L'importanza di chiamarsi Waldorf di Lexi Niger (/viewuser.php?uid=56058)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
La serie di Gossip Girl mi ha coinvolto a tal punto da farmi immaginare
un futuro possibile per due dei miei personaggi preferiti.
Non è necessario aver visto nè la stagione uno,
nè la due per poter capire la storia, anche se alcune cose
si richiamano necessariamente alla serie.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura, sperando che questo mio
nuovo tentativo vi possa piacere e coinvolgere.
Aspetto qualche commento, anche negativo, lo sapete.
Un bacio, Ale.
L'importanza di chiamarsi Waldorf
Capitolo
1.
La lunga limousine nera, perfettamente lucida, arrestò la
sua corsa sul bordo di un ampio marciapiede, antistante un altissimo
grattacielo, nel quartiere finanziario di Parigi.
Lentamente la portiera si aprì, rivelando prima un piede
elegantemente calzato con scarpe di pelle bruna, lavorate a freddo, poi
un pantalone dal taglio classico, poco più chiaro, infine un
cappotto beige, che avvolgeva la figura di un giovane uomo.
Una volta sceso diede un cenno all'autista che si allontanò,
mentre il suo sguardo si alzava, portandosi su una scritta in corsivo
che campeggiava sulla vetrata qualche metro più in alto.
Bass's Company.
Alzò leggermente il bicchiere di caffè fumante
che teneva tra le mani, come brindando a tutto ciò che
possedeva e che lo rendeva fiero del lavoro svolto negli ultimi anni.
< Buongiorno Monsiuer Bass > lo salutò il
portiere, accorso all'ingresso per accoglierlo come ogni mattina con il
giornale del giorno.
Lo salutò con il capo, dirigendosi verso gli ascensori, sul
lato destro dell'ampia hall dell'edificio.
Un paio di persone lo indicarono, riconoscendo, mentre le porte
dell'ascensore si aprivano, rivelandolo vuoto.
Per fortuna,
pensò l'uomo tra sé e sé. Odiava le
conversazione forzate, soprattutto a quell'ora del mattino, quando era
piuttosto intrattabile.
Alcune abitudini del passato, nonostante tutti i suoi sforzi,
rimanevano saldamente ancorate a lui, e fra queste c'era senza dubbio
il piacere di dormire fino a tardi.
Un fastidioso tintinnio annunciò che era arrivato all'ultimo
piano, al suo ufficio.
Aspettò di poter uscire e come d'abitudine si diresse verso
la scrivania della sua segretaria personale, non prestando particolare
attenzione al resto dell'ambiente.
Dopotutto essere il capo aveva dei vantaggi e Chuck Bass non aveva
alcuna intenzione di non usufruirne.
< Buongiorno Anabel > disse, poggiandosi con i gomiti ad
un sottile ripiano di vetro, rialzato rispetto al tavolo di legno, come
un bancone.
Una signora di spalle, intenta a controllare il vano per la carta di
una fotocopiatrice, si voltò al suono della sua voce,
sorridendogli.
< Buongiorno Monsieur Bass > lo salutò a sua
volta, < notizie interessanti stamane? > chiese,
occhieggiando il rotolo di carta che il giovane teneva nella mano
sinistra.
Quest'ultimo alzò le spalle, prima di risponderle.
< Non l'ho ancora sfogliato, Anabel. Lo farò appena
avrò terminato il caffè >.
Anabel lo guardò complice, concentrandosi sul bicchiere di
carta appoggiato davanti a lei.
< La scrivania è già stata sistemata
> annunciò sibillina, strizzandogli l'occhio.
Il ragazzo annuì, voltandosi verso una porta di vetro
satinato, contornato da una cornice di ottone, battuto con uno
scalpello per ottenere lievi ombreggiature che conferivano all'insieme
una ricercata eleganza.
< A dopo > concluse, mentre già stringeva tra
le mani il pesante pomello.
La luce all'interno della sala filtrava attraverso le vetrate alle
spalle della sua scrivania, che occupava il centro della parete opposta
a quella d'ingresso.
Si avvicinò, lasciandosi cadere nella comoda sedia di pelle
che aveva personalmente scelto, spendendo un intero pomeriggio dal suo
arredatore.
Il cielo di dicembre, quella mattina, appariva pumbleo, di un grigio
talmente uniforme da non sembrare reale.
Tornò ad osservare la sua scrivania, notando un piattino di
ceramica con alcuni biscotti di pastafrolla, decorati con un leggero
strato di cioccolato alle nocciole, secondo le sue preferenze.
La tazza di the al gelsomino era assente, così come gli
aveva anticipato la segretaria.
Chuck Bass sorrise.
Sua moglie poteva decidere ogni cosa quando erano a casa, semplicemente
per il fatto che a lui non importava nulla della disposizione dei
mobili o dell'elenco degli invitati ad una festa, ma non avrebbe mai
potuto privarlo del suo caffè mattutino, un'altra delle
abitudini della sua vecchia vita a New York.
In fin dei conti, se Genevieve non aveva voglia di alzarsi presto la
mattina e tenergli compagnia durante la colazione, come una qualsiasi
coppia di marito e moglie, non poteva nemmeno costringerlo a seguire le
sue scelte.
Il the al gelsomino proprio non era tollerabile a quell'ora, nonostante
lei lo esaltasse come una tra le bevande più salutari.
Terminò l'ultimo biscotto, eliminando con una passata le
briciole rimaste sui pantaloni che indossava, e afferrò la
pila di carte appoggiate sotto una statuetta di cristallo a forma di
cigno.
Nemmeno si ricordava da dove proveniva quell'oggetto, ma era tornato
utile come fermacarte e quindi lo aveva tenuto.
Dopo qualche foglio inutile, che gli presentava il verbale delle
riunioni dei soci dell'ultimo mese, trovò il documento che
cercava e che aspettava da qualche giorno.
Un insieme di grafici occupava due fogli, interpretando lo stesso
fenomeno secondo diversi parametri e approssimando un possibile
andamento futuro, secondo i metodi di analisi dei suoi dipendenti.
Sollevò la cornetta del telefono al suo fianco,
digitando il numero uno per poi riattaccare.
Qualche istante e un lieve bussare alla porta lo avvisò che
la chiamata era arrivata al destinatario.
< Avanti > ordinò, mentre distendeva le gambe,
incrociandole all'altezza delle caviglie.
La testa riccioluta di Anabel fece capolino oltre lo stipite, per poi
presentare tutta la sua figura.
Sua moglie non gli aveva concesso di avere una segretaria personale
giovane e attraente, che lavorasse al suo fianco ogni giorno, disposta
ad assecondare qualsiasi richiesta, anche la più
capricciosa, ma al contempo avere Anabel si era rivelato un vantaggio
inaspettato.
Era esperta, non commetteva errori e, cosa più importante di
tutte, non lo irritava con sciocche uscite, permettendogli di
trascorrere la giornata in ufficio con serenità.
< Mi chiami Williamson > le chiese, prima di congedarla.
Tornò a concentrarsi sulle colonne blu del primo istogramma,
osservando le cifre riportate sull'asse delle ordinate.
< Sì, Monsieur Bass? > domandò un
uomo brizzolato dalla porta.
Il giovane gli fece cenno di accomodarsi di fronte a lui, su una delle
due poltrone posizionate al di là della scrivania.
< Sono reali questi dati? > gli chiese, non appena
l'analista ebbe preso posto, sottoponendogli il foglio
affinchè lo leggesse con facilità.
A quest'ultimo bastò uno sguardo per riconoscere il proprio
operato e confermare.
< Proprio ieri è stato venduto un altro appartamento
del complesso residenziale che abbiamo costruito all'inizio di
quest'autunno. Un ricavato notevole, se mi è concesso
> continuò con voce seria.
Chuck Bass si rilassò considerevolmente a quella notizia.
Temeva che quel complesso potesse rivelarsi un fallimento, comportando
ingenti perdite, visto il capitale investito nella sua realizzazione.
< Il mercato immobiliare è in crescita, Monsieur, non
deve preoccuparsi. Saranno venduti in un mese, senza ombra di dubbio
> concluse, vedendolo pensieroso.
< Grazie Williamson, può andare > lo
congedò, riprendendo il documento e sistemandolo in una
cartella estratta dal cassetto al suo fianco.
Una volta rimasto solo, tirò un sospiro di sollievo,
finalmente libero di rilassarsi per una decina di minuti, prima di
occuparsi di un locale che voleva rilevare, salvandolo dalla bancarotta.
Aprì il giornale, scorrendo distrattamente gli articoli di
cronaca e quelli di politica, che insistevano su una scelta di qualche
giorno prima del presidente Sarkozy, invisa all'opposizione.
Fu una foto a bloccarlo prima che voltasse di nuovo la pagina, per
passare allo sport.
Ritraeva un'attraente stilista, affiancata da alcune modelle che
indossavano la sua ultima collezione.
La settimana della moda a Parigi.
L'aveva completamente scordato, nonostante sapesse l'interesse
spasmodico di sua moglie per quell'evento, a cui non rinunciava per
nessun motivo.
Ma delle ultime tendenze di quell'autunno gli importava ben poco.
Era il suo volto ad averlo paralizzato.
Chiuse di scatto il giornale, appallottolandolo e lanciandolo nel
cestino, un metro più in là.
Una reazione stupida e infantile, senza dubbio.
Ma il passato era passato e lui non aveva nessuna intenzione di tornare
ad affrontarlo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Ciao!
Eccovi il secondo capitolo, questa volta protagonista è
Blair.
Ringrazio le 77 persone che hanno letto il capitolo precendente e le 3
che hanno aggiunto questa storia tra i preferiti.
Non è che potreste lasciarmi un commento?! Oltre ad essere
piacevole in sè, un commento è anche molto utile
all'autore.
Bene, ora vi lascio.
A presto, Ale.
Capitolo
2.
Piccole dita esili si infilarono al di là del pesante
tessuto del tendone che la separava dalla passerella sulla quale, da
lì a poco, si sarebbero mosse le modelle, mostrando la sua
nuovissima collezione.
Due occhi bruni, curiosi, si spostarono nella sala, tra le eleganti
sedie preparate per opinionisti, giornalisti, fotografi e l'elite di
Parigi che avrebbe preso parte all'evento.
Un semplice pacchetto dorato faceva bella mostra di sé su
ciascuna di esse, invitando coloro che vi prendevano posto a scoprire
quale dono era stato riservato loro dal destino.
Per un istante, la giovane immaginò di tornare indietro di
qualche anno, quando non mancava mai alle sfilate della madre,
posizionandosi con Serena proprio dove ora si trovava lei, da sola.
Le mancavano entrambe, doveva ammetterlo, almeno con se stessa.
< Blair >.
Una voce la costrinse a voltarsi, abbandonando quelle sciocche
fantasticherie che la stavano distraendo, proprio all'alba di un
momento così importante per la sua carriera.
< Arrivo > annunciò, mentre recuperava il
controllo di sé.
Con passo svelto superò la porta che la portava alla sala
trucco, dove due lunghi tavoli, paralleli alle pareti, erano sormontati
da una tale vastità di cosmetici da fare invidia alla
più fornita profumeria.
< Vieni qui a vedere > la chiamò Laurel.
Quella che era stata per molto tempo l'assistente di Eleanor, ora era
al suo fianco, con la stessa precisione che aveva dimostrato con una
stilista molto più esperta come sua madre.
< Che ne pensi di quest'acconciatura? > chiese, indicando
lo chignon della modella bionda seduta di fronte a loro, che le fissava
attraverso lo specchio, attendendo il loro parere.
< Banale > confermò Blair, < ci
vorrebbe qualcosa di più elaborato. Meno classico, meno
conformista >.
Laurel le sorrise, come se fosse compiaciuta che la ragazza
condividesse la sua opinione.
Mentre la sua assistente richiamava l'attenzione del parrucchiere, che
avrebbe dovuto modificare l'acconciatura molto velocemente, visto
l'ora, Blair si spostò verso gli abiti, appesi ad un'asta di
metallo, nell'ordine in cui sarebbero dovuti comparire davanti al
pubblico quella sera.
Passò lentamente la mano sulle creazioni che lei stessa
aveva confezionato, con cura e meditazione, abbinando colori e tessuti,
adattando l'abito all'occasione per cui era stato pensato.
Si soffermò sull'ultimo, quello che avrebbe concluso la
sfilata, decretandone di fatto il successo o il fallimento.
Il tessuto di raso brillava anche alla poca luce che proveniva dagli
specchi alle sue spalle, risultando cangiante, dal blu al viola, in un
gioco di colore che alla ragazza sembrava delizioso.
La scollatura molto pronunciata sulla schiena era impreziosita da un
filo di brillanti che congiungeva le due estremità poco
sotto le scapole, esaltando la pelle diafana della modella che lo
avrebbe indossato.
Davanti il vestito era più accollato, con una fascia di
brillanti a sottolineare la curvatura del seno, riprendendo
così lo stesso motivo utilizzato per il posteriore.
Nonostante la lunghezza assicurasse un leggero strascico, la ragazza si
piegò ancora una volta ad esaminare un paio di sandali
argentati, dal tacco alto, ornati anch'essi da un filo di brillanti
intorno alla caviglia. Forse non si sarebbero visti per molto, ma erano
ugualmente importanti.
L'insieme trasmetteva una preziosità unica, specialmente
sotto la potente luce dei riflettori che avrebbero illuminato l'intera
sfilata.
Compiaciuta si sollevò, per tornare da Laurel che nel
frattempo aveva ispezionato il trucco di ogni modella, decretandolo
adatto.
< Siediti qui > dichiarò appena Blair le fu
vicina, indicandole una sedia.
La giovane vi prese posto, mentre l'assistente le posava le mani sulle
spalle, nel tentativo di trasmetterle sicurezza.
< Andrà tutte bene > cercò di
convincerla, fissando i suoi occhi nello specchio.
Blair annuì, pur mantenendosi qualche riserva per se stessa.
Dopotutto era la sua prima settimana della moda a Parigi, considerando
che quella dell'anno precedente era stata preparata quasi per intero da
Laurel, vista la sua poca esperienza in materia.
Waldorf era un marchio di prestigio, conosciuto in tutto il mondo, e
Blair aveva acconsentito a mettersi in secondo piano per la buona
riuscita della sfilata.
Ma adesso la situazione era completamente diversa, la ragazza conosceva
alla perfezione il suo compito e si era assunta le
responsabilità di quell'evento.
Un truccatore arrivò velocemente per sistemarle il trucco,
passandole uno strato leggero di ombretto dorato sulle palpebre,
sottolineando il contorno occhi con della matita nera.
< E' ora > annunciò Laurel, invitandola a
raggiungerla, dietro al pesante tendone, per controllare che ogni
modella fosse esattamente come lei desiderava prima che questa uscisse
in passerella.
La sfilata iniziò con degli abiti da giorno, pensati per un
the in compagnia della amiche o per un bruch. Il pubblico sembrava
gradire la scelta di coloro caldi, autunnali, nei maglioni
così come nei soprabiti. Ogni ornamento era studiato per
abbinarsi perfettamente agli indumenti e metterne in risalto la fattura
pregiata.
La giovane si torturava le mani, osservando le modelle rientrare
sorridenti, mentre altre uscivano, in una continua ruota dalle mille
tonalità differenti.
< Ha successo > le sussurrò Laurel, sentendo
espressioni di gradimento delle persone vicine al tendone.
Blair tirò un sospiro di sollievo, pensando che ancora una
volta si era dimostrata degna di quel ruolo così importante,
che aveva assunto ancora molto giovane, suscitando l'invidia di
centinaia di sue coetanee che ambivano a raggiungere la sua posizione.
Davanti a lei si mosse la bionda modella che indossava l'abito
conclusivo, quello per cui lei aveva speso intere settimane, porgendo
attenzione ad ogni singolo dettaglio, eliminando fogli su fogli di
schizzi differenti, prima di giungere alla scelta definitiva.
Incrociò le dita dietro alla schiena, vergognandosi al
contempo di quella dimostrazione di insicurezza.
Appena la passerella fu completamente vuota, l'ultima indossatrice fece
il suo ingresso, nell'atmosfera trepidante che si creava tutte le volte
che una sfilata stava per concludersi, proprio come ricordava da quando
era piccola.
Sentì chiaramente alcune sedie strisciare sul pavimento di
marmo dell'ampio salone, indice che alcuni si erano alzati, e i flash
insistenti dei fotografi che immortalavano da prospettive diverse il
suo capolavoro.
Applausi.
Blair Waldorf smise di respirare, trattenendo a fatica le lacrime di
gioia che le inumidivano gli occhi, mentre tutte le modelle si
disponevano ai lati della passerella, aspettando il suo ingresso,
presentato da Laurel che l'aveva anticipata, in qualità di
assistente capo.
Con passo sicuro si mosse tra quelle bellezze statuarie al suo fianco,
regalando sorrisi compiaciuti a quel pubblico che l'applaudiva con
insistenza, facendole i complimenti.
I fotografi si accalcarono alla base, spintonandosi per ottenere una
posizione migliore per immortalare una delle più giovani
stiliste che avevano avuto repentino successo nel panorama della moda
internazionale.
Tra la folla scorse qualche sua conoscenza, soprattutto grazie a sua
madre, ma non vide suo padre e Roman, nonostante li cercasse anche
nelle file più dietro, nascoste dal caos dei giornalisti.
Una punta di tristezza si impossessò per un attimo del suo
viso, sciogliendo quel sorriso soddisfatto che aveva mostrato,
orgogliosa del suo successo.
Quale vittoria si può festeggiare se sì
è soli, senza nessuno con cui condividerla?
Con qualche cenno di saluto, d'obbligo, si allontanò dalla
passerella, lasciando che i fotografi si concentrassero di nuovo sulla
sua collezione, garantendone la massima pubblicità possibile.
Alla fine non doveva vendere se stessa, quindi avrebbe potuto benissimo
tornare dietro le quinte.
Mentre si specchiava, sistemandosi un ciuffo ribelle che era scivolato
dall'acconciatura che aveva scelto per l'occasione, il suo cellulare
cominciò a squillare, facendola sobbalzare leggermente per
la sorpresa.
Lo raccolse, osservando il numero.
Mr. Barrell
< Pronto? > rispose, accostandosi l'apparecchio
all'orecchio, per potere udire le parole del suo legale attraverso il
rumore presente.
< Parlo con Blair Waldorf? > chiese quest'ultimo,
accertandosi della sua identità.
La ragazza confermò, prendendo posto su una sedia al suo
fianco.
< Ho indagato su quanto mi aveva richiesto >
continuò.
Blair, che si stava rimettendo il rossetto, lo abbandonò sul
ripiano, senza nemmeno curarsi di chiuderlo.
La sua attenzione era tutta rivolta all'interlocutore e alla notizia
che aspettava da molto tempo, con ansia.
< Non esiste nessun Henry Smith, Miss > asserì
il legale, arrivando subito al punto.
La ragazza sentì il peso sul proprio cuore aggravarsi, non
sapendo come uscire da quella situazione, diventata ormai insostenibile.
< Ho capito. Ne è completamente sicuro? >
chiese, nel tentativo di ricostruire una seppur debole illusione.
< Sì, ho controllato svariate volte. Quel conto non
è intestato a nessuna persona reale > concluse.
Una sentenza definitiva quindi, a cui lei non poteva sottrarsi senza
apparire sciocca e ingenua.
< La richiamerò presto >.
Congedò Mr. Barrell, riponendo il cellulare nella sua borsa
di Prada.
< Qualcosa non va? > le domandò Laurel che si
era avvicinata senza che lei se ne accorgesse.
La ragazza le sorrise, nel tentativo di convincerla dell'esatto
contrario.
< No, è tutto a posto. Questo successo mi ha stordito
> ammise con aria semplice.
Se l'assistente avesse veramente conosciuto la vera Blair Waldorf non
avrebbe dato retta ad una simile scusa, ma fortunatamente Laurel
l'accettò, senza aggiungere altro.
< Esco a prendere una boccata d'aria > aggiunse la
giovane, recuperando il proprio cappotto e indossandolo.
Il cielo stellato all'esterno illuminava una fredda notte di dicembre,
senza riuscire a confortarla.
Ripensò più e più volte ad una
soluzione mentre lentamente si avviava al privè che si era
riservata, in un locale lì vicino, per festeggiare
l'eventuale successo insieme al suo staff.
Un volto le apparve, insieme alla certezza che quella persona avrebbe
saputo come aiutarla.
Se l'avesse voluto, s'intende, ed era proprio su questo che Blair
Waldorf nutriva i più sinceri dubbi.
Spazio autrice
Volevo ringraziare personalmente le due ragazze che hanno lasciato un
commento.
-Kaho_chan: sì i personaggi sono leggermente diversi,
considerando che in cinque anni si cresce molto. Nel caso andassi
decisamente OOC, segnalamelo.
-Valentina78: Grazie per i complimenti, spero di riuscire a meritarmeli
fino alla fine.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Ciao!
Eccovi il terzo capitolo, non so quando riuscirò a postare
il quarto, spero presto.
Nel frattempo che ne pensate di lasciarmi un commento?!
Ringrazio le 80 persone che hanno letto, le 4 che hanno commentato e le
4 che hanno aggiunto la storia tra i preferiti.
Continuate a seguirmi e a darmi un vostro parere!
Un bacio, Ale.
Capitolo
3.
Chuck Bass aveva imparato ad amare molte cose nel corso dei suoi
venticinque anni di vita.
Le sigarette, compagne fidate di molti pomeriggi trascorsi insieme a
Nate e di altrettante serate, circondato da ragazze sempre diverse.
Il caffè forte la mattina, prima di iniziare un'impegnativa
giornata di lavoro.
Un bicchiere di scotch nel silenzio del suo studio, tra le mura di casa.
Ma più di tutto, il giovane rampollo milionario amava
vincere.
Oh sì, perchè non si era mai bevuto il detto
“L'importante è partecipare”.
Il secondo non lo ricordava mai nessuno, non che suo padre gli
prestasse comunque attenzione, nonostante i suoi sforzi per soddisfarlo.
Ma Chuck Bass l'aveva resa una questione del tutto personale, al di
là della stima di un genitore troppo spesso assente
nell'adolescenza del figlio.
Così anche quel tardo pomeriggio, mentre si trovava in
quella stanza insonorizzata, dall'ampia parete di vetro, non pensava ad
altro che alla vittoria.
Non che per ottenerla fosse richiesta una fatica eccessiva, vista
l'abilità del cognato nello squash.
Colpì la palla di strisciò, mandandola contro la
parete opposta, all'interno delle due strisce rosse regolamentari.
Jacques Du Levre si mosse verso destra, ma non abbastanza velocemente,
lasciando un altro punto al giovane Bass.
< Quanto siamo? > chiese al ragazzo, mentre quest'ultimo
raccoglieva la pallina dall'angolo in cui si era fermata.
< Manca un solo punto > precisò lui,
pregustando già il dolce sapore del successo.
Per un paio di minuti infatti si era impegnato meno, dando
così la possibilità all'avversario di recuperare
alcuni punti di svantaggio, rendendo lo scontro più animato;
ma da quando aveva scelto di tornare in partita, giocando seriamente,
non c'era più stata gara.
Si asciugò il sudore con il dorso della mano, spostandosi
qualche ciocca di capelli dagli occhialini protettivi che indossava per
sicurezza.
< Pronto? > si assicurò prima di battere.
Non voleva certo guadagnarsi l'ultimo punto per distrazione del
cognato, rovinandosi la conclusione.
Lanciò con forza la pallina, che rimbalzò anche
sul muro bianco di sinistra, lasciando il segno della gomma con cui era
rivestita, per tornare a elevata velocità verso di loro.
Sorprendentemente Jacques rispose al colpo, costringendolo a correre
dall'altra parte per non sprecare il suo primo match point.
Ribattè come meglio riuscì, senza tuttavia
imprimere una direzione precisa alla palla, che per poco non
uscì dal campo regolamentare, invalidando il suo
contrattacco.
Sorrise, voltandosi, nel vedere lo stupore del cognato, sorpreso che
lui, a differenza sua, fosse stato capace di recuperare una situazione
sfavorevole.
La pallina toccò terra, decretando la sua vittoria,
l'ennesima.
Si tolse gli occhiali, tendendo la mano a Jacques che gliela strinse,
complimentandosi.
Insieme si avviarono verso gli spogliatoi dell'impianto, in fondo al
lungo corridoio che si estendeva davanti a loro.
< Stasera saranno presenti molti invitati? > gli
domandò il cognato, mentre si sfilava la maglia impregnata
di sudore, recuperando l'occorrente per una rinfrescante doccia.
Mentre rovistava nell'armadietto alla ricerca dell'asciugamano, Chuck
scrollò leggermente le spalle, del tutto indifferente a quel
dettaglio.
< Non lo so > tagliò corto, < ha
pensato a tutto tua sorella >.
Come al solito, avrebbe potuto aggiungere.
Sua moglie aveva l'abitudine di organizzare serate in casa loro senza
avvisarlo, o perlomeno, avvisandolo quando gli inviti erano
già stati spediti.
Ogni occasione era buona per dare mostra del proprio status economico,
sfoggiando la ricchezza dell'attico dei Bass, che occupava l'intera
superficie della sommità di una famosissimo centro
residenziale.
Si incamminò alle docce, situate lungo la parete opposta,
dove alcuni tramezzi rivestiti da piastrelle grigie separavano diversi
scompartimenti, aperti sul davanti.
Per un attimo si soffermò sul corpo nudo del cognato, che
nemmeno aveva avuto l'accortezza di voltarsi di schiena, mentre si
insaponava i capelli.
Quasi scoppiò a ridere per i pensieri che gli erano sorti in
quel frangente.
Decisamente Jacques Du Levre non era dotato sotto molti
aspetti, oltre allo squash.
Ridendo sommessamente, appoggiò l'asciugamano al suo fianco,
mentre con l'altra mano apriva l'acqua calda, immergendosi sotto il
getto appena questo fuoriuscì sopra di lui.
Cercò di impiegare il minor tempo possibile, conscio dei
rimproveri che avrebbe ricevuto se non fosse rincasato sufficientemente
in anticipo per prepararsi adeguatamente all'arrivo degli ospiti.
Ancora gocciolante si avvolse nel morbido panno di spugna, fermandolo
in vita e tornando al suo armadietto dove lo aspettava il cognato,
già completamente vestito.
< Credi che Genevieve si arrabbierà se
arriverò in ritardo stasera? > si informò
quest'ultimo, mentre il giovane recuperava i boxer.
< Non ne ho idea > gli rispose, mentre lasciava
accidentalmente cadere l'asciugamano ai suoi piedi, conscio dello
sguardo di Jacques su di sé.
Un'altra soddisfazione, seppur di poco conto, che il ragazzo si
prendeva: Chuck Bass non aveva difetti, almeno in quel campo.
Si infilò velocemente una tuta e una paio di scarpe da
ginnastica, indossando una cuffia sui capelli ancora umidi, per
combattere il freddo invernale che lo avrebbe investito uscendo.
I due giovani lasciarono l'edificio, salutando il proprietario del club
che entrava in quel momento, insieme ad un anziano amico.
< A più tardi allora > salutò Chuck
mentre apriva la portiera della limousine che lo attendeva sul
marciapiede, proprio come aveva richiesto.
Mentre si osservava distrattamente allo specchio, Chuck Bass
allentò la cravatta di seta blu che portava quella sera e
che gli stava provocando un enorme fastidio.
Genevieve aveva la naturale propensione a stringere troppo i nodi
intorno al suo elegante collo, come si trattasse di un cane e del
collare che lo teneva al guinzaglio.
Infastidito, tornò a voltarsi verso l'ampio salone,
illuminato da preziosi lampadari di cristallo, che diffondevano ovunque
una luce delicata.
All'improvviso, una serie di camerieri arrivarono dalla cucina,
portando un servizio di tazze di ceramica fumanti, teatralmente
disposte su vassoi d'argento intarsiati.
Il giovane sbuffò senza farsi notare dagli invitati, la cui
attenzione era stata calamitata interamente da quella novità
e dal suono cristallino della voce di sua moglie, che aveva posto fine
a tutte le conversazioni, iniziando un discorso.
< Miei cari ospiti > cominciò, e la sua voce
sembrava ambrosia, < non posso esprimervi la gioia di avervi
qui, nella mia casa, questa sera >.
Chuck Bass la guardava ammirato, mentre recitava la parte della
perfetta padrona di casa.
Dopotutto sua moglie, nonostante qualche difetto, aveva l'incredibile
capacità di fingere, la stessa abilità che lui
aveva esercitato da adolescente, senza farsi scrupoli.
< Davanti a voi > continuò, indicando i tavoli
sui quali le bevande erano state posate, < vi sono degli infusi
di erbe rilassanti, che vi aiuteranno a ritrovare l'equilibrio fisico e
psicologico >.
Le signore presenti, per la maggioranza socie del Club del Libro a cui
anche sua moglie era iscritta, annuivano, soddisfatte di quella
magnifica idea.
Gli uomini non erano esattamente dello stesso parere,
osservò il giovane, ma non osavano offendere la gentilezza
della padrona di casa.
< Niente alcolici quindi, ma essenze naturali > concluse,
raccogliendo una finissima tazza dai ricami floreali e porgendone una
anche a lui, che lentamente si era portato al suo fianco per mostrare
che condivideva il pensiero della consorte.
Gli ospiti fecero lo stesso e insieme brindarono a quella riunione di
amici, che di fatto non condividevano nessun significativo rapporto,
come era d'obbligo per i membri dell'alta società.
Appena possibile, si defilò velocemente, lasciando la moglie
alle chiacchiere delle anziane signore al suo fianco.
< Questa volta non ho potuto evitarvela >
esordì Anabel che gli si era avvicinata, indicando la tisana
che ancora teneva tra le mani.
< Non vi preoccupate, Anabel, me ne sbarazzerò da
solo > le rispose, strizzandole l'occhio.
Anabel rise della sua imprudenza, mentre il giovane si voltava,
tentando di raggiungere indisturbato il suo studio.
Del tutto involontariamente, va sottolineato, lasciò cadere
il contenuto della tazza nel vaso di una costosa pianta all'angolo
della sala, dopo aver verificato che nessuno lo stesse guardando.
Sarebbe stato da egoisti privare quel vegetale della squisitezza di
quella bevanda naturale, Chuck Bass se ne rendeva perfettamente conto e
aveva voluto porvi rimedio.
Finalmente raggiunse la stanza e vi entrò, dirigendosi verso
un basso mobiletto di legno massiccio, dove teneva la sua riserva
personale di scotch invecchiato.
Recuperò un bicchiere di cristallo con una mano, mentre con
l'altra apriva la sottile bottiglia di liquido ambrato.
< Non dovresti bere quella roba > sottolineò
una voce alle sue spalle, costringendolo ad interrompersi.
Il giovane si voltò verso il cognato, con tutta l'intenzione
di mandarlo al diavolo, ma riuscì a trattenersi, offrendogli
un sorriso quanto mai tirato.
< Tu non saresti dovuto arrivare in ritardo, ma lo hai fatto
> replicò acido, invitandolo silenziosamente ad
andarsene e a lasciarlo per qualche minuto nell'assoluto silenzio della
sua stanza preferita.
< Touchè > constatò Jacques,
alzando le spalle.
< Fossi in te non farei aspettare tua sorella >
continuò il ragazzo, < potrebbe alterarsi
più di quanto non lo sia ora >.
Sul viso del cognato passò un lampo di preoccupazione e
Chuck Bass capì di aver toccato il tasto giusto.
< Hai ragione, sarà meglio che vada a salutarla
> ammise l'altro, mentre si chiudeva la porta alle spalle e
salutava il giovane che si stava versando lo scotch, del tutto
intenzionato ad abbandonare gli ospiti per qualche minuto.
Mentre ritirava la bottiglia sentì la porta alle sue spalle
cigolare di nuovo.
< Che problema hai ora da non poter aspettare di là?
> chiese frustrato, mentre recuperava il bicchiere per godersi
un lungo sorso.
Per poco il prezioso cristallo non gli scivolò tra le dita,
infrangendosi sul costoso tappeto ai suoi piedi, quando scorse la
figura snella appoggiata al muro della parete opposta.
< E tu per assentarti ad un ricevimento tenuto a casa tua?
> domandò la giovane donna, perplessa.
Spazio
autrice:
Allora che ve ne è parso della figura di Chuck in veste di
cognato e coniuge? E di questa apparizione finale?
-vale: grazie mille, sono felice che ti piaccia il mio stile e che
riesca a catturare l'attenzione.
-prometeo: non pensavo di riuscire a descrivere bene Blair,
è difficile non storpiare una figura complessa come la sua,
spero di continuare a farcela. Grazie!
-kaho: anche a te è piaciuta Blair? Come sono felice!
Sì dovrai aspettare per saperlo, me sadica che non rivela
nulla XD
-fanny: io amo scrivere seguendo il punto di vista di entrambi i
personaggi, non sempre s'intende, ma mi piace e sono contenta che tu
abbia apprezzato questa scelta. Per tutti i tuoi interrogativi dovrai
aspettare lo sviluppo della storia, presto si chiariranno.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Ciao!
Eccomi qui con una nuovo capitolo. Vi confesso che ci ho messo molto ad
elaborarlo per non tradire l'indole dei personaggi, spero di esserci
riuscita.
Mi lasciate un commentino?
Grazie a presto.
Capitolo 4.
Odiava trovarsi in situazioni che non poteva prevedere e di cui non
aveva cercato le soluzioni.
In quel caso, poi, non avrebbe nemmeno potuto ordinare a qualcun altro
di rimediare al suo posto, visto che in quella stanza c'era solo lui,
se si escludeva la causa di ogni sua preoccupazione, ovviamente.
< Speravo non fossi mio cognato > rispose alla
perplessità della sua uscita precedente, carica di
frustrazione.
Blair Waldorf fece finta di osservarsi, come se non conoscesse il
proprio aspetto, al solo scopo di innervosirlo.
< Direi che sei stato fortunato. Benchè tuo cognato
possa avere fattezze effeminate, non credo mi somigli > sorrise
compiaciuta di averlo spiazzato.
Chuck Bass buttò giù in un sorso le due dita di
scotch che si era versato, tentando inutilmente di recuperare il
controllo della situazione.
Il liquido ambrato gli bruciò la gola, impedendogli di
ribattere subito.
< Avrei voluto rimanere solo > sottolineò
appena riuscì, con voce leggermente roca.
Sperava che lei recepisse il messaggio e se ne andasse dal suo studio,
che aveva cominciato a sembrargli troppo piccolo ed eccessivamente
caldo.
La ragazza si voltò, avvicinandosi alla porta, e il giovane
tirò un sospiro di sollievo: gli pareva impossibile aver
ottenuto ciò che voleva, senza nemmeno una flebile protesta
da lei, di cui conosceva la testardaggine.
Si voltò verso il mobiletto alle sue spalle, deciso a
festeggiare il successo con un altro po' di liquore, d'altronde lei non
aveva salutato, quindi lui era autorizzato a fare lo stesso.
Il suono che sentì, tuttavia, e che lo bloccò
all'istante, non fu quello di una porta che si chiude, ma di una chiave
che ruota nella serratura, emettendo un sonoro tac al termine del giro.
< Che diavolo fai? > chiese, voltandosi immediatamente
verso la ragazza.
Lei sorrise, compiaciuta, infilando la chiave nella borsa che portava
al braccio, del tutto indifferente al suo disappunto.
< Non me ne andrò così facilmente >
confermò, mentre prendeva posto in una poltrona di pelle al
centro della stanza, invitandolo a fare lo stesso, per avere una
conversazione civile.
< Ho una festa a cui è richiesta la mia presenza,
purtroppo non ho tempo da dedicarti > replicò,
avvicinandosi allo schienale della poltrona, rimanendo comunque in
piedi, come se questo gli garantisse un qualche margine di vantaggio.
< Non mi sembrava ti entusiasmasse l'idea >
sottolineò lei, sapendo di avere ragione.
< No, infatti, ma ho dei doveri da rispettare > ammise
lui, cercando di nascondere quanto questo aspetto della vita
matrimoniale gli andasse stretto.
< Una volta non l'avresti mai detto e le tue feste non sarebbero
sembrate ritrovi di ricreazione per anziani >
continuò la giovane, stupita dalle sue parole.
Chuck Bass sorrise, quasi nostalgico, celandosi dietro al cristallo che
si portò alle labbra, meccanicamente, per guadagnare secondi
preziosi.
< Le persone cambiano > confermò, una volta
assicuratosi di essere obiettivo.
Per qualche minuto calò il silenzio, mentre entrambi si
osservavano, silenziosamente, chiedendosi quanto di quello che sapevano
l'uno dell'altro fosse ancora valido, dopo cinque lunghi anni di
lontananza, in cui non si era mai sentiti.
Nemmeno una volta, neanche per messaggio o per mail.
Gli occhi del ragazzo non abbandonarono mai il corpo di lei, sostando
sul viso dai grandi occhi espressivi, sulle labbra piene messe in
risalto dal rossetto rosso, per poi percorrere il suo esile corpo,
fasciato da un abito lilla che le arrivava sopra il ginocchio,
mostrando parte delle sue gambe sottili, fasciate da semplici collant
color carne.
Anche Blair osservava Chuck, forse con meno insistenza, alla ricerca di
qualche tratto diverso, che lo rendesse indissolubilmente
proprietà di un'altra donna, una donna che lei
già sapeva di detestare, cordialmente s'intende.
Fu lei a rompere quel momento di attesa, in cui nessuno dei due aveva
avuto il coraggio di parlare, come consapevoli che avrebbero rovinato
l'atmosfera, altrimenti perfetta, che si era creata.
< L'amicizia, però, rimane intatta > disse,
cercando di non sembrare fragile o illusa.
Chuck si prese il tempo per rispondere, sapendo che la sua non era una
domanda: lei non metteva in dubbio quello che avevano condiviso in
passato.
Ma lui poteva cancellare il loro addio, conservando solo tutti i
momenti belli che avevano trascorso insieme, prima di quel momento?
No, lo sapeva bene.
Si era imposto di cancellare il passato, il loro passato, per
continuare una vita senza il suo fantasma che lo tormentava,
lasciandolo soffrire nel rimpianto, da solo.
< Le amicizie svaniscono > confermò,
distogliendo lo sguardo, sicuro che in caso contrario non avrebbe avuto
la forza per mettere ancora una volta la parola fine al loro rapporto.
Blair si alzò in piedi, abbandonando la borsa sulla
poltrona, mentre si avvicinava insicura.
< Ho bisogno di un favore, Chuck > ammise, fermandosi a
meno di un metro da lui.
Il suo profumo arrivò distintamente alle sue narici,
inebriandolo, mentre si chiedeva da quanto tempo non sentiva
pronunciare il suo nome con quel vezzeggiativo che aveva tanto amato e
che sua moglie si rifiutava di utilizzare, reputandolo infantile.
Lui si chiamava Charles, un nome così importante da non
ammettere sciocchi diminutivi.
< Non ti devo niente, Waldorf > replicò,
sottolineando con attenzione il suo cognome.
Una volta l'aveva usato spesso per rivolgersi a lei con affetto, ma in
quell'occasione il suo tono freddo ammetteva un'unica possibile
interpretazione: distacco.
< Mi serve il tuo aiuto > continuò la giovane,
incapace di arrendersi alla freddezza di quello che lei continuava a
considerare un amico, il più importante probabilmente.
Chuck Bass rise amaramente, lasciandola perplessa ad attendere la sua
risposta, mentre il respiro si faceva accelerato.
< Hai centrato il punto, Waldorf: ti servo >.
La ragazza si morse il labbro inferiore, mentre mentalmente si dava
della stupida per non aver prestato abbastanza attenzione alle parole,
conoscendo l'abilità di lui nello sfruttare ogni minuscolo
sbaglio.
< Non intendevo quello > tentò di difendersi,
sapendo in anticipo che a lui non sarebbe bastato.
< Ti sbagli, intendevi perfettamente quello che hai detto. E io
non ho alcuna intenzione di lasciarmi utilizzare da te >
concluse il giovane, ignorando il suo debole tentativo di scusarsi.
< Non ti ho mai usato, Chuck > replicò lei,
accendendosi per quell'accusa poco celata che lui le aveva rivolto,
provocandole un dolore sordo all'altezza del petto.
Il giovane si avvicinò rapidamente, annullando la distanza
tra loro in un attimo.
Averla così vicino non aiutava assolutamente a mantenere la
mente sgombra da altri pensieri, assolutamente inadatti alla
situazione, ma la rabbia che gli era montata dentro era tale da
metterli in secondo piano, in un angolo della sua coscienza.
< Tu mi hai usato Blair > iniziò, mentre il
suo tono di voce abbandonava la pacatezza mantenuta fino a quel
momento, per alzarsi di qualche ottava, < mi hai usato quando
Nate ti ha lasciato, lo sappiamo entrambi. E più tardi,
quando ti serviva avermi accanto, frequentando Yale: dopotutto il
figlio di un milionario ha il suo fascino non trovi? >.
La ragazza lo guardava dritto negli occhi, mentre sentiva la
stabilità sulle gambe venir meno: sarebbe caduta sicuramente
se il braccio di lui non la stesse stringendo così tanto da
impedirle qualsiasi movimento.
< Eppure non ti sei fatta scrupoli a pensare a te stessa quando
hai capito che la mia carriera ti avrebbe costretta a delle scelte. Sei
semplicemente un'egoista Waldorf, indegna di chiedermi aiuto >
le sputò in faccia pieno di risentimento, mentre sentiva il
bisogno di ingerire un altro po' di scotch invecchiato.
La lasciò, tornando al bicchiere che aveva lasciato sulla
libreria al suo fianco, prima di quello scatto di rabbia che sapeva
essere stato inopportuno: le aveva mostrato quanto aveva sofferto per
quello che era successo tra loro anni prima, ma se questo fosse servito
a cacciarla, allora poteva accettarlo.
< Non sarei venuta se non fosse stato indispensabile. Ho anch'io
il mio orgoglio > ammise lei, mentre recuperava la borsa dalla
poltrona.
Chuck la guardò un istante, scorgendo la sua espressione
sfiduciata e gli occhi stanchi di chi era afflitto da una
preoccupazione che lo teneva sveglio anche di notte.
Conosceva quei sintomi, li aveva sperimentati in prima persona da
quando si era gettato, anima e corpo, nella conduzione della compagnia
del padre, con l'obiettivo di ingrandirle.
Ma non per questo poteva avere compassione di lei, che gli aveva
mentito così spesso, tradendo del tutto la sua fiducia,
quando lui invece le aveva donato se stesso, senza riserve.
< Il tuo orgoglio ti riporti in America allora, qui non
c'è nulla per te > concluse serio, senza traccia di
rimorso per quelle parole dure.
La fissò negli occhi, vedendo il peso della definitiva
sconfitta farsi largo sul suo viso, prima che lei si voltasse,
nascondendosi alla soddisfazione di lui.
Aveva vinto, aveva mantenuto i suoi propositi, messi in dubbio
dall'improvvisa ricomparsa di lei, eppure non ne trovava gioia.
La giovane cercò velocemente le chiavi nella borsa,
estraendole e avvicinandosi alla porta per aprirla.
Fece scattare la serratura nel silenzio più assoluto e,
prima di andarsene, si voltò verso di lui, in quella che
sembrava una muta supplica.
Blair Waldorf aveva gli occhi umidi, prossimi alle lacrime: non gli era
sfuggito, nemmeno nella penombra della stanza.
Con un cenno si accomiatò, mentre il giovane si accomodava
nella stessa poltrona su cui si era seduta lei, cercando qualche
traccia della sua presenza.
Un lieve bussare alla porta lo costrinse a sollevare lo sguardo verso
l'ingresso, mentre rimaneva in quella stessa posizione, convinto che la
festa avrebbe potuto aspettare un altro po'.
< Chi è quella sgualdrinella che è uscita
da qui, un attimo fa? > esordì Jacques sorridendogli
malizioso.
Chuck Bass fu costretto ad affondare le dita nei braccioli della
poltrona, mentre le nocche sbiancavano al suo tentativo di trattenersi
dal prendere a pugni il cognato, fino a ridurlo in una condizione che
avrebbe richiesto il ricovero d'urgenza in ospedale.
< Nessuno > rispose, quando fu certo che la sua voce non
avrebbe vibrato di nervosismo represso all'interrogativo di quell'uomo,
la cui presenza, in quel frangente, era assolutamente indesiderata.
Dall'occhiata scettica che quest'ultimo gli rivolse capì di
non aver convinto nemmeno lui.
Oltre a se stesso, ovviamente.
Spazio autrice:
-vale: davvero miglioro?! Meno male, sono felice che la storia ti
coinvolga. Hai ragione è strano vedere Chuck sotto queste
vesti XD
-kaho: hai visto che non sono stata sadica?! Ho cercato di mantenere
Chuck abbastanza fedele alla serie, anche se il fatto che siano passati
5 anni qualche cambiamento lo ha portato. Il cognato lo adoro anch'io,
è il primo personaggio di questo genere che creo XD
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Ehi ciao!
Eccovi il nuovo capitolo.
Ringrazio le 99 persone che hanno letto il precedente e quello che
hanno inserito la storia nei preferiti.
Rispetto alle mie abitudini sto aggiornando più
frequentemente, perchè non mi piace farvi aspettare troppo.
Che ne dite di ricompensarmi con un commentino?
Sapeste che piacere mi fanno XD
Ale.
Capitolo
5.
La luce debole di una lampadina illuminava un'ampia cabina armadio,
ricolma di abiti maschili delle più diverse fatture.
Il giovane si muoveva velocemente, facendo attenzione a non provocare
alcun rumore a quell'ora del mattino in cui tutti dormivano, compresa
sua moglie, nella stanza accanto.
Afferrò un maglione di lana, infilandolo nel capiente
borsone di pelle nera di Prada ai suoi piedi, esattamente sopra al
dolcevita che vi aveva riposto poco prima.
Maledetta Waldorf.
Aveva passato la notte pressochè insonne dopo il loro
incontro della sera prima, conclusosi in maniera spiacevole per
entrambi.
Eppure, lui si era ripromesso di chiudere di nuovo quella questione
che, ogni qualvolta si presentava alla sua mente, gli provocava un
intenso malessere, ma aveva fallito.
Odiava ammetterlo: aveva trionfato lei, accendendogli la
curiosità di conoscere qual era il problema che l'aveva
condotta fino a lui, nonostante sapesse il trattamento che le avrebbe
riservato.
Chiuse nervoso la zip, chiedendosi se quella decisione improvvisa non
fosse la più stupida che avesse preso negli ultimi cinque
anni. Esattamente da quando era lontano da lei.
Ricontrollò il messaggio che gli era arrivato mezz'ora
prima, dove il portiere dell'hotel in cui la ragazza aveva alloggiato a
Parigi lo avvisava della sua partenza per l'aeroporto.
Faceva sul serio dunque?
Non sarebbe tornata di nuovo da lui, supplicando misericordia: era pur
sempre una Waldorf.
Spense distrattamente l'interruttore, tornando nella propria camera,
ancora immersa nella luce soffusa generata dall'alba che si intravedeva
al di là delle pesanti tende cobalto che nascondevano le
finestre.
Si avvicinò a sua moglie, posando la borsa ai piedi del
letto.
< Genevieve > la chiamò, accarezzandole una
spalla lasciata scoperta dalla vestaglia che portava, < sto
partendo >.
Un normale marito si sarebbe aspettato un caloroso saluto, in vista
della separazione imminente.
Ma lui non lo era, probabilmente non conosceva nemmeno cosa
significasse un sincero affetto coniugale.
La donna si limitò ad un mugolio infastidito, mentre la sua
mano allontanava quella del giovane dalla spalla, come un elemento di
disturbo.
Ecco il suo commiato, tutto l'amore che poteva attendersi.
*
Blair Waldorf trascinò a fatica la valigia all'esterno del
taxi, senza che l'autista avesse l'accortezza di aiutare una giovane
così minuta e attraente.
Un vero scandalo, se si pensava a quante persone la riverivano
costantemente, facilitando ogni suo gesto, seppur minuscolo.
Le mancava Dorota, oh se le mancava: quella settimana era stata un
inferno senza la sua fidata cameriera, che conosceva a memoria ogni sua
esigenza.
L'aeroporto Charles De Gaulle era affollato persino a quell'ora e la
ragazza si fece spazio spintonando qua e là qualche turista,
anche a rischio di investire qualcuno con il suo ingombrante bagaglio.
Ingombrante forse era esagerato, visto che aveva al seguito solo un
trolley di dimensioni galattiche e un beauty case infilato al braccio
sinistro, mentre la borsa le scivolava lentamente sulla spalla opposta:
un nulla, quindi, se paragonato agli standard delle vacanze che compiva
con i suoi genitori, quando era più piccola.
A quel ricordo, una dolorosa fitta al cuore la colpì,
inumidendole gli occhi.
I recenti eventi non erano ancora stati metabolizzati dal suo spirito
energico e combattivo e le provocavano un'inspiegabile sofferenza anche
ora, mentre ci ripensava per qualche istante.
Si riscosse velocemente, scorrendo il tabellone luminoso su cui erano
riportate le partenze di quella mattina.
New York
La individuò facilmente, leggendo anche il check-in a cui si
doveva portare, per avere il biglietto di prima classe che aveva
prenotato la sera prima, dopo il suo completo fallimento da Chuck.
Ripensando al trattamento ostile che il ragazzo le aveva riservato,
nonostante l'amicizia che avevano condiviso in passato, per non parlare
della loro relazione, un moto di rabbia la pervase, portandola a
strattonare la valigia, che urtò una persona al suo fianco.
< Mi scusi > disse, girandosi verso il malcapitato, che
si rivelò essere un suo coetaneo, persino molto attraente.
< Non ti preoccupare > rispose subito quello, stregato
dal suo sorriso e dagli occhioni bruni spalancati nel tentativo di
farsi perdonare più facilmente.
< Ti posso aiutare? > propose, indicando la mole che lei
sosteneva con una mano.
Blair si chiese se tutti i giovani non potessero essere gentili ed
educati come quello che si trovava ora davanti a lei e il suo pensiero
tornò subito a Chuck.
< Grazie > sorrise riconoscente.
< Dove sei diretta? > si informò il ragazzo,
mentre con la mano libera afferrava la maniglia della sua valigia,
portandola accanto alla propria, decisamente più ridotta.
< New York > spiegò Blair, mentre cominciava
ad avanzare verso l'area in cui si trovavano i check-in.
< Che coincidenza > esclamò il giovane
entusiasta, < anch'io torno a New York >.
Quando si fermarono alla fine della lunga coda per il loro volo, il
ragazzo posò le valigie e si voltò verso di lei,
tendendole cordialmente la mano.
< Scusa se non mi sono presentato prima > ammise
arrossendo un poco, < sono Peter >.
< Blair > rispose lei, stringendola.
*
Chuck Bass scese velocemente dalla limousine nera, temendo di essere in
ritardo per il traffico incredibile che aveva incontrato lungo la
strada.
Possibile che lei si fosse già imbarcata?
Con passo affrettato si portò davanti ai tabelloni, cercando
il suo volo con sguardo febbrile.
Lesse il numero del check-in e si voltò rapidamente per
raggiungerlo, pregando che non fosse troppo tardi, altrimenti quella
decisione sarebbe stata del tutto inutile.
Quando scorse la lunga fila tra i cordoni che delimitavano quello
sportello, tirò un sospiro di sollievo, rallentando fino a
fermarsi alla parete laterale, da cui godeva di un'ottima visuale.
Scorse ad uno ad uno i viaggiatori, fino ad individuare la sua figura
esile, affiancata da un ragazzo alto, che poteva avere la sua
età, anno più anno meno.
Decise di divertirsi ancora una volta, dopotutto lui era Chcuk Bass, le
soluzioni semplici decisamente non gli si adattavano.
Cercò il suo numero sul cellulare e avviò la
chiamata, aspettando di vederla rispondere.
< Sono io > rispose, appena sentì la sua voce,
< sei già partita? >.
Lei corrugò le sopracciglia in un'espressione che poteva
chiaramente avvicinarsi all'irritazione.
< Sì, Bass, mi trovo già sull'aereo.
Stiamo per decollare > confermò, con un tono freddo e
distaccato.
Il giovane rise a quella stupida bugia che aveva tentato di rifilargli.
< Capisco > disse, sorridendo compiaciuto al vuoto,
< allora quella alla fila del check-in deve essere una ragazza
che ti somiglia molto. Potrei andare a conoscerla >.
Chiuse la chiamata, godendosi l'espressione stupita di Blair che si
guardò intorno fino a che non lo individuò, oltre
la spalla di un'anziana signora.
Il ragazzo la vide scambiare qualche parola con il giovane al suo
fianco, prima che si allontanasse, diretta verso di lui.
< Che cosa vuoi ora, Bass? > gli chiese infastidita
quando gli fu davanti.
Chuck la squadrò, notando la posizione fiera che aveva
assunto, con le mani saldamente piantate sui fianchi.
< Ti do la possibilità di spiegarmi il tuo problema
> la informò il giovane, sentendosi come uno
psicologo davanti ad un paziente recalcitrante.
< Sto partendo, non vedi? > sottolineò Blair,
sventolandogli davanti la prenotazione del volo che teneva tra le dita.
Chuck la afferrò, studiandola per un attimo, poi, con un
movimento deciso, la stracciò in due parti, poi in quattro.
< Ma che diavolo fai? > esclamò la ragazza,
furiosa, spintonandolo leggermente, < non sai quanti soldi ho
speso per avere un posto in prima classe con così poco
preavviso >.
Il giovane scrollò le spalle, indifferente alle sue proteste
accanite.
< Se è necessario te lo ripagherò, Waldorf
> affermò annoiato, < ora recupera
la tua roba >.
Blair rimase per qualche secondo a fissarlo, interdetta, sentendosi
dare degli ordini come se fosse una sua dipendente.
< Dovrei recuperare la mia roba? Da sola? > chiese
incredula.
Chuck Bass scoppiò a ridere, vedendola sorpresa dalle sue
parole.
< Ti aspettavi seriamente che ti portassi il bagaglio, Waldorf?!
Non mi conosci abbastanza a quanto pare > constatò
serio.
La ragazza si voltò indispettita, tornando verso la fila.
Non aveva mai ascoltato un ordine in vita sua, ma sapeva che in questo
caso non aveva scelta.
Lui era la
sua ultima possibilità.
Spazio autrice:
-vale:
Grazie per i complimenti e per la fiducia!
-kassandra:
Grazie mille, spero che anche questo capitolo ti abbia coinvolto.
-melian:
Grazie! Sono felice di essere riuscita a mantenere i personaggi
così fedeli, meno male! Per quanto riguarda il cognato, lo
adoro anch'io XD
-kaho: Sono
troppo contenta che ti sia piaciuto lo scontro. Grazie per i
complimenti e per gli ottimi commenti che mi lasci dall'inizio. Spero
di averti reso ancora un po' curiosa anche con questo capitolo! Per
quanto riguarda il cognato, non sei la sola a stravedere per lui, me
compresa XD
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Ehilà!
Mi scuso per l'enorme ritardo con cui ho postato, purtroppo sono in
quinta liceo e il tempo scarseggia.
Mi auguro che anche questo capitolo vi piaccia, sperando che le
spiegazioni non vi tedino troppo, ho dovuto inserirle.
Mi lasciate un parere?
Ringrazio le 11 persone che hanno aggiunto la storia tra i preferiti.
Ale.
Capitolo
6.
Blair Waldorf aveva sempre amato le fiabe che suo padre le leggeva da
piccola, quando si sedeva sul bordo del suo letto ad attendere che si
addormentasse serenamente.
La sua voce cadenzata la cullava mentre con la fantasia si sostituiva
alla protagonista, immedesimandosi nelle sue peripezie e aspettando con
ansia l'arrivo del principe, che avrebbe coronato il suo sogno di
felicità. Senza dimenticare poi il superbo cavallo bianco,
il nobile destriero sul quale il suo amato la avrebbe invitata a
salire, partendo insieme per il suo regno lontano.
Peccato che la realtà fosse qualcosa di completamente
diverso.
Si trovava in un aeroporto affollato, che nemmeno la più
fervida immaginazione avrebbe potuto trasformare in un campo
verdeggiante ricolmo di fiori profumati.
Il cavallo era stato sostituito da una limousine che, per quanto comoda
ed elegante, aveva perso tutto il fascino della natura.
E infine, ma non meno importante, il principe altro non era che un
ragazzo viziato che le impartiva ordini senza alcuna riverenza nei suoi
confronti, invece di omaggiare la sua bellezza con splendidi doni.
No, decisamente la realtà non poteva essere confusa con una
fiaba.
Con passo affrettato, che mai e poi mai una principessa avrebbe potuto
adottare, si diresse verso la fila del check-in per recuperare il
proprio bagaglio.
< C'è qualche problema? > le chiese Peter
premuroso, vedendola tornare trafelata.
La ragazza afferrò il manico della valigia, mentre con
l'altra mano riprendeva il beauty che era stato posato a terra per
evitare che cadesse.
< Devo andare > tagliò corto, voltandosi.
Non riuscì nemmeno a fare un paio di passi che fu bloccata
da quel giovane che, per i suoi standard, si stava prendendo troppa
confidenza.
< Sicura che sia tutto a posto? > indagò
incerto, cercando nella sua espressione un segnale che confermasse i
suoi dubbi.
Il principe non si era fatto vedere, ma i seccatori erano decisamente
una costante anche della vita quotidiana annotò la ragazza
nella sua mente.
< Non mi sembra che ti debba particolari spiegazioni, no?
> rispose spazientita, < in fondo non ci conosciamo
nemmeno >.
Peter fece per obiettare ma Blair fu più veloce.
< Fa buon viaggio > gli augurò, liquidandolo
una volta per tutte.
Con fatica trascinò la sua roba fino a Chuck, che
l'aspettava davanti ai tabelloni luminosi.
< Potevi prenderla comoda > sottolineò
sarcastico al suo arrivo.
Blair gli lanciò un'occhiataccia, indecisa se replicare
sullo stesso tono per paura di perdere il suo aiuto, conoscendo la
volubilità del giovane.
< Dove siamo diretti? > chiese, mentre lo seguiva
all'esterno, oltre le porte scorrevoli dell'aeroporto.
Non ci fu bisogno di alcuna delucidazione, perchè la
risposta si trovava pochi metri più in là, in
tutta la sua nera lucentezza.
Una limousine, autista impeccabilmente vestito compreso.
Istintivamente la ragazza si bloccò, come ubbidendo ad un
impulso interiore che la avvertiva del pericolo.
Chuck si voltò sorpreso, mentre sul suo viso si allargava un
ghigno divertito.
< Pensi di non riuscire a controllarti? > la
punzecchiò, con un riferimento allusivo che solo loro due
avrebbero potuto comprendere.
La loro prima volta, in tutti i suoi dettagli, anche quelli
più piccanti, ritornò nitida agli occhi di Blair,
che si ritrovò involontariamente ad arrossire.
< Le sistemo la valigia nel bagagliaio? > si
informò l'autista, interrompendo così l'imbarazzo
in cui la ragazza si era trovata.
Annuì distrattamente, tornando a voltarsi verso il giovane
mentre sollevava il mento altezzosa e gli sfilava davanti per
accomodarsi sul sedile di pelle, altrettanto nero.
L'interno non era poi dissimile da quello in cui più volte
si era ritrovata stretta a lui e la ragazza si costrinse ad evitare
quel pensiero per evitare di essere umiliata nuovamente.
Chuck prese posto sul sedile laterale, allungandosi verso il minifrigo
per versarsi un bicchiere di scotch.
< Ne vuoi? > domandò, mentre stava per
richiudere la bottiglia.
Blair scosse la testa, pensando a come poter affrontare quella
conversazione in modo da ottenere il suo aiuto.
< Di che cosa si tratta? > iniziò il giovane,
portandosi il bicchiere alle labbra e prestandole finalmente attenzione.
< Problemi finanziari > esordì lei, chiarendo
subito l'ambito generale.
< Non ti presterò del denaro >
asserì freddo Chuck, convinto che la fatica di quella
mattina si fosse rivelata perfettamente inutile.
Blair impallidì, offesa dall'ipotesi che lui aveva avanzato.
< Come puoi pensare che verrei a chiederti del denaro? >
domandò irritata.
Il giovane sollevò un sopracciglio, sorpreso da quella
reazione esagerata.
< Pensavo che non fossi stata in grado di amministrare il tuo
patrimonio e .. >.
la ragazza non gli permise nemmeno di terminare la sua spiegazione,
assalendolo.
< E così sarei una perfetta imbecille, del tutto
incapace di gestire le proprie finanze > gridò,
scaldandosi ancora di più.
Per un istante Blair ebbe la tentazione di alzarsi e uscire da quella
limousine sentendosi sufficientemente insultata da quella supposizioni
campate in aria, ma ricordò a se stessa che la causa per cui
si trovava in quello spazio chiuso, così vicino ad una
persona che iniziava a detestare, superava qualsiasi possibile lesione
al suo orgoglio.
< I problemi riguardano delle uscite registrate sul mio
conto-corrente > precisò, rompendo il silenzio che si
era creato dopo la sua ultima sfuriata.
L'espressione saputa di Chuck, ancora convinto di aver ragione, le fece
capire che non si era spiegata abbastanza bene.
< Le uscite non dipendono da spese personali, sono mensili e
risalgono già ai tempi in cui il conto non era intestato a
me >.
< Quindi non sono dovute alla tua volontà? >
chiese conferma il giovane, che era rimasto stupito a quella
rivelazione.
< Esattamente > asserì la ragazza, sfilandosi
il giubbotto, < risalgono a venticinque anni fa, ho controllato
>.
Chuck si sistemò i capelli con una mano, mentre rifletteva
su una strana coincidenza.
< L'anno della tua nascita > sottolineò.
< Ci avevo pensato anch'io > ammise Blair, < ma
non so quanto questo possa riguardare la faccenda >.
< Potrebbe essere una possibilità, non la escluderei
a priori > replicò il giovane, vedendo che non era
stato l'unico a collegare i due eventi.
La ragazza scrollò leggermente le spalle, come se quel
dettaglio fosse di poco valore rispetto all'intera questione.
< A quanto ammonta il versamento mensile? > si
informò Chuck, convinto che la cifra dovesse
essere elevata se Blair si era scomodata a cercare il suo
aiuto, dopo anni in cui avevano rotto tutti i ponti che li avevano
uniti.
< Cinquemila dollari > confermò la ragazza.
Il giovane fece un paio di calcoli a mente, prima di giungere alla
conclusione.
< Un milione e mezzo di dollari > constatò
serio.
Era una cifra assurda, nonostante la ricchezza della famiglia Waldorf.
< Penso che tu capisca cosa mi ha spinto a venire a casa tua
ieri sera > affermò sincera.
Chuck tornò a fissarla, cogliendo la fragilità
che albergava nei suoi occhi, mentre si esponeva ad un suo possibile
rifiuto, il secondo.
< In verità non mi è chiaro quale sarebbe
il mio ruolo > specificò il giovane.
< Mi servirebbero le tue conoscenze nel campo investigativo
> ammise, < il mio avvocato non è riuscito a
risalire all'intestatario del conto su cui il denaro è
versato >.
< Capisco > rispose Chuck, chiedendosi come lui avrebbe
reagito ad una situazione simile.
Sicuramente non si sarebbe lasciato spennare da qualcuno che viveva a
sue spese, considerando che per una famiglia di lavoratori quella cifra
avrebbe significato la fine di ogni preoccupazione, per più
di una generazione.
Si sporse verso il divisorio che separava l'autista dal vano
posteriore, picchiando un paio di volte con la mano sul vetro per farsi
sentire.
< Dove mi stai portando? > gli domandò Blair,
appena sentì che la limousine si era messa in moto.
< All'aereo > chiarì il giovane, risiedendosi
più comodo sul sedile di pelle e recuperando il bicchiere
che aveva accantonato durante la conversazione.
< Ma abbiamo lasciato l'aeroporto > sottolineò
la ragazza, guardinga.
< Infatti. Nessuno ha parlato di aeroporto >
confermò Chuck, sorridendo soddisfatto.
Blair si abbandonò sullo schienale, chiudendo per un attimo
gli occhi.
Forse Chuck Bass non era il principe dei suoi sogni, ma in certi casi
un jet privato si rivelava decisamente più utile di un
cavallo bianco, a meno che questo avesse le ali e potesse trasportare
due persone più relativo bagaglio, s'intende.
Ma, dal momento che non sapeva come procurarsene uno, poteva anche
accontentarsi di un giovane milionario e dei suoi ridicoli privilegi.
Spazio autrice:
-chefame93:
grazie mille per il commento, sono felice che insieme ti piacciano!
-vale:
mistero svelato? beh una parte sì, quindi spero sarai
soddisfatta, grazie per i complimenti.
-kaho:
sì il caro Bass perdono parte del loro savoir-faire quando
c'è in prossimità una certa Waldorf XD
soddisfatta la curiosità? comunque hai ragione, Blair
è la regina nel servirsi degli altri senza che questi se ne
rendano completamente conto.
-vampiretta:
la migliore?! ma scherzi?? grazie mille, non penso di meritarmi
così tanto..
-mary:
innanzitutto grazie per seguire la storia dall'inizio e attendere
sempre con ansia il nuovo capitolo. Anch'io non avrei mai pensato che
Chuck potesse finire con una come Genevieve, ma alcune circostanze lo
hanno portato a questo matrimonio. Non mi merito tutti i tuoi
complimenti.
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Ciao ragazze, mi scuso sempre per i miei ritmi incerti nel postare.
16 preferiti?! Ma grazie! Non è che mi lasciate un commento
visto che avete messo la mia storia nei preferiti? Sarebbe molto
costruttivo per me.
Tra una settimana vado in USA, non so se riuscirò a scrivere
prima.
In caso contrario il prossimo capitolo lo avrete verso Pasqua su per
giù.
Grazie mille, a presto!
Un bacio, Ale.
Capitolo
7.
I grattacieli di New York sfilavano rapidi oltre i finestrini, come
tanti bastoncini dai colori cupi posti uno a fianco all'altro da un
bambino senza troppa fantasia.
L'inverno si era già mostrato in tutta la sua durezza
quell'anno e la seconda nevicata lasciava ancora tracce sui
marciapiedi, dove i passanti si muovevano cauti per evitare
un'improvvisa caduta.
Blair allentò leggermente la sciarpa a causa del caldo
sprigionato all'interno del veicolo dal riscaldamento che il conducente
aveva alzato al massimo, tanto da provocare l'appannamento quasi
completo dei finestrini, impedendole così di gustarsi il suo
ritorno nella città in cui era cresciuta e che amava
profondamente.
Con la coda dell'occhio osservò il suo compagno di viaggio
che le sedeva accanto, impettito come se si trovasse su un trespolo per
cocorite piuttosto che all'interno di un taxi.
Chuck Bass aveva preso un solo taxi nella sua vita, da bambino, quando
suo padre si era dimenticato di mandargli la limousine all'uscita da
scuola, ed era stata un'esperienza traumatica.
L'autista era un vecchio portoricano che fumava un sigaro appestando
l'intero abitacolo e il piccolo aveva trascorso tutto il tragitto a
tossire più o meno rumorosamente, senza ottenere altro che
un finestrino abbassato per permettere il ricambio d'aria.
Aria che, essendo autunno, gli aveva provocato il giorno successivo un
violento raffreddore.
Da allora Chuck aveva dichiarato guerra ai mezzi pubblici in generale,
preferendo di gran lunga percorrere qualche isolato a piedi.
< Siamo arrivati > annunciò il conducente,
fermandosi al lato di un'ampia strada nel centro di Manhattan.
Il giovane si allungò per pagarlo, mentre la ragazza, dopo
aver ringraziato, scendeva rapida, desiderosa di rientrare nel suo
appartamento il prima possibile.
Si posizionò a lato del veicolo, aspettando che Chuck
recuperasse le valigie dal bagagliaio che aveva appena aperto.
< Che stai facendo? > chiese, vedendolo immobile.
< Sto aspettando che tu sollevi il tuo trolley per riprendere il
mio borsone > rispose pronto, fissandola in modo eloquente.
Blair rimase spiazzata, pensando di aver sentito male.
< Non dirai sul serio mi auguro > replicò
piccata, < e' troppo pesante per me >.
Chuck sollevò un sopracciglio, dubbioso.
< In aeroporto come ci sei arrivata? > domandò
sarcastico.
La ragazza spalancò entrambe le braccia, indignata.
< Ero sola! > puntualizzò, < non avevo
altra scelta >.
Il giovane ghignò, compiaciuto della sua reazione
spropositata.
< Immagina di essere sola anche ora >
sottolineò, < e fai in fretta perchè penso
che l'autista si stia per spazientire nonostante il tuo fascino
>.
Blair avrebbe voluto incenerirlo lì, su quel marciapiede
affollato, ma si costrinse ad avanzare e a sollevare il suo bagaglio
con entrambe le mani, nel tentativo di non rovinare a terra.
< Finalmente > commentò Chuck estraendo il suo
borsone e ripulendolo accuratamente dalla polvere che vi si era
depositata sopra.
Il taxi si mise in moto velocemente, producendo una cospicua nube di
gas che irritò incredibilmente Blair che, già
tesa, per poco non si mise ad imprecare in mezzo alla strada,
dimenticando per un attimo il suo impeccabile autocontrollo.
< Muoviti Bass > lo incitò, avviandosi
all'interno del lussuoso palazzo in cui si trovava il suo appartamento
come un soldato in marcia al fronte.
Raggiunse velocemente il vano dell'ascensore, premendo con forza sul
pulsante che lo avrebbe richiamato al piano terra.
< Non arriverà prima > precisò il
giovane dopo che la ragazza ebbe tormentato ancora una volta il cerchio
dorato con la lettera T incisa, nel tentativo di affrettare quella
discesa che sembrava eterna.
In quel momento, con un sonoro scampanellio, le porte dell'ascensore si
aprirono e Blair gli sorrise trionfante, pur cosciente che i due eventi
non fossero realmente collegati.
< La valigia, Waldorf > gli ricordò Chuck,
prima che le porte si richiudessero e la ragazza si dimenticasse
completamente del bagaglio che aveva al seguito e che aveva abbandonato
alla parete per qualche attimo.
Blair, mentre rientrava, mugolò qualcosa di incomprensibile,
che il giovane interpretò come un insulto celato nei suoi
confronti.
< Dorota > chiamò Chuck, non appena arrivarono
al piano e riconobbe l'ingresso del salotto di casa Waldorf.
Blair si limitò a superarlo e ad avanzare, mentre si
guardava attorno per vedere se la cameriera le aveva lasciato qualche
messaggio.
< Non c'è > precisò
spazientita, dopo l'ennesimo tentativo del giovane di attirare
l'attenzione della domestica.
Chuck si bloccò, come pietrificato da quella notizia.
< L'hai licenziata? > si informò incredulo,
come se lei avesse appena rivelato di aver comprato un maglione misto
acrilico.
< No, l'ho solo congedata > chiarì la ragazza,
mentre si sfilava il cappotto e lo sistemava all'interno dell'armadio
vicino all'uscita.
< Congedata? > chiese conferma Chuck, al quale quella
decisione sembrava assurda.
Blair Waldorf non poteva sopravvivere nemmeno un'ora senza la fidata
Dorota, figuriamoci per un giorno intero.
La ragazza sbuffò spazientita, cominciando a dubitare che la
permanenza a Parigi avesse lesionato il sistema nervoso dell'amico, o
perlomeno, ex amico.
< Esattamente. Per una settimana >.
< Come pensi di organizzarti in sua assenza? >
domandò il giovane, che si era tolto il soprabito e lo aveva
posato sul divano, senza i dovuti riguardi che in altre occasioni
avrebbe mostrato.
< Mi arrangerò con le mie forze > lo
tranquillizzò Blair, che era decisa a mostrargli quanto era
diventata indipendente rispetto ai tempi della scuola.
In realtà aveva concesso alla domestica una settimana di
riposo, stipendiata, affinchè non vedesse con chi era
tornata dalla Francia.
Dorota aveva sempre amato il signorino Bass, come lo chiamava ai tempi
della Constance, una devozione che era aumentata quando loro si erano
fidanzati e la ragazza aveva trascorso un periodo di sincera
serenità, come non accadeva da quando era bambina.
In più conosceva quanti rimorsi avevano angosciato Blair
dopo che il giovane aveva lasciato l'America, rompendo qualsiasi legame
che lo ancorava ancora a New York e al suo passato.
< Waldorf? > una voce vicina, accompagnata da un lieve
colpo di tosse, la riportò alla realtà.
Chuck Bass, comodamente seduto sul divano panna del salotto, la
guardava perplesso, accertandosi che lei fosse finalmente presente.
< Sì? > chiese la ragazza, temendo di essersi
persa qualcosa mentre si era abbandonata a quelle divagazioni.
< E' un paio di minuti che ti domando dove posso sistemare la
mia roba > precisò il giovane, spazientito.
< Lasciala pure lì dov'è ora >
spiegò rapida Blair, indicando il borsone posato in un
angolo.
< Come? > esclamò Chuck incredulo, alzandosi.
< Hai capito bene > confermò lei tranquilla,
< dormirai qui in salotto >.
< Non dormirò sul divano >
sottolineò il ragazzo, incrociando le braccia al petto.
< Per quanto mi riguarda puoi anche dormire sul tappeto. E' un
persiano, sono certa che sia abbastanza pregiato anche per te >
lo schernì lei, sorridendo.
Si voltò diretta verso le scale, sperando di potersi
finalmente concedere una lunga doccia ristoratrice, quando il giovane
la bloccò.
< Ricordati che mi hai voluto tu qui >
constatò lui, beffardo, pensando di averla in pugno.
< Infatti Bass. Non permetterei a nessuno che non ho invitato di
alloggiare nel mio salotto > confermò seria, salendo
gli ultimi gradini.
Chuck la osservò sgusciare via, leggiadra, senza aggiungere
altro.
Spazio autrice:
-melian:
sono felicissima che le spiegazioni non abbiano appesantito il capitolo
e che ti sia piaciuta l'impostazione con il paragone con le favole. Io
sono ancora un po' una bambina in questo senso, mi lascio trasportare
dalla magia di un bel racconto. Se anche tu sei un quinta superiore
allora mi capirai benissimo, non vedo l'ora che arrivi luglio e la fine
del delirio!
-mary:
grazie mille per la stima che hai nei miei confronti, spero che anche
con questo capitolo mi sia riconfermata. Io adoro le favole, magari
è un po' infantile, ma sono state parte fondamentale di
quando ero bambina, quindi non posso non amarle. Anch'io mi
accontenterei di Chuck, eccome!
-vale:
grazie mille, spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto.
-kaho: anche
a me era piaciuta molto quella frase, speravo potesse colpire anche
voi! Sì gli agganci di Chuck sono davvero utili. Quanto alla
tua supposizione non svelo nulla, anche se mi ha colpita, complimenti.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Probabilmente nessuno si ricorderà di questa storia, ma
visto che ci tengo molto ho scritto un nuovo capitolo, aggiornandola.
Siccome non avevo progettato di tirarla per le lunghe pensò
di aggiornare (tempo e ispirazione permettendo) in tempi abbastanza
brevi.
Mi auguro che qualcuna la segua ancora, nonostante io l'abbia sospesa
per la maturità.
Fatemi sapere cosa ne pensate.
Un bacione, Ale.
Capitolo
8.
Cadde dal divano, provocando un rumore sordo nel salotto.
Chuck Bass, in passato, si era svegliato tra le braccia di una balia,
raramente tra quelle del padre, più spesso circondato da
ragazze di cui non ricordava nemmeno il nome, oppure in compagnia di
Nate, dopo le serate più travolgenti.
Mai però si era svegliato con la faccia schiacciata su un
persiano color panna, dopo una caduta tutt'altro che piacevole.
Per fortuna aveva avuto la prontezza di atterrare con le mani davanti
al viso, evitando di rompersi il setto nasale, nel migliore dei casi.
Maledetta Waldorf che lo aveva costretto a dormire su un divano che,
per quanto pregiato e morbido, lo aveva tenuto sveglio per buona parte
della notte.
A fatica si puntellò sul tappeto con le mani, tentando di
rialzarsi senza provocare nuovo dolore alla schiena già
martoriata.
Sistemò la coperta con cui aveva inutilmente tentato di
scaldarsi nelle ore precedenti e si diresse verso il bagno al piano
terra, riservato alle incombenze minori.
Guardandosi allo specchio quasi non si riconobbe, vedendo i capelli
spettinati e le occhiaie marcate che, in vicinanza agli zigomi pallidi,
lo rendevano uno zombie.
Cercò di darsi un contegno veloce prima di tornare in
salotto dove recuperò la sua roba, quella poca che gli era
stato concesso di estrarre dalla valigia la sera precedente, e si
diresse alle scale per salire al piano superiore, dove avrebbe trovato
una sistemazione più congeniale.
Girò la maniglia di una porta, non ricordando a quale stanza
immetteva, ma la trovò chiusa a chiave e dovette rinunciarvi.
Finalmente, dopo aver oltrepassato un'altra camera, dove probabilmente
dormiva Dorota, giunse in quella riservata agli ospiti, riconoscibile
per quell'aria un po' asettica che regna sempre in una stanza dove non
si vive se non in periodi rari e di breve durata.
Lasciò il borsone ai piedi del letto matrimoniale, coperto
da una ricamata coperta nelle tinte dell'azzurro e si avviò
verso il bagno collegato a quella camera, in modo che gli ospiti non
dovessero adeguarsi ai ritmi dei padroni di casa.
Ruotò il pomello dell'acqua calda all'interno della doccia e
tornò a spogliarsi, abbandonando il pigiama su una sedia.
La doccia lo aiutò a rilassarsi ed a recuperare le forze
perse il giorno prima, nel tour de force che lo aveva coinvolto fin
dalle prime ore della mattina, riportandolo nella sua città
natale.
Si avvolse in un morbido asciugamano cobalto e ritornò sui
suoi passi, cercando alla rinfusa un maglione sufficientemente pesante
per sopportare il rigido inverno newyorkese, a cui non era
più abituato.
Quando fu completamente vestito si portò alla finestra, dove
vide i grattacieli rivestiti da una nuova e fresca coltre di neve
candida, caduta con tutta probabilità nella notte.
Si tolse le scarpe di pelle che aveva già infilato e
indossò un paio di scarponcini, adatti alla fanghiglia che
avrebbe trovato una volta sceso in strada.
In silenzio prese il cappotto e la sciarpa e si diresse verso le scale,
ma un pensiero lo bloccò: voleva vedere lei, prima di uscire.
Tornò indietro fino a raggiungere una camera che conosceva
benissimo, per averci trascorso molti pomeriggi in compagnia dei suoi
migliori amici e numerose notti insieme a Blair, quando le cose tra
loro non si erano ancora guastate nel peggiore dei modi.
Socchiuse leggermente la porta, attento a non provocare nessun cigolio,
e per un attimo esitò, spaventato da qualcosa che non
riusciva pienamente a spiegarsi.
Blair Waldorf dormiva serena nel suo ampio letto, con i capelli mossi
che si aprivano sul cuscino, intorno al suo volto angelico.
In quei momenti della ragazza calcolatrice e cinica che lui conosceva
non vi era nulla, se non un leggero sorriso dall'aria furba che le
increspava le labbra; per il resto Blair sembrava indifesa, persino
fragile nel modo in cui stringeva al petto le coperte.
Per un attimo Chuck fu tentato di avanzare fino al letto e sedersi ai
suoi piedi per osservala più da vicino, come era abituato
quando si svegliava prima di lei in passato, ma si trattene: il loro
rapporto era mutato radicalmente e lui non avrebbe nemmeno dovuto
trovarsi in quella stanza, in quella città, se solo avesse
dato retta al cervello piuttosto che ad una stupida
curiosità da ragazzino.
Si allontanò velocemente, come se stare un secondo di
più avrebbe potuto compromettere la situazione, e
tornò al piano terra, dove chiamò l'ascensore.
Salutò cordialmente il portiere all'ingresso del palazzo e
uscì all'ara gelida di dicembre che penetrò fin
sotto il suo pesante cappotto, provocandogli un brivido inaspettato.
Percepì il cellulare vibrare nella tasca destra e lo
estrasse velocemente, senza controllare lo schermo.
< pronto? > disse tranquillo.
< charles? > replicò una voce femminile dal
timbro cristallino.
< sì sono io, Genevieve > rispose il ragazzo,
continuando a camminare sul selciato viscido per il ghiaccio.
< come va a Londra? > gli chiese la moglie.
Il giovane alzò lo sguardo verso il cielo plumbeo che
minacciava pioggia, con una smorfia di disappunto.
< sono a New York > precisò, cercando di non
apparire frustrato.
Sua moglie non si ricordava nemmeno dove era diretto quando l'aveva
lasciata la mattina precedente, non che normalmente venisse degnato di
particolare attenzione.
< sì scusami hai ragione > ammise lei, senza
apparire minimamente dispiaciuta, < mi ero confusa >.
Confusa con chi, avrebbe voluto sapere Chuck, ma non espresse a parole
il suo dubbio.
< tutto normale lì a Parigi? >
domandò il ragazzo per fare conversazione.
< non sono a Parigi, Charles, ma ad Avignone > .
< ad Avignone? > indagò il giovane, <
perchè? >.
Sentì un sospiro spazientito dall'altra parte del telefono,
come se si trattasse di qualcosa di ovvio che lui avrebbe dovuto
necessariamente sapere.
< ci vado ogni tre mesi per curare il mio corpo >
sottolineò la donna, vedendo che lui aspettava ancora una
risposta.
< capisco > asserì il ragazzo, < passa
una buona giornata al centro benessere allora > le
augurò con voce atona.
Chiuse la telefonata senza aggiungere altro, come se avesse parlato con
un cliente piuttosto che con sua moglie: niente smancerie tra di loro,
così aveva deciso Genevieve, e lui vi si atteneva.
Finalmente avvistò il bar che ricordava fare un buon
caffè e vi entrò, percependo subito il calore del
locale, affollato da numerosi avventori, vista l'ora.
Si avvicinò al bancone, approfittando del posto lasciato da
una signora di mezza età che si era appena alzata, e
ordinò un caffè forte per lui e un macchiato con
una punta di caramello caldo per Blair.
< caramello? > chiese il barista perplesso.
< sì una punta di caramello al posto dello zucchero
> precisò il giovane, sapendo che quella richiesta
poteva risultare assai strana.
L'uomo si spostò per preparare quanto richiesto e Chuck ebbe
modo di voltarsi ed osservare l'ambiente, che ricordava diverso. Certo
il bancone era sempre nella stessa posizione centrale, ma qualche
modifica doveva essere stata approntata sia alle pareti sia al design
dei tavoli, che trasmettevano un'atmosfera assolutamente
all'avanguardia.
< ecco a lei > lo richiamò il barista,
ponendogli davanti due bicchieri di carta con relativo coperchio, dal
quale usciva una leggera scia di fumo bianco, ad indicare l'elevata
temperatura della bevanda.
Facendo attenzione a non rovesciarsi addosso il caffè
bollente cadendo su una lastra di ghiaccio il giovane
ritornò verso l'appartamento di Blair a passo spedito,
così da non farlo raffreddare eccessivamente.
Quando l'ascensore si aprì sul salotto di casa Waldorf Chuck
seppe che la ragazza si era alzata, perchè sentì
qualcuno trafficare in cucina, sui fornelli.
Arrivò sulla porta senza fare alcun rumore e lì
si fermò per guardare Blair che trafficava con una moka
dalle dimensione ridotte, posta sul fuoco.
< dai, funziona > la incitò Blair, battendo
una mano sul piano di marno bianco al suo fianco, < muoviti!
>.
Il giovane sorrise, pensando a quanto la ragazza fosse priva di
esperienza manuale, dal momento che aveva sempre avuto Dorota al suo
fianco, pronta a correre ad ogni sua insignificante
necessità.
< non c'è né bisogno >
asserì Chuck e vide la giovane sobbalzare spaventata prima
di voltarsi verso di lui.
Alzò i due bicchieri in un messaggio evidente e
riportò lo sguardo sulla caffettiera che iniziava ad
emettere suoni inquietanti.
< ce l'avrei fatta > sottolineò Blair,
sollevando il mento come faceva in tutte le occasione in cui le sue
doti venivano messe in discussione.
Il ragazzo non replicò, limitandosi ad allungarle il suo
caffè.
< con il caramello > precisò, mentre la
giovane lo prendeva.
Blair non disse nulla, anche se il caramello le dava la nausea appena
ne percepiva l'odore.
Erano anni che non prendeva più il caffè in quel
modo. Cinque anni, per la precisione.
Nonostante queste premesse avvicinò comunque il bicchiere
alle labbra, bevendone un sorso.
Il liquidò caldo le bruciò leggermente il palato
prima di scorrere attraverso la gola, verso lo stomaco.
E Blair Waldorf dovette ricredersi: era ottimo.
Sollevando lo sguardo verso il giovane capì il motivo per
cui aveva abbandonato quell'abitudine: il caramello non aveva nessuna
colpa.
Spazio autrice:
-mary:
grazie mille per i complimenti, mi fa piacere pensare che tu ti
immagini le scene e ti diverti..spero che tu abbia letto anche questo
capitolo e che ti sia piaciuto ugualmente..
-vale:
anch'io adoro i loro continui bisticci, perchè nascondono un
legame forte..
-blair: una
delle migliori che tu abbia letto? mi onori sul serio, fin troppo..
spero che tu abbia apprezzato anche questo capitolo, nonostante io sia
un po' arrugginita..
-marta: ma
io ti adoro, tu non rompi mai, figurati!
-sara: ahah,
il tuo commento è bellissimo e mi fai talmente tanti
complimenti che stento a credere di meritarli sul serio..spero che qui
o di là continuerai a leggere la storia..
-chocola:
spero che il continuo ti abbia soddisfatta XD
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Ciao ragazze! Non sapete che piacere immenso vedere che vi ricordate di
questa storia e che vi siete affezionati ad essa XD
Ho postato in fretta perchè fino a fine settimana
sarò via e non potrò scrivere.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e di trovare i vostri
commenti.
Un bacio, Ale.
Capitolo
9.
Il locale era impregnato dal pungente odore di fritto, che fece
arricciare il naso del giovane seduto ad un tavolo in disparte rispetto
agli altri avventori, per lo più camionisti di passaggio.
Avrebbe desiderato avere ancora a disposizione la propria limousine
come in passato e non aver dovuto prendere uno stupido pullman di
linea, affollato di casalinghe, bambini e anziani che provocavano un
rumore fastidioso già dopo pochi minuti.
Con la forchetta, come se si trattasse di un animale pericoloso e
orripilante, mosse la bistecca che si trovava davanti a lui, al centro
di un piatto spartano dalla fattura ordinaria, tipico di quei luoghi di
ristoro sorti sulla strada, privi di qualsiasi ricercatezza.
Fosse stato per lui non vi avrebbe mai messo piede, ma la
necessità di mangiare incombeva su di loro e avevano
approfittato del cambio di mezzo per mandar giù un boccone.
Addentò di malavoglia un pezzo di carne, cercando di non
prestare attenzione al sapore disgustoso che avvertì sul
palato.
< Tutto bene, signore? > chiese un cameriera piuttosto
attraente sfilandogli accanto.
Chuck Bass avrebbe voluto dire che non andava affatto tutto bene, che
quel pranzo si stava rivelando uno dei peggiori a memoria d'uomo, ma
annuì distratto, per non offendere la volontà che
quelle persone mettevano nello svolgere il proprio lavoro.
Guardò l'orologio e si accorse che erano passati quasi dieci
minuti da quando Blair si era alzata per andare in bagno, abbandonando
la sua insalata, dall'aspetto poco appetitoso, sul tavolo.
Possibile che avesse trovato tante persone che avevano avuto la sua
stessa idea?
Pensò per un attimo di alzarsi e andare a controllare ma si
fermò in tempo per evitare di ricadere negli sbagli del
passato, di ritornare a prendersi cura di lei come un fidanzato.
Blair Waldorf era adulta ormai, una donna indipendente e in grado di
gestire i propri problemi anche senza il suo aiuto.
Una vocina, venuta da chissà dove, gli suggerì
che la ragazza non doveva cavarsela sempre così bene se
aveva dovuto cercare lui, dall'altra parte dell'Oceano, ma Chuck la
zittì non prestandole ascolto.
Allungò una mano verso il bicchiere di vino che si era fatto
portare poco prima nel tentativo di diluire il sapore della bistecca e
ne bevve un sorso, non riuscendo a nascondere una smorfia.
Forse avrebbe fatto meglio ad accettare un bicchiere di
caffè caldo come gli altri avventori, senza ricercare un
vino decente in un posto che non riusciva nemmeno ad offrire un pasto
accettabile per i suoi standard.
Guardò di nuovo l'ora, perplesso: Blair si era assentata da
troppo tempo.
Alzò una mano per richiamare la cameriera che si era
occupata del loro tavolo e quella arrivò velocemente.
< Mi fa un favore? > le chiese il giovane con cortesia.
La ragazza annuì, aspettando di sapere di che cosa si
trattava.
< Può controllare se nei bagni vi è una
donna sui venticinque anni, castana, che si chiama Blair? >
precisò, allungandole dieci dollari di mancia.
Si lasciò cadere sullo schienale rigido della sedia,
aspettando che la cameriera ritornasse da lui, per informalo che la sua
compagna di viaggio stava bene, che lui si stava preoccupando per
nulla, come non avrebbe dovuto fare.
Bevve un nuovo sorso di vino, tentando di distendere i nervi.
All'improvviso gli ritornò in mente il passato, quando aveva
scoperto che Blair aveva sofferto di bulimia, senza che lui lo sapesse,
senza che nessuno lo sapesse, nemmeno Serena, che trascorreva la
maggior parte del tempo con la sua migliore amica.
Era stato uno shock: la splendida e sicura Queen B. aveva un punto
debole, non era intoccabile come appariva. Quando l'aveva rivista, dopo
quella rivelazione, si era accorto dei tratti più fragili
della ragazza, quelli che ad un osservatore poco attento sfuggivano: da
allora si era ripromesso di starle accanto, di esserle vicino, per non
permetterle di ricadere di nuovo in quel tunnel di sofferenze inferte
al proprio corpo, alla propria anima.
Una mano sulla spalla lo riscosse dalle divagazioni da cui si era
lasciato trasportare e Chuck vide la cameriera in piedi davanti a lui,
con espressione dispiaciuta.
< La sua amica non si trova nei bagni > gli
confidò, avvicinandosi alla sedia.
Il ragazzo la ringraziò e rimase ancora un attimo fermo in
quel posto, chiedendosi se Blair non fosse stata così furba
da non farsi trovare: non era una principiante, poteva benissimo
eludere il tentativo di quella giovane poco avveduta.
Si alzò lentamente, con un atteggiamento del tutto
ordinario, che non lasciava trapelare nemmeno una goccia della
preoccupazione che gli intasava i polmoni, come acqua salata.
Arrivato davanti ai bagni entrò in quello femminile,
discreto, senza farsi vedere da nessuno.
Davanti a lui vi erano una serie di cabine, mentre sulla parete opposta
campeggiava un lungo specchio posto sopra i lavandini bianchi.
Una signora si voltò e lo guardò con accusa, ma
il giovane la ignorò, proseguendo nella sua ricerca.
Si abbassò sulle gambe per vedere se qualcuno occupava uno
dei tanti scompartimenti, ma non vide nessuna traccia di Blair o delle
sue cose.
In quel bagno non c'era, aveva ragione la cameriera a cui si era
rivolto.
Possibile che avesse lasciato quel locale da sola, abbandonandolo al
suo pranzo, dopo che lo aveva pregato di accompagnarla?
Uscì di nuovo nel salone e lanciò uno sguardo al
suo tavolo, nella vana speranza di trovarvi la ragazza seduta
impeccabilmente, a gustare la sua insalata con tonno.
Non era tornata e non sapeva dove si fosse cacciata mentre lui era
stato così stupido da lasciarla andare, come avrebbe fatto
chiunque nella sua stessa situazione.
Prese il cappotto che aveva appeso alla parete dietro la sua sedia e si
avvolse la sciarpa intorno al collo per uscire all'esterno, dove la
neve aveva ricominciato a cadere silenziosa.
Qualche tir era parcheggiato sul piazzale sterrato, ora cosparso di
pozzanghere e fango, su cui il nuovo manto bianco si stava posando.
Chuck si guardò intorno, parandosi gli occhi con la mano
aperta, e la vide, rannicchiata su una panchina malandata vicino alla
fermata del pullman che avrebbero dovuto prendere da lì a
quindici minuti.
In fretta si diresse verso di lei che in quel momento
sollevò gli occhi vedendolo, prima di distogliere lo sguardo
e riportarlo sulla strada.
< Che diavolo fai qui, Waldorf? > domandò il
giovane stizzito appena le arrivò vicino.
Blair non gli diede risposta, continuando ad osservare un punto
indefinito, perso tra i campi innevati che fiancheggiavano il selciato.
Il ragazzo la scosse, costringendola ad incontrare i suoi occhi
preoccupati, nonostante il viso fosse imperturbabile come sempre.
< Perchè sei qui fuori al freddo? > chiese di
nuovo.
< Avevo bisogno di schiarirmi le idee > rispose sibillina.
Chuck si sedette accanto a lei e per un secondo pensò di
metterle un braccio sulle spalle, per riscaldarla con il calore del
proprio corpo, ma si trattenne, limitandosi a fissarla.
< Non so se ho fatto la scelta giusta > ammise
torturandosi freneticamente le mani.
< Riguardo cosa? > si informò il giovane.
Sentì lo stomaco contorcersi al pensiero che lei si fosse
pentita di averlo cercato, di aver voluto il suo aiuto, ma
scacciò quella sensazione completamente fuori luogo: avrebbe
dovuto essere felice di poter ritornare a Parigi prima del previsto.
< Henry Smith > disse semplicemente.
Chuck inarcò un sopracciglio, non credendo alle sue parole.
< Dov'è finita la regina, B.? > la
incalzò pungente, deciso a scuoterla, < chi
è questa codarda che ho di fronte? >.
Vide gli occhi della ragazza fulminarlo, mentre il suo viso assumeva la
consueta aria di alterigia che lui conosceva perfettamente.
< Non osare Bass > gli intimò, alzandosi,
< non osare accusarmi di scappare, quando tu lo hai fatto
un'infinità di volte >.
Il giovane si alzò a sua volta, affiancandola e facendola
voltare con uno strattone poco delicato.
< Ricordati chi ha scelto di fuggire cinque anni fa > le
sputò addosso, arrabbiato.
Rivangare il passato era ancora doloroso, ma non le avrebbe permesso di
farlo apparire colpevole, quando era stata lei ad aver paura, o forse
ad essere più accorta.
Blair si divincolò dalla sua stretta, tornando all'interno
del locale.
Posò sul tavolo una banconota da venti dollari e
tornò sui suoi passi, trovando Chuck sulla porta che
l'aspettava, osservando ogni sua mossa.
< Sono pronta per affrontarlo > ammise risoluta,
sollevando il volto al cielo perlaceo, da cui la neve continuava a
cadere.
In silenzio il giovane si portò al suo fianco, assecondando
la scelta di Blair di porre un velo su quanto li riguardava: non erano
in quel piazzale per affrontare ciò che era rimasto in
sospeso tra loro.
Un pullman arrivò dalla curva, fermandosi di fronte alla
banchina: destinazione Henryville, Pennsylvania.
Spazio autrice:
-marta: sei
sempre presente, mi segui ovunque e mi lasci sempre dei commenti
bellissimi e pieni di spunti..non posso dirti altro che grazie di cuore!
-vale:
grazie per essere ancora qui a seguirmi!
-chocola:
grazie per esserci ancora, sono felice che ti sia piaciuto quel pezzo!
-sigaretta:
speravo di non essermi arrugginita, voglio credere alle tue parole XD
-juju:
grazie, B. alle prese con oggetti quotidiani è strana :D
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