L'importanza di chiamarsi Waldorf

di Lexi Niger
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


La serie di Gossip Girl mi ha coinvolto a tal punto da farmi immaginare un futuro possibile per due dei miei personaggi preferiti.
Non è necessario aver visto nè la stagione uno, nè la due per poter capire la storia, anche se alcune cose si richiamano necessariamente alla serie.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura, sperando che questo mio nuovo tentativo vi possa piacere e coinvolgere.
Aspetto qualche commento, anche negativo, lo sapete.
Un bacio, Ale.


L'importanza di chiamarsi Waldorf



Capitolo 1.

La lunga limousine nera, perfettamente lucida, arrestò la sua corsa sul bordo di un ampio marciapiede, antistante un altissimo grattacielo, nel quartiere finanziario di Parigi.
Lentamente la portiera si aprì, rivelando prima un piede elegantemente calzato con scarpe di pelle bruna, lavorate a freddo, poi un pantalone dal taglio classico, poco più chiaro, infine un cappotto beige, che avvolgeva la figura di un giovane uomo.
Una volta sceso diede un cenno all'autista che si allontanò, mentre il suo sguardo si alzava, portandosi su una scritta in corsivo che campeggiava sulla vetrata qualche metro più in alto.
Bass's Company.
Alzò leggermente il bicchiere di caffè fumante che teneva tra le mani, come brindando a tutto ciò che possedeva e che lo rendeva fiero del lavoro svolto negli ultimi anni.
< Buongiorno Monsiuer Bass > lo salutò il portiere, accorso all'ingresso per accoglierlo come ogni mattina con il giornale del giorno.
Lo salutò con il capo, dirigendosi verso gli ascensori, sul lato destro dell'ampia hall dell'edificio.
Un paio di persone lo indicarono, riconoscendo, mentre le porte dell'ascensore si aprivano, rivelandolo vuoto.
Per fortuna, pensò l'uomo tra sé e sé. Odiava le conversazione forzate, soprattutto a quell'ora del mattino, quando era piuttosto intrattabile.
Alcune abitudini del passato, nonostante tutti i suoi sforzi, rimanevano saldamente ancorate a lui, e fra queste c'era senza dubbio il piacere di dormire fino a tardi.
Un fastidioso tintinnio annunciò che era arrivato all'ultimo piano, al suo ufficio.
Aspettò di poter uscire e come d'abitudine si diresse verso la scrivania della sua segretaria personale, non prestando particolare attenzione al resto dell'ambiente.
Dopotutto essere il capo aveva dei vantaggi e Chuck Bass non aveva alcuna intenzione di non usufruirne.
< Buongiorno Anabel > disse, poggiandosi con i gomiti ad un sottile ripiano di vetro, rialzato rispetto al tavolo di legno, come un bancone.
Una signora di spalle, intenta a controllare il vano per la carta di una fotocopiatrice, si voltò al suono della sua voce, sorridendogli.
< Buongiorno Monsieur Bass > lo salutò a sua volta, < notizie interessanti stamane? > chiese, occhieggiando il rotolo di carta che il giovane teneva nella mano sinistra.
Quest'ultimo alzò le spalle, prima di risponderle.
< Non l'ho ancora sfogliato, Anabel. Lo farò appena avrò terminato il caffè >.
Anabel lo guardò complice, concentrandosi sul bicchiere di carta appoggiato davanti a lei.
< La scrivania è già stata sistemata > annunciò sibillina, strizzandogli l'occhio.
Il ragazzo annuì, voltandosi verso una porta di vetro satinato, contornato da una cornice di ottone, battuto con uno scalpello per ottenere lievi ombreggiature che conferivano all'insieme una ricercata eleganza.
< A dopo > concluse, mentre già stringeva tra le mani il pesante pomello.
La luce all'interno della sala filtrava attraverso le vetrate alle spalle della sua scrivania, che occupava il centro della parete opposta a quella d'ingresso.
Si avvicinò, lasciandosi cadere nella comoda sedia di pelle che aveva personalmente scelto, spendendo un intero pomeriggio dal suo arredatore.
Il cielo di dicembre, quella mattina, appariva pumbleo, di un grigio talmente uniforme da non sembrare reale.
Tornò ad osservare la sua scrivania, notando un piattino di ceramica con alcuni biscotti di pastafrolla, decorati con un leggero strato di cioccolato alle nocciole, secondo le sue preferenze.
La tazza di the al gelsomino era assente, così come gli aveva anticipato la segretaria.
Chuck Bass sorrise.
Sua moglie poteva decidere ogni cosa quando erano a casa, semplicemente per il fatto che a lui non importava nulla della disposizione dei mobili o dell'elenco degli invitati ad una festa, ma non avrebbe mai potuto privarlo del suo caffè mattutino, un'altra delle abitudini della sua vecchia vita a New York.
In fin dei conti, se Genevieve non aveva voglia di alzarsi presto la mattina e tenergli compagnia durante la colazione, come una qualsiasi coppia di marito e moglie, non poteva nemmeno costringerlo a seguire le sue scelte.
Il the al gelsomino proprio non era tollerabile a quell'ora, nonostante lei lo esaltasse come una tra le bevande più salutari.
Terminò l'ultimo biscotto, eliminando con una passata le briciole rimaste sui pantaloni che indossava, e afferrò la pila di carte appoggiate sotto una statuetta di cristallo a forma di cigno.
Nemmeno si ricordava da dove proveniva quell'oggetto, ma era tornato utile come fermacarte e quindi lo aveva tenuto.
Dopo qualche foglio inutile, che gli presentava il verbale delle riunioni dei soci dell'ultimo mese, trovò il documento che cercava e che aspettava da qualche giorno.
Un insieme di grafici occupava due fogli, interpretando lo stesso fenomeno secondo diversi parametri e approssimando un possibile andamento futuro, secondo i metodi di analisi dei suoi dipendenti.
Sollevò la cornetta  del telefono al suo fianco, digitando il numero uno per poi riattaccare.
Qualche istante e un lieve bussare alla porta lo avvisò che la chiamata era arrivata al destinatario.
< Avanti > ordinò, mentre distendeva le gambe, incrociandole all'altezza delle caviglie.
La testa riccioluta di Anabel fece capolino oltre lo stipite, per poi presentare tutta la sua figura.
Sua moglie non gli aveva concesso di avere una segretaria personale giovane e attraente, che lavorasse al suo fianco ogni giorno, disposta ad assecondare qualsiasi richiesta, anche la più capricciosa, ma al contempo avere Anabel si era rivelato un vantaggio inaspettato.
Era esperta, non commetteva errori e, cosa più importante di tutte, non lo irritava con sciocche uscite, permettendogli di trascorrere la giornata in ufficio con serenità.
< Mi chiami Williamson > le chiese, prima di congedarla.
Tornò a concentrarsi sulle colonne blu del primo istogramma, osservando le cifre riportate sull'asse delle ordinate.
< Sì, Monsieur Bass? > domandò un uomo brizzolato dalla porta.
Il giovane gli fece cenno di accomodarsi di fronte a lui, su una delle due poltrone posizionate al di là della scrivania.
< Sono reali questi dati? > gli chiese, non appena l'analista ebbe preso posto, sottoponendogli il foglio affinchè lo leggesse con facilità.
A quest'ultimo bastò uno sguardo per riconoscere il proprio operato e confermare.
< Proprio ieri è stato venduto un altro appartamento del complesso residenziale che abbiamo costruito all'inizio di quest'autunno. Un ricavato notevole, se mi è concesso > continuò con voce seria.
Chuck Bass si rilassò considerevolmente a quella notizia.
Temeva che quel complesso potesse rivelarsi un fallimento, comportando ingenti perdite, visto il capitale investito nella sua realizzazione.
< Il mercato immobiliare è in crescita, Monsieur, non deve preoccuparsi. Saranno venduti in un mese, senza ombra di dubbio > concluse, vedendolo pensieroso.
< Grazie Williamson, può andare > lo congedò, riprendendo il documento e sistemandolo in una cartella estratta dal cassetto al suo fianco.
Una volta rimasto solo, tirò un sospiro di sollievo, finalmente libero di rilassarsi per una decina di minuti, prima di occuparsi di un locale che voleva rilevare, salvandolo dalla bancarotta.
Aprì il giornale, scorrendo distrattamente gli articoli di cronaca e quelli di politica, che insistevano su una scelta di qualche giorno prima del presidente Sarkozy, invisa all'opposizione.
Fu una foto a bloccarlo prima che voltasse di nuovo la pagina, per passare allo sport.
Ritraeva un'attraente stilista, affiancata da alcune modelle che indossavano la sua ultima collezione.
La settimana della moda a Parigi.
L'aveva completamente scordato, nonostante sapesse l'interesse spasmodico di sua moglie per quell'evento, a cui non rinunciava per nessun motivo.
Ma delle ultime tendenze di quell'autunno gli importava ben poco.
Era il suo volto ad averlo paralizzato.
Chiuse di scatto il giornale, appallottolandolo e lanciandolo nel cestino, un metro più in là.
Una reazione stupida e infantile, senza dubbio.
Ma il passato era passato e lui non aveva nessuna intenzione di tornare ad affrontarlo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Ciao!
Eccovi il secondo capitolo, questa volta protagonista è Blair.
Ringrazio le 77 persone che hanno letto il capitolo precendente e le 3 che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti.
Non è che potreste lasciarmi un commento?! Oltre ad essere piacevole in sè, un commento è anche molto utile all'autore.
Bene, ora vi lascio.
A presto, Ale.


Capitolo 2.

Piccole dita esili si infilarono al di là del pesante tessuto del tendone che la separava dalla passerella sulla quale, da lì a poco, si sarebbero mosse le modelle, mostrando la sua nuovissima collezione.
Due occhi bruni, curiosi, si spostarono nella sala, tra le eleganti sedie preparate per opinionisti, giornalisti, fotografi e l'elite di Parigi che avrebbe preso parte all'evento.
Un semplice pacchetto dorato faceva bella mostra di sé su ciascuna di esse, invitando coloro che vi prendevano posto a scoprire quale dono era stato riservato loro dal destino.
Per un istante, la giovane immaginò di tornare indietro di qualche anno, quando non mancava mai alle sfilate della madre, posizionandosi con Serena proprio dove ora si trovava lei, da sola.
Le mancavano entrambe, doveva ammetterlo, almeno con se stessa.
< Blair >.
Una voce la costrinse a voltarsi, abbandonando quelle sciocche fantasticherie che la stavano distraendo, proprio all'alba di un momento così importante per la sua carriera.
< Arrivo > annunciò, mentre recuperava il controllo di sé.
Con passo svelto superò la porta che la portava alla sala trucco, dove due lunghi tavoli, paralleli alle pareti, erano sormontati da una tale vastità di cosmetici da fare invidia alla più fornita profumeria.
< Vieni qui a vedere > la chiamò Laurel.
Quella che era stata per molto tempo l'assistente di Eleanor, ora era al suo fianco, con la stessa precisione che aveva dimostrato con una stilista molto più esperta come sua madre.
< Che ne pensi di quest'acconciatura? > chiese, indicando lo chignon della modella bionda seduta di fronte a loro, che le fissava attraverso lo specchio, attendendo il loro parere.
< Banale > confermò Blair, < ci vorrebbe qualcosa di più elaborato. Meno classico, meno conformista >.
Laurel le sorrise, come se fosse compiaciuta che la ragazza condividesse la sua opinione.
Mentre la sua assistente richiamava l'attenzione del parrucchiere, che avrebbe dovuto modificare l'acconciatura molto velocemente, visto l'ora, Blair si spostò verso gli abiti, appesi ad un'asta di metallo, nell'ordine in cui sarebbero dovuti comparire davanti al pubblico quella sera.
Passò lentamente la mano sulle creazioni che lei stessa aveva confezionato, con cura e meditazione, abbinando colori e tessuti, adattando l'abito all'occasione per cui era stato pensato.
Si soffermò sull'ultimo, quello che avrebbe concluso la sfilata, decretandone di fatto il successo o il fallimento.
Il tessuto di raso brillava anche alla poca luce che proveniva dagli specchi alle sue spalle, risultando cangiante, dal blu al viola, in un gioco di colore che alla ragazza sembrava delizioso.
La scollatura molto pronunciata sulla schiena era impreziosita da un filo di brillanti che congiungeva le due estremità poco sotto le scapole, esaltando la pelle diafana della modella che lo avrebbe indossato.
Davanti il vestito era più accollato, con una fascia di brillanti a sottolineare la curvatura del seno, riprendendo così lo stesso motivo utilizzato per il posteriore.
Nonostante la lunghezza assicurasse un leggero strascico, la ragazza si piegò ancora una volta ad esaminare un paio di sandali argentati, dal tacco alto, ornati anch'essi da un filo di brillanti intorno alla caviglia. Forse non si sarebbero visti per molto, ma erano ugualmente importanti.
L'insieme trasmetteva una preziosità unica, specialmente sotto la potente luce dei riflettori che avrebbero illuminato l'intera sfilata.
Compiaciuta si sollevò, per tornare da Laurel che nel frattempo aveva ispezionato il trucco di ogni modella, decretandolo adatto.
< Siediti qui > dichiarò appena Blair le fu vicina, indicandole una sedia.
La giovane vi prese posto, mentre l'assistente le posava le mani sulle spalle, nel tentativo di trasmetterle sicurezza.
< Andrà tutte bene > cercò di convincerla, fissando i suoi occhi nello specchio.
Blair annuì, pur mantenendosi qualche riserva per se stessa.
Dopotutto era la sua prima settimana della moda a Parigi, considerando che quella dell'anno precedente era stata preparata quasi per intero da Laurel, vista la sua poca esperienza in materia.
Waldorf era un marchio di prestigio, conosciuto in tutto il mondo, e Blair aveva acconsentito a mettersi in secondo piano per la buona riuscita della sfilata.
Ma adesso la situazione era completamente diversa, la ragazza conosceva alla perfezione il suo compito e si era assunta le responsabilità di quell'evento.
Un truccatore arrivò velocemente per sistemarle il trucco, passandole uno strato leggero di ombretto dorato sulle palpebre, sottolineando il contorno occhi con della matita nera.
< E' ora > annunciò Laurel, invitandola a raggiungerla, dietro al pesante tendone, per controllare che ogni modella fosse esattamente come lei desiderava prima che questa uscisse in passerella.
La sfilata iniziò con degli abiti da giorno, pensati per un the in compagnia della amiche o per un bruch. Il pubblico sembrava gradire la scelta di coloro caldi, autunnali, nei maglioni così come nei soprabiti. Ogni ornamento era studiato per abbinarsi perfettamente agli indumenti e metterne in risalto la fattura pregiata.
La giovane si torturava le mani, osservando le modelle rientrare sorridenti, mentre altre uscivano, in una continua ruota dalle mille tonalità differenti.
< Ha successo > le sussurrò Laurel, sentendo espressioni di gradimento delle persone vicine al tendone.
Blair tirò un sospiro di sollievo, pensando che ancora una volta si era dimostrata degna di quel ruolo così importante, che aveva assunto ancora molto giovane, suscitando l'invidia di centinaia di sue coetanee che ambivano a raggiungere la sua posizione.
Davanti a lei si mosse la bionda modella che indossava l'abito conclusivo, quello per cui lei aveva speso intere settimane, porgendo attenzione ad ogni singolo dettaglio, eliminando fogli su fogli di schizzi differenti, prima di giungere alla scelta definitiva.
Incrociò le dita dietro alla schiena, vergognandosi al contempo di quella dimostrazione di insicurezza.
Appena la passerella fu completamente vuota, l'ultima indossatrice fece il suo ingresso, nell'atmosfera trepidante che si creava tutte le volte che una sfilata stava per concludersi, proprio come ricordava da quando era piccola.
Sentì chiaramente alcune sedie strisciare sul pavimento di marmo dell'ampio salone, indice che alcuni si erano alzati, e i flash insistenti dei fotografi che immortalavano da prospettive diverse il suo capolavoro.
Applausi.
Blair Waldorf smise di respirare, trattenendo a fatica le lacrime di gioia che le inumidivano gli occhi, mentre tutte le modelle si disponevano ai lati della passerella, aspettando il suo ingresso, presentato da Laurel che l'aveva anticipata, in qualità di assistente capo.
Con passo sicuro si mosse tra quelle bellezze statuarie al suo fianco, regalando sorrisi compiaciuti a quel pubblico che l'applaudiva con insistenza, facendole i complimenti.
I fotografi si accalcarono alla base, spintonandosi per ottenere una posizione migliore per immortalare una delle più giovani stiliste che avevano avuto repentino successo nel panorama della moda internazionale.
Tra la folla scorse qualche sua conoscenza, soprattutto grazie a sua madre, ma non vide suo padre e Roman, nonostante li cercasse anche nelle file più dietro, nascoste dal caos dei giornalisti.
Una punta di tristezza si impossessò per un attimo del suo viso, sciogliendo quel sorriso soddisfatto che aveva mostrato, orgogliosa del suo successo.
Quale vittoria si può festeggiare se sì è soli, senza nessuno con cui condividerla?
Con qualche cenno di saluto, d'obbligo, si allontanò dalla passerella, lasciando che i fotografi si concentrassero di nuovo sulla sua collezione, garantendone la massima pubblicità possibile.
Alla fine non doveva vendere se stessa, quindi avrebbe potuto benissimo tornare dietro le quinte.
Mentre si specchiava, sistemandosi un ciuffo ribelle che era scivolato dall'acconciatura che aveva scelto per l'occasione, il suo cellulare cominciò a squillare, facendola sobbalzare leggermente per la sorpresa.
Lo raccolse, osservando il numero.
Mr. Barrell
< Pronto? > rispose, accostandosi l'apparecchio all'orecchio, per potere udire le parole del suo legale attraverso il rumore presente.
< Parlo con Blair Waldorf? > chiese quest'ultimo, accertandosi della sua identità.
La ragazza confermò, prendendo posto su una sedia al suo fianco.
< Ho indagato su quanto mi aveva richiesto > continuò.
Blair, che si stava rimettendo il rossetto, lo abbandonò sul ripiano, senza nemmeno curarsi di chiuderlo.
La sua attenzione era tutta rivolta all'interlocutore e alla notizia che aspettava da molto tempo, con ansia.
< Non esiste nessun Henry Smith, Miss > asserì il legale, arrivando subito al punto.
La ragazza sentì il peso sul proprio cuore aggravarsi, non sapendo come uscire da quella situazione, diventata ormai insostenibile.
< Ho capito. Ne è completamente sicuro? > chiese, nel tentativo di ricostruire una seppur debole illusione.
< Sì, ho controllato svariate volte. Quel conto non è intestato a nessuna persona reale > concluse.
Una sentenza definitiva quindi, a cui lei non poteva sottrarsi senza apparire sciocca e ingenua.
< La richiamerò presto >.
Congedò Mr. Barrell, riponendo il cellulare nella sua borsa di Prada.
< Qualcosa non va? > le domandò Laurel che si era avvicinata senza che lei se ne accorgesse.
La ragazza le sorrise, nel tentativo di convincerla dell'esatto contrario.
< No, è tutto a posto. Questo successo mi ha stordito > ammise con aria semplice.
Se l'assistente avesse veramente conosciuto la vera Blair Waldorf non avrebbe dato retta ad una simile scusa, ma fortunatamente Laurel l'accettò, senza aggiungere altro.
< Esco a prendere una boccata d'aria > aggiunse la giovane, recuperando il proprio cappotto e indossandolo.
Il cielo stellato all'esterno illuminava una fredda notte di dicembre, senza riuscire a confortarla.
Ripensò più e più volte ad una soluzione mentre lentamente si avviava al privè che si era riservata, in un locale lì vicino, per festeggiare l'eventuale successo insieme al suo staff.
Un volto le apparve, insieme alla certezza che quella persona avrebbe saputo come aiutarla.
Se l'avesse voluto, s'intende, ed era proprio su questo che Blair Waldorf nutriva i più sinceri dubbi.


Spazio autrice
Volevo ringraziare personalmente le due ragazze che hanno lasciato un commento.

-Kaho_chan: sì i personaggi sono leggermente diversi, considerando che in cinque anni si cresce molto. Nel caso andassi decisamente OOC, segnalamelo.

-Valentina78: Grazie per i complimenti, spero di riuscire a meritarmeli fino alla fine.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Ciao!
Eccovi il terzo capitolo, non so quando riuscirò a postare il quarto, spero presto.
Nel frattempo che ne pensate di lasciarmi un commento?!
Ringrazio le 80 persone che hanno letto, le 4 che hanno commentato e le 4 che hanno aggiunto la storia tra i preferiti.
Continuate a seguirmi e a darmi un vostro parere!
Un bacio, Ale.


Capitolo 3.

Chuck Bass aveva imparato ad amare molte cose nel corso dei suoi venticinque anni di vita.
Le sigarette, compagne fidate di molti pomeriggi trascorsi insieme a Nate e di altrettante serate, circondato da ragazze sempre diverse.
Il caffè forte la mattina, prima di iniziare un'impegnativa giornata di lavoro.
Un bicchiere di scotch nel silenzio del suo studio, tra le mura di casa.
Ma più di tutto, il giovane rampollo milionario amava vincere.
Oh sì, perchè non si era mai bevuto il detto “L'importante è partecipare”.
Il secondo non lo ricordava mai nessuno, non che suo padre gli prestasse comunque attenzione, nonostante i suoi sforzi per soddisfarlo.
Ma Chuck Bass l'aveva resa una questione del tutto personale, al di là della stima di un genitore troppo spesso assente nell'adolescenza del figlio.
Così anche quel tardo pomeriggio, mentre si trovava in quella stanza insonorizzata, dall'ampia parete di vetro, non pensava ad altro che alla vittoria.
Non che per ottenerla fosse richiesta una fatica eccessiva, vista l'abilità del cognato nello squash.
Colpì la palla di strisciò, mandandola contro la parete opposta, all'interno delle due strisce rosse regolamentari.
Jacques Du Levre si mosse verso destra, ma non abbastanza velocemente, lasciando un altro punto al giovane Bass.
< Quanto siamo? > chiese al ragazzo, mentre quest'ultimo raccoglieva la pallina dall'angolo in cui si era fermata.
< Manca un solo punto > precisò lui, pregustando già il dolce sapore del successo.
Per un paio di minuti infatti si era impegnato meno, dando così la possibilità all'avversario di recuperare alcuni punti di svantaggio, rendendo lo scontro più animato; ma da quando aveva scelto di tornare in partita, giocando seriamente, non c'era più stata gara.
Si asciugò il sudore con il dorso della mano, spostandosi qualche ciocca di capelli dagli occhialini protettivi che indossava per sicurezza.
< Pronto? > si assicurò prima di battere.
Non voleva certo guadagnarsi l'ultimo punto per distrazione del cognato, rovinandosi la conclusione.
Lanciò con forza la pallina, che rimbalzò anche sul muro bianco di sinistra, lasciando il segno della gomma con cui era rivestita, per tornare a elevata velocità verso di loro.
Sorprendentemente Jacques rispose al colpo, costringendolo a correre dall'altra parte per non sprecare il suo primo match point.
Ribattè come meglio riuscì, senza tuttavia imprimere una direzione precisa alla palla, che per poco non uscì dal campo regolamentare, invalidando il suo contrattacco.
Sorrise, voltandosi, nel vedere lo stupore del cognato, sorpreso che lui, a differenza sua, fosse stato capace di recuperare una situazione sfavorevole.
La pallina toccò terra, decretando la sua vittoria, l'ennesima.
Si tolse gli occhiali, tendendo la mano a Jacques che gliela strinse, complimentandosi.
Insieme si avviarono verso gli spogliatoi dell'impianto, in fondo al lungo corridoio che si estendeva davanti a loro.
< Stasera saranno presenti molti invitati? > gli domandò il cognato, mentre si sfilava la maglia impregnata di sudore, recuperando l'occorrente per una rinfrescante doccia.
Mentre rovistava nell'armadietto alla ricerca dell'asciugamano, Chuck scrollò leggermente le spalle, del tutto indifferente a quel dettaglio.
< Non lo so > tagliò corto, < ha pensato a tutto tua sorella >.
Come al solito, avrebbe potuto aggiungere.
Sua moglie aveva l'abitudine di organizzare serate in casa loro senza avvisarlo, o perlomeno, avvisandolo quando gli inviti erano già stati spediti.
Ogni occasione era buona per dare mostra del proprio status economico, sfoggiando la ricchezza dell'attico dei Bass, che occupava l'intera superficie della sommità di una famosissimo centro residenziale.
Si incamminò alle docce, situate lungo la parete opposta, dove alcuni tramezzi rivestiti da piastrelle grigie separavano diversi scompartimenti, aperti sul davanti.
Per un attimo si soffermò sul corpo nudo del cognato, che nemmeno aveva avuto l'accortezza di voltarsi di schiena, mentre si insaponava i capelli.
Quasi scoppiò a ridere per i pensieri che gli erano sorti in quel frangente.
Decisamente Jacques Du Levre non era dotato sotto molti aspetti, oltre allo squash.
Ridendo sommessamente, appoggiò l'asciugamano al suo fianco, mentre con l'altra mano apriva l'acqua calda, immergendosi sotto il getto appena questo fuoriuscì sopra di lui.
Cercò di impiegare il minor tempo possibile, conscio dei rimproveri che avrebbe ricevuto se non fosse rincasato sufficientemente in anticipo per prepararsi adeguatamente all'arrivo degli ospiti.
Ancora gocciolante si avvolse nel morbido panno di spugna, fermandolo in vita e tornando al suo armadietto dove lo aspettava il cognato, già completamente vestito.
< Credi che Genevieve si arrabbierà se arriverò in ritardo stasera? > si informò quest'ultimo, mentre il giovane recuperava i boxer.
< Non ne ho idea > gli rispose, mentre lasciava accidentalmente cadere l'asciugamano ai suoi piedi, conscio dello sguardo di Jacques su di sé.
Un'altra soddisfazione, seppur di poco conto, che il ragazzo si prendeva: Chuck Bass non aveva difetti, almeno in quel campo.
Si infilò velocemente una tuta e una paio di scarpe da ginnastica, indossando una cuffia sui capelli ancora umidi, per combattere il freddo invernale che lo avrebbe investito uscendo.
I due giovani lasciarono l'edificio, salutando il proprietario del club che entrava in quel momento, insieme ad un anziano amico.
< A più tardi allora > salutò Chuck mentre apriva la portiera della limousine che lo attendeva sul marciapiede, proprio come aveva richiesto.


Mentre si osservava distrattamente allo specchio, Chuck Bass allentò la cravatta di seta blu che portava quella sera e che gli stava provocando un enorme fastidio.
Genevieve aveva la naturale propensione a stringere troppo i nodi intorno al suo elegante collo, come si trattasse di un cane e del collare che lo teneva al guinzaglio.
Infastidito, tornò a voltarsi verso l'ampio salone, illuminato da preziosi lampadari di cristallo, che diffondevano ovunque una luce delicata.
All'improvviso, una serie di camerieri arrivarono dalla cucina, portando un servizio di tazze di ceramica fumanti, teatralmente disposte su vassoi d'argento intarsiati.
Il giovane sbuffò senza farsi notare dagli invitati, la cui attenzione era stata calamitata interamente da quella novità e dal suono cristallino della voce di sua moglie, che aveva posto fine a tutte le conversazioni, iniziando un discorso.
< Miei cari ospiti > cominciò, e la sua voce sembrava ambrosia, < non posso esprimervi la gioia di avervi qui, nella mia casa, questa sera >.
Chuck Bass la guardava ammirato, mentre recitava la parte della perfetta padrona di casa.
Dopotutto sua moglie, nonostante qualche difetto, aveva l'incredibile capacità di fingere, la stessa abilità che lui aveva esercitato da adolescente, senza farsi scrupoli.
< Davanti a voi > continuò, indicando i tavoli sui quali le bevande erano state posate, < vi sono degli infusi di erbe rilassanti, che vi aiuteranno a ritrovare l'equilibrio fisico e psicologico >.
Le signore presenti, per la maggioranza socie del Club del Libro a cui anche sua moglie era iscritta, annuivano, soddisfatte di quella magnifica idea.
Gli uomini non erano esattamente dello stesso parere, osservò il giovane, ma non osavano offendere la gentilezza della padrona di casa.
< Niente alcolici quindi, ma essenze naturali > concluse, raccogliendo una finissima tazza dai ricami floreali e porgendone una anche a lui, che lentamente si era portato al suo fianco per mostrare che condivideva il pensiero della consorte.
Gli ospiti fecero lo stesso e insieme brindarono a quella riunione di amici, che di fatto non condividevano nessun significativo rapporto, come era d'obbligo per i membri dell'alta società.
Appena possibile, si defilò velocemente, lasciando la moglie alle chiacchiere delle anziane signore al suo fianco.
< Questa volta non ho potuto evitarvela > esordì Anabel che gli si era avvicinata, indicando la tisana che ancora teneva tra le mani.
< Non vi preoccupate, Anabel, me ne sbarazzerò da solo > le rispose, strizzandole l'occhio.
Anabel rise della sua imprudenza, mentre il giovane si voltava, tentando di raggiungere indisturbato il suo studio.
Del tutto involontariamente, va sottolineato, lasciò cadere il contenuto della tazza nel vaso di una costosa pianta all'angolo della sala, dopo aver verificato che nessuno lo stesse guardando.
Sarebbe stato da egoisti privare quel vegetale della squisitezza di quella bevanda naturale, Chuck Bass se ne rendeva perfettamente conto e aveva voluto porvi rimedio.
Finalmente raggiunse la stanza e vi entrò, dirigendosi verso un basso mobiletto di legno massiccio, dove teneva la sua riserva personale di scotch invecchiato.
Recuperò un bicchiere di cristallo con una mano, mentre con l'altra apriva la sottile bottiglia di liquido ambrato.
< Non dovresti bere quella roba > sottolineò una voce alle sue spalle, costringendolo ad interrompersi.
Il giovane si voltò verso il cognato, con tutta l'intenzione di mandarlo al diavolo, ma riuscì a trattenersi, offrendogli un sorriso quanto mai tirato.
< Tu non saresti dovuto arrivare in ritardo, ma lo hai fatto > replicò acido, invitandolo silenziosamente ad andarsene e a lasciarlo per qualche minuto nell'assoluto silenzio della sua stanza preferita.
< Touchè > constatò Jacques, alzando le spalle.
< Fossi in te non farei aspettare tua sorella > continuò il ragazzo, < potrebbe alterarsi più di quanto non lo sia ora >.
Sul viso del cognato passò un lampo di preoccupazione e Chuck Bass capì di aver toccato il tasto giusto.
< Hai ragione, sarà meglio che vada a salutarla > ammise l'altro, mentre si chiudeva la porta alle spalle e salutava il giovane che si stava versando lo scotch, del tutto intenzionato ad abbandonare gli ospiti per qualche minuto.
Mentre ritirava la bottiglia sentì la porta alle sue spalle cigolare di nuovo.
< Che problema hai ora da non poter aspettare di là? > chiese frustrato, mentre recuperava il bicchiere per godersi un lungo sorso.
Per poco il prezioso cristallo non gli scivolò tra le dita, infrangendosi sul costoso tappeto ai suoi piedi, quando scorse la figura snella appoggiata al muro della parete opposta.
< E tu per assentarti ad un ricevimento tenuto a casa tua? > domandò la giovane donna, perplessa.



Spazio autrice:
Allora che ve ne è parso della figura di Chuck in veste di cognato e coniuge? E di questa apparizione finale?

-vale: grazie mille, sono felice che ti piaccia il mio stile e che riesca a catturare l'attenzione.
-prometeo: non pensavo di riuscire a descrivere bene Blair, è difficile non storpiare una figura complessa come la sua, spero di continuare a farcela. Grazie!
-kaho: anche a te è piaciuta Blair? Come sono felice! Sì dovrai aspettare per saperlo, me sadica che non rivela nulla XD
-fanny: io amo scrivere seguendo il punto di vista di entrambi i personaggi, non sempre s'intende, ma mi piace e sono contenta che tu abbia apprezzato questa scelta. Per tutti i tuoi interrogativi dovrai aspettare lo sviluppo della storia, presto si chiariranno.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Ciao!
Eccomi qui con una nuovo capitolo. Vi confesso che ci ho messo molto ad elaborarlo per non tradire l'indole dei personaggi, spero di esserci riuscita.
Mi lasciate un commentino?
Grazie a presto.



Capitolo 4.


Odiava trovarsi in situazioni che non poteva prevedere e di cui non aveva cercato le soluzioni.
In quel caso, poi, non avrebbe nemmeno potuto ordinare a qualcun altro di rimediare al suo posto, visto che in quella stanza c'era solo lui, se si escludeva la causa di ogni sua preoccupazione, ovviamente.
< Speravo non fossi mio cognato > rispose alla perplessità della sua uscita precedente, carica di frustrazione.
Blair Waldorf fece finta di osservarsi, come se non conoscesse il proprio aspetto, al solo scopo di innervosirlo.
< Direi che sei stato fortunato. Benchè tuo cognato possa avere fattezze effeminate, non credo mi somigli > sorrise compiaciuta di averlo spiazzato.
Chuck Bass buttò giù in un sorso le due dita di scotch che si era versato, tentando inutilmente di recuperare il controllo della situazione.
Il liquido ambrato gli bruciò la gola, impedendogli di ribattere subito.
< Avrei voluto rimanere solo > sottolineò appena riuscì, con voce leggermente roca.
Sperava che lei recepisse il messaggio e se ne andasse dal suo studio, che aveva cominciato a sembrargli troppo piccolo ed eccessivamente caldo.
La ragazza si voltò, avvicinandosi alla porta, e il giovane tirò un sospiro di sollievo: gli pareva impossibile aver ottenuto ciò che voleva, senza nemmeno una flebile protesta da lei, di cui conosceva la testardaggine.
Si voltò verso il mobiletto alle sue spalle, deciso a festeggiare il successo con un altro po' di liquore, d'altronde lei non aveva salutato, quindi lui era autorizzato a fare lo stesso.
Il suono che sentì, tuttavia, e che lo bloccò all'istante, non fu quello di una porta che si chiude, ma di una chiave che ruota nella serratura, emettendo un sonoro tac al termine del giro.
< Che diavolo fai? > chiese, voltandosi immediatamente verso la ragazza.
Lei sorrise, compiaciuta, infilando la chiave nella borsa che portava al braccio, del tutto indifferente al suo disappunto.
< Non me ne andrò così facilmente > confermò, mentre prendeva posto in una poltrona di pelle al centro della stanza, invitandolo a fare lo stesso, per avere una conversazione civile.
< Ho una festa a cui è richiesta la mia presenza, purtroppo non ho tempo da dedicarti > replicò, avvicinandosi allo schienale della poltrona, rimanendo comunque in piedi, come se questo gli garantisse un qualche margine di vantaggio.
< Non mi sembrava ti entusiasmasse l'idea > sottolineò lei, sapendo di avere ragione.
< No, infatti, ma ho dei doveri da rispettare > ammise lui, cercando di nascondere quanto questo aspetto della vita matrimoniale gli andasse stretto.
< Una volta non l'avresti mai detto e le tue feste non sarebbero sembrate ritrovi di ricreazione per anziani > continuò la giovane, stupita dalle sue parole.
Chuck Bass sorrise, quasi nostalgico, celandosi dietro al cristallo che si portò alle labbra, meccanicamente, per guadagnare secondi preziosi.
< Le persone cambiano > confermò, una volta assicuratosi di essere obiettivo.
Per qualche minuto calò il silenzio, mentre entrambi si osservavano, silenziosamente, chiedendosi quanto di quello che sapevano l'uno dell'altro fosse ancora valido, dopo cinque lunghi anni di lontananza, in cui non si era mai sentiti.
Nemmeno una volta, neanche per messaggio o per mail.
Gli occhi del ragazzo non abbandonarono mai il corpo di lei, sostando sul viso dai grandi occhi espressivi, sulle labbra piene messe in risalto dal rossetto rosso, per poi percorrere il suo esile corpo, fasciato da un abito lilla che le arrivava sopra il ginocchio, mostrando parte delle sue gambe sottili, fasciate da semplici collant color carne.
Anche Blair osservava Chuck, forse con meno insistenza, alla ricerca di qualche tratto diverso, che lo rendesse indissolubilmente proprietà di un'altra donna, una donna che lei già sapeva di detestare, cordialmente s'intende.
Fu lei a rompere quel momento di attesa, in cui nessuno dei due aveva avuto il coraggio di parlare, come consapevoli che avrebbero rovinato l'atmosfera, altrimenti perfetta, che si era creata.
< L'amicizia, però, rimane intatta > disse, cercando di non sembrare fragile o illusa.
Chuck si prese il tempo per rispondere, sapendo che la sua non era una domanda: lei non metteva in dubbio quello che avevano condiviso in passato.
Ma lui poteva cancellare il loro addio, conservando solo tutti i momenti belli che avevano trascorso insieme, prima di quel momento?
No, lo sapeva bene.
Si era imposto di cancellare il passato, il loro passato, per continuare una vita senza il suo fantasma che lo tormentava, lasciandolo soffrire nel rimpianto, da solo.
< Le amicizie svaniscono > confermò, distogliendo lo sguardo, sicuro che in caso contrario non avrebbe avuto la forza per mettere ancora una volta la parola fine al loro rapporto.
Blair si alzò in piedi, abbandonando la borsa sulla poltrona, mentre si avvicinava insicura.
< Ho bisogno di un favore, Chuck > ammise, fermandosi a meno di un metro da lui.
Il suo profumo arrivò distintamente alle sue narici, inebriandolo, mentre si chiedeva da quanto tempo non sentiva pronunciare il suo nome con quel vezzeggiativo che aveva tanto amato e che sua moglie si rifiutava di utilizzare, reputandolo infantile.
Lui si chiamava Charles, un nome così importante da non ammettere sciocchi diminutivi.
< Non ti devo niente, Waldorf > replicò, sottolineando con attenzione il suo cognome.
Una volta l'aveva usato spesso per rivolgersi a lei con affetto, ma in quell'occasione il suo tono freddo ammetteva un'unica possibile interpretazione: distacco.
< Mi serve il tuo aiuto > continuò la giovane, incapace di arrendersi alla freddezza di quello che lei continuava a considerare un amico, il più importante probabilmente.
Chuck Bass rise amaramente, lasciandola perplessa ad attendere la sua risposta, mentre il respiro si faceva accelerato.
< Hai centrato il punto, Waldorf: ti servo >.
La ragazza si morse il labbro inferiore, mentre mentalmente si dava della stupida per non aver prestato abbastanza attenzione alle parole, conoscendo l'abilità di lui nello sfruttare ogni minuscolo sbaglio.
< Non intendevo quello > tentò di difendersi, sapendo in anticipo che a lui non sarebbe bastato.
< Ti sbagli, intendevi perfettamente quello che hai detto. E io non ho alcuna intenzione di lasciarmi utilizzare da te > concluse il giovane, ignorando il suo debole tentativo di scusarsi.
< Non ti ho mai usato, Chuck > replicò lei, accendendosi per quell'accusa poco celata che lui le aveva rivolto, provocandole un dolore sordo all'altezza del petto.
Il giovane si avvicinò rapidamente, annullando la distanza tra loro in un attimo.
Averla così vicino non aiutava assolutamente a mantenere la mente sgombra da altri pensieri, assolutamente inadatti alla situazione, ma la rabbia che gli era montata dentro era tale da metterli in secondo piano, in un angolo della sua coscienza.
< Tu mi hai usato Blair > iniziò, mentre il suo tono di voce abbandonava la pacatezza mantenuta fino a quel momento, per alzarsi di qualche ottava, < mi hai usato quando Nate ti ha lasciato, lo sappiamo entrambi. E più tardi, quando ti serviva avermi accanto, frequentando Yale: dopotutto il figlio di un milionario ha il suo fascino non trovi? >.
La ragazza lo guardava dritto negli occhi, mentre sentiva la stabilità sulle gambe venir meno: sarebbe caduta sicuramente se il braccio di lui non la stesse stringendo così tanto da impedirle qualsiasi movimento.
< Eppure non ti sei fatta scrupoli a pensare a te stessa quando hai capito che la mia carriera ti avrebbe costretta a delle scelte. Sei semplicemente un'egoista Waldorf, indegna di chiedermi aiuto > le sputò in faccia pieno di risentimento, mentre sentiva il bisogno di ingerire un altro po' di scotch invecchiato.
La lasciò, tornando al bicchiere che aveva lasciato sulla libreria al suo fianco, prima di quello scatto di rabbia che sapeva essere stato inopportuno: le aveva mostrato quanto aveva sofferto per quello che era successo tra loro anni prima, ma se questo fosse servito a cacciarla, allora poteva accettarlo.
< Non sarei venuta se non fosse stato indispensabile. Ho anch'io il mio orgoglio > ammise lei, mentre recuperava la borsa dalla poltrona.
Chuck la guardò un istante, scorgendo la sua espressione sfiduciata e gli occhi stanchi di chi era afflitto da una preoccupazione che lo teneva sveglio anche di notte.
Conosceva quei sintomi, li aveva sperimentati in prima persona da quando si era gettato, anima e corpo, nella conduzione della compagnia del padre, con l'obiettivo di ingrandirle.
Ma non per questo poteva avere compassione di lei, che gli aveva mentito così spesso, tradendo del tutto la sua fiducia, quando lui invece le aveva donato se stesso, senza riserve.
< Il tuo orgoglio ti riporti in America allora, qui non c'è nulla per te > concluse serio, senza traccia di rimorso per quelle parole dure.
La fissò negli occhi, vedendo il peso della definitiva sconfitta farsi largo sul suo viso, prima che lei si voltasse, nascondendosi alla soddisfazione di lui.
Aveva vinto, aveva mantenuto i suoi propositi, messi in dubbio dall'improvvisa ricomparsa di lei, eppure non ne trovava gioia.
La giovane cercò velocemente le chiavi nella borsa, estraendole e avvicinandosi alla porta per aprirla.
Fece scattare la serratura nel silenzio più assoluto e, prima di andarsene, si voltò verso di lui, in quella che sembrava una muta supplica.
Blair Waldorf aveva gli occhi umidi, prossimi alle lacrime: non gli era sfuggito, nemmeno nella penombra della stanza.
Con un cenno si accomiatò, mentre il giovane si accomodava nella stessa poltrona su cui si era seduta lei, cercando qualche traccia della sua presenza.
Un lieve bussare alla porta lo costrinse a sollevare lo sguardo verso l'ingresso, mentre rimaneva in quella stessa posizione, convinto che la festa avrebbe potuto aspettare un altro po'.
< Chi è quella sgualdrinella che è uscita da qui, un attimo fa? > esordì Jacques sorridendogli malizioso.
Chuck Bass fu costretto ad affondare le dita nei braccioli della poltrona, mentre le nocche sbiancavano al suo tentativo di trattenersi dal prendere a pugni il cognato, fino a ridurlo in una condizione che avrebbe richiesto il ricovero d'urgenza in ospedale.
< Nessuno > rispose, quando fu certo che la sua voce non avrebbe vibrato di nervosismo represso all'interrogativo di quell'uomo, la cui presenza, in quel frangente, era assolutamente indesiderata.
Dall'occhiata scettica che quest'ultimo gli rivolse capì di non aver convinto nemmeno lui.
Oltre a se stesso, ovviamente.



Spazio autrice:

-vale: davvero miglioro?! Meno male, sono felice che la storia ti coinvolga. Hai ragione è strano vedere Chuck sotto queste vesti XD
-kaho: hai visto che non sono stata sadica?! Ho cercato di mantenere Chuck abbastanza fedele alla serie, anche se il fatto che siano passati 5 anni qualche cambiamento lo ha portato. Il cognato lo adoro anch'io, è il primo personaggio di questo genere che creo XD

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ehi ciao!
Eccovi il nuovo capitolo.
Ringrazio le 99 persone che hanno letto il precedente e quello che hanno inserito la storia nei preferiti.
Rispetto alle mie abitudini sto aggiornando più frequentemente, perchè non mi piace farvi aspettare troppo.
Che ne dite di ricompensarmi con un commentino?
Sapeste che piacere mi fanno XD
Ale.



Capitolo 5.

La luce debole di una lampadina illuminava un'ampia cabina armadio, ricolma di abiti maschili delle più diverse fatture.
Il giovane si muoveva velocemente, facendo attenzione a non provocare alcun rumore a quell'ora del mattino in cui tutti dormivano, compresa sua moglie, nella stanza accanto.
Afferrò un maglione di lana, infilandolo nel capiente borsone di pelle nera di Prada ai suoi piedi, esattamente sopra al dolcevita che vi aveva riposto poco prima.
Maledetta Waldorf.
Aveva passato la notte pressochè insonne dopo il loro incontro della sera prima, conclusosi in maniera spiacevole per entrambi.
Eppure, lui si era ripromesso di chiudere di nuovo quella questione che, ogni qualvolta si presentava alla sua mente, gli provocava un intenso malessere, ma aveva fallito.
Odiava ammetterlo: aveva trionfato lei, accendendogli la curiosità di conoscere qual era il problema che l'aveva condotta fino a lui, nonostante sapesse il trattamento che le avrebbe riservato.
Chiuse nervoso la zip, chiedendosi se quella decisione improvvisa non fosse la più stupida che avesse preso negli ultimi cinque anni. Esattamente da quando era lontano da lei.
Ricontrollò il messaggio che gli era arrivato mezz'ora prima, dove il portiere dell'hotel in cui la ragazza aveva alloggiato a Parigi lo avvisava della sua partenza per l'aeroporto.
Faceva sul serio dunque?
Non sarebbe tornata di nuovo da lui, supplicando misericordia: era pur sempre una Waldorf.
Spense distrattamente l'interruttore, tornando nella propria camera, ancora immersa nella luce soffusa generata dall'alba che si intravedeva al di là delle pesanti tende cobalto che nascondevano le finestre.
Si avvicinò a sua moglie, posando la borsa ai piedi del letto.
< Genevieve > la chiamò, accarezzandole una spalla lasciata scoperta dalla vestaglia che portava, < sto partendo >.
Un normale marito si sarebbe aspettato un caloroso saluto, in vista della separazione imminente.
Ma lui non lo era, probabilmente non conosceva nemmeno cosa significasse un sincero affetto coniugale.
La donna si limitò ad un mugolio infastidito, mentre la sua mano allontanava quella del giovane dalla spalla, come un elemento di disturbo.
Ecco il suo commiato, tutto l'amore che poteva attendersi.

*

Blair Waldorf trascinò a fatica la valigia all'esterno del taxi, senza che l'autista avesse l'accortezza di aiutare una giovane così minuta e attraente.
Un vero scandalo, se si pensava a quante persone la riverivano costantemente, facilitando ogni suo gesto, seppur minuscolo.
Le mancava Dorota, oh se le mancava: quella settimana era stata un inferno senza la sua fidata cameriera, che conosceva a memoria ogni sua esigenza.
L'aeroporto Charles De Gaulle era affollato persino a quell'ora e la ragazza si fece spazio spintonando qua e là qualche turista, anche a rischio di investire qualcuno con il suo ingombrante bagaglio.
Ingombrante forse era esagerato, visto che aveva al seguito solo un trolley di dimensioni galattiche e un beauty case infilato al braccio sinistro, mentre la borsa le scivolava lentamente sulla spalla opposta: un nulla, quindi, se paragonato agli standard delle vacanze che compiva con i suoi genitori, quando era più piccola.
A quel ricordo, una dolorosa fitta al cuore la colpì, inumidendole gli occhi.
I recenti eventi non erano ancora stati metabolizzati dal suo spirito energico e combattivo e le provocavano un'inspiegabile sofferenza anche ora, mentre ci ripensava per qualche istante.
Si riscosse velocemente, scorrendo il tabellone luminoso su cui erano riportate le partenze di quella mattina.
New York
La individuò facilmente, leggendo anche il check-in a cui si doveva portare, per avere il biglietto di prima classe che aveva prenotato la sera prima, dopo il suo completo fallimento da Chuck.
Ripensando al trattamento ostile che il ragazzo le aveva riservato, nonostante l'amicizia che avevano condiviso in passato, per non parlare della loro relazione, un moto di rabbia la pervase, portandola a strattonare la valigia, che urtò una persona al suo fianco.
< Mi scusi > disse, girandosi verso il malcapitato, che si rivelò essere un suo coetaneo, persino molto attraente.
< Non ti preoccupare > rispose subito quello, stregato dal suo sorriso e dagli occhioni bruni spalancati nel tentativo di farsi perdonare più facilmente.
< Ti posso aiutare? > propose, indicando la mole che lei sosteneva con una mano.
Blair si chiese se tutti i giovani non potessero essere gentili ed educati come quello che si trovava ora davanti a lei e il suo pensiero tornò subito a Chuck.
< Grazie > sorrise riconoscente.
< Dove sei diretta? > si informò il ragazzo, mentre con la mano libera afferrava la maniglia della sua valigia, portandola accanto alla propria, decisamente più ridotta.
< New York > spiegò Blair, mentre cominciava ad avanzare verso l'area in cui si trovavano i check-in.
< Che coincidenza > esclamò il giovane entusiasta, < anch'io torno a New York >.
Quando si fermarono alla fine della lunga coda per il loro volo, il ragazzo posò le valigie e si voltò verso di lei, tendendole cordialmente la mano.
< Scusa se non mi sono presentato prima > ammise arrossendo un poco, < sono Peter >.
< Blair > rispose lei, stringendola.

*

Chuck Bass scese velocemente dalla limousine nera, temendo di essere in ritardo per il traffico incredibile che aveva incontrato lungo la strada.
Possibile che lei si fosse già imbarcata?
Con passo affrettato si portò davanti ai tabelloni, cercando il suo volo con sguardo febbrile.
Lesse il numero del check-in e si voltò rapidamente per raggiungerlo, pregando che non fosse troppo tardi, altrimenti quella decisione sarebbe stata del tutto inutile.
Quando scorse la lunga fila tra i cordoni che delimitavano quello sportello, tirò un sospiro di sollievo, rallentando fino a fermarsi alla parete laterale, da cui godeva di un'ottima visuale.
Scorse ad uno ad uno i viaggiatori, fino ad individuare la sua figura esile, affiancata da un ragazzo alto, che poteva avere la sua età, anno più anno meno.
Decise di divertirsi ancora una volta, dopotutto lui era Chcuk Bass, le soluzioni semplici decisamente non gli si adattavano.
Cercò il suo numero sul cellulare e avviò la chiamata, aspettando di vederla rispondere.
< Sono io > rispose, appena sentì la sua voce, < sei già partita? >.
Lei corrugò le sopracciglia in un'espressione che poteva chiaramente avvicinarsi all'irritazione.
< Sì, Bass, mi trovo già sull'aereo. Stiamo per decollare > confermò, con un tono freddo e distaccato.
Il giovane rise a quella stupida bugia che aveva tentato di rifilargli.
< Capisco > disse, sorridendo compiaciuto al vuoto, < allora quella alla fila del check-in deve essere una ragazza che ti somiglia molto. Potrei andare a conoscerla >.
Chiuse la chiamata, godendosi l'espressione stupita di Blair che si guardò intorno fino a che non lo individuò, oltre la spalla di un'anziana signora.
Il ragazzo la vide scambiare qualche parola con il giovane al suo fianco, prima che si allontanasse, diretta verso di lui.
< Che cosa vuoi ora, Bass? > gli chiese infastidita quando gli fu davanti.
Chuck la squadrò, notando la posizione fiera che aveva assunto, con le mani saldamente piantate sui fianchi.
< Ti do la possibilità di spiegarmi il tuo problema > la informò il giovane, sentendosi come uno psicologo davanti ad un paziente recalcitrante.
< Sto partendo, non vedi? > sottolineò Blair, sventolandogli davanti la prenotazione del volo che teneva tra le dita.
Chuck la afferrò, studiandola per un attimo, poi, con un movimento deciso, la stracciò in due parti, poi in quattro.
< Ma che diavolo fai? > esclamò la ragazza, furiosa, spintonandolo leggermente, < non sai quanti soldi ho speso per avere un posto in prima classe con così poco preavviso >.
Il giovane scrollò le spalle, indifferente alle sue proteste accanite.
< Se è necessario te lo ripagherò, Waldorf >  affermò annoiato, < ora recupera la tua roba >.
Blair rimase per qualche secondo a fissarlo, interdetta, sentendosi dare degli ordini come se fosse una sua dipendente.
< Dovrei recuperare la mia roba? Da sola? > chiese incredula.
Chuck Bass scoppiò a ridere, vedendola sorpresa dalle sue parole.
< Ti aspettavi seriamente che ti portassi il bagaglio, Waldorf?! Non mi conosci abbastanza a quanto pare > constatò serio.
La ragazza si voltò indispettita, tornando verso la fila.
Non aveva mai ascoltato un ordine in vita sua, ma sapeva che in questo caso non aveva scelta.
Lui era la sua ultima possibilità.



Spazio autrice:

-vale: Grazie per i complimenti e per la fiducia!
-kassandra: Grazie mille, spero che anche questo capitolo ti abbia coinvolto.
-melian: Grazie! Sono felice di essere riuscita a mantenere i personaggi così fedeli, meno male! Per quanto riguarda il cognato, lo adoro anch'io XD
-kaho: Sono troppo contenta che ti sia piaciuto lo scontro. Grazie per i complimenti e per gli ottimi commenti che mi lasci dall'inizio. Spero di averti reso ancora un po' curiosa anche con questo capitolo! Per quanto riguarda il cognato, non sei la sola a stravedere per lui, me compresa XD

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ehilà!
Mi scuso per l'enorme ritardo con cui ho postato, purtroppo sono in quinta liceo e il tempo scarseggia.
Mi auguro che anche questo capitolo vi piaccia, sperando che le spiegazioni non vi tedino troppo, ho dovuto inserirle.
Mi lasciate un parere?
Ringrazio le 11 persone che hanno aggiunto la storia tra i preferiti.
Ale.


Capitolo 6.

Blair Waldorf aveva sempre amato le fiabe che suo padre le leggeva da piccola, quando si sedeva sul bordo del suo letto ad attendere che si addormentasse serenamente.
La sua voce cadenzata la cullava mentre con la fantasia si sostituiva alla protagonista, immedesimandosi nelle sue peripezie e aspettando con ansia l'arrivo del principe, che avrebbe coronato il suo sogno di felicità. Senza dimenticare poi il superbo cavallo bianco, il nobile destriero sul quale il suo amato la avrebbe invitata a salire, partendo insieme per il suo regno lontano.
Peccato che la realtà fosse qualcosa di completamente diverso.
Si trovava in un aeroporto affollato, che nemmeno la più fervida immaginazione avrebbe potuto trasformare in un campo verdeggiante ricolmo di fiori profumati.
Il cavallo era stato sostituito da una limousine che, per quanto comoda ed elegante, aveva perso tutto il fascino della natura.
E infine, ma non meno importante, il principe altro non era che un ragazzo viziato che le impartiva ordini senza alcuna riverenza nei suoi confronti, invece di omaggiare la sua bellezza con splendidi doni.
No, decisamente la realtà non poteva essere confusa con una fiaba.
Con passo affrettato, che mai e poi mai una principessa avrebbe potuto adottare, si diresse verso la fila del check-in per recuperare il proprio bagaglio.
< C'è qualche problema? > le chiese Peter premuroso, vedendola tornare trafelata.
La ragazza afferrò il manico della valigia, mentre con l'altra mano riprendeva il beauty che era stato posato a terra per evitare che cadesse.
< Devo andare > tagliò corto, voltandosi.
Non riuscì nemmeno a fare un paio di passi che fu bloccata da quel giovane che, per i suoi standard, si stava prendendo troppa confidenza.
< Sicura che sia tutto a posto? > indagò incerto, cercando nella sua espressione un segnale che confermasse i suoi dubbi.
Il principe non si era fatto vedere, ma i seccatori erano decisamente una costante anche della vita quotidiana annotò la ragazza nella sua mente.
< Non mi sembra che ti debba particolari spiegazioni, no? > rispose spazientita, < in fondo non ci conosciamo nemmeno >.
Peter fece per obiettare ma Blair fu più veloce.
< Fa buon viaggio > gli augurò, liquidandolo una volta per tutte.
Con fatica trascinò la sua roba fino a Chuck, che l'aspettava davanti ai tabelloni luminosi.
< Potevi prenderla comoda > sottolineò sarcastico al suo arrivo.
Blair gli lanciò un'occhiataccia, indecisa se replicare sullo stesso tono per paura di perdere il suo aiuto, conoscendo la volubilità del giovane.
< Dove siamo diretti? > chiese, mentre lo seguiva all'esterno, oltre le porte scorrevoli dell'aeroporto.
Non ci fu bisogno di alcuna delucidazione, perchè la risposta si trovava pochi metri più in là, in tutta la sua nera lucentezza.
Una limousine, autista impeccabilmente vestito compreso.
Istintivamente la ragazza si bloccò, come ubbidendo ad un impulso interiore che la avvertiva del pericolo.
Chuck si voltò sorpreso, mentre sul suo viso si allargava un ghigno divertito.
< Pensi di non riuscire a controllarti? > la punzecchiò, con un riferimento allusivo che solo loro due avrebbero potuto comprendere.
La loro prima volta, in tutti i suoi dettagli, anche quelli più piccanti, ritornò nitida agli occhi di Blair, che si ritrovò involontariamente ad arrossire.
< Le sistemo la valigia nel bagagliaio? > si informò l'autista, interrompendo così l'imbarazzo in cui la ragazza si era trovata.
Annuì distrattamente, tornando a voltarsi verso il giovane mentre sollevava il mento altezzosa e gli sfilava davanti per accomodarsi sul sedile di pelle, altrettanto nero.
L'interno non era poi dissimile da quello in cui più volte si era ritrovata stretta a lui e la ragazza si costrinse ad evitare quel pensiero per evitare di essere umiliata nuovamente.
Chuck prese posto sul sedile laterale, allungandosi verso il minifrigo per versarsi un bicchiere di scotch.
< Ne vuoi? > domandò, mentre stava per richiudere la bottiglia.
Blair scosse la testa, pensando a come poter affrontare quella conversazione in modo da ottenere il suo aiuto.
< Di che cosa si tratta? > iniziò il giovane, portandosi il bicchiere alle labbra e prestandole finalmente attenzione.
< Problemi finanziari > esordì lei, chiarendo subito l'ambito generale.
< Non ti presterò del denaro > asserì freddo Chuck, convinto che la fatica di quella mattina si fosse rivelata perfettamente inutile.
Blair impallidì, offesa dall'ipotesi che lui aveva avanzato.
< Come puoi pensare che verrei a chiederti del denaro? > domandò irritata.
Il giovane sollevò un sopracciglio, sorpreso da quella reazione esagerata.
< Pensavo che non fossi stata in grado di amministrare il tuo patrimonio e .. >.
la ragazza non gli permise nemmeno di terminare la sua spiegazione, assalendolo.
< E così sarei una perfetta imbecille, del tutto incapace di gestire le proprie finanze > gridò, scaldandosi ancora di più.
Per un istante Blair ebbe la tentazione di alzarsi e uscire da quella limousine sentendosi sufficientemente insultata da quella supposizioni campate in aria, ma ricordò a se stessa che la causa per cui si trovava in quello spazio chiuso, così vicino ad una persona che iniziava a detestare, superava qualsiasi possibile lesione al suo orgoglio.
< I problemi riguardano delle uscite registrate sul mio conto-corrente > precisò, rompendo il silenzio che si era creato dopo la sua ultima sfuriata.
L'espressione saputa di Chuck, ancora convinto di aver ragione, le fece capire che non si era spiegata abbastanza bene.
< Le uscite non dipendono da spese personali, sono mensili e risalgono già ai tempi in cui il conto non era intestato a me >.
< Quindi non sono dovute alla tua volontà? > chiese conferma il giovane, che era rimasto stupito a quella rivelazione.
< Esattamente > asserì la ragazza, sfilandosi il giubbotto, < risalgono a venticinque anni fa, ho controllato >.
Chuck si sistemò i capelli con una mano, mentre rifletteva su una strana coincidenza.
< L'anno della tua nascita > sottolineò.
< Ci avevo pensato anch'io > ammise Blair, < ma non so quanto questo possa riguardare la faccenda >.
< Potrebbe essere una possibilità, non la escluderei a priori > replicò il giovane, vedendo che non era stato l'unico a collegare i due eventi.
La ragazza scrollò leggermente le spalle, come se quel dettaglio fosse di poco valore rispetto all'intera questione.
< A quanto ammonta il versamento mensile? > si informò Chuck, convinto che la cifra dovesse essere  elevata se Blair si era scomodata a cercare il suo aiuto, dopo anni in cui avevano rotto tutti i ponti che li avevano uniti.
< Cinquemila dollari > confermò la ragazza.
Il giovane fece un paio di calcoli a mente, prima di giungere alla conclusione.
< Un milione e mezzo di dollari > constatò serio.
Era una cifra assurda, nonostante la ricchezza della famiglia Waldorf.
< Penso che tu capisca cosa mi ha spinto a venire a casa tua ieri sera >  affermò sincera.
Chuck tornò a fissarla, cogliendo la fragilità che albergava nei suoi occhi, mentre si esponeva ad un suo possibile rifiuto, il secondo.
< In verità non mi è chiaro quale sarebbe il mio ruolo > specificò il giovane.
< Mi servirebbero le tue conoscenze nel campo investigativo > ammise, < il mio avvocato non è riuscito a risalire all'intestatario del conto su cui il denaro è versato >.
< Capisco > rispose Chuck, chiedendosi come lui avrebbe reagito ad una situazione simile.
Sicuramente non si sarebbe lasciato spennare da qualcuno che viveva a sue spese, considerando che per una famiglia di lavoratori quella cifra avrebbe significato la fine di ogni preoccupazione, per più di una generazione.
Si sporse verso il divisorio che separava l'autista dal vano posteriore, picchiando un paio di volte con la mano sul vetro per farsi sentire.
< Dove mi stai portando? > gli domandò Blair, appena sentì che la limousine si era messa in moto.
< All'aereo > chiarì il giovane, risiedendosi più comodo sul sedile di pelle e recuperando il bicchiere che aveva accantonato durante la conversazione.
< Ma abbiamo lasciato l'aeroporto > sottolineò la ragazza, guardinga.
< Infatti. Nessuno ha parlato di aeroporto > confermò Chuck, sorridendo soddisfatto.
Blair si abbandonò sullo schienale, chiudendo per un attimo gli occhi.
Forse Chuck Bass non era il principe dei suoi sogni, ma in certi casi un jet privato si rivelava decisamente più utile di un cavallo bianco, a meno che questo avesse le ali e potesse trasportare due persone più relativo bagaglio, s'intende.
Ma, dal momento che non sapeva come procurarsene uno, poteva anche accontentarsi di un giovane milionario e dei suoi ridicoli privilegi.




Spazio autrice:

-chefame93: grazie mille per il commento, sono felice che insieme ti piacciano!

-vale: mistero svelato? beh una parte sì, quindi spero sarai soddisfatta, grazie per i complimenti.

-kaho: sì il caro Bass perdono parte del loro savoir-faire quando c'è in prossimità una certa Waldorf XD soddisfatta la curiosità? comunque hai ragione, Blair è la regina nel servirsi degli altri senza che questi se ne rendano completamente conto.

-vampiretta: la migliore?! ma scherzi?? grazie mille, non penso di meritarmi così tanto..

-mary: innanzitutto grazie per seguire la storia dall'inizio e attendere sempre con ansia il nuovo capitolo. Anch'io non avrei mai pensato che Chuck potesse finire con una come Genevieve, ma alcune circostanze lo hanno portato a questo matrimonio. Non mi merito tutti i tuoi complimenti.


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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao ragazze, mi scuso sempre per i miei ritmi incerti nel postare.
16 preferiti?! Ma grazie! Non è che mi lasciate un commento visto che avete messo la mia storia nei preferiti? Sarebbe molto costruttivo per me.
Tra una settimana vado in USA, non so se riuscirò a scrivere prima.
In caso contrario il prossimo capitolo lo avrete verso Pasqua su per giù.
Grazie mille, a presto!
Un bacio, Ale.



Capitolo 7.

I grattacieli di New York sfilavano rapidi oltre i finestrini, come tanti bastoncini dai colori cupi posti uno a fianco all'altro da un bambino senza troppa fantasia.
L'inverno si era già mostrato in tutta la sua durezza quell'anno e la seconda nevicata lasciava ancora tracce sui marciapiedi, dove i passanti si muovevano cauti per evitare un'improvvisa caduta.
Blair allentò leggermente la sciarpa a causa del caldo sprigionato all'interno del veicolo dal riscaldamento che il conducente aveva alzato al massimo, tanto da provocare l'appannamento quasi completo dei finestrini, impedendole così di gustarsi il suo ritorno nella città in cui era cresciuta e che amava profondamente.
Con la coda dell'occhio osservò il suo compagno di viaggio che le sedeva accanto, impettito come se si trovasse su un trespolo per cocorite piuttosto che all'interno di un taxi.
Chuck Bass aveva preso un solo taxi nella sua vita, da bambino, quando suo padre si era dimenticato di mandargli la limousine all'uscita da scuola, ed era stata un'esperienza traumatica.
L'autista era un vecchio portoricano che fumava un sigaro appestando l'intero abitacolo e il piccolo aveva trascorso tutto il tragitto a tossire più o meno rumorosamente, senza ottenere altro che un finestrino abbassato per permettere il ricambio d'aria.
Aria che, essendo autunno, gli aveva provocato il giorno successivo un violento raffreddore.
Da allora Chuck aveva dichiarato guerra ai mezzi pubblici in generale, preferendo di gran lunga percorrere qualche isolato a piedi.
< Siamo arrivati > annunciò il conducente, fermandosi al lato di un'ampia strada nel centro di Manhattan.
Il giovane si allungò per pagarlo, mentre la ragazza, dopo aver ringraziato, scendeva rapida, desiderosa di rientrare nel suo appartamento il prima possibile.
Si posizionò a lato del veicolo, aspettando che Chuck recuperasse le valigie dal bagagliaio che aveva appena aperto.
< Che stai facendo? > chiese, vedendolo immobile.
< Sto aspettando che tu sollevi il tuo trolley per riprendere il mio borsone > rispose pronto, fissandola in modo eloquente.
Blair rimase spiazzata, pensando di aver sentito male.
< Non dirai sul serio mi auguro > replicò piccata, < e' troppo pesante per me >.
Chuck sollevò un sopracciglio, dubbioso.
< In aeroporto come ci sei arrivata? > domandò sarcastico.
La ragazza spalancò entrambe le braccia, indignata.
< Ero sola! > puntualizzò, < non avevo altra scelta >.
Il giovane ghignò, compiaciuto della sua reazione spropositata.
< Immagina di essere sola anche ora > sottolineò, < e fai in fretta perchè penso che l'autista si stia per spazientire nonostante il tuo fascino >.
Blair avrebbe voluto incenerirlo lì, su quel marciapiede affollato, ma si costrinse ad avanzare e a sollevare il suo bagaglio con entrambe le mani, nel tentativo di non rovinare a terra.
< Finalmente > commentò Chuck estraendo il suo borsone e ripulendolo accuratamente dalla polvere che vi si era depositata sopra.
Il taxi si mise in moto velocemente, producendo una cospicua nube di gas che irritò incredibilmente Blair che, già tesa, per poco non si mise ad imprecare in mezzo alla strada, dimenticando per un attimo il suo impeccabile autocontrollo.
< Muoviti Bass > lo incitò, avviandosi all'interno del lussuoso palazzo in cui si trovava il suo appartamento come un soldato in marcia al fronte.
Raggiunse velocemente il vano dell'ascensore, premendo con forza sul pulsante che lo avrebbe richiamato al piano terra.
< Non arriverà prima > precisò il giovane dopo che la ragazza ebbe tormentato ancora una volta il cerchio dorato con la lettera T incisa, nel tentativo di affrettare quella discesa che sembrava eterna.
In quel momento, con un sonoro scampanellio, le porte dell'ascensore si aprirono e Blair gli sorrise trionfante, pur cosciente che i due eventi non fossero realmente collegati.
< La valigia, Waldorf > gli ricordò Chuck, prima che le porte si richiudessero e la ragazza si dimenticasse completamente del bagaglio che aveva al seguito e che aveva abbandonato alla parete per qualche attimo.
Blair, mentre rientrava, mugolò qualcosa di incomprensibile, che il giovane interpretò come un insulto celato nei suoi confronti.
< Dorota > chiamò Chuck, non appena arrivarono al piano e riconobbe l'ingresso del salotto di casa Waldorf.
Blair si limitò a superarlo e ad avanzare, mentre si guardava attorno per vedere se la cameriera le aveva lasciato qualche messaggio.
< Non c'è  > precisò spazientita, dopo l'ennesimo tentativo del giovane di attirare l'attenzione della domestica.
Chuck si bloccò, come pietrificato da quella notizia.
< L'hai licenziata? > si informò incredulo, come se lei avesse appena rivelato di aver comprato un maglione misto acrilico.
< No, l'ho solo congedata > chiarì la ragazza, mentre si sfilava il cappotto e lo sistemava all'interno dell'armadio vicino all'uscita.
< Congedata? > chiese conferma Chuck, al quale quella decisione sembrava assurda.
Blair Waldorf non poteva sopravvivere nemmeno un'ora senza la fidata Dorota, figuriamoci per un giorno intero.
La ragazza sbuffò spazientita, cominciando a dubitare che la permanenza a Parigi avesse lesionato il sistema nervoso dell'amico, o perlomeno, ex amico.
< Esattamente. Per una settimana >.
< Come pensi di organizzarti in sua assenza? > domandò il giovane, che si era tolto il soprabito e lo aveva posato sul divano, senza i dovuti riguardi che in altre occasioni avrebbe mostrato.
< Mi arrangerò con le mie forze > lo tranquillizzò Blair, che era decisa a mostrargli quanto era diventata indipendente rispetto ai tempi della scuola.
In realtà aveva concesso alla domestica una settimana di riposo, stipendiata, affinchè non vedesse con chi era tornata dalla Francia.
Dorota aveva sempre amato il signorino Bass, come lo chiamava ai tempi della Constance, una devozione che era aumentata quando loro si erano fidanzati e  la ragazza aveva trascorso un periodo di sincera serenità, come non accadeva da quando era bambina.
In più conosceva quanti rimorsi avevano angosciato Blair dopo che il giovane aveva lasciato l'America, rompendo qualsiasi legame che lo ancorava ancora a New York e al suo passato.
< Waldorf? > una voce vicina, accompagnata da un lieve colpo di tosse, la riportò alla realtà.
Chuck Bass, comodamente seduto sul divano panna del salotto, la guardava perplesso, accertandosi che lei fosse finalmente presente.
< Sì? > chiese la ragazza, temendo di essersi persa qualcosa mentre si era abbandonata a quelle divagazioni.
< E' un paio di minuti che ti domando dove posso sistemare la mia roba > precisò il giovane, spazientito.
< Lasciala pure lì dov'è ora > spiegò rapida Blair, indicando il borsone posato in un angolo.
< Come? > esclamò Chuck incredulo, alzandosi.
< Hai capito bene > confermò lei tranquilla, < dormirai qui in salotto >.
< Non dormirò sul divano >  sottolineò il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
< Per quanto mi riguarda puoi anche dormire sul tappeto. E' un persiano, sono certa che sia abbastanza pregiato anche per te > lo schernì lei, sorridendo.
Si voltò diretta verso le scale, sperando di potersi finalmente concedere una lunga doccia ristoratrice, quando il giovane la bloccò.
< Ricordati che mi hai voluto tu qui > constatò lui, beffardo, pensando di averla in pugno.
< Infatti Bass. Non permetterei a nessuno che non ho invitato di alloggiare nel mio salotto > confermò seria, salendo gli ultimi gradini.
Chuck la osservò sgusciare via, leggiadra, senza aggiungere altro.



Spazio autrice:

-melian: sono felicissima che le spiegazioni non abbiano appesantito il capitolo e che ti sia piaciuta l'impostazione con il paragone con le favole. Io sono ancora un po' una bambina in questo senso, mi lascio trasportare dalla magia di un bel racconto. Se anche tu sei un quinta superiore allora mi capirai benissimo, non vedo l'ora che arrivi luglio e la fine del delirio!

-mary: grazie mille per la stima che hai nei miei confronti, spero che anche con questo capitolo mi sia riconfermata. Io adoro le favole, magari è un po' infantile, ma sono state parte fondamentale di quando ero bambina, quindi non posso non amarle. Anch'io mi accontenterei di Chuck, eccome!

-vale: grazie mille, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.

-kaho: anche a me era piaciuta molto quella frase, speravo potesse colpire anche voi! Sì gli agganci di Chuck sono davvero utili. Quanto alla tua supposizione non svelo nulla, anche se mi ha colpita, complimenti.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Probabilmente nessuno si ricorderà di questa storia, ma visto che ci tengo molto ho scritto un nuovo capitolo, aggiornandola.
Siccome non avevo progettato di tirarla per le lunghe pensò di aggiornare (tempo e ispirazione permettendo) in tempi abbastanza brevi.
Mi auguro che qualcuna la segua ancora, nonostante io l'abbia sospesa per la maturità.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacione, Ale.


Capitolo 8.

Cadde dal divano, provocando un rumore sordo nel salotto.
Chuck Bass, in passato, si era svegliato tra le braccia di una balia, raramente tra quelle del padre, più spesso circondato da ragazze di cui non ricordava nemmeno il nome, oppure in compagnia di Nate, dopo le serate più travolgenti.
Mai però si era svegliato con la faccia schiacciata su un persiano color panna, dopo una caduta tutt'altro che piacevole.
Per fortuna aveva avuto la prontezza di atterrare con le mani davanti al viso, evitando di rompersi il setto nasale, nel migliore dei casi.
Maledetta Waldorf che lo aveva costretto a dormire su un divano che, per quanto pregiato e morbido, lo aveva tenuto sveglio per buona parte della notte.
A fatica si puntellò sul tappeto con le mani, tentando di rialzarsi senza provocare nuovo dolore alla schiena già martoriata.
Sistemò la coperta con cui aveva inutilmente tentato di scaldarsi nelle ore precedenti e si diresse verso il bagno al piano terra, riservato alle incombenze minori.
Guardandosi allo specchio quasi non si riconobbe, vedendo i capelli spettinati e le occhiaie marcate che, in vicinanza agli zigomi pallidi, lo rendevano uno zombie.
Cercò di darsi un contegno veloce prima di tornare in salotto dove recuperò la sua roba, quella poca che gli era stato concesso di estrarre dalla valigia la sera precedente, e si diresse alle scale per salire al piano superiore, dove avrebbe trovato una sistemazione più congeniale.
Girò la maniglia di una porta, non ricordando a quale stanza immetteva, ma la trovò chiusa a chiave e dovette rinunciarvi.
Finalmente, dopo aver oltrepassato un'altra camera, dove probabilmente dormiva Dorota, giunse in quella riservata agli ospiti, riconoscibile per quell'aria un po' asettica che regna sempre in una stanza dove non si vive se non in periodi rari e di breve durata.
Lasciò il borsone ai piedi del letto matrimoniale, coperto da una ricamata coperta nelle tinte dell'azzurro e si avviò verso il bagno collegato a quella camera, in modo che gli ospiti non dovessero adeguarsi ai ritmi dei padroni di casa.
Ruotò il pomello dell'acqua calda all'interno della doccia e tornò a spogliarsi, abbandonando il pigiama su una sedia.
La doccia lo aiutò a rilassarsi ed a recuperare le forze perse il giorno prima, nel tour de force che lo aveva coinvolto fin dalle prime ore della mattina, riportandolo nella sua città natale.
Si avvolse in un morbido asciugamano cobalto e ritornò sui suoi passi, cercando alla rinfusa un maglione sufficientemente pesante per sopportare il rigido inverno newyorkese, a cui non era più abituato.
Quando fu completamente vestito si portò alla finestra, dove vide i grattacieli rivestiti da una nuova e fresca coltre di neve candida, caduta con tutta probabilità nella notte.
Si tolse le scarpe di pelle che aveva già infilato e indossò un paio di scarponcini, adatti alla fanghiglia che avrebbe trovato una volta sceso in strada.
In silenzio prese il cappotto e la sciarpa e si diresse verso le scale, ma un pensiero lo bloccò: voleva vedere lei, prima di uscire.
Tornò indietro fino a raggiungere una camera che conosceva benissimo, per averci trascorso molti pomeriggi in compagnia dei suoi migliori amici e numerose notti insieme a Blair, quando le cose tra loro non si erano ancora guastate nel peggiore dei modi.
Socchiuse leggermente la porta, attento a non provocare nessun cigolio, e per un attimo esitò, spaventato da qualcosa che non riusciva pienamente a spiegarsi.
Blair Waldorf dormiva serena nel suo ampio letto, con i capelli mossi che si aprivano sul cuscino, intorno al suo volto angelico.
In quei momenti della ragazza calcolatrice e cinica che lui conosceva non vi era nulla, se non un leggero sorriso dall'aria furba che le increspava le labbra; per il resto Blair sembrava indifesa, persino fragile nel modo in cui stringeva al petto le coperte.
Per un attimo Chuck fu tentato di avanzare fino al letto e sedersi ai suoi piedi per osservala più da vicino, come era abituato quando si svegliava prima di lei in passato, ma si trattene: il loro rapporto era mutato radicalmente e lui non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi in quella stanza, in quella città, se solo avesse dato retta al cervello piuttosto che ad una stupida curiosità da ragazzino.
Si allontanò velocemente, come se stare un secondo di più avrebbe potuto compromettere la situazione, e tornò al piano terra, dove chiamò l'ascensore.
Salutò cordialmente il portiere all'ingresso del palazzo e uscì all'ara gelida di dicembre che penetrò fin sotto il suo pesante cappotto, provocandogli un brivido inaspettato.
Percepì il cellulare vibrare nella tasca destra e lo estrasse velocemente, senza controllare lo schermo.
< pronto? > disse tranquillo.
< charles? > replicò una voce femminile dal timbro cristallino.
< sì sono io, Genevieve > rispose il ragazzo, continuando a camminare sul selciato viscido per il ghiaccio.
< come va a Londra? > gli chiese la moglie.
Il giovane alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo che minacciava pioggia, con una smorfia di disappunto.
< sono a New York > precisò, cercando di non apparire frustrato.
Sua moglie non si ricordava nemmeno dove era diretto quando l'aveva lasciata la mattina precedente, non che normalmente venisse degnato di particolare attenzione.
< sì scusami hai ragione > ammise lei, senza apparire minimamente dispiaciuta, < mi ero confusa >.
Confusa con chi, avrebbe voluto sapere Chuck, ma non espresse a parole il suo dubbio.
< tutto normale lì a Parigi? > domandò il ragazzo per fare conversazione.
< non sono a Parigi, Charles, ma ad Avignone > .
< ad Avignone? > indagò il giovane, < perchè? >.
Sentì un sospiro spazientito dall'altra parte del telefono, come se si trattasse di qualcosa di ovvio che lui avrebbe dovuto necessariamente sapere.
< ci vado ogni tre mesi per curare il mio corpo > sottolineò la donna, vedendo che lui aspettava ancora una risposta.
< capisco > asserì il ragazzo, < passa una buona giornata al centro benessere allora > le augurò con voce atona.
Chiuse la telefonata senza aggiungere altro, come se avesse parlato con un cliente piuttosto che con sua moglie: niente smancerie tra di loro, così aveva deciso Genevieve, e lui vi si atteneva.
Finalmente avvistò il bar che ricordava fare un buon caffè e vi entrò, percependo subito il calore del locale, affollato da numerosi avventori, vista l'ora.
Si avvicinò al bancone, approfittando del posto lasciato da una signora di mezza età che si era appena alzata, e ordinò un caffè forte per lui e un macchiato con una punta di caramello caldo per Blair.
< caramello? > chiese il barista perplesso.
< sì una punta di caramello al posto dello zucchero > precisò il giovane, sapendo che quella richiesta poteva risultare assai strana.
L'uomo si spostò per preparare quanto richiesto e Chuck ebbe modo di voltarsi ed osservare l'ambiente, che ricordava diverso. Certo il bancone era sempre nella stessa posizione centrale, ma qualche modifica doveva essere stata approntata sia alle pareti sia al design dei tavoli, che trasmettevano un'atmosfera assolutamente all'avanguardia.
< ecco a lei > lo richiamò il barista, ponendogli davanti due bicchieri di carta con relativo coperchio, dal quale usciva una leggera scia di fumo bianco, ad indicare l'elevata temperatura della bevanda.
Facendo attenzione a non rovesciarsi addosso il caffè bollente cadendo su una lastra di ghiaccio il giovane ritornò verso l'appartamento di Blair a passo spedito, così da non farlo raffreddare eccessivamente.
Quando l'ascensore si aprì sul salotto di casa Waldorf Chuck seppe che la ragazza si era alzata, perchè sentì qualcuno trafficare in cucina, sui fornelli.
Arrivò sulla porta senza fare alcun rumore e lì si fermò per guardare Blair che trafficava con una moka dalle dimensione ridotte, posta sul fuoco.
< dai, funziona > la incitò Blair, battendo una mano sul piano di marno bianco al suo fianco, < muoviti! >.
Il giovane sorrise, pensando a quanto la ragazza fosse priva di esperienza manuale, dal momento che aveva sempre avuto Dorota al suo fianco, pronta a correre ad ogni sua insignificante necessità.
< non c'è né bisogno > asserì Chuck e vide la giovane sobbalzare spaventata prima di voltarsi verso di lui.
Alzò i due bicchieri in un messaggio evidente e riportò lo sguardo sulla caffettiera che iniziava ad emettere suoni inquietanti.
< ce l'avrei fatta > sottolineò Blair, sollevando il mento come faceva in tutte le occasione in cui le sue doti venivano messe in discussione.
Il ragazzo non replicò, limitandosi ad allungarle il suo caffè.
< con il caramello > precisò, mentre la giovane lo prendeva.
Blair non disse nulla, anche se il caramello le dava la nausea appena ne percepiva l'odore.
Erano anni che non prendeva più il caffè in quel modo. Cinque anni, per la precisione.
Nonostante queste premesse avvicinò comunque il bicchiere alle labbra, bevendone un sorso.
Il liquidò caldo le bruciò leggermente il palato prima di scorrere attraverso la gola, verso lo stomaco.
E Blair Waldorf dovette ricredersi: era ottimo.
Sollevando lo sguardo verso il giovane capì il motivo per cui aveva abbandonato quell'abitudine: il caramello non aveva nessuna colpa.



Spazio autrice:

-mary: grazie mille per i complimenti, mi fa piacere pensare che tu ti immagini le scene e ti diverti..spero che tu abbia letto anche questo capitolo e che ti sia piaciuto ugualmente..

-vale: anch'io adoro i loro continui bisticci, perchè nascondono un legame forte..

-blair: una delle migliori che tu abbia letto? mi onori sul serio, fin troppo.. spero che tu abbia apprezzato anche questo capitolo, nonostante io sia un po' arrugginita..

-marta: ma io ti adoro, tu non rompi mai, figurati!

-sara: ahah, il tuo commento è bellissimo e mi fai talmente tanti complimenti che stento a credere di meritarli sul serio..spero che qui o di là continuerai a leggere la storia..

-chocola: spero che il continuo ti abbia soddisfatta XD

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Ciao ragazze! Non sapete che piacere immenso vedere che vi ricordate di questa storia e che vi siete affezionati ad essa XD
Ho postato in fretta perchè fino a fine settimana sarò via e non potrò scrivere.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e di trovare i vostri commenti.
Un bacio, Ale.


Capitolo 9.

Il locale era impregnato dal pungente odore di fritto, che fece arricciare il naso del giovane seduto ad un tavolo in disparte rispetto agli altri avventori, per lo più camionisti di passaggio.
Avrebbe desiderato avere ancora a disposizione la propria limousine come in passato e non aver dovuto prendere uno stupido pullman di linea, affollato di casalinghe, bambini e anziani che provocavano un rumore fastidioso già dopo pochi minuti.
Con la forchetta, come se si trattasse di un animale pericoloso e orripilante, mosse la bistecca che si trovava davanti a lui, al centro di un piatto spartano dalla fattura ordinaria, tipico di quei luoghi di ristoro sorti sulla strada, privi di qualsiasi ricercatezza.
Fosse stato per lui non vi avrebbe mai messo piede, ma la necessità di mangiare incombeva su di loro e avevano approfittato del cambio di mezzo per mandar giù un boccone.
Addentò di malavoglia un pezzo di carne, cercando di non prestare attenzione al sapore disgustoso che avvertì sul palato.
< Tutto bene, signore? > chiese un cameriera piuttosto attraente sfilandogli accanto.
Chuck Bass avrebbe voluto dire che non andava affatto tutto bene, che quel pranzo si stava rivelando uno dei peggiori a memoria d'uomo, ma annuì distratto, per non offendere la volontà che quelle persone mettevano nello svolgere il proprio lavoro.
Guardò l'orologio e si accorse che erano passati quasi dieci minuti da quando Blair si era alzata per andare in bagno, abbandonando la sua insalata, dall'aspetto poco appetitoso, sul tavolo.
Possibile che avesse trovato tante persone che avevano avuto la sua stessa idea?
Pensò per un attimo di alzarsi e andare a controllare ma si fermò in tempo per evitare di ricadere negli sbagli del passato, di ritornare a prendersi cura di lei come un fidanzato.
Blair Waldorf era adulta ormai, una donna indipendente e in grado di gestire i propri problemi anche senza il suo aiuto.
Una vocina, venuta da chissà dove, gli suggerì che la ragazza non doveva cavarsela sempre così bene se aveva dovuto cercare lui, dall'altra parte dell'Oceano, ma Chuck la zittì non prestandole ascolto.
Allungò una mano verso il bicchiere di vino che si era fatto portare poco prima nel tentativo di diluire il sapore della bistecca e ne bevve un sorso, non riuscendo a nascondere una smorfia.
Forse avrebbe fatto meglio ad accettare un bicchiere di caffè caldo come gli altri avventori, senza ricercare un vino decente in un posto che non riusciva nemmeno ad offrire un pasto accettabile per i suoi standard.
Guardò di nuovo l'ora, perplesso: Blair si era assentata da troppo tempo.
Alzò una mano per richiamare la cameriera che si era occupata del loro tavolo e quella arrivò velocemente.
< Mi fa un favore? > le chiese il giovane con cortesia.
La ragazza annuì, aspettando di sapere di che cosa si trattava.
< Può controllare se nei bagni vi è una donna sui venticinque anni, castana, che si chiama Blair? > precisò, allungandole dieci dollari di mancia.
Si lasciò cadere sullo schienale rigido della sedia, aspettando che la cameriera ritornasse da lui, per informalo che la sua compagna di viaggio stava bene, che lui si stava preoccupando per nulla, come non avrebbe dovuto fare.
Bevve un nuovo sorso di vino, tentando di distendere i nervi.
All'improvviso gli ritornò in mente il passato, quando aveva scoperto che Blair aveva sofferto di bulimia, senza che lui lo sapesse, senza che nessuno lo sapesse, nemmeno Serena, che trascorreva la maggior parte del tempo con la sua migliore amica.
Era stato uno shock: la splendida e sicura Queen B. aveva un punto debole, non era intoccabile come appariva. Quando l'aveva rivista, dopo quella rivelazione, si era accorto dei tratti più fragili della ragazza, quelli che ad un osservatore poco attento sfuggivano: da allora si era ripromesso di starle accanto, di esserle vicino, per non permetterle di ricadere di nuovo in quel tunnel di sofferenze inferte al proprio corpo, alla propria anima.
Una mano sulla spalla lo riscosse dalle divagazioni da cui si era lasciato trasportare e Chuck vide la cameriera in piedi davanti a lui, con espressione dispiaciuta.
< La sua amica non si trova nei bagni > gli confidò, avvicinandosi alla sedia.
Il ragazzo la ringraziò e rimase ancora un attimo fermo in quel posto, chiedendosi se Blair non fosse stata così furba da non farsi trovare: non era una principiante, poteva benissimo eludere il tentativo di quella giovane poco avveduta.
Si alzò lentamente, con un atteggiamento del tutto ordinario, che non lasciava trapelare nemmeno una goccia della preoccupazione che gli intasava i polmoni, come acqua salata.
Arrivato davanti ai bagni entrò in quello femminile, discreto, senza farsi vedere da nessuno.
Davanti a lui vi erano una serie di cabine, mentre sulla parete opposta campeggiava un lungo specchio posto sopra i lavandini bianchi.
Una signora si voltò e lo guardò con accusa, ma il giovane la ignorò, proseguendo nella sua ricerca.
Si abbassò sulle gambe per vedere se qualcuno occupava uno dei tanti scompartimenti, ma non vide nessuna traccia di Blair o delle sue cose.
In quel bagno non c'era, aveva ragione la cameriera a cui si era rivolto.
Possibile che avesse lasciato quel locale da sola, abbandonandolo al suo pranzo, dopo che lo aveva pregato di accompagnarla?
Uscì di nuovo nel salone e lanciò uno sguardo al suo tavolo, nella vana speranza di trovarvi la ragazza seduta impeccabilmente, a gustare la sua insalata con tonno.
Non era tornata e non sapeva dove si fosse cacciata mentre lui era stato così stupido da lasciarla andare, come avrebbe fatto chiunque nella sua stessa situazione.
Prese il cappotto che aveva appeso alla parete dietro la sua sedia e si avvolse la sciarpa intorno al collo per uscire all'esterno, dove la neve aveva ricominciato a cadere silenziosa.
Qualche tir era parcheggiato sul piazzale sterrato, ora cosparso di pozzanghere e fango, su cui il nuovo manto bianco si stava posando.
Chuck si guardò intorno, parandosi gli occhi con la mano aperta, e la vide, rannicchiata su una panchina malandata vicino alla fermata del pullman che avrebbero dovuto prendere da lì a quindici minuti.
In fretta si diresse verso di lei che in quel momento sollevò gli occhi vedendolo, prima di distogliere lo sguardo e riportarlo sulla strada.
< Che diavolo fai qui, Waldorf? > domandò il giovane stizzito appena le arrivò vicino.
Blair non gli diede risposta, continuando ad osservare un punto indefinito, perso tra i campi innevati che fiancheggiavano il selciato.
Il ragazzo la scosse, costringendola ad incontrare i suoi occhi preoccupati, nonostante il viso fosse imperturbabile come sempre.
< Perchè sei qui fuori al freddo? > chiese di nuovo.
< Avevo bisogno di schiarirmi le idee > rispose sibillina.
Chuck si sedette accanto a lei e per un secondo pensò di metterle un braccio sulle spalle, per riscaldarla con il calore del proprio corpo, ma si trattenne, limitandosi a fissarla.
< Non so se ho fatto la scelta giusta > ammise torturandosi freneticamente le mani.
< Riguardo cosa? > si informò il giovane.
Sentì lo stomaco contorcersi al pensiero che lei si fosse pentita di averlo cercato, di aver voluto il suo aiuto, ma scacciò quella sensazione completamente fuori luogo: avrebbe dovuto essere felice di poter ritornare a Parigi prima del previsto.
< Henry Smith > disse semplicemente.
Chuck inarcò un sopracciglio, non credendo alle sue parole.
< Dov'è finita la regina, B.? > la incalzò pungente, deciso a scuoterla, < chi è questa codarda che ho di fronte? >.
Vide gli occhi della ragazza fulminarlo, mentre il suo viso assumeva la consueta aria di alterigia che lui conosceva perfettamente.
< Non osare Bass > gli intimò, alzandosi, < non osare accusarmi di scappare, quando tu lo hai fatto un'infinità di volte >.
Il giovane si alzò a sua volta, affiancandola e facendola voltare con uno strattone poco delicato.
< Ricordati chi ha scelto di fuggire cinque anni fa > le sputò addosso, arrabbiato.
Rivangare il passato era ancora doloroso, ma non le avrebbe permesso di farlo apparire colpevole, quando era stata lei ad aver paura, o forse ad essere più accorta.
Blair si divincolò dalla sua stretta, tornando all'interno del locale.
Posò sul tavolo una banconota da venti dollari e tornò sui suoi passi, trovando Chuck sulla porta che l'aspettava, osservando ogni sua mossa.
< Sono pronta per affrontarlo > ammise risoluta, sollevando il volto al cielo perlaceo, da cui la neve continuava a cadere.
In silenzio il giovane si portò al suo fianco, assecondando la scelta di Blair di porre un velo su quanto li riguardava: non erano in quel piazzale per affrontare ciò che era rimasto in sospeso tra loro.
Un pullman arrivò dalla curva, fermandosi di fronte alla banchina: destinazione Henryville, Pennsylvania.



Spazio autrice:

-marta: sei sempre presente, mi segui ovunque e mi lasci sempre dei commenti bellissimi e pieni di spunti..non posso dirti altro che grazie di cuore!

-vale: grazie per essere ancora qui a seguirmi!

-chocola: grazie per esserci ancora, sono felice che ti sia piaciuto quel pezzo!

-sigaretta: speravo di non essermi arrugginita, voglio credere alle tue parole XD

-juju: grazie, B. alle prese con oggetti quotidiani è strana :D

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