai viste di così belle.»
«Non posso darti torto, Alice.» Cora sospirò. «Tuttavia, i Fanti adibiti alla cura dei miei giardini hanno piantato un cespuglio di rose bianche che stona davvero con il resto dei fiori...»
«Mi fareste un grandissimo onoere dandomi l'opportunità di porre rimedio a questo terribile errore.»
Will, rimasto in ascolto con il capo basso fino all'arrivo della Regina, alzò la testa sconcertato dall'ardire di Alice nel proporre una richiesta di quel tipo interrompendo così la Regina di Cuori. Quest'ultima però non batté ciglio: sorrise nuovamente e, prendendo la ragazza a braccetto, si allontanò insieme a lei. Il Fante si fece da parte, domandandosi cosa diamine avesse in testa Alice.
«Dunque, mia cara. Come hai intenzione di sistemare quelle povere rose?»
Alice ci pensò per qualche secondo, cercando di riportare alla mente la favola letta più e più volte quando era piccina alla quale sembrava essere finita dentro. «Possedete delle tempere, per caso?»

**
 

Mentre si puliva la mano sporca di rosso sul grembiule, Alice si guardò intorno: era quasi a metà dell'opera. Circa tutte le rose del lato sinistro della siepe gocciolavano tempera color porpora. Asciugò la fronte umida con il palmo della manica e sbuffò dalla stanchezza senza farlo notare alla Regina di Cuori, che le girava attorno osservando il suo operato.
«Devo ammettere che sei molto brava, Alice.»
La ragazza cercò di trattenersi dal mostrare la rabbia che provava nei confronti della Regina e tacque per qualche secondo, meditando su come rispondere. «Vi ringrazio, Vostra Maestà. Tuttavia...voglio proporvi un accordo. Finirò le rose come vi ho promesso e poi mi permetterete di tornare a casa.»
«Un accordo.» Cora sorrise maliziosamente. «Come quello che hai stipulato con Jefferson, no?»
Fissava Alice con astuzia, ma la ragazza non si lasciò intimorire. Le rivolse un'occhiata perplessa, inzuppando il pennello con altra tempera. «Perdonatemi, ma chi è Jefferson?»
«Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda.»
«Non cambiate discorso.»
La Regina di Cuori serrò le mascelle, mostrando la durezza che aveva represso nei confronti di Alice fino ad allora e riprese a girarle intorno. «Molto bene, vi lascerò andare.»
Alice non credette alle sue orecchie e corrugò la fronte, con il pennello gocciolante sospeso a mezz'aria. «Non...non vuole giustiziarmi?»
«Certo.» ammise la Regina senza timore. «Ma se andrà come predico io, otterrò ugualmente quello che voglio.»
«Voi siete senza cuore.» Alice guardò il suo interlocutore con tutto il disgusto che provava nei suoi confronti. Nonostante ciò, la Regina non reagì come la ragazza avrebbe pensato; al contrario scoppiò in una fragorosa risata, quasi volesse prendersi gioco di lei.
«Temo proprio che tu abbia ragione, mia cara.»
Quelle parole provocarono un forte brivido lungo la schiena di Alice che, mentre osservava angosciata la sua prima nemica allontanarsi, sentì bisbigliare il suo nome alle sue spalle.
Si girò, molto innervosita a causa di tutte quelle stranezze, quando comparve davanti a sé la stranezza in persona.
«Ah, ciao Alice. Chi non muore si rivede!»
Guardò senza parole il giovane Cappellaio a grandezza naturale davanti a sé e, presa dalla rabbia più folle, lasciò cadere il pennello in mezzo all'erba e gli sferrò un gancio destro con tutta la forza che possedeva in corpo.
Jefferson imprecò sonoramente, massaggiandosi il naso e trattenendo il sangue che scivolava giù. La fissò con gli occhi sbarrati.
Com'era possibile che quell'angelo dai capelli ricci e dalla pelle candida possedesse dentro di sé tutta quella furia?
«Ma perché l'hai fatto?!»
«Perché l'ho fatto? Perché l'ho fatto?!» sbraitò Alice rossa in volto. «Perché hai tradito il nostro accordo, approfittando della mia bontà e lasciandomi nella mani della Regina di Cuori, che ha scaricato la colpa della tua fuga su di me e ora ha intenzione di giustiziarmi! Brutto disgraziato...» prima che potesse rimettergli le mani addosso, Jefferson bloccò la ragazza per i polsi guardandola dritto negli occhi.
Ma ora sono qui, Alice. Tu sei speciale. E possiedi la magia. E mi aiuterai a tornare a casa. Da Grace.
«Voglio solo aiutarti, è così impossibile da credere? Nulla è impossibile in Wonderland!»
Alice ricambiò lo sguardo, così confusa ed esterrefatta da non riuscir a formulare una frase di senso compiuto.
Ma dov'è casa?










Here I Am!

Buonasera a tutti :) Ohoh, qui le cose iniziano a farsi interessanti. Il capitolo è un po' più corto rispetto agli altri ma mi sono divertita tantissimo a scriverlo, soprattutto la parte in cui Alice dipinge le rose della Regina e sono contenta di come è venuto fuori.
Jefferson sembra ricostituito e ha intenzione di portare Alice in salvo (principalmente per i comodi suoi, ma non si sa mai che poi cambi idea...), ma saranno mai davvero in salvo? In un posto così? Cora sembra davvero determinata a farli fuori, in un modo o nell'altro, e le sue ultime battute fanno capire che i due dovranno superare prove belle toste se vorranno tornare a casa sani e salvi.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate avuto un buon rientro a scuola (oggi era il mio primo giorno di liceo, arg!). Lasciate una recensione che mi fate felice C:
A moooolto presto!
Frannie. (:

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Capitolo VIII

 

«Si può sapere cosa ti prende?» sbottò il Cappellaio quando Alice si liberò dalla morsa che le teneva stretta per i polsi. «Non ti fidi?»
«Come potrei?» ribadì la ragazza.
«Non ti fidi!» esclamò Jefferson sconvolto, alzando le braccia verso il cielo. «Non ti fidi, brutta ingrata! Molto, molto bene!»
Alice si mostrò perplessa. «Perché vuoi aiutarmi?»
Egli si passò le dita tra i capelli, ravvivandoli. «Dovresti saperlo, ma non lo sai. E non ti fidi. Quindi non meriti di saperlo.» decretato ciò, il Cappellaio non disse una parola in più né una di meno e con passo indignato si girò dalla parte opposta, marciando in direzione del bosco.
Alice lo osservò mentre si allontanava, con l'orgoglio che le impediva di seguirlo ma la curiosità che la spronava a raggiungerlo.
Di chi è meglio non fidarsi? Del Cappellaio Matto o della Regina di Cuori?
Roteò gli occhi esasperata e corse verso colui che racchiudeva in sé tutta la stranezza di quella terra così lontana da casa.
Ma dov'è casa?
«Ehi, tu!» raggiuntolo, si aggrappò ad una sua spalla e fece una smorfia infastidita notando la differenza d'altezza che li divideva. «Fermati, dove stai andando?»
«Perché dovrebbe interessarti?» chiese Jefferson continuando a camminare con passo veloce e la testa puntata in avanti.
«Ti ho già detto che non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. Sei proprio un maleducato!»
In tutta risposta, egli scoppiò in una sonora risata che, verso la fine, risultò addirittura maniacale. Poi si arrestò in mezzo agli alberi: il castello di Cora sembrava essere molto, molto lontano, anche se avevano percorso solo una cinquantina di metri.
«Voglio tornare da Grace e il destino ha voluto che si trovi proprio dal mondo da cui provieni tu.» ammise infine, ma notando la faccia di Alice restia dal credere a qualsiasi cosa avesse pronunciato, realizzò che con le parole non avrebbe ottenuto nulla.
Si avvicinò a lei e rivolgendola verso la Valle, la spinse con forza.
Alice si sentì fradicia, come se un'onda d'acqua l'avesse travolta. Sbatté le palpebre un paio di volte, disorientata, ma appena vide Jefferson materializzarsi accanto a lei sobbalzò dallo spavento. «Cos'è successo?»
«Abbiamo superato il confine. Non siamo più nel regno della Regina di Cuori.»
Prima di poter tempestarlo di inutili domande, la ragazza venne condotta dal Cappellaio verso la cima della collina.
«Benvenuta nella Valle dei Tulipani, Alice.»

 

*“Quando l'hai vista per la prima volta con i capelli sciolti, era notte fonda e per entrambi non c'era verso di riuscire a dormire.
Il Generale Inverno teneva l'intera valle nella morsa pungente di un gelo maligno, e all'interno del Castello Oscuro ci si difendeva a malapena grazie ai camini, tenuti accesi in una manciata di stanze.
L'aria era secca e ferma e, fin dal pomeriggio inoltrato, aveva portato con sé presagi certi di neve imminente.
La luna non aveva fatto che una fuggevole comparsa, essendo da giorni nascosta, così come il sole, da una spessa coltre di nuvole gravide.
Anche quella sera avevi indugiato a lungo nel salone principale, rapito – come sempre – dal cigolio sommesso e dal movimento ipnotico della ruota dell'arcolaio, che sotto il tocco delicato e preciso delle tue mani trasformava instancabile matasse su matasse di umile paglia in fulgido oro; il prezioso metallo emanava un tiepido bagliore aranciato nel riflettere la luce soffusa del focolare acceso. Un silenzio irreale avvolgeva la tua dimora, e se ti capitava di chiudere gli occhi per qualche istante, potevi quasi illuderti di essere rimasto davvero l'unica creatura ancora vivente al mondo.

Ma quella notte era destino che non riuscissi a trovare requie.
Non l'avevi nemmeno sentita arrivare, perso com'eri nei tuoi cupi pensieri. E quando, levando all'improvviso gli occhi dall'arcolaio, te la sei trovata accanto, sei rimasto a fissarla a lungo, immobile ed attonito, come al cospetto di una visione divina.
Hai mai conosciuto davvero la bellezza, prima di questo momento?
Occhi come laghi di montagna spazzati dal vento in una mattina d'estate ti fissavano ricolmi di segreti inconfessati, mentre con voce fioca ti chiedeva il permesso di rimanere in tua compagnia, dal momento che, anche per lei, quella notte il sonno tardava ad arrivare. Affrontare una crisi d'insonnia nella solitudine delle prigioni di un simile maniero era una prova davanti alla quale anche l'animo più impavido avrebbe perlomeno vacillato.
E lei è già costretta a lottare strenuamente ogni giorno per resistere accanto ad un mostro come te.
Non riesci a ricordare se effettivamente le avevi dato il permesso di restare, o se davanti al tuo prolungato silenzio lei si era sentita comunque autorizzata ad accoccolarsi sulla tua poltrona preferita, la stessa che da anni divideva la compagnia dell'immenso camino insieme al tuo amato arcolaio.
La verità era che, dal momento in cui con la sua sola presenza aveva colmato il vuoto di quella stanza buia, dentro e fuori di te null'altro aveva più avuto senso ed importanza. La guardavi con la meraviglia stupita di un bambino che si ritrova per la prima volta dinnanzi all'immensità del mare.
Indossava una semplice camicia da notte bianca, che le scivolava morbida intorno al corpo snello, e un ampio scialle languidamente drappeggiato attorno alle esili braccia. Il collo sinuoso e niveo emulava le eteree fattezze di una statua di marmo, e la sua serafica perfezione contrastava con la dolce carnosità delle labbra morbide e piene, che con la loro
impudenza scarlatta andavano a sfregiare il candore immacolato del viso più puro cui il Creatore avesse mai messo mano.
Ma il particolare che più di ogni altro ti toglieva il fiato e ti offuscava la ragione, era la chioma folta e selvaggia che le ricadeva scomposta – mai prima di allora si era presentata davanti a te senza essere perfettamente in ordine! – sulle spalle fino a raggiungere la vita sottile. Non ne avevi mai vista una eguale. Ardeva come vivida fiamma, e i luminosi bagliori dai quali era percorsa rivaleggiavano per intensità e splendore con le lingue di fuoco che ancora guizzavano nel braciere. Incorniciava la sua persona come una pioggia serica di grazia e calore, e donava all'espressione tormentata dei suoi occhi una intensità e una consapevolezza che non avresti mai ritenuto possibile aleggiassero nell'animo e nel cuore di una fanciulla tanto giovane.

Chissà se a passarci le dita attraverso si corre il rischio di rimanere bruciati?
Ricordi di aver pensato che ne sarebbe comunque valsa la pena.
Se lei si fosse accorta o meno del tuo sguardo avido, non sei sinceramente in grado di dirlo. Sai solo che ad un certo punto – erano passati minuti, ore,
giorni? – lei si alzò, e con pochi passi fluidi lasciò la stanza, ringraziandoti timidamente per averle concesso di trovare in te un appiglio (per quanto miserabile e muto!) contro la sua solitudine, e augurandoti la buonanotte.
Rimasto di nuovo solo, l'occhio ti cadde involontariamente sul mucchietto d'oro appena filato ai tuoi piedi. Non sembrava più tanto prezioso, ora. Vicino al suo fulgore, tutto sbiadiva.
Non avresti sognato altro che lei e i suoi capelli di fiamma, fino all'alba.

Quando il mattino seguente ti raggiunse come di consueto con la colazione, non ti accorgesti subito di cosa ci fosse in lei di diverso rispetto a tutti gli altri giorni.
Poi d'un tratto lo capisti, e il tuo cuore mancò un battito.
Aveva lasciato sciolti i capelli.”*

 

Mentre scendevano la collina, Alice continuava a porre domande con fare petulante che cominciavano a stancare il Cappellaio.
«Il tuo vero nome non è Cappellaio Matto.»
Ma non poteva stancarsi, aveva tutto il tempo del mondo. E d'altronde, era pazzo. I pazzi non sono così razionali.
Non si rendeva conto che la sua follia era sempre più una costruzione mentale, una difesa contro il mondo esterno. E Alice si era mostrata disarmata ma del tutto capace di abbattere quella barriera fatta di mattoni d'assurdità.
«Cappellaio Matto è il mio vero nome. Il verissimo nome! Conta se una cosa è vera o falsa? Non conta! Conta che esista! Guarda.» indicò gli enormi fiori che li sovrastavano, guardandoli con occhi che non erano davvero occhi e parlando di loro con bocche che non erano davvero bocche. I loro colori erano così sgargianti che sembravano fatti per non essere compresi. Niente di simile avrebbe mai visto l'occhio di un uomo in qualsiasi altra parte dell'universo.
«Loro! Sono veri? Sono falsi? Cosa importa, esistono!»
«Ma non ha senso... se li posso toccare significa che sono veri! O almeno, dentro la mia testa...»
«Tu...tu puoi...toccarli, Alice?»
Parlava con uno strano ritmo. Come se quello che dicesse uscisse fuori dalle sue labbra senza che la mente vi avesse realmente dato un senso. Lui parlava normalmente, poi rallentava, si fermava, accelerava, rallentava di nuovo.
Alice veniva disorientata, il che la rendeva più traboccante di domande di quanto non fosse di solito, ma stranamente si trattenne per un po' dal chiedere qualsiasi cosa, e si faceva trascinare dal quell'uomo attraverso quell'accozzaglia di variopinta vegetazione.
«Certo che posso! Basta allungarsi...» Alice fece per tendere la mano verso lo stelo di uno di quegli immensi fiori, ma il Cappellaio le schiaffeggiò la mano in tempo, come si fa con i bambini quando toccano qualcosa che non dovrebbero.
«Ah! Ah-ah-ah!»
Alice rimase stupefatta da quella reazione e abbassò la mano fulminando Jefferson con lo sguardo. «Ehi! Perché l'hai fatto?»
«Ti potrei aver salvato la vita, per quanto ne sai. Per...quantonesai.»
«Ma stavo solo...»
«Sssssh.» Jefferson si stava comportando così istintivamente che non ci pensò due volte a posare l'indice sulle morbide labbra della ragazza, avvicinandosi al suo viso come se nulla fosse. Nella sua irrazionalità, non poté far a meno di pensare che Alice profumava di vaniglia ed erba appena tagliata.
La freschezza. La giovinezza.
Si perse ancora una volta negli occhi di lei, poi chiuse i suoi per un secondo in più rispetto al normale.
Quando li riaprì, erano diversi. Alice si era vista zittita dal dito del Cappellaio Matto, che sembrava perdere la Ragione un pezzetto alla volta ad ogni minuto che passava. Eppure ora, a quella distanza davvero ravvicinata, riusciva a sentire il suo respiro.
Era un respiro regolare, calmo, controllato. Il respiro di un uomo normale.
Rispose a quell'intreccio di sguardi, fissando gli opachi occhi di lui. Sparirono solo per un secondo, poi tornarono, diversi.
Lucidi. Lucidi di pianto, lucidi di consapevolezza.
«Va...va tutto bene?»

«Tu fai troppe domande, Alice.»




*"In the Morning You Always Come Back"; padme83 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2476441&i=1"










Here I Am!
Okay, sono viva. Mi dispiace per il ritardo ma la scuola è appena iniziata e sono un po' frastornata hahah mi dimentico pure di aggiornare!
Ahh questo capitolo. Che sofferenza. Alice e Jefferson oltrepassano il confine (forse troppo facilmente? mmh) e arrivano alla Valle dei Tulipani (citata in una canzone di Alice nel Paese delle Meraviglie, da cui ho preso spunto per ricreare il luogo in cui si trova la casa di Jefferson) ma, probabilmente provato dai ricordi di quel luogo, ha un altro attacco di follia nel quale vi è una sottile collegamento tra lui ed Alice, dove il Cappellaio capisce. Capisce di essere stato via per tantissimo tempo e si chiede se potrà mai sopportare un fardello simile. 
Nel prossimo i due beniamini si metteranno in cammino, ma il viaggio sarà più lungo di quanto possano mai immaginare. 
Inoltre, domani esce il primo episodio della quinta stagione di Once Upon A Time! Chi non sta nella pelle come me?
Lasciate una recensione e ditemi la vostra opinione! :)
Buona domenica/fine settimana a tutti!
Frannie.

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Capitolo IX

 

Quando Alice entrò nella piccola casetta di legno, mai avrebbe immaginato che al suo interno vi avrebbe trovato così tanti profumi contrastanti tra loro.
Le pareti del salotto erano una vera e propria mostra di bustine da the divisa per origine, fragranza, intensità; tutte ben esposte in un arcobaleno di colori.
Alice rimase incantata davanti ad esse e si avvicinò piano, notando le iscrizioni intagliate nel legno che classificavano i gusti: menta e anice, cannella e arancia, frutti di bosco, verbena, rosa canina e gelsomino, vaniglia e lampone, mela e sambuco.
Limone e zenzero.
Tese la mano verso l'infuso prediletto per prendere una delle bustine color giallo canarino già sentendone l'inebriante profumo.
«Il limone è per gli sfacciati.» affermò il Cappellaio che la osservava appoggiato allo stipite della porta. «Lo zenzero per audaci.»
Alice ritirò la mano di scatto e si girò verso di lui, esibendo un enorme sorriso che rappresentava tutto il suo entusiasmo. «Quanto tempo ci hai messo per completare una collezione simile?»
Jefferson ricambiò il sorriso, che però fu appena accennato e terribilmente amaro.
La barba pungente era stata rasata, i capelli lunghi pettinati ed uniformi ed il cappotto rispolverato non bastavano a rendergli l'aspetto meno stanco e disperato: le occhiaie scure sotto gli occhi erano la prova lampante che tutto il dolore gli era rimasto aggrappato e che non avrebbe mai potuto liberarsene. Ritornare nella casa dove tutto era successo, dove la sua vita era stata completamente stravolta l'aveva turbato più di quanto avesse mai potuto immaginare. Ogni cosa era rimasta uguale dopo la morte di Adele, si era aggiunto solo il vuoto incolmabile della sua assenza.
«Più di quanto una persona possa vivere, in effetti.»
«Allora non hai passato l'intera vita nel castello di Cora.» ridacchiò Alice, mordendosi la lingua subito dopo aver capito che il Cappellaio non era in vena di scherzare. «Per quanto tempo sei rimasto rinchiuso lì dentro?»
Egli prese un pentolino colmo d'acqua e due bustine di the da una mensola della cucina. Fece segno ad Alice di uscire, la quale si alzò senza protestare e lo seguì fuori dove un fuoco scoppiettante illuminava la notte ormai inoltrata.
Dopo aver ravvivato il fuoco e averci posato il pentolino per scaldarlo, Jefferson si sedette su un tronco che fungeva da panca e invitò Alice a sedersi di fianco a lui. «Pochi secondi. Forse una trentina di minuti. Ore, giorni, decenni; che differenza fa?»
«Ma tu sei giovane. Avrai neanche trent'anni, non puoi aver passato tutto quel tempo senza invecchiare!»
Jefferson la fulminò con lo sguardo, irritato dal fatto che quella ragazza accantonasse la sua immensa fantasia nei momenti meno opportuni, tipo quello. «Tutto è possibile in Wonderland.»
«Quindi la fattucchiera ha agitato la bacchetta così che tu rimanessi giovane in modo da farti scontare una pena infinita?» azzardò Alice, trattenendo le risate al pensiero che tutto ciò fosse vero.
«Più o meno è andata così, ma l'incantesimo è tale solo in questo luogo. Negli altri regni non funziona così.»
«Ci sono altri regni?!»
Jefferson, però, tacque, e Alice non insistette. Quando l'acqua raggiunse l'ebollizione e Jefferson la versò in due tazze accompagnate da un infuso diverso per ciascuno ne porse una ad Alice, che ringraziò silenziosamente soffiandoci sopra.
«Dunque, cosa intendi di fare ora che siamo lontani dal castello di Cora?»
«Andiamo a far visita al Brucaliffo.» dichiarò Jefferson come se fosse la cosa più normale del mondo, sogghignando davanti alla faccia sconvolta della sua, ormai confermata, assillante e logorroica compagna di viaggio.
Ma l'espressione di Alice non era data solo dalle follie pronunciate dal Cappellaio.
Vicini uno all'altro, seduti su quel tronco abbattuto e avvolti dal buio della notte, la ragazza era rimasta inebriata da un familiarissimo profumo che le aveva pizzicato le narici ancor prima ancora che il the fosse pronto.
Jefferson profumava di limone e zenzero.
Egli mescolò energeticamente e posò poi il cucchiaino sul piattino del the, alzando la tazza verso l'alto. «Nutri la pazzia, e lei nutrirà te!»

 

*“La prima volta in cui un temporale estivo giunse a scrollare con il suo impeto le vecchie imposte di legno del Castello Oscuro, Belle si trovava avvolta dalla lieve penombra della biblioteca, nella cui quiete aveva trascorso l'intero pomeriggio, ufficialmente per spolverare gli enormi scaffali ricolmi di volumi, in realtà, per finire di leggere il libro che da un paio di giorni a quella parte non smetteva un istante di farle tremare il cuore. Quando il primo lampo rischiarò a giorno la stanza, e il tuono che seguì echeggiò gagliardo nella valle circostante, la giovane corse immediatamente a spalancare le ampie finestre che si affacciavano sui cortili esterni dell'antico maniero; una volta aveva sentito dire – anche se non ricordava esattamente né il momento, né tanto meno la circostanza – che in mezzo alle montagne le tempeste fossero assai più violente e sfrenate che in qualsiasi altro luogo. Era dunque impaziente ed ansiosa di accertarsene di persona.
Rumplestiltskin la raggiunse dopo qualche minuto, spinto, forse, dal sospetto –
o era preoccupazione? – di trovare la sua governante accucciata in un angolo, scossa da brividi di paura, e terrorizzata dall'idea di rimanere da sola durante un fortunale di tal fatta.
L'espressione del folletto nello scoprire che il suo stato d'animo era in verità tutto l'opposto fu davvero impagabile.
«Non finisci mai di stupirmi, dearie.»
Si sedette allora accanto a Belle, nel vano della finestra, e si limitò ad osservare la sua domestica in silenzio, mentre lei si godeva quel grandioso spettacolo, ed un sorriso delizioso ed estatico cominciava a sbocciare sul suo incantevole volto di avorio e zaffiro.
All'improvviso, con un movimento che a Belle sembrò lentissimo, ma che in realtà si consumò in un battito di ciglia, Rumplestiltskin, – tanto
vicino che poteva avvertirne chiaramente il calore del corpo ed il profumo, leggero e speziato ad un tempo – si mise a giocare con una ciocca dei suoi lunghi capelli, accarezzandoli dolcemente ed intrecciandoli con cautela fra le dita –quelle dita così simili nell'aspetto a mostruosi artigli, fredde e ruvide come pietre, ma capaci di conoscere la grazia di una carezza, e il tepore umano di un tocco gentile.
Perché non c'era che delicatezza, in quel gesto, e meraviglia, e tenero stupore – come se tra le mani gli scorresse la seta più preziosa, la lana più morbida, l'oro più fine.
Belle rimase immobile, senza fiato, incredula; ma non si allontanò, né lo respinse.
Dentro di lei, al rombo violento dei tuoni si era sostituito il martellare frenetico del cuore.''


 

Il mattino dopo non vi furono storie. Nonostante le maledizioni che Alice lanciò contro il Cappellaio, entrambi partirono alle prime luci dell'alba, mettendosi in cammino verso la casa del Brucaliffo.
Come ad ogni risveglio dopo ciò che era successo, Alice sperava con tutta sé stessa di aprire gli occhi ed immergersi nell'aria invernale di Storybrooke e dal tepore della colazione già pronta in cucina; ed ogni volta che questa speranza non si avverava avvertiva un tuffo al cuore. Per lei non c'era fatica nell'affezionarsi ad un luogo, un oggetto, un ricordo. Molto più difficile era affezionarsi ad una persona, un essere umano come lei, che poteva prendersi gioco delle sue debolezze da un momento all'altro.
Jefferson aveva lasciato la casa con un'espressione impassibile che nascondeva il dolore nel doverla abbandonare ma anche un grande sollievo dato dal fatto che, nel profondo, era certo che non ci sarebbe mai più tornato. Si era allontanato di gran carriera, perché ogni passo lontano dal suo passato era uno più vicino a Grace e alla vita che li attendeva insieme.
«Credi ancora che sia un sogno?» il Cappellaio Matto interruppe il silenzio che li aveva avvolti con una domanda che frullava nella testa di Alice da un po'.
Cos'è la vita, se non uno scherzo?
La ragazza sospirò, alzando le spalle. «Perché non dovrei?»
«Perché non ti risveglierai. Almeno non finché non troveremo le Tre Pietre e userai la tua magia per portarci nel tuo mondo.»
Quelle parole furono come uno schiaffo in faccia. Il volto di Alice si tramutò in giro di un paio di secondi, come succedeva sempre quando vedeva qualcosa di irreale o, in alternativa, esistente solo dentro la sua testa.
«Come scusa
Jefferson si morse il labbro, consapevole di aver parlato troppo. Accelerò il passo come se volesse scappare dalla tempesta di domande che entro poco tempo l'avrebbe investito. «Temo di non essere la persona più adatta a parlartene...»
Alice si infrappose tra il suo compagno di viaggio ed il resto del sentiero colorato, irritata di non saper nulla riguardo quello che l'aspettava e con Jefferson che di tutto faceva men che aiutarla. «Buon Dio, Jefferson! Non mi interessa dove e chi dovrà parlarmi di cosa e come, voglio sapere cosa diamine faccio in questo posto per gente psicotica e potenzialmente pericolosa. Sono stata adottata e ho passato la mia vita senza sapere nulla dei miei genitori biologici, della mia provenienza; magari ho sorelle e fratelli! Assomiglio di più a mia madre o a mio padre? A quest'ultimo piace giocare a carte o preferisce fare passeggiate all'aria aperta? Mi hanno abbandonato perché volevano darmi un futuro migliore o semplicemente perché non mi volevano nella loro vita?» buttò fuori tutto ciò che pensava, senza rendersi conto di aver alzato la voce tanto da aver fatto arretrare il povero Cappellaio che, ignaro di una simile reazione, cercò di intervenire per sistemare le cose. Ovviamente, invano.
«Tu sai più cose di me di quanto io non ne sappia, e mi conosci da meno di una settimana. Significa che qualcuno ti ha parlato di me, qualcuno che mi conosce. Voglio sapere chi è, e 'la fata dei fiori' o 'un oracolo magico' non vale come risposta.»
Jefferson sospirò, guardando gli occhi della ragazza di fronte a sé con rassegnazione. «Ti dirò chi mi ha fatto tornare da te e chi mi ha rilevato l'unico modo per andare nel tuo mondo, ma sappi che non ti darò ulteriori spiegazione e che questa sarà l'ultima risposta che ti darò in merito a cose che non mi riguardano.»
Alice sostenne il suo sguardo, annuendo convinta. «Dimmelo.»
«Tuo padre. E' adesso possiamo proseguire, per favore? Voglio tornare a casa.»
Ma dov'è casa?




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Here I Am!
Ho cambiato titolo, come potete vedere! :D E nulla, finalmente i nostri si mettono in viaggio. Sembra che Alice si fidi di Jefferson, ma in realtà questo è solo un modo per estorgergli più informazioni possibili. La sua strategia sembra funzionare, perché Alice scopre qualcosa di incredibile: il Cappellaio e suo padre si conoscono/conoscevano, e questo significa che molto probabilmente suo padre appartiene a questo mondo così lontano dal suo e che è vivo. 
In un passato remoto, Rumplestiltskin e Belle si innamorano follemente l'uno dell'altra. E vabbeh, non c'è molto da dire. Li amo.
Nel prossimo capitolo, che non torderà a venire, i due raggiungeranno il Brucaliffo. Ah ah, quel vermone non mi manca per nulla. L'ho odiato in OUATiW. 
Comunque, auguro un buon fine settimana a tutti! Tenete duro :)
A presto!
Frannie.

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Capitolo X

 

Il sentiero terminava davanti ad un fungo alto due volte Alice, che lo osservò incredula e confusa. «Mi stai dicendo che il Brucaliffo si trova lì dentro?»
Jefferson, afferrato il pomello della porta per entrare nel fungo, le scoccò un occhiata languida. «Niente domande, ricordi?»
Rigiratosi, Alice alzò gli occhi al cielo e, simulando una pistola con le dita, se la portò alla testa e finse di sparare. La curiosità la stava divorando.
Chi era suo padre? Perché Jefferson lo conosceva? E che fine aveva fatto sua madre?
Niente più domande, ricordi?
Seguì il ragazzo attraverso il fungo, che si rivelò essere un ampio pub in cui si allietavano soggetti molto poco raccomandabili.
«Ma questo posto è...»
«Pieno di carogne, eh sì. Pieno zeppo! Stammi vicina e non toccare nulla.»
Alice annuì. Si fecero strada tra i tavoli, guadagnandosi le occhiate incuriosite o minacciose dei presenti.
Un energumeno dalla corporatura tozza e la pelle squamosa bloccò Alice circondandole il polso con la mano sudicia. «Signorina...posso offrirvi qualcosa da bere?»
La ragazza si mostrò disgustata davanti a quel sorriso sdentato e malizioso, ma rimase ancor più orripilata rendendosi conto che a quell'omaccione mancava l'occhio destro.
Notando che effettivamente c'era qualcosa che non andava, l'uomo si portò la mano libera sulla palpebra contratta e lanciò un urlo di rabbia.
«Ti conviene tenere le manacce lontane da lei, o dovrai stare senza occhio per un po'.» disse Jefferson pacatamente, esibendo la pupilla di vetro stretta tra le dita affusolate.
L'uomo mollò la presa su Alice e squadrò Jefferson dall'alto al basso. In risposta, quest'ultimo restituì l'occhio di vetro al proprietario e condusse Alice fino all'altro capo della sala dove, disteso comodamente su una pila di cuscini in velluto, se ne stava un'enorme larva che Alice identificò subito come il Brucaliffo.
Egli fissò a lungo la ragazza, fumando la sua narghilè ed espirando il fumo denso che annebbiava gli occhi di Alice, ancora incredula che tutto ciò potesse essere vero.
Di cosa ti stupisci? Esistono creature ben più strane dentro la tua testa.
«Oh-oh-oh!» esclamò la strana creatura. «Ti aspettavamo, Alice.»
Per arrivare al punto, Jefferson si infrappose tra lei e il Brucaliffo, il che destò fastidio ad entrambi. «Non abbiamo tempo da perdere, Brucaliffo. Io ed Alice dobbiamo trovare le Tre Pietre, ma non sappiamo come né dove trovarle.»
Il Brucaliffo rise fragorosamente, avvicinandosi al volto di Jefferson che esitò dall'arretrare di almeno un metro. «Non hai mai perso la tua sfacciataggine, vedo? Ti credevano tutti morto da un pezzo.»
«Si, lo credevo anche io. Ho avuto un piccolo aiuto.» ammise scoccando un'occhiata ad Alice, troppo presa a guardarsi intorno dal notare quella sorta di ringraziamento sottinteso. «Non siamo venuti qua per parlare delle mie disgrazie! Giusto? Giusto. Ci serve un portale. Un portale efficace.»
Il Brucaliffo ci pensò per qualche secondo, per poi mostrare un sorrisetto per nulla affidabile che destò Alice dal suo torpore. «Alice, ti piacerebbe conoscere i tuoi genitori? Io posso darti questa possibilità.»
I suoi occhi si spalancarono. Due biglie azzurre, lucide come laghetti, fissavano senza parole quella creatura dall'aria egocentrica e misteriosa con imploro.
Mostravano la spaccatura della sua personalità. Una razionale e matura, l'altra sensibile e curiosa che in quel momento lottavano una contro l'altra più che mai.
«Neanche per sogno. Alice!» la chiamò Jefferson stringendole la mano. «Alice, guardami.»
Ella staccò gli occhi dal Brucaliffo portandoli sul volto implorante del ragazzo. «Ma...i miei genitori...»
«Non devi saperlo in questo modo. Ti sta ricattando, ti mostrerà il falso, ti illuderà!»
Il Brucaliffo assunse un aria benevola e falsamente innocente. «Sto solo cercando di mostrarmi gentile. Tutto ha un prezzo, questo è il mio.»
«Vederla soffrire per una cosa che non raggiungerà mai? Non ti darò mai questa soddisfazione.» disse con tono spiazzante il Cappellaio, guardando l'interlocutore con massimo disprezzo. «Vieni Alice, andiamocene da qui.»
Trascinando la ragazza ancora spiazzata attraverso il chiassoso pub, Jefferson si fermò solo quando il Brucaliffo espresse un particolare essenziale di quell'accordo. «L'ho proposto ad Alice, e non a te, Cappellaio. Allora, mia cara? Cosa ne pensi?»
La ragazza si girò verso il Brucaliffo, e fu allora che i suoi occhi diventarono lucidi di lacrime.
Lacrime che sapevano d'abbandono.
«Io...io voglio solo tornare a casa, ecco tutto.»
Ma dov'è casa?

 

*“Belle si svegliò di soprassalto, urlando in preda ad un cieco terrore.
Le ci volle qualche minuto per rendersi definitivamente conto di non trovarsi più in quella spaventosa stanza grigia, ma di essere invece all'interno della sua confortevole camera da letto, al sicuro fra le possenti mura del Castello Oscuro.

Era solo un incubo.
Scostò con un gesto brusco le lenzuola madide di sudore e impose al suo respiro ancora accelerato di ritornare presto ad una seppur minima parvenza di normalità. Il tremito che l'aveva colta durante quell'orribile sogno non accennava a diminuire, e l'amaro sapore di sangue che sentiva sul palato le indicò con quanta forza doveva aver digrignato i denti nel sonno, se era addirittura riuscita a mordersi ripetutamente la lingua.
Si alzò con cautela dal letto e, cercando di ritrovare un po' di calma e di calore per le sue dita gelate, si avvicinò al tepore del camino, le cui tenui fiamme ancora spandevano un debole chiarore attorno al braciere.
Inspirò ed espirò profondamente per un paio di minuti, fino a che si ritenne abbastanza tranquilla da poter analizzare con un po' più di lucidità le terribili sensazioni che aveva provato al cospetto di quella macabra visione notturna.
Ricordava con sconcertante chiarezza lo spasmo tremendo che le aveva mozzato il fiato nel momento in cui lo sconosciuto le aveva detto di aver ucciso il folletto: era come se una voragine nera si fosse fatta largo a forza dentro al suo petto, separandola con violenza da una parte di se stessa di cui aveva fino ad allora ignorato l'esistenza, ma che si era ritrovata ad urlare disperatamente davanti alla prospettiva di essere allontanata per sempre dall'Oscuro Signore.

Mutilata.
Ecco come si era sentita quando la sua coscienza alterata aveva realizzato che non avrebbe mai più condiviso le sue giornate con Rumplestiltskin. Ancora adesso, nella quieta sicurezza della sua stanza, si sentiva mancare la terra sotto ai piedi al pensiero di non udire più la sua stridula voce pronunciare scherzosamente il suo nome, di non averlo più accanto, intento a filare all'arcolaio, durante le serate tranquille che trascorreva immersa nei suoi amati libri, di non camminare più al suo fianco lungo gli interminabili corridoi di quell'immenso castello, che aveva imparato a definire in qualsiasi modo e che ormai le sembrava tutto fuorché oscuro.
Non riusciva nemmeno a sopportare l'idea che quegli occhi ammalianti e antichi quanto l'universo stesso smettessero di scrutarla nel profondo, come se le volessero saggiare l'anima fin nei suoi recessi più nascosti e reconditi.
Seguendo un impulso improvviso, Belle uscì dalla stanza senza nemmeno preoccuparsi di indossare qualcosa sopra alla leggera camicia da notte.
Il castello era avvolto come sempre in un silenzio perfetto e quasi irreale, nel quale la giovane aveva tuttavia imparato a sentirsi a suo agio, piuttosto che a lasciarsene inutilmente inquietare.

Sapeva che niente di male le poteva accadere in quel regno incantato di cui lui era padrone assoluto.
Aveva appena deciso di approfittare di quella inusuale sortita per scendere fino alle cucine a prepararsi una tisana alle erbe nella speranza che la bevanda potesse aiutarla a levarsi definitivamente il sapore nauseante che l'incubo le aveva lasciato in bocca, quando vide Rumplestiltskin venirle incontro salendo pensieroso quelle stesse scale che anche lei aveva cominciato a percorrere.
Belle non se ne stupì poi più di tanto: sapeva che il padrone assai raramente si lasciava andare al sonno per più di poche ore per notte.

E in fondo aveva sperato di sorprenderlo ancora sveglio, per fugare una volta per tutte le ultime paure che ancora le pesavano sull'animo.
«Dearie, per l'amor del cielo, cosa ci fai ancora in piedi a quest'ora?»
Qualcosa nell'espressione della sua domestica -forse un alone del terrore che l'aveva colta poco prima- lo spinse ad abbandonare immediatamente il suo abituale tono canzonatorio ed a superare apprensivo qualche altro gradino per portarsi più vicino a lei.
«Belle, che cos'hai? Non stai bene?
Cara, dimmi cosa ti è successo, hai l'aria sconvolta.»
Gli occhi del folletto risplendevano come smeraldi preziosi alla fioca luce delle torce, e la preoccupazione che lesse in quelle profondità insondabili sembrò a Belle di una dolcezza tanto struggente e infinita, che ben presto le vennero irrimediabilmente meno le forze per combattere ancora contro il suo stesso cuore.
Senza indugiare oltre si gettò tra le sue braccia, aggrappandosi disperatamente alle sue spalle e affondandogli con impeto le mani nei capelli, mentre con un lungo respiro di sollievo poggiava possessivamente il capo nell'accogliente incavo fra il suo collo e le scapole.

Sembrava creato apposta per lei.
Per pochi, i
nterminabili istanti, Rumplestiltskin rimase immobile, rigido e muto nell'ardore crescente dell'abbraccio di quella fanciulla che in così poco tempo era riuscita a farsi strada con prepotente tenerezza nella sua misera e solitaria vita.
Poi, come se solo in quel momento si fosse veramente reso conto di quello che stava succedendo fra loro, Belle lo sentì stringerla con forza a sé, ed intrecciare piano le dita alla sua folta e profumata chioma, spostandosi quel tanto che bastava per permettere ai loro corpi di aderire perfettamente l'uno all'altro, come se fossero un'entità sola.

E forse lo erano davvero.
La giovane non riuscì a trattenere un gemito sommesso, mentre con gioia e commozione si riappropriava di quella parte di sé che l'incubo sembrava volerle strappare per sempre: le gentili carezze di Rumplestiltskin le stavano lentamente restituendo quella primigenia interezza della quale la sua più intima essenza era stata troppo a lungo sprovvista.
Avvolta nell'urgenza di quella stretta, Belle non accennò a staccarsi da lui neppure quando la sollevò con grazia fra le braccia e cominciò piano a scendere le scale, senza smettere un istante di percorrerle la fronte con una morbida scia di piccoli baci.

Non avrebbe mai creduto che la sua pelle di pietra potesse emanare un calore così intenso, capace di stordirla e stregarla al tempo stesso.
Una volta raggiunto il salone, in un angolo del quale il fuoco del camino non aveva ancora smesso di scoppiettare, Rumplestiltskin si sedette con calma sulla sua poltrona preferita, abbastanza ampia da permettere a due persone di adagiarvisi comodamente; con un rapido schiocco di dita fece apparire una calda coperta di lana e la posò delicatamente sulle braccia scoperte di Belle, che nel frattempo si era accoccolata stretta stretta sulle sue ginocchia.
«Adesso mi vuoi dire cosa c'è che non va, dearie?»
«Niente di importante, solo un brutto sogno.»
«E cosa posso fare io per evitare che quest'incubo possa tornare di nuovo a tormentarti?»
La sua voce era il sussurro suadente di un serpente tentatore.
«
Stringimi.»

Entrambi non aspettavano altro che questo.”

 

«D'accordo. Il piano è saltato, che facciamo ora?»
Jefferson si sedette ai piedi di un grande albero, passandosi entrambi le mani attraverso i folti capelli per cercare una soluzione.
Ad osservarlo senza risposte, ancora scossa e tremante come una foglia, se ne stava Alice. L'incontro con il Brucaliffo era stato un bello schiaffo in faccia per dimostrarle che i suoi genitori, oltre che provenire da un mondo parallelo al suo, erano vivi e tutti sapevano che fine avevano fatto fuorché lei. Mille domande le passavano per la mente come le immagini di un vecchio cartone in bianco e nero. Dov'erano? Chi erano? E perché diamine non erano andati in cerca di lei per tutto questo tempo?
Affranta, si sedette di fianco al suo compagno di viaggio, l'unico che in quel momento avrebbe potuto darle un po' di sostegno, seppur minimo e relativamente importante.
Dopo un lungo sospiro, Alice parlò: «Dobbiamo tornare lì dentro ed accettare l'accordo del Brucaliffo.»
Jefferson spalancò gli occhi in modo che sembrassero ancor più spiritati e si alzò di scatto puntando l'indice contro la giovane dallo sguardo triste e rassegnato. «Mi stai dicendo che ti fidi di lui?»
Un piccolo cenno con la testa fece completamente uscire di senno il povero Cappellaio Matto che si esibì nella sua migliore reazione esasperata, passandosi le mani sul viso e cacciandosi le dita trai capelli.
«Oh, grandioso. Grandioso. Ti fidi di lurido verme che ti ha proposto un accordo altrettanto sporco vendendo i tuoi genitori per delle informazioni e non ti fidi di me che sto cercando in ogni modo di non mandarti a morire. Lo sai, Alice, penso che dovresti lavorare un po’ sul buonsenso, perché francamente mi sembri matta da legare!»
«Matta? Io? Non è stata una mia scelta venire qui e cacciarmi in tutti questi guai, anche se forse avrei potuto meditare un secondo in più sul compagno di viaggio, magari uno meno irritante, egocentrico e sfacciato!» esclamò Alice. «Cos'hai fatto perché io mi possa fidare di te
Ormai si urlavano addosso, ma quell’ultima domanda non trovò risposta: il Cappellaio aprì la bocca e gesticolò col dito come per prepararsi alla frase più d’effetto che potesse trovare, ma le parole parvero non venirgli in aiuto. Alice sostenne il suo sguardo furibondo, in fiera attesa, le sopracciglia alzate, finché non lo sentì sbuffare e si vide voltare le spalle.
Pensò seriamente di averlo sconfitto, fino a quando il Cappellaio si raddrizzò e tornò a guardarla, brandendo verso di lei un nontiscordardime brutalmente strappato dal terreno.
Alice restò spiazzata. Le ci volle qualche secondo per alzare meccanicamente una mano e accettare quel dono inaspettato.
Quando lo sfiorò, si rese conto che la rabbia era svanita. All’improvviso, così come era apparsa.
Il Cappellaio si avvicinò con quell'ombra negli occhi, e fu in un soffio sul viso che le borbottò: «Ti odio, Alice.»
E stavolta fu lei a restare senza parole, limitandosi a stringere forte il fiore mentre lui la superava di nuovo e si metteva in marcia sul sentiero piastrellato, senza più guardarla.







*"In the morning you always come back" padme 83 
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Here I Am!
Mi scuso per il ritardo, questa settimana è stata un po' un casino e ho avuto il tempo e la concentrazione adatta per pubblicare solo oggi! D'ora in poi sarò puntuale, promesso.
Finalmente il viaggio incomincia! La prima tappa è la casa del Brucaliffo (mezza pensione, camere standard...lol) nella quale Alice si prende una bella botta in faccia. Il Brucaliffo vuole parlarle dei suoi genitori in cambio delle informazioni per trovare le Tre Pietre, ma Jefferson non approva e la tira via. Hanno poi una grossa discussione (devo ammetterlo: la prima di una lunga serie) che si conclude con un nontiscordardime. In questo capitolo troviamo un lato più umano del nostro Cappellaio: ha impedito infatti che Alice venisse ferita dalle parole del Brucaliffo, l'ha protetta dagli energumeni del pub e in seguito le regala un fiore, un nontiscordardimé. Non l'ho scelto a caso, in quanto è il fiore dell'amore e della fedeltà (owh teneri ç.ç).
Bene, ho finito! Lasciate una recensione che mi fa felice <3
Buona settimana a tutti, a presto!
Frannie. 


 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Capitolo XI

 

Il silenzio gli avvolse per i seguenti venti minuti. Alice giocava con il fiore azzurro cielo che Jefferson le aveva dato, ancora meravigliata da quel gesto.
Jefferson camminava imperterrito dandole le spalle quando Alice, con la voce ridotta ad un sussurro, si decise a parlare. «Dove stiamo andando, di preciso?»
Lo sentì sospirare e nel momento in cui si girò vide il suo sguardo riacquistare sicurezza, nonostante la situazione incerta in cui si trovavano.
Era difficile star dietro agli scatti d'ira del ragazzo e ai suoi cambiamenti d'umore. La sua personalità era così ricca di sfaccettature che una vita intera non sarebbe bastata per scoprirle tutte.
Egli si avvicinò e le sfilò il nontiscordardime dalle dita sottili. Guardandola negli occhi, le scostò i capelli dagli occhi e incastro il gambo del fiore trai ciuffi biondi. Mentre si allontanava, i suoi occhi si puntarono sull'orologio da taschino che Alice portava al collo, seminascosto dalla giacca in pelle che aveva preso dalla casa di Jefferson.
Quest'ultimo lo afferrò con occhi increduli che ora fissavano Alice. «Dove l'hai preso?»
Alice alzò le spalle, stupita che un innocuo orologio da taschino potesse suscitare tale sorpresa. «Me l'ha regalato mio zio. Conosci anche lui?»
«Se lo conosco? Se lo conosco, hai detto?!» nel volto di Jefferson comparve un sorriso estasiato. «Questo era l'orologio del Bianconiglio!»
Ci risiamo...
«Mi stai dicendo che Ernest Needle è il personaggio di una favola?» Alice incrociò le braccia al petto, incerta se scoppiare a ridere o scappare a gambe levate.
«No, Alice...ascolta, poco dopo che la Regina di Cuori mi ha imprigionato, un maleficio ha colpito molti dei mondi che ospitano le creature delle fiabe. E' stato fatto dalla figlia di Cora, Regina, che ha portato ognuno di loro nel tuo mondo.»
«Quindi Storybrooke è in realtà frutto di un incantesimo, e gli abitanti sono i personaggi delle favole?»
Nella testa della povera ragazza lottavano pensieri contrastanti: quelli del buonsenso le dicevano di non credere a tutte quelle sciocchezze ma il suo lato sognatore e creativo data anche dalla sua inclinazione per la scrittura scalpitava perché lei credesse davvero alle parole di quel matto che si trovava davanti. Cercò di stare al gioco, lasciando che il Cappellaio desse le opportune spiegazioni.
«Nessuno di loro si ricorda chi è in realtà perché sono tutti intrappolati in un'identità che non è la loro.» Jefferson fece una pausa, aspettando una possibile reazione da parte di Alice. «Per rompere l'incantesimo, la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro deve tornare in quella città e credere che tutto ciò esista davvero.»
«In che senso deve tornare in città? Non è finita nel nostro...nel mio mondo come tutti gli altri?» domandò Alice incuriosita.
Jefferson si grattò il capo, incerto. «Mi pare sia stata messa in una teca magica in modo che fosse immune al sortilegio...»
Alice fece una smorfia scuotendo la testa ripetutamente. «Non credo proprio che tutto questo sia vero, altrimenti questa Storybrooke sarebbe segnata nelle cartine, o perlomeno sarebbe abitata anche da altri esseri umani che non provengono da nessuna storia...»
Al che di questa affermazione, Jefferson alzò involontariamente gli occhi su di lei come fanno i bambini quando compiono qualche marachella. Alice lo guardò interrogativa, segno che qualcosa era stato tralasciato nel mezzo del racconto. «Cosa...cosa c'è che non va'?»
Il giovane fece qualche passo indietro, lasciando l'orologio al suo posto e intento a girarsi per scappare a quella domanda stretta ma, come prevedendo le sue azioni, Alice gli afferrò un braccio obbligandolo così a guardarla in faccia.
«Jefferson. Dobbiamo compiere questa specie di viaggio insieme, giusto? Probabilmente ci saranno pericoli da affrontare, quesiti a cui rispondere e via dicendo, ragion per cui bisogna essere sinceri uno con l'altro. Dobbiamo fidarci, ma come possiamo se io non so nemmeno chi sono? Dimmi quello che sai, ti supplico.»
«Se la metti così...» egli accennò un sorriso non del tutto convinto. Prese le mani di Alice e le strinse attorno all'orologio, avvolte nelle sue. «I tuoi genitori sono anch'essi personaggi delle fiabe e sono stati catapultati insieme al Bianconiglio, a Grace e a tutti gli altri in questa Storybrooke, costruita di illusioni su illusioni. Potrai incontrarli solo se torniamo a casa, mi hai capito? Solo se torniamo a casa.»
«Dimmi che tutto questo è un sogno.»
«Ma Alice, niente è più realtà di un sogno.»
Il suo cuore fece un balzo. Dentro di lei una tempesta di emozioni stava esplodendo ed ebbe l'intenzione di svenire, ma il contatto di Jefferson e di quell'oggetto potenzialmente magico che teneva stretto tra le dita le ridiedero vigore e tutto prese a girare, e girare, e girare...
Ma dov'è casa?

 

*“A volte, è questione di un attimo.
Una lieve distrazione, un improvviso capriccio del vento, un lampo turchino sul volto di una giovane sconosciuta, e la corazza che con tanto impegno ti sei costruito intorno al cuore si frantuma in migliaia di schegge di vetro, permettendo alla tua anima lasciata a nudo di rompere le catene a cui l'hai costretta e di volare lontano finalmente leggera, indomita, libera verso un altro tempo, un altro mondo, un'altra vita.
Verso di lei.
In questi momenti, la tua mente si colma del blu delle acque più limpide e dei cieli più tersi, e, se solo ne fossi capace, vorresti scivolare in eterno dentro al ricordo accecante dell'ardore che era solito incendiare il suo sguardo, e che impreziosiva di liquida dolcezza il delicato cesello del suo viso, etereo dipinto ornato da sapienti pennellate di pallido avorio e petali di rosa dalla fragile e misteriosa opalescenza.
Raggi di luna su marmi perlacei la sua pelle e frammenti purpurei di tramonti marini i suoi capelli.
Se chiudi gli occhi puoi vederla di nuovo, fiera e splendente come la prima volta che ha varcato la soglia del Castello Oscuro, una fiamma vivida e pura che illuminava come una promessa d'estate le pietre nere della tua tetra e squallida dimora fino ad allora inaccessibile di un'esistenza troppo a lungo immersa in oceani di tenebra e ombre e feroce solitudine.
La sua risata riecheggia cristallina tra le mura nascoste e segrete della memoria, la sua bocca vermiglia appare come una visione fra le pieghe indifese dei tuoi sogni amari, e, se trattieni appena il respiro, ti sembra
quasi di averla ancora accanto a te, di stringerla tra le braccia, di avvertirne il calore ad un soffio dalle tue labbra, come se non se ne fosse mai andata, come se non l'avessi mai scacciata.
Come se non l'avessi mai perduta.
Come se non si fosse mai gettata da
quella torre infame e maledetta.
Come se tu, proprio tu, non avessi mai permesso che tutto questo accadesse.”


 

Jefferson e Alice atterrarono in un letto - più o meno duro, dipende da come si è abituati - di foglie secche, le ultime rimaste da quell'autunno che stava aprendo le porte al gelido inverno che caratterizzava quel luogo.
«Quasi quasi preferivo la neve di Storybrooke.» ammise Alice massaggiandosi la schiena con un smorfia di dolore. «Ma come ci siamo arrivati qui?»
«Benvenuta nella Foresta Incantata...certo che devi averne di magia dentro di te!» Jefferson imprecò, dandole una mano ad alzarsi. «Sei tutta tuo padre...» mormorò a bassa voce, tant'è che Alice non lo sentì nemmeno.
Si guardarono intorno, notando gli alberi spogli dare scena ad uno spettacolo che neanche Alice avrebbe potuto descrivere meglio in uno dei suoi racconti. I rami vecchi si allungavano come attratti dal castello in stile gotico che sembrava attendere i due giovani dall'alto della collina in tutta la sua imponenza.
«Cosa ci facciamo qui, esattamente?» chiese Alice, incamminandosi con Jefferson al suo fianco.
«Ci sono tre pietre, sono ametista, rubino e smeraldo. Se strette insieme possono esaudire qualsiasi desiderio tranne che quelli proibiti ovvero morte, vita o amore. Si da il caso che, purtroppo o per fortuna, si trovino in tre mondi diversi tra loro raggiungibili solo grazie ad un portale che tu, evidentemente, possiedi.»
Alice puntò lo sguardo verso il regalo di Ernest, ancora fedelmente legato al suo collo, e lasciò che il ragazzo continuasse.
«L'ametista, la pietra dell'equilibrio, è stata custodita dalla Regina Cattiva; lo smeraldo, indicatore di saggezza, è attualmente nelle mani di Peter Pan e il rubino, che simboleggia l'amore, appartiene alla nostra cara amica Cora, ragion per cui temo che dovremmo tornare a...»
Ma Alice non ascoltava già da un po' in quanto, pervasa da uno stato di malessere e irrequietezza, si era accasciata sul terreno, trasportata contro la sua volontà dai ricordi.







*"In the morning you always come back" padme 83 http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2476441







Here I Am!

Le cose iniziano a farsi interessanti :) Dopo il breve ma intenso momento MadAlice, Jefferson riconosce l'orologio che Alice ha al collo, proprio quello che Ernest aveva riparato e le aveva regalato quando lei era arrivata a Storybrooke. Esso si rivela essere infatti un portale, quindi teoricamente i nostri eroi dovrebber essere salvi....invece lol
Alice ha la conferma che i suoi genitori sono personaggi delle fiabe e che sono vivi (Alice ha pure visto suo padre...peccato che non lo sa), ma sembra non esserci tempo per traumatizzarla ancor di più che i due vengono scaraventati nella Foresta Incantata.
Ma le cose non sembrano andare come previsto...
Per quanto riguarda la Rumbelle, mi pare non ci saranno più paragrafi della raccolta di padme83, quindi colgo l'ultima occasione per ringraziarla di nuovo e per invitarvi a darci un'occhiata, merita davvero!
Spero vi sia piaciuto!
A presto, 

Frannie.








*

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Capitolo XII

 

Tutto iniziò a girare velocemente, facendo perdere l'equilibrio ad Alice. Il cielo divenne improvvisamente nero e gli alberi, un momento prima maestosi ed innocui, iniziarono a sussurrarle frasi che aveva già sentito, posti che aveva già visto.


«Avanti, Alice! Vuoi davvero passare la tua vita a scrivere? Ti credevamo più ambiziosa...»
La ragazzina in questione se ne stava appoggiata allo schienale in pelle della vettura che, sotto la pioggia di Londra che cadeva scrosciante, zigzagava tra le macchine incolonnate dal traffico. Gli occhi erano ridotti a due fessure e la sua pazienza stava presto giungendo al termine: discutere con i suoi genitori adottivi del suo futuro la faceva solo andare fuori di testa. Perché non poteva seguire i suoi sogni come ogni normale adolescente? Lei voleva solo scrivere, scrivere e scrivere. Che importanza aveva essere ricchi e facoltosi senza essere però felici?
«...io ti già vedevo in un tribunale come giudice o magari a capo di un reparto come medico! Qualcuno di importante, insomma...» cercò di convincerla pacatamente Miranda, sua madre.
«Ve l'ho già detto ciò che voglio fare, sono nata per questo.» mormorò la figlia a denti stretti, mantenendo gli occhi incollati al finestrino. «Sono sicura che i miei veri genitori avrebbero capito!»
«Alice, dannazione!» esclamò allora il padre Geoffrey, facendo sobbalzare la moglie. «I tuoi genitori non ci sono più, l'unica famiglia che hai siamo noi quindi ti conviene portare rispetto!»
Nell'auto calò il silenzio, lasciando posto solo allo strombettio del motore. Tutti rimasero zitti ma dentro di sé Alice desiderò di non averli proprio quegli ingombranti genitori, e lo volle così ardentemente da pentirsene per tutta la vita.
Il semaforo diventò verde ma, mentre avanzavano, un'altra macchina venne contro di loro.
Tra lo stridio dei freni e il fragore dell'impatto si sentì la solo la voce di Miranda che, con il volto paonazzo, gridava il nome del marito.”
Dopo ciò, il vuoto.”


E' colpa tua, Alice. Li hai uccisi tu, li hai uccisi tu!
Le voci dentro la sua testa canticchiavano malignamente mentre Alice, in preda a un dolore che aveva seppellito da molto tempo, giaceva sul letto di foglie singhiozzando.
Anche Jefferson era stato destabilizzato da quello stato di smarrimento e auto consapevolezza di aver fatto del male a qualcuno che amava. Sbattendo le palpebre ripetutamente e cercando di allontanare le voci dentro la sua testa si avvicinò ad Alice, stringendole il polso.
«Alice, ascoltami.» balbettò, aiutandola a rimettersi in piedi. «Dobbiamo andarcene, subito!»
La ragazza puntò gli occhi azzurri colmi di lacrime su quelli color ghiaccio di Jefferson e non si stupì di vederli venati di rosso e gonfi. Portò un braccio attorno alle sue spalle e arrancando si allontanarono insieme da quella rete di mormorii che li aveva tenuti imprigionati dentro le loro stesse menti.
Dopo gli ultimi passi fatti sull'erba verde e sottile entrambi si sciolsero e caddero distesi, ansimando. Quando si ripresero, Alice guardò Jefferson con gli occhi strabuzzanti e con l'indice indicò il bosco maledetto che avevano appena superato. «Che cos'è quella cosa?!»
Il giovane si mise seduto, massaggiandosi la fronte. «La Regina deve aver lanciato un incantesimo prima di abbandonare la Foresta Incantata in caso qualcuno avesse voluto addentrarsi nel suo castello.»
«Oh be', grazie.» disse Alice, pulendosi distrattamente i pantaloni dalla polvere. «Inizialmente credevo che mi avresti lasciato lì e saresti proseguito da solo.»
«Ma no, sei troppo importante!» esclamò lui di getto, rendendosi conto solo in seguito della reazione di Alice la quale, con le gote rosse, abbassava lo sguardo. «Per la missione, ovviamente. Hai il portale e credo tu abbia ereditato i poteri magici di tuo padre...» tentò di rimediare grattandosi il capo.
«Mio padre era uno stregone?» esclamò Alice con gli occhi sbarrati. «Buono o cattivo?»
«Sì, lo era, ma...la bontà dipende dai punti di vista.» rispose accennando una risata nervosa. «Abitava in un regno vicino alla Foresta Incantata e no, non avremo il tempo per andare a vedere il suo castello.» concluse notando la faccia entusiasta della ragazza che presto si trasformò in un broncio scontento.
«Ti ho sentita gridare il nome di due persone prima, un certo Josh...o forse Joseph? E quest'altra Melania...»
«Geoffrey e Miranda.» lo corresse Alice con un sorriso malinconico. «Erano i miei genitori adottivi, sono morti in un incidente stradale quando io avevo appena sedici anni. Facevano del loro meglio con me, erano bravi, forse un po' troppo pretenziosi...comunque sono stata fortunata a trovare loro.»
Entrambi sprofondarono nel silenzio, immersi nelle loro memorie. Poi Jefferson si decise a condividere qualcosa di suo, come a ripagare lo sforzo che Alice aveva impiegato nel raccontargli dei suoi genitori. «Grace era mia figlia. Be', lo è ancora, ma in seguito ad un accordo mi è stata portata via.»
«Un...accordo?»
«Sì. Dovevo un favore ad una persona e non ho saputo rispettarlo.» il giovane si morse le labbra, indeciso su come proseguire. «Sono tornato a Wonderland e sono stato imprigionato per tutto questo tempo e...»
Gli occhi azzurro opaco si inumidirono di lacrime che, seppur rimanessero al loro posto, Alice non poté far a meno di notare. Con un dolce sorriso lo incitò a continuare.
«Sua madre, Adele, era la figlia di Cora. Lei era diversa dalle sue sorelle, lei era buona, ma la regina non voleva che stessimo insieme e dopo aver partorito Grace è stata uccisa. L'ho cresciuta io nella Foresta Incantata ma l'ho abbandonata e dopo il sortilegio trovare le Tre Pietre è l'unica speranza che mi rimane per tornare da lei.»
«Jefferson, non l'hai abbandonata. E' stato un malinteso e sono sicura che se vi riconciliaste, ti perdonerebbe.» commentò Alice afferrandogli una mano. «Non esiste un regolamento che spiega passo per passo come crescere un figlio, bisogna arrangiarsi e farlo come si crede opportuno.»
Jefferson sorrise di rimando e si alzò. «Devo ammettere che non sei così male come compagna di viaggio.»
Facendosi scappare una risata anche Alice si mise in piedi e con lo sguardo rivolto verso il castello sospirò. Senza dire altro si incamminarono verso la reggia che paziente li attendeva.

 

**


«Jefferson, ho bisogno di una mano!» esclamò Alice, rimproverandolo con lo sguardo quando lo scoprì concentrato ad ammirare un cilindro molto simile a quello con cui era arrivata a Wonderland. In tutta risposta il giovane alzò le spalle e se lo posò sul capo, avvicinandosi alla ragazza. «D'accordo, d'accordo. Allora, in che fiaba siamo?»
«Ehm...Biancaneve e i sette nani?» azzardò lei, guardandosi intorno.
«Bene. Che caratteristiche ha la Regina Cattiva?»
«Be'...è molto bella, ma non quanto Biancaneve. Obbligò il Cacciatore a strappare il cuore della fanciulla e di portarglielo, ma egli ebbe compassione e portò a palazzo il cuore di un cervo.» riassunse Alice percorrendo la camera da letto a piccoli passi. «Poi per trovare il nascondiglio di Biancaneve chiese appello allo Specchio Magico... lo Specchio!»
La ragazza quasi urlò, attraversando la stanza correndo verso la superficie che rifletteva la sua immagine.
Jefferson si sistemò il cappello e la osservò dubbioso. «Sei sicura che sia questo?»
«Lo spero.» sospirò e, avvicinandosi, ripercorse con i polpastrelli le rifiniture in oro che lo circondavano alla ricerca di una serratura.
Il giovane alzò gli occhi al cielo e la bloccò. «Ragiona un attimo: siamo nella Foresta Incantata, dentro il castello della Regina Cattiva e stiamo cercando una pietra magica. Non credi che sia più difficile ottenerla di così?»
Alice non capì subito ma, spostando gli occhi dal ragazzo al suo riflesso, spalancò la bocca e fece qualche passo indietro. «Non ho alcuna intenzione di credere che il mio braccio possa attraversare uno specchio!»
«Non può accadere se non ci credi.»
Alice esitò, facendo un respiro profondo. D'altronde, se credeva che fosse tutto un sogno, doveva essere capace di fare ciò che voleva. Chiuse gli occhi e trattenendo il respiro si concentrò, rilassando tutti i muscoli del corpo. Allungò il braccio e tastò il vuoto per un paio di secondi quando, contro ogni aspettativa, i suoi polpastrelli toccarono una superficie liscia e fredda.
Riaprì di scatto gli occhi e, dopo aver afferrato l'oggetto, ritirò la mano più velocemente che poté. Tra lo spaventato e l'esaltato, Alice guardò Jefferson con un sorriso incredulo. «Come ci sono riuscita?»
Il giovane rise, appoggiandosi al muro con le braccia incrociate. «Queste pietre di solito vengono cercate da chi non possiede poteri magici. Tu però la magia ce l'hai dentro, è più forte di te.»
«Ma non l'ho mai utilizzata, voglio dire... non ho preso nessuna lezione o via dicendo. Com'è possibile?»
Jefferson aggrottò le sopracciglia, assumendo la sua migliore espressione concentrata. «Forse non sei esattamente come tuo padre...forse sei ancora più potente.» sussurrò con un filo di voce, avvicinandosi alla ragazza.
Questa abbassò lo sguardo dubbioso sull'ametista. Era piccola ma estremamente luminosa, di un viola purissimo. La mise al sicuro dentro una delle tasche della giacca, chiudendola con la cerniera; poi alzò lo sguardo verso il giovane che, con un mezzo sorriso di soddisfazione, prese l'orologio appeso al collo di Alice e lo strinse forte. «Siamo un passo più vicini a casa.»
Ma dov'è casa?









Here I Am!

Siamo già al dodicesimo capitolo...wow! Eppure mi fa strano pensare che il viaggio di Jefferson ed Alice sarà ancora molto lungo. Credo andremo avanti fino a dopo Natale...hahaha! :')
Dunque, finalmente i due se ne sono andati da Wonderland e vengono catapultati nella Foresta Incantata. Prima di poter accedere al castello, però, vengono messi alla prova da una maledizione: vengono riportati indietro dai ricordi, che rammentano loro qualcosa di grave fatto nel passato. Nel caso di Jefferson, l'abbandono di sua figlia e la morte di Adele, mentre per quanto riguarda Alice si scopre una parte del suo passato sconosciuta. In futuro ci saranno altri sprazzi del suo passato e di momenti nei quali ha utilizzato la magia senza esserne consapevole c:
E poi riescono a prendere la prima pietra! *fuochi d'artificio* 
D'ora in poi pubblicherò sempre di domenica, in modo tale da essere più organizzata e puntuale. Auguro a tutti una buona settimana, tenete duro! <3
A presto, 
Frannie.

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Capitolo XIII

 

Quando Alice afferrò all'ultimo momento l'orologio, tutto ricominciò a girare come la prima volta. Jefferson aveva il capo chino, concentrato sul posto in cui volevano andare quando d'un tratto entrambi si sentirono avvolti dal gelo e furono costretti a trattenere il respiro, scossi dall'impatto.
Alice aprì gli occhi e avvertendo il bruciore risalì in superficie, divorando ossigeno.
Girando su sé stessa e faticando a tenersi a galla, cercò con lo sguardo la testa di Jefferson emergere dall'acqua.
«Alice!»
Si voltò verso la voce che l'aveva chiamata e sospirò di sollievo tra sé e sé, mentre il giovane recuperava il suo nuovo inseparabile cappello.
«Perché non ci hai portati nella terra ferma?» chiese Alice, agitandosi il più possibile per scaldarsi.
«Sai, è difficile per un portale trasportare due persone se una di queste si aggiunge all'ultimo secondo!» la rimproverò Jefferson con sarcasmo, spostando i capelli fradici dalla fronte. «Credo che dovremmo raggiungere l'Isola Che Non C'é a nuoto.»
Alice allungò il collo e intravide l'isolotto verdeggiante distante chilometri dalla loro posizione. «Non ce la possiamo fare! Sta calando il sole e il mare, oltre che gelido, è troppo mosso. Andremo solo più a largo!»
«Cosa proponi, dunque?»
Lei spostò gli occhi verso un puntino nero lontano dal quale si distinguevano le vele nere spiegate sugli alberi e lo indicò con l'indice. «Un passaggio con quella.»
«Alice, temo tu non sappia a chi appartiene quella nave!»
La ragazza rimase imperterrita, senza distogliere lo sguardo dal vascello. «Ad un pirata, no?»
«Sì, ad un pirata» ribadì Jefferson, cercando di persuaderla dalla sua idea folle. «Hai idea verso cosa vuoi andare incontro?»
«Oh si, certo che lo so.»

 

''«Che fine ne sarà di lei?»
Regina ghignò, prendendo il fagottino piangente dalle mani dell'infermiera.
Sarebbe stata una punizione perfetta. Per lei. Per lui.
«Verrà allontanata da Storybrooke.» sentenziò, senza staccare gli occhi iniettati di vendetta dalla creaturina tra le sue braccia. «La maledizione non avrà effetto su di lei. Verrà messa in adozione e vivrà il più possibile lontano da qui.»
L'infermiera alzò un sopracciglio a dimostrare la sua perplessità. «Il padre non verrà a cercarla?»
«No.» affermò decisa Regina, riponendo la neonata sul lettino. «Non saprà nemmeno della sua nascita.»
Lo stupore si fece spazio nel volto dell'infermiera che, tuttavia, non osò replicare. «La madre ha scelto il nome?»
Il ghignò abbandonò il viso di Regina, ora dall'aria irremovibile. Lanciò un'occhiata penetrante verso la cella in cui era rinchiusa Belle per poi girare i tacchi, avviandosi verso la pesante porta bianca.
«Si chiamerà Alice.»''

 

«Per tutti i sette mari, guarda un po' chi si rivede!» esclamò Hook procedendo verso i due che, avvolti in calde coperte, osservavano spaesati l'ambiente circostante. «Cappellaio! Cosa ti porta nelle mie acque?»
Killian Jones (come più tardi Alice ebbe l'occasione di conoscere), detto anche Capitan Uncino, era niente di meno che un famelico pirata al comando della Jolly Roger. Si muoveva con disinvoltura mentre i tacchi degli stivali risuonavano ritmicamente contro le travi, un sorriso enigmatico sul volto e l'uncino ben esposto.
Alice, nonostante il freddo, aveva il volto di una bambina che aveva appena ricevuto il regalo agognato da sempre. L'oceano, le avventure, i pirati! Era tutto come se l'era immaginato, era tutto come nelle sue storie di temerari bucanieri, damigelle coraggiose ed ufficiali della Marina curiosi ed ingombranti. Capitan Uncino era proprio il genere di pirata che Alice avrebbe descritto in uno dei suoi racconti: affascinante e temerario ma ligio al suo codice d'onore.
Jefferson, invece, se ne stava immobile cercando di assumere un'espressione rilassata, convincendosi di avere la situazione sotto controllo. «Stiamo andando da Lui.»
Il capitano si avvicinò ad Alice, alzandole il mento con l'uncino. «E cosa fa qui una fanciulla bella come te?»
La ragazza deglutì, sentendo le guance andarle a fuoco e sostenendo lo sguardo ammaliatore del pirata.
Ti prego, Jefferson. Digli che sono muta.
«E' scappata da Neverland e Pan mi ha chiesto di portarla indietro.»
Idiota!
«Non sei un po' troppo cresciuta per poter interessare a Peter Pan?» sussurrò Uncino, facendo comparire una smorfia di disgusto sul volto di Alice quando il forte odore di rum le pizzicò le narici. «Ebbene, quanto coraggio. Qual è il tuo nome?»
«Mi chiamo Amalia.» pronunciò la ragazza tentando di sembrare il più sicura possibile. Jefferson si sentì sollevato che la compagna non avesse detto il suo nome vero.
Uncino sembrò crederci perché, dopo averla scrutata dall'alto al basso, si ritrasse e puntò la sua attenzione sul Cappellaio. «Volete un passaggio, giusto?»
«Esattamente.»
«Bene, in cambio voglio il tuo cappello magico.»
Jefferson esitò, intravedendo gli uomini del Capitano intenti al lavoro guardarli con la coda dell'occhio. Poi aggrottò la fronte, tornando a fissare Uncino. «Mi serve per tornare a casa!»
«Ma Peter Pan non sarà contento se non svolgi la consegna.» rispose il pirata inclinando la testa. «E noi non vogliamo farlo arrabbiare, vero?»
il Cappellaio sospirò e con riluttanza si sfilò il cilindro dal capo. Alice lo guardò sconcertata mentre allungava l'oggetto verso Uncino, formulando tantissime domande dentro la sua testa alle quali pretendeva una risposta.
«Poco male, Cappellaio. Benvenuti sulla Jolly Roger!» esclamò Killian con un sorriso soddisfatto, allontanandosi dai nuovi ospiti con il prezioso cappello e lasciandoli ad alcuni mozzi che, con poca eleganza, li trascinarono sottocoperta.
«Perché gliel'hai dato?» domandò Alice in un sussurro per farsi sentire solo da Jefferson. «Quel cappello non ha poteri magici!»
«Ma Uncino non lo sa, giusto?»
Seguì un'occhiata d'intesa trai due che servì più di mille parole.

 

**

Il risveglio di Alice fu accompagnato dal sole caldo che entrava placido dalla finestra, illuminando l'intero ponte inferiore.
Si ricordò del posto in cui si trovava e balzò giù dall'amaca. Trovò i suoi vestiti esattamente dove li aveva posati la notte precedente per farli asciugare e si vestì, ma un pensiero gli stuzzicò la mente e le impedì di salire subito in coperta.
I suoi occhi vagarono fino a quando, sopra una delle amache a lei vicine, non lo vide. Un tricorno. Con fiero orgoglio lo afferrò e se lo posò sulla testa, come lo portavano i capitani.
Entusiasta e trepidante salì le scale del boccaporto, coprendosi gli occhi dai raggi solari e osservando i marinai già al lavoro da un pezzo, finché il suo sguardo non incrociò la figura di Jefferson e di Capitan Uncino parlottare tra di loro animatamente. Alice fece per raggiungerli quando, dalle sue spalle, qualcuno le prese il tricorno.
Fece un'espressione allucinata, preparandosi già ad uno scontro con il tale che aveva osato rubarle il prezioso cimelio, ma rimase immobile quando vide una ragazza il doppio di lei fissarla con una smorfia divertita.
«Ecco chi ha rubato il mio cappello!» esclamò questa sorridendo.
Alice rimase pietrificata lì dov'era, con la bocca mezza spalancata. Cosa ci faceva una donna sulla nave?
Aveva i capelli lunghi schiariti dal sole e la pelle abbronzata. Portava armi legate in vita ed Alice ci pensò un paio di volte prima di fare una scenata e sfidarla a duello.
«Ma io non ho rubato il tuo cappello...»
«Lo so.» rispose semplicemente la sconosciuta, indossando il tricorno ed allungando la mano. «Io sono Kendra, Kendra Jones, e sono il primo ufficiale della Jolly Roger.»
Alice esitò per qualche secondo. Infine si decise a ricambiare, trattenendo il respiro per la stretta di mano massacrante della ragazza. «Tu devi essere per forza Amalia, la Bimba Sperduta.
«Ehm...sì. Sono proprio io.» questa ringraziò il Cappellaio tra sé e sé quando lo vide materializzarsi di fianco a lei. Notò le mascelle squadrate tese e gli occhi irrequieti che saettavano da un punto all'altro.
Deve soffrire il mal di mare.
«Buongiorno Jefferson.» lo salutò Kendra in tono canzonatorio.
«Jones.» ricambiò l'altro con apatia allontanandosi verso sottocoperta, lasciandole perplesse.
«Lui e mio fratello sono cane e gatto.» Kendra rise alla smorfia di Alice. «Anche se effettivamente non sono molte le persone che vanno d'accordo con Killian...»
Alice sgranò gli occhi dalla sorpresa. «Uncino è tuo fratello?»
«Non ci assomigliamo un granché, vero?»
«Ma alle donne non è permesso darsi alla pirateria...o sì?»
Immaginò che Kendra si arrabbiasse o per lo meno scoppiasse a ridere trascinandola nel suo buco d'imbarazzo, ma così non fu. Contro ogni previsione sospirò, accennando un debole sorriso. «Vieni giù, tra i liquori dovremmo anche avere dell'ottimo the inglese. Dopotutto, devi fare ancora colazione!»

 

Belle appoggiò la schiena dolorante contro il muro gelido della cella in cui era rinchiusa da ormai un tempo infinito.
Chi era lei? Ormai aveva smesso di chiederselo.
Ma quella bambina, sangue del suo sangue, carne della sua carne. La conosceva, quella creatura minuscola ed indifesa.
Era sua figlia. Ma chi era il padre? E perché gliel'avevano portata via?
Sentì lo stomaco stringersi in un nodo soffocante mentre si chiedeva che fine ne sarebbe stata della sua bambina. Sarebbe stata affidata ad un'altra famiglia? O quella donna dai capelli corvini e l'espressione malefica voleva usarla per arrivare ai suoi sporchi scopi?
Ma soprattutto, l'avrebbe più rivista?
Gli occhi stanchi si velarono di lacrime che iniziarono a sgorgarle lungo le guance, accompagnati da sonori singhiozzi.
Ma quelle torbide gocce salate nulla erano in confronto al dolore del suo cuore che, ormai senza speranze, continuava a sanguinare.”

 

«Allora, cara.» incominciò il pirata sedendosi davanti ad Alice. «Vuoi lo zucchero nel the?»
La ragazza spostò gli occhi dal vassoio di biscotti al volto di Kendra e scosse la testa, soffiando sulla sua tazza. «Come mai il capitano non è apprezzato da molti?»
Kendra sembrò sobbalzare a quella insidiosa domanda. «Killian è un pirata temuto, d'altra parte fa bene il suo lavoro...»
«Tu però hai qualcosa di diverso.» affermò la ragazza inclinando leggermente la testa e specchiandosi nei suoi occhi profondi. «Voglio dire...non hai i suoi modi rozzi e talvolta sgarbati. Insomma, cosa ci fai qui? Non sembra il tuo ambiente.»
Il volto contratto di Kendra si distese, lasciando fiorire un piccolo sorriso. Allungò i biscotti verso Alice, che ne fece scorta, e incominciò il suo racconto.
«Una volta i fratelli Jones erano tre. C'era una fanciulla, un Capitano ed un Tenete. Nostro fratello Liam era il maggiore; è venuto a mancare durante un viaggio a Neverland commissionato dal Re e quando Killian tornò a casa riferendomi la tragedia decise di darsi alla pirateria. Ho dovuto seguirlo, era tutto ciò che mi rimaneva della mia famiglia...ma poi si è cacciato nei guai...»
«Cos'è successo?» domandò Alice con le labbra cosparse di briciole, mentre la parte creativa del suo cervello iniziava già a fantasticare elaborando un possibile libro sulle avventure dei fratelli Jones.
«Si è invaghito di una donna sposata, ed era ricambiato. L'ha portata con sé sulla nave, si chiamava Milah e solo successivamente Killian seppe che il marito era diventato il Signore Oscuro.»
«Il Signore Oscuro? Chi è?»
Kendra si sporse sulla tavola, riducendo la sua voce in un sussurro come se ciò che stava per rivelarle fosse molto pericoloso. «E' lo stregone più potente dei Mondi. Ognuno di noi può trasformarsi in lui uccidendolo con il suo pugnale. Ha un potere enorme, più di quanto possiamo immaginare.»
Alice trattenne il respiro, lasciandola proseguire.
«Questo mago era furioso perché Milah aveva abbandonato loro figlio e così l'ha uccisa. Da allora Killian non è più lo stesso, è...assetato di vendetta, non vuole altro. Desidera uccidere l'Oscuro e non si fermerà finché non ci sarà riuscito.»
La più giovane scosse la testa energicamente, abbandonandosi sulla sedia. «Ma questo non ti riguarda, Kendra! Perché sei ancora qui?»
«Perché nessuno è senza speranze, Amalia. Gli voglio bene e sto cercando di tirar fuori la parte migliore di lui, io credo che tutti, infondo, siano buoni.»
«Non sono le parole che pronuncerebbe un pirata.»
«Le sto dicendo da sorella, infatti. Forse mi troverai ingenua ma sono convinta che tutti possano cambiare e io sto facendo il possibile perché Killian la smetta di pensare alla sua vendetta e si concentri su altro...» Kendra si morse il labbro e abbassò lo sguardo.
Come sua sorella, per esempio.
«Vorrei essere sicura della bontà che si cela in ogni uomo tanto quanto te, ma mi sento un po' pirata anche io e sono altrettanto egoista, quindi se vuoi lasciare la Jolly Roger...noi scendiamo alla prossima fermata, e né io né il Cappellaio ti giudicheremo per la tua scelta.»
«Ma...Killian?»
«Hai detto che è ossessionato dalla vendetta, dopo che te ne sarai andata capirà che essa gli sta portando via tutto piano piano e forse proverà a cambiare.»
Un intervallo di silenzio aleggiò intorno alle due ragazze, mentre Alice finiva la tazza di the e si puliva le labbra dalle briciole di biscotti. Poi Kendra alzò il capo, improvvisamente con un sorriso dipinto in volto.
«Ma dimmi un po', Amalia. Come sei scappata da Neverland? Nessuno c'è mai riuscito!»
Alice si irrigidì sulla sedia. «Be'...che dire, è bastato che...uhm, Peter Pan si distraesse un attimo e me la sono svignata...»
Il primo ufficiale si mostrò interessata al racconto, il che costrinse Alice a continuare, armandosi dei ricordi che aveva del libro di Peter Pan mescolandoli con la sua più viva fantasia. «Tutti gli altri Bimbi Sperduti erano lì da molto tempo. Pan aveva detto che però io ero diversa, speciale, e per questo mi ha voluta sull'isola.»
«In che senso...diversa
Be', sai Kendra, dal poco che so mio padre era un mago protagonista di una qualche favola e probabilmente io ho ereditato tutti i suoi poteri e mia madre era una sconosciuta che non ho mai visto in vita. Oh, e forse ho anche un paio di fratelli, chi lo sa!
«Non me l'ha voluto dire.» concluse semplicemente. «Sono stata adottata e prima di tutto questo poco ne sapevo di oggetti magici e fiabe parallele!»
Kendra si mostrò comprensiva nei suoi confronti e Alice sentì subito i sensi di colpa importunarla.
«Deve essere difficile non conoscere le proprie origini...anche i miei genitori non ci sono più.»
Aveva trovato una spalla (che non fosse nevrotica come Jefferson) con cui confidarsi in quello strano mondo così simile a quello dei suoi sogni e non avere la possibilità di aprirsi totalmente a lei la infastidiva non poco. Tuttavia, si ricordò le parole del Capellaio e della missione per il ritorno a casa e finse un sorriso che le costò una fatica enorme.
«Oh, be'...lo è, ma prima o poi devi adattarti e rinunciare all'idea di famiglia perfetta che avevi dentro la tua testa fin dalla nascita.»

Ma dov'è casa?










Here I Am!

Buona domenica a tutti e ben ritrovati :) allora! In questo capitolo vediamo Alice disagiare in una nave pirata, hahaha :') Nella quale lei e Jefferson incontrano Killian Jones, che gli concede un passaggio in cambio del cappello di Jefferson, che come ricorderete quest'ultimo ha preso nel palazzo di Regina...e che quindi non funziona da portale. Alice fa anche la conoscenza di Kendra, la sorella minore di Killian, con la quale conversa e apprende che lei è intrapreso la vita da pirata solo per amore di suo fratello, tentando così di persuaderla che Killian possa mai cambiare finché lei rimane a bordo della Jolly Roger.
Per quanto riguarda Belle...lo so, sono molto cattiva. Ma vedrete, avrà il suo lieto fine c:
Nel prossimo capitolo, la Jolly Roger approderà nell'Isola che non c'è, e Alice e Jefferson dovranno recuperare la seconda pietra, dunque alla prossima! :D
Frannie. 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Capitolo XIV

 

Quella stessa sera, avvolti dalla fitta nebbia, la Jolly Roger calò una scialuppa sul mare immobile. Tutto era silenzioso ma prima di ciò, Alice poté percepire una sorta di attrazione pericolosa verso quell'isola che li attendeva a pochi metri.
Jefferson stava al suo fianco, taciturno. La ragazza spostò lo sguardo verso di lui e gli strinse un braccio con la mano. «Sembra terrificante, laggiù.»
«Lo è.» confermò il Cappellaio con voce ferma. «Attenderemo l'alba per metterci in cammino verso il suo accampamento.»
Alice sbadigliò senza discrezione, facendolo ridacchiare. «Va bene, basta che stai di turno tu.»
Alle loro spalle una voce risuonò, cogliendoli di sorpresa. «E' stato un piacere ospitarvi nel mio vascello.» affermò Uncino con ironia mentre giocherellava con il cilindro di Jefferson, nascosto dal buio della notte. Vicino a lui c'era la sorella Kendra che subito si lanciò su Alice, quasi soffocandola in un abbraccio. «Rifletterò su quello che mi hai detto, Amalia. Grazie, e buona fortuna per tutto!»
Alice rimase per qualche secondo immobile, troppo sconcertata per reagire. Lei, cresciuta senza un abbraccio. Mai tenuta stretta da una madre o un padre, non in quel modo, cuore contro cuore pulsante. Sorrise tra le lacrime, mentre il profumo di mare e di fatica si univa alle ossa che si liquefacevano nel desiderio di restare sempre così, protetta dalle braccia di una sorella maggiore.
Kendra si allontanò e gli occhi della ragazza incrociarono lo sguardo magnetico del Capitano che, sorridendo maliziosamente, le fece l'occhiolino.
«Andiamo.» disse Jefferson salendo sulla scialuppa. Alice lo seguì e dando un'ultima occhiata ai fratelli Jones si sedette, mentre la barca scendeva a pelo d'acqua.

 

**

 

Il Cappellaio buttò distrattamente i remi all'interno della scialuppa e sbuffando scese lentamente. Alice osservava la vegetazione circostante.
«Di cosa avete parlato tu e il pirata?»
La ragazza si girò verso di lui, accennandogli il sentiero che si diramava tra gli alberi.
Si addentrarono nella giungla lussureggiante, illuminata solo dalla luna piena alta sopra di loro.
«Non è stato facile.» ammise lei sospirando. «Non volevo raccontarle fandonie, infondo lei è stata così gentile con me...ho
dovuto comunque farlo.»

Jefferson sorrise, notando la sua espressione crucciata. «Non devi sentirti in colpa, Alice. Hai fatto la cosa giusta.»
Questa annuì poco convinta e in silenzio continuarono a camminare, osservando attentamente dove metteva i piedi. Si
udivano risuonare i versi dei rapaci e gli alberi maestosi che allungavano i rami e le radici sul terreno sembravano trattenere
il respiro, in costante ascolto.

Alice rabbrividì. Non si rendeva conto che quel luogo fosse pieno di magia nera, ma dentro di lei sentiva che di certo qualcosa di oscuro ospitava Neverland.
Quando il sentiero si aprì davanti un'oasi senza piante ma rivestita di sola umida erba, il Cappellaio si fermò. «Ci fermiamo qui per la notte. Tu dormi, ti sveglierò poi per darci il cambio.»
Alice non replicò e si distese dove il suolo era più morbido. Jefferson stava seduto a pochi centimetri da lei, la schiena appoggiata contro il tronco di un albero caduto.
La osservò a lungo mentre chiudeva gli occhi e si lasciava avvolgere da un sonno profondo. Si concentrò su ogni minimo particolare: la bocca dischiusa, i capelli ricci ora profumati di salsedine sparsi ovunque attorno al suo viso, la pelle chiarissima che sembrava splendere sotto la luce lunare.
Poteva permettersi di pensare a lei in quel modo?
Distolse lo sguardo, rimproverandosi.
Ahi ahi, ti sei lasciato stregare dalla luminosità dei suoi occhi velati i coraggio e curiosità, dalla testardaggine e sensibilità che ha di certo ereditato dalla madre? Ma ti piacerebbe lo stesso senza la sua sfacciataggine e talvolta freddezza acquistata dal padre? Se non fosse stata speciale, avrebbe fatto comunque scattare quella scintilla che era rimasta spenta dopo la morte di Adele?
Scacciando quei pensieri sbadigliò e, involontariamente, cadde nel sonno più profondo.

*''«Come ti senti, là sotto?»
Alice, in lacrime, scalciò a più non posso contro la trave di legno.
«Stai comoda?»
Mentre quei ragazzacci sghignazzavano e battevano i piedi sul pavimento, Alice se ne stava sotto. Non era la prima volta che subiva quegli orribili scherzi da parte dei suoi compagni, ma quello era di certo il peggiore di tutti.
«Ben ti sta!»
«Chi verrà a liberarti, ora? La mammina?»
«Oh aspetta, ti ha abbandonata!»
Circondata dal buio, intrappolata e stesa supina, Alice smise di piangere e dimenarsi. Una rabbia che mai aveva provato in vita sua iniziò a montarle dentro. Chiuse gli occhi e si concentrò sulla furia che scalpitava nel suo cuore.
Ci fu il silenzio. Poi il caos.
Alice sentì il fragore dei vetri infrangersi contro il parquet della sala e le urla di quei bulli rimbombare contro le pareti. Quando le grida si furono dissolte tra i corridoi della scuola, Alice tastò cauta la trave rettangolare con la quale era stata intrappolata e notò che i chiodi erano allentati.
La spinse via con forza e perplessa si mise seduta. La luce le colpì il volto e con sollievo espirò profondamente, uscendo dalla fossa e mettendosi in piedi.
Le finestre della sala erano ridotte in frantumi. Alice si osservò intorno con la bocca spalancata.
Come diavolo era successo?”

 


«Alice...Alice.»
La ragazza si svegliò di soprassalto, guardandosi intorno spaurita. Tutto era nero e i suoi occhi ci misero un po' prima di abituarsi.
Si alzò, notando la figura di Jefferson immersa in un sonno profondissimo. Chi l'aveva chiamata?
Sentì di nuovo quella voce inquietante ma nello stesso tempo infantile. Fece qualche passo incerto, trattenendosi dal parlare.
«Anche se gridi, non si sveglierà.»
Alice balzò all'indietro, girandosi verso il luogo da cui proveniva la voce. Mettendo a fuoco, vide una figura che se ne stava appoggiata ad un albero con le braccia incrociate. Era umano, ma qualcosa dentro di lei la obbligò a non abbassare la guardia in nessun caso.
Egli si fece avanti. La luce lunare gli illuminò il viso, rivelando i capelli biondicci e il viso simile a quello di un bambino. Esteticamente, dimostrava all'incirca una dozzina di anni. Era difficile dargli un'età, perché oltre il corpo da ragazzino Alice riusciva a scorgere l'animo di qualcuno che aveva vissuto più dell'immaginabile.
Deglutì, scoccando una veloce occhiata al Cappellaio beatamente addormentato.
«Chi sei?»
«Dipende cosa vuoi che io sia,» pochi passi li dividevano, «Alice.»
La ragazza s'irrigidì, cercando di non focalizzarsi sul perché quel tale conoscesse il suo nome.
«Cos'hai fatto al Cappellaio?» domandò Alice mantenendosi seria.
Costui sorrise in modo sinistro. «Ti sto dando il tempo necessario per scappare da questo luogo maledetto prima che sia
troppo tardi.»

«Senza di lui non vado da nessuna parte.»
«Credi che lui non lo farebbe?»
«Non lo conosci.»
«Neanche tu.»
Alice tacque. Spostò lo sguardo da Jefferson allo sconosciuto davanti a sé, tradita da un fremito d'incertezza.
Poi lo notò. Piccolo, quasi reso invisibile dall'oscurità della notte ma riconoscibile dalla luce che racchiudeva in sé. Era appeso al suo collo, nascosto sotto la camicia.
Alice finse di non averlo visto ma tremò al timore di essere stata scoperta quando il ragazzino si avvicinò a lei, afferrando tra le dita l'orologio che Ernest le aveva regalato.
«Questo portale può condurti in mondi diversi. Tutti, a essere preciso, anche quelli senza magia. Anche il tuo.» egli si allontanò da lei, aprendo le braccia. «Non capisci? Potresti tornare nel tuo mondo immediatamente, se non fosse per lui,» disse indicando l'addormentato, «e i suoi giochetti sporchi!»
Alice scosse la testa e per un momento le parve di vivere un'allucinazione dentro il sogno.
«Pensaci. Siete in cerca di qualcosa che vi porterà a casa quando tu hai un mezzo molto più efficace proprio sotto il tuo
naso.»

Puntò automaticamente lo sguardo sul ciondolo che portava al suo collo, così magico e misterioso, pronta a chiedere a quello strambo individuo come lui facesse a sapere di cosa erano in cerca. Ma quando alzò la testa non lo vide più: erano rimasti solo lei e Jefferson.
Sarebbe davvero potuta tornare a casa senza nessuna delle Pietre. Perché il Cappellaio l'aveva trascinata in tutti quei guai? E chi era quello sconosciuto che sapeva tutto di lei?
Ma dov'è casa?






* scena dal film "The Imitation Game". Lo consiglio vivamente, e poi c'è Keira *-*




Here I Am!

Uhuh, che capitolo. Jefferson e Alice abbandonano la nave del capitano Uncino e sua sorella in favore della giungla di Neverland. Di male in peggio, insomma :')  Si riparano per la notte, ma Alice viene svegliata da uno sconosciuto che credo abbiate già indentificato.
E così viene a galla un aspetto che si era ignorato fin dall'inizio: essendo l'orologio un portale, può portare in qualunque mondo. Anche quello di Alice. Insomma, in poche parole tutto questo viaggio si sta rivelando inutile. 
Bene, io qui ho finito! Non dirò nulla sulle nuove puntate di Once Upon A Time, altrimenti vengo segnalata per spoiler e data al rogo.
Voglio solo dire che i miei feels sono stati appallottolati e buttati via con indifferenza e niente ci vediamo la settimana prossima.
Frannie. <3

 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Capitolo XV

 

Alle prime luci dell'alba, Jefferson aprì gli occhi. Sentì i conati di vomito salirgli alla gola e un fortissimo mal di testa, come se avesse ripetutamente sbattuto la testa contro un muro. Massaggiandosi le meningi, si mise in piedi con lentezza osservando la natura svegliarsi con lui. Il suo sguardo cadde infine su Alice che, dritta accanto a lui, lo fissava in modo truce.
«Buongiorno, Alice...»
Questa, senza ricambiare il saluto, lo tirò per il collo della giacca fino a lasciare pochi centimetri di distanza uno dal naso dell'altro.
«Per chi lavori? Eh? Chi ti ha incaricato di prendere le Tre Pietre?»
Jefferson si girò, il volto tramutato in una smorfia. «Chi ti ha detto questo?»
L'altra si morse il labbro e guardò altrove, mentre il suo muro di sicurezza mostrato fino a quel momento prima crollava.
«Alice. Quando e cosa ti ha detto chi.»
«Era...un ragazzo. Forse Peter Pan.» pronunciò la ragazza con voce flebile. «Mi ha detto che l'orologio di Ernest potrebbe portarci subito nel mio mondo. Perché siamo impegolati in quest'isola, alla ricerca di pietre magiche della discutibile funzionalità?»
Jefferson non rispose. Alice lo lasciò andare, ma i suoi occhi erano ancora puntati su di lui.
«Quelle pietre non sono per noi. Non è così?» si trattenne dal tremare.
Il cielo grigio era incatenato alle acque del mare più azzurrino, rovesciandosi su di esso come in una tempesta e il Cappellaio presto non sarebbe più riuscito a sostenere quello sguardo. «Alice, io...»
Un rumore alle loro spalle li fece girare entrambi. Alcune foglie larghe strisciavano tra di loro, fino a mostrare la figura che si nascondeva dietro di loro.
I capelli schiariti dal sole erano spettinati e le ricadevano sul viso, ma Alice riconobbe subito il primo ufficiale che l'aveva accolta sulla Jolly Roger. Le corse incontro, scostandole i ciuffi all'indietro.
«Kendra!»
Questa si mise dritta, mostrandosi confusa. «Alice? Ma...Non ti chiami Amalia?»
Alice inviò una richiesta d'aiuto con la coda dell'occhio al Cappellaio, il quale però se ne stava immobile senza comprendere.
«Ho inventato un altro nome perché ci sono delle persone che mi stanno cercando...scusa, ma non potevo rischiare.» spiegò Alice con cautela. «Non sono una Bimba Sperduta e Jefferson non mi sta portando da Peter Pan...o almeno, così credevo.»
«Cosa stai cercando di dire? Credi che dopo quello che abbiamo passato...» replicò Jefferson avvicinandosi alle due.
«Sta' zitto.» lo interruppe lei acidamente. «Dobbiamo andare da Pan perché la Seconda Pietra è al suo collo.»
Seguì un incrocio di sguardi tra i tre: quello nervoso di Jefferson, quello confuso di Kendra e quello di Alice, incerta su chi fidarsi proprio come all'inizio.
Infine Jefferson ruppe il silenzio, rivolgendosi a Karen. «Che cosa ci fai qui? Non eri con Uncino?
«Ero. Ho deciso di andarmene.»
«Bene, sappi che non ho alcuna intenzione di portarti con noi!»
«Io non so cosa state cercando, né dove.» disse seccamente lei. «So solo che Alice mi ha aperto gli occhi e per questo le devo tantissimo. Killian non ha bisogno di me, né tanto meno io di lui. Però forse posso esservi d'aiuto...Rubare è lavoro da pirati, no?»

 

**


Dopo che Jefferson ebbe spiegato a Kendra la situazione in cui si erano cacciati, la più giovane del gruppo raccontò l'incontro della scorsa notte.
«C'era questo ragazzino con uno smeraldo appeso al collo, grande più o meno come l'ametista che ho in tasca.»
Peter Pan sa di certo che siamo alla ricerca della Seconda Pietra. Perché non fa nulla per ostacolarci?
Poi il ricordo di ciò che le aveva detto Cora le affiorò sulla mente, facendola divenire pensosa e inquieta.

''«Non...non volete giustiziarmi?»
«Certo.» ammise la Regina senza timore. «Ma se andrà come predico io, otterrò ugualmente quello che voglio.»"

Quindi Cora e Pan sono in combutta contro di noi? E una volta presa l'ultima, fatidica Pietra...cosa succederà?
La voce ottimista di Kendra la distolse dai suoi cupi pensieri. «Credo di avere un'idea, seguitemi.»
Alice e Jefferson le vennero dietro con perplessità. Marciarono attraverso la giungla, fermandosi di tanto in tanto lasciando che Kendra si orientasse.
Infine capitarono davanti un ruscello, le quali acque zigzagavano facendosi strada cadendo in piccole cascate. Lungo la riva crescevano rossi papaveri, innocenti e colorati adiscapito del verde che li circondava
Kendra ne raccolse una ventina, controllando attentamente che i petali non fossero rovinati o mangiucchiati dagli insetti.
«Cosa credi voglia fare?» domandò a bassa voce Alice.
«Non ne ho idea, l'importante è che funzioni.» Jefferson scrollò le spalle. «Sei sicura di aver visto bene?»
La ragazza s'irrigidì, punta sul vivo. «Al contrario mio, tu non hai alcun motivo per dubitare.»
Vennero interrotti da Kendra che, con un sorriso raggiante, metteva in bella mostra il mazzolino di papaveri che aveva raccolto. «Ecco!»
«Papaveri?»
«Polvere di papaveri!» corresse lei sapientemente. «Induce un sonno profondissimo.»
Jefferson annuì ma Alice parve ancor più confusa. «Un sonno profondissimo?»
«Esatto, basta spargerne un po' attorno per far addormentare chiunque.»
La più giovane si voltò automaticamente verso il Cappellaio con gli occhi ricchi di stupore. «Ecco perché ci hai messo così tanto a svegliarti! Pan l'ha usata su di te!»
«Direi di si...» ammise lui. «Non credete che questo trucchetto non basti per prendere qualcosa di così importante? Voglio dire, siamo contro Peter Pan, anche se nel mio mondo lui è un po' diverso...»
«Se non proviamo, non lo sapremo mai.» concluse Kendra alzando le spalle.
Protetta dagli alberi, questa iniziò a preparare la polvere, mentre Jefferson e Alice facevano i turni di guardia.
Ma dov'è casa?

 

**


Era ormai sera quando Alice, Jefferson e Karen decisero di agire.
Armati di polvere di papavero, avevano percorso l'isola trovando senza difficoltà l'accampamento di Pan e dei Bimbi Sperduti. Si erano arrampicati sui rami più alti degli alberi vicini e con il fiato sospeso aveva atteso a lungo fino a quando, dopo che il sole fu tramontato, le vittime del loro piano non caddero nel luogo della trappola.
Accesero un falò ed Alice poté riconoscere la figura di Peter Pan che, suonando il suo flauto, faceva ballare i Bimbi attorno al fuoco mentre gridavano come selvaggi. Ebbe lo strano impulso di unirsi in quella danza tribale, ma rimase lì al suo posto, incantata.
Quando la musica finì, i Bimbi Sperduti si sedettero in cerchio. Erano una ventina ma solo uno, il capo, se ne stava in piedi con le mani appoggiate ai fianchi e rivolgeva un sorrisetto soddisfatto a tutti loro. Incominciò a parlare, ma Alice non ascoltò una parola: Jefferson aveva dato l'ordine di buttare su ognuno la polvere di papavero.
Cautamente, presero a piccoli grumi la polvere e dall'alto questa cadde come pioggia. Cinque minuti dopo, il nemico svenne per terra con gli occhi chiusi.
Kendra balzò giù dall'albero con agilità ed attese che Alice scendesse con goffaggine e la raggiungesse. La ragazza prese la Seconda Pietra, la quale brillò tra le sue dita.
Kendra sorrise soddisfatta.
«Ottimo! Jefferson, puoi pure scendere, abbiamo...»
Kendra si interruppe. Entrambe si guardarono intorno, ma del Cappellaio Matto non c'era alcuna traccia. Alice si allarmò, girando la testa da una parte all'altra quasi impazzita. «Dove può essersene andato?»
Kendra si diresse verso l'albero su cui era salito Jefferson e ne controllò il terreno circostante. Poi spalancò gli occhi e fece segno ad Alice di raggiungerla. Seminascosta tra le foglie e il fango, se ne stava una lunga piuma bianca.

«Jefferson non se n'è andato.» mormorò Kendra maneggiando la piuma. «L'hanno rapito gli Indiani.»

 

 

 





Here I Am!
Lo so, ho saltato una settimana, ma si sa che le settimane di dicembre sono sempre le più dure e ho dovuto posticipare i capitoli.
No words per la finale di OUAT. Devo ancora assimilare e ho le lacrime agli occhi da l'ultima puntata (in realtà dal primo episodio della prima stagione, ma vabbe'...).
Comunqueeee, torniamo al capitolo! Le parole di Pan sembrano fondate, dunque, L'orologio di Ernest potrebbe davvero portare Jefferson e Alice a casa, ma Jefferson segue un'altra volta le istruzioni di Rumplestiltskin alla lettera e alla fine sapremo se ha fatto bene oppure no hihi.
C'è anche una nuova comparsa al gruppo (ye!), Kendra, che finalmente ha deciso di lasciare il fratello per cercare un posto su misura per lei nel mondo di Alice. Stavo pensando a come sarebbe carino scrivere una storia a parte sui fratelli Jones e raccontare per benino tutte le loro avventure, maaaa vedremo. 
Sconfiggere Peter Pan con della banale polvere di papavero vi sembra troppo facile? Lo pensa anche Alice, che ricorda le parole dette da Cora a Wonderland. Ma non sembra aver tempo di riflettere più a lungo che Jefferson scompare e Kendra scopre che in mezzo ci sono gli Indiani. Mancano le sirene a questo punto, ma dubito vivamente di una loro comparsa :') 
Come faranno Alice e Kendra a salvare Jefferson sonosempreneiguai Hatter? A domenica, e non dimenticatevi di lasciare una recensione! c:
Frannie. 

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Capitolo XVI

 

«Grandioso!» esclamò Kendra alzando le braccia al cielo. «Non facciamo in tempo a prendere la Pietra che Jefferson si lascia rapire dagli Indiani. Ottimo, direi!»
Alice mantenne lo sguardo basso. «Come sono...questi Indiani?»
«Pelle rossa nomadi tatuati e dal linguaggio incomprensibile che costruiscono i villaggi vicino alla Baia delle Sirene, appendono acchiappasogni alle tende e allevano cavalli. Ciò che non riesco a capire è a quale scopo abbiano rapito Jefferson...senza il suo cappello magico è pressoché inutile, anzi mi sembra che porti solo un sacco di guai.» le fece notare Kendra ridacchiando.
L'altra sospirò. «Diciamo che non è facile stargli dietro, ecco.»
Continuarono a camminare, ormai distanti dall'accampamento di Peter Pan e dei Bimbi Sperduti. Quando lo stomaco di Alice brontolò sonoramente, Kendra scoppiò a ridere facendole diventare le guance rosse dall'imbarazzo.
«Ho portato delle provviste.» disse sedendosi ai piedi di un albero e tirando fuori un fagotto dalla redingote che indossava. «Non c'è un granché...solo carne essiccata, acciughe, delle gallette...»
Ma prima che Kendra potesse terminare il suo elenco, Alice si era già tuffata in quel magro picnic. Fece ridere l'ex primo ufficiale, che si mise comoda con la schiena appoggiata al tronco e afferrò una galletta sgranocchiandola rumorosamente. «Dimmi, Alice, che cosa farai una volta tornata a casa?»
Alice deglutì e si pulì con il dorso della mano. «Credo tornerò da mio zio Ernest, e cercherò i miei genitori. A quanto pare sono vivi e sono i personaggi di una fiaba! Chissà che magari io non sia l'erede al trono di qualche regno...» scherzò Alice, prima di tornare seria. «Sai della maledizione?»
«Ne ho sentito parlare. Io e Killian abbiamo navigato per così tanto tempo in queste acque che forse Neverland non ha subito l'incantesimo.» spiegò Kendra mostrandosi pensierosa.
La bionda la guardò attentamente, notando in lei uno strano senso di malinconia.
Le venne un forte desiderio di abbracciarla. «Jefferson vuole ritrovare sua figlia. Una volta tornati a Storybrooke, potresti stare da me per qualche tempo, infondo la casa di Ernest ha bisogno di essere restaurata e...»
«Dici sul serio? Sarebbe meraviglioso, Alice!»
«Ma Killian?»
Kendra abbandonò l'entusiasmo e si incupì. Lasciare il fratello era stato un grande sacrificio, per lei. «Se mai volesse raggiungermi, potrebbe usare il cappello di Jefferson.»
Alice si grattò la testa con imbarazzo. «Ehm...sì, a proposito di quel cappello...»
D'un tratto, un urlo squarciò la loro provvisoria quiete. Alice s'interruppe e balzò in piedi, mentre Kendra raccoglieva le ultime cose. Corsero a perdifiato nella direzione da cui avevano sentito la voce gridare e più volte rischiarono di rimetterci la pelle per un ramo troppo basso o per le radici degli alberi che spuntavano dal terreno, quasi volessero ostacolarle. Arrancavano tra la vegetazione con le mani protese in avanti fino a quando Kendra non scorse la luce di un grande falò. «Alice, da questa parte!»
Si nascosero dietro un paio di enormi scogli che si affacciavano davanti ad una lunga spiaggia dalla sabbia finissima. Poco lontano, un'intera tribù di Indiani svolgeva le solite attività quotidiane: i bambini si rincorrevano da una parte all'altra bagnandosi i piedi con la spuma delle onde, le donne più anziane costruivano piccoli totem a forma di aquila, gli uomini stavano al loro fianco seduti i grandi tronchi ricoperti di pelliccia animale mentre si facevano grandi fumate di pipa. Seminascosto in una capanna e legato al legno che la reggeva, il Cappellaio Matto dormiva inerme mentre un gruppo di giovani gli danzavano intorno.
Appena in tempo, Kendra trattenne Alice per la giacca. «Vuoi farci scoprire? Lo so che hai fretta e che non vedi l'ora di tornare tra le braccia del tuo Cappellaio, ma se vuoi liberarlo dovrai attendere che tutti si ritirino nelle loro tende!»
Alice divenne rossa fino alla punta delle orecchie e borbottò qualcosa, rimanendosene tuttavia al suo posto. Aspettarono tutta la mattinata, ma quando finalmente tutti gli Indiani si dispersero decisero di mettersi in gioco.
«Vedi quelle guardie?» chiese Kendra indicando i pellerossa appostati alla tenda nella quale era stato intrappolato Jefferson. «Rimarranno lì tutto il giorno. Dobbiamo trovare un diversivo.»
«Ottimo. Vado io.»
Kendra guardò Alice accigliata. «Non se ne parla! Conosco l'isola molto meglio di te, sono più veloce e so quali sono i loro punti deboli.»
Alice fece per ribattere, ma tacque quando capì che discutere sarebbe stato un'inutile spreco di tempo.
Entrambe si scambiarono uno sguardo d'incoraggiamento. Kendra fu la prima ad agire.
Bastò uscire allo scoperto con la spada sguainata e attaccare una delle guardie che tutti gli altri rivolsero la loro completa attenzione su di lei ma, prima che questa potesse essere assalita, iniziò l'inseguimento all'interno della giungla di Neverland.
Quando fu sicura che il diversivo di Kendra avesse funzionato, Alice si diresse correndo verso Jefferson.
Il giovane trasalì quando sentì dei passi nella tenda ma sospirò di sollievo quando vide la ragazza impegnata a slegargli i polsi e i piedi dalle funi.
«Si può sapere cosa diavolo ti è saltato in mente?» sbraitò Alice, abbassando subito dopo la voce.
Jefferson fu finalmente libero e si massaggiò i polsi. «A dire il vero non è stata mia intenzione farmi rapire! Probabilmente mi credono una divinità...» ipotizzò, dandosi delle arie.
Alice alzò gli occhi al cielo. «Lo sai cosa fanno alle divinità intrappolate nella carne umana?»
«No...»
«Le mangiano, in modo che la loro anima possa tornare immortale e libera!»
Jefferson fece una smorfia disgustata al pensiero di venire arrostito e divorato. «Ormai l'effetto della polvere di papavero sarà terminato, e non mancherà molto prima di ritrovarci circondati da Peter Pan e della sua banda.»
«Dobbiamo trovare Kendra, prima.»
Il Cappellaio Matto alzò gli occhi al cielo in un'espressione di esasperazione, ma ogni suo tentativo di protesta venne impedito dallo sguardo glaciale che gli riservò Alice. «Non me ne vado senza di lei.»
«Mi conosci da più tempo di lei e già le sei più affezionata!» sbottò allora Jefferson con ironia.
«Io non mi affeziono alle persone.» borbottò Alice tra sé e sé, abbassando il capo. «Andiamo, ora ci manca solo una Pietra.»
Jefferson annuì e con cautela entrambi uscirono dalla tenda. Mentre attraversavano la spiaggia, un urlo squarciò il silenzio dell'alba.
Alice quasi inciampò sui suoi piedi. Quello non poteva essere nient'altro che un urlo femminile.
Correndo a perdifiato, Alice indicò con l'indice teso un grande masso dal quale avrebbero potuto osservare tutta la zona circostante. Il Cappellaio accettò, un po'
titubante, e insieme scalarono la grande roccia. Con le mani ricoperte dai graffi, Alice finalmente si tirò su e sul viso le si dipinse un piccolo sorriso alla vista di quell'enorme distesa di mare davanti a loro. Il sole alto del mezzogiorno illuminava l'intera isola.

«Era lei. Doveva esserlo per forza.» decretò Alice con il cuore in gola.
Il Cappellaio non rispose, si girò e raggiunse la parte opposta della roccia, sporgendosi per osservare meglio la giungla sotto di sé. «Non si vede un bel niente da qui. Forse se la chiamiamo...»
«No.»
Jefferson aggrottò le sopracciglia. Il ''no'' di Alice gli era sembrato più un'ordine che altro. Tuttavia, decise di non replicare quando la compagna lo afferrò con forza per il gomito, intimandogli di girarsi verso l'oceano e di mettere a fuoco un punto in lontananza. «Guarda lì.»
«E' una nave.» decretò Jefferson in tono ovvio.
Lo sguardo di Alice sembrò spazzare via ogni sua sicurezza. «Quella non è la nave del Capitano Uncino, però.»
Effettivamente, il vascello da Alice indicato era ben diverso da quello di Jones. Quello era più impetuoso, minaccioso quasi; con le vele nere ammainate. Non serviva scervellarsi tanto per scoprire quale nave fosse. Da quella distanza era ben visibile la scritta gotica dipinta sulla murata di babordo.
Queen's Anne Revenge.
«Qual è il piano?» chiese Alice con un soffio, una volta che si fu ripresa dallo shock.
«Tra i nemici che in questi anni mi sono fatto, Barbanera è di certo il peggiore.»
Barbanera. Alice non poteva credere a ciò che aveva appena visto: la nave di un pirata morto trecento anni fa che solcava le acque di Neverland. Come poteva essere?
Nonostante l'assurdità di quella situazione, la ragazza non poté far a meno di entusiasmarsi al pensiero di aver a che fare con un pirata della portata di Edward Tatch. «Bene, significa che andrò da sola.»
«Aspetta...cosa?!»
Alice, che si era già avviata per scendere dal masso, si voltò spazientita verso il Cappellaio. «Non mi interessa quale tipo di scontro hai avuto con Tatch, Jefferson. Per quanto ne sappiamo lui può aver preso Kendra e averla portata sulla sua nave...»
«Ma a quale scopo?»
«Non ne ho idea.»
«Alice, questo non è un gioco. Uncino è nulla in confronto a Barbanera, te lo posso assicurare!» Jefferson scosse la testa, facendo cenno con la mano di averne davvero abbastanza. «Per quanto mi riguarda, possiamo anche lasciarla al suo destino.»
Alice ci mise un po' per assimilare ciò che il Cappellaio aveva pronunciato. Una rabbia cieca prese possesso di lei, che si avvicinò al giovane puntandogli l'indice al petto con fare minaccioso. «Sei un vero codardo! Credi che Kendra abbia esitato quando abbiamo capito che eri stato rapito dagli Indiani?! Credi che abbia tremato di fronte alla possibilità di essere scoperta da Peter Pan e dai Bimbi Sperduti mentre ci aiutava a sbarazzarci di loro?! Te lo dico io: lei, di paura, non ne ha avuta. E neanche io ne ho ora. A te non piace navigare per mare perché non ci sono vie di fughe, vero? Nella terraferma puoi svignartela quando le cose iniziano a diventare ingestibili.» la tempia di Alice pulsava così tanto da temere che scoppiasse. «Sai che ti dico? Trovatela da sola l'ultima Pietra.» esclamò tirando fuori il sacchetto in pelle nel quale aveva custodito lo smeraldo e l'ametista fino a quel momento e sfilandosi l'orologio d'oro dal collo, buttando tutti ai suoi piedi. «Torna a Storybrooke o dovunque tu abbia intenzione di tornare. Risolvi i tuoi affari e consegna queste maledette pietre a chiunque ti abbia incaricato di prenderle. Io vado a salvare Kendra.»
Jefferson aveva assistito a questo scoppio d'ira con un'espressione seria. Neanche imperturbabile, quasi dannata, come se quei suoi occhi cristallini fossero appena diventati due pozze nere, rivelando la parte peggiore di sé. Solo una vocina dentro di lui debole quanto una flebile fiammella lo incitava a parlare.
Non puoi perdere anche lei.
In altre circostanze, Jefferson avrebbe almeno cercato di ribattere, di farle cambiare idea su di lui, di farle capire che doveva – voleva – proteggerla. Ma quella volta non lo fece, perché la verità delle sue parole era agghiacciante. Lui era stata un brutta persona che aveva rubato e ingannato per i propri scopi e si era illuso di essere cambiato dopo la nascita di Grace e in seguito alla perdita di Adele. Non era così: nonostante il dolore e le responsabilità che gravavano su di lui come macigni, Jefferson restava sempre il fuggitivo codardo ed egoista di un volta. E non poteva cambiare le cose.
Aveva osservato Alice trasformarsi in qualcosa a cui mai aveva assistito. Alla fine si era ribellata. Gli venne spontaneo chiedersi come aveva fatto a trattenersi fino a quel momento.
Ma dov'è casa?

La ragazza tacque, riprendendo fiato. Gli occhi erano ridotti a due fessure e il cuore batteva così velocemente da scoppiarle nelle orecchie. Poi abbassò l'indice, in un gesto frustato e deluso, e si girò per scendere dalla roccia, mentre Jefferson se ne stava immobile, con la mente svuotata.
«Mi chiedo come diavolo faccia a piacermi un tipo come te.»








Here I Am
In questi giorni sono diventata lo spirito natalizio che prende possesso delle persone, e intendo contagiarvi tutti c: Vorrei che le vacanze fossero già arrivate perché proprio non ce la faccio più, non so come durerò altri tre giorni tra i banchi di scuola!
Avrei tante novità da raccontare maaaaaa freno il mio entusiasmo e torno subito al capitolo. Credo che questo sia uno dei miei preferiti, soprattutto per il dialogo finale tra Alice e Jefferson. Non è una litigata come le altre: Alice è veramente delusa dall'egoismo e dalla codardia di Jefferson che non cerca nemmeno di discolparsi tanto sono vere le sue parole. Jefferson, seppur sia uno dei miei personaggi preferiti, ha inaggato le persone per molto tempo e il suo apparente coraggio è dato solo dalla ricopensa che riceverà a missione compiuta. Alice se ne rende conto e gli lascia sia il portale/orologio che le pietre, correndo poi alla ricerca di Kendra che sembra in grave pericolo. 
Jefferson coglierà l'occasione e tornerà a casa? Come farà Alice a trovare Kendra? E cosa centra Barbanera in tutto ciò? Intanto vi auguro un bellissimo Natale, godetevi queste vacanze fino all'ultimo e ci rivedremo domenica prossima! 
A presto!
Frannie.

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Capitolo 17
*** Capitolo XVII ***


Capitolo XVII

 

Quando Kendra finalmente si fermò non era troppo lontana dall'altra sponda della spiaggia dalla quale era scappata rincorsa dai pellerossa. Si chinò per riprendere fiato, appoggiando le mani sulle ginocchia e ridendo dal sollievo e dalla soddisfatta per essere riuscita nel suo intento.
La sua agilità e il suo passo veloce avevano seminato le guardie, ora sarebbe bastato solo trovare il Cappellaio ed Alice per lasciarsi alle spalle Peter Pan e gli Indiani inferociti. Una volta che il suo battito cardiaco tornò nella norma, Kendra raggiunse la spiaggia che stava a pochi metri dalla radura in cui aveva sostato per riprendere fiato. Il sole stava facendo capolino dalle onde quando intravide galleggiare nell'acqua un mastodontico vascello dalle vele nere e, più vicina a lei, una piccola scialuppa abbandonata in riva al mare. Sentì qualcosa alle sue spalle ma, non appena fece per estrarre la sua sciabola dal fodero, qualcuno le fece mollare la presa con un calcio dritto nella schiena.
Gridò accasciandosi a terra, del tutto impreparata ad un agguato. Prima che potesse riprendere la sua arma tra le dita, uno stivale pestò la lama di quest'ultima bloccandola a terra.
«Guarda guarda chi si rivedere.» disse la voce mentre Karen veniva tirata su da due uomini.
Fissò l'uomo che aveva parlato e, mentre sentiva l'astio crescere in lei, questo rise bellamente mostrando un buon numero di denti d'oro. Karen cercò di dimenarsi, ma questo fece ridere l'uomo ancora di più. «Vedo che non hai perso la tua spavalderia, Jones.» affermò questo afferrando la spada dalla sabbia e ammirandone la lama.
«Che cosa vuoi, Tatch?»
Barbanera puntò la punta dell'arma sullo sterno della giovane. «Credimi, ti ucciderei subito se non mi servissi per scovare tuo fratello. Dimmi: quell'idiota di Killian Jones naviga in queste acque?»
Kendra gli regalò uno sguardo ricco di odio e disgusto. «No.»
«E perché mai avrebbe dovuto lasciare la sua povera, piccola indifesa sorellina in balia dei pericoli di questo paradiso maledetto? Ti conviene non mentirmi.» disse Barbanera in tono minaccioso, spingendo la lama contro il torace della ragazza, che sussultò. «Se decidessi di farmi fuori subito mi risparmieresti la morte di mio fratello.»
Edward Tatch sembrò allora sorridere. Tolse la lama dal petto della ragazza buttandola a terra e ordinò ai suoi uomini di condurla sulla scialuppa. «Se non mi dirai esattamente in quali coordinate si trova Capitan Uncino ti sottoporrò a qualcosa di ben peggiore della sua morte.»

 

**

 

Alice aveva una voglia matta di prendere a calci tutto ciò che si trovava di fronte a lei. Fino a poco prima aveva cercato di non illudersi, convinta che appoggiarsi a uno come Jefferson fosse solo un grande sbaglio, e quando si era lasciata andare era stava brutalmente scossa dalla verità: il Cappellaio stava facendo quel viaggio per tornare da sua figlia, e non di certo perché teneva a lei e voleva aiutarla.
Lacrime di rancore spingevano per uscire, ma Alice si impose di non piangere. Tirò su con il naso e cercò di tenere a bada la sua collera per quando avrebbe dovuto liberare Kendra.
Le sarebbe servita un'alta dose di coraggio per agire senza creare più guai di quanti non ve ne fossero già.
Mentre Alice si struggeva dentro una nube nera di pensieri, raggiunse a passo spedito la spiaggia e, senza nemmeno accorgersi, inciampò.
Si alzò con una smorfia, cercando di togliersi più granelli di sabbia possibili dalle labbra. Si girò per imprecare contro l'oggetto che aveva osato compromettere la sua missione di salvataggio ma la sua attenzione venne completamente rapita da quella che sembrava una spada. La prese tra le dita, maneggiandola e sentendone il peso. Era leggera e sinuosa, ma così affilata da essere letale.
Nonostante la poca esperienza nell'arte della scherma, Alice decise di tenere l'arma con sé. Fece qualche passo indietro e scorse delle orme sovrapposte che andavano dalla fine della radura alla riva del mare, dove le onde si scontravano con la terra.
Alice trattenne il respiro. Il suo intuito non si era sbagliato. A riva le orme erano già state cancellate delle onde, ma ogni indizio portava di certo alla fregata che stava a metri di distanza dalla spiaggia.
La ragazza si guardò intorno, d'un tratto smarrita. Come avrebbe fatto a raggiungere la nave di Barbanera? Non vi era il tempo per costruire una zattera, e arrivare a nuoto sarebbe stato folle.
Alice piantò la lama della sciabola nella sabbia con forza e si sfogò con un urlo di frustrazione. E ora?
«Kendra non sarebbe contenta di come tratti la sua arma.»
Alice sobbalzò dallo spavento, girandosi di scatto verso la voce che aveva parlato. Killian stava appoggiato al tronco di un albero con l'uncino in mostra e il suo solito sorriso magnetico.
La ragazza deglutì e posò le mani sui fianchi, sospirando per allontanare il nervoso. «Che cosa ci fai qui?»
«Be', è già il terzo grido che sento provenire da questa isola maledetta, Amalia.» affermò il pirata avvicinandosi alla ragazza. «Non avrei mai dovuto fidarmi di voi due.»
Alice sorrise debolmente, incrociando le braccia al petto. «Fai in fretta.»
Killian afferrò l'elsa della spada di Kendra ancora infilata nella sabbia e la estrasse con prodezza. Alice poteva già vedere quella lama affilata trapassarla da parte a parte.
«Non ho intenzione di ucciderti, non ora almeno.» dichiarò Capitan Uncino, facendole cenno di prendere la sciabola. Alice alzò un sopracciglio, perplessa, però non esitò.
Non si sa mai che cambi idea.
«Voglio prima sapere chi sei.»
«Mi chiamo Alice Kingston.» disse semplicemente la ragazza, impugnando l'elsa.
«Jefferson se l'è svignata?»
«Qualcosa di simile. Non vuoi sapere dov'è tua sorella?»
«So benissimo dov'è. L'ha presa Barbanera. Suppongo di essere arrivato in ritardo.» Uncino fece un amaro sorriso. «Se solo fosse rimasta al mio fianco...»
«Credo sappia badare a sé stessa.» replicò Alice tagliente.
«Non alle prese con uno come Edward Tatch. Ho lasciato la mia ciurma ad occuparsi della mia nave per andare a cercare Kendra, ma non sapevo che nel frattempo Barbanera fosse arrivato a Neverland.» ammise Killian. «Vuole vendetta, l'ha rapita per arrivare a me.»
«D'accordo, qual è il piano?» la testa di Alice stava per esplodere e una volta tanto si trattenne dal fare mille domande sul perché il celebre corsaro se la fosse presa con ciò che rimaneva dei fratelli Jones.
A quel punto, contro ogni previsione, Uncino scoppiò a ridere. «Tu pensi veramente che ti renderò partecipe di questa missione dopo avermi ingannato?»
L'espressione di Alice rimase impassibile, e questo fece tornare serio il pirata in pochi secondi.
«Dammi un buon motivo per arruolarti.»
Dire che hai letto tutto sull'argomento ''navigazione'' non servirà.
«So navigare.» osò Alice, pregando che il capitano non la mettesse alla prova sul serio. «E io e Kendra avevamo iniziato a legare. Ci siamo confidate, fino a quando Jefferson non ha mandato tutto all'aria...»
Killian annuì divertito. Prese a girarle intorno, ancora non soddisfatto. «Cosa mi darai in cambio?» Pronunciò queste parole all'orecchio di Alice con voce suadente al punto che la ragazza balzò di lato, allontanandosi dal pirata brandendo la sciabola. Killian rise. «Stai attenta con quella spada, o rischierai di cavare un occhi a qualcuno.»
Alice esitò un momento, prima di abbassare l'arma. «Sappi che non ho nulla da darti, ma sono sicura che Jefferson si indebiterebbe molto volentieri.»
Uncino le fece segno di seguirla attraverso la spiaggia, ghignando divertito.
«Ci sarà da divertirsi.»






Here I Am!

Buon Nataleeeeee :D Anche se in ritardo, spero abbiate passato una bellissima giornata e che abbiate ricevuto tutto quello che avevate chiesto hahahah :')
Cavolo, siamo già arrivati al diciassettesimo capitolo! Ormai Wonderland sembra così lontana ed Alice sta affrontando prove che prima neanche immaginava. Oltretutto, ora è rimasta da sola e dovrà affrontare Barbanera. 
Per fortuna, lei e Killian sembrano stipulare un'alleanza e presto li vedremo veleggiare verso il mare dei Caraibi alla ricerca di tesori nascosti e teschi maledetti...magari in un'altra storia c': 
Vi auguro un buon anno nuovo, ci risentiamo domenica prossima! A presto! 
Frannie. 

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Capitolo 18
*** Capitolo XVIII ***


Capitolo XVIII

 

Che Killian cercasse di sdrammatizzare la situazione, Alice l'aveva capito dal primo momento. La Jolly Roger era di certo un vascello impetuoso, ma inutile dire che la Queen Anne's Revenge incuteva terrore a chiunque ne incrociasse la rotta.
«Siamo comunque in vantaggio.» la rassicurò il capitano mentre dirottava la sua nave verso quella di Barbanera. «La Jolly Roger è più leggera e dunque più veloce.»
Alice annuì, incerta se Uncino fosse intervenuto per tranquillizzarla o per difendere il suo gioiello da commenti inesperti e indesiderati.
Dopo qualche minuto di silenzio, Killian lasciò il timoniere al timone e scese sul ponte, allungando la sua pistola verso Alice. «Prendila. Scommetto che hai avuto a che fare di più con una di queste che con una spada, nel tuo mondo.»
A dire la verità, con nessuna delle due.
«Grazie.»
«Allora,» disse Uncino, segno che ancora non voleva mollare la presa su di lei, «Alice. Cosa ci fai qui a Neverland?»
«Non mi sembra il momento adatto per parlare delle mie sventure.» rispose secca la ragazza, infilandosi la pisola dentro la cintura. «Stiamo raggiungendo il vascello di Tatch.»
«I miei uomini devono ancora armare i cannoni.» replicò il capitano con un sorriso ammaliatore. «Abbiamo ancora qualche minuto a disposizione.»
«Ottimo.» Alice sorrise raggiante, incominciando a scendere le scale del ponte di comando per dirigersi sottocoperta. «Vuol dire che impiegherò quel tempo per trovarmi un tricorno piumato.»
Non appena Alice scese in coperta, il capitano iniziò a dettare ordini a destra e a manca e i suoi uomini presero a lavorare più velocemente di prima.
Stavano per abbordare la Queen's Anne Revenge e la tensione era palpabile da chiunque. Nella testa di Alice vagavano milioni di pensieri e domande di natura diversa: perché Tatch ce l'aveva con i fratelli Jones? Cosa sarebbe successo a Kendra? E alla Jolly Roger? E Jefferson?
Jefferson.
Alice provò a sviare quel nome in ogni modo, stampato fin troppo bene nella sua mente, ma ogni volta che cercava di pensare ad altro questo tornava sempre al centro della sua attenzione, sfacciato e indesiderato. Ormai avevano preso strade diverse, lui aveva il portale e le pietre e in qualche modo se la sarebbe cavata. Lei invece sembrava aver apparentemente preso le vesti di un pirata e se non fosse finita nel fondo dell'oceano troppo presto sarebbe potuta rimanere con Jones.
D'un tratto, si chiese perché aveva così tanta fretta di tornare in un posto nel quale non vi era più niente per lei.
Scosse la testa energicamente per scacciare tutti quei pensieri, ma non fece in tempo ad attraversare il ponte inferiore per trovare un tricorno che non le stesse enorme che una grande voce esclamò qualcosa sopra di lei.
In coperta, c'era un grande schiamazzo. Quando Alice comparve dal boccaporto con una mano posata sulla fronte per coprirsi dai raggi fastidiosi del sole tramontante, si accorse che la murata della nave di Barbanera era solo a una ventina di metri dalla Jolly Roger.
Una grande ansia le attanagliò la gola e il suo guardo cercò frenetico quello di Killian Jones, che trovò sul ponte di poppa. Lo raggiunse, e solo quando su di fianco a lui il capitano le rivolse un'occhiata che Alice non seppe ben decifrare.
I suoi occhi scuri erano imperscrutabili, puntati dritti davanti a sé, ma Alice sapeva che lui e tutta la ciurma condividevano la stessa ansia. La nave cadde in un silenzio di attesa, spezzato solo dal cigolio della nave e dai profondi respiri degli uomini.
D'improvviso, dal castello di poppa della Queen Anne's Revenge, comparve un uomo basso e robusto dal volto ripugnante, con la barba scura lunga e due occhi iniettati di sangue dalle pupille così nere che Alice non provò neanche a sfidare tanto era profondo il rischio di annegare dentro quel baratro color petrolio.
Sentì Killian trattenere il respiro per pochi secondi e questo le fece subito intuire che l'uomo doveva essere niente meno che Barbanera.
Sentì un groppo chiuderle la gola.
«Killian Jones!» parlò finalmente egli, sporgendosi dal parapetto. «Che coincidenza trovarvi qui.»
«Non vi sarà alcun benvenuto per te. A Peter Pan non piacciono gli ospiti.» ringhiò Uncino, scendendo le scale del ponte di comando. Il suo tono era proprio quello che ci si aspettava da un vero capitano e la sua voce ebbe l'effetto di infondere coraggio nel cuore di ogni suo fedele marinaio. «E neanche a me. Dov'è Kendra?»
Nel volto rugoso del pirata prese spazio un enorme sorriso, che venne presto accompagnata da una fragorosa e grottesca risata. Fece segno ai suoi marinai di issare una pedana che collegasse la Jolly Roger alla Queen Anne's Revenge e continuò a parlare, sotto attento sguardo di Killian. «Suvvia, Uncino, quanta fretta. Infondo, abbiamo un sacco di cose da raccontarci...»
«Ho chiesto dov'è Kendra.»
Silenzio.
«La tua povera sorellina non ce l'ha fatta.» dichiarò infine il pirata, fingendosi dispiaciuto. «Ha fatto la stessa fine di tuo fratello, caduta in fondo all'oceano.»
Killian si fece pallido come un cencio. Iniziò a sudare, piccole goccioline trasparenti che gli scendevano sulla la fronte, e il resto del corpo fu scosso dai tremiti.
Morta. Kendra era morta.
Un odio cieco si impossessò di Killian e l'unica cosa a cui egli riuscì a pensare in quei pochi secondi fu di uccidere chiunque avesse osato sfidare la sua improvvisa sete di morte, data da un dolore che mai si sarebbe rimarginato. La sua mano si strinse attorno alla sua sciabola, che estrasse pronto all'attacco e mentre gli altri si stavano riprendendo dallo shock egli saltò sulla pedana con un urlo di rabbia.
Alice era ancora ferma sul posto quando Killian e Barbanera iniziarono a duellare lì, in quel unico pezzo di legno che univa i due vascelli. Non riusciva ad assimilare quella frase, caduta in fondo all'oceano.
E d'un tratto le sembrò tutto vero, tutto prese la forma giusta: il Cappellaio Matto, le rose rosse della Regina, il portale, il Brucaliffo.
Le Tre Pietre, la Foresta Incantata, Neverland.
E lei era Alice, quella Alice, ed era nel vascello di Capitan Uncino. E aveva appena perso un'amica, e il dolore era reale, e bruciava. Lei riusciva a sentirlo.
Ma dov'è casa?
Scese le scalette del ponte di poppa e scansò i duellanti che si sfidavano a sciabolate, cercando di non farsi coinvolgere in nessuna lotta. Il suo occhio seguì i marinai che, aggrappati alle funi pendenti dell'albero maestro, attraversavano il vuoto per atterrare con agilità nell'altra fregata, spalleggiando il loro capitano in quello scontro a sangue.
Tutto stava succedendo troppo velocemente perché Alice potesse fermarsi un secondo a riflettere. Corse verso una delle reti che univa l'albero di mezzana al ponte, utilizzata dai marinai per fare da vedetta, quando qualcuno le afferrò il polso e la fece girare con la forza.
Non fece in tempo a reagire che si trovò davanti l'ultima persona che avrebbe pensato di vedere.
«Jefferson?!» gridò, sconvolta. «Cosa...cosa ci fai qui?»
Il Capellaio aveva i cappelli bagnati appiccicati alla fronte e i vestiti appesantiti dall'acqua. Al collo aveva ancora l'orologio di Ernest e stretta nella mano destra stringeva una spada. Alice notò che i suoi occhi brillavano come mai li aveva visti e non appena incrociò il suo sguardo sentì che il peso del mondo si era sollevato dalle sue spalle di colpo.
«Sono venuto a salvarti.» rispose con ironia, facendo cenno alla battaglia. «Ascoltami bene, Kendra non è morta. E' nelle prigioni della
Queen Anne's Revenge, devi andare a liberarla.» Qualcuno alle sue spalle fu pronto a tirare un affondo, ma Alice lo avvertì subito e le due lame si incrociarono facendo un rumore che in mezzo a quel trambusto era pari alla caduta di un ago.
Alice rimase imbambolata per alcuni secondi, guardando Jefferson destreggiarsi con la spada con un energumeno della ciurma di Barbanera. Un paio di secondi dopo si decise ad agire, mentre il suo compagno la copriva parando e contrattaccando con un'agilità che Alice non gli riconosceva.
Si issò sulla rete e con due mani salì fino a poter vedere il mare agitarsi sotto le due navi e minuscoli omini combattere sopra di esse. Vide che Uncino e Barbanera si erano spostati sulla Jolly Roger e che nessuno dei due dava ancora segno di cedimento.
Alice tornò concentrata su ciò che doveva fare e, preso il giusto coraggio, afferrò una delle funi che pendevano dietro di lei e si lanciò nel vuoto.
Avrebbe voluto tenere gli occhi chiusi per non lasciarsi investire dalle vertigini, ma non ve ne fu modo: l'obbiettivo era la rete della Queen Anne's Revenge che stava esattamente davanti a lei e non poteva mancarla, altrimenti si sarebbe sfracellata al suolo o, nel peggiore ma più probabile dei casi, direttamente sull'albero maestro.
Quando fu abbastanza vicina, lasciò la fune e si aggrappò con tutte le sue forze all'altra rete. Non ebbe il tempo di gioire della sua prima impresa da pirata che, voltando il capo, vide Jefferson ancora alle prese con lo stesso marinaio di prima.
Era salito sulla rete in cordame e il mozzo gli era alle calcagna. Jefferson aveva raggiunto la fune e stava per lanciarsi, ma Alice aveva intuito subito che il marinaio non avrebbe mollato la presa e che con tutta probabilità avrebbe fatto cadere Jefferson.
Prese la rivoltella che Killian gli aveva dato, tolse la sicura e caricò. Pregò che la sua mira non fosse pessima come credeva e puntò ad un punto impreciso del braccio del mozzo di Tatch, che nel frattempo aveva allungato una mano con un pugnale per ferire Jefferson.
Lo sparò fu più potente di ciò che Alice si era aspettata, ma ebbe comunque l'effetto desiderato. Il marinaio urlò di dolore e mollò la presa sia sull'arma che sull'unico appoggiò che lo teneva issato a bordo; cadde dunque in mare dimenando le braccia a più non posso verso il cielo.
Alice sorrise piena d'orgoglio. Il Cappellaio la raggiunse poco dopo e insieme scesero sul ponte della nave estranea, molto più ampio di quello della Jolly Roger.
Si guardarono attorno, improvvisamente incerti su dove dirigersi, quando Alice indicò quello che sembrava il boccaporto che portava ai ponti inferiori.
Jefferson la seguì senza fiatare, deviando i fendenti che ogni tanto i nemici gli rivolgevano, e sani e salvi arrivarono infine sottocoperta. Le due navi avevano iniziato a fare fuoco una contro l'altra, dunque i marinai erano troppo occupati a prendere tutta la polvere da sparo che potevano e ad armare i cannoni.
Alice rivolse un'occhiata preoccupata a Jefferson. «Sarà meglio muoverci, questa battaglia sta volgendo al termine.»
Il Cappellaio annuì e insieme arrivarono fino alle prigioni del vascello, nelle quali stavano un paio di celle allineate dentro una delle quali stava Kendra.
Alice tirò un lungo sospirò si sollievo mentre la sua amica si alzava dal pavimento e le si illuminavano gli occhi di speranza. «Siete venuti!»
«Non potevo lasciarti qui, Kendra. Sono così sollevata che tu sia viva...» le sorrise la bionda.
Jefferson prese le chiavi appese al ferro di cavallo e aprì la cella, ma nello stesso momento un chiasso assordante fece piegare tutti e tre con le braccia sopra la testa per proteggersi dalle schegge. Quando il bordata centrò l'obbiettivo, notarono che parte della murata di babordo era crollata e che presto le prigioni sarebbero annegate sott'acqua.
D'un tratto, l'improvvisa gioia nello sguardo di Kendra si spense per lasciare spazio alla preoccupazione. «Devo andare da Killian, io...non so neanche se sia vivo!» Iniziò a farneticare Kendra, gesticolando preda alla disperazione.
Alice si era fatta dare l'orologio da Jefferson e l'aveva stretto nelle mani di Kendra, che si era ammutolita e aveva incollato i suoi occhi in quelli azzurri di Alice.
«Andrà tutto bene, Kendra.» aveva detto con parole rassicuranti, e lei per un attimo riuscì pure a crederci.
Jefferson chiuse le mani attorno a quelle di entrambe. Nella catastrofe, tutto iniziò a girare.










Here I Am!
Woah. Qui ci sarà molto da scrivere lmao. 
Inanzitutto, vediamo Killian e Alice molto vicini in questo capitolo. Non si fidano completamente uno dell'altro, ma si sono alleati per un obbiettivo comune che va al di là delle loro simpatie: salvare Kendra da Barbanera. 
Sembrano quasi riuscirci, se non fosse che il pirata mente dicendo di aver ucciso la ragazza e questo fa scattare l'odio di Killian e, insieme a lui, tutta la battaglia. Uh, è tornato anche Jefferson! A quanto pare si è ricreduto...:') 
Insomma, alla fine salvano Kendra. Ma Killian? E Barbanera? Uncino è un personaggio che mi sta conquistando mooooolto lentamente. Non lo so, forse vederlo meno cascamorto nei confronti di Emma mi ha fatto ricordare che infondo lui è sempre un pirata. Magari potrei scrivere uno spin-off sui fratelli Jones in quanto nella storia alcune cose non verranno spiegate e d'altronde conosciamo così poco della vita di Killian che potrei sbizzarrirmi. Ci penserò!
Intanto, sappiamo che al nostro trio manca una sola Pietra. Dove li porterà l'orologio per l'ultima tappa del loro viaggio? Sempre ammesso che lo sia...
Lasciate una recensione e a presto!

Frannie.

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Capitolo 19
*** Capitolo XIX ***


Capitolo XIX

 

Ogni Pietra aveva messo ognuno di loro in uno stato di difficoltà: l'ametista, Pietra dell'equilibrio, aveva spronato Jefferson a far pace con il suo passato; lo smeraldo, Pietra della saggezza, aveva costretto Kendra a guardare in faccia la realtà e pensare al suo bene una volta per tutte. Ora era il turno del rubino, la Pietra dell'amore, e un senso di angoscia attanagliava Alice, la quale trovò un po' di calore e coraggio solo quando strinse le dita attorno le prime due Pietre.
Ne mancava una sola, e poi sarebbero potuti tornare a casa.
Ma dov'è casa?
Erano arrivati a Wonderland stanchi, affamati e combattuti. Kendra era stata sul punto di piangere ricordando Killian e Jefferson e Alice si erano quasi dimenticati del loro litigio, ognuno intrappolato nella sua rete di pensieri e rimorsi.
L'orologio di Ernest era scomparso. Una volta tornati a Wonderland, Alice si era accorta di non averlo più ed era arrivata alla conclusione che questo poteva solo significare la fine del loro viaggio.
Mentre attraversavano il confine del regno della Regina di Cuori, Jefferson si rivolse alle due ragazze. «Dovremo attraversare il labirinto, che è impestato dalle sentinelle, e poi inoltrarci segretamente nel castello di Cora. Qualcuno a qualche idea di come farlo?»
«Hai ancora quel fungo che fa diventare piccoli piccoli qui con te?»
Il Cappellaio si tastò le tasche, scuotendo poi la testa amareggiato.
Alice si posò un indice sul mento, pensosa, fino a quando non lo protese in aria colta da un'idea. «Conosco un Fante, Will Scarlet. Mi ha aiutato dopo che te ne sei andato, mi è stato di grande aiuto e sono sicura che lo sarà di nuovo.» dichiarò, lanciando uno sguardo d'accusa a Jeferson che però egli non colse.
Kendra incrociò le braccia al petto, dubbiosa. «D'accordo, ammesso anche che questo Fante voglia aiutarci...come possiamo chiederglielo se siamo bloccati qui?»
Alice spostò lo sguardo su di lei, mentre un raggiante sorriso le fioriva in viso. Kendra se ne accorse e capì al volo, alzando le braccia sopra di sé in segno di esasperazione. «No, Alice! Non propormelo neanche, non ti azzardare!»
«Kendra, ma tu sei un pirata! Rubare, depredare, saccheggiare e tutte quelle cose da bucaniere che facevi devi metterle in pratica ora.» la implorò quest'ultima con voce decisa. «Non te lo chiederò mai più, solo...per favore. Non c'è altra via per tornare a casa.»
Kendra esitò per qualche minuto, per poi roteare gli occhi e annuire. «Va bene, proverò ad aprire le porte del castello e vi lascerò introdurre dentro da questo Will Scarlet.»
Senza auguri di buona fortuna ne altro, Kendra corse giù per la collina dritta nella bocca del leone.
Ora erano rimasti soli, Alice e Jefferson, e per qualche minuto rimasero in silenzio seduti sull'erba, aspettando che qualcuno prendesse il coraggio per parlare.
Entrambi erano rimasti scossi e turbati e in quel momento tutto ciò che era successo tra di loro sembrò prendere una sfumatura insignificante.
Finalmente il Cappellaio parlò, con la voce ridotta ad un sussurro. «Mi dispiace.»
Alice voltò la testa verso di lui, sorpresa e senza saper come rispondere.
«E non dire che dopo essere venuto in tuo aiuto non ti importa più del resto. Una buona azione non ne cancella due cattive.»
«Però è così. Per me, è così.» rispose Alice con sincerità. «Perché sei tornato, e come?»
Le Pietre non funzionano senza di te, stava per rispondere il Cappellaio.
Ma Alice avrebbe comunque trovato una crepa nella sua voce, una spiegazione alternativa che avrebbe fatto cadere il suo castello di menefreghismo e allora mentire non sarebbe servito a niente.
«Ti basti sapere che è stato molto umiliante.» rispose ridendo divertito, per poi tornare subito serio. «Quando te ne sei andata, ero già pentito. Ho cercato la Jolly Roger e l'ho trovata attraccata alla costa. Gli ho raccontato del cappello, del rapimento di Kendra e del motivo per cui se n'era andata. Mi ha chiuso nelle sentine e ho dovuto aspettare che tutta a sua ciurma fosse impegnata nella battaglia per uscire.»
«E poi mi hai vista.»
«E poi ti ho vista.»
Sorrisero.
«Chissà che fine ha fatto l'orologio di Ernest.»
Jefferson non replicò. Non che Alice se lo aspettasse.
Lui era il Cappellaio Matto e non aveva una risposta per tutto.
Era solo il Cappellaio Matto.










Here I Am!
Io ci rinuncio, non riesco a pubblicare con la meticolosa puntualità che speravo :( Questa volta non è colpa della scuola, bensì è colpa mia. Sto lavorando ad altre cosette (tra cui la fanfic sui fratelli Jones che ancora non so se andrà in porto...) e quindi ho messo le storie che sto scrivendo un po' da parte. 
Dunque, questo è più che altro un capitolo di passaggio da Neverland a Wonderland. Jefferson, Alice e Kendra sono quasi alla fine del loro viaggio, manca una sola Pietra, quella dell'amore, e poi potranno finalmente tornare a casa. 
Mentre Kendra compie una missione suicida tra i corridoi del labirinto della Regina di Cuori, il Cappellaio e Alice hanno modo di chiarirsi e sembra ormai che si siano perdonati così tante cose che nessuno potrà più mettersi trai due...l'orologio di Ernest è scomparso, e questo lascia in tutti un vuoto: sanno che non c'è altro modo di tornare indietro se non prendere l'ultima Pietra. 
Mancano pochi capitoli prima della fine che ho già scritto, quindi teoricamente non dovrei avere troppi problemi le prossime settimane a pubblicarli tutti puntualmente. 
Speriamo bene :') Buona domenica, lasciate una recensione e a presto! <3

Frannie.

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Capitolo 20
*** Capitolo XX ***


 
Capitolo XX
 
 
«Cosa ti affligge, Alice?»
chiese placido Jefferson, notando l'aria crucciata della ragazza.
Ella si accoccolò ancor di più tra le sue braccia, posando la testa sul suo petto e inspirando profondamente.
Profuma di zenzero. Zenzero e limone.
« Quella di Alice è l'unica favola che non ha lieto fine.» rispose, senza alzare gli occhi verso di lui. « Lei si sveglia e si rende conto che tutto era solo un sogno: la Regina di Cuori, i Fanti, le rose rosse...era stato tutto frutto della sua immaginazione. Anche il Cappellaio Matto.»
Jefferson tacque per un momento e, prendendo il mento di Alice tra due dita, la fece voltare verso di lui, accorgendosi che i suoi occhi erano lucidi e velati di nostalgia.
« Tu non mi dimenticherai. Come io non dimenticherò te. Il Cappellaio Matto è incapace di dimenticare e ci sarà sempre per Alice.»
«Ma il problema non sei tu, Jefferson.» scosse energicamente il capo, sciogliendo l'abbraccio e mettendosi seduta. «Sono io. Lo sono sempre stata.»
«Non ti libererai di me così, se è quello che speri. Devi essere matta per pensare queste cose.»
Alice sorrise amaramente.
I matti sono tali perché hanno capito ogni cosa.
 
**
 
Kendra afferrò un sasso e lo lanciò contro le siepi, le quali lo fecero sparire in un batter d'occhio tra le foglie appuntite.
Se le avesse sfiorate, non sarebbe rimasto un granché di lei. Estrasse un pugnale affilato dalla fodera appesa alla sua cintura e prese a correre.
Era stata una sola volta a Wonderland, quando aveva accompagnato il fratello Killian in un'avventura che era conclusa con un accordo tra lui e la Regina e la promessa che un giorno si sarebbe vendicati contro un nemico comunque. Era stata tutta fortuna dunque, ma se c'era una cosa che aveva imparato era che per uscire vivi da quel labirinto bisognava perdervisi.
Tuttavia le guardie erano sempre in agguato, e quando un forte boato suonò per scandire il cambio delle sentinelle, Kendra si sentì gelare il sangue nelle vene.
L'avrebbero scoperta subito se non si fosse data una mossa.
Piccole goccioline di sudore le scendevano giù per la fronte mentre zigzagava per i corridoi delle alte siepi, fino a quando non intravide un soldato seguirla.
« Ehi, tu!» nonostante la voce cristallina, Kendra non si girò di un grado, continuando a correre. «Fermati subito!»
Purtroppo, egli conosceva quel labirinto molto meglio di lei, e non ci mise che qualche secondo a placcarla da una strada secondaria. Kendra si dimenò dalla presa e con sorprendente agilità puntò il pugnale contro la gola dell'uomo.
«Cosa ci fai qui, intrusa?» ansimò egli, incredulo dell'agilità con cui la ragazza aveva risposto.
Kendra non rispose subito, e fece una cosa che le costò caro: esitò. Perse secondi importanti che avrebbero segnato il suo destino irrimediabilmente. Faccia a faccia, poté intravedere attraverso la maschera gli occhi nocciola del soldato.
Senza la traccia di alcuna paura.
E, quando notò che il Fante non si era approfittato di quell'istante d'indecisione, Kendra tolse il pugnale dalla sua gola.
«Non sono affari tuoi, Fante.» e prima che questo potesse reagire, si piegò velocemente e fece un superficiale taglio sulla caviglia, l'unica parte del corpo che non era protetta dall'armatura. Questo bastò alla ragazza il tempo necessario per seminarlo.
Rifletté su ciò che aveva appena fatto, chiedendosi se fosse stata la giusta cosa da fare.
Se Killian mi vedesse adesso...
C'era quasi. Stava per raggiungere il centro del labirinto, ma presa dall'entusiasmo non fece in tempo ad opporsi verso colui che le aveva tappato la bocca con una mano e l'aveva trascinata goffamente verso un vicolo cieco.
Scalpitò per liberarsi dalla morsa anche quando vide una guardia della Regina venire verso di loro sbandendo la sua arma ad ogni passo.
«Ben fatto, Fante. Ora consegnami l'intrusa, la porterò dalla Regina e lei saprà esattamente cosa farne.» disse, lasciando immaginare a Kendra un ghigno malefico sotto l'elmo arrugginito.
«Spiacente, non posso. La Regina mi ha personalmente incaricato di condurre questa furfante nelle prigioni. Non vorrai mica contraddirla, vero?»
Kendra spalancò gli occhi e smise per un secondo di lottare, riconoscendo la voce del Fante di poco prima.
Cosa diamine sta cercando di fare? Vuole lasciarmi andare, o è solo una trappola?
L'altro esitò per qualche secondo, prima di scuotere la testa e proseguire per la sua via.
Quando sparì definitivamente dalla loro visuale, il Fante allentò la presa su Kendra. Questa brandì pugnale ancora sporco di sangue caldo verso il suo salvatore, mentre riprendeva fiato. «Cos'hai intenzione di fare? Ti ho risparmiato la vita una volta, non lo farò di nuovo se necessario.»
«Ho appena ricambiato il favore, tesoro.» la canzonò il Fante, togliendosi la maschera di ferro. «Potevi almeno evitare di pugnalarmi un polpaccio!»
Kendra aveva ragione: aveva poco meno di trent'anni, proprio come lei. Spostò lo sguardo verso la ferita, dalla quale usciva sangue copiosamente, per poi alzare gli occhi immediatamente su di lui. «Qual è il tuo nome?»
«Will Scarlet, Fante al servizio di Sua Maestà la Regina di Cuori.» si presentò in un buffo inchino, dichiarando il suo ruolo con amaro sarcasmo.
Ciò fece spuntare un sorriso soddisfatto nelle labbra di Kendra, che pulì il suo pugnale e lo rimise nella fodera. «Credo proprio di aver risparmiato il Fante giusto.»
 
**
 
«Tu vorresti farmi credere che Alice e il Cappellaio Matto, quel Cappellaio Matto, sono alla ricerca delle Tre Pietre e che l'ultima si trova proprio nel castello di Cora?!»
Kendra alzò le spalle. «Così si dice. Mi sono unita quando erano in viaggio per la Seconda, e li ho seguiti qui a Wonderland.» si girò verso Will, continuando a camminare. «Dobbiamo andare nell'ala est del labirinto e aprire il ponte levatoio. Jefferson ed Alice stanno aspettano lì.»
«Dobbiamo?»ripeté Will ridacchiando, cogliendola alla sprovvista.
La ragazza abbassò lo sguardo, borbottando parole a caso. «Dobbiamo...ci stanno aspettando lì e...oh, lasciamo stare!»
Si allontanò da lui, lasciandolo ridacchiare dell'inusuale reazione. Kendra era fatta così, riusciva a tenere testa a chiunque, ma quando arrivava qualcuno a disarmarla di ogni difesa diventava irascibile.
Quando mai ti è successo, Kendra?
«D’accordo, maledizione,» esclamò Will, alzando le braccia sopra al capo in segno di resa. «apriamo quel ponte e facciamo in modo che tutto finisca presto.»
«Tu…come sei arrivato qui?» domandò Kendra, lasciando trapelare la pungente curiosità.
Will contrasse le mascelle, la mente pervasa dai brutti ricordi. «Per sbaglio, diciamo così. Nulla di cui mi fa piacere parlare, comunque.»
«Colpa di una donna?»
Will Scarlet trasalì, facendo ridacchiare Kendra. «Tranquillo, non c'è bisogno di spiegare. Abbiamo cose più importanti di cui occuparci.» rispose indicando le due alte torri che si prostravano a pochi metri da loro.
«Mi occupo delle guardie di entrambi le torri. Non ci metterò molto.»
spiegò velocemente  controllando di avere abbastanza armi a sua disposizione e facendo una smorfia contrariata quando scoprì di esserne a corto.
Will aggrottò le sopracciglia e spalancò la bocca, pronto a ribadire. «Non esiste proprio! Solo perché qualcuno mi ha pugnalato la caviglia non significa che io non possa essere utile!»
«Will, l’unica cosa di utile che possiedi al momento sono le tue armi.» si giustificò Kendra, allungando le mani verso di lui e reclamando la spada legata al fodero.
Egli imprecò e borbottò, ma alla fine il pirata poté avventurarsi tra i cespugli che segnavano la zona delle torri dal labirinto con la sciabola in mano. Il Fante poté vederla mentre, agile come un gatto, camminava guardinga a carponi fino all'entrata della torre più vicina.
Quando scomparì, Will si avvicinò cauto alla seconda torre, trascinando il piede ferito. Nascondeva ancora un pugnale dentro una tasca interna e, armatosene, forzò la porta senza fare il minimo rumore.
Il silenzio proseguiva fin sopra le scale a chiocciola, dove le Guardie della Regina sorvegliavano l'aria circostante.
Vale davvero la pena tradire tutti i tuoi compagni per una causa che non ti appartiene?
La voce dentro la sua testa insisteva di andarsene, ma il pensiero di Alice al di là del ponte lo lasciò dov'era.
Infondo lei vuole solo tornare a casa, e anche il Cappellaio. Si meritano la mia fedeltà più della Regina o di qualsiasi dei suoi Fanti.
Con il pugnale teso in aria, Will salì gradino per gradino, trattenendo i lamenti per la caviglia dolente. Arrivato in cima scorse subito un soldato che gli dava le spalle e, lentamente, si avvicinò a lui tanto da coglierlo impreparato.
Lo afferrò per le braccia e con un gesto fulmineo lo trascinò al di là della muraglia, guardandolo mentre sbraitava e cadeva nella irta siepe.
Non fece in tempo ad esultare che una lama gelida venne a contatto con il suo collo, facendolo rabbrividire. Ruotò verso l'avversario, buttando il pugnale ai suoi piedi.
«Will Scarlet.» pronunciò egli scuotendo la testa. «Così mi costringi ad ucciderti.»
Gli si gelò il sangue nelle vene.
No, no. Non posso morire proprio ora, nel bel mezzo dell'azione!
Il suo ex compagno si preparò per il colpo fatale, ma invece cadde con un tonfo ai piedi del malcapitato che, sconvolto, alzò gli occhi verso la sua (per la seconda volta!) salvatrice.
Kendra abbassò la trave che teneva sollevata, buttandola di lato. Ricambiò lo sguardo del Fante, mostrandosi fuori di sé. «Non solo zoppo, ma anche sordo! Alice è proprio brava a scegliersi gli alleati...»
«Uhm, grazie.» borbottò William, grattandosi il capo con imbarazzo.
Salvato da una donna pirata!
Kendra si avvicinò a lui con fare minaccioso. «Lo sai cosa succede nelle mia nave ai marinai che non rispettano le regole? Ti avevo raccomandato di aspettarmi!»
L'altro alzò gli occhi al cielo. «Ebbene, non ci sono riuscito. Non avevamo cose più importanti di cui occuparci?!»
Kendra digrignò i denti inviperita, ripercorrendo lo stesso tragitto che aveva fatto per soccorrere Will.
Aprirono il ponte levatoio e in poco tempo Alice e Jefferson li raggiunsero.
La ragazza fece per correre incontro al Fante ma quando vide la caviglia sinistra malamente avvolta in una benda coperta di sangue arretrò inorridita. «Che ti è successo?»
Will accennò un sorriso finto, rivolgendo un'occhiata di ghiaccio al pirata. «Kendra mi ha ferito nel tentativo di fuggire. Poi però l'ho aiutata, anche se non sembra ancora fidarsi di me.»
«Ciao, Alice.» disse freddamente la ragazza mantenendo le braccia incrociate al petto. «Non potevi farti amico un Fante più robusto, intelligente e ubbidiente?!»
Alice ridacchiò guardandoli mentre bisticciavano tra loro, per poi riprendersi quando Jefferson le diede una piccola gomitata sul braccio. «Dobbiamo fare presto, le guardie della Regina devono essere già state avvertite e avventurarsi nel palazzo non sarà semplice, temo.»
«Conosco una scorciatoia. Si può accedere alla sala principale tramite dei corridoi sotterranei, anticamente costruiti in caso di attacco al castello.»
«Ma non brulicano di soldati?» chiese Alice con perplessità.
Will scosse la testa. «Che io sappia, non vengono utilizzati da un po'.»
Alice e Jefferson meditarono per alcuni minuti, ma alla fine annuirono. Non avevano molte altre possibilità.
Il primo fu William, che segnava il cammino; infine era compito di Jefferson assicurarsi che tutti arrivassero sani e salvi al castello e così, tutti insieme, si avventurarono nei puzzolenti corridoi con il capo basso.
Procedettero al buio e in silenzio, mentre sopra di loro premevano metri e metri di terra. Alla fine Will tastò con le mani la maniglia di una botola arrugginita che con l'aiuto degli altri riuscì ad aprire. Uno alla volta uscirono dal tunnel e misero piede su quella che sicuramente era la sala del trono.
Negli occhi di Kendra fiammeggiava qualcosa che Alice non poté riconoscere subito. Il pirata mise occhio su tutto quello che le si trovava davanti, soffermandosi più a lungo su ciò che sembrava di più valore, al che Alice la richiamò.
«Scusa Alice, stavo pensando a come potrebbe essere diversa la vita che ci aspetta se...»
«Ci penseremo quando sarà il momento Kendra, la nostra priorità è la Pietra ora.»
Kendra annuì e insieme si diressero verso il trono della Regina. Erano solo loro quattro: un Cappellaio, un pirata, un Fante e una ragazzina dai presunti poteri magici.
Sarebbe bastata quella vastità di personalità a far funzionare le Pietre?
Ma tutti sapevano che era questione di minuti prima che in quella stessa sala si scatenasse l'inferno.
C'era un rubino incastonato nell'apice del trono, di un rosso sangue. Alice respirò a fondo e allungò la mano per estirparlo dalla trappola d'oro che lo circondava, ma non fece in tempo a preoccuparsi per la facilità con cui l'aveva ottenuto che un pensiero terrificante le fece correre lungo la schiena un brivido di inquietudine.
«Qualcuno ha visto Jefferson?»
Nell'esatto momento in cui quelle parole arrivarono alle orecchie di Kendra e Will, i portoni della sala si aprirono con fragore, lasciando entrare una scherma di guardie precedute dalla vistosa presenza della Regina di Cuori.
Sostenuto da due soldati si dimenava il Cappellaio che, con un occhio nero, lanciava occhiate di supplica ad Alice.
Via, vattene via. Usa la tua magia. Usa le Tre Pietre e dimenticati di ogni cosa.
«Abbiamo trovato questo giovane mentre cercava di raggiungervi nei corridoi sotterranei.»
disse Cora con voce calma. «Lo conoscete, per caso?»
Nonostante Kendra avesse cercato di trattenerla, Alice si era fatta avanti, tremando dalla rabbia e dalla paura. «Lasciatelo stare! E’ me che volete, lui non centra nulla.»
Cora roteò gli occhi. «Ah, l'amore! Ti credevo più furba di così, mia cara.»
La ragazza serrò le mascelle, mentre Kendra e Will se ne stavano immobili al loro posto, impotenti
«Dammi le Pietre, Alice. Consegnamele e forse risparmierò il tuo Cappellaio...»
Alice non osò guardare gli occhi imploranti di Jefferson e li puntò sulla gemma rossa che teneva stretta tra le dita, unendola alle altre due.
«Alice, non farlo! Non dargliele per alcuna ragione, non...»
Alice non fece in tempo a muoversi che Cora affondò le dita nel petto di Jefferson e ne estrasse il cuore pulsante, stringendolo forte tra le dita. Mentre egli urlava dal dolore, Kendra corse per combattere ma venne immobilizzata dalla Regina la quale ordinò alle guardie di prendere Will Scarlet e sbatterlo nelle prigioni insieme alla sua amica.
Alice si era precipitata su Jefferson il quale, sentendo il suo cuore sgretolarsi in mille briciole di cenere si era gettato a terra, gli occhi spiritati spalancati dal dolore.
«No! Jefferson, guardami, non osare chiudere gli occhi, guardami…»le parole vennero interrotte dal fiume di lacrime che sgorgava dagli occhi limpidi mentre teneva stretto il corpo immobile del Cappellaio tra le sue braccia.  «Alice, torna…torna a casa.»
-Ma dov'è casa?-
Lo vide sorridere impercettibilmente, quando dalle sue labbra esalò l'ultimo respiro. «Ovunque tu sia stata più felice.»
Will si dibatteva contro le guardie aggredendo la Regina e mentre nella sala principale regnava il caos, Alice strinse tra le sue mani quelle di Jefferson che racchiudevano l'ametista, lo smeraldo e il rubino.
Chiuse gli occhi, concentrando le sue poche energie sulle fatidiche Tre Pietre che, ahimè, avevano trovato troppo tardi.
Fa'chesisalvifa'chesisalvifa'chesisalvi.










Here I Am!
Questo capitolo è uno dei miei preferiti, ne sono orgogliosa e spero che vi piaccia tanto quanto piace a me. Ritroviamo il Fante e i nostri eroi sembrano quasi sul punto di farcela, di riuscire a tornare a casa, ma questo non avviene: Kendra e Will vengono imprigionati e Jefferson viene ucciso, mentre Alice in lacrime stringe le Pietre e desidera che lui non muoia, uno dei desideri "proibiti" che porterà conseguenze molto spiacevoli ai due. Finalmente, troviamo anche la risposta alla domanda "ma dov'è casa?" che Alice, una ragazzina sola che ha vagato da un posto all'altro alla ricerca di un posto da chiamare casa, si pone ad ogni capitolo. Ed è proprio Jefferson, in fin di vita, a darglierla, quasi come se avesse avuto la risposta pronta da una vita.
Basta, che sennò piango. Il mio umore è sotto terra e mi sento pure in colpa :c Tuttavia non è finita, quindi vi invito a resistere per un paio di capitoli ancora per scoprire la conclusione di questa storia infinita lol
Vi auguro un buon Carnevale e buone vacanze (a chi le fa! hahah). A presto!
Frannie.

 

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Capitolo 21
*** Capitolo XXI ***


Capitolo XXI

 

Quando Alice si svegliò, ci mise qualche minuto prima di capire dove si trovava.
Distesa su un grumo di foglie, era circondata da alberi tutti uguali avvolti in una nebbia spettrale. L'associò subito alla Foresta Incantata, dove giorni addietro (ore, settimane, mesi?) aveva preso la Prima Pietra con l'aiuto di Jefferson.
Jefferson.
Balzò in piedi ripulendosi dal terriccio e scorse la figura inerme del Cappellaio stesa qualche metro più in là. Si precipitò da lui girandolo supinamente, nella speranza che gli occhi chiusi si aprissero alla luce del sole.
Ma il sole era timoroso di farsi scoprire tra la coltre di nubi e Jefferson non diede segno di ridestarsi.
D'un tratto, sentì un ramo spezzarsi e una figura avanzare oltre le cortecce degli alberi. La ragazza puntò gli occhi lucidi sull'uomo e d'istinto si fece più vicina al Cappellaio.
«Chi sei?»
L'uomo era di bassa statura, la pelle squamosa e gli occhi enormi che ispiravano inquietudine. Aveva le sembianze di un folletto ed Alice dovette sbattere le palpebre alcune volte prima di rendersi conto di non essere in preda alle allucinazioni.
Aveva visto un bruco di improbabile grandezza fumare narghilé, una regina strappare un cuore pulsante dal petto di un uomo ed oggetti capaci di condurre da un mondo all'altro; ma quella creatura aveva qualcosa di così angoscioso e familiare al tempo stesso da toglierle il respiro.
«Non è importante, dearie.» rispose questo con voce squillante. «Guarda ciò che hai tra le dita.»
Alice aprì la mano destra, sorpresa nel vedere le Pietre che ancora pulsavano luminose. Scosse la testa, la voce ridotta ad un sussurro. «Ormai sono inutili.»
«Non del tutto. Hai espresso un desiderio molto potente, lo sai?» disse il folletto unendo i polpastrelli l'uni con gli altri.
«Sì, ma da quel che vedo non è servito a molto» rispose Alice con amara consapevolezza, alzandosi in piedi e fissando truce quella creatura magica.
Questo continuò a sorridere. «Quelle Pietre sono opera del sonno del più saggio tra i re, della linfa del più rigoglioso degli alberi, dell'amore più vero. Quando creai queste pietre, il re e la regina di un reame mi imprigionarono e le diedero in custodia alle fate. Tuttavia, questo non servì a molto: le fate vennero decimate e tre dei maghi più potenti se ne appropriarono.»
Alice tacque, lasciando che l'uomo finisse il suo discorso gesticolando teatralmente.
«Poi sei arrivata tu a Storybrooke, Alice, e con la magia che ti scorre dentro come ho potuto non approfittarmene?»
La ragazza sgranò gli occhi, esterrefatta. «Mr...Mr Gold?!»
«Rumplestiltskin, prego.»
Alice rimase immobile, trattenendo il fiato mentre il sangue le pulsava nelle tempie. Tutti i tasselli combaciavano, ma lei si impose di non crederci.
Quel mostro non poteva essere...
«Sai, se non avessi spiegato il mio piano al Cappellaio, egli avrebbe attraversato lo Specchio lasciandoti al tuo destino. Gli ho promesso l'amore e sua figlia in cambio del suo prezioso aiuto e, ovviamente, ha ceduto di convincerti ad intraprendere questo folle viaggio in tua compagnia.» Rumplestiltskin inclinò leggermente la testa di lato, il sorriso aveva abbandonato il suo volto. «Ora, consegnami quelle pietre.»
«No!» urlò la giovane con tutto il fiato che possedeva nei polmoni, mentre copiose gocce salate le scendevano giù per le guance.
Non avrebbe mai fatto questo a Jefferson, non l'avrebbe tradito in quel modo.
«Hai espresso uno dei desideri proibiti.» Il folletto allungò la mano verso di lei. «Ma se me le restituisci, tu e Jefferson tornerete sani e salvi a Storybrooke.»
«Tutto ha un prezzo.»
«Sì, sopratutto la magia.» affermò Rumplestiltskin. «Ti dimenticherai di ogni cosa. Delle Tre Pietre, di ciò che hai visto, dei mondi che hai attraversato, del Cappellaio Matto. Continuerai la tua vita all'oscuro di tutto. E lui sopravviverà.»
Ma sopravvivere non è vivere.
Lentamente, Alice allungò il braccio e dalle dita il rubino, l'ametista e lo smeraldo scivolarono via.
E' tutto un sogno.

 

 

 

 

Here I Am!
Uhuh, mancano solo due capitoli! Ho scritto questa fanfic un anno fa, ma la fine della sua pubblicazione qui è come una netta separazione. 
Allora. Alice si risveglia nella Foresta Incantata, Jefferson senza sensi e un folletto ambiguo che vuole avere le Pietre indietro. Ebbene, le Pietre sono proprio di Rumplestiltskin e sì, ha mandato sua figlia in una missione di morte per recuperarle. Che ci posso fare, si tratta sempre di Tremotino, e lui ha sempre uno scopo. 
Alice non ha scelta se non quella di accettare: dargli le Pietre per le quali hanno con fatica combattuto lei e Jefferson, tornare a Storybrooke ma dimenticare ogni cosa.
Cosa succederà una volta che Jefferson riprenderà coscienza? Lo saprete nella prossima puntata di  al prossimo capitolo! :') 
Frannie.

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Capitolo 22
*** Capitolo XXII ***


Capitolo XXII

 

Jefferson non capì subito ciò che era successo. Certo, era a Storybrooke e viveva in una splendida villetta proprio di fianco alla casa in cui stava Grace, ma qualcosa non quadrava.
Alice non era accanto a lui quella mattina, quando si era svegliato e aveva puntato gli occhi sul soffitto grigio e anonimo. L'aveva vista camminare per la strada e le si era avvicinato, ma lei non l'aveva riconosciuto e questo aveva confermato ogni suo dubbio.
Con il cuore spezzato e la rabbia che divampava dentro di lui, il Cappellaio aveva fatto appello alla stessa persona che gli aveva restituito tutto e poi gliel'aveva sottratto facendolo scivolare giù per ben due volte.

 

**

«Rumplestiltskin!»
Quasi travolse ogni cosa si trovasse davanti a lui quando entrò nel negozio di quello che una volta aveva le sembianze di un folletto, tramutato ora in un signore distinto che gestiva un banco dei pegni in città e incuteva a tutti un certo timore.
Ma Jefferson non provò nulla di tutto ciò quando lo vide far capolino dietro il bancone; la rabbia e il dolore era presente dentro di lui più di qualsiasi altra cosa.
«Capellaio, ce l'hai fatta finalmente.»
«Non hai rispettato il patto! Un'altra volta!»
«Giovane ingrato, ti ho restituito Grace e fatto ritrovare il vero amore...»
«Entrambe non mi riconoscono.» sbottò Jefferson torturandosi le mani.
«Tra otto anni la figlia di Biancaneve e del Principe Azzurro spezzerà la maledizione e tutti si ricorderanno chi sono veramente.» Mr. Gold alzò una fiaschetta di vetro, osservandola con soddisfazione. «Inoltre, grazie alla polvere ottenuta dalle Tre Pietre riporterò la magia in questa insulsa città e potrò andare in cerca di mio figlio. Alice ha sacrificato la sua memoria per salvarti, dovresti essere fiero di lei.»
Jefferson si morse l'interno delle guance. Ciò che Alice aveva fatto per lui era un'altra prova inconfutabile di quello che li legava, che lei ricordasse o meno.
Si girò per andarsene ma, prima di spingere la maniglia per uscire, si arrestò dov'era. «Un'ultima domanda, Mr. Gold
«Parla pure.»
«Come farai per i prossimi otto anni a guardarti allo specchio sapendo di aver barattato l'identità di tua figlia con della polvere magica?»
«Mi ricorderò di aver agito in questo modo per lo stesso motivo per cui il sortilegio è stato lanciato e per lo stesso motivo per cui verrà spezzato.»- disse Mr. Gold sorridendo, senza tradire alcuna emozione. «Per amore.»

**

 

Jefferson capì solo più tardi quando fosse importante che Regina, il sindaco di Storybrooke nonché regina cattiva, non scoprisse che Alice fosse a conoscenza di chi era veramente.
Nonostante ciò, Alice crebbe e si pose parecchie domande sul perché gli abitanti di Storybrooke rimanessero immutati e di come le giornate sembrassero tutte uguali.
A diciannove anni, pubblicò il suo primo libro. Jefferson lo lesse centinaia di volte e il suo cuore mancava un battito ogni volta che tra le righe scorgeva un particolare che ricordava qualcosa passato insieme. La spiava quando ordinava la colazione da Granny's o mentre sistemava il giardino della casa di Ernest, maledicendosi per star perdendosi preziosi anni da passare con lei. Grace, in compenso, non invecchiava di un giorno mentre Alice, dalla ragazzina con i capelli spettinati e la lingua lunga, fioriva in un'elegante donna dai modi gentili ed educati.
A vent'anni, frequentava una prestigiosa università a Boston e tornava a Storybrooke solo per le feste, cosicché il Cappellaio si chiuse nel guscio in cui avrebbe aspettato fino alla fine della maledizione.
Si ubriacava della sua fresca presenza anche solo quando attraversavano lo stesso marciapiede, e non poterla vedere ogni giorno lo fece ritornare nella fossa di follia dalla quale solo Alice e sua figlia Grace sarebbero riuscite a tirarlo fuori.
A venticinque anni, Alice tornò con tanti sogni e una laurea sottobraccio, raggiunta a pieni voti.
«Mi hanno chiesto di lavorare come reporter per un'importante giornale di Boston.» l'aveva sentita parlare con Ruby, assorbendo la sua voce cristallina come fosse luce del sole. «Ma per ora credo che mi fermerò a Storybrooke per un po'. Ormai i soldi che i miei genitori adottivi mi hanno lasciato non bastano più per sostentarmi in una città come quella, quindi lavorerò da casa fino a che non potrò permettermi un appartamento vicino alla redazione.»
E così, per un anno e mezzo, Jefferson poté continuare a sentire la sua presenza in quella Storybrooke che si era rilevata terribilmente monotona finché, un anno prima che compisse vent'otto anni, Alice si trasferì a Boston.
Jefferson aveva la testa affollata di domande. Mancava poco tempo ormai.
E se Emma non fosse riuscita a spezzare la maledizione? E se Boston fosse stata troppo lontana? E se Alice avesse avuto altro per la testa, un uomo, una famiglia?
L'ansia fu sua compagna per mesi fino al giorno in cui la Salvatrice non arrivò a Storybrooke e il Cappellaio Matto non decise di agire. Il suo era un piano infallibile, ma la sua riuscita dipendeva tutta dalla Salvatrice.

 

**

«Lei non si ricorda di me, di quello che abbiamo passato insieme. Io si. E' questa la mia maledizione.»
«Ricordare il passato?»
Jefferson si appoggiò al tavolino, fissandosi i piedi.
Aprirsi completamente ad Emma, raccontarle la sua vita e i suoi sentimenti gli era costato un immenso sforzo, ma doveva farlo se voleva che la ragazza lo aiutasse da aprire il portale che avrebbe condotto lui ed Alice a Wonderland. «Non voglio questa casa né questi oggetti se manca lei.»
«Se davvero credi che ti ami...perché non le parli?»
«E distruggere la sua realtà? La consapevolezza è una gabbia, pensi che io sia così spietato? Che possa infliggerle una tale sofferenza? E' già difficile vivere in un luogo a cui non appartieni, ma averne coscienza...e avere nella testa due realtà differenti...» Il Cappellaio sbatté ripetutamente le palpebre, ed Emma non seppe identificare quel luccichio che gli attraversava gli occhi. «...può farti diventare matto.»
La ragazza annuì. «E' per questo che il cappello deve funzionare, per portare Alice a casa.»
«Quello è l'unico mondo in cui possiamo stare insieme, in cui si ricorda di me.»








Here I Am!
Allora. Panico. Manca solo l'epilogo, e poi questa storia sarà finalmente conclusa. Devo dire che mi sento sollevata, ma anche un po' nostalgica. 
Comunque, torniamo al capitolo. Rumplestiltskin ha rispettato l'accordo stipulato con Alice: lei avrebbe perso la memoria, ma con Jefferson sarebbero tornati sani e salvi a Storybrooke. Jefferson, però, non sembra molto entusiasto: certo, è vivo, ma né sua figlia né Alice lo riconoscono e questo lo fa vivere in uno stato di limbo e frustrazione per un bel po' di tempo, o almeno fino a quando Emma non arriva in città e il Cappellaio la costringe con la forza a far funzionare il cilindro. Eh, be'...tutti sanno come va a finire. 
Si capisce finalmente a cosa servono quelle benedettissime Pietre che hanno fatto dannare un po' tutti, e il motivo per cui Rumplestiltskin le bramava così tanto: esse sono infatti la pozione che riporterà la magia a Storybrooke (che io ho allegramente barattato con la pozione del vero amore, but who cares).
E quindi niente. Porello Jefferson. L'epilogo sarà felice, lo giuro!
Buona settimana, a domenica prossima!
Frannie.

 

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Capitolo 23
*** Epilogo. ***


Epilogo

 

Alice aveva tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare dalla vita: un lavoro che amava nel quale ricopriva una carica molto importante e l'inebriante sensazione di avere il mondo intero a portata di mano.
Questo fino al primo pomeriggio in cui, sormontata da scartoffie di ogni genere e con una bella tazza di caffè di fianco ad esse, non si rese conto di aver recuperato un tassello essenziale della sua esistenza.
Si lasciò sostenere dallo schienale della sedia, ma la penna che stringeva tra le dita scivolò inevitabilmente sul legno lucido del suo ufficio. Balzò in piedi quasi avesse preso la scossa e in meno di un minuto indossò il suo cappotto in procinto di lasciare la redazione.
«Olivia, devo andarmene da Boston per qualche giorno. Di' al direttore che gli spedirò l'articolo entro giovedì, per favore!»
E senza che la sua segretaria potesse replicare, Alice si era già fiondata in macchina e sfrecciava tra le auto con il cuore a mille.
Era passato tantissimo tempo, ma aveva ancora impressi nella mente quegli occhi di ghiaccio.

 

**

 

Alice alzò una mano chiusa in un pugno, pronta a bussare.
Le salì una paura folle. Paura che lui non la volesse, che fosse arrabbiato, che la respinse.
Paura di non trovarlo.
Poi si ricordò di tute quelle volte che aveva scorto un ciuffo castano spuntare da dietro l'angolo, e di tutte quelle volte in cui un forte profumo di limone e zenzero le aveva pizzicato le narici pur non avendo alcun the a scaldarle il palato e non ebbe più alcun dubbio.
I rintocchi suonarono con prepotenza, squarciando il silenzio che l'avvolgeva.
Dovette aspettare cinque minuti buoni (non osò infatti bussare una seconda volta), quando finalmente la porta si aprì rivelando una luce folgorante.
«A...Alice.»
«Sono tornata a casa.»disse semplicemente con voce tremante la giovane donna, facendo un debole sorriso. «Se c'è ancora posto...»
Non servirono altre parole che il colore blu del cielo più terso si riversò nel più grigio dei mari in tempesta, proprio come la prima volta









Here I Am!
Piango. Tanto. 
No scherzo, in realtà sono felice di aver terminato quest'avventura. Sentivo il dovere di pubblicarla e adesso che l'ho fatto mi sento pronta per scrivere altro (magari di correlato...d'altronde, non sappiamo ancora che fine hanno fatto Kendra, Will e Killian!)
Dopo un'adolescenza travagliata, Alice ha finalmente trovato il suo posto nel mondo. E le sembra tutto al posto giusto, men che una cosa, che però non riesce a comprendere di cosa si tratti. Ecco che Emma spezza la maledizione e dalla lontana Boston Alice sente che qualcosa è cambiato, e si ricorda di Jefferson, con la quale si riunisce dopo anni di attesa. 
Cari. Jefferson manca davvero tanto, o almeno a me. Però non posso andare da Sebastian Stan, prenderlo per un orecchio e trascinarlo di nuovo su OUAT, quindi mi metto il cuore in pace. 
Ringrazio tanto Adda95 per la costanza nell'aver recensito ogni capitolo e anche a padme83 che mi ha gentilmente (e con pazza fiducia aggiungerei) "imprestato" le parti Rumbelle alla mia storia. 
Grazie ancora, alla prossima fanfic!
Frannie. <3

 

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