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di mayamaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Se ne stava accucciato accanto ad un amplificatore di scorta, nascosto parzialmente da un tendone nero. Stava con la testa tra le mani, mentre cercava di farsi più piccolo di quello che già era.
Liam, in sottofondo, aveva sbagliato una nota durante le prove e stava ridendo insieme a Niall. Harry stava provando qualche strofa. Continuava a cambiare la nota finale per cercare di trovare quella che avrebbe maggiormente impressionato il pubblico, quella che avrebbe lasciato tutti senza fiato.
Lui, invece, era nel backstage, triste e in disparte.
Le prove andavano sempre così, si poteva fare quel che si voleva. La mancanza di Louis sul palco non preoccupava il management. Era solito scomparire per farsi una dormita sopra una custodia vuota o per fare scherzi alla sicurezza.
Ma quella volta era diverso. Quella volta era corso verso il backstage con un sorriso malizioso che, una volta fuori scena, era diventata una smorfia di dolore. Non ce la faceva più.
Seduto a terra, con i suoi pantaloni neri preferiti, la canottiera da skater e le vans. Il microfono appoggiato a terra, spento.
Non ne poteva più. Non ce la faceva nemmeno più a mentire. Non ce la faceva più a vederlo sempre, costantemente, e non poterlo toccare.
Il management aveva vinto. Li aveva separati e questo lo stava logorando lentamente. Ma quel giorno, quel “non lo guardare” lo aveva ucciso.
Louis non poteva avere alcuna interazione con Harry in pubblico. E ora non lo poteva nemmeno guardare.
Perché tanta cattiveria? Perché non poteva amarlo come all’inizio? Perché il management gli stava facendo questo?
Immerso nei suoi pensieri, Louis aveva seppellito la testa tra le braccia, appoggiando la fronte alle ginocchia. Non sentiva più nulla. La disperazione l’aveva portato a isolarsi dal mondo.

“Lou”

Un tocco delicato sul suo polpaccio e una voce dolce e roca, allo stesso tempo, lo avevano riportato alla realtà.
Sapeva chi c’era davanti a lui, ma non aveva la forza di alzare la testa. Le lacrime gli rigavano il volto e non voleva che lui lo vedesse in quello stato.

“Lou”

Ancora una volta, Harry gli accarezzò la gamba e lo chiamò dolcemente.

“Guardami”

Louis alzò lo sguardo appena sopra le sue ginocchia per scorgere la figura di Harry. Stava accucciato davanti a lui, con una mano sul suo polpaccio e un braccio piegato e appoggiato sulle cosce. Lo stava guardando. Stava guardando la sofferenza della persona che amava di più al mondo e non sapeva cosa fare.
Quando scorse gli occhi di Louis, Harry sorrise. Non un sorriso sforzato e dubbioso. Gli sorrise con gli occhi dell’amore. Non gli interessava cosa avrebbe pensato il management. Non gli interessava se qualcuno sarebbe arrivato in quel momento e li avrebbe divisi.
Louis e Harry erano lì a terra, accucciati. L’uno davanti all’altro. Due ragazzi innamorati, ostacolati da tutti, che non avevano avuto il coraggio di smettere di amarsi.

“Louis” sospirò Harry.

“No” rispose con voce rotta Louis “non renderlo più difficile di quello che è.”

“Louis”

“Ti prego”

“Louis, non smetterò mai di amarti, nemmeno se fosse l’unico modo per salvare il mondo.”

Louis alzò il capo completamente, fino a incontrare lo sguardo di Harry. L’aveva detto. Non poteva credere alle suo orecchie.
Dopo anni in cui il management aveva orchestrato malamente le loro vite, pensava che Harry se ne fosse fatto una ragione e avesse voltato pagina.
Certo, avevano mantenuto i loro gesti: il pollice alzato, gli sguardi, le stesse pose, ma non pensava che fosse ancora come la prima volta che si erano baciati.
Non aveva idea che l’uomo che amava avesse avuto il coraggio di nascondere i suoi sentimenti meglio di lui. Louis era sempre stato dipinto come quello forte e determinato, mentre Harry era sempre il cucciolo dolce e disponibile.
Harry era cresciuto più di quanto immaginasse. Non era più il sedicenne fragile che scoppiava in lacrime dopo l’ennesima trovata del management. Era diventato un uomo, per se stesso e per Louis.
Aveva capito che Louis, dietro allo sguardo duro, era un fiore raro che andava protetto. Aveva capito che non ce l’avrebbe fatta e che avrebbe ceduto.
Lui, il piccolo della band, aveva capito quanto era fragile quel ragazzo che aveva amato dal primo istante.

“Non ci possiamo nemmeno guardare”

Louis trattenne a stento nuove lacrime che pregavano di vedere la luce del sole.

“Che vadano a quel paese”

Louis fu sorpreso dalla risposta di Harry. Cosa voleva dire? Si sarebbero guardati nonostante il divieto del management? Che conseguenze ci sarebbero state se avessero disobbedito nuovamente?
L’ultima volta lo avevano screditato sui giornali. Lo avevano ritratto come un alcolizzato, drogato, con un breve futuro davanti a se. E, quella volta, gli aveva solo tenuto la mano. Anzi, era stato Harry a prendersela quella mano, perché non gli importava più di cosa pensasse il management.
Harry era la persona più genuina che Louis conosceva e il terrore che potesse essere nuovamente infangato dai giornali per colpa sua, lo divorava dentro.

“Ho in mente una cosa per questa sera”

Disse Harry, sorridendo. Non c’era un’ombra di dubbio nella sua voce.

“Harry” mormorò esitante Louis.

“Andrà tutto bene”

Harry gli prese la mano, gli baciò il polso. Le sue labbra era soffici come le nuvole.
Si alzò velocemente in piedi e raggiunse l’ingresso al palco.  Prima di scomparire dietro il tendone nero, si voltò verso Louis e sorrise. Alzò lentamente la mano e alzò il pollice.
Louis era tornato a sorridere. Rispose con lo stesso gesto e si rialzò in piedi.
Harry tornò sul palco e, dopo pochi secondi, Louis sentì nuovamente la voce del suo amato che risuonava dentro allo stadio.
Si asciugò le lacrime, si controllò velocemente allo specchio. Sì, era presentabile. I ragazzi e il management non se ne sarebbero accorti.
Si guardò intorno per cercare un motivo per giustificare l’assenza degli ultimi minuti. Davanti a lui c’erano le casse di acqua gelata. Una risatina diabolica gli uscì incontrollata dalle labbra.
Prese una bottiglietta, la aprì, corse sul palco e urlò.

“Payno!”

“TOMLINSON!!!”

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Liam aveva ancora la bocca aperta per lo shock. Louis era sempre il solito, non riusciva a fare a meno di fargli la doccia ogni singola sera, ma adesso aveva deciso di gettargli l’acqua gelata addosso anche alle prove.
Louis non faceva altro che ridere soddisfatto. Quella trovata l’aveva completamente distratto dalla tristezza di pochi minuti prima. Certo, gran parte del merito era di Harry, ma scherzare con Liam era la seconda cosa al mondo che lo rendeva felice.
A pensarci bene, l’amicizia con Liam non era iniziata nel miglior modo possibile. Anzi, si poteva quasi dire che fosse un’antipatia a senso unico.
Liam non sopportava che Louis fosse così scanzonato e senza freni. Quando c’era da lavorare duramente, Louis si prendeva sempre qualche minuto per ridere e scherzare. Una pausa per staccare dalla serietà del loro lavoro.
Liam l’aveva sempre vista come immaturità ma, con il passare del tempo, iniziò a provare un certo piacere in queste pause. Iniziò a lasciarsi andare sempre più, finchè non si lasciò andare a docce e scherzi sul palco, ogni singola sera.
Quella tristezza che lo aveva avvolto da ragazzo era stata spazzata via da quel piccoletto che si divertiva a torturarlo durante le tappe del tour. Ma gli voleva bene. Dio se gli voleva bene.

“Vedrai questa sera che ti combino”

Ne avevano fatte di tutti i colori insieme. Bottigliette di bevande energetiche, pistole ad acqua, bombolette spray di stelle filanti. Erano arrivati persino ad utilizzare degli estintori. Cosa si sarebbe potuto inventare Liam per quella sera?
Tanto gli avrebbero concesso ogni cosa. Al management non interessava cosa facessero Liam e Louis sul palco. Per quanto gli riguardava, avrebbero potuto anche lanciarsi vernice colorata e a loro sarebbe andato bene. A patto che Louis non lanciasse vernice verde e che il risultato non fosse un bel arcobaleno.
Al management andava bene ogni cosa, purchè non riguardasse Louis e Harry.

“Non vedo l’ora” rispose Louis con un sorriso malizioso sul volto.

Harry, dall’altro lato del palco, stava osservando il cielo coperto dalle nuvole. Era concentrato sul suo respiro mentre provava e riprovava le varie intonazioni.
Il suo corpo cercava di concentrarsi sulle prove, mentre la sua mente era fissa sull’immagine di Louis, disperato, nel backstage. Come avevano potuto ridurre il suo orsacchiotto così? Come avevano potuto trasformare un’anima così dolce e gentile in un’ombra di disperazione? Come avevano potuto infangarlo così?
Si era mostrato forte davanti a Louis, ma non lo era. Dietro al sorriso che aveva consolato il suo Lou c’era solo dolore.
Sapeva nasconderlo meglio di tutti, il dolore che l’allontanamento da Louis gli aveva causato. Era passato sopra a tutti i gossip che lo avevano coinvolto, alle false ragazze che gli avevano attribuito, alle false relazioni, alle storie inventate… perché sapeva che lui c’era.
Si era allontanato da Louis perché aveva capito che il management avrebbe spezzato Louis, l’avrebbe rotto come un bambino rompe un gioco che non si piega quanto vorrebbe.
Pensava di averlo salvato, di avergli risparmiato altra sofferenza e invece era diventato quel bambino. Aveva spezzato Louis senza volerlo, senza accorgersene.
Tutto questo sarebbe finito. Ne aveva abbastanza. La loro fama era immensa, le persone che li supportavano erano infinitamente maggiori delle decine di persone del management.
Per la prima volta, Harry non li temeva più.

“Sono uno cretino” sospirò Harry.

Come aveva potuto permettere che, per così tanti anni, il management li trattasse come burattini? Perché avrebbe dovuto sottostare ancora un minuto alla loro tirannia?
Di comune accordo, avevano deciso di cambiare casa discografica e il cambiamento effettivo sarebbe arrivato di lì a pochi mesi, ma perché aspettare? Perché rischiare di avere le ali tarpate da un nuovo management?
Quella sera stessa l’avrebbe detto a tutti. Era stanco di mentire, era stanco di vedere la sofferenza di Louis. Era stanco di non poterlo sfiorare nemmeno in privato.
Quella sera avrebbe dichiarato il suo amore e non c’era nulla che lo avrebbe fermato.
Harry si voltò e incontrò lo sguardo di uno degli uomini del management. Stava fermo con le braccia conserte, sotto il palco, a controllare la situazione. Guardava Liam e Louis che ridevano e scherzavano ma non c’era un accenno di felicità nel suo volto.
Come potevano essere così freddi? Come potevano rovinare così la vita a due ragazzi senza un minimo di rimorso? La loro mancanza di sentimenti quasi lo rattristava.
Harry si assicurò che l’uomo lo stesse guardando e iniziò a cantare senza microfono.

“I have loved… HIM since we were 18”

Sorrise, girò la testa e guardò Louis.
Poi riguardò l’uomo e riprese a cantare con il microfono, volgendo lo sguardo di nuovo al cielo.
Aveva lanciato un sfida, aveva sfidato il management. Cosa avrebbero fatto ora? Di certo non potevano togliere uno dei due dal concerto. Non potevano salire sul palco senza un valido motivo. Non avrebbero potuto fermarlo perché non avrebbero avuto alcun motivo, agli occhi del pubblico.
L’uomo guardò Harry e poi Louis. Prese la radio dalla tasca e iniziò a parlare.

“Abbiamo un problema”

Il cuore di Harry batteva a mille. L’aveva fatto davvero. Oddio, aveva davvero sfidato il management e non aveva idea delle ripercussioni che avrebbe avuto questo suo gesto nell’arco di cinque minuti o cinque ore.
Però l’aveva fatto e ne andava dannatamente fiero.
Non sapeva se i ragazzi avessero assistito al gesto di sfida, ma non gli importava. L’aveva fatto per se stesso. E per Louis. L’aveva fatto perché era stanco di amare in silenzio e di nascondere i suoi sentimenti.
Louis e Liam avevano abbandonato totalmente il proposito di provare e si stavano annaffiando l’un l’altro, consumando buona parte delle bottigliette d’acqua della band.
Accanto a Harry, Niall si era seduto a terra e continuava a ripassare i diversi accordi. Ogni tanto si perdeva, chiudeva gli occhi e iniziava a suonare come se il mondo fosse sospeso, in silenzio, e ci fosse solo lui con la sua chitarra.
Harry si sentì chiamare. Si voltò verso la sua sinistra e trovò lo sguardo di Niall.

“Era ora”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Louis e Liam finalmente si erano fermati. La guerra d’acqua li aveva lasciati completamente fradici.
Louis, sfinito dalle corse, si era seduto a terra con le gambe distese e aperte, tenendo su il busto con le braccia allungate all’indietro e sostenute dalle mani poggiate sul pavimento.
Liam era piegato in avanti, con le mani appoggiate alle ginocchia e il respiro affannoso. Aveva lanciato il microfono e stava cercando di ricordare dove.

“Dove cavolo è?” sospirò Liam.

“Payno, sei un genio… non potevi appoggiarlo per terra o su un amplificatore?”

Liam non riuscì a trattenere una risata. Questo episodio era l’apoteosi della sua trasformazione dovuta a Louis. Cinque anni fa non avrebbe mai lanciato un microfono. Non avrebbe preso così alla leggera delle prove. Ma, soprattutto, non si sarebbe mai divertito così tanto a farlo.
Si ricordava ancora la prima volta che aveva ceduto. La prima volta che genuinamente aveva riso ad uno scherzo di Louis e l’aveva fatto con gusto. Si ricordava la sensazione di leggerezza che aveva portato quella risata.
Il destino ha voluto mettergli accanto un angelo per compensare alle terribili esperienze che ha dovuto affrontare quand’era più piccolo. Ma lui non se n’era accorto, all’inizio.
Non aveva capito che quel pagliaccio dagli occhi e dalla risata magnetica era lì per lui. Non aveva capito che era la persona che gli avrebbe fatto scoprire tutto quello che gli era stato negato da giovane.
Non aveva capito che Louis sarebbe diventato una delle persone più importanti della sua vita e si sarebbe insinuato nella sua quotidianità con una leggerezza tale da farlo maturare fino a diventare l’uomo che è ora.
Un uomo maturo che lancia microfoni in uno stadio vuoto, inseguito da uno scricciolo che gli tira secchiate d’acqua. Perché maturare non significa necessariamente diventare seri.

“Liam”

Uno dei tecnici aveva già provveduto a portare il microfono di scorta. Non era troppo felice della sua trovata geniale, sperava solo che non si fosse rotto. L’avrebbero cercato più tardi, quando i ragazzi sarebbero tornati in hotel per riposare.

“Scusa” rispose Liam facendo una smorfia d’imbarazzo.

“Payno, questo te lo mettiamo in conto” gli fece verso Louis.

Liam tese una mano a Louis e lo aiutò ad alzarsi. Ancora mezz’ora di prove e poi avrebbero avuto un po’ di tregua fino al concerto di quella sera.
Dall’altra parte del palco, Harry stava fissando Niall con la bocca semi-aperta.

“Cosa…”

In quel momento, un addetto all’audio richiamò la loro attenzione. Era ora di provare, seriamente, la canzone per l’introduzione della band. Al management non era piaciuta l’esibizione del Principe di Bel Air. Era stata troppo improvvisata e, a detta loro, non era stata una buona pubblicità.
Al management non interessava che i ragazzi si fossero divertiti. Che avessero ricordato ai fan una parte della loro infanzia, che avessero riso perché, nella foga, non erano a ritmo. A loro era interessato solo il fatto che quello spettacolino non era stato autorizzato.
Un po’ svogliatamente, tutti e quattro, presero la propria asta del microfono e la posizionarono nella giusta posizione. Poi presero i microfoni e Louis cominciò la prova prendendo per primo la parola.

“Questo è il momento di ringraziare coloro che ci sopportano e ci seguono per tutto il tour. Nonostante li trattiamo come fratelli, ci odiano. Ma forse è proprio quello il motivo.”

Rise e proseguì con il suo discorso. I ragazzi avevano deciso di comune accordo che quel segmento di presentazione apparteneva di diritto a Louis. Non che fossero forzati a farlo, ma il management aveva studiato ogni loro azione così minuziosamente che non c’era più la spontaneità e la gioia che vi era all’inizio.
Nonostante questo, non avrebbero mai smesso di ringraziare la loro band. Anche loro erano in trappola, anche loro sottostavano al management e questo, in un certo senso, faceva davvero di loro dei fratelli. E il presunto odio, su cui scherzavano sempre, era inesistente. Ormai erano una grande famiglia, c’era solo affetto e stima tra loro.
Dopo mezz’ora di prove, era finalmente giunto il momento di tornare in hotel per riposare. I ragazzi erano stanchi e affamati e non vedevano l’ora di salire nei loro van.
L’uomo del management tornò indietro, proprio quando le prove erano terminate. Questa volta salì sul palco, si mise a braccia conserte ed esclamò con tono rude.

“Dunque, ragazzi, mi è stato riferito che ci sono problemi di sicurezza, a breve vi invieremo un recap con le nuove regole da seguire a partire da questa sera stessa”

I ragazzi si guardarono. Harry era all’estremo sinistro, Louis a quello destro. Liam e Niall bloccavano ogni possibilità di comunicazione tra loro.

“Nuove regole?” sussurrò Harry preoccupato.

Non era possibile che il suo guanto di sfida avesse dato il via a questa assurdità. Nuove regole per cosa? Magari si stava preoccupando inutilmente.
Forse le nuove regole prevedevano che i ragazzi non scendessero dal palco per abbracciare le ragazze o magari proibivano a lui, Harry, di chiedere che bottiglie d’acqua o oggetti vari venissero lanciati sul palco. Dopotutto ci poteva stare, dopo la lattina che gli era arrivata dritta in fronte.
Ok, quella volta non l’aveva chiesto, ma altre volte sì, quindi era solo per tutelare la salute dei ragazzi.
Sperava che fosse solo questo, lo pregava con tutto il cuore. Perché se lui stesso fosse stato motivo di altro dolore ai danni di Louis a causa della trovata della sfida, non se lo sarebbe mai perdonato.
Un altro tecnico salì sul palco e interruppe i pensieri di Harry.

“Perdonateci, ragazzi, ma ci sono solo tre van disponibili quindi…”

Senza pensarci un secondo, Niall alzò il braccio facendo segno al tecnico che non era necessario continuare a parlare.

“Harry e io possiamo andare insieme, siamo nello stesso hotel”

I due uomini lo guardarono perplessi, poi acconsentirono. Niall non è Louis. E poi Louis alloggia in un altro hotel. Perché sì, il management si spinge fino a questo. Si prodiga per separare Harry e Louis nel pubblico e nel privato.
L’incredibile spontaneità di Niall, però, aveva sorpreso tutti. Di solito era il primo a voler un van tutto per sè. Non perché non fosse disposto a condividerlo con uno dei ragazzi, ma perché adorava stare comodo, anche solo per dieci minuti. In più, si portava sempre a presso una chitarra, che ingombrava quasi più di lui.
Mentre si avvicinavano all’uscita, Niall si voltò verso Harry e sorrise malizioso.

“Ora voglio sapere tutto”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Non avevano nemmeno chiuso il portellone del van, che Niall stava già fissando insistentemente Harry.

“Cos’hai in mente per questa sera?”

Niall era stato l’ultimo a capire cosa Harry e Louis provavano l’uno per l’altro. Zayn e Liam l’avevano capito ancora prima che i due piccioncini ne fossero consapevoli. Zayn tendeva a importunare Liam per la maggior parte del tempo, così da lasciare Harry e Louis liberi di conoscersi e stare insieme.
Niall, invece, era sempre in mezzo a loro. All’inizio era il più amato dal management. Erano convinti che lo facesse di proposito, che si opponesse a questo amore adolescenziale per favorire la fama.
Tutt’altro. Niall era come un cucciolo di golden retriver che cerca attenzioni e coccole ovunque si giri. Niall era l’anello di congiunzione tra i ragazzi.
Il giorno in cui capì, fu il giorno in cui passò dall’essere il favorito all’essere l’incubo del management.
Erano seduti sui divani della sala prove. Zayn stava dormendo appoggiato alla spalla di Liam che, nel frattempo, stava giocando al cellulare. Sul secondo divano c’erano Niall e la suo chitarra. Sul divano in disparte, c’erano Harry e Louis, accoccolati l’uno tra le braccia dell’altro.

“Non capisco perché devo essere sempre io il cucchiaio grande” disse Louis mentre lo stringeva a sé.

“Perché sei più alto” rispose Harry.

“E se le cose cambiassero?”

“Tu sarai sempre il mio cucchiaio grande, anche se divento il doppio di te” ridacchiò Harry.

“Ah, davvero?”

“Voglio stare tra le tue braccia, per sempre” sussurrò Harry, chiudendo gli occhi.

Era una promessa che si erano fatti. Non avrebbero sciolto quell’abbraccio per nessuna ragione al mondo. Non avrebbero permesso a nessuno di infangare il loro amore e di separarli. Non avevano ancora conosciuto la malignità che si celava dietro al management e, in cuor loro, pensavano che le persone sarebbero state entusiaste di vederli così felici e affiatati.
Fu in quel momento che Niall capì. Il momento in cui Harry prese i polsi di Louis, strinse la morsa delle sue braccia attorno a sè e poggiò la testa al suo mento. Fu quello il momento in cui il cuore di Niall si sciolse come un cioccolatino al sole.
Non era solo profonda amicizia, era puro amore, quello che legava Harry e Louis. Un amore che Niall, come ogni bambino sognante che si rispetti, aveva idolatrato per anni. In quel momento, decise che questo legame andava protetto e non solo. Questo legame andava aiutato.
Dietro alle richieste e ai discorsi del management, Niall aveva già capito che si celava un oscuro complotto, dettato da fama e denaro. L’aveva capito subito, ma non voleva rovinare il sogno agli altri ragazzi. Ormai ci erano dentro fino al collo. Dirlo ora non avrebbe cambiato le cose, ma lui sapeva e credeva di sapere anche come controbattere.

“Allora, cos’hai in programma per questa sera?” chiese Niall senza mezzi termini.

Harry si guardò attorno e si avvicinò a Niall. Iniziò a bisbigliare, stando ben attento che l’autista e gli uomini della sicurezza non potessero comprendere quello che stesse dicendo.

“Ho deciso che questa sera svelo tutto. Sono stanco di mentire e di vederlo soffrire”

Harry aveva uno sguardo determinato e vagamente triste. Niall, al contrario, sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Stava già meditando su quali sticker attaccare sotto le scarpe dell’orsacchiotto. Non aveva ancora scelto un colore per il management, ma l’espressione sarebbe stata sicuramente quella con la bocca aperta in stato di shock.
Niall, con l’aiuto di Josh, aveva creato l’orsacchiotto bondage. Tutti si chiedevano da dove fosse spuntato quell’orsacchiotto, soprattutto il management. Nessuno riusciva a capire perché spuntasse giusto in tempo per essere notato dai fan. Il management, dopo qualche apparizione, aveva le mani legate. Lo giustificava come frivolezza e gioco infantile.
In realtà, l’orsacchiotto non era altro che il tramite che Niall utilizzava per comunicare con i fan. Per far sapere loro cosa succedeva tra Harry e Louis. Ci era voluto un po’ perché capissero, ma una volta che il codice fu decifrato, la ruota stava girando troppo velocemente perché il management fosse in grado di fermarla.
Fu Niall a creare la prima crepa che lentamente stava abbattendo il muro del management. Fu Niall a rinunciare a una vita spericolata per i ragazzi. Fu Niall a crearsi un’immagine candida per impedire al management qualsiasi gioco sporco.

Il dialogo tra i due fu interrotto dalla ricezione di una mail da parte di Niall.
Niall prese il cellulare, aprì il messaggio e lo lesse con cura. Più passavano i secondi, più il suo volto si scurì, lasciando spazio a un’espressione di pura insofferenza.

“Non sanno più a cosa attaccarsi”

“Il nuovo recap?” chiese Harry.

“Cambia la formazione per le canzoni… quoto –Harry e Louis dovranno mantenere una distanza minima di tre metri l’uno dall’altro durante l’intera serata. Non saranno ammesse interazioni di alcun tipo tra i due. Niall interagirà con Harry, Liam interagirà con Louis. Niall e Liam potranno interagire solo se Louis e Harry si trovano in parti opposte del palco. Si chiede, inoltre, che Niall e Liam collaborino per rendere il concerto più piacevole per tutti e per il management. Infine, niente orsi o stickers, d’ora in avanti-”

“Niall, è uno scherzo?”

Harry non poteva credere alle suo orecchie. Il management aveva superato se stesso. Non c’era un briciolo di umanità in quelle parole. Era ufficiale: erano diventati mere marionette di un’industria che pensava solo alla fama e al denaro.

“Allora, cos’hai in mente per questa sera?” chiese Niall, come se nulla fosse accaduto.

“No, dico, hai sentito cosa hanno detto. Non posso fare nulla”

“Harry, ricordati che non ci sono loro su quel palco, ci siamo noi”

“E se causassi solo guai? Non solo per noi, anche per voi. Per te, per Liam…?”

Niall scosse la testa. Ci erano dentro tutti insieme, da anni. Se solo qualcosa non gli fosse andato bene, se fossero stati stanchi di mentire, avrebbero parlato. Niall non parlava solo per sé, parlava anche a nome di Liam.
Forse Liam non aveva la sua stessa dedizione, ma non avrebbe mai abbandonato Louis. Avrebbe tranquillamente accettato le conseguenze delle azioni di Harry, se questo avrebbe permesso al suo migliore amico di essere felice.
Niall rassicurò Harry e propose un piano d’azione per la serata. Harry, ancora preoccupato per le possibili conseguenze del suo gesto, lo ascoltava attentamente.
Niall lo guardò raggiante. Non aveva paura del management. L’aveva sfidato così tante volte che per lui era diventato un gioco. Non potevano fargli nulla. Lui, il più grande sostenitore di Harry e Louis, era intoccabile perché si era creato un’aura di positività attorno che non poteva essere distrutta. Il management, con lui, aveva perso e, per questo motivo, era ancor più determinato a far vincere i suoi amici.

“Stasera o mai più”

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Lottie lo stava aspettando pazientemente seduta nel van. Era nervosa, come se avesse la sensazione che quel giorno qualcosa era andato storto. Come se sapesse che Louis era crollato.
L’aveva visto distrutto in pochissime occasioni. Era la sua roccia, il fratello maggiore che fa di tutto per non far preoccupare la sua dolce e fragile orsacchiotta. Ma anche i più forti a volte cedono. Crollano improvvisamente.
Lottie era onorata di poter raccogliere i cocci di suo fratello e rimetterli assieme. Provava un amore indescrivibile per lui. Non aveva mai messo in dubbio le sue scelte, non aveva mai osato commentare le false notizie divulgate del management. Non l’aveva mai rimproverato.
Perché sapeva chi era suo fratello. Lo sapeva davvero.
Nonostante fosse preparata a vedere gli effetti del management su suo fratello, ogni volta sentiva una fitta al cuore. Tuttora non capiva come potessero fargli del male. Come potevano ferire una creatura così fragile e gentile, ancora non riusciva a spiegarlo.
All’apertura della portiera, lo guardò negli occhi e capì immediatamente. L’avevano davvero spezzato. Di nuovo.
Tutte le risate sul palco con Liam l’avevano distratto, ma nel momento in cui si era ritrovato da solo con i suoi pensieri, i ricordi lo avevano colpito più duramente di prima. Aveva di nuovo lo sguardo triste e le lacrime pronte a sgorgare in ogni momento.
Si era seduto accanto a Lottie, in silenzio, con la testa bassa. Il suo respiro era a malapena percepibile. Non aveva più la forza di sorridere, nemmeno a sua sorella. Nemmeno per un attimo.

“Oh, no… Lou”

Lottie aveva gli occhi lucidi. Non sapeva che fare. Fino a qualche anno prima era lei quella da consolare. Certo, per delle sciocchezze, ma Louis c’era sempre stato per lei. Ogni cosa che agli occhi del mondo poteva sembrare insignificante, per il suo fratellone non lo era. Era cresciuta grazie all’aiuto e agli insegnamenti di suo fratello e lentamente aveva preso il suo posto. Era lei, ora, che aveva il compito di consolarlo, per qualsiasi cosa lo affliggesse.
Louis non aveva voglia di parlare o, probabilmente, non ne aveva la forza. Non voleva ricominciare a piangere perché non sarebbe riuscito a fermarsi. Alzò la testa e la appoggiò alla spalla di Lottie. Lei spalancò le braccia e lo prese a sè, come una madre consola il figlio che si è appena sbucciato un ginocchio.

“Andrà tutto bene…” sospirò “andrà tutto bene”

Louis aveva chiuso gli occhi. Si stava sforzando di respirare lentamente e cercava di pensare ad altro. Se avesse ceduto al peso che aveva sul cuore, avrebbe cominciato a singhiozzare e, nonostante sapeva che Lottie aveva capito, non voleva infrangersi in mille pezzi davanti a lei. Non di nuovo.

La prima volta che aveva visto Louis completamente distrutto, era stata quando il management aveva deciso che una certa Eleanor sarebbe diventata la sua ragazza. Quella fu anche la prima volta che Lottie capì veramente quanto perfido e inumano poteva diventare il management.
Quel giorno Louis era tornato a casa con la scusa di salutare la sua famiglia e comunicare la notizia. Aveva fatto sedere tutti in soggiorno e, con un sorriso forzato sulle labbra, aveva informato i parenti che aveva conosciuto una ragazza e pensava che le cose stessero diventando serie. Ci teneva a dirlo di persona, prima che la notizia uscisse sui giornali.
Il tono e i movimenti di Louis durante l’annuncio non avevano convinto Lottie, che poco dopo lo aveva raggiunto in camera sua.
L’aveva trovato disteso di traverso, a pancia in giù, in lacrime. Louis non stava emettendo un suono, ma i suoi occhi erano offuscati dal dolore.

“Lou, perché non me ne hai mai parlato?” chiese ingenuamente Lottie.

Louis si trovò ad un bivio. Introdurre l’innocente anima di sua sorella alla crudeltà del management o mentire spudoratamente? In quello stato, non trovò né la forza né il coraggio di mentire al suo angelo dagli occhioni blu.

“Perché non la conosco nemmeno” sbottò.

Parlarono per ore. Com’era possibile che non se ne fosse accorta? Com’era possibile che suo fratello non avesse fatto parola di tutte le angherie subite? E pensare che non era nulla in confronto a quello che stavano vivendo ora.
Ricorda le lacrime di Louis, nel privato. Ricorda quanto era stato forte per Harry, in pubblico, e quanto amore gli aveva dimostrato, nel privato. Ricorda quanto Harry abbia sofferto per l’immagine che avevano dipinto di lui i giornali, su suggerimento del management.

Il segreto della relazione costruita non rimase tale a lungo. Il management arrivò presto ai loro genitori, a tutte le persone coinvolte. Avrebbero dovuto supportare ed esaltare questa nuova relazione. Avrebbero dovuto dimenticare il coinvolgimento tra Harry e Louis. Avrebbero dovuto ubbidire agli ordini.
Fortunatamente, Louis e Lottie erano cresciuti in una famiglia genuina e leale. I genitori acconsentirono alla farsa del management. Ma solo di facciata, per il bene di Louis. Nel privato, avrebbero agito secondo i princìpi che rispettavano. E i loro princìpi dicevano che se il loro figlio amava un’altra persona, era giusto che stesse con quella persona.
Nella caotica macchinazione del management, i genitori di Louis, come quelli di Harry, non avevano mai smesso di sostenerli. Mai. Non avevano messo al mondo un figlio per rovinargli la vita. Non lo avrebbero fatto per tutti i soldi e la fama del mondo.
Forse avevano sbagliato a non opporsi, ma temevano per loro. Il management aveva orchestrato le loro vite fin dai primi giorni dopo l’audizione, li aveva seguiti, guidati, controllati. L’unico modo per cercare di salvarli era acconsentire silenziosamente finchè non ci fosse stato il momento di svolta.
Dopo due, tre, quattro anni, non c’era mai stato un episodio, un attimo, per ribaltare la tirannia. Il management era così perfidamente preparato da avere sempre un piano di scorta, se non due.
A quel punto, era chiaro che Harry e Louis erano soli in battaglia.
I loro genitori sarebbero rimasti al loro fianco, non li avrebbero mai abbandonati. Avrebbero continuato a sostenerli. Ma liberarsi di quel fardello non era più compito loro.
Ora, armati di stuzzicadenti, Louis e Harry si trovavano a lottare contro un muro che sembrava essere fatto d’acciaio.

“Supereremo anche questa, Lou”

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Liam scese dal van sospirando. Aveva capito che era accaduto qualcosa alle prove, ma non aveva idea di cosa si trattasse. Aveva deciso, durante il tragitto, che avrebbe chiesto spiegazioni a Louis, non appena fossero arrivati in hotel.
Raggiunse la hall dell’albergo, si avviò verso gli ascensori e, mentre aspettava, sfilò il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans. Il famigerato recap era arrivato anche a lui. Lo aprì svogliatamente e iniziò a leggere attentamente le nuove direttive.
L’ascensore si aprì, rimase aperto per una decina di secondi e poi si richiuse. Liam non si era mosso di un centimetro. I suoi occhi scorrevano veloci tra le parole sullo schermo. Era uno scherzo. Doveva essere uno scherzo. Ma soprattutto, come aveva fatto a non accorgersi della gravità della cosa?
Si sentì profondamente in colpa per non aver prestato più attenzione durante le prove. Aveva pensato solo a ridere e scherzare, ad evitare le secchiate di Louis e lanciare microfoni. Come era potuto succedere?
Chiuse la mail e aprì la rubrica. Cercò velocemente il numero di Louis e aprì un nuovo messaggio.

“Raggiungimi in camera appena arrivi” scrisse velocemente e inviò il messaggio.

Entrò nell’ascensore appena si riaprì. Si appoggiò alla parete, si stropicciò gli occhi con una mano e la appoggiò davanti alla bocca. Che cavolo era successo?
Stava mentalmente ripercorrendo tutte le prove. Ricordava di aver visto l’uomo del management dirigersi verso Louis e impartire un ordine a denti stretti. Louis aveva avuto una strana reazione. Si era fermato e aveva guardato l’uomo con rabbia, poi aveva scrollato il capo e si era girato verso Liam. Aveva sorriso e gli aveva fatto l’occhiolino.
Cosa aveva ordinato il management in quel momento? Liam continuò a passare in rassegna tutti i ricordi di quel pomeriggio. Nulla. Le prove, per quanto ricordava, erano andate come al solito. L’unica novità era stata la decisione di Louis di intraprendere una battaglia d’acqua. Lo facevano solo durante i concerti. Aveva pensato che quella piccola peste malefica si fosse annoiata più del solito e avesse voluto movimentare la giornata.
Pieno di pensieri, raggiunse la porta della sua camera e entrò. Era ancora fradicio, quindi decise di fare una veloce doccia e indossare dei vestiti asciutti.
Fece giusto in tempo ad arrotolarsi l’asciugamano in vita quando sentì bussare alla porta. Corse ad aprire e trovò Louis che lo osservava con le mani dentro alle tasche della felpa verde, aperta a metà. Alla vista di Liam in asciugamano, Louis non potè che farsi scappare un fischio di approvazione e un bel “Payno!”. Liam non ci fece caso. Lo guardò fisso negli occhi con serietà.

“Che cazzo è successo?”

Il sorriso di Louis si affievolì, fino a scomparire totalmente. Liam lo fece accomodare l’interno della camera, si infilò velocemente il primo paio di pantaloni che trovò e una canottiera asciutta.
Louis si sedette sul letto. Lo sguardo fisso verso il pavimento, le gambe che ciondolavano, le punte delle vans che sfioravano il pavimento, le braccia appoggiate alle cosce e le mani intrecciate davanti a sè.
Liam si acciambellò sul pavimento con le gambe incrociate e lo sguardo fisso su Louis. Voleva ascoltare ogni parola. Capire cosa si era perso e come aveva potuto non prestare più attenzione.
Louis iniziò a raccontare quello che era successo. Lentamente ripercorse l’ultima settimana fino ad arrivare alle prove di quella mattina. Il racconto si fece sempre più profondo e malinconico.
Gli raccontò l’ultima trovata del management. Gli raccontò che ora aveva perso pure il controllo su cosa potessero fare i suoi stessi occhi. Gli raccontò tutto, dall’inizio alla fine.
Parlò trattenendo le lacrime e schiarendosi la voce più volte. Cercò di non crollare. Non poteva crollare anche davanti a Liam.
Quella doveva essere proprio la giornata più brutta della sua vita, pensò.
Liam, che aveva ascoltato ogni singola parola, non sapeva che fare. Il nodo alla gola era talmente stretto che, anche se avesse voluto, non sarebbe stato in grado di emettere alcun suono.
Ripensò a tutto quello che Louis aveva fatto per lui, alle risate, agli scherzi, alle battute. Ora era il suo turno. Ora era compito suo aiutarlo.
Nel giro di poche ore, Louis era passato dall’essere l’incorruttibile roccia che tutti conoscevano ad essere una fragile statua di cristallo. Si era trovato improvvisamente impotente e lo odiava. Si sarebbe preso in giro da solo, avrebbe sciorinato una serie di battute acide lui stesso, se solo non fosse a conoscenza di tutto il dolore che era celato dietro a quello sguardo.
Liam si alzò in piedi. Iniziò a camminare per la stanza, mordendosi nervosamente l’unghia del pollice destro. Non disse una parola. Cavolo, non sapeva davvero cosa dire. Voleva poter risolvere tutto in un attimo, ma facendo cosa?
Il management aveva esagerato, aveva davvero esagerato. Gli tornarono improvvisamente in mente le nuove disposizioni. Il recap! Louis non sapeva nulla. Come poteva aggiungere altro peso all'enorme macigno che poggiava già sulla testa di Louis?

“Louie” esordì con un filo di voce “le nuove disposizioni…”

“Lo so” lo interruppe Louis.

Sapeva tutto. Sceso dal van aveva sbloccato il cellulare e aveva visto la nuova email. Aveva chiesto a Lottie di aspettarlo in camera. Si era accucciato dietro una colonna della hall dell’albergo e aveva letto parola per parola.
Dopo le lacrime versate davanti a Harry e Lottie, aveva la sensazione di aver prosciugato ogni scorta di acqua presente nel suo corpo, ma quelle disposizioni bruciavano. Dio, se bruciavano. Ogni parola era un’ulteriore coltellata ad un cuore già malconcio.
Aveva trovato la forza di rialzarsi grazie al messaggio di Liam. Perché la realtà è che, ogni volta che si impegnava per salvare Liam dalla noia e dalla tristezza, salvava un po’ anche se stesso. Prendersi cura di Liam era diventato un modo per prendersi cura del Louis che risiedeva nel profondo, quello dolce e fragile. Quello che nel privato soffriva più di chiunque altro.

“Non pensare nemmeno per un attimo che te lo permetterò” lo riportò al presente Liam.

“Cosa?” chiese perplesso Louis.

“Di seguire quelle stupide disposizioni”

Liam allungò le braccia verso di Louis, gli prese i polsi e lo aiutò a rialzarsi.

“Mai”

Liam lo strinse in un lungo abbraccio, profondo e sincero. Louis si lasciò andare, chiuse gli occhi e avvolse, a sua volta, le braccia su Liam.

“Ti voglio bene, Payno”

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Erano passate un paio d’ore dal ritorno in hotel. Louis aveva chiesto a Lottie di lasciarlo solo e, dopo pochi minuti, si era rannicchiato sotto il piumone del letto e si era presto addormentato.
Niall e Harry, al contrario, confabularono tutto il tempo per preparare la serata al meglio. Avevano pensato ad ogni singolo particolare o imprevisto. Avevano chiamato Liam via skype e lo avevano incluso nel piano.
Sembrava tutto pronto. Nulla sarebbe andato storto. Avevano pensato a tutto, avevano una contromossa per ogni possibile attacco del management. O, almeno, così speravano.
Avevano passato ore a studiare ogni minimo dettaglio. Ogni oggetto di scena che sarebbe servito. Ogni posizione che avrebbero assunto durante il concerto. Ogni parola che avrebbero detto.
Poco spontaneo, certo, ma il mostro che dovevano combattere quella sera non avrebbe badato a nulla, se non a tutelare i suoi stessi interessi. Non c’era altro modo. Studiare ogni minima mossa sarebbe stato quello che li avrebbe aiutati a vincere.
Ora mancava un’ultima cosa: chiedere a Louis se era pronto a cambiare la propria vita ed essere felice.
I quattro van erano pronti davanti agli hotel. Li avrebbero riportati allo stadio, dove si sarebbe svolto il concerto quella sera, lo stadio dove il management li aveva colpiti solo poche ore prima.
Uno alla volta, uscirono dai rispettivi alberghi e si avviarono verso lo stadio. Ognuno di loro aveva mille pensieri per la testa. Se fosse andata come avevano programmato, la loro vita sarebbe cambiata in pochi minuti. Erano sicuri di avere l’appoggio dei fan. Sapevano che non sarebbero stati abbandonati. Ma quante persone avrebbero odiato la loro decisione? A quanti sarebbe stata scomoda? A quante persone sarebbe piaciuto il nuovo volto, onesto e libero, dei One Direction?
L’ansia aumentava con il passare dei minuti. Niall aveva ripreso a mangiarsi le unghie. Harry si passava insistentemente la mano tra i capelli e continuava a girare un anello invisibile sull’anulare della mano destra. Liam teneva le mani intrecciate e continuava a far saltellare nervosamente le gambe.
Poi c’era Louis, ancora ignaro di tutto. Da quando era stato svegliato da uno degli addetti del management, si era svogliatamente fatto una doccia, aveva indossato i vestiti concordati con l’assistente e si era pazientemente stravaccato su un divano, aspettando che qualcuno lo chiamasse per il pick-up.
Ora se ne stava seduto nel van, con un gomito appoggiato allo scanso della portiera. Guardava distrattamente il panorama, cercando di non pensare a nulla.
Il primo ad arrivare fu Niall, cosa incredibilmente inusuale, che però non insospettì nessuno, fortunatamente. Il suo primo pensiero fu quello di correre nel camerino della band e svegliare Josh. Come al solito, aveva bisogno del suo aiuto per attaccare gli sticker all’orso arcobaleno.

“J, muoviti! Questa volta hai più lavoro da fare!”

Dopo essersi stropicciato gli occhi per qualche secondo, Josh saltò in piedi, pronto all’azione. Niall portò una mano nella tasca posteriore dei pantaloni e ne estrasse cinque adesivi rotondi.
Josh scoppiò in una risata colma di stupore quando vide il numero di sticker che Niall gli stava consegnando.

“Qualcosa mi dice che sarà una serata interessante” scherzò.

“Puoi contarci” rispose, trattenendo a stento un sorriso.

Durante la mattina, avevano già provveduto a posizionare una coperta che avvolgeva l’orso e il suo piccolo amico. Era una coperta piccina, pesante e con la stampa di un vivacissimo arcobaleno che si stagliava su un cielo azzurro. L’orso più imponente aveva in mano un grande cuore rosso.
Accanto ai due orsetti, c’era un piccolo altarino con una bottiglia trasparente, contenente una strana sostanza viola. Portava un’etichetta con un piccolo teschio e la scritta “Veleno”. Sembrava appena uscita da un episodio di Willy il Coyote.
Niall cominciò accuratamente a spiegare come e dove dovevano essere posti gli sticker. Quello verde e quello blu, sorridenti con gli occhi sognanti, andavano posizionati sul cuore tenuto in mano dall’orso arcobaleno. Dovevano essere l’uno vicino all’altro, non sovrapposti, ma vicini e chiaramente visibili.
Quello rosso, sorridente, che faceva l’occhiolino, andava posizionato sulla suola di una scarpa. Sull’altra andava apposto quello bianco, con la lingua fuori e gli occhi strizzati. Lo sticker bianco sarebbe stata una novità per i fan, perché non era mai stato utilizzato prima d’ora.
Come avevano giustamente ipotizzato, i primi tre sticker raffiguravano Harry, Louis e Liam. Quello bianco rappresentava Niall. Aveva scelto il colore bianco della bandiera dell’Irlanda, perché il verde era già stato preso da Harry e l’arancione si avvicinava troppo al rosso di Liam.
Ma c’era un ultimo sticker: quello nero. Come quello di Niall, lo sticker nero non era mai stato mostrato prima d’ora ed era stato creato per rappresentare il management. Quella sera, il management avrebbe avuto un’espressione che lasciava poca ombra di dubbio. Occhi sbarrati e bocca aperta.
Niall non dovette aggiungere altro, perché Josh aveva già capito dove sarebbe stato affisso: sulla finta bottiglia di veleno.
Memorizzate tutte le istruzioni, iniziò a correre in direzione del parterre. Un’ultima indicazione di Niall lo fece rallentare per un attimo.

“E abbiamo bisogno di un megafono sul palco, dietro la cassa dell'acqua di sinistra”

Niall sospirò soddisfatto. La prima parte del piano era stata completata.
In quel momento, arrivò Liam, seguito a ruota da Louis. Perfetto. Erano lì tutti e tre e il management non aveva ancora dato istruzioni per gli ultimi aggiustamenti d’abito e pettinatura o per i meet & greet. Avevano a disposizione pochi minuti per informare Louis del piano per la serata ma, soprattutto, per assicurarsi che fosse d’accordo.

“E questo è quanto”

Niall aveva appena finito di illustrare, a grandi linee, il programma della serata. Liam era visibilmente in ansia, teneva le braccia incrociate e aspettava di vedere quale sarebbe stata la reazione di Louis.
Louis non aveva parole. Non poteva credere che i suoi amici, i suoi migliori amici, si erano prodigati fino a questo punto per lui. Avevano pianificato la serata, per lui. Senza esitare un attimo avevano deciso di cambiare le loro vite per vederlo felice. Per realizzare il suo sogno di vivere una vita piena e soddisfacente insieme all’uomo dei suoi sogni. Harry. Dio, quanto amava Harry. Quanto lo amava ancora di più, in quel momento.
Improvvisamente, il macino che gli pesava sul cuore da anni si era volatilizzato. Era tornato a sorridere, sorridere davvero.
Liam e Niall si guardarono per un attimo, capirono che, probabilmente, non sarebbe nemmeno servito chiedere esplicitamente il permesso a Louis. Stavano ammirando l’espressione che mancava da troppo tempo sul volto di Louis.

“Io non ho parole” sussurrò Louis, con un nodo alla gola.

Niall iniziò a saltellare, ma subito cercò di contenersi. Si sfregò le mani e si lanciò verso Liam e Louis. Si avventò su di loro come una scimmia si aggrappa ad un tronco d’albero. Iniziarono a ridere tutti e tre, finchè non furono interrotti da un addetto del management.
L’addetto comunicò la scaletta e poi li guardò storto. Perché erano così euforici? Non avevano letto le nuove disposizioni? Cosa stavano tramando? Avevano forse bevuto?
Louis, Niall e Liam ringraziarono educatamente e si incamminarono verso la sala di Lou, per gli ultimi aggiustamenti.
Tra la perplessità generale, trattenevano a stento le risate.

Riuscivano già a sfiorare il senso di libertà.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Harry era arrivato allo stadio e aveva subito raggiunto Lou per farsi fare delle treccine in testa. Si era seduto sulla poltrona ed era rimasto immobile per pochi secondi, dopo di che aveva iniziato a muoversi incessantemente, mettendo alla prova l’impazienza di Lou.

“Harry, per favore, stai fermo. Dritto. Stai dritto. Harry… Harry!”

“Ho cambiato idea” esordì Harry, quando ormai metà della testa era completata.

“Harry, io ti strozzo” sbuffò Lou.

Mentre iniziava a sciogliere le trecce che aveva appena intessuto, Harry si raggomitolò sulla poltrona con le ginocchia piegate e le braccia che avvolgevano le sue gambe. Si era tolto gli stivaletti per la seduta di parrucco e indossava un paio di pesanti calzini arcobaleno. Teneva un piede sopra l’altro, come un bambino timido al primo giorno di asilo.
Finalmente era tranquillo, così Lou potè ricominciare da capo l’acconciatura con mollette, pinze, spazzole tonde e phon.
I capelli di Harry erano un dono del cielo ma, nonostante lui insistesse che fossero così di natura, gran parte del merito andava attribuito a Lou, che li curava pazientemente e evitava che i suoi voluminosi ricci apparissero come delle piccole balle di fieno.
Normalmente, tanto tempo serviva a Lou per curare i capelli di Harry, quanto alla sua assistente per completare l’acconciatura degli altri tre. A volte, quando Harry stava più fermo del solito, Lou riusciva a occuparsi anche di Liam o Louis.
Louis era il più semplice da preparare, almeno negli ultimi due anni. All’inizio, pretendeva di avere i capelli perfetti, piastrati a puntino e tagliati in un certo modo. Ora, il look che preferiva era quello scapigliato. Louis era solito arrivare in camerino con i capelli ancora arruffati dal riposino pomeridiano. Bastava un’altra leggera spettinata e una spruzzata di lacca. Due minuti e Louis era pronto per lo spettacolo.
I ragazzi furono chiamati per i meet & greet. Il pannello per le foto era pronto. I tavoli erano totalmente coperti da t-shirt, poster e CD, pronti per essere autografati. Le disposizioni erano chiare. Il primo della fila sarebbe stato Louis, seguito da Liam, Niall e Harry in coda.
Era la prima volta che Harry e Louis si ritrovavano nella stessa sala dopo aver ricevuto le nuove disposizioni. Non si guardavano, anzi, non potevano guardarsi, perché erano contornati da uomini del management, ma sorridevano. Louis sorrideva a Harry e Harry sorrideva a Louis. Anche se non si potevano vedere, sapevano che l’altro stava sorridendo. C’era qualcosa nell’aria che li rassicurava. E c’erano Niall e Liam, che sarebbero rimasti al loro fianco, qualsiasi cosa sarebbe successa quella notte.
Finiti tutti gli autografi, cominciarono a fare le foto. L’ordine era lo stesso degli autografi. I fan erano già stati avvertiti che per disposizioni della casa discografica, le foto dovevano essere fatte più velocemente e, pertanto, non avrebbero permesso ai ragazzi di cambiare posto.
Il management aveva una grande immaginazione. Non c’era limite alla montagna di frottole che erano disposti e capaci a raccontare.
Fortunatamente, dopo qualche tempo, i loro fan lo avevano capito. Avevano compreso che le macchinazioni della casa discografica erano degne di premi Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
Peccato che le performance erano piuttosto deludenti. I finti gossip non venivano nemmeno più considerati dalle testate giornalistiche, serie. Quelle che li consideravano, non erano altro che testate affiliate o pagate per fare falsa pubblicità.
La verità era che il management aveva deciso volontariamente di camminare su delle sabbie mobili, credendo fossero fatte di cemento armato. E stava sprofondando sempre più. Anche alcuni addetti iniziavano a ridere delle loro stesse scelte o degli ordini che gli venivano impartiti.
Harry e Louis riuscirono a sfiorarsi le mani un paio di volte, nascosti dai corpi di Niall, Liam e dei fan. Brevi e leggeri tocchi che valevano più di mille parole.

“Sono qui per te”

“Ti voglio”

“Ti amo”

Parole che si erano detti più volte, ma che si ripetevano costantemente nella mente o esprimevano con un gesto o uno sguardo.
Seppur separati forzatamente, non c’era stato verso di far dimenticare l’uno all’altro. Il management non aveva capito nulla. Non aveva compreso che quello che legava Louis e Harry non era una cotta primaverile. Le cotte passano. Ti giri, vedi un’altra persona, ti infatui e, senza accorgertene, la cotta precedente ti è passata.
Ma l’amore, quello vero, è diverso. Non diminuisce. Non si affievolisce quando ci sono problemi. Non si affievolisce nemmeno quando si è distanti. L’amore vero non ti passa.
Erano pronti a iniziare il concerto, a entrare sul palco e cambiare le loro vite per sempre. La band stava già suonando. Stava scaldando gli strumenti per la serata di fuoco, quella che tutti si sarebbero ricordati, che fossero fan degli One Direction o meno. Quella che avrebbe segnato la fine di un’era e l’inizio di un’altra. L’ultimo passo verso la libertà.
Nonostante la felicità, Niall e Liam stavano saltellando nervosamente. Sarebbe andato tutto bene. Sì, sarebbe andato tutto bene. Avevano pensato a tutto. Avrebbero vinto.
Louis si era rannicchiato sulle proprie gambe e cercava di non pensare a nulla. Respirava profondamente, tenendo gli occhi chiusi, e cercava di incitarsi, battendo il ritmo della musica con i talloni.
Poi c’era Harry. Harry continuava a rigirare tra le mani il microfono, come quella volta che si era ritrovato a camminare in cerchio nel prato vicino casa, in piena crisi d’ansia. Era abituato a parlare in pubblico, ma quella volta era tutta un'altra storia.
Era il giorno matrimonio di sua madre. Si era preparato un discorso, dolce e sincero. Aveva intenzione di raccontare che gran donna fosse la sua Anne. Voleva parlare del suo coraggio, della sua determinazione, della sua forza. Voleva raccontare a tutti con quanto amore l'aveva cresciuto e quanto ne aveva ancora da donare.
Però voleva cercare di trovare ispirazione anche nella sua stessa vita. Voleva poter parlare dell'amore che lo legava ad una delle creature più gentili e oneste di questo mondo. Ma non poteva, perché glielo stavano portando via. Lievemente, giorno dopo giorno, il management stava separando Harry e Louis, nonostante i loro tentativi di rimpossessarsi di una libertà che gli spettava di diritto.
Rigirava insistentemente quel microfono tra le mani, nella speranza che portasse via parte dell’ansia che lo avvolgeva.
Era tutto pronto, il concerto stava iniziando. Un’ultima distratta occhiata agli uomini del management.

“Si va in scena!”
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Il calore del pubblico, la musica, le luci abbaglianti. Ogni sera, ad ogni concerto, riuscivano a dimenticare tutto quello che stavano affrontando. L’emozione di salire sul palco e le urla dei fan li caricavano fino a liberare le loro menti da qualsiasi problema.
Come al solito, la prima canzone fu “Clouds”, seguita a ruota da “Steal my girl” e “Little Balck Dress”. Avevano deciso che la prima parte del concerto si sarebbe svolta come al solito, così che il management non si insospettisse in alcun modo.
Liam e Niall si stavano attenendo alle disposizioni del management. Formavano una sorta di barriera tra Harry e Louis, che si trovavano in parti opposte del palcoscenico.
Dall’inizio del concerto, non c’era stata una singola interazione tra i due, che fosse uno sguardo o un gesto. Però Louis aveva ammirato Harry sugli schermi, così come Harry aveva ammirato Louis. In silenzio, di sfuggita, ma sempre con un sorriso sul volto.
La prima parte del concerto passò relativamente in fretta. Sembrava quasi di stare a teatro a vedere "Romeo e Giulietta" di Shakespeare. Oggettivamente, a nessuno interessa l’inizio. Il pubblico è annoiato, sbadiglia ed è statisticamente dimostrabile che un signorotto in quarta fila o una graziosa vecchina poco più avanti si sarebbero presto addormentati, se non fosse giunta l’ora della scena del balcone.
E così fu per il concerto. Sembrava che le canzoni scivolassero l’una dopo l’altra, quasi a voler accelerare il ritmo per arrivare al momento più importante dello spettacolo.
Così furono velocemente messe da parte “Where Do Broken Hearts Go”, “Midnight Memories”, “Kiss You” e “Stockholm Syndrome”.
Niall, a quell punto, prese le redini in mano e cominciò a intrattenere il pubblico. Liam corse nel backstage con la scusa di avere la vescica di un pesciolino rosso.
Quella sera erano presenti anche i suoi genitori. Gli piaceva invitarli di tanto in tanto ai concerti. Di solito, quando li invitava, pur non volendo, finiva per farsi vedere travestito da bruco, da hot dog o da banana. La prima volta che un fan gli lanciò un costume e lui decise di infilarselo, proprio durante il concerto, sua madre gli chiese se per caso non stesse prendendo il suo lavoro un po’ troppo alla leggera. Poi ci fece l’abitudine.
Come Anne, Johannah e tutti i genitori dei ragazzi, Karen ci aveva davvero fatto l’abitudine e rideva tutte le sante volte. Anzi, segretamente aveva iniziato una collezione di foto con tutti i travestimenti di suo figlio. Stava lentamente completando un piccolo album fotografico che, a tempo debito, avrebbe utilizzato per mettere in imbarazzo il suo Liam.
A volte, Liam, quando andava nel backstage per qualche secondo, trovava il tempo di inviare uno smiley ai suoi genitori che stavano tra la folla. Quella sera, invece, inviò un pollice all’insù. La risposta non tardò ad arrivare: un pollice all’insù e un cuore. Rispose con un bacio, sorrise e corse di nuovo sul palco.
Presto furono archiviate anche “Fireproof”, “Ready to Run”, “Better Than Words” e “Don't Forget Where You Belong”.
Fu Harry a prendere la parola questa volta. Mentre gli altri tre stavano riprendendo il respiro e bevendo dell’acqua, raggiunse la parte anteriore del palco e cominciò a parlare.

“Allora… vi state divertendo?”

Un urlo si levò da ogni angolo dello stadio.

“Non ho capito… vi state divertendo?”

L’urlo riprese, ancora più potente e lungo di prima. Tutti i ragazzi si stavano lentamente avvicinando a Harry, fermandosi di tanto in tanto a salutare e scambiare qualche parola con i fan a bordo palco.

“Dio, amo questo lavoro. Dunque… questa sera il concerto sarà leggermente diverso. Abbiamo deciso che la scaletta non sarà quella degli ultimi concerti…”

Le urla si fecero più scomposte. Si percepivano urla preoccupate, urla eccitate e frasi che sarebbe meglio non ripetere, nemmeno sotto giuramento.

“Ok, ok. Non vi preoccupate, faremo tutte le canzoni previste, ma in ordine diverso”

L’urlo di gioia fu unanime. Harry era solito stuzzicare il pubblico. Gli piacevano le grida, gli piaceva avere il potere, il controllo sulle azioni dei suoi fan durante i concerti. Gli piaceva coinvolgere tutti. Tutte le ragazze e tutti i ragazzi. Ma, soprattutto, provava un immenso piacere nel coinvolgere le persone che erano state trascinate ai concerti come accompagnatori: i fidanzati e i genitori.
Quanto amava puntare il dito verso un papà annoiato e costringerlo ad alzare le braccia e battere il tempo. O bloccare una madre che tentava di uscire qualche minuto prima per evitare il traffico in uscita dai concerti. In questo era bravissimo. Erano tutti bravi a mettere in imbarazzo i fan e i loro genitori. Ma era il loro modo di divertirsi e, alla fine, si facevano amare anche per questo.
Quello che i genitori portavano a casa, dopo i concerti, era la consapevolezza che i loro figli erano in buone mani. Dopotutto, avevano potuto constatare in prima persona che, per quanto potessero apparire folli, quelli che stavano sul palco erano dei bravi ragazzi. E non cantavano nemmeno poi così male. Alla fine della fiera, i genitori erano contenti che i loro figli li avessero scelti come idoli.

“Questa sera abbiamo una sorpresa per voi. Abbiamo deciso di dedicarvi una canzone che per noi ha segnato l’inizio di un’era e che speriamo possa significare l’inizio dell’era successiva”

Il pubblico si acquietò in fretta. Era successiva? Perché? Cosa sarebbe cambiato? Mille domande frullarono in testa ai fan. Dopo la notizia della pausa che si sarebbero presi alla fine dell’On the Road Again Tour, temevano che questa nuova "era" potesse essere uno scioglimento degli One Direction.

“Ora, vi chiedo di non fare rumore. Non utilizzeremo nessuno strumento musicale. Vogliamo cantarla a cappella come la prima volta che l’abbiamo provata. La prima canzone che i One Direction hanno cantato insieme. Voglio che ci sia silenzio dentro questo stadio. Voglio che anche l’ultima persona seduta lassù ci possa sentire”

 “Signore e signori, questa è Torn” concluse Liam, accanto a Harry.

Mentre le grida esplosero e si fecero sempre più entusiaste, Louis e Niall li raggiunsero e li aiutarono a quietare il pubblico.

 
I thought I saw a girl brought to life
She was warm, she came around
She was dignified
She showed me what it was to cry

Si erano riuniti tutti a casa di Harry, quel pomeriggio nell’estate del 2010. I giudici li avevano messi insieme, avevano creato un gruppo di cinque ragazzi. Ora stava a loro dimostrare che la scelta che avevano fatto era stata quella giusta. Si erano dati appuntamento per decidere come procedere. Per dare un nome alla band e per scegliere la canzone da cantare a casa di Simon, come ultima prova per accedere al serale.
 
You couldn't be that girl I adored
You don't seem to know or seem to care
What your heart is for
But I don't know her anymore

 
Liam era stato il più metodico. Aveva iniziato chiedendo attenzione e serietà. Stava cercando di buttare giù una lista delle cose che dovevano essere decise e fatte, mentre Niall sventagliava una serie di proposte. Zayn seguiva timidamente il discorso. Louis e Harry stavano già facendo amicizia. Erano stati i primi a stringere un forte legame fin da subito. Ecco, loro non riuscivano a rimanere seri e a seguire il discorso. Proprio non ce la facevano. Erano impegnati ad innamorarsi.
 
There's nothing left, I used to cry
My conversation has run dry
That's what's going on
Nothing's fine, I'm torn

Era stato Harry a eliminare dalla lista la voce “dare un nome al gruppo”. Dopo decine di proposte da parte di tutti, Harry era balzato in piedi e aveva chiesto quale sarebbe stato l’obiettivo della band: diventare famosi in tutto il mondo, raggiungere la vetta del successo.

“Allora c’è solo una cosa fa fare… andare lassù” disse fieramente, alzando un braccio al cielo. “Quante strade pensate che ci siano?”

“Beh, un bel po’…” rispose timidamente Niall.

“No, per noi ce n’è una. C’è una sola strada” si fermò un attimo “there’s just one direction.”

 
I'm all out of faith
This is how I feel
I'm cold and I am shamed
Lying naked on the floor

Era quello giusto. “One Direction” era il nome giusto. L’avevano capito tutti, senza nemmeno guardarsi. Avevano ascoltato quelle due parole e se ne erano già impossessati. Non sarebbero più stati Harry, Louis, Liam, Niall e Zayn. Sarebbero stati solo “One Direction”. Era perfetto.
 
Illusion never changed
Into something real
I'm wide awake and I can see
The perfect sky is torn

Ora dovevano solo decidere quale canzone avrebbero cantato davanti a Simon e al suo aiutante. Quale canzone scegliere? Chi far cantare? Erano domande a cui cercarono una risposta per qualche giorno. Iniziarono a provare varie canzoni insieme. Armonizzarono fino allo sfinimento. La loro dieta consisteva in latte e miele, per il solo scopo di mantenere la voce calda e non infiammare la gola. Provarono e riprovarono, ma nulla sembrava funzionare.
 
You're a little late
I'm already torn
I'm already torn

Finchè un giorno, durante una pausa, Liam non cominciò a fischiettare un motivetto conosciuto. Harry lo seguì immediatamente, cantando. In pochi secondi Louis, Niall e Zayn si ritrovarono seduti sul pavimento, in cerchio, ad armonizzare strofe che erano note a tutti.
 
There's nothing left, I used to cry
Inspiration has run dry
That's what's going on
Nothing's fine, I'm torn

Il vocal coach entrò in quel preciso momento. Si fermò e si appoggiò una mano al petto, in corrispondenza del cuore.

“Pare che abbiamo un vincitore!”

Era stata scelta così, la canzone da cantare. O, meglio, era la canzone che li aveva scelti. Li aveva riuniti insieme, per la prima volta, come nessuna canzone cantata fino a quel momento era riuscita a fare.

 
Torn, I'm torn
Nothing's fine I'm torn
I'm already, I'm already torn
Torn

Il silenzio calato sullo stadio era surreale. Si poteva quasi sentire il respiro delle persone sedute nell’ultimo anello dello stadio.
Fu in quel momento che i ragazzi riaprirono gli occhi e si guardarono. Si sentivano leggeri, pronti per quello che sarebbe successo di lì a poco. Sembrava che quella canzone portasse con sè una ventata di speranza, ogni volta.
Un grido unanime d'immensa gioia si levò attorno a loro.
Avrebbero vinto, come avevano vinto in quell'estate del 2010.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Erano state suonate “No Control”, “Drag Me Down”, “Diana”, “What Makes You Beautiful”, “Through the Dark”, “Girl Almighty”, “Act My Age”, “Little White Lies” e, per ultima, “Story of My Life”.
Il concerto era quasi terminato e le canzone preferite dai fan non erano ancora state cantate. Perché? Perché le avevano eliminate? O messe alla fine?
Il pubblico sentiva che c’era qualcosa di diverso nell’aria. Già dall’inizio, quel concerto era sembrato diverso. Non solo per come erano stati addobbati gli orsacchiotti, per i nuovi stickers, per la scaletta modificata. C’era qualcos’altro. Anche i ragazzi erano diversi.
Non si riusciva esattamente a puntare il dito su cosa fosse cambiato. Era una sensazione, che di lì a poco sarebbe diventata una certezza. Quel che era lampante, però, è che quel concerto sarebbe stato ricordato per molto tempo, non solo dalle persone presenti.

“Se amate qualcuno come non avete mai amato nessuno, voglio che la cantiate insieme a noi. Urlate con tutta la potenza che avete nei polmoni. Questa è ‘You and I’.”

I figured it out
I figured it out from black and white
Seconds
and hours
Maybe they had to take some time

Louis stava seduto con il busto in avanti, faceva saltellare le gambe e sosteneva il suo peso sulle punte dei piedi. La testa abbassata, le braccia appoggiate alle cosce e le dita intrecciate. Era nervoso. Dio, se era nervoso.
Avrebbe dovuto aspettare ancora un bel po’ prima della sua audizione. L’avevano portato dalla sala d’attesa nel backstage, ma gli avevano detto di mettersi seduto, tranquillo, perché non l’avrebbero chiamato sul palco per almeno una mezz’ora.

I know how it goes
I know how it goes for wrong and right
Silence and sound
Did they ever hold each other
Tight like us
Did they ever fight like us

 
Fu quella la prima volta in cui vide Harry. Anzi, prima ancora di vederlo, ne aveva sentito la risata e gli era rimasta in testa. Una risatina dolce e allegra, che poteva appartenere solo ad una splendida creatura.
Notò gli occhi magnetici, il sorriso contagioso e quella pioggia di riccioli castani che contornavano un volto dai lineamenti armonici e ancora infantili. Fu quella la prima volta in cui un ragazzo attirò immediatamente la sua attenzione.
Sorrise timidamente e realizzò che quella visione lo aveva inspiegabilmente calmato. Le gambe non saltellavano più. Quel ragazzo sconosciuto era riuscito a placare ogni sua ansia, semplicemente esistendo.

 
You & I
We don't want to be like them
We can make it till the end
Nothing can come between

 
Passato il momento di tensione, aveva deciso di mangiare qualcosa e sgranchirsi le gambe. Si era diretto verso il bagno, lanciando un’ultima fugace occhiata a quel ragazzino tutto ricci e sorrisi.
Si stava facendo gli affari suoi, quando, improvvisamente, sentì un “oops!”. Era lui, il ragazzo dagli occhi magnetici. Non sapeva per quale motivo gli fosse uscita tale esclamazione, ma in un momento di generale imbarazzo, l’unica cosa che gli venne naturale fu rispondere garbatamente con un “Hi!” e un sorriso.

 
You & I
Not even the gods above
Could separate the two of us
No nothing can come between
You & I, You & I

 
Harry stava per lasciare il bagno in fretta, dopo essersi accuratamente lavato le mani, così Louis decise di fare un paio di balzi veloci e raggiungerlo.

“Mi chiamo Louis, comunque”

“Piacere, Harry”

In quel momento, un pensiero gli saltò alla mente: era erano avversari in una corsa alla fama. Com’era possibile competere per partecipare al programma contro di lui?
Quella voce soave e roca lo aveva colpito. Non era attrazione, non era amore. Quel ragazzo gli aveva suscitato tenerezza. Non quel tipo di tenerezza infantile, ma qualcosa di profondo, che presto si sarebbe trasformata in qualcosa di più potente.

 
I figured it out
Saw the mistakes of up
and down
Meet in the middle
There's always room for common ground

Louis tornò a sedersi al suo posto, pazientemente, finchè nel backstage non rimbombò l’audio dell’arena. Udì una voce familiare.

“Mi chiamo Harry Styles. Ho 16 anni…”

Iniziò a cantare. Wow. Le sue orecchie non potevano credere a quel che stavano ascoltando. Quella voce, di cui aveva avuto un flebile assaggio poco prima, stava dimostrando tutta la sua potenza. Oh, sarebbe stato lì ad ascoltarlo per ore.
Non avrebbe mai potuto vincere contro di lui. Oh, ma chi voleva prendere in giro? Non avrebbe nemmeno potuto competere contro di lui. Non aveva ancora idea di quanto lui stesso valesse e, sentire la voce di quell’angelo, l’aveva un po’ abbattuto. Al tempo stesso, però, era determinato a incontrarlo di nuovo. Voleva conoscerlo a tutti i costi.

 
I see what it's like
I see what it's like for day and night
Never together
Cause they see things in a different lig
ht
Like us
They never tried like us

Quando fu richiamato per il bootcamp, era entusiasta. Aveva provato infinite volte la canzone che avrebbe cantato. Aveva provato a ballare, perché c’era anche quella prova, purtroppo. Si era preparato al meglio per l’audizione, ma il suo pensiero fisso rimaneva Harry. Sempre e comunque Harry.
Quando si rividero, si salutarono subito con un abbraccio. Entrambi ricordavano il nome dell’altro. Come l’avrebbero potuto scordare? Louis era nuovamente nervoso. E se non l’avesse più rivisto dopo il bootcamp? Se fosse passato solo uno dei due? E se non fossero passati entrambi?

 
You & I
We don't want to be like them
We can make it till the end
Nothing can come between

Si trovava in fila, accanto a tutti i ragazzi. I giudici stavano chiamando i nomi di coloro che sarebbero passati alla fase finale delle selezioni. Mancavano due posti. Lui e Harry.

"Ti prego, fa che chiamino me e Harry"

Un posto libero. Ancora nessuno dei due era stato chiamato. Non sapeva se pregare di essere chiamato o pregare che chiamassero Harry, perché cavolo, se lo meritava davvero.

“Tom Richards”

Merda.

 
You & I
Not even the gods above
Could separate the two of us

Erano stati scartati entrambi. Com’era possible? Louis era distrutto emotivamente. Aveva gli occhi gonfi e teneva a freno le lacrime, a stento. Voleva solo andare a casa, voleva abbracciare sua madre, stringere il suo cuscino e dimenticare tutto. Voleva sprofondare.
Poi lo fermarono, lo richiamarono insieme a tutti gli altri ragazzi e le ragazze. Chiamarono nove tra loro e gli altri furono lasciati definitivamente andare. Chiamarono lui. E chiamarono Harry. Un barlume di speranza si era riacceso nel suo cuore. Cosa mai avrebbero voluto da loro?

“Ciao, grazie per essere tornati” aveva esordito Nicole.

Il discorso fu lungo e la tensione era alle stelle. Poi quelle magiche parole. Formare due gruppi separati. A lui, Louis, era stata servita su un piatto d’argento la possibilità di avanzare verso la finale di X Factor, verso la fama. Gli era stata servita la possibilità di conoscere Harry.

 
'Cause You & I
We don't want to be like them
We
can make it till the end
Nothing can come between

Mentre gli altri quattro stavano soppesando le parole dette dai giudici, quel piccolo angelo dai capelli ricci aveva già deciso. Così giovane e così determinato. Non aveva ci aveva messo più di qualche secondo a realizzare cosa stava accadendo. Aveva da subito espresso la volontà di coglierla quell’occasione.
Uno di loro, d’altro canto, non era del tutto convinto. Ah, se solo avesse potuto avere uno scorcio sul futuro che lo aspettava… non avrebbe esitato un solo istante.
Erano passati, insieme. Lui, Harry e questi misteriosi tre ragazzi. Avrebbero fatto amicizia, avrebbero vissuto insieme, si sarebbero conosciuti meglio e sarebbero diventati migliori amici. Ancora non lo sapevano, ma in quel momento la loro vita era cambiata. Per sempre.

 
You & I
Not even the gods above
Could separate the two of us
No nothing can come between
You & I, You & I

Fu quasi un movimento involontario. Louis si lanciò su Harry e gli saltò addosso. Un abbraccio breve, ma infinito. Fu quella la prima volta che il suo cuore scoppiò di gioia.
Non fu solo la notizia che gli diedero i giudici, fu la consapevolezza che quel ragazzo con i capelli d’angelo sarebbe stato al suo fianco. La consapevolezza che avrebbero avuto l’occasione di parlare, scherzare, ridere insieme. Conoscersi.
Ce l’avevano fatta.
Louis si lasciò andare e si coprì il volto con le mani. Il suo sogno si stava realizzando. Ora aveva l’opportunità di far vedere quanto valeva. Sapeva che ce l’avrebbero fatta. Alcuni di loro non si erano mai parlati prima d’ora, ma nell’aria c’era quel presagio, quella sensazione che si sarebbero completati l’un l’altro.

 
We can make it if we try
You & I
Oohh you & I
You & I

Non riuscivano a contenere la loro felicità. Sorridevano, ridevano, si guardavano. Scesero dal palco e si abbracciarono.
Fu in quel momento che Louis capì che nessuno li avrebbe separati. Aveva questo presentimento. Nessuno sarebbe riuscito a frapporsi tra loro.

“Sono felice che abbiano unito tutti noi” disse Louis, con un entusiasmo impossibile da contenere.

Harry lo guardò intensamente e gli sorrise di rimando. Lo abbracciò stretto a se e gli sussurrò all’orecchio.

“Sono felice che abbiano unito noi due” 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Finalmente era riuscito a convincere sua madre. All’inizio era troppo giovane e non aveva nemmeno finito la scuola. Poi aveva trovato un lavoro e aveva già pensato a cosa fare all’università. Ma sua madre gliel’aveva promesso. Gli aveva chiesto di completare gli studi primari. Lo aveva pregato di essere un ragazzo responsabile almeno fino al compimento dei 16 anni.
Fu così che, il giorno del suo compleanno, comunicò a sua madre di essersi iscritto al provino di X Factor. Anne non poté nemmeno arrabbiarsi. Sapeva com’era suo figlio, se voleva qualcosa la otteneva. E sapeva anche quanto era bravo a cantare.
Aveva notato il talento di suo figlio già dalle prime recite scolastiche. Se solo avesse voluto, avrebbe conquistato anche il mondo.

 
I got a heart
And I got a soul
Believe me I will use them both

Harry era in fila. Aspettava pazientemente che giungesse il suo turno, mordicchiandosi, di tanto in tanto, le unghie e scompigliandosi i ricci capelli castani. Era contornato da migliaia di persone, ragazzi e adulti che, nella speranza di migliorare la propria vita, erano accorsi all’audizione.
Ancora non lo sapeva, ma tra tutta quella folla c’era il ragazzo che gli avrebbe cambiato la vita. Quel cucciolo piccolo e sparuto, dagli occhi di ghiaccio, che lo avrebbe reso felice al di là di ogni immaginazione.
Era sicuro di se, Harry. Sapeva di cosa era capace, ma soprattutto era stanco della vita che stava vivendo e voleva a tutti i costi cambiarla. Trasformarla, per se e per i suoi cari. Sapeva di potercela fare e non si sarebbe fatto fermare da nessuno.

 
We made a start
Be it a false one, I know
Baby, I don't want to feel alone

Dopo ore di attesa che parvero infinite, finalmente lo chiamarono nel backstage. I suoi genitori lo seguirono. C’era chi si sistemava il trucco, chi scaldava la voce, chi fissava il vuoto. Lui aveva deciso di distrarsi parlando con sua madre, facendo dei progetti.

“Una bella casa a due piani, con la piscina e il campo da tennis!”

“Ma tu non sai nemmeno tenere una racchetta in mano” lo derise sua madre.

“E una sala di registrazione immensa, che possa contenere un’intera orchestra!”

Continuava a fantasticare sul futuro sotto lo sguardo perplesso e divertito dei suoi familiari. Harry era così, doveva fare dei piani. Non voleva mai trovarsi impreparato. Non era da lui andare allo sbaraglio. Certo, non che programmasse la sua vita dal risveglio alla buonanotte, ma gli piaceva delinearne i punti chiave.

 
So kiss me where I lay down
My hands pressed to your cheeks
A long way from the playground

Aveva pensato a tutto per il giorno dell’audizione. Aveva programmato l’intera giornata, per non avere sorprese. Ma non aveva programmato di incontrare Louis. Non aveva programmato di innamorarsi a prima vista.
Mentre lui rideva e scherzava, le audizioni si svolgevano velocemente, l’una dopo l’altra. Fecero entrare altre persone nel backstage. Un gruppo, una coppia di anziani, tre donne, cinque ragazze e due ragazzi.
Uno di quei ragazzi attirò subito la sua attenzione. Si era seduto sommessamente in un angolo e fissava il pavimento. Aveva i capelli da bravo ragazzo, castani, ma più chiari dei suoi.

 
I have loved you since we were 18
Long before we both thought the same thing
To be loved and to be in love

Cercava furtivamente di intravvederne i lineamenti, ma stava ancora nella posizione in cui l’aveva scorto la prima volta. Poi, improvvisamente, alzò lo sguardo, diede un’occhiata intorno e lo riabbassò.
Harry era rimasto senza fiato. Le risate erano scomparse. Ora sul suo volto risplendeva un’immenso sorriso involontario. Aveva la sensazione che il mondo si fosse fermato per un attimo. Tutti i suoni si erano attenuati per qualche secondo. Il suo respiro si era fatto pesante e i suoi occhi avevano scorto qualcosa di stupefacente.
Com’era possibile, si chiedeva Harry, che esistesse una persona dagli occhi così azzurri? Aveva ricevuto mille volte i complimenti per i suoi occhi. Lui stesso pensava che fossero più unici che rari. Evidentemente, non aveva ancora avuto il piacere di osservare da vicino quelli di Louis. O di Niall, per dire.

 
All I could do is say that these arms
Were made for holding you
I wanna love like you made me feel
When we were 18

Lo vide alzarsi e dirigersi verso il bagno. Quando gli passò accanto fece finta di nulla, ma appena potè, si inventò una scusa per raggiungerlo. Voleva conoscerlo. Doveva conoscerlo.
Quando entrò in bagno, Louis era impegnato nelle sue faccende, così Harry decise di svuotare velocemente anche la sua vescica. Nella fretta, però, una goccia rimbalzò prepotente e partì in direzione di Louis.

“Oops!” esclamò con imbarazzo e arrossì.

 
We took a chance
God knows we tried
Yet all along, I knew we'd be fine

“Abortire la missione, abortire la missione” continuava a pensare.

Che figura! Voleva conoscere quel ragazzo e gliel’aveva praticamente fatta addosso. Inaspettatamente, il misterioso ragazzo gli sorrise e rispose con un garbato saluto. Ciao.
Gli si illuminarono gli occhi. Riuscì a vedere da vicino tutte le sfumature nelle iridi di Louis e si perse nei suoi occhi, per un istante. Poi gli tornò alla mente quello che era appena successo.

“Bravo, Harry! Ottima prima impressione! Scappa prima di lanciargli sapone liquido sulla camicia, va…”

Harry era così imbarazzato che si ricompose in fretta e si lanciò verso il lavabo, per lavarsi le mani. Presto lo raggiunse anche quell’angelo sceso dal cielo.

 
So pour me a drink, oh, love,
Let's split the night wide open an
d we'll see everything
We can
livin' love in slow motion, motion, motion

“Che figura. Che figura!” continuava a ripetersi.

Strappò un pezzo di carta assorbente dall’apposito distributore e si tamponò i palmi. Lo gettò via e si passò le mani sui pantaloni, per asciugarle meglio. Si diresse verso l’uscita con passo deciso.

“Dio, che figura!” ancora non gli era passato l’imbarazzo.

Sentì una mano poggiarsi sulla spalla. Si girò e trovò accanto a se quel ragazzo dal sorriso biricchino e gli occhi glaciali.

“Mi chiamo Louis, comunque”

 
So kiss me where I lay down
My hands pressed to your cheeks
A long way from the playground

Fu così sorpreso, ma immensamente felice, per quell’inaspettata interazione tra loro. Sorrise così apertamente che, nelle sue guance, si formarono due adorabili fossette.

“Piacere, Harry” rispose emozionato.

Tornò da sua madre, che notò subito le sue paffute guance arrossate. Ma non volle dire nulla. Le faceva piacere che suo figlio avesse trovato una qualsiasi distrazione dall’ansia che lo attanagliava.
Harry era bravo a nascondere le sue vere emozioni e di solito lo faceva ridendo e scherzando. Ma con Louis non ci aveva nemmeno provato. Cos’era successo? Perchè gli aveva fatto quell’effetto?

 
I have loved you since we were 18
Long before we both thought the same thing
To be loved and to be in love

Venne il momento della sua audizione. Si mostrò sicuro di se, fiero, convinto delle sue decisioni. Voleva dimostrare ai giudici quanto valeva. Voleva dimostrare che era la persona giusta su cui puntare.
Trovò ironico che il giudice che lo rifiutò si chiamasse Louis. Pensò che l’universo funzionava effettivamente in modi stravaganti. In ogni caso, nonostante il no del giudice, riuscì ad assicurarsi un posto nel bootcamp. Il suo sogno continuava. Ora, gli era stata data l’opportunità di dimostrare che era abbastanza maturo per prendersi un tale impegno. L’avrebbe dimostrato a Louis, Louis Walsh.
L’entusiasmo dei suoi parenti era alle stelle. Lo abbracciarono fin quasi a farlo soffocare. Con il suo solito fare buffo e goffo, cercò presto di scollarseli di dosso. Certo, gli faceva piacere che lo supportassero. Ma non aveva mai amato le smancerie, soprattutto quelle non richieste.
Uscendo lanciò una veloce occhiata al backstage. Louis si era nuovamente rannicchiato su una sedia. Aspettava pazientemente il suo turno. Harry si augurò con tutto il cuore di poterlo rivedere ai bootcamp. Doveva poterlo rivedere. Doveva rimediare all’incidente del bagno.

 
And all I could do is say that these arms
Were made for holding you, oh
And I wanna love like you made me feel
When we were 18

Nei giorni che trascorsero dall’audizione al bootcamp non fece altro che pensare a due cose: come impressionare i giudici e come impressionare Louis. Certo, si impegnava sicuramente più sulla prima. Ma poi, la sera, sotto le coperte, immaginava cosa avrebbe potuto dire a quel delizioso ragazzo, quando si sarebbero rivisti.
Arrivò il giorno del bootcamp e lui era più nervoso del giorno della prima audizione. Aveva un po’ di mal di gola. Dannazione! Sua madre gli aveva preparato del tè caldo con un po’ di miele. Si augurò che bastasse. O, per meglio dire, sperò che entrasse in gioco l’effetto placebo. Il mal di gola, probabilmente, era dovuto solo alla tensione.
Quando arrivò al bootcamp si guardò intorno. Nulla. C’erano molti ragazzi, ma non riusciva a scorgere quel viso con gli occhi azzurro cielo. Un velo di delusione era sceso sul suo cuore. Poi, all’improvviso, notò un ragazzo raggomitolato in un angolo e tirò un immenso sospiro di sollievo.
Louis era meglio del tè al miele di sua madre. Nulla era stato meglio del tè al miele di sua madre, fino ad ora. Fino a che non era comparso Louis nella sua vita.

 
When we were 18
Oh, Lord, when we were 18

Con la consapevolezza che erano di nuovo sotto lo stesso tendone, Harry si impegnò a fondo. Nonostante la sua goffaggine, la prova di ballo non era andata poi così male. Insomma, almeno aveva più coordinazione di quel biondino in prima fila. Ecco, quello era stato abbastanza imbarazzante solo da guardare.
Nelle pause, lui e Louis avevano avuto occasione di parlare un po’. Si trovavano così bene insieme. Ridevano, scherzavano, ma soprattutto si capivano. Pensò che era raro trovare qualcuno che riuscisse a leggerlo così perfettamente, come fosse un libro aperto.

 
Kiss me where I lay down
My hands pressed to your cheeks
A long way from the playground

Alla fine del bootcamp era soddisfatto. Aveva cantato una canzone che gli piaceva. Aveva superato la prova di ballo, secondo il suo modesto parere. Aveva avuto occasione di interagire con Louis, di tanto in tanto. Sentiva di avercela fatta. Di essersi guadagnato un posto per l’ultimo provino, a casa dei giudici.
Furono chiamati di nuovo sul palco, messi in riga di fronte ai giudici. Prima di nominare chi era passato alla fase successiva, fecero un lungo discorso. Ringraziarono tutti per aver partecipato alle audizioni. Tirarono le somme sul bootcamp e poi passarono alla selezione.
Fu lenta e snervante. Uno dopo l’altro venivano chiamati nomi sconosciuti. Non aveva ancora udito il suo nome. Non aveva udito nemmeno quello di Louis. A questo punto, o sarebbero passati entrambi, o nessuno dei due.

 
I have loved you since we were 18
Long before we b
oth thought the same thing
To be loved and to be in love

Quando chiamarono l’ultimo nome, Harry non riuscì a trattenere le lacrime. Non ce l’aveva fatta. Ora sarebbe davvero dovuto andare al college. Sarebbe dovuto tornare a lavorare al panificio. Sarebbe dovuto tornare alla sua vecchia vita. Non voleva. Oddio, no che non lo voleva. Era proprio quella vita ad averlo spinto sulla strada dell’audizione.
Tornato nel backstage, estrasse il cellulare dalla tasca dei pantaloni. Doveva chiamare sua madre. Ma come comunicarglielo? Come dirle che no, non ce l’aveva fatta, nonostante tutto quello che aveva fatto? Nonostante tutto l’impegno che ci aveva messo?
Continuava a fissare il telefono, quando la voce di uno degli addetti attirò la sua attenzione. Alcuni ragazzi sarebbero stati richiamati sul palco, per volere dei giudici. Uno di quei ragazzi era lui. E uno era Louis.

 
And all I could do is say that these arms
Were made for holding you
I wanna love like you made me feel
When we were
18

Il suo volto si illuminò. Credeva di aver capito. No, aveva decisamente capito cosa avevano intenzione di proporre e lui non avrebbe rinunciato a questa occasione per nessuna ragione al mondo. Entrare a far parte di una band? Si poteva fare. Entrare nel serale? Si poteva fare. Cantare insieme a Louis? Oh, si doveva decisamente fare.
Non esitò nemmeno un secondo. Lui, il più giovane tra loro, prese parola e accettò l’offerta. Sì, potevano diventare un gruppo. Se lo sentiva. Lui, che pianificava tutto, era stato il primo ad avere una visione del futuro. Uno stadio illuminato dai cellulari dei fan, che cantavano le canzoni con loro, che li incitavano, che li amavano alla follia.
Tutto quello poteva essere reale. Doveva solo convincere gli altri ragazzi. E, insieme, avrebbero convinto tutti. Si sarebbero dovuti impegnare il doppio, il triplo, ma potevano funzionare. Aveva sentito le loro voci durante il bootcamp. Poteva davvero funzionare. Doveva funzionare.

 
I wanna love like you made me feel
When we were 18
I wann
a love like you made me feel
When we were 18

Fu così che iniziò la sua nuova vita, fatta di alti e bassi, di amore e odio, di sconfitte e vittorie. Fu così che iniziò tutto quello che poteva finire di lì a poco. Ma non gli importava, perché, come quell’ultimo giorno al bootcamp, aveva capito che c’erano cose più importanti del successo.
Il momento in cui aveva stretto Louis a se per la prima volta. Il momento in cui aveva chiuso gli occhi e aveva sentito il suo dolce profumo. Il momento in cui si erano guardati negli occhi per la prima volta.
Il momento in cui aveva capito di essersi davvero innamorato.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Quel giorno non era cominciato nel migliore dei modi. Liam aveva svegliato tutti all’alba perché voleva provare la canzone che avrebbero cantato nel fine settimana. Niall era stato il primo a farsi coraggio, abbandonare il comodo cuscino e raggiungerlo in sala prove. Louis fu il terzo, trascinato a forza da Harry. Zayn era stato l’ultimo. E ci aveva messo un bel po’.
Tutti sapevano quanto Zayn amasse dormire, ma perlomeno era veloce a scaldare la propria voce, quindi, ogni tanto, gli concedevano qualche minuto in più nel mondo dei sogni.
Liam era quello dei risvegli alle 5 del mattino. Capiamoci. Non che gli altri non volessero provare, ma preferivano farlo di notte. La lotta tra il tardo coprifuoco e la sveglia all’alba continuò fin quasi alla fine del programma. Poi, in netta maggioranza, vinsero le prove notturne. Liam non fece fatica ad abituarsene. Ma forse c’entrava qualcosa il fatto che i ragazzi cercassero da sempre di tenerlo sveglio il più a lungo possibile.

 
Going out tonight
Changes into something red
Her mother doesn't like
that kind of dress
Everything she never had she's showing off

Provarono mezz’ora, dopo di che, Louis iniziò ad accusare un senso di fatica. Aveva mal di testa ed era inspiegabilmente stanco da quando aveva aperto gli occhi, quella mattina stessa. Le prove stavano andando bene, quindi i ragazzi acconsentirono a lasciarlo libero. Sarebbe tornato nella stanza per prendere una medicina e riposarsi un altro po’ sotto le coperte.
Stava per abbandonare lo studio quando ebbe un lieve mancamento. Harry lo afferrò in tempo, prima che cadesse a terra.

“Scusate, sto bene, ma state tranquilli” si affrettò a sminuire il fatto.

Harry si rifiutò di lasciarlo camminare da solo in quello stato fino alla casa. Poi, sbadato com’era, avrebbe preso sicuramente la medicina sbagliata. Nonostante l’insistenza di Louis, lo accompagnò di nuovo nella loro stanza.

 
Driving too fast
Moon is breaking through her hair
She's heading for something that she won't forget
Having no regrets is all that she really wants

Mentre Louis si cambiò e si rimise il pigiama, Harry scese in cucina e preparare il bicchiere con l’acqua e due pillole di paracetamolo. Forse era una dose esagerata per un ragazzo così minuto come Louis, ma voleva che guarisse il prima possibile.
Quando ritornò nella stanza, Louis era tutto rannicchiato, sotto le coperte, con gli occhi già chiusi. Harry si fermò sulla porta. Quanta tenerezza gli faceva Louis. Poverino, non si meritava per niente di stare così male. Se avesse potuto, l’avrebbe guarito con un tocco. Quella mattina non l’aveva visto sorridere nemmeno una volta e questo gli aveva rattristato un po’ la giornata.

“Lou, ti ho portato le medicine”

 
We're only getting older, baby
And I been thinking about it lately
Does it ever drive you crazy
Just how fast the night changes?

Louis aprì un occhio e cercò di portare il busto il posizione verticale. Si mise una mano sui capelli. La testa gli faceva male. Molto male. Tutta la testa, come se qualcuno gliela stesse scuotendo troppo forte. Strizzò gli occhi e guardò Harry che, nel frattempo, aveva spostato il suo cellulare e si era seduto su un angolo del comodino.

“Grazie, Harry” disse e sorrise.

Finalmente, di nuovo il suo sorriso. Affaticato, stanco, ma era il sorriso di Louis. Harry gli porse le medicine e si assicurò che le prendesse. Poi appoggiò il bicchiere accanto a se, si alzò e lo aiutò a rimettersi sotto le coperte. Louis si raggomitolò su se stesso e si girò con il volto verso il muro. Poi ci ripensò e intrecciò nuovamente lo sguardo di Harry.

“Non sei costretto a rimanere qui”

“No, io voglio rimanere qui. Con te.”

 
Everything that you've ever dreamed of
Disappearing when you wake up
But there's nothing to be afraid of
Even when the night changes
It will never change me and you

Louis si era addormentato. Aveva il respiro leggero, quasi impercettibile. Di tanto in tanto, Harry smetteva di respirare per qualche secondo per sentire se Louis stesse inspirando e espirando regolarmente. Gli guardava il busto, nascosto dalle coperte, per controllare che il torace si gonfiasse a ritmo.
Lo osservava dormire. Louis era diventato una parte talmente importante della sua vita che era bello ed emozionante anche solo vederlo dormire. Seguire il suo ritmo respiratorio. Ammirare quella dolce creatura che si riposava.
Improvvisamente, Louis sussultò. Era un brivido di freddo. Il suo respiro si fece più frammentario. Non si era svegliato, ma stava certamente provando i primi sintomi di un’influenza. Harry si guardò attorno. Dannazione. Avevano mandato tutti a lavare le proprie lenzuola, tranne Louis. Non avevano altre coperte per il momento, perché ancora non erano state portate quelle pulite. Louis aveva tenuto le proprie, forse perché sentiva di star male.

 
Chasing it tonight,
Doubts are running 'round her head
He's waiting, hides behind a cigarette
Heart is beating loud, and she doesn't want it to stop

Vederlo lì disteso, infreddolito e malaticcio, fece sciogliere ancora di più il cuore ad Harry. Silenziosamente diede un’occhiata al suo armadio. Non c’erano maglioni o coperte di alcun genere. Non lo avrebbe lasciato là, a tremare. Decise che non c’era altra soluzione.
Si tolse cautamente le scarpe, le appoggiò accanto al comodino. Sollevò le lenzuola, si infilò sotto e si sdraiò accanto a Louis. Passò un braccio sotto il cuscino e, con l’altro, avvolse Louis e appoggiò la mano destra sopra la sua.
Quel piccolo batuffolo addormentato era gelato. Nonostante avesse una maglia a maniche lunghe, si poteva sentire la sua pelle fredda attraverso il tessuto. Harry lo strinse dolcemente a se, cercando di non svegliarlo. Ci volle poco perché il suo corpo gli trasmettesse un po’ di calore.
Dopo qualche minuto, Harry notò che aveva smesso di tremare e che il suo respirò era tornato regolare. Avvolse la sua mano sul piccolo polso di Louis e con il pollice cominciò ad accarezzargli il dorso. Louis, in un movimento involontario, spostò la mano e intrecciò le dita con quelle di Harry. Con il cuore che batteva a raffica, Harry chiuse gli occhi e presto si addormentò.  

 
Moving too fast
Moon is lighting up her skin
She's falling, doesn't even know it yet
Having no regrets is all that she really wants

Fu Louis a svegliarsi per primo. Si sentiva meglio, non aveva più quella sensazione di pesantezza alla testa e la stanchezza si era attenuata. Aprì gli occhi svogliatamente e vide il muro davanti a se. Poi notò la sua mano. Era intrecciata ad un'altra mano. Sentì un respiro profondo dietro la nuca. Che stava succedendo? Chi c’era dietro di lui? Un senso di paura lo avvolse tutto d’un tratto.
Slegò l’intreccio e si girò lentamente, facendo attenzione a non svegliare il misterioso soggetto che si era introdotto nel suo letto. Quando vide, con la coda dell’occhio, il volto di Harry tirò un sospiro di sollievo. Sorrise e lo guardò per un attimo. Poi ci ripensò. Perchè Harry era dentro il suo letto? Cosa ci faceva dentro il suo letto? Ma soprattutto, perchè scoprire che ci fosse Harry dentro il suo letto lo aveva fatto sorridere?
Con mille domande che gli frullavano nella testa, scivolò fuori dalle coperte, facendo attenzione a non svegliare quel dolce cerbiatto dagli occhi splendenti. Si diresse verso la cucina. Tutto quel dormire e quelle medicine gli avevano fatto venire un senso di fame. Pensò che era un buon segno. Di solito, quando si è malati, l’ultima cosa che si vuole fare è mettere qualcosa sotto i denti.

 
We're only getting older, baby
And I been thinking about it lately
Does it ever drive you crazy
Just how fast the night changes?

Harry entrò in cucina stropicciandosi gli occhi. Era passata mezz’ora da quando Louis si sera svegliato ed era sceso al piano di sotto. Nonostante questo, lo trovò ancora seduto sullo sgabello con fare pensoso. Reggeva un cucchiaio, in sospeso, sopra una scodella piena di latte e cereali. Il suo spuntino preferito. O forse l’unico che sapeva davvero preparare.
Incrociarono gli sguardi. Harry sorrise, Louis arrossì e tornò a fissare i suoi cereali mezzi sfatti. Louis non era riuscito a rispondere nemmeno a una delle domande che si era posto, da quando si era svegliato. Non riusciva a capire. Aveva Harry davanti a sè, ma non aveva il coraggio di aprir bocca e chiedere.

“Vedo che ti senti meglio” ruppe il ghiaccio Harry.

“Sì… grazie” rispose timidamente Louis, continuando a fissare la scodella.

Cosa dire? Oddio che imbarazzo. Fino a quel momento si erano detti tutto. Avevano riso e scherzato. Avevano parlato di ogni cosa, senza vergogna o pudore. Perché ora gli faceva questo effetto? Perché era stato colpito così profondamente da quel gesto?

 
Everything that you've ever dreamed of
Disappearing when you wake up
But there's nothing to be afraid of
Even when the night changes
It will never change me and you

“Non c’erano coperte e stavi tremando. Ho pensato che fosse l’unica soluzione. Scusa se ti ho messo in imbarazzo, prometto che avrò sempre una coperta in più d’ora in poi.”

La spiegazione di Harry interruppe i suoi pensieri. Era una motivazione sensata, sincera, non si leggeva alcuna vena di amarezza nella sua voce. Ma, in realtà, Harry aveva notato il rossore sulle guance di Louis. Aveva capito di averlo messo a disagio e, questo, l’aveva avvilito non poco. Però cosa poteva aspettarsi di diverso? Aveva cercato di dimostrarglielo nelle settimane precedenti. Certo, non lo aveva detto chiaramente. Non aveva trasformato le sue sensazioni in parole, ma era chiaro nella sua testa. Si era innamorato.
Ci era cascato già la prima volta che l’aveva visto. Non riusciva a togliersi dalla testa quel ragazzo umile e gentile. Quello a cui l’aveva fatta praticamente addosso. Dio che figura. Non era riuscito a dimenticarlo. Poi si erano rivisti, erano stati uniti dal destino e lui, Harry, non aveva avuto la forza, o la voglia, di negare a se stesso i suoi sentimenti.
Non aveva avuto problemi ad accettare di essersi innamorato di un uomo. Non aveva mai detto a se stesso “un giorno troverai la ragazza della tua vita”. Si era sempre ripetuto “un giorno troverai la persona che renderà ogni tua giornata migliore”. E l’aveva trovata. Ma un dubbio continuava ad assalirlo e tormentarlo. E lui? Era “stato trovato” anche lui?

 
Going out tonight
Changes into something red
Her mother does
n't like that kind of dress
Reminds her of the missing piece of innocence she lost

C’era un solo modo per scoprirlo. Harry doveva raccogliere tutto il coraggio e la determinazione che possedeva e chiederlo. O, in alternativa, doveva confessare i suoi sentimenti e attendere una risposta. Nulla sarebbe successo se fosse rimasto lì seduto ad aspettare.

“Louis, mi piaci” urlò, non riuscendo a contenere il tono di voce.

“Cosa?”

“Mi piaci… nel senso che mi piaci. Ecco, l’ho detto. Mi piaci come persona, mi piace il tuo carattere, mi piacciono i tuoi capelli, i tuoi occhi, il tuo sorriso. Mi… piaci.”

“Mi piaci anche tu” rispose Louis con un sorriso.

“No, non hai capito. Mi piaci davvero. Louis… io mi sono innamorato... La prima volta che ti ho visto alle audizioni. La prima volta che ci siamo guardati. La prima volta che mi hai parlato. Mi piaci nel senso che mi sono innamorato di te.”

 
We're only getting older, baby
And I been thinking about it lately
Does it ever drive you crazy
Just how fast the night changes?

Louis si alzò istintivamente dallo sgabello. Non sapeva che dire, non sapeva che fare. Mille emozioni gli turbinavano dentro al petto. Cosa? COSA? COSA?!? Oddio, toccava a lui dire qualcosa, ma non sapeva che dire. Il discorso di Harry aveva senso. Tutte quelle attenzioni, quei discorsi fatti insieme, tutte le risate. Ora vedeva tutto sotto una luce diversa.
Aveva appena ammesso ad Harry che gli piaceva. Ma gli piaceva in che modo? Quello doveva ancora capirlo. O forse l’aveva appena fatto. Forse, per la prima volta, tutto aveva un senso, ma lui cercava di prenderne le distanze. Si rifiutava di accettare la realtà. Un uomo? No, non era possibile. O forse sì, non ci aveva mai pensato, in realtà. Poteva davvero provare dei sentimenti così forti per un uomo?
Louis stava lì, in piedi, con le gambe e le braccia bloccate. Si sentiva un coniglio in procinto di essere investito da un camion. Si era irrigidito. Era spaventato. Era stato messo alle strette da una decisione su cui non aveva mai riflettuto prima d’ora. Poi, d’istinto, corse verso la porta della cucina, diretto verso le scale. Che cavolo stava facendo?

“Louis”

Harry lo aveva rincorso. Gli aveva afferrato una mano per fermarlo. Erano di nuovo faccia a faccia, occhi negli occhi. Harry non pretendeva una risposta. Non sapeva nemmeno cosa voleva, a quel punto. L’unica cosa che aveva capito è che non voleva perderlo. Se l’avesse lasciato andare, si sarebbe creata una voragine tra di loro. Una voragine fatta di silenzi e imbarazzo. Non sarebbero stati più in grado di interagire come prima.

 
Everything that you've ever dreamed of
Disappearing when you wake up
But
there's nothing to be afraid of
Even when the night changes

Louis lo fissò per qualche minuto, in silenzio. Per la prima volta nella sua vita, forse aveva capito da dove provenivano tutte quelle sensazioni, quegli sguardi, quei sorrisi radianti, quelle risate involontarie. Quella non era amicizia, non era affetto, non era gratitudine. Tutto quello che provava per lui era ben lontano da ciò che provava per chiunque altro. Forse Harry gli aveva davvero aperto gli occhi.
Quello che provava Louis, nei suoi confronti, poteva avere un solo nome. Amore. Amore puro e disinteressato.
Lo guardò negli occhi. Quei suoi splendidi occhi, il cui colore è tutt’oggi complicato da descrivere. Lo guardò e capì. Si era innamorato anche lui e non poteva più negarlo. A se stesso o a Harry.
Alzò il braccio destro e poggiò la mano sul collo di Harry. Il pollice davanti al suo orecchio sinistro. Una presa sicura e dolce. Spostò lo sguardo su quelle labbra rosse e carnose. Pochi centimentri li separavano. Lo guardò dritto negli occhi, un’ultima volta.

“Harry Styles. Ti odio.”

Lo avvicinò a se, fino ad azzerare la distanza che li separava. Fu il loro primo bacio. Il loro infinito, passionale, indimenticabile, primo vero bacio. Quello che diede origine a tutto. Quello che gli insegnò cos’era realmente l’amore.

 
It will never change, baby
It will never change, baby
It will never change me and you

 

Era per questo che stavano lottando quella sera. Per il loro amore. Il concerto era il mezzo giusto per portarlo finalmente alla luce del sole. Non si sarebbero arresi. Si erano piegati troppo alle volontà del management. Non avrebbero accettato mai più di essere separati. Non avrebbero permesso mai più, a nessuno, di cambiarli.
Finita la canzone, Harry prese in mano il microfono, si riportò all’estremità frontale della pedana e cominciò a parlare, mentre gli altri tre, a metà palco, si erano seduti ad ascoltare.

“Siamo quasi alla fine del concerto. Vi è piaciuto? Vi è piaciuto??”

Si alzò un boato dallo stadio.

“So cosa state pensando. Quale discorso assurdo riuscirà a tirare fuori questa sera quel buffone di Harold? Che cosa si inventerà questa sera? Ricordatevi che il nostro concerto è uno spettacolo per famiglie… oppure no?”

Un ulteriore boato si sollevò dal parterre. Più entusiasta e potente di prima.

“Quale discorso farò? Beh, questa sera voglio parlare d’amore. Voglio parlarvi di come non dovete giudicare e farvi giudicare da nessuno, per chi e come amate!”

Urla isteriche si levarono da tutti i lati dello stadio. I fan sapevano, immaginavano, speravano. Ad ogni concerto erano presenti sempre più bandiere arcobaleno. Alcune per un motivo, alcune per altri. Però avevano in comune una cosa: erano lì per supportare l’amore. Non un amore specifico. Ma l’idea dell’amore libero.
Se ne levarono al cielo centinaia. Sventolarono libere nel cielo, illuminate dai fari del palco.

“Sono qui per chiedervi di lottare per il vostro amore. Sono qui per dirvi che io ho sbagliato a non farlo. Sono qui per chiedervi di non fare il mio stesso errore.”

Lo stadio si acquietò in un istante. Cosa stava succedendo? I fan erano confusi. Disorientati. Gli addetti alla sicurezza cominciarono a scambiarsi delle occhiate. Il tecnico audio e luci prese nervosamente in mano una radiolina.

“Vedete, voi l’avevate capito molto tempo fa. L’avevate scoperto. L’avevate urlato. Ma qualcuno non era d’accordo. Ora basta. Voglio essere onesto. Per me e per tutte le persone che mi circondano. Voglio dimostrare che è vero. Voglio dimostrare che, se lo si vuole davvero… l’amore vince. Sempre.”

Harry stava davvero dicendo, davanti a tutti, quello che avevano sperato dicesse da anni. Nessuno era preparato a sentire quelle parole, eppure stavano per essere pronunciate. Niall e Liam stavano sorridendo, si erano alzati in piedi e cercavano di cogliere le reazioni dei fan. Louis, ancora seduto, si era portato una mano sul cuore ed era visibilmente emozionato. Harry lo stava facendo davvero. Dio, quanto lo amava. L’incubo che aveva vissuto negli ultimi cinque anni stava davvero per finire.

“IO AMO LOUIS TOMLINSON!” gridò a pieni polmoni, dal centro dello stadio.

Il boato che seguì fu, probabilmente, la reazione più rumorosa che ebbero mai udito in tutta la loro carriera. Non c’era ombra di dubbio. C’era chi aveva iniziato a piangere, chi strillava, chi era rimasto basito, con la bocca aperta. C’era chi non aveva ancora realizzato l’accaduto.
E poi c’era il management.
Nello stesso istante in cui si levarono le grida di gioia, le luci si spensero all’improvviso. Tutto precipitò nel buio più totale. I microfoni erano stati spenti, le luci erano fuori uso. Presto calò il silenzio.
Era il loro sottile modo di chiedere che questa pagliacciata finisse immediatamente.

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Il management aveva colpito ancora, ma non era riuscito a fermare la confessione di Harry. L’avevano sentita tutti. Avevano udito ogni singola parola. Ventimila persone ora sapevano. Presto l’avrebbe saputo tutto il mondo. Forse, anzi, sicuramente, c’era qualcuno che aveva ripreso l’intero discorso.
Questa cosa dei video era un’arma a doppio taglio. A volte, i ragazzi sperimentavano durante i concerti. Se sbagliavano qualcosa, i video su youtube, instagram o vine non sarebbero tardati ad arrivare e a diffondersi a macchia d’olio. Perfetti e imbarazzanti promemoria. Incancellabili nello spazio e nel tempo.
Però, quando la sperimentazione andava bene, era tutto un altro paio di maniche. A Harry piaceva cambiare le note in alcune canzoni. Spesso e volentieri il risultato era ottimo. Di tanto in tanto, era così soddisfatto che spulciava furtivamente i video su instagram. Si riguardava all’infinito, sempre con un’espressione maliziosamente soddisfatta sul volto.
Poi c’erano i video delle cadute, degli scherzi, delle risate tra i ragazzi. Internet era pieno di memorie. Anche per questo ringraziavano i fan. Belle o brutte, quelle memorie erano parte della loro vita. Belle o brutte, erano state condivise per non cadere nel dimenticatoio.
Quella sera, invece, il video che sarebbe stato condiviso non avrebbe solamente testimoniato la tanto attesa confessione di Harry. Quel video avrebbe documentato il palese auto-sgambetto che si era fatto il management. Con un solo gesto avevano ammesso una serie di cose. Non approvavano questa storia. Avevano impedito di farle vedere la luce. E l’avevano fatto con tutti i mezzi a loro disposizione. Per dio, avevano appena interrotto un concerto, pur di salvaguardare i propri interessi. Se ne erano infischiati di ventimila persone che avevano pagato un biglietto per seguire dal vivo il concerto dei propri idoli.
Il business prima di tutto. Avrebbero trovato sicuramente una scusa per questa scenata non prevista. Ma quale sarebbe stata? Uno scherzo dei ragazzi? Magari sotto i fumi dell’alcol? No, si poteva fare di meglio. Sotto effetto di droghe, ecco. E l’ideatore sarebbe stato Louis. Perchè era distrutto dalla notizia che il bambino di Briana potesse non essere suo. Gli altri ragazzi sarebbero stati solo delle povere vittime.
Sì, poteva andare come scusa.
Ora dovevano solo trovare un modo di far riprendere il concerto, come se nulla fosse successo. Dovevano richiamare i ragazzi nel backstage.  Dovevano fargli un bel discorso. Cose del genere non sarebbero state più tollerate. Pena l’esclusione dal gruppo. Anzi, forse sarebbe stato più eclatante escludere Louis dopo questa serata. Certo. Era logico. Aveva minato la sicurezza psico-fisica del gruppo e andava allontanato al più presto.
Tutto d’un tratto, ci fu un suono stridulo che rimbombò in tutto lo stadio, ora blandamente illuminato da un centinaio di cellulari. La vista si era leggermente adattata all’oscurità e si potevano scorgere confusamente tre figure sul palco: Harry, nella stessa posizione in cui si trovava prima del blackout, Liam, in piedi, al centro del corridoio tra palco e pedana, e Louis, a pochi passi da Harry.
Nessuno riusciva a capire dove fosse finito Niall. Qualcuno se ne accorse e iniziò a fare passaparola. La preoccupazione cresceva. Seriamente, dov’era finito Niall? I ragazzi non sembravano preoccuparsene. Anzi, sembravano quasi sollevati, come se la sua scomparsa fosse stata già prevista. Sembravano in attesa.
Non era passato nemmeno un minuto quando si accesero sei luci, posizionate ad arco sul primo anello, e illuminarono lo stadio. Dopo una manciata di secondi, altre sei si accesero, ma sull’anello superiore. Poi quattro, sul palco. Quelle, però, non erano le luci installate per il concerto. Sembravano fari di emergenza. Sedici potenti luci. Bianco caldo.
Ancora una volta, il pubblico si fece sentire. Nessuno ci stava capendo più nulla. Nessuno aveva una spiegazione per quello che stava accadendo e ormai avevano perso ogni presunzione di aver intuito come sarebbe andata a finire. Che concerto! Che serata! Nessuno, di certo, se la sarebbe dimenticata.
C’era chi si era girato a chiedere spiegazioni. Chi rideva, chi urlava, chi piangeva. C’era chi si sentiva smarrito, chi non riusciva a stare fermo dall’agitazione o dall’eccitazione. Finalmente riuscivano a vederli di nuovo. Harry, Louis e Liam.
E ora anche Niall. Era corso vicino al backstage, accanto alla cassa dell’acqua e delle banane, per prendere il megafono che aveva fatto strategicamente mettere da parte a Josh. Sapeva che il management gli avrebbe tappato la bocca in qualche modo. Era soddisfatto di aver previsto la mossa del management ed essersi preparato con astuzia.
I microfoni sono controllabili dalla console audio. Un megafono no.
Con una corsetta agile e decisa, Niall raggiunse in fretta gli altri ragazzi. Passò il megafono a Harry, che lo accese immediatamente. Si sentì uno stridio, uguale a quello udito in precedenza, nel bel mezzo del blackout. Doveva essere stato Niall che si accertava del suo funzionamento.

“Uno, due, tre. Prova. Mi sentite?”

Harry aveva ritrovato la sua voce. Nello stadio si alzò l’ennesimo boato. Ora nessuno l’avrebbe più interrotto. Finalmente. Non ne poteva più di subire tarpature d’ali in ogni singolo istante della sua vita.

“MI SENTITE??”

Migliaia di voci, migliaia di luci colorate, migliaia di bandiere si levarono in cielo. Harry si fermò a osservare quella meraviglia. Perché non poteva essere sempre così? Perché non poteva essere sempre stato così, fin dall’inizio? Che avevano fatto di male per meritarsi quel trattamento?
Quando avevano iniziato il loro percorso, non erano dei ragazzi. Erano ancora bambini. Anime innocenti che ancora potevano essere plasmate. Si erano affidati a delle mani sapienti per essere scolpiti al meglio. Ma le mani appartenevano ad un corpo in possesso di una mente malefica e contorta. Erano diventati i burattini di Mangiafuoco. Un Mangiafuoco ancora più crudele e spietato. Erano cresciuti nel paese dei balocchi, che presto, anche troppo presto, si era trasformato un circo dell’orrore.
Erano finalmente riusciti a comprendere l’illusione. Erano pronti a tagliare tutti i fili che li muovevano. Erano pronti a lasciare i propri corpi di legno e diventare bambini veri. Erano pronti a crescere e diventare adulti. Erano pronti a vivere e sbagliare, ma a modo loro.

“Allora, dov’ero rimasto?” continuò Harry, riprendendo il discorso precedente “Ah sì, stavo proclamando il mio amore per questo ragazzo qui” disse, indicando Louis.

Harry abbassò lentamente il megafono. Guardò Louis intensamente, con tenerezza. Finalmente. Finalmente poteva guardarlo senza essere giudicato, senza fare attenzione a possibili paparazzi o fan appostati nei paraggi. Poteva guardarlo senza subire alcuna conseguenza. Poteva guardarlo come la prima volta che l’aveva visto nel backstage alle audizioni.
Louis cercava di non ridere. Era talmente felice che l’arco descritto dal suo sorriso pareva andare da un orecchio all’altro. Gli occhi erano socchiusi, parzialmente schiacciati dagli zigomi sollevati da quell’espressione estasiata. Si stavano guardando. Non riuscì a trattenersi. Gli scappò una risata. Non riusciva a contenere la felicità. Come poteva? Harry ci era riuscito. Ci erano riusciti. Cavolo, ci erano riusciti davvero.
Liam lo ammirò da vicino. Erano anni che non lo vedeva così genuinamente felice. Era anni che non lo vedeva scoppiare a ridere così sinceramente, per amore. Erano anni che non lo vedeva arrossire e cercare di coprire le sue emozioni con una mano davanti alla bocca. Erano anni che non vedeva il vero Louis.
Niall, dall’altro lato, aveva un’espressione soddisfatta, quasi compiaciuta. No, era decisamente compiaciuta. Il suo progetto scolastico era finalmente riuscito. Ce l’aveva fatta. Lui, il grande capitano, si trovava finalmente all’inaugurazione della sua nave. Stava salpando e, visto che non era diretta a nord, non avrebbe incontrato iceberg. La sua nave avrebbe spiccato il volo.
Stava fermo, con le braccia conserte e li ammirava, quasi a volersene vantare. Sì, l’ho fatta salpare io.

“Potrei parlarvi di tutto quello che abbiamo subito in questi anni, ma non lo farò. Non lo farò perché, a quel punto, darei importanza a chi non se la merita. E non voglio dare a nessuno questa soddisfazione. Ma voi l’avevate capito. Non avete mollato e avete aiutato noi a non mollare”

Harry, ad un passo da Louis, stese il braccio e si andò a prendere ciò che era suo. Louis, timidamente, allungò la mano verso quella del suo ragazzo e la strinse con decisione. Forse la presa era anche troppo potente, ma cavolo, non voleva lasciarlo più andare. Ora che era ufficiale. Ora che Harry era davvero tutto suo. Ora che tutti lo sapevano, non voleva lasciarlo andare nemmeno per un secondo.

“Ci siamo innamorati la prima volta che ci siamo visti. Abbiamo lottato con le unghie e con i denti. Non abbiamo mollato. Mai. Perchè l’amore vince. Sempre.”

Harry passò frettolosamente il megafono a Liam. Trascinò Louis verso di sè e lo avvolse in un immenso, potente abbraccio. Gli passò una mano sui capelli, la posò sul suo collo. Lo strinse forte, mentre appoggiava la sua guancia sulla sua testa. Entrambi avevano chiuso gli occhi. Aspettavano quel momento da chissà quanto.
Percepire il calore dell’altro, sentire il suo respiro accelerato, il suo dolce profumo. Sentire il suo cuore battere veloce, emozionato, quasi volesse uscire prepotentemente dal petto. Era passato davvero troppo tempo dall’ultima volta.
Louis, stretto nell’abbraccio, appariva ancora più timido e minuto. Si era fatto piccolo, piccolo. Voleva quasi scomparire in quell’abbraccio. Non voleva staccarsi, non voleva fare nient’altro. Fosse stato per lui, avrebbe fermato il tempo e non l’avrebbe fatto mai più ripartire.
Liam, tenendo precariamente il megafono tra le gambe, aveva cominciato ad applaudire, seguito a ruota da Niall e da tutte e trentamila le persone che li stavano guardando. Era maledettamente felice. Guardava Niall e insieme scoppiarono in una fragorosa risata. Mentre il pubblico continuava a gridare e festeggiare la lieta novella, Liam riprese in mano il megafono e scherzò.

“Gesù, ragazzi… prendetevi una stanza!”

Louis si piegò involontariamente all’indietro, ridendo. Harry lo richiamò a sé. Gli prese il volto tra le mani e appoggiò la sua fronte a quella del suo amato. Il naso al suo naso. Con un veloce movimento, alzò lievemente il mento di Louis e gli diede un bacio a stampo. Rapido e incredibilmente tenero. Bastò tanto a far perdere la testa alla folla.
Louis si raggomitolò sul petto di Harry, per qualche secondo, finchè non fu avvolto nuovamente dalle sue potenti braccia. Harry si era messo dietro di lui, con il mento appoggiato alla sua spalla, sorridente. Louis alzò le proprie braccia finchè non permise alle sue mani di agguantare i polsi di Harry. Rimasero così ad ascoltare il discorso di Liam e a fissare la magnificenza che si distendeva davanti ai loro occhi.

“Vorrei solo ringraziare alcune persone. Senza di loro non saremmo qui a parlare così tranquillamente e apertamente. Mamma, papà, grazie. Vi sarò eternamente grato per aver passato un intero pomeriggio della vostra vita a studiare come funzionano i generatori elettrici. Siete i migliori genitori sulla faccia della terra.”

Sì, perché erano stati loro, di soppiatto, a tirare i fili, collegare i fari e preparare i generatori. Ma, quello che ancora non sapeva e che avrebbe saputo solo a concerto terminato, era che i suoi genitori non ci erano riusciti da soli. Per quanto lo amassero e avrebbero fatto di tutto per vederlo felice, erano solo dei poveri “Flintstones di paese”, come li appellava scherzosamente lui, di tanto in tanto. Perché di tecnologia non ne conoscevano nemmeno le basi. Figurarsi di generatori elettrici.
Quel tardo pomeriggio, inaspettatamente, avevano incrociato il loro cammino con quello di addetti che non solo gli permisero di portare avanti quell’assurdo progetto. Ma li aiutarono. Quel pomeriggio servì anche a loro a capire di non fare di tutta l’erba un fascio. Gli servì a realizzare che il male stava in punta e che la piramide era costituita anche da persone disponibili e generose. Persone che erano cadute nello stesso macchinoso gioco in cui erano caduti i ragazzi e ne erano stati risucchiati.

“Vorrei ringraziare chi ci ha supportato sempre e comunque. Noi continueremo a fare musica, lo prometto. Non so come proseguiranno le nostre vite, ora che… beh, è successo questo. Ma noi ci saremo. Niall, vuoi dire qualcosa?”

Niall prese il megafono tra le mani e si schiarì la voce.

“Ragazzi, ci sarebbero tante cose che vorrei dire, ma son talmente tante che mi limiterei a dire grazie. Grazie a tutti coloro che ci seguono, che ci hanno seguito e che ci seguiranno. Grazie a chi ci sta vicino, anche da lontano. Grazie a chiunque ci ami. Vi amiamo anche noi.”

I ragazzi si guardarono soddisfatti. E ora? No, seriamente, e ora? Il concerto non era terminato. Mancavano ancora due canzoni. Una l’avevano lasciata indietro di proposito, l’altra era la loro canzone di chiusura. Durante tutto il discorso, le luci ufficiali non si erano ancora riaccese. Gli schermi erano ancora neri e i microfoni erano sicuramente spenti, anche se nessuno li aveva più provati.
Niall si riportò il megafono davanti alla bocca.

“Avremmo un concerto da finire, se non vi dispiace”

Riprese, sarcasticamente, rivolgendosi con gli occhi al cielo e con la mente al management.

“Ho detto… AVREMMO UN CONCERTO DA FINIRE, SE NON VI DISPIACE.”

Il management, pardon, i vertici del management non volevano arrendersi. Non ce la facevano proprio. Erano stati battuti e ancora non la volevano dare vinta. La testardaggine che risiedeva in ognuno di loro non aveva confini né pudore. Non lo accettavano. Non accettavano di non aver avuto un piano A, B, C o D come contrattacco. Erano fieri delle loro regole e delle loro direttive. Pensavano che il regime di terrore fosse bastato. Non ci avevano nemmeno provato ad immaginare una rivolta.
E ora che li avevano esposti alla luce del sole, erano i cattivi. E i cattivi, nelle fiabe, non fanno mai una buona fine. Se si ricredono prima dell’ultima pagina, magari non fanno una fine molto brutta. Ma vincere, quello non succede mai.
Avevano perso e, più tempo avrebbero impiegato ad ammetterlo, più si sarebbero scavati una fossa larga e bella profonda. Avevano perso e dovevano accettarlo. Possibilmente subito, per limitare i danni.
Come per magia, venne riacceso e ripristinato ogni impianto, sotto lo sguardo compiaciuto di tutti.

“Ringrazio sentitamente” ironizzò Niall, esagerando con un inchino settecentesco.

I ragazzi ripresero in mano i microfoni. Funzionavano tutti. Andarono a sedersi sulla pedana. Le posizioni erano cambiate. Niall era sempre seduto sul ponte centrale con la sua chitarra e il microfono ad arco, ma ora Louis sedeva al centro della pedana sottostante, con lo sguardo rivolto verso il centro dello stadio. Accanto a lui c’erano Liam, alla sua destra, e Harry, dalla parte opposta.
Harry teneva il microfono con la mano sinistra. La mano destra era andata a riprendersi la mano di Louis e ora poggiavano delicatamente, intrecciate, sopra la sua coscia.
Liam prese la parola, guardando Harry e Louis.

“Signore e signori, per la prima volta come era stata pensata… questa è Little Things.”

 
Your hand fits in mine
Like it's made just for me
But bear this in mind
It was meant to be
And I'm joining up the dots
With the freckles on your cheeks
And it all makes sense to me...

Quante cose avrebbero potuto fare? Quante cose avrebbero potuto concedersi d’ora in avanti? Quale sarebbe stata la prima cosa che avrebbero fatto insieme? Louis non smetteva di pensarci, non smetteva di immaginare il loro futuro insieme. Non riusciva proprio a smettere di sorridere. Non voleva più smettere di sorridere.
Lo guardava e sorrideva. Harry era tutto quello che aveva sempre voluto. Il desiderio di fama era completamente svanito la mattina che l’aveva baciato per la prima volta. Quel giorno aveva capito una cosa molto più importante: nella vita voleva essere amato, non ricoperto di denaro.
Quel giorno aveva capito cos’era davvero importante.

 
I know you've never loved
The crinkles by your eyes
When you smile you've never loved
Your stomach or your thighs
The dimples in your back
At the bottom of your spine
But I'll love them endlessly

Harry carezzava con il pollice la mano di Louis mentre cantava. Ce l’aveva davvero fatta. L’adrenalina scorreva prepotente nelle sue vene. Non riusciva a trattenersi nemmeno mentre cantava. Se qualcuno avesse voluto chiudere gli occhi e ascoltare la canzone, sarebbe riuscito a cogliere, al primo colpo, i momenti in cui Harry guardava Louis. Sì, perché mentre lo osservava, la sua voce cambiava, modificata dalla sua espressione.
Non c’era nulla da fare. In questo, nessuno di loro era bravo. Nessuno era bravo a provare un’emozione e nasconderla cantando. Era uno dei motivi per cui erano diventati così popolari. Quando cantavano si vedeva la loro emotività. Si potevano leggere tutte le loro emozioni, le loro paure, le loro gioie.
Quando cantavano, soprattutto ai concerti, lo facevano con il cuore. Sempre e comunque.

 
I won't let these little things
Slip out of my mouth
But if I do
It's you, oh it's you
They add up to
I'm in love with you
And all these little things

Quella canzone parlava di Loro. Parlava della loro vita, quando ancora non era troppo condizionata dal management o nascosta al pubblico. Parlava dei loro riti mattutini, delle loro serate, dei loro difetti e dei loro pregi. Parlava della vita che avrebbero voluto avere, della vita che gli era stata negata.
Ed era riuscito a donare a Harry e Louis quello che gli era stato tolto. Era riuscito a creare una manciata di minuti in cui, se chiudevano gli occhi, quella vita l’avrebbero potuta vivere. Almeno per un po’.
Tutte quelle azioni quotidiane, così semplici, quasi banali per chiunque altro, narrate in un modo così dolce, erano state la loro ancora. Bastava chiudere gli occhi e le azioni sarebbero diventate ricordi. Si sarebbero magicamente trasformate in vita vissuta. Ogni sera, sul palco, gli bastava chiudere gli occhi per un secondo, per rendere tutto reale.

 
You can't go to bed
Without a cup of tea
And maybe that's the reason
That you talk in your sleep
And all those conversations
Are the secrets that I keep
Though it makes no sense to me

Ma quella sera non serviva. Quella sera, non c’era necessità di chiudere gli occhi e sognare. Da quel momento in avanti avrebbero potuto vivere tutti i sogni e le speranze che avevano coltivato negli ultimi anni. Da quella sera si sarebbero abbracciati, si sarebbero amati alla luce del sole.
Da quella sera, Louis avrebbe potuto portare il tè caldo a Harry, senza paura di nulla o di nessuno. Quella stessa sera, Harry l’avrebbe obbligato a cantare qualcosa, nel privato della loro stanza e l’avrebbe segretamente registrato, con un  piccolo microfono sotto il cuscino, perché adorava quella sua dolce, quasi malinconica, inflessione che percepiva mentre Louis cantava.

 
I know you've never loved
The sound of your voice on tape
You never want
To know how much you weigh
You still have to squeeze
Into your jeans
But you're perfect to me

Il futuro era un libro bianco, pronto per essere scritto. Quella sera avevano ricevuto pennarelli, pastelli, penne, foto, disegni. Ora avevano tutti i mezzi per prenderlo tra le mani e riempirlo di storie. Avevano tutte le pagine che volevano per raccontare le loro avventure. Le prese in giro scherzose, le coccole e, perché no, anche le litigate e il loro modo di far pace.
Avrebbero potuto scrivere e progettare il loro futuro. Cavolo, come sarebbe stato il loro futuro? Avevano sempre sperato di avere dei bambini. Entrambi adoravano i bambini. Tanto quanto Simon amava i cani. Erano affascinati dai bambini. C’era chi scommetteva che sarebbero stati capaci di rubare tutti quelli che incontravano, per crescerli a casa loro. La prima sarebbe stata Lux. Oh, povera Lux. Una volta ci avevano provato a portarsela via, ma Lou gli aveva fatto un cazziatone non indifferente.

“Siete gli zii. Punto. Harry, non puoi impossessarti dei figli degli altri. No, nemmeno in prestito. Mia figlia non è un libro della biblioteca. No, Harry. Non te la lascio. Harry! La puoi vedere quando vuoi. Harry, è MIA figlia, non se ne parla.”

 
I won't let these little things
Slip out of my mouth
But if it's true
It's you, it's you
They add up to
I'm in love with you
And all these little things

Erano così colmi d’amore che non vedevano l’ora di diffonderlo ovunque. Il virus più bello del mondo. Che bello sarebbe contagiare le persone d’amore. Perchè il mondo non poteva andare così? Perchè le cose brutte si potevano trasmettere così facilmente ma l’amore no?
Se l’amore fosse stato un virus, avrebbero potuto cambiare l’idea del management anni fa. Ma forse è quello il punto, l’amore va cercato, studiato, voluto. Se l’amore fosse una cosa banale, non sarebbe più visto come un sentimento così pregiato e fragile.
L’amore, forse, non è per tutti. L’amore non si ha. L’amore nasce e cresce dentro. Può nascere anche nel cuore più malconcio e maltrattato. Ma va curato. Può nascere in tutti i cuori, ma sbocciare in molti meno.

 
You'll never love yourself
Half as much as I love you
And you'll never treat yourself
Right darlin' but I want you to
If I let you know
I'm here for you
Maybe you'll love yourself
Like I love you, oh

I cuori di Louis e Harry erano terreni fertili. Avevano accolto quella scintilla lanciata dagli occhi di uno nel cuore dell’altro e l’avevano conservata e protetta. Non l’avevano lasciata morire per un attimo. Quel sentimento, che cresceva dentro di loro, giorno dopo giorno, aveva dovuto sopportare tempeste, grandinate, veleni, siccità. Ma non era mai morto, non era mai stato annientato. Non era mai regredito.
Quel sentimento era germogliato e, a differenza di parole, sguardi e gesti, non poteva essere domato. Nemmeno dai loro stessi detentori. Quell’amore era più grande di loro e aveva capito, con largo anticipo, che avrebbe dovuto prenderli tra le sue braccia e cullarli. Non si era mai arreso. L’amore non si arrende mai. L’amore vince.
Lo sa bene cupido, che ci campa con ‘sta storia. Aveva colpito quei due con sguardo beffardo. Aveva visto il futuro e aveva sogghignato. Sarà complicato. No, sarà un totale casino. Ma ci aveva visto lungo. Harry e Louis si completavano. Erano due metà della stessa mela. Cupido aveva scoccato una delle sue frecce pregiate, perchè sapeva. Quella volta non si era divertito. Quella volta aveva lanciato una delle sue frecce d’oro. E lui, le frecce d’oro, non le sprecava per amori banali.

 
I've just let these little things
Slip out of my mouth
'Cause it's you, oh  it's you
It's you they add up to
And I'm in love with you
And all these little things

Harry si era alzato in piedi e aveva fatto segno a Louis che voleva stare in braccio a lui. Era solito farlo anche quando vivevano assieme, anni prima. Pretendeva di stare sulle gambe di Louis, nonostante fosse quello più alto e più pesante. Ci teneva alla sua posizione di cucchiaio piccolo. Non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Harry era un cucciolo di alano abituato a stare sulle gambe del padrone, che pretendeva di farlo anche una volta raggiunta l’età e la stazza adulta. Non ce la faceva proprio. Adorava abbracciare Louis, ma amava ancora di più farsi abbracciare. Ogni volta, sul divano, continuava a scomodarlo e accucciarsi tra le sue gambe o sopra le sue cosce.
E così fece. Mentre cantava, con un amorevole sorriso e occhi da cerbiatto, aveva convinto Louis a fargli spazio e si era seduto tra le sue gambe. Subito Louis lo aveva accolto tra le sue braccia, senza nemmeno pensarci. Gli veniva così naturale. Era persino estasiato dal fatto che gli venisse così naturale.

 
I won't let these little things
Slip out of my mouth
But if it's true
It's you, It's you
They add up to

La canzone era quasi conclusa. Di solito l’ultima parte la lasciavano cantare al pubblico. Questo era il concerto delle sorprese, però. E Harry non vedeva l’ora di poterlo urlare al mondo. Non vedeva l’ora di dirlo chiaramente. Alcune volte, ai concerti, aveva cambiato le parole. Qualcuno se n’era accorto. Anche il management, che ogni volta lo riprendeva e gli intimava di smetterla. Ma quella sera, il palco e il microfono erano tutti suoi.

“Questa è mia!”

 
I'm in love with LOU
And all HIS little things

Louis gli strinse le braccia al collo. Rimaserò per qualche secondo abbracciati, con gli occhi chiusi, mentre lo stadio attorno a loro esplodeva dall’entusiasmo. Si dissero quello che da troppo tempo non erano riusciti a dirsi, nemmeno da lontano.

“Ti amo”

“Ti amo”

“No, caro, io ti amo”

“No, sciocco, io ti amo”

“Dio, quanto siamo sdolcinati”

“Oh, stai zitto, Louis!”

Saltarono nuovamente in piedi. Era ora di chiudere in bellezza il concerto. Era ora di andare avanti e iniziare la loro nuova vita. Mancava una sola canzone: Best Song Ever.
La chiusura fu spettacolare, secondo programma. Fuochi d’artificio, luci colorate e impazzite, fan in delirio. Era tutto davvero perfetto. Sembrava un sogno, ma era realtà. Era la loro nuova realtà. Chiusero in bellezza, con la leggerezza nel cuore, la felicità negli occhi e la sicurezza di un futuro migliore.
Corsero tutti, come al solito, verso il backstage, verso la libertà. Harry uscì da un lato, Louis dall’altro. Si ritrovarono dietro al tendone nero. Il famoso tendone dove tutto era cominciato, quella stessa mattina. Si avvicinarono l’uno all’altro e si fissarono, per un attimo, negli occhi.

"Now kiss me, you fool!"

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