Rage and Love, the story of my life

di music_player
(/viewuser.php?uid=882955)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Look for love ***
Capitolo 3: *** wake me up when september ends ***
Capitolo 4: *** Poprocks and coke ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Guardavo ogni cosa attorno a me e tutto ciò che entrava nei miei occhi mi riportava ad un ricordo e mi faceva scendere lacrime per la nostalgia dei tempi passati. Avevo fatto tanto nella mia vita e non rimpiangevo nulla perché ero riuscito ad ottenere tutto ciò che essa poteva offrirmi: una famiglia, un lavoro che amavo, degli amici fantastici e una passione che mi faceva vivere tutto al limite. Ho viaggiato in ogni parte del mondo, ho stretto mani di persone che non conoscevo, ho visto migliaia di visi che ho subito dimenticato e ho cantato parole che hanno scritto la mia intera persona. Non rimpiangevo nulla eppure piangevo davanti alle mille foto che mi si presentavano davanti, in questa stanza dove ho passato i momenti più belli della mia vita con mia moglie, dove ho scritto le melodie più pazze e dove ho incorniciato ricordi per paura di dimenticare. Quel giorno era uno di quei giorni che mi avevano ricordato che avevo ormai 86 anni e che la vita mi stava scivolando via. Ero sdraiato nel mio letto e non riuscivo nemmeno più ad alzarmi, a camminare, a suonare.  Avevo appena ricevuto la notizia che aspettavo da tanto con timore e odio: Mike era morto dopo mesi di agonia per quella malattia che lo aveva bloccato, trasformato e cancellato. Anche lui, dopo Trè, dopo Adrienne e dopo la maggior parte dei miei amici, mi aveva abbandonato. Avevo perso in pochi mesi tutta la mia vita e mi faceva male. Quel giorno ero li, solo, in un letto che era diventata la mia prigione e guardavo tutto intorno a me cercando qualcosa su cui aggrapparmi, qualcosa che non scivolasse e non mi lasciasse nuovamente solo. E così, come da sempre succedeva, mi sono messo a fare la cosa che più mi usciva meglio: pensare. E fu allora che rividi tutto da capo… 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Look for love ***


-suo figlio è un talento signor Armstrong e io vorrei farle una proposta un po’… bizzara-.
-dica tutto-.
-io e mio marito abbiamo fondato una piccola etichetta e avremmo bisogno di un brano che la inauguri e crediamo che suo figlio sia la voce perfetta per la canzone che abbiamo composto… se lei ci permette di far registrare a Billie questo pezzo, gli darò personalmente lezioni di canto-.
Mio padre mi guardò in modo interrogatorio:
-ehi Billie, vieni un secondo… a te piacerebbe imparare a cantare e poi registrare una piccola canzone per la signora Maria e suo marito?-
Ci pensai un secondo e poi, come è sempre stato mio solito, dissi subito di si perché sarebbe stata una nuova esperienza e poi mi piaceva cantare. Fu così che dopo meno di un giorno, mi ritrovai li, in quella piccola stanzetta dotata di un pianoforte e con i muri completamente ricoperti da facce strane con microfoni e chitarre.
-dai Billie, ora ti faccio scaldare un po’ la voce e poi vediamo tutto il resto-
-ok…-risposi un po’ timidamente. E poi iniziò la magia che non avrei mai più voluto abbandonare.
Andavo ogni pomeriggio da quella strana signora di nome Maria. Mi era simpatica con quei lunghi capelli ricci, quelle grosso nasone e quelle dita sottili che suonavano quasi magicamente il pianoforte. Mi insegnò le note, le tonalità e alcune canzoni. Continuava a ripetermi che ero bravo e che presto saremmo andati insieme a registrare la canzone che suo marito aveva scritto per me. Io ero felicissimo. Avevo scoperto una nuova cosa che si chiamava cantare e la amavo. Avevo già deciso che avrei fatto questo per tutto il resto della mia vita, con il mio papà come accompagnatore alla batteria e Maria al piano. Era un’idea perfetta.
La canzone che dovevo interpretare si chiamava “Look for love”. Era simpatica e bellissima per i miei gusti. Ci mettemmo poco a registrarla e fu un momento veramente divertentissimo. C’erano mille microfoni e tantissimi strumenti in quella stanza che mio padre aveva chiamato studio di registrazione. E poi c’ero io che dovevo cantare e dovevo salire su uno sgabello per arrivare al microfono: quello è stato abbastanza imbarazzante, ma non ne ho dato molto peso perché il resto era bellissimo. Dopo la registrazione Maria è venuta ridendo e mi ha chiesto se potevo rilasciarle un’intervista e io risposi di si perché le grandi star lo facevano tutte. Mi fece una domanda in particolare che mi lasquello un po’ pensieroso ma allo stesso tempo felice perché sapevo la risposta:
-vuoi fare il cantante e fare tanti dischi quando crescerai?-
Io ci pensai un po’ su e poi risposi di si ed era un si detto con il cuore, quasi fosse una promessa fatta con me stesso: avrei fatto musica, qualunque cosa sarebbe successa.
 
 
Toc toc
 
 
-papà, ti ho portato il pranzo-
Aprii gli occhi e mi ritrovai di nuovo in quel letto che puzzava di vecchio, in quella stanza piena di foto. Guardai davanti a me vidi mio figlio Jakob con in mano un piccolo vassoio con su il mio pranzo. Lui era un ragazzo davvero in gamba, lo era sempre stato. Assomigliava tutto alla madre, sia nell’aspetto che nel comportamento e carattere: altruista, paziente e forte.
-grazie figliolo, appoggia pure qui-
-va bene, ecco. Come stai oggi? La signora Cooper mi ha messo al corrente di Mike, mi dispiace-.
Ecco che mi aveva riportato del tutto alla luce la realtà che per qualche istante i ricordi avevano offuscato
-non preoccuparti Jakob,  sto bene, me lo aspettavo e forse è meglio così-
-ok… senti per qualunque cosa io sono giù ok? Passo tra un po’-
-va bene caro, grazie-.
E chiusa la porta scese le scale e io rimasi di nuovo solo e piansi perché non stavo bene, per niente: il mio migliore amico se ne era andato e mi mancava terribilmente. Mike era la mia metà in tutto quello che facevo, in tutto quello che avevo passato lui c’era, in ogni mio ricordo e in ogni mio attimo avevo sempre potuto contare su di lui. Era la mia spalla su cui piangere, il braccio a cui aggrapparsi, il corpo che potevo abbracciare e il sorriso che mi rassicurava. Mike era tutto ed ora c’era solo un grande vuoto che la mia mente, una volta scivolato nel sonno, aveva nuovamente occupato con un altro flash back che non avrei mai permesso a nessuno di rubare…
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** wake me up when september ends ***


“eh sta attento angioletto dai riccioli d’oro” mi urlò dietro Kevin, quel moccioso definito “il ragazzo più bello e popolare della scuola”. Se ne andava in giro con la sua squadra al seguito e prendeva di mira i ragazzini come me che di figo non aveva nulla, ridicolizzandoli davanti all’intero istituto. Non li sopportavo. Ero preso in giro perché ero basso, piccolo, riccioloni d’oro e soprattutto cantavo, cosa inconcepibile per un maschio. Odiavo andare a scuola, non avevo molti amici con cui giocare e, essendo solo, ero l’esca per chi voleva farsi notare per la sua forza. Non ho mai capito molto bene il perché mi isolassero, credo perché non mi piaceva la violenza e  mi importava solo divertirmi. Sta di fatto che eravamo in mensa ed io avevo appena urtato Kevin e questo mi stava sbraitando contro:
“ma vuoi stare attento? Cos’hai per la testa? Angioletti che cantano canzoncine sdolcinate a un pubblico di vecchiette senza dentiera e con la bava alla bocca e con il tuo dolce paparino che, volando tra gli angeli, cerca di dirigere il coro?”
 Tutti risero mentre io a quelle parole tremai. Mi si gelò il sangue: come osava parlare di mio padre che era malato e di definirlo morto quando invece non era morto?
“non osare dire una sola parola su mio padre”
“perché, se no riccioli d’oro si arrabbia? Occhio perché tra un po’ non potrai più correre dal tuo papino per farti cambiare il pannolone, anzi non puoi farlo” e questo ancora seguito da una risata più fragorosa.
“stai zitto! Mio padre sta bene e guarirà; starà per sempre con me, me lo ha promesso!”
“ohhh… ora tuo padre è anche veggente?” e di nuovo la frase fu accolta da un risata generale.
“sta zitto! mio papà quando fa una promessa la mantiene e poi è forte!”
“certo, forte come te scommetto, pappamolla!”
Non riuscivo più a controllarmi: il cuore mi pulsava nella testa e i miei muscoli si stavano contraendo mentre il mio viso diventava sempre più rosso. Mio papà non era una pappamolla, lui era forte, molto più di me.
“oh guardate, Billuccio caruccio si sta arrabbiando perché ho detto che il suo paparino sta morendo… cos’è tuo papà non ti ha insegnato ha non dire bugie e ha dire sempre la verità?”
Sentivo gli occhi bruciare e senza accorgermene mi scese una lacrima. Stava giocando sporco e io glielo stavo facendo fare e, per difendermi, piangevo…  sentii il mondo crollarmi addosso. E se quello avesse ragione? e se mio padre fosse morto? E se non avesse mantenuto la promessa? Piangevo, sempre più forte perché c’era la possibilità che quella fosse la verità, ma io non volevo crederci. E piangevo.
“no, Biluccio sta piangendo… dai ora chiamo la tua mammina almeno ti soffia il nasino”

ok, aveva superato il limite e forse lo avevo superato anche io… non mi ero nemmeno reso conto ma quando riaprii gli occhi lui era per terra e il naso era rosso di sangue e la mia mano faceva male. Avevo le guance che pulsavano, gli occhi erano bagnati e le risate si erano zittite. Capii che avevo osato picchiare uno dei ragazzetti più forti della scuola e l’orgoglio e la gioia personale, furono subito seguite dalla paura perché io ero solo e lui era con altri sei amici e sapevo che nessuno in quella sala avrebbe mosso un dito per difendermi. Stavo per scappare quando sentii una strattonata al braccio e un dolore allucinante allo stomaco, poi alla faccia e poi ancora allo stomaco, poi al naso e sentii un liquido caldo bagnarmi la bocca, poi ancora dolore allo stomaco e poi una voce e un braccio che mi prese intorno alla vita e mi allontanò dalla scena di  guerra. Mi voltai per capire chi fosse e mi trovai davanti ad un ragazzino altro e biondo, forse della mia stessa età che urlava contro quelli:
“ma non vi vergognate, sei giganti contro un puffo, lasciatelo in pace!”
“ha iniziato prima lui, sa benissimo che non si deve azzardare nemmeno a parlarci, ora ha bisogno di una bella lezione”
“bhe, mi pare che gliela avete appena data, ora lasciatelo in pace” e pian piano mi sentii trascinare verso una panchina. Piangevo come un idiota e sentivo il naso che colava, la bocca sapeva di metallo e lo stomaco  dolorava. Questo strano ragazzo mi guardò e, sorridendo, mi disse:
“hai bisogno di una bella ripulita, vieni”. Mi accompagnò in bagno e mi sciacquò la faccia. Poi andò a prendermi un sacchetto del ghiaccio e me lo mise sullo stomaco.  Avevo il labbro gonfissimo, come lo stomaco, mentre in viso sembravo un panda. Fortuna che non ci sarebbe stata né mia madre né mio padre quella sera a casa.
 
“comunque sei matto ad andare contro quelli, potevano ridurti peggio di così, si può sapere che ti è preso?” mi disse.
“hanno insultato mio padre e questo non posso permetterlo”
“e tu rischi la tua vita per un insulto rivolto a tuo papà da un branco di idioti?”
“hanno detto che sarebbe morto, quando invece sopravvivrà sicuramente;  gli hanno dato della pappamolla quando invece è l’uomo più forte del mondo. dicono che mi ha raccontato una bugia perché in realtà deve morire, ma io mi fido di lui perché è il mio eroe e non è morto” dissi tutto d’un fiato senza nemmeno pensare che ciò che avevo detto era una frase da marmocchio e me lo avrebbero potuto rinfacciare mille volte, prendendomi in giro.
“allora hai fatto bene… hai le palle, amico” mi disse sorridendomi.  Io non risposi, ma lo guardai. Aveva degli occhi color ghiaccio dai quali mi sentivo senza barriere, completamente osservato e spoglio di quei muri che mi ero costruito in questo periodo in cui la mia famiglia era andata a rotoli a causa del tumore di papà.
“io sono Michael… però  puoi chiamarmi solo Mike”. Mi allungò la mano.
“io sono Billie Joe… però puoi chiamarmi solo Billie”.
Gli strinsi la mano e, in quel momento, sul pavimento di un bagno, con la maglia sporca di sangue, il naso e la bocca che pulsavano, lo stomaco che dolorava e gli occhi più neri di un panda, capii che quella stretta sarebbe stata la promessa che mio padre non avrebbe mai potuto mantenere perché in fondo sapevo che se ne sarebbe andato e sentivo anche che era morto quella stessa notte, quando mamma, piangendo, rispose al telefono e uscì di casa. Io non avevo voluto crederci ma in quel momento decisi che avrei affrontato la realtà perché avevo al mio fianco un ragazzino con le palle che mi stringeva la mano e che ci sarebbe stato. E piansi, stringendomi a lui. E lui non mi allontanò, ma mi strinse più forte perché sapevo che aveva già capito tutto. Mike, uno sconosciuto, era appena entrato nella mia vita e me l’aveva appena salvata e mi stava abbracciando mentre io piangevo. Fu in quel momento che capii che avevo appena conosciuto una delle persone più importanti della mia vita, che non se ne sarebbe andata, ma che sarebbe rimasta li con me, per sempre.
 
Mi svegliai in un mare di sudore e piansi amaramente perché era il mese di settembre e non avevo una spalla su cui appoggiarmi perché quel mese me le aveva rubate entrambe.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Poprocks and coke ***


 
Guardai l’orologio, le 6:50 del mattino; avevo dormito più di quanto mi fossi aspettato. Ultimamente non chiudevo più occhio e non ne sapevo il motivo: avevo sempre amato dormire, dopo la musica era la mia più grande passione, però il tempo mi aveva portato via anche quella… avevo una dannata voglia di uscire da quella stanza e assaporare quei primi giorni autunnali ma non potevo perché non sarei mai arrivato al balcone con la sola forza delle mie gambe, ero troppo debole. Così mi limitai a sedermi sul mio letto e ad osservare la stanza che avevo intorno, tutta colorata e con mille scritte che descrivevano ogni minimo particolare della mia vita; alzai la testa e provai a leggere tutte quelle che si trovavano sul soffitto  che scrivevo arrampicandomi sul letto e ne vidi una in particolare che diceva: “non ho bisogno che sia felice, ho bisogno che ne valga la pena”. Non era la mia scrittura ma riconobbi subito quella calligrafia, era di Mike. Sorrisi. Ricordavo perfettamente il giorno in cui quella frase venne detta…
“Billie, muoviti che facciamo tardi! Sai benissimo che il padre di Tre rompe le palle quando qualcuno è in ritardo!”
“si Mike, arrivo, solo un secondo”
“sempre solo un secondo, mai una volta che mi dicessi << sono pronto>>”
“Minchia Mike, sembri mia madre! Aspettami giu, prendo tutto e arrivo”
“ok, ma se non arrivi entro 1 minuto ti pianto qui e da Tre ci vieni a piedi”
“sisi dai, vai”. Quando voleva Mike era un vero rompicoglioni, però gli volevo bene con tutto me stesso e poi, come biasimarlo, quello era il primo giorno del nostro secondo tour ed io, come sempre, ero stramaledettamente in ritardo anche questa volta non per la mia solita pigrizia, bensì per qualcos’altro che mi faceva tremendamente cagare sotto: volevo realmente questo nella vita? Ero in preda al panico per il semplice motivo che quel tour avrebbe cambiato la vita a tutti noi ed io ero in un’ansia pazzesca perché cambiare la vita sarebbe significato crescere ed io, bisognava ammetterlo, non ero pronto. La musica era tutto ciò che avevo sempre amato e avuto ma non sapevo se sarebbe stata lei a soddisfare ogni mio bisogno anche quando sarei diventato vecchio. Avevo un tremendo bisogno di una canna, così la presi e mi misi sdraiato sul letto mio e di Mike fumandola e lasciando che ogni mio pensiero fosse spazzato via da essa. Pensavo a quando ero piccolo, quando cantavo davanti alla mia famiglia e a mio padre che era troppo fiero di me e che mi continuava a dire che da grande non avrei potuto fare altro se non il musicista; me lo fece anche promettere:
“Billie, promettimi che, per qualunque cosa al mondo, la musica non la abbandonerai. Essa ti scorre nelle vene e, io lo so, per te è la vera felicità. Credimi!”
io all’epoca avevo risposto con un sonoro: “si!!!” che ancora oggi non era scomparso, forse era solo meno sonoro di allora perché, in questo momento, mi si presentava davanti la vita che stava bussando alla mia porta e mi stava dando un’opportunità che mi avrebbe portato lontano da questo posto di merda grigio e marrone e che però, mi avrebbe costretto a scegliere la mia strada  ora, senza possibilità di ripensamenti. Senza accorgermene mi scese una lacrima, poi un’altra e un’altra ancora. Stavo piangendo senza saperne il motivo o meglio, il motivo lo sapevo benissimo ma non aveva alcun senso piangere per esso. Avevo paura, ero spaventato e questa paura mi stava spingendo a prendere una decisione insensata: non partire. Mi sentivo indifeso davanti a quei sentimenti contrastanti e a quei dubbi a cui nessuno avrebbe mai risposto, come potevo decidere così della mia vita?
“io sono giu ad aspettarti e tu sei li che fumi mentre dormi? BILLIE jOE ARMSTRONG scendi immediatamente!” i miei pensieri furono bruscamente interrotti da Mike che era nero dalla rabbia. Mi asciugai le lacrime più in fretta che potevo e mi misi seduto assumendo l’espressione più seria che potessi assumere.
“io non voglio partire”. Mike sgranò gli occhi:
“cosa?”
“io non voglio partire, non…non ce la faccio”.
Chiusi gli occhi, attendendo la reazione probabilmente violenta di Mike, aspettando una sua giustificata urlata e invece sentii il materasso abbassarsi affianco a me e un braccio attorno alle mie spalle che mi stringeva.
“che succede?” mi disse Mike dolcemente.
“niente. Ho cambiato idea e non voglio partire”. Cercai di trattenere le lacrime senza riuscirci, s’intende. Così Mike mi abbraccio e io lo lasciai fare perché nelle sue braccia mi sentivo realmente protetto, come sempre. In quel momento avrei voluto dirgli tutto quello che mi passava per la mente e tutto il casino che mi stava bloccando, ma lui fu più veloce:
“anche io ho paura, ma lo faccio lo stesso e sai perché?” scossi la testa come un bambino “perché è quello che voglio fare ora e lo so che lo vuoi anche tu”
“e se poi è la cosa sbagliata? Io non voglio finire sottoterra dopo aver vissuto una vita non mia. Ho paura che quella che oggi intraprenderemo sia la strada sbagliata e tu lo sai meglio di me che se partiamo oggi poi non torniamo più indietro”
“si, lo so ed è per questo che ho paura. Credi che sia facile per me scegliere cosa farne della mia vita? Solo che non ci penso perché credo che, se ci pensassi, non partirei e mi perderei l’occasione di cambiare la mia vita in qualcosa di nuovo”
“ma io ho paura”
“il nuovo fa paura Billie, però a volte, bisogna vivere al momento, senza pensare alle conseguenze. Cosa credi? Quando ci siamo conosciuti pensi non abbia avuto paura di andare contro quelli che ti pestavano? Però non ci ho pensato e ti ho conosciuto; forse se ci avessi pensato io non saprei nemmeno il tuo nome e forse tu avresti avuto il naso storto a vita” mi disse sorridendo “lo sai anche tu che bisogna rischiare”
“si ma qui ne va della mia felicità. E se poi non sono felice? Che cazzo faccio?”
“non ho bisogno che sia felice, ho bisogno che ne valga la pena. E questo viaggio ne vale la pena, per me, per Tre e soprattutto per te perché io so che tu vivi di musica e vivrai di questo per sempre. Ed ora muoviti che il padre di Tre ci ammazza. E asciugati quelle lacrimucce che un vero rocker non piange, coglione!” e ridendo mi prese in braccio di forza e mi trascinò in macchina e andammo da Tre e con lui iniziammo un viaggio che ci avrebbe portato alla gloria.

Ora che ci pensavo, non lo avevo mai ringraziato. Mike era il migliore amico che avessi mai avuto, ed ora, in quel letto che mi teneva prigioniero gli sussurrai “grazie” e, per quanto il sospiro fosse soffocato, io sapevo che lui mi stava ascoltando e che lo aveva sentito.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3257074