Ho ucciso un uomo

di Adeia Di Elferas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un sabato di neve ***
Capitolo 2: *** Un treno per Arkhangelsk ***
Capitolo 3: *** Una boccata d'aria ***



Capitolo 1
*** Un sabato di neve ***


 

Era un altro giorno nevoso. L'aveva capito dal silenzio irreale che c'era stato per tutta la notte, e per il freddo.

Era uno di quei freddi che ti entrano nelle ossa e che non se ne andrebbero nemmeno se ci si buttasse direttamente in mezzo a un fuoco acceso.

Roza scese dal letto con un brivido. La sua famiglia – i genitori, una sorella, quattro fratelli e tre fratellasti adottivi – stava ancora riposando e così lei cercò di non far alcun rumore.

Aveva preparato la sua borsa e i vestiti la sera precendente, come faceva sempre, quindi non ebbe molta difficoltà a trovare tutto ed essere pronta in pochi minuti.

Stava per uscire, quando incrociò lo sguardo di suo fratello Fyodor che l'osservava in silenzio, assonnato e desideroso di tornare a letto.

Lei lo salutò con un gesto del capo ed un sorriso, che egli ricambiò agitando la mano. C'era ancora così buio, pensò Roza, che sembrava davvero notte. Forse avevano ragione loro, a starsene ancora sotto le coperte.

Quando fu fuori di casa, la neve le colpì il viso, dapprima sciogliendosi contro il calore della sua pelle, e poi raffreddandola, fino a renderle insensibili le gote.

Il sole era ancora lontano, e di certo non lo si sarebbe visto. Il cielo era grigio scuro e ogni centimentro di orizzonte era coperto di neve.

Il kolkoz dove Roza e la sua numerosa famiglia vivevano non aveva ancora cominciato le frenetiche attività di ogni giorno.

In fondo era sabato...

Roza diede un ultimo sguardo alla porta di casa e si mise in marcia, decisa ad arrivare in fretta da sua zia a Bereznik.

Mentre camminava nella neve, sentiva il passo affondare nel ghiaccio fresco e cercava di capire da quante ore stesse nevicando. La sera prima c'era solo qualche nuvola e poi, chissà quando, durante la notte aveva ripreso a scendere quel mistero bianco che, da quando era nata, era sempre stato una presenza costante dei suoi inverni.

Berezni distava circa tredici chilometri dal kolkoz in cui viveva ed ogni giorno, domenica esclusa ci doveva andare o per frequentare le scuole medie o per prendersi un po' cura di sua zia Agnia.

Non riusciva a capire se quel villaggio le piacesse o meno. La scuola, sì, quella le piaceva. Era una grande chiacchierona e adorava stare in classe a ridere e scherzare e, soprattutto, ad imparare ogni cosa che le venisse insegnata.

Il suo sogno era diventare maestra d'asilo, quindi sapeva di dover tener duro e frequentare le medie, anche se questo voleva dire far tutti i giorni tutta quella strada a piedi.

Mentre proseguiva nel buio che cedeva il posto al chiarore dell'alba, sbadigliò. I suoi occhi blu salirono verso i rami secchi di un filare d'alberi che accostava ogni volta. Le piaceva vedere come il loro aspetto cambiava nell'arco dell'anno. Era una cosa che la intrigava e la tranquillizzava allo stesso tempo. Le piaceva chiedersi come fosse possibile che, dopo anche il più rigido degli inverni, quelle piccole piante fossero in grado di risorgere. E le piaceva ancora di più constatare che, malgrado le spiegazioni a riguardo tardassero ad arrivare, le piante risorgevano comunque, senza curarsi d'altro se non del verde vivo delle proprie foglie.

 

“Oh, Roza...” disse zia Agnia, quando la nipote entrò nella sua piccola casa piena di spifferi e parva di luce.

“Zia.” la salutò la ragazzina, scrollandosi un po' di neve dalle spalle.

Doveva avere il viso rosso per il freddo e probabilmente sua zia lo aveva notato, perchè come prima cosa le ordinò bonariamente: “Vai a riscaldarti vicino al caminetto! Con questa neve...!”

Roza si avvicinò al fuoco e allungò le mani ancora prima di sfilarsi i guanti rovinati e scoloriti.

Il fuoco le diede un piacere immenso, più ancora del riparo dalla neve o del profumo che usciva dal pentolone appeso nel camino.

“Ti ho preparato qualcosa per fare colazione.” le disse sua zia, con lo stesso dialetto che parlava anche Roza.

La ragazzina ringraziò sorridendo e si tolse i guanti e la giacca. In fin dei conti non le dispiaceva badare a sua zia un giorno alla settimana. Andavano d'accordo e il più delle volte, malgrado tutto, zia Agnia era più autosufficiente di quel che si potesse pensare vedendola.

Roza serrò un momento gli occhi, lasciando che il profumo la pervadesse completamente e si permise di immaginare per sé e i suoi fratelli un futuro bello come quel momento. All'asciutto, al caldo, con un meraviglioso aroma di cibo bollente e pronto per essere mangiato.

 

La neve si era un po' calmata, o per lo meno, così sembrava a guardarla da dietro il vetro della finestra.

Zia Agnia e Roza stavano sedute una di fronte all'altra, parlando del più e del meno, tanto per far passare prima il tempo.

“Ti piace sempre la scuola?” domandò la donna, guardando la nipote con un sorriso acuto.

“Certo zia.” confermò Roza: “Un giorno andrò a studiare a Archangelsk e poi diventerò maestra d'asilo.”

“Cosa ne pensa tuo padre?” chiese l'altra, facendosi un po' dubbiosa.

“Non lo so.” mentì Roza, che invece sapeva che entrambi i genitori erano contrari.

La scuola che voleva frequentare era troppo lontana. Sarebbe stato troppo difficile, per una come lei, con pochi mezzi e poca esperienza, a loro dire, del mondo, andare a studiare così distante da casa.

Zia Agnia sospirò, inarcando le sopracciglia: “Sarà meglio che glielo chiedi, non pensi? Ormai hai quasi finito le scuole, qui a Berensk...”

Roza deglutì e fece un'espressione vaga, con cui, forse, voleva dare ragione alla zia e cambiare argomento contemporaneamente.

“Zia...” disse improvvisamente Roza, ripensando a quello che aveva sentito dire dalla due sue insegnanti il giorno prima: “Pensi davvero che ci sarà una guerra?”

A quel punto zia Agnia si fece scura in volto, accigliandosi e assumendo una posa sofferente: “Alla tua età non dovresti pensare a certe cose.”

Tossì e, un po' come aveva fatto la nipote poco prima, fece una strana espressione di circostanze e cambiò argomento: “Mi aiuteresti ad alzarmi? Vorrei andare a coricarmi un po'... La mia schiena...!”

Così Roza dovette lasciar perdere ogni altra domanda in merito alla guerra che, secondo le sue due insegnanti, poteva essere vicina, e si alzò per dare una mano a sua zia che, sempre tossendo, la ringraziò ancora una volta.

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Capitolo 2
*** Un treno per Arkhangelsk ***


~~ La madre di Roza stava ancora piangendo in un angolo, convinta che ormai non l'avrebbe più persuasa a rimanere.
 Suo padre l'aveva presa in modo diverso. Se ne stava lì, nel mezzo della stanza, appena illuminato da una candela appena accesa e scuoteva la testa ritmicamente. Non se ne faceva una ragione, ma aveva deciso di non perdersi in inutili isterie.
 Le diede qualche soldo per il viaggio e per i primi giorni – pochi, ma non poteva dargliene di più – e le disse: “Hai deciso, alla fine.”
 La ragazzina allargò le spalle e lo guardò con tutta la determinazione che può avere una quattordicenne decisa a lasciare la propria casa: “Sì.”
 Il padre smise di scuotere il capo e la guardò con altrettante intensità: “Ricordati di essere brava a casa di tuo fratello. Non disturbare e aiuta con le faccende di casa.”
 Roza annuì con forza e prese la sua borsa, sapendo che il tempo stringeva e i chilometri che la separavano dalla stazione non si percorrevano da soli.
 Salutò il padre e i fratelli e lasciò la madre per ultima. Questa si asciugò il naso nella manica della camiciona e, prima di attirare a sé la figlia, la guardò a lungo con gli occhi gonfi di lacrime.
 Quando la strinse a sé, Roza si sentì in dovere di consolarla in qualche modo, così le disse: “Non preoccuparti, mamma. Sto andando a studiare, non sto partendo per la guerra. Ci rivedremo presto.”
 Non seppe dire se la madre si fosse un minimo ripresa, perchè continuava a piangere e stringerla, ma dovette allontanarla lentamente da lei: “Devo andare. Il treno non aspetta.”
 La madre allora si lasciò allontanare e, con un ultimo singhiozzo, agitò la mano, farfugliando qualcosa che assomigliavava a 'faccia avere tue notizie presto'.
 Roza andò verso l'uscio, la borsa in spalla, senza più voltarsi. La sua famiglia era in silenzio e ne ebbe un ultimo scorcio quando si richiuse la porta alle spalle.
 Quella breve visione della camera in cui erano tutti riuniti le fece stringere il cuore, e quelle parole che sentì sussurrare da suo padre (“Meglio così che non vederla fuggire di nascosto in piena notte”) l'accompagnarono per gli oltre cento chilometri che dovette fare a piedi.

 La taiga si stendeva accanto a lei a perdita d'occhio e le poche persone che incontrava erano contadini con la pelle cotta dall'aria e volti scuri per la fatica di vivere un giorno dopo l'altro.
 L'aria profumava di nuovo e avventura e Roza non poteva reprimere l'eccitazione che provava nel pensare alla sua nuova vita.
 Sarebbe andata in città, avrebbe vissuto con suo fratello ed avrebbe potuto studiare, imparando il lavoro dei suoi sogni.
 Nulla avrebbe potuto impedirle, ora, di coronare le sue ambizioni...
 Anche il paesaggio pesto e maliconico che la circondava pareva farle i complimenti e augurarle un buon proseguimento.
 La borsa che teneva sulla schiena cominciava a pesare e la ragazzina si trovò a pensare con uno strano stato d'animo ai pochi chilometri che aveva percorso ogni giorno per anni per andare a Bereznik. Le erano parsi così tanti... Se avesse saputo che un giorno, per prendere un treno, avrebbe dovuto camminare così tanto, di certo li avrebbe affrontati con un altro spirito.

 La stazione era confusa e Roza non sapeva da che parte rivolgere lo sguardo, perchè ogni cosa era interessante e nuova.
 Dovette chiedere a tre persone diverse, prima di scoprire quale fosse il suo treno e quando finalmente fu a bordo, tirò un grande sospiro di sollievo.
 La scarpinata era finita ed ora non le restava che un lungo viaggio in treno. Avrebbe avuto ben modo di riposarsi e pensare a cosa dire a suo fratello, che non vedeva da molto.
 Accanto a lei si sedettero marito e moglie, due contadini anche loro diretti ad Arkhangelsk, e poco dopo si accomodò anche un ragazzo sui vent'anni e una donna un poco più vecchia con un grosso fazzolettone in testa.
 All'inizio nessuno parlava, tutti avvolti nei propri pensieri, ma poi la donna con il fazzolettone in testa chiese a Roza: “Ragazzina, tutta sola? Dove sei diretta?”
 Questa semplice domanda bastò a Roza per attacar bottone e trascinare nella conversazione tutti i passeggeri che le stavano vicini.
 Quando il treno arrivo ad Arkhangelsk, stavano ancora chiacchierando e ridendo e nessuno di loro si era reso conto del tempo passato.
 Si salutarono come fossero stati vecchi parenti e si ripromisero, con il tipico ottimismo di chi ha appena riso fino a farsi dolore la pancia, di incontrarsi in giro per ricordare insieme quella traversata.
 Roza scese dal mezza con un sorriso allegro stampato in volto e, forse anche per via del viaggio piacevole, la prima impressione che le fece Arkhangelsk fu meravigliosa.

 “Sorellina!” esclamò Fyodor quando la vide.
 Roza gli saltò al collo e lo strinse forte. Gli diede un bacio in fronte e uno sulla guancia: “Da parte dei nostri genitori.” spiegò.
 “Andiamo, ti faccio vedere casa nostra.” disse Fyodor, prendendole la borsa e sorridendo come se non potesse essere più felice di così.
 Roza sorrise a sua volta, raggiante, e mentre raggiungevano la casa che suo fratello le aveva messo senza indugio a sua disposizione, annusò l'aria, rapita.
 Era un insieme di odori diverso da quello che si respirava nel kolkoz o nella taiga che aveva attraversato per raggiungere il treno.
 Non c'era l'odore pungente dell'erba primaverile o quello algido della neve in inverno, né il sentore delle stalle o l'aroma della resina.
 C'era odore di città, di persone, di cibo e confusione, un insieme caotico di odori e profumi, un unirsi di impressioni e improvvise zaffate di cucina, lattrine, fumo, polvere... E poi, di quando in quando, un soffio di Mar Bianco.
 

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Capitolo 3
*** Una boccata d'aria ***


~~ Roza era rimasta a casa di suo fratello per qualche tempo, ma appena era stato possibile, aveva accattato di buon grado la possibilità di fermarsi nel dormitorio della scuola.
 Le piaceva stare con le compagne di studi e si divertiva un mondo, soprattutto quando riuscivano a ritagliarsi un'ora libera per giocare insieme a pallavolo.
 Spesso, la sera, uscivano per andare al cinema e ogni volta Roza veniva stregata dalle immagini che scorrevano sullo schermo. Si chiedeva se mai un giorno anche lei avrebbe visto il mondo che gli attori dipingevano in modo così vivido...
 Le piaceva sognare a occhi aperti e più di ogni altra cosa amava chiecchierare con tutti quelli che le capitavano a tiro.
 I giorni passavano tranquilli e piacevoli e la città era un groviglio pulsante di vita che non smetteva mai di sorprenderla.
 Spesso andava anche allo stadio, appassionandosi sempre di più allo sport, quale che fosse e sommando sogni ai sogni, e, vedendosi proiettata nel futuro, si immaginava campionessa sportiva, insegnante, attrice, viaggiatrice...
 Le sue compagne di stanza, a conti fatti le sue amiche più care, l'adoravano e non perdevano occasione di farle raccontare qualsiasi cosa, perchè con la sua parlantina riusciva a farle ridere a crepapelle o emozionarle, a seconda della piega che il racconto prendeva.
 Era riuscita, in poco tempo, a creare solide amicizie basate sulla fiducia e sulla complicità. Era una ragazzina molto decisa e leale e tutti dovevano riconoscerle una spiccata propensione al lavoro di squadra.
 Di tanto in tanto, comunque, non mancava di fare qualche infrazione alle regole abbastanza ferree del collegio.
 Quella sera, per esempio, come era già capitato altre volte, si era trovata fuori dal dormitorio dopo il coprifoco.
 Era stata in giro per la città, prima al cinema con le sue compagne di scuola e poi era andata a trovare altri amici in centro e in un attimo era arrivata un'ora improponibile.
 Erano circa le tre del mattino, quando riuscì a raggiungere i cancelli – chiusi – del dormitorio.
 Sapeva bene che non poteva fasi scoprire, altrimenti la punizione non sarebbe ricaduta solo su di lei, ma anche sulle sue compagne, che avrebbero dovuto denunciare subito agli insegnanti la sua assenza.
 Così si nascose in un angolo buio e si prese ancora un momento, prima di palesare la sua presenza alle amiche.
 Respirò a fondo, come aveva fatto il giorno in cui era arrivata ad  Arkhangelsk. Ora gli odori e i profumi della città che si mescolavano irrequieti le sembravano più facili da individuare.
 Anche nella notte, poteva sentire il fumo delle case e delle pipe, il sentore dei rifiuti e della sporcizia delle strade e al contempo il profumo che arrivava dai forni che stavano cuocendo il pane...
 E poi, più ancora che non durante il giorno, c'era quella punta di selvaggio, l'aroma del mare, lontano e impalpabile... Così diverso dall'odore della sua infanzia, l'odore di stalla ed erba e neve e polvere da sparo dei fucili dei cacciatori...
 Sorrise a quel misto indefibile che la metteva sempre di buon umore e si decise a farsi viva con le altre.
 Tossì due volte, come faceva sempre e si mise più vicina al fianco del palazzone, in attesa.
 Non dovette attendere molto, prima che dalla finestra del dormitorio arrivasse la solita corda fatta con lenzuola strappate.
 L'aveva fabbricata una sua amica la prima volta che lei era rimasta chiusa fuori di notte. Da allora la nascondevano a turno e la tiravano fuori quando Roza ritardava.
 Avvolta dal mantello della notte, Roza prese un'ultima boccata d'aria e afferrò la stoffa un po' ruvida con entrambe le mani.
 Per sua fortuna aveva braccia forti e un certo senso dell'avventura, perchè a ogni scalata rischiava l'osso del collo, visto che la corda di fortuna era tutto fuorché sicura e che la finestra non era quella del piano terra.
 Mettendo una mano davanti all'altra e dando colpi di reni nei punti in cui la presa sembrava scivolare, Roza avanzò lenta e silenziosa fino al suo piano.
 Appena fu alla fine della sua scalata, molte mani l'afferrarono e l'aiutarono a entrare dalal finestra.
 “Racconta – le disse una delle sue migliori amiche – com'è stanotte la città?”
 Roza riprese fiato e cominciò a svestirsi. Voleva dormire qualche ora, ma doveva ripagare subito, almeno in parte, l'aiuto pronto e fedele delle sue amiche.
 Sorrise, slacciandosi i lacci delle scarpe: “Profumata e frenetica.”
 Tutte trattennero il fiato e si misero comode, nel buio della stanza si poteva comunque scorgere il brillare dei loro occhi, che non aspettavano altro che immaginarsi nei dettagli la serata brava che la loro amica coraggiosa aveva avuto il coraggio di vivere.
 Con un sospiro allegro, Roza raggiunse il suo letto, e cominciò: “Dopo che ci siamo lasciate, fuori dal cinema, mi sono detta: perchè non fare un giro in centro città?”
 E così, mentre le parole della ragazzina aprivano alle amiche mondi che loro non osavano scoprire di persona, la notte lentamente sfumò nel giorno e quando gli insegnanti andarono nella camerata a dare la sveglia, le trovarono già tutte bell'e pronte per una nuova giornata.
 

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