Sicut in Fabulis. - Secondo la Leggenda.

di HolyBlackSpear
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bellum. ***
Capitolo 2: *** Perduellio. ***
Capitolo 3: *** Foedus ineo. ***
Capitolo 4: *** Responsum. ***
Capitolo 5: *** Gladius. ***



Capitolo 1
*** Bellum. ***


bellum coffcoff Parole: 2591

Bellum.
{Nera la lama distruggerà.}
.
.

__

Il Re benevolo depose la corona di spine,
nel tempo in cui i fiumi piangevan corpi.
Mostro si fece nel petto esanime,
vacillò la bilancia sotto agli scontri.

C'era un uomo, sì,
che avrebbe portato la bella eternità ...


Qualcuno bussò alla porta della libreria, interrompendo la lettura piena d'ardore del ragazzo. Tale movimento contro al legno scuro di noce produsse un rimbombo simile a quello di una campana, spandendosi nel vuoto quasi etereo della stanza.
Il giovane chiuse il libro con un tonfo sordo, apprestandosi a riporlo in tutta fretta. Così piccolo, faceva fatica ad arrivare agli scaffali più alti, e dovette arrampicarsi di fortuna sulla struttura fragile di un scala malmessa per poter infilare il volume al suo posto. Appena in tempo prima che le due guardie reali facessero il loro ingresso, senza nemmeno aspettare la sua autorizzazione.
Ritti in piedi, i due Bisharp lo fissarono incrociando le braccia, attendendo pazientemente che li seguisse come ormai era nella regola. Gli umani non li mandavano neanche più, ormai, quando spariva. Lasciare scoperta la sala del trono sarebbe stato troppo pericoloso, di quei tempi. Ma di che tempi si trattasse, questo non lo sapeva nessuno.
La simil mano del Pokémon gli si poggiò delicatamente fra le scapole quando si avviò senza nemmeno provare a controbattere verso la loro direzione. Uno di loro era una femmina, aveva sentito. Si chiese se fosse sua la mano che aveva sulla schiena, o del temibile Bisharp a guardia del trono. Quello, si diceva, era un combattente di valore. Non esitava ad uccidere per proteggere, e metteva la propria vita sempre sul filo del rasoio, anche nelle missioni più difficili. In entrambi i casi, trovò divertente che due spadaccini del loro calibro fossero stati mandati a ripescare un bambino dispettoso.
Forse avrebbe smesso di entrare in libreria. Con ogni probabilità già lo odiavano per tutte le volte in cui li aveva fatti scomodare.

__


Stesa fra le coperte nere della stanza la donna si rigirava da mezz'ora buona, evidentemente indecisa se svegliarsi per davvero o continuare a crogiolarsi nel sonno.
Con i fianchi appoggiati al davanzale della finestra aperta l'uomo non si preoccupava del freddo pungente che gli sferzava la schiena, fintanto che poteva sentirsi così vivo. Ciò che gli era stato concesso - o che si era preso, a seconda dei punti di vista - andava ben oltre quello che aveva sempre sperato. Un dono così bello e generoso da farlo quasi resistere alla tentazione.
Ma la sua indole non poteva essere nascosta. Sorrise in qualche modo soddisfatto, quando la donna si tirò la coperta fin sulla testa, battendo i denti per il freddo. Era così piacevole, vederla soffrire un po'. Per tutta la sua esistenza l'aveva guardata impassibile, ben vestita nella sua ricchezza. Detestava ammetterlo, ma il suo squallore non era mai stato equiparabile allo sfarzo lussureggiante della sua amante.
Com'era divertente, ripensare a ciò che era successo. Il risultato del loro amore, se così avrebbero potuto chiamarlo, sarebbe stato sconvolgente, o non avrebbe mai visto la luce?
Un lercio topo di fogna come lui avrebbe avuto la grazia di un bellissimo fiore come quella femmina nascosta fra le lenzuola?

__


Lo stesso ragazzo che andava intrufolandosi da piccolo in qualsiasi meandro nascosto del palazzo aveva ora affinato la tecnica con l'avanzare dell'età e lo sviluppo del corpo.
Silenzioso come un'ombra, aveva imparato a vagare per i corridoi della tenuta senza muovere un solo alito d'aria, seguito dal fidato Pokémon che si adoprava per non lasciar tracce a propria volta.
Non diversamente da un altro giorno, il suo modus operandi si ripeté con lo stesso schema fisso: aspettava il cameriere che arrivava dall'ultima stanza a sinistra, prima di imboccarsi nel corridoio adiacente a quello in cui si celava non appena l'uomo svoltava l'angolo. Dopodiché avrebbe preso la rampa di scale che puntava verso il basso, scivolando nel suo intrico a chiocciola senza fare il minimo rumore. Quei gradini, con ogni probabilità, non erano in uso da molto tempo.
La vera incognita, però, giungeva quando metteva piede nel sotterraneo.
Unica zona del castello non ancora esplorata, c'era sempre qualcosa che lo tratteneva dallo spingersi fino in fondo. Il problema principale era rappresentato dalla presenza della porta d'ingresso, enorme e difficile da aprire senza la chiave originale. L'unica volta in cui era riuscito a varcarla era stato per dimenticanza del Klefki che aveva in custodia le varie chiavi del palazzo, e non era stata un'esperienza esattamente entusiasmante. In primo luogo perchè era stato chiuso dentro dall'esterno, ma soprattutto perchè il posto non era illuminato.
Quella volta se l'era cavata con un buon colpo di fortuna e un grosso spavento. Il Pokémon l'aveva fatto uscire, seppur stizzito, promettendo di tacere sull'accaduto solo a patto di un'ingente fornitura di bacche che ancora adesso gli veniva recapitata in stanza direttamente dalle cucine.
Nonostante il brutto ricordo che lo avrebbe accompagnato per tutta l'esistenza, tuttavia, niente riusciva mai a fermarlo dallo scendere ogni volta quelle scale, nella vana speranza che, come quel giorno, la porta fosse stata dimenticata aperta. Allora, in tal caso, avrebbe trovato il coraggio di prendere in mano la chiave, far scattare la serratura dall'interno, e ordinare al proprio compagno di fare luce con il suo fuoco, e poi...
«Padrone.»
Il suono secco di una voce ruppe il silenzio della sua camminata, facendolo sobbalzare proprio quando stava per avventurarsi lungo la scalinata oscura. Girarsi quasi non servì, tanto bene conosceva chi aveva parlato. Parlato nella mente.
Ritto nella propria forma, le mani incrociate pigramente dietro lo scudo rotondo, Aegislash stava aspettandolo immobile, fluttuando a qualche centimetro da terra. L'unico occhio dalla pupilla bianca sembrava quasi annoiato, per quando fosse irremovibile nel silente avviso che gli aveva mandato.
Pyroar dimenò la coda contro alla propria gamba, salutando il suo simile con un basso ringhio. La spada spettrale, di rimando, spostò una delle sue mani per andare ad accarezzarlo sulla criniera. Scottarsi sarebbe stato impossibile, essendo incapace di sentire il calore o il freddo.
«Scusami, Aegislash. So che è rischioso, hai ragione.»
«Dovreste scusarvi con il re, non con me. È lui che vi vuole proteggere.»
Per qualche motivo, né il tono in cui lo disse ne lo sguardo del Pokémon parvero convinti.
Quell'Aegislash era stato, a suo tempo, un magnifico Honedge. Un rituale prevedeva che ai giovani di nobile lignaggio fosse donato un uovo senza conoscerne la provenienza. A seconda di cosa fosse uscito da esso si avrebbe avuto un buon presagio per il futuro del giovinetto e la sua famiglia, o l'avviso di un'imminente disgrazia pronta ad abbattersi sul casato. L'Honedge che era uscito dal suo uovo avrebbe, tecnicamente, dovuto presagire un buonissimo futuro: essi rappresentavano la nobiltà d'animo e il cuore puro dei sovrani. Rarissimi, all'epoca, in cattività, erano coloro che si associavano ai futuri re e imperatori, quelli degni di ricoprire tale carica, i prescelti per fregiarsi di tale, importantissimo titolo.
Eppure, nessuno al castello era parso entusiasta di vedere un piccolo dai capelli rossi correre ovunque esibendo il nuovo nato Pokémon. Tutti, al contrario, erano impalliditi, mostrando silenziosamente il proprio sgomento.
Come il resto delle persone, lì a palazzo, anche lui sembrava conoscere qualcosa che il ragazzo non sapeva. Più nello specifico, il motivo per cui gli era sempre stato vietato di entrare in quasi la metà delle stanze del maniero.
«Non fare domande. Non risponderei e lo sai.»
Un dettaglio abbastanza spiacevole che avevo acquisito soprattutto con l'evoluzione era stata la capacità di leggere nel pensiero, oltre che comunicare tramite esso. Era anche in grado di manipolare la sua volontà, a dire il vero, ma non si era mai azzardato a violare il suo libero arbitrio.
«Se non ti piace dovresti imparare a pensare alle donne quando ti ronzo attorno. Smetterei di interessarmi a cosa ti frulla per la testa all'istante.»
«Aegislash, fuori dalla mia testa. Ora.»
Il Pokémon parve divertito, a giudicare dallo sguardo d'intesa che lanciò al Pyroar. Poi scrollò le spalle sottili, dandogli la schiena e avviandosi lungo il corridoio nella direzione opposta alla sua.
«Ogni suo desiderio è un ordine, padrone.»
Nella sua testa proruppe una lieve risata, e non poté fare a meno di sorridere di fronte al sarcasmo che aveva affinato nel corso dei tanti anni passati assieme.
Poco prima che il Pokémon sparisse in una folata di vento, tuttavia, si girò un'ultima volta verso il rosso, fissandolo con intensità negli occhi. Era tornato serio e gelido come una lastra di ghiaccio.
«Il re vuole vederti. Faresti meglio a correre, perché ha detto che era urgente.»

__

 

Quando Aegislash ti avvisava di qualcosa in modo tanto secco non c'era veramente tempo da perdere. Sia lui che Pyroar non avevano perso un istante per precipitarsi verso la sala del trono, tallonando il tempo mentre si districavano del labirinto infinito dei corridoi. Da piccolo si era spesso perso fra di essi, incapace poi di tornare indietro senza l'aiuto di qualcuno. Ora, grazie al cielo, li aveva memorizzati. Un punto a proprio favore durante le sue fughe in extremis dalle proprie incursioni non autorizzate.
Il salone principale che dava accesso alla sala del re pullulava di persone di ogni sorta di lignaggio e superiorità. Dame delicate come fiori ma velenose come Seviper parlottavano concitatamente dietro il movimento ipnotico dei loro ventagli variopinti. Lord di varie province si stringevano le mani con sguardo grave, altri si passanovo sacchetti di cuoio in tutta segretezza. Il tintinnio inudibile in mezzo al caos della folla non avrebbe dato dubbi sul contenuto di esse. Pokémon aristocratici si crogiolavano, annoiati, ai piedi dei proprietari troppo presi dai pettegolezzi o dagli affari per badare a loro.
Al suo passaggio, la ressa di persone accalcate le une contro le altre si aprì, spalancandogli la via. Il silenzio cadde con prepotenza nella sala, riversandosi in essa come un'improvvisa ondata d'acqua, che immerge tutto senza riguardi. L'unico rumore che si udì, per qualche secondo, fu il rimbombare dei tacchi contro al marmo scuro del pavimento. Poi la porta che lo separava dal re suo padre venne spalancata, stroncando a metà la voce dell'uomo proprio mentre pronunciava una parola decisamente pericolosa.
Guerra.

__


La sala era riccamente decorata, degna dell'uomo che vi sedeva al centro. L'immenso trono d'oro torreggiava su tutto, fulgido come una stella nei propri decori imperiali. Serperior, viticci d'edera che simboleggiavano l'eternità e un Aegislash proprio sopra alla testa del re erano stati modellati del lussuoso metallo, facendo apparire chi vi sedeva come un vero e proprio emissario del cielo.
Quando il principe fece irruzione della stanza, il cuore del giovane servitore ebbe un improvviso sussulto. Ignaro delle occhiatacce dei suoi colleghi che lo intimavano a starsene fermo e ritto neanche fosse una statua, non poté fare a meno di spostare lo sguardo da un estremo all'altro della sala, valutando quanto fossero diverse le bellezze di padre e figlio.
Il primo sedeva fieramente nella sua poltrona d'onore, avvolto in drappeggi porpora, neri e bianchi; un grosso diadema dorato, impreziosito da varie gemme, gli correva intorno al capo. I capelli scuri, con suo sommo dispiacere, stavano mostrando i primi segni della vecchiaia, tingendosi di quella tonalità canuta che le donne reali tanto rifuggivano. La moglie, in compenso, per nascondere tale difetto di cui soffriva anche lei, era già ricorsa alla parrucca.
Il viso non era decisamente bello, con le sue forme poco eleganti, ma attirava per qualche motivo l'attenzione. Il naso era troppo lungo rispetto al resto del viso, gli occhi erano troppo sottili e le sopracciglia troppo folte. Il labbro superiore praticamente non esisteva, e la lunga barba nera stonava contro allo sguardo grigio tutto sommato ancora giovane.
Il figlio, invece, pareva a confronto quasi adottato. Nelle sue forme di ragazzo che sta diventando uomo appariva come un bellissimo fiore in procinto di sbocciare nella propria vera bellezza. Ogni tratto di lui era elegante e fine, quasi scolpito dal migliore artista. Non c'era difetto, ai suoi occhi, nei suoi capelli color fuoco che sfidavano il cielo puntando verso l'alto, o nel viso squadrato spruzzato di efelidi che andavano sparendo. Ciò che gli piaceva di più, tuttavia, ciò che lo faceva restare ogni volta senza respiro, erano gli occhi. Due pezzi di ghiaccio dello stesso colore del cielo, piazzati in mezzo al viso nel perfetto rispetto delle proporzioni ideali. Le lunghe ciglia castane che li incorniciavano gli accarezzavano le guance ogni qual volta si inchinava al cospetto del padre. Quel giorno non successe.
Immobile al centro della stanza, attorniato dai servitori che si fecero mprovvisamente più rigidi, fissò senza una parola il sovrano, astenendosi dal rituale che prevedeva di inchinarsi di fronte a lui in ogni occasione, prima di rivolgergli la parola. Sfidò coraggiosamente l'etichetta, aprendo la bocca senza nemmeno essere interpellato, suscitando un mormorio di costernazione nell'ingente di folla di spettatori di cui faceva parte.
«Mi è stato comunicato che volevate parlarmi urgentemente, padre.»
«È così, figlio. Ma dimmi, la fretta ti ha fatto dimenticare le buone maniere?»
La voce dell'uomo non era cattiva, ma giunse ugualmente come una pugnalata fredda. Una ragazza al suo fianco trattenne il fiato, mentre un tizio dietro di lui imprecò a bassa voce. Una frecciatina simile era difficilmente ignorabile.
Il giovane, invece, non parve minimamente turbato dalle parole del padre, e resse il braccio di ferro senza demondere. Per la precisione, in realtà, lo ridusse al silenzio.
«Se il mondo stesse crollando non perderei certo tempo a inchinarmi. Non sviate oltre, siate diretto nella vostra parola.»
Una risposta simile da parte di qualcun altro sarebbe costata qualcosa come una cinquantina di frustate. Il re invece si limitò ad annuire, dopo essere rimasto sbigottito quando il resto delle persone. Con ogni probabilità, gli avrebbe dato una lezione verbale quando ne avrebbe avuto una nuova occasione.
«Ebbene, ecco la notizia: la nostra nazione espanderà i propri confini. Invaderemo la regione a noi confinante, conquistando tale territorio. Mio fratello, povero pazzo, è caduto in rovina anni fa. È tempo che riconosca la propria scarsa predisposizione al trono e lasci a me il dovere di governare su un regno tanto vasto e rigoglioso. Non siete d'accordo?»
Lo sguardo del re passò sui suoi sudditi, accarezzandoli come si fa con un animale per ammansirlo e tenerselo fedele. Tutti annuirono, ci fu chi esultò, chi urlò frasi come "lunga vita al nostro re". Lui, invece, rimase in silenzio, esattamente come parve fare il principe. L'unica differenza fra loro fu che la mascella imberbe del rosso si contrasse bruscamente.
«Pertanto, figliolo, volevo metterti al corrente del fatto che presto raggiungerai la maggiore età e che, con tale avvento, non ti sarà più concesso di sfuggire agli impegni di corte che hai sempre messo da parte. Non appena compirai diciott'anni verrai istruito come un capo dell'esercito e prenderai parte alle battaglie che io guiderò da qui qual'ora se ne presentasse la necessità. Inoltre sarai tu a dirigere la strategia di guerra, assieme a me, per prepararti al futuro compito che ti attende. Non durerò in eterno.»
Tale notizia, nel suo cuore, fiorì come un bellissimo avviso. Non certo perchè augurasse la morte al proprio sovrano, si intende, ma perché sarebbe stato fiero di vivere sotto al comando di un uomo dall'ingegno tanto fine ed istruito quanto quello del principe.
Nel resto della sala, tuttavia, cadde un profondo silenzio. Lo stesso Pyroar del nobile, rimasto docilmente seduto a fianco del padrone senza muovere un muscolo, alzò gli occhi verso la miriade di spettatori, percependo l'anormalità di tale reazione.
L'unica frase che colse, in un sussurro a malapena udibile, lo lasciò in qualche modo in allarme.
Nera la lama distruggerà.
__

 

{Post Scriptum:
Non mi sarei mai aspettata che questa storia vedesse la luce, ma ... alla fine mi sono decisa a scriverla. Da troppo tempo mi ronzava in testa, ed era assurdo continuare a rimuginarla e rigirarla senza produrci qualcosa di serio.
Che dire, quindi? Un primo capitolo pieno di interrogativi e misteri. Posso solo dirvi che verranno tutti sbrogliati, nel corso della storia, e che tutto avrà una spiegazione, alla fine.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che abbiate voglia di leggere anche il seguito, affezionandovi a poco a poco a questo mio prodotto più unico che raro (non è una oneshot coffcoff)
Ci vediamo presto con il secondo capitolo! Spero che siate abbastanza pazienti da attenderlo!

Bellum
= Guerra


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Capitolo 2
*** Perduellio. ***


sicut in fabulis 3
Perduellio.
{Il segreto è scoperto.}
.
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_


Eppure quel posto aveva un fascino del tutto irresistibile. Mentre percorrevano a ritroso i corridoi che ormai considerava suoi compagni di scorribande, il ragazzino si sforzò di capire il linguaggio dei due Pokémon al suo fianco, per lui ancora piuttosto ostico. Non che producessero dei suoni netti e ben distinti, i Bisharp, a dirla tutta. La loro era una lingua fatta più che altro di sensazioni generali e vaghe trasmissioni di pensiero, all’orecchio umano. Frase intere ed elaborate non giungevano quasi mai, nemmeno ai più esperti studiosi.
Tuttavia, nonostante questa difficoltà nel comprendere furtivamente ciò che si stavan dicendosi, non fu difficile cogliere il mezzo ringhio di rabbia che uscì dalla bocca del maschio. Ora che lo vedeva bene da vicino, si accorgeva che era più grosso rispetto alla compagna e che il suo corpo era sfregiato in innumerevoli  punti. Alla femmina, invece, mancava una delle tipiche lame che fuoriuscivano all’altezza dei gomiti. Al suo posto, aveva un malinconico buco nero, che per qualche motivo lo mise a disagio.
Guerra. Re. Questi due vocaboli li colse per bene, il suo orecchio non ebbe alcun dubbio. A giudicare dal tono basso in cui stava parlando, lo spadaccino reale stava esprimendo un proprio disagio o una situazione per lui spiacevole alla femmina, che lo ascoltava silenziosa rispondendo a monosillabi, quando capitava. Il suo tono non pareva per nulla convinto.
Con l’innocenza tipica dei bambini che ancora non l’aveva abbandonato, nonostante stesse crescendo a vista d’occhio, trovò il coraggio di tirare appena la mano del grosso maschio alla sua destra. I suoi occhi scuri si poggiarono sul suo viso, mentre si arrestava completamente nel proprio discorso.
«Chi è in guerra, signore?»
Di rimando, questi liberò la mano dalla sua stretta. Ma solo per rivolgergli una delicata carezza fra i capelli, mentre scandiva il più possibile la propria risposta. Il giovane la comprese senza problemi, ma altrettanto chiaramente colse quanto fosse una bugia.
«Nessuno, piccolo. Nessuno.»


__

Qualcosa, o meglio qualcuno, si sedette sul bordo del letto, facendo inclinare il materasso sotto al proprio peso. Un nuovo brivido di freddo la colse, e ciò sembrò divertire l'uomo, sebbene parve anche farlo decidere definitivamente nel chiudere la finestra, serrando perfino le imposte. La stanza ripiombò quasi nella completa oscurità, mentre l'aria si stabilizzava, all'interno di essa, dando un attimo di tregua al suo corpo infreddolito.
Tale pausa, però, durò poco, presto sostituita dalla mano gelida dell’amante che si insinuò sotto alla coperte, partendo dalle reni per risalire lungo la schiena.
Quasi spazientita da quei piccoli dispetti si voltò verso di lui, attorcigliandosi nelle lenzuola scure come la notte. Incontrare i suoi occhi era ogni volta un’esperienza nuova e ben conosciuta al tempo stesso. Il viso giovane non era minimamente scalfito dagli anni, il sorrisetto beffardo che gli sollevava un angolo delle labbra esangui era ancora intatto nella sua strafottenza. Per quanto nemmeno lei avesse addosso i segni dell’età, si sentì infinitamente vecchia al cospetto di un tale spettacolo.
L’uomo sollevò un sopracciglio, reclinando appena la testa mentre assottigliava lo sguardo, come se la stesse studiando. I bei capelli che gli incorniciavano sempre il volto scivolarono di lato, seguendo il suo movimento, accarezzandogli appena una spalla.
«Concedimelo.»
Il sussurro che giunse era un miscuglio indefinito di sensazioni. Sembrava un ordine, ma la piega erotica del tono lasciava intendere che bramasse allo stesso modo i risvolti che implicavano tale concessione. E ancora, anche se ben nascosta dietro a quelle emozioni tanto potenti, c’era una sorta di urgenza, come se in realtà la stesse implorando.
Per quanto fu sbagliato, scostò le coperte senza dire una parola. Le forme dell’uomo non esitarono un istante ad insinuarsi contro alle proprie.

__

Non seppe dire se lo pensassero più sprovveduto o più sordo, ma colse perfettamente anche lui il monito ripetuto come una sorta di memento dal servitore in mezzo alla folla. Bastò tuttavia spostare i propri occhi gelidi verso di lui, cercando di immaginare chi fosse stato, per mettere a tacere qualsiasi lievissimo brusio. Tutti ricambiarono il suo sguardo, colmi di soggezione e colpevolezza. Quelle parole le aveva sentite per troppo tempo. Lui alle leggende prive di fondamento non credeva.
«Sono lusingato del favore che volete farmi, padre, e della fiducia che in me riponete. Sarò molto lieto di aiutarvi in un compito così importante, e allo stesso modo aspetterò impaziente il raggiungimento della maggiore età e l'inizio della mia formazione.» - Mormorò, voltando il capo nella sua direzione, dopo essere rimasto qualche istante a fissare la calca con sguardo truce.
Attendere una sua risposta sarebbe stato superfluo, perché già sapeva cosa gli sarebbe stato detto. Il padre l'avrebbe ringraziato a propria volta per il suo zelo nell'essere figlio e servitore del regno, e l'avrebbe congedato ponendo fine al colloquio. O meglio, alla parte di incontro cui gli era concesso di assistere.
Era certo, infatti, che dopo la sua dipartita il sovrano avrebbe fatto disperdere le genti, rinchiudendosi poi in quella sala con una strettissima élite di fidatissimi. Un paio di servitori, il suo amato Houndoom, la moglie e i sommi cavalieri, sia umani che Pokémon. Le questioni di cui discutevano in quel luogo erano segreti di portata immensa, e ogni singolo orecchio avrebbe dovuto portarseli dietro fin nella propria tomba. Peccato, però, che due persone possono mantenere un segreto solo se una delle parti è morta. Figurarsi un gruppo formato da una buona dozzina di individui.
Senza indugiare oltre su cosa si sarebbe detto al di là di quelle porte sbarrate girò sui tacchi dopo un breve inchino e si avviò per i corridoi stracolmi di gente che andava ritirandosi nei propri appartamenti, proprio come stava facendo lui. Era divertente osservare come fossero una massa compatta e omogenea, sebbene ognuno si credesse superiore all'altro. Visti dall'alto del soffitto, nessuno di loro sarebbe sembrato diverso.
Elisio seguì la marea di gente solo fino ad un certo punto, tagliando poi verso quello che veniva definito il corridoio dei riflessi. In realtà, tale passatoio era fatto di specchi solo da un lato, mentre dall'altro c'erano le grosse vetrate che davano sulle immense distese di verde. Boschi lussureggianti, il corso silente di un paio di rigagnoli che confluivano in un laghetto cristallino e le cime delle montagne in lontananza. Tutte queste viste invasero il suo campo visivo non appena mise piede sull'enorme balconata, ignorando la fresca aria autunnale che gli sferzò il viso e lo costrinse a pentirsi di non aver preso con sé il proprio mantello. Simbolo del proprio lignaggio, era assieme al diadema regale qualcosa che portava a stento. Inutile dire che molta gente disapprovasse completamente.
Pyroar distrasse la sua attenzione quando produsse un lievissimo soffio, più giocoso che altro, in direzione del cielo. Bastò scorgere un'ombra scura che nascose il sole per una frazione di secondo per identificarne l'appartenenza.
«Honchkrow, mio fidato. Sai già cosa devi fare, immagino.»
Il Pokémon gonfiò il petto, sotto alla carezza che il principe gli rivolse sul capo, guardandolo fieramente negli occhi con i propri rossi. Si scostò per un istante solo per chinare la testa e becchettare affettuosamente il capo di Pyroar, che per tutta risposta ruggì scuotendo la criniera. Una sorta di dimostrazione di fiducia reciproca.
Quando tornò a guardarlo, gli occhi del Pokémon uccello erano piedi di responsabilità. Sarebbe stato pronto a tutto per il suo Allenatore, e tale dedizione non poteva che colmare il suo cuore di gioia. I Pokémon non tradivano come gli umani, come faceva lui. Loro sarebbero rimasti fedeli per sempre.
«Dovrai ascoltare attentamente quello che si dirà nella sala del trono. Mio padre da l'impressione di star nascondendo molte, troppe cose, al futuro erede di questa nazione. Va' e raccontami tutto una volta terminato, e sta' molto attento a non farti scoprire. Non sei più un Murkrow, le ombre non ti celano più come un tempo.»
Ma l'indole subdola e calcolatrice del compagno piumato non se n'era andata, anzi ... tutt'altro. L'evoluzione lo aveva reso soltanto più astuto, e quell'ultimo monito parve stizzirlo appena. La sua espressione pareva proprio dire "Hey, ma per chi mi hai preso? Per uno sprovveduto?".
Con un'ultima carezza fra le ali e una parola di buon augurio nell'antica lingua del luogo lo osservò spiccare il volo, rapido come una saetta, silenzioso come una nuvola. Non poté fare a meno di sorridere, anche se con una certa gravità, mentre si chinava affianco del proprio Pyroar, passando piano la mano sul morbido pelo della schiena. Forse avrebbe dovuto spazzolarlo ancora, c'era qualche no-...
Un ringhio improvviso dell'animale lo mise immediatamente sull'attenti, facendolo scattare in piedi nello stesso istante in cui il pelo dorato del possente leone si rizzava con prepotenza sulla schiena. Proprio di fronte a lui, ritto e sottile come palo, c'era la sua potenziale condanna a morte.
Che lo fissava con occhi altrettanto sbarrati.

__

«Vostra grazia, vogliate...»
Non era stata sua intenzione. Il motivo per cui si era diretto lì, seguendolo, era egoistico, e una vocina nella sua testa gli aveva ripetuto per tutto il tragitto che non era permesso seguire il principe senza il suo consenso, che se un altro servitore l'avesse scovato sarebbero stati guai, ma che il principe allo stesso modo avrebbe potuto punirlo per tale affronto.
Eppure l'aveva seguito, insistentemente, cercando di non farsi ne vedere ne sentire. Non che fosse troppo difficile, con l'aspetto del tutto ordinario che aveva. Voleva a tutti costi dirgli che lui era felicissimo che sarebbe diventato re in un prossimo futuro, che per lui sarebbe stato un onore diventare il suo servitore personale anche in qualità di scudiero e maggiordomo, che era pronto a fare qualsiasi cosa pur di mostrargli la propria devozione.
Ciò che aveva scoperto, però, avrebbe avuto un peso ben maggiore del suo capriccio infantile se fosse venuto a galla.
Per quanto potesse ammirare il principe, così austero nella sua figura impenetrabile di serietà, eleganza e compostezza, l'alto tradimento al re era punibile con la morte. L'esecuzione poteva essere istantanea, e avvenire in diversi modi. La ghigliottina era un'opzione, anche se caduta un po' in disuso. C'era poi la lapidazione, l'impiccagione, le frustate seguite dalla spada del re in persona. L'unico tratto che accomunava tutte queste possibili vie era che, solitamente, la cosa era di dominio pubblico e sarebbe accaduta sotto agli occhi della gente.
Ecco quindi che lui, un servitore da niente con zero possibilità sociali e zero rilevanza sia nel piccolo ecosistema di quel castello che nel mondo, era diventato l'inconsapevole portatore di un segreto estremamente importante. Cosa fare, si era chiesto, mentre lo sentiva parlare e gli si gelava il sangue?
Rivelarlo al re avrebbe posto fine alla vita dei Pokémon dell'uomo e del principe stesso. Tenerlo per sè, allo stesso tempo, lo avrebbe reso complice del complotto. E allora, se qualcuno fosse venuto a saperlo...
Improvvisamente, però, il futuro sovrano si era girato, avvisato dal ringhio basso e minaccioso del proprio Pyroar. E ogni pensiero era stato spazzato via, il cuore aveva perso un paio di battiti prima di incominciare a correre completamente impazzito. La sua bocca già poco capace perse totalmente la capacità di comunicare, riducendosi a un muscolo inutile e balbettante.
«V-vostra maestà, vi giuro che...»
«Una parola e ti sgozzo. Seduta stante.»
Non l'aveva nemmeno visto arrivare, tanto era stato veloce a muoversi. La coscienza della sua mano maschile e infreddolita ostinatamente premuta sulla bocca arrivò con un po' di ritardo, così come il calore asfissiante della criniera del leone vicino alla gamba. Abbassare lo sguardo servì solo ad aumentare il proprio terrore, poiché incontrò le zanne digrignate dell'animale, sicuramente bramose di farlo a fettine.
Il principe imprecò, guardandosi rapidamente in giro prima di afferrargli la nuca con la mano libera e trascinarlo lungo il corridoio il più in fretta possibile, entrando nella prima camera disponibile. Tenere il passo con lui, seppur solo per una decina di metri, fu impossibile. Sia per il terrore che gli paralizzava i muscoli, sia per le lunghe falcate dell'uomo che lui non sarebbe comunque riuscito a coprire con le proprie gambe corte e sottili.
Le mura della stanza avvolsero i loro tre corpi come una coperta tanto agognata. Per quanto la situazione lo permettesse, il servitore colse negli occhi del giovane nobile un lampo di sollievo, nel sapere che erano finalmente in un posto dove nessuno poteva scovarli. Risolvere la situazione in due -tre, contando il bonus quadrupede- era meglio che in quattro. O dieci.
La chiave girò nella toppa più o meno nello stesso istante in cui lui si sentiva lanciare contro al pavimento, in un gesto di prepotenza che parve non calibrato. Impattare con il suolo freddo gli sembrò in qualche modo la giusta punizione per la sua ostinazione. La morte sarebbe stata probabilmente la seconda per il suo origliare.
Gli occhi glaciali dell'uomo gli arrivarono addosso come una secchiata d'acqua. Impossibile per scienza, ma quell'azzurro ardeva, d'ira e di terrore. Se fosse stato in un altro frangente avrebbe trovato divertente poter essere la fonte del suo terrore nonostante fosse piccolo come uno scricciolo a suo confronto. Dio, quanto era grosso? Anche se fosse stato in piedi sarebbe arrivato a malapena alla sua spalla! A vedersi da lontano non pareva così enorme, eppure lo era: La mano che gli aveva piazzato prima sulla faccia era abbastanza grande da coprirgliela tutta senza problemi, e le spalle erano larghe almeno il doppio delle proprie. Uno schiaffo da parte sua, o un bel calcio da uno di quegli stivali enormi, e potevi dire addio alle tue giunture. O a tutti i denti e al tuo bel nasino, a seconda della sua predilezione.
«Cosa hai sentito? Parlami da uomo senza balbettare, perché la questione in cui ti sei cacciato è tutto fuorché per pappe molli.»
Nonostante il tono minaccioso e le parole cattive, alle sue orecchie quella frase giunse come qualcosa di assolutamente forzato, una sorta di parte recitata su cui ci si è allenati più volte e che si tiene nel cassettino della mente, pronta per essere sfoderata all'occorrenza. Per questo non si sentì offeso o minacciato, almeno ... non più di quanto non si sentisse già prima.
Trovò quindi il coraggio di alzare gli occhi nei suoi, raddrizzandosi in fretta gli spessi occhiali sul naso che erano scivolati da un orecchio nella foga del movimento.
«Ordinavate al vostro Honchkrow di spiare il re e le sue riunioni segrete, vostra maestà. Questo ho sentito.»
«Chi ti manda?»
«Nessuno, sire, io...»
La spiegazione non parve soddisfare né lui né il suo Pokémon, che avvicinò il muso al suo viso, ringhiando ferocemente. Gli arti erano piegati in posizione di attacco. Come minimo, aspettava solo di potergli saltare alla gola.
«Chi ti ha pagato per seguirmi? Per quanto ti sei fatto comprare? Poco, scommetto. I servi un tempo non erano così facilmente corrutt-...»
«Elisio, basta
Una voce sottile come la lama di un coltello fendette l'aria, attraversandogli la mente come una folata di vento. Sbatté le palpebre, sbigottito e confuso, guardandosi attorno alla ricerca dell'origine del suono. Un testimone! Qualcuno li aveva scoperti!
Il principe, però, non dava il minimo segno di preoccupazione. Pareva invece più irritato per l'interruzione che in ansia per l'arrivo di qualcuno. Che conoscesse chi aveva parlato?
«Potrebbe farmi uccidere, merda
«Innanzitutto modera il linguaggio, il mio nome non è "merda".»
Tale osservazione sarcastica lasciò entrambi, servitore e principe, a bocca aperta. Se avesse potuto dare forma a quella voce, di sicuro si sarebbe immaginato un uomo alto ma sottile, dai lineamenti taglienti come un pezzo di vetro. E un bel sorriso innocente a trentadue denti stampato in faccia, neanche sfidasse l'avversario a provare a resistere all'impulso di spaccarci contro una sedia.
Più o meno allo stesso modo il rosso fremette visibilmente, serrando la bocca in una posa rigida. Ridurre al silenzio il principe! Chi diavolo poteva permettersi di parlargli a quel modo?
«E poi calmati. Non è nelle sue intenzioni. Sei qualcosa come il suo idolo, e non lo pagherebbero nemmeno per avere la tua testa servita su un piatto d'argento. Varresti relativamente poco sul mercato qui a palazzo, lo sai? Al massimo una decina di monete, a giudicare da quanto ti amano.»
«Io invece scommetto che se dovessi farti fondere ricaverei un bel po' di grana, razza di ...»
Una risata fragorosa scoppiò improvvisamente nella stanza, inondando le loro orecchie. Anche se il servo seppe con certezza che nessuno stava parlando all'esterno, bensì dentro alla loro testa.
«Sono uno spettro. Non puoi semplicemente fondermi. Ora, sii cortese e tira su questo ragazzo. Sbatterlo a terra è stata l'ennesima dimostrazione della tua scarsa educazione.»
«Quando sei nato dall'uovo eri più simpatico.»
«Anche tu da piccolo eri più piacevole, ma non mi sono mai lamentato.»
Lo scambio di battute fra sua Altezza Elisio e l'uomo sconosciuto adesso stava prendendo una piega comica. Non sapeva se era più divertente la totale calma con cui replicava il soggetto misterioso o il modo in cui l'intelletto del rosso veniva messo alla prova. Ad ogni modo, questi parve preferire chiudere la questione con un'occhiataccia rivolta chissà dove, prima di abbassare gli occhi su di lui. Il piccolo sorriso che gli era nato nel sentirli becchettarsi a vicenda si spense subito.
Le parole del principe furono secche e dirette. Ma per lo meno non promettevano morte.
«Perdona la mia irruenza. Penso che dovremmo discutere in maniera un po' più civile. Difficilmente Aegislash sbaglia nei suoi giudizi, quindi ti darò una possibilità. Qual è il tuo nome?»
Quelle frasi, tutte assieme, parvero come la più grande delle rassicurazioni. Pur non sapendo dove guardare, cercò il profilo della lama di Aegislash. Un guizzo dorato lo fece sorridere, facendolo riportare gli occhi sul suo futuro sovrano. Quel Pokémon lo avrebbe protetto, perché conosceva le sue intenzioni. Avevano sempre avuto la grazia di riconoscere gli animi puri.
«Augustine, vostra altezza. Mi chiamo Augustine.»
__


{Post scriptum:
Eccoci al nuovo capitolo di Sicut in Fabulis. Ammetto di divertirmi un sacco a scrivere di Aegislash, nuovo mito di Seshiiru.
Spero che come al solito sia all'altezza delle aspettative, e che io sia riuscita ad insinuarvi nuovi dubbi.  Adoro intrecciare più storie e lasciare gli interrogativi fino alla fine!
Ringrazio tutti i lettori, sia quelli che decideranno di recensire che quelli silenziosi per aver letto il capitolo. Ci vediamo presto con il prossimo!


Perduellio = Alto tradimento

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Capitolo 3
*** Foedus ineo. ***


Foedus ineo.
{La miglior garanzia.}
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_

Il Bisharp stava chiaramente mentendo, ma non poteva certo mettersi a discutere con un guerriero capacissimo di aprirlo in due come una mela.
Si limitò quindi al silenzio, i loro passi che rimbombavano nei corridoi vuoti. Ricordava che non troppo tempo prima erano pieni di gente e di Pokémon; ora erano a malapena visibili le ombre sul muro lasciate dai Gastly che si muovevano, credendosi invisibili.
I tendaggi bianchi e limpidi di un tempo erano stati cambiati con alcuni marroni, che davano allo spazio un senso di pesantezza e oppressione non indifferenti. Nel passarvi di fianco, la Bisharp femmina andò a sfiorarsi appena il collo con il braccio mutilato, parendo essere a corto d'aria.
Le porte nere e immense della sala del trono si stagliarono contro ai suoi occhi in lontananza. Non ne fu certo, ma gli parve sentire i due Pokémon fremere al suo fianco, come se aspettassero qualcosa.
Quando si aprirono, tuttavia, la persona seduta sul trono pareva più stanca che minacciosa. La barba incolta da diversi giorni iniziava ad accarezzargli il petto e la mano poggiata sul viso a nascondere gli occhi sembrava invecchiata di cent'anni.
Bastò che sollevasse il viso, però, perché i suoi occhi scuri di sempre lo accogliessero, caldi e sicuri.
Bastò una parola, una sola, perchè i portoni venissero chiusi e le due guardie sparissero nell'ombra del trono, scorta personale dell'imperatore.
Bastò un gesto, perchè le sue gambe scattassero e si ritrovasse fra le braccia del re, affondando il viso nel suo petto.
«Figliolo.»

__

Il rumore di una frusta sferzò il silenzio della cella, seguito da un già previsto gemito che fece ridacchiare le due guardie di fronte a lui. Nonostante il corpo tremasse, a causa delle numerose percosse e l'odore del sangue stesse iniziando ad impregnare l'aria, non avrebbe dato loro la soddisfazione di pregarli di smettere. Mai.
La cosa probabilmente più asfissiante di quel luogo era l'odore di muffa e di chiuso. La fiamma che ardeva sulla sommità di una torcia, retta da uno dei due uomini, produceva una continua striscia di fumo che andava ad allargarsi non appena sfiorato il soffitto, decisamente poco lontano dalle loro teste. Quando loro sarebbero usciti quel fetore sarebbe rimasto, lì soltanto per essere inalato dai suoi polmoni. L'unica finestra, più simile a un buco accidentale, non lo avrebbe salvato dalle ore di soffocamento che lo attendevano. Il lato più crudele della faccenda, tuttavia, era che sarebbe arrivato qualcuno a medicarlo e a ripulire l'aria, con l'aiuto di un Pokémon fidato.
Una bambolina sistemata e pulita per il turno di violenza successivo.
«Guarda un po' i suoi capelli, Seth, guardali! Sono così neri, non lo trovi ridicolo? Sembrano i capelli di un principe.»
Il tono di scherno con cui lo aveva pronunciato gli diede il voltastomaco. Lo strattone che diede improvvisamente alle catene servì soltanto a mozzare il respiro già fin troppo precario. L'acciaio affondò nei polsi e del collo, ferendolo più di quanto già non fosse. Si chiese quanto tempo ci sarebbe voluto a morire per un'infezione se nessuno fosse venuto a curarlo, oppure quante spinte avrebbero preceduto l'asfissia o la recisione definitiva di qualche vena.
«Sono bellissimi, è vero. Ma i suoi occhi, li hai visti? Coraggio, signorina, facci vedere gli occhi!»
Una mano sudicia e ruvida, dalle dita grossolane e rovinate, lo afferrò con violenza per gli zigomi, in una sorta di schiaffo interrotto. Più o meno nello stesso istante, serrò con ancora più prepotenza le palpebre già chiuse perchè essi non avessero ciò che volevano. Non lo avevano mai visto negli occhi. Né mai lo avrebbero fatto.
Un mormorio di delusione sembrò farsi strada sulle labbra di entrambi. Se li immaginò bene, i loro volti delusi, e non potè fare a meno di sorridere e provare pena nei loro confronti. Non avevano la più pallida idea di chi stessero sbeffeggiando.
La frustata questa volta gli arrivò dritta in faccia. Una striscia infuocata di dolore gli esplose sul volto, poco sotto agli occhi, facendolo tremare da capo a piedi. Solo l'orgoglio gli impedì di emettere un qualsivoglia gemito. E la fiamma che gli ardeva nel petto, ben più pericolosa di quella del lume che a volte utilizzavano per scottarlo.
«Ti ho detto di aprire gli occhi, schifoso prigioniero!»
Ci furono altri colpi, altre frustate ovunque. Gli piaceva quando si arrabbiavano e scaricavano così la loro ira. Progressivamente il dolore diventava così insopportabile da non essere più percepibile, e la sua mente restava lì a fluttuare, come se il corpo fosse svenuto e l'anima vagasse al di sopra di esso. L'unico vero sacrificio a cui doveva obbligare se stesso era il buio a cui era costretto.
Intanto, fra i colpi, i due uomini di fronte a lui continuavano a inveire. Le sue orecchie, tuttavia, per quanto avessero imparato ad essere distaccate, non eran sorde.
«Schifoso verme, topo di fogna! Proprio non capisco cosa aspetti il re ad ucciderti! Per quale motivo si è lasciato abbindolare in questo modo da suo fratello? Tu non vali assolutamente niente, niente!»
E quelle affermazioni, nel profondo, non potevano che divertirlo. Non potevano nemmeno immaginare cosa stesse succedendo in quegli anni sotto al loro naso.

__

Incassato in una poltrona grossa quasi il doppio di lui e di un colore che ben poco gli si addiceva, il servitore si rigirava nervosamente una ciocca di capelli fra le dita da più di mezz'ora, cercando di guardarlo quando lui non poteva accorgersene.
Aegislash, poco simpaticamente, gli stava piantato dietro e lo osservava pigramente, le mani che di tanto in tanto parevano tentate di fargli uno scherzo per vederlo saltare in aria. Da bravo Pokémon di tipo Spettro qual'era, il giovane non covava il minimo dubbio che ci fosse qualcosa alle sue spalle, e lui si divertiva a fingere di accarezzargli i capelli, oppure si esibiva in smorfie inopportune. Si chiese se la Neropietra con cui si era evoluto avesse qualcosa che non andava.
«Dunque, uhm...»
La voce del ragazzo ruppe finalmente il silenzio, attirando l'attenzione degli altri tre membri della stanza. Pyroar, ai suoi piedi, alzò la testa di scatto, fissandolo interessato.
«Aegislash ha espresso la sua opinione su di te. Sono disposto a credergli, mio malgrado, ma voglio che tu mi convinca. Provami che non aprirai la bocca su ciò che hai sentito.»
La spada spettrale alle spalle del ragazzo assunse un'espressione sdegnata, incrociando le braccia con un'occhiata allibita. Ignorarlo non fu difficile, contando su anni di allenamento alle spalle, benché il Pokémon fece di tutto per farsi vedere bene in faccia mentre gli mandava occhiate del tipo “non ti meriti i miei consigli, brutto malfidente”.
Gli occhi del ragazzo, ad ogni modo, erano completamente spiazzati. Appena dilatati, lo fissavano di striscio come se gli avesse appena chiesto di sbudellare suo fratello mentre dormiva solo perchè gli aveva rubato una fetta di torta. Evidentemente, si disse Elisio con un che di esasperato, non era ancora molto abituato agli intrighi di corte veri e propri cui lui era sottoposto grossomodo da quando era un bambino.
Il leone dimenò la coda con un verso sommesso, più simile a un sospiro che a un ringhio. Evidentemente anche lui aveva avuto lo stesso pensiero, e trovava snervate quell'attesa silenziosa e imbarazzante. Cosa lo trattenesse dal tagliargli la lingua non lo sapeva.
«Io ... Beh, ecco ... Ah, sì, io farò ... cioè dirò ...»
Aegislash stesso, alle sue spalle, avrebbe aggrottato le sopracciglia se le avesse avute. Il suo sguardo, tuttavia, fu abbastanza eloquente e grave da comunicare cosa stava pensando. Era una sorta di "va bene che sembrava scemo, ma non fino a questo punto". Se il momento fosse stato meno grave avrebbe riso.
Battè nervosamente il piede a terra, facendo ritrarre la schiena del servitore che gli puntò gli occhi addosso per la prima vera volta da quando lo aveva portato in quel salottino privato e relativamente angusto. Le mani strette attorno alle ginocchia avevano le nocche bianche ed erano scosse da un lieve tremito. Il rosso ebbe quasi paura che avrebbe lasciato il segno nelle gambe, tanto stringeva forte.
«Si potrebbe parlare di un contratto vincolante.» - Suggerì Elisio per lui, rilassandosi appena nel vederlo annuire con foga, il viso che si illuminò appena all'eco di un "Ecco, sì, quello!".
La proposta che aveva avanzato non era una garanzia vera e propria -tagliare lingua e mani era l'unica sicura-, ma affiancata alla parola di Aegislash in cui credeva quasi ciecamente era una soluzione più che buona. Aggiungendo anche il fattore della pericolosità dell'essere in questione: gli doleva ammetterlo, perchè aveva imparato a non giudicare le persone per il proprio aspetto, però ... non sembrava affatto il tipo di persona capace di creare zizzania all'interno della corte con una rivelazione shock. Gli sembrava molto più il tipo di persona che fuggiva sotto al tavolo minacciato dal cuoco con in mano il mestolo.
Contando il cuoco che avevano a corte, pensò con un lieve sorriso, era un'immaginazione più che plausibile.
«Si potrebbe parlare di credermi e basta. Insomma, chi ti vorrebbe affianco per tutta la vita? Che condanna  spietata e crudele.»
Ignorò la frecciatina imbevuta di fiele che gli venne lanciata dal Pokémon spettro, che probabilmente si sentiva in debito per la sfiducia nei suoi confronti. Piuttosto rivolse lo sguardo al moro sulla poltrona rossa, che non pareva aver udito le stesse parole che avevano raggiunto la sua mente.
«Io ... Ne sarei onorato, sire, per davvero!» - Allo sguardo che gli rivolse per via di quell'epiteto, tuttavia, si affrettò a correggersi - «Voleva dire ... signor principe.»
«Avanzerò la proposta a mio padre.»
La replica così improvvisa e sicura, apparentemente indisturbata dall'errore commesso in precedenza, sorprese molto il giovane servitore. Gli occhi grigi al di là delle spesse lenti ebbero un guizzò quasi incredulo.
«Se avrò la sua approvazione si procederà all'investitura. Penso sarà felice di vedermi finalmente accettare l'idea di un servitore privato. Ma tu stai pronto, Augustine. Non hai nemmeno idea di quali giochi di corte sarai costretto ad affrontare, se deciderai di metterti al mio servizio fino alla fine dei giorni.»

__

Nella sala del trono, intanto, il re era chino sul grosso tavolo d'oro massiccio, intento ad osservare le carte di guerra.
«Presupponendo che voi vogliate attaccare da est, vostra maestà, bisognerà schierare anche un esercito marittimo, in modo da impedire la fuga lungo le coste. Vostro fratello...»
Un gesto sdegnato zittì il consigliere, che serrò le labbra con distaccato astio. Il sovrano, tuttavia, non lo degnò nemmeno di uno sguardo, troppo intento a dire il suo piano.
«Attenderemo l'avvento della maturità di mio figlio per fare qualsiasi mossa. Qualche settimana non farà la differenza, servirà solo a dare più tempo a mio fratello per arrendersi. Solo un folle si lascerebbe invadere quando la sua regione è già stata spazzata da tali conflitti, messa in ginocchio dalla continua guerra. In questo tempo potrà riflettere meglio sulla mia proposta di resa incondizionata della sua nazione e passaggio della corona da lui a me. In caso contrario...»
Le parole svanirono silenziose nell'aria, lasciate in sospeso ma perfettamente concepibili a tutti. Il re, tuttavia, si sentì in dovere di concludere per bene il proprio pensiero, e l'ululato improvviso dell'Houndoom ai suoi piedi non aiutò il clima di tensione generale.
«Useremo quello
Un mormorio generale si diffuse nella sala, assenso e dissenso che parvero divenire una cosa unica e difficilmente distinguibile. Il sorriso maligno che si aprì sul volto del sovrano sarebbe dovuto venir dipinto e riprodotto ovunque nel castello, pensò lo stesso tutto gonfio nel petto.
Per ricordare agli altri che lui era l’unico, sommo signore di quelle terre. Per ricordare che il suo dominio era un sogno, ma poteva tranquillamente trasformarsi in un incubo, di quelli peggiori causati da Darkrai.
«Sire … quello non ha nemmeno una vera e propria utilità. Li sentite, i collaboratori di corte. Le pare forse che possa essere sfruttato in guerra?»
La voce del consigliere iniziava a giungergli fastidiosa. Pregò che cercare conforto nel corpo caldo di sua moglie potesse togliergli dalla testa l’idea di farlo ammazzare. C’erano giust’appunto un paio di potenziali sostituti che senza dubbio conoscevano meglio il proprio posto.
«Malachia, mi pare che nel castello ci fosse una voce interessante sul conto di tua moglie. Vuoi che io personalmente la confermi, infamandoti, o preferisci tacere una volta per tutte?»
La forma della mascella già squadrata dell’uomo si indurì ancora di più, mentre nei suoi occhi balenava una scintilla d’odio e di imbarazzo. Il suo viso prese un’amorevole tonalità rossa, intensa come una ciliegia matura. La vergogna era l’arma migliore.
La minaccia che gli aveva fatto era pesante. Malachia aveva nella sua famiglia una decina di figli, ma probabilmente solo un paio erano suoi. Inoltre, la donna talvolta compiva lunghi viaggi, tornando dopo mesi con nuovi pargoletti fra le braccia. Che li avesse raccattati  ai bordi dei bordelli o che li avesse partoriti lei stessa dal suo ventre ingordo nessuno lo sapeva.
Convinto di averla avuta vinta, il sovrano si raddrizzò sulla sedia, sistemandosi con un gesto spocchioso il fazzoletto che aveva al collo. Quando la sua voce gli giunse di nuovo alle orecchie, però, gli parve un affronto oltremodo villanesco.
«Vogliamo parlare del vostro figlio, vostra maestà? Quello che ha…»
Non ebbe mai l’opportunità di finire. Con un solo gesto della mano due Gallade scattarono da contro il muro, afferrandolo per le braccia. Gentilmente, uno provvide immediatamente a colpirlo con violenza sul volto, aprendogli un labbro.
«Cinquanta frustate, in stanza col nostro più illustre prigioniero. Che impari il suo posto, e che rivaluti il peso della mia parola contro alla sua.»
La riunione riprese come se nulla fosse successo non appena il corpo tramortito dell’uomo venne portato oltre i pesanti battenti dell’ingresso.

__

Seduto compostamente sulla poltrona stava ancora respirando a fatica. Il principe si era alzato, al verso sommesso di un Pokémon, si era avvicinato alla finestra per rivolgere una carezza al Gyarados fuori di essa.
Lasciato momentaneamente da solo nei propri pensieri, Augustine non era certo di sapere se dovesse sentirsi profondamente sollevato o irrimediabilmente condannato.
Un contratto vincolante era un patto molto serio all’interno della loro corte. Veniva stipulato solitamente fra un plebeo e un nobile, e aveva carattere permanente.
Il servitore diventava lo stretto collaboratore del proprio signore, che aveva pieno potere decisionale sulla vita del sottoposto. Quest’ultimo era tenuto ad obbedire a qualsiasi ordine impostogli e doveva provvedere non solo alla protezione fisica del padrone, ma anche a quella psicologica, dissipando le infamie e dovendogli fedeltà infinita.
L’idea di per sé gli sembrava fantastica. Attualmente viveva in una sorta di capannetta quasi ai piedi del castello assieme alla propria famiglia fin troppo numerosa; all’occorrenza, però, si accontentava anche di dormire nelle cucine, infastidendo il biondissimo cuoco che scorrazzava sempre a destra e a sinistra. Di frequente lo trovava addormentato vicino a sé, seduto con la schiena contro al muro.
Il contratto vincolante, al contrario, offriva al servitore uno stile di vita pari a quello di un nobile. Si sarebbe trasferito in pianta stabile nel castello, avrebbe avuto dei suoi alloggi, vestiti, cibo e acqua calda a volontà. Avrebbe potuto dormire in un vero letto, con pesanti coperte d’inverno e morbidi piumini di seta d’estate e…
«Di’ un po’, pensi davvero che vivere a palazzo sia così?»
Una voce improvvisa gli invase la mente, facendolo sobbalzare. Si girò di scatto, cercando di vedere chi avesse parlato, ma vide soltanto un’ombra proiettata sul tappeto da una figura ai suoi occhi invisibile. Aegislash.
«Beh … sì. Conosco diversi servitori, qui al castello, e tutti mi sembrano trovarsi bene. Anche mio padre lavora qui e non fa una piega quando torna a casa.»
Gli parve di sentire una specie di gemito nella testa quando rivolse un sorriso innocente al nulla che aveva davanti, più o meno dove doveva esserci il Pokémon.
«Ricordati che tutti portano i vestiti.»
Aggrottò le sopracciglia, a quelle parole, parendo seriamente confuso. Cosa voleva dire quella metafora strana? Ovviamente portavano le loro vesti, come in qualsiasi altro luogo del mondo ... salvo forse i selvaggi. Quelli non li portavano, secondo gli esploratori.
Il ritorno del principe che si massaggiava appena la base del naso con aria stanca interruppe il suo desiderio di fare domande. Non pareva aver badato troppo al fatto che aveva tecnicamente parlato da solo. Sembrava piuttosto immerso in pensieri difficoltosi.
Un’ultima frase, però, gli giunse alla mente, prima che la voce sparisse così come era venuta, rimanendo silente per il resto del tempo.
«Ricordati di guardare la schiena.»




{Post Scriptum:

Un saluto particolare a tutti i lettori che sono giunti fino a questo terzo capitolo, appena in ritardo rispetto alla mia tabella di marcia mentale!
Ringrazio prima di tutto i recensori dei precedenti capitoli, che mi hanno lusingata mostrandomi i loro pareri e consigli. Infinitamente grazie!

Che dire, dunque? Spero che questo capitolo ricco di mistero vi abbia incuriosito riguardo al futuro di questa storia. Il tenore di narrazione è variato, quando si parlava del re, perché ho cercato di dare un’atmosfera più cupa e pesante. Spero di esserci riuscita, almeno quella era la mia intenzione.
Vi aspetto al prossimo capitolo e vi ringrazio fin da adesso se avrete voglia di lasciare un commentino, o di seguire lo sviluppo di questa complessa matassa!

Foedus ineo = Stringere un patto

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Capitolo 4
*** Responsum. ***


responsum

Responsum.
{Ottima scelta.}
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Il calore del corpo del padre lo rincuorò di tutti i propri dubbi e le proprie paure, lo fece sentire a casa e al sicuro. Sentì una sua mano accarezzargli i capelli, incredibilmente grande e gentile, e non poté fare a meno di spingere leggermente il capo versa di essa, reclamando più attenzioni.
«Ho bisogno che tu mi faccia un favore, figliolo.»
La voce del re spezzò il silenzio qualche minuto dopo, facendogli sollevare il viso fanciullesco con chiari interrogativi stampati in faccia. Non parlò, tuttavia, preceduto dalla voce stessa dell’uomo che gli diede le risposte che cercava.
«Dovrai essere il mio messaggero.»
La gravità nel suo tono fece desistere il piccolo principe a scuotere la testa per rifiutarsi. Annuì, invece, il bambino, più fiero e deciso che mai, nonostante un’insolita paura gli attanagliasse il cuore.
«Prima che la lama nera distrugga.»

__

Il sole doveva essere in procinto di salutare la sua terra quando sentì qualcuno armeggiare con il chiavistello della propria cella, facendolo scattare in malo modo.
Strano, pensò il prigioniero, concedendosi di socchiudere per un singolo istante gli occhi, prima che i suoi aguzzini entrassero nuovamente. Non era orario di visite, quello.
Le sue palpebre si serrarono immediatamente non appena un minuscolo raggio di luce apparve nella stanza, ferendo gli occhi ormai abituati all’oscurità. Sentì che ci fu una breve lotta, qualcuno che pregava di non essere rinchiuso, qualcun altro che rideva e gli mollava un calcio o uno schiaffo.
Poi il rumore della frusta. Lo conosceva fin troppo bene, ormai, e non poté fare a meno di provare un misto di pena e curiosità nei confronti di chi era stato sbattuto lì dentro.
«Hai ospiti, signorina!» - Era la solita voce rauca e fastidiosa dell’uomo che si dilettava a frustarlo giorno per giorno. Fu quasi difficile distinguerla, però, mischiata ai gemiti della misteriosa vittima che venne colpita un’altra dozzina di volte prima che la stanza ripiombasse nel silenzio.
Avrebbe domandato con chi aveva il piacere di esser compare, ma parlare non era il suo forte, né tantomeno nel suo stile. Non ci fu bisogno di delucidazioni, tuttavia, perché i lamenti sofferenti e disperati dell’uomo bastarono a rivelargli tutto ciò che serviva.
«Sono il consigliere, vi prego! Vi prego, abbiate pietà! Non respiro…»
Oh, che lagna – Pensò fra sé e sé, roteando gli occhi sotto alle palpebre chiuse. Era dentro quella stanza da nemmeno due minuti e già si faceva prendere dal panico? Lui era lì ormai da anni, probabilmente, e non si era mai lamentato con nessuno.

__

Aveva pazientemente atteso il ritorno di Honchkrow e la conseguente fine dell’incontro del padre per afferrare sotto braccio il suo nuovo servitore e fendere i corridoi del castello, diretto verso la sala del trono.
Sperava di trovare lì suo padre, e di avanzare la richiesta quanto più in fretta possibile per scongiurare gli ipotetici rischi.
Il sole stava tramontando, ormai, e il cielo tinto di rosa era una promessa dell’arancione che di lì a poco lo avrebbe infiammato. Aveva avvertito, in lontananza nel castello, un gran trambusto e delle grida. Alle volte succedeva, quando un servo commetteva un grave errore o un affronto e veniva punito. L’unica pupilla bianca di Aegislash, però, si era assottigliata in maniera pericolosa, diventando decisamente grave. Fare domande gli era tuttavia parso inopportuno, di fronte al ragazzo appena raccattato.
«Aspettami qui.» - Sentenziò una volta davanti alla sala del re, rivolto al ragazzo dai capelli scuri. Era difficoltoso, guardarlo negli occhi. Sia a causa degli occhiali enormi che aveva in faccia, sia per la sua statura decisamente…esigua. - «Pyroar rimarrà qui con te. Aegislash invece mi accompagnerà.»
Lo vide confuso, probabilmente perché la spada non era al momento visibile, ma non fece domande, e lui non diede risposte.
Non bussò, avendo perlomeno quel privilegio – o essendoselo preso, come diceva il proprio Pokémon di tipo spettro. Gli venne il voltastomaco quando, chiusa la porta, mise a fuoco le gambe pallide della madre malamente agganciate dietro ai fianchi del re, il corpo appena reclinato sul tavolo dorato dei consigli.
«Ma che schifo.»
Se Aegislash aveva una qualità, quella era la schiettezza. Non poté fare a meno di pensare lo stesso, per una volta concorde, mentre distoglieva lo sguardo e tossicchiava, cercando con tutto se stesso di ignorare il grugnito poco regale lasciato dalla bocca del padre.
«È proprio incazzato. Secondo me siamo arrivati sul più bello.»
Non aveva bisogno delle descrizioni dello spettro per sapersi addosso gli occhi di fuoco di suo padre. Tuttavia si sforzò di non mostrare alcuna emozione, mentre lo osservava con la coda dell’occhio trafficare con le vesti per sistemarsi.
«Elisio. Quale tormento ti riporta qui oltre il tempo?»
«È un modo elegante per chiederti perché diamine stai disturbando la sua sessione serale d’amore?»
Gli riuscì difficoltoso nascondere la smorfia causata da quelle parole e per non mostrarla al padre tenne lo sguardo basso, fingendo riverenza.
«Una questione importante, padre. Dopo anni accetto finalmente la vostra proposta: Desidero un servitore personale. Ho già con me una persona ben disposta ad accettare un contratto vincolante, con il vostro dovuto appog…»
«Sì, va bene.»
La fretta con cui confermò la sua scelta non si addiceva ad un sovrano. Il silenzio nella propria testa confermò che anche Aegislash era spiazzato da tale velocità di giudizio.
Di norma, i contratti vincolanti venivano soppesati dal re e dovevano ottenere la sua benedizione. Ciò non era vero per la bassa nobiltà, ma in un caso come il suo, cioè in presenza del principe, era bene che il sovrano s’attivasse per indagare nel passato del candidato, per dissipare ogni dubbio sulle possibili cattive intenzioni, cattive origini e altri aspetti simili.
«…Non volete prima incontrarlo, vostra maestà?»
«No, mi fido.»
«No, ha fretta.» - corresse mentalmente Aegislash, ritrovando l’uso della parola.
«Nemmeno una parola su di lui? Il suo nome?»
«Solo quello, se ti sembra tanto opportuno.»
Era chiaramente spazientito, e non si faticava a capirne il motivo. Ciononostante, ad Elisio sembrava un comportamento assolutamente poco virtuoso. Il re, per come lo concepiva lui, doveva anteporre la corte e il popolo a se stesso.
«Augustine, padre. Si chiama Augustine.»
«Ah, sì, il figlio di Malachia. Uno dei tanti. Sei congedato col mio appoggio.»
Quella frase terminò chiaramente il discorso. La figura del padre che si girò, dandogli la schiena, per tornare con l’attenzione alla moglie fu un’altra ribadita alla sua scelta.
Non indugiò oltre, il giovane principe, e con un rapido inchino si defilò dalla stanza in fretta e furia.

__

«Qual è il nome di tuo padre?»
La voce decisamente maschile del principe gli giunse di sorpresa, facendolo sobbalzare appena. Pyroar, accoccolato vicino alle sue gambe, balzò il piedi festoso, correndo a leccare una mano del suo padrone, che gli accarezzò di rimando la criniera.
«Malachia, signore. Allora, il colloquio con il re?»
Gli era sembrato un po’ troppo rapido, ad esser sincero, ma forse era la sua inesperienza che lo portava a credere in un tempo di discussione decisamente più lungo.
Alzò un sopracciglio con fare interrogativo alla faccia che assunse il principe, il viso che parve sbiancare per un istante prima che si passasse frettolosamente sopra una mano.
«Ah, bene. Sei il mio servo.»
«…Tutto qui? Voglio dire…»
«Lo so, lo so. La tua vita è appena stata decisa con un rapido e conciso “Sì”.»
Il principe Elisio, pensava, sarebbe dovuto essere felice per la velocità con cui la questione era stata trattata. Il suo segreto era riposto al sicuro e non avevano corso il rischio di veder la loro proposta respinta. Talvolta capitava, infondo, che il re non approvasse e che il servitore venisse allontanato.
Eppure nei suoi occhi azzurri Augustine scorgeva una luce triste, quasi sprezzante. Non era difficile leggervi dentro rabbia e fastidio.
«Nobile, non è vero? È più arrabbiato per la leggerezza con cui hanno trattato la tua esistenza che sollevato per il tuo assicurato silenzio.»
La voce di Aegislash accarezzò solo le sue orecchie e il suo tono fu stranamente … affettuoso. Si sorprese e gli venne da sorridere nell’avvertire quanto in realtà il Pokémon volesse bene al rosso, nonostante i battibecchi a cui aveva assistito una manciata di tempo prima.
«Io sono fiero di poterlo servire.»
Rispose allo spettro, ma anche ad Elisio. Fu come dirgli che non gli importava di essere stato trattato come un insetto insignificante. Non era l’approvazione del re ciò che gli interessava. Era il poter servire il principe in cui riponeva tante speranze.
Lo sguardo color ghiaccio dell’uomo si abbassò nel proprio, e non si vergognò di sorridergli con innocenza, sistemandosi rapidamente gli occhiali sul naso.
Fu incredibilmente piacevole e realizzante vedere quel sorriso ricambiato, seppur in maniera molto più lieve, dal suo viso ancora giovane e imberbe.

__

«Per oggi rimarrai nella tua dimora come hai sempre fatto e avrai il tempo di preparare i bagagli. Domattina arriverà il mio Mienshao ad aiutarti nel trasporto. Potrai ovviamente far ritorno nella tua casa, ma i tuoi alloggi verranno trasferiti qui.» - Fece una piccola pausa, Elisio, massaggiandosi per un istante la nuca prima di tornare a rivolgersi al ragazzo seduto davanti a sé, che a stento nascondeva il proprio gongolare. - «Florges ti mostrerà le stanze direttamente vicine alla mia, nei miei appartamenti, e ti sarà dato di sceglierne una. La maggior parte sono vuote, non amo lo sfarzo, quindi non badare a grandezza e scegli pure quella che preferisci.»
Al proprio fianco, una sinuosa Florges blu si inchinò appena, un melodioso verso che lasciò le sue labbra chiuse. Aegislash, nascosto da qualche parte, non provò nemmeno a dissimulare il fischio che gli si propagò nella testa. Quel pokémon sapeva essere imbarazzante.
«Se già non lo hai sarai libero di sceglierti un Pokémon. A corte ne abbiamo un discreto allevamento, dei tipi più disparati. Potrai prenderne anche più di uno, anche se solitamente sarebbe meglio cominciare da un singolo.»
«Mi piacerebbe poterne avere uno bello come lei.» - Mormorò con candore il moro, allungando con una delicatezza quasi sconvolgente la propria mano a prenderne una del Pokémon Giardino, regalandole un piccolissimo bacio sul dorso. Quella ridacchiò appena, evidentemente lusingata dalla purezza delle sue parole, portandosi le dita libere alle labbra in perfetto stile aristocratico.
Dovette portarsi una mano davanti alla bocca per non scoppiare a ridere di fronte all’espressione di Aegislash, ora palesato dietro al ragazzo: sconvolto e indignato, lo fissava esterrefatto con il suo unico occhio spalancato.
«Brutto mascalzone, non sei mica scemo, eh?»
Lo sentì parlare con il ragazzo, ma era quasi certo che potesse sentirlo soltanto lui. Soffocò appena una risatina, prima di cercare di tornar serio e di ignorare le altre lamentele dello spettro.
«Credo che questo sia tutto. Ah, un’altra cosa…» - Congedò con un inchino la giovane Florges, con sommo disappunto della propria spada, che parve volerla trattenere. - «Tuo padre è Malachia il consigliere?»
Per un attimo gli parve di notare un’ombra attraversargli il viso, ma fu questione di un singolo istante. Lo vide annuire quasi immediatamente con tranquillità, le mani strette placidamente in grembo.
«Sì, o perlomeno credo. In molti dicono che né io né i miei fratelli siamo suoi figli, ma a me non importa. Lui mi ha cresciuto, e tanto basta.»
Annuì vagamente, apparentemente colpito dalle sue parole. A prima vista gli era parso un sempliciotto infantile e fifone, ma si stava rivelando essere più maturo e delicato di quanto in realtà pensasse. Quasi che fosse stato cresciuto come un principe, in una corte.
«Capisco. Sono felice di saperlo, allora. Le nostre famiglie sono più vicine di quanto potessimo immaginare.»

__

Un rantolo, poi un altro, poi una richiesta di aiuto. Il suo compare era decisamente più rumoroso di quanto si aspettasse!
«Vi prego, aiuto, ho dei bambini a casa…»
Lo avrebbero liberato presto. Non lo avevano incatenato, e già era un buon inizio. Probabilmente lo avevano piazzato lì per qualche sprazzo di strafottenza, giusto per fargli imparare a non giocare coi reali. Poi lo avrebbero tirato fuori, lo avrebbero ripulito ed eccolo, pronto a fare la bella statuina silenziosa e accondiscendente. La gerarchia reale gli dava la nausea ogni giorno di più.
«Tu, prigioniero. Tu, mi senti, so che sei qui! Ti supplico, aiutami!»
Alzò appena il viso, pur senza aprire gli occhi, l’espressione chiaramente interrogativa in mezzo l’oscurità. Oh, perfetto, ora si ricordava anche di lui? Pregava che non incominciasse ad attaccar bottone, perché non era davvero dell’umore per stare a sentire i suoi piagnistei.
«Tu sei il mostro, lo so, il re parla spesso di te ultimamente! Puoi aiutarmi ad uscire di qui? Te ne prego?»
«Dunque è così che mi chiamano ora? Mostro?»
La propria voce suonò incredibilmente profonda perfino alle proprie orecchie. Il prigioniero si ammutolì di colpo, da qualche parte nell’ombra, come se un terrore gelido lo avesse attanagliato. O una sorpresa immensa, a seconda.
«…Sei davvero qui.» - Che genio, pensò il mostro, emettendo un lieve sospiro atono. Pensava che la sua esistenza fosse una leggenda da quattro soldi? - «Dicono che hai immensi poteri. Perché non fuggi, allora?»
«Perché nemmeno tu ti fai gli affari tuoi.»
Fu più cattivo di quel che voleva suonare, la voce che parve ringhiare lievemente, a causa dei mesi trascorsi nel quasi completo silenzio. Una parte di sé avvertì il prigioniero tremare, nelle tenebre, e un piccolo ghigno crudele si fece strada sulla sua bocca. Da tanto tempo non provava quella situazione.
«…Mio figlio Augustine mi aspetta assieme a mia moglie. E i bambini più piccoli…loro cosa mangeranno, se sto rinchiuso qui?»
Aveva sentito bene? La sua attenzione si fece immediatamente più attenta, e gli occhi si spalancarono nel buio, mettendo rapidamente a fuoco il pavimento senza la minima difficoltà. Li avvertì scattare per scandagliare la stanza, le forme che si plasmarono nella sua mente come se bagnate dal sole. Lontano, contro al muro, un uomo raggomitolato come un verme si dondolava appena avanti e indietro, ad occhi serrati.
«Augustine, dici? Che nome interessante, chi lo ha scelto?» - Forse le tendenze del volgo erano cambiate. Forse non andavano più di moda nomi sfarzosi come Elizabeth o Michel, forse adesso era proprio Augustine a dominare la piazza dei marmocchi maschi.
«Mia moglie. Credo.»
Il tono del prigioniero gli parve distante, come se non volesse più sforzarsi di chiedersi perché stava conversando con lui ma volesse semplicemente trarre piacere dalla loro chiacchierata.
Nel buio, il mostro sorrise.
Ottima scelta.


{Post Scriptum:

Da molto tempo non mi dedicavo ad aggiornare questa storia e me ne rammarico.

Un capitolo in cui viene aggiunto qualche piccolo mistero, in cui forse si inizia a delineare una vaga idea sui personaggi e il loro ruolo.
Spero che vi giunga gradito, altrimenti Aegislash finisce per arrabbiarsi!

Responsum = risposta




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Capitolo 5
*** Gladius. ***


gladius

Glaudius.
{Nero.}
.
.

_



La nottata era passata senza intoppi. Il prigioniero suo compagno, dopo un po’, si era finalmente placato, facendo ritornare la stanza nel suo consueto silenzio.
Nella sua mente, tuttavia, tanti pensieri turbinavano con violenza, facendo più baccano di una piazza di mercato.
Ricordava il periodo in cui era ancora libero. La nitidezza di quella vista era quasi dolorosa, paragonata al buio in cui era rinchiuso da tanto, troppo tempo. Per quanto non gli dispiacesse, ammetteva che gli mancasse il calore antipatico del sole e la figura candida eppure austera della sua compagna.
Bellissima. Così odiosa, eppure tanto perfetta.
Scosse appena la testa, rimembrando l’inizio di tutto. Fra le coperte scure di quella stanza, angusta eppure sufficiente per il loro misfatto. Ricordava ancora i suoi capelli bianchissimi sparsi per tutto il cuscino, la sua testa poggiata contro alla spalla. Così indifesa da dargli quasi la nausea.
Il suono dei pesanti chiavistelli che venivano mossi lo aveva risvegliato dal sonno, strappandolo quello che pareva esser stato un sogno. Da tanto tempo non pensava più a quella donna. Forse il consigliere con le sue ciarle a proposito della famiglia aveva risvegliato in lui l’affetto ormai sfumato che un tempo gli aveva infiammato il cuore.
Una guardia entrò, scortata da un Pokémon. Sorrise appena col capo chino per non essere visto, nell’oscurità, quando sentì il Manectric ringhiare feroce nella propria direzione. Il suo proprietario, di tutta risposta, lo invitò con fermezza ad uscire mentre trascinava fuori anche il suo compagno. Lasciandolo solo ancora una volta, con un mezzo sorriso in faccia e l’eco del ringhio dei Pokémon nelle orecchie.
Stava per incominciare.

__

La mattina era arrivata con il tocco gentile di Aegislash. Aveva aperto gli occhi nel sentirsi i capelli accarezzati dalla sua mano spettrale, le lunghe dita inconsistenti che parevano quasi brillare, quando incontravano un raggio di sole.
Si era stiracchiato lievemente, con occhi assonnati, sorridendo placido nell’avvertire la famigliare presenza di Pyroar acciambellato ai suoi piedi. Aveva preso quell’abitudine quand’era ancora un Litleo, e non c’era stato verso di convincerlo di essere diventato ormai grosso il triplo.
Si rigirò, gli occhi di ghiaccio puntati sulla spada poggiata al proprio fianco. Non dormiva con lui, Aegislash, ma capitava che, come Pyroar, anche lui si ricordasse dei bei tempi in cui era ancora un Honedge affettuoso e tornasse in onore di essi ad essere meno fastidioso del solito.
Il Pokémon, di tutta risposta, spostò la propria pupilla bianca su di lui, scostandogli un ciuffo rosso dagli occhi prima di tornare al proprio libro. Perché si, ne aveva in mano uno.
«Qualcuno mi stava accarezzando i capelli.»
«Sarà la tua immaginazione, io non ho visto nessuna donzella.»
Ridacchiò lievemente, tirandosi a sedere sul bordo del letto. Gli faceva piacere, essere svegliato dai suoi compagni. Solitamente c’era qualche domestico che passava a bussare o suonare una campana, ed era sempre all’ultimo minuto. Per fortuna, almeno, era riuscito a convincere i suoi servitori a lasciarlo vestirsi da solo, risparmiando così tanto tempo altrimenti buttato in riti cerimoniosi.
«Cosa leggi?» - Domandò, senza guardarlo, poggiando invece lo sguardo sul balcone che si intravedeva fra i tendaggi. Honchkrow, fuori, riposava con la testa incassata fra le spalle. Al suo fianco, arrotolato ad arte per non tenere tutto il resto dello spazio, Gyarados sonnecchiava russando leggermente. Temeva ogni volta che si risvegliasse di colpo, facendo un macello.
«Il solito. “Miti e leggende di Kalos: La profezia del distruttore.”» - La sua voce gli parve distratta, probabilmente immersa nella lettura. All’udire il titolo, tuttavia, il principe preferì tornare a girarsi verso di lui, dopo essersi alzato in piedi ed aver afferrato i calzoni e una camicia.
«Dovresti smetterla di tormentarti.» - Obbiettò, guardando storto il tomo rilegato che teneva fra le dita. Quel libro aveva decisamente troppe copie nel castello. Ne aveva già fatte sparire diverse, eppure continuavano a tornare, e non c’era volta in cui la spada non lo scoprisse. E dire che cercava di nasconderli proprio per non farlo soffrire inutilmente. - «Sono solo leggende. La gente adora essere credulona e si aggrapperebbe a tutto, pur di dare una spiegazione alla cattiveria che li circonda. Io credo nella scienza e nella ragione.»
«Questa profezia è molto antica.»
«E tu non lo sei. Perciò non parlavano di te.» - Si allungò, una volta sistemato il colletto, a sfilargli le pagine dalle mani. Aegislash, per conto, non protestò né provò a fermarlo, le dita che si strinsero a pugno attorno al niente, pur senza forza. Come se fosse stanco.
«…Vorresti mai avere avuto un altro uovo, quand’eri piccolo?»
Quella domanda lo lasciò un po’ spiazzato, ma ne capiva l’origine. A Aegislash quel libro non piaceva. Perfino quand’era un Honedge si agitava, leggendolo, pur non avendo ancora la parola per comunicare la propria irrequietezza. Ricordava che una volta, da Doublade, in uno scatto d’ira l’aveva addirittura tagliato a metà, per poi rintanarsi nel proprio fodero, sentendosi terribilmente in colpa.
Temeva per ciò che vi era scritto. Temeva per quel monito continuamente ripetuto ad ogni occasione, che continuava a seguirli dovunque andassero.
Però lui, Elisio, a quelle fandonie non credeva.
«Certo. Mi sarebbe piaciuto ricevere uno Snivy, per avere adesso un elegantissimo Serperior.» - Lo sbeffeggiò, pur standolo palesemente prendendo in giro.
«Mmh, non sei tipo da Pokémon erba. Che ne dici di un gigantesco Emboar? C’è giusto una certa somiglianza con la natura suina…»
Lo sentì ridere, quando gli cacciò addosso un cuscino, e quel suono lo fece almeno in parte rilassare. Era cristallina, la risata di Aegislash. Tanto piacevole quando rara.
Si fermarono quando Pyroar agitò la coda spazientito, esprimendo il suo desiderio di avere ancora un attimo di pace, fintanto che poteva, ed Elisio ne approfittò per riporre momentaneamente il tomo sulla scrivania. Lo avrebbe fatto sparire non appena ne avesse avuto l’occasione.
«…Grazie, Elisio.»
Girò appena il capo a guardarlo, mentre stringeva due cinture attorno alla vita, per poi infilarsi sulle spalle un gilet comodo e di colore scuro.
E gli sorrise lievemente, stavolta senza prenderlo in giro.
«Prego, Aegislash.»

__

Un Mienshao si era presentato davanti alla porta di casa, bussando con gentilezza. Si era catapultato giù dalle scale, tutto fervente ed eccitato, saltando al collo della madre e baciando frettolosamente la testa dei propri fratellini prima di seguire la propria guida, elegante ma di poche parole.
La sera prima aveva dato l’annuncio in famiglia, suscitando molta sorpresa e ammirazione, soprattutto nei più piccoli. L’unico rammarico di tutti era che in quel momento non fosse presente il padre, rimasto poi assente per tutta la notte.
Sua madre lo aveva stretto forte e lo aveva baciato sui capelli scuri, calde lacrime che le bagnavo le guance. Non era riuscito a chiederle perché si commuovesse tanto, se poi potevano vedersi ogni giorno.
«Fa’ attenzione, bambino mio.» - Gli aveva sussurrato soltanto, con un piccolo sorriso, prima di ritirarsi singhiozzando in cucina, affogando il proprio dolore nelle scodelle da lavare.
Non era certo del perché avesse pianto tanto, ma sospettava che fosse a causa della felicità, mista però al dispiacere per l’assenza del marito, che non aveva avvisato nessuno. Forse temeva che fosse con un’altra donna, e il subbuglio di emozioni che provava si era scatenato in maniera confusa.
Il Pokémon dal manto violaceo gli aveva picchiettato delicatamente una mano, facendogli segno di inchinarsi quando furono giunti ai cancelli. Di tanto in tanto gli dava lo stesso segnale, mentre si muovevano attraverso gli interminabili corridoi della reggia. La sola idea di doverli memorizzare, presto o tardi, gli faceva una certa angoscia.
Gli appartamenti di Elisio, dov’erano giunti di lì a poco, si estendevano con tale vastità da farlo boccheggiare. Lo stesso principe che lo aveva accolto, vestito in maniera decisamente semplicistica, gli aveva rapidamente confermato ciò che già aveva immaginato.
«Metà dell’intero piano è riservata a me, il restante sarebbe per i miei Pokémon e i miei stretti collaboratori. In realtà, vi ho fatto sistemare i servitori.»
Deglutì, il giovane Augustine, sistemandosi gli occhiali sul naso. Un’intera stanza per un solo Pokémon. Era così sconvolgente pensarlo, mentre camminavano per raggiungere Florges, qualche porta più avanti. Lui e i suoi fratelli vivevano in una casa di dimensioni discrete composta da tre stanze, ma erano in sette senza contare i genitori. I Pokémon del principe, invece, avevano da soli più spazio di quanto non ne avesse la sua intera famiglia.
I pensieri interruppero il loro corso non appena si riunirono al resto del gruppo, pronti ad iniziare la propria scelta. La sinuosa Florges del giorno prima di inchinò gentilmente, mentre Pyroar, seduto ai suoi piedi, agitava placidamente la coda e lo studiava coi suoi occhi glaciali.
Rimase impietrito, tuttavia, nel sentire una mano inconsistente eppure sicura sfilargli dalle spalle il proprio bagaglio, e nel vedere finalmente Aegislash, colui che aveva convinto Elisio ad avere pietà e non farlo mutilare o uccidere.
Non era comune. Non ne aveva mai visto nessuno, dal vivo, di Pokémon come lui, ma bastò rimembrare un affresco visto da qualche parte su un libro per aver la certezza che quella spada fosse speciale, nel tetro…
«Lo porto io. Tu goditi il giretto.»
Si accorse di starlo fissando ad occhi sbarrati poiché tutti, compreso il Mienshao, si erano arrestati a guardarlo, come timorosi della sua reazione. Per questo motivo si riscosse improvvisamente, ringraziando a gola secca lo spettro e concentrandosi sul giro che lo attendeva.
Qualcosa, nella sua mente, bruciava di una memoria che ancora non gli sovveniva.

__

Dopo la breve conoscenza di Aegislash, abbastanza imbarazzante da fargli temere che si rifiutasse di servirlo anche a costo di accettare la morte, la tensione era calata e si erano potuti dedicare alla scelta dell’appartamento.
La decisione, in realtà, non era poi tanto vasta. Aveva predisposto che la camera fosse larga e spaziosa, e che avesse posto sufficiente anche per un Pokémon. Lungo il tragitto, il giovane Augustine gli aveva spiegato di non possederne nemmeno uno, pertanto aveva deciso su due piedi di recarsi alla pensione del castello, non appena avessero terminato con la sistemazione.
Il moro scelse una camera piuttosto esigua in dimensioni. Le pareti erano di un piacevole azzurro, e lungo di esse si intrecciavano preziosi ricami dorati. Aveva congedato Florges non appena era stato certo di volere proprio quella, con sommo dispiacere della spada spettrale che provò a insinuargli il dubbio di volerne cercare un'altra. Ogni scusa era buona per stare attorno a una bella dama.
Lo osservò scorrere una mano lungo i mobili, timoroso, mentre lo guardava dalla soglia della camera. Lo vide notare rapidamente ogni dettaglio, ogni mensola, ogni intarsio del legno.
La vera cosa buffa, tuttavia, fu vederlo sedersi sul letto. Dapprima incerto, ci aveva a malapena poggiato il sedere. Poi pareva aver realizzato che fosse veramente suo, ed era scoppiato a ridere come un bambino mentre ci saltava dentro, rimbalzando sotto alla morbidezza del materasso.
«Non hai mai visto un materasso?»
Non fu una domanda cattiva, la sua, ma puramente curiosa. Lui era sempre stato abituato allo sfarzo, pertanto non si era mai curato eccessivamente di un letto più morbido e di un cuscino più confortevole. Augustine, dal canto proprio, si tirò su a sedere, sistemandosi appena gli occhiali mentre tossicchiava per trovare un contegno.
«No, signore. Non così, perlomeno. Nella mia casa dormiamo sulla paglia.»
Elisio si chiese per quale motivo la famiglia del Consigliere versasse in condizioni tanto precarie. Era uno stretto collaboratore della corte, forse più importante perfino del principe stesso, al pari della regina. Perché, dunque, non aveva dei propri appartamenti per lui e i suoi marmocchi.
«…Se ti proverai un bravo servitore potremmo tentare di far venire qui anche la tua famiglia.»
Oltre alle spesse lenti circolare, gli occhi azzurri, quasi grigi del ragazzo parvero illuminarsi come un cielo d’estate.
«Mi piacerebbe tanto!»

__


Finito di sistemare i propri bagagli nella stanza alla bell’e meglio, per ordinarli poi in un secondo momento, il principe Elisio lo aveva accompagnato lungo i corridoi della struttura, mostrandogli i centri nevralgici per orientarsi. Erano state utili, le sue indicazioni. Gli aveva dato dei punti di riferimento specifici, sottolineando che la cosa fondamentale, al momento, era solo che sapesse tornare nei suoi appartamenti. Per il resto, si sarebbe orientato man mano, dovendolo seguire quando si muoveva all’interno del castello.
Fatto ciò, il rosso lo aveva invitato a seguirlo per raggiungere la pensione Pokémon, fuori dall’edificio ma pur sempre dentro le mura.
Nel tragitto, mentre camminavano l’uno di fianco all’altro, Augustine non era riuscito a trattenersi, e aveva dovuto chiederglielo.
«Mio signore?» - Aveva chiamato, quasi timoroso. Andava bene chiamarlo così, o forse avrebbe preferito un altro appellativo?
«Dimmi, Augustine.»
Non gli era parso turbato, piuttosto preso a guardarsi in giro, tenendo al tempo stesso d’occhio i due accompagnatori, che parevano star conversando alla loro maniera qualche metro più avanti.
«Il vostro Aegislash…» - Non era sicuro di come avrebbe reagito. Dal modo in cui l’avevano guardato al loro primo incontro visivo era sembrato un argomento pericoloso.
«Sì. È cromatico.»
La risposta fu secca e sbrigativa, ma non scocciata. Gli occhi chiari del ragazzo tornarono a poggiarsi sulla spada più avanti, osservandola continuare ad avanzare, pur girata verso di loro per puntargli addosso il suo unico occhio.
Ricambiò il suo sguardo per qualche istante, senza sapere come rispondere. Tuttavia si aprì poco dopo in un leggero sorriso, rivolto sia al suo interlocutore che al Pokémon, evidentemente in ascolto.
«Io trovo che sia bellissimo. Il nero lo rende veramente elegante.»
«Grazie, signorino.» - Sentì mormorare dal Pokémon, quasi pigramente, prima che le sue mani dorate tornassero a congiungersi dietro al proprio scudo e la sua figura si girasse verso la strada.
Per qualche motivo, il sorriso di Elisio gli parve tirato.
__

«Ci sono così tanti Pokémon qui!»
Non appena avevano messo piede nell’edificio cui erano diretti Augustine si era agitato incredibilmente, saltando da una parte all’altra per accarezzare e abbracciare quanti più Pokémon possibili. Gli era risultato divertente vederlo così preso, quasi fanciullesco, mentre lui stesso aveva concesso qualche carezza ad un paio di Litleo che gli si erano fatti vicino, finendo poi a giocare fra le zampe di Pyroar.
«Hai una vaga idea di cosa vorresti?» - Lo interpellò, non ottenendo però risposta. Aveva il viso affondato contro alla pelliccia di un Ninetails e rideva come un matto, mentre questi muoveva le sue code a scompigliargli i capelli.
«Ci vorrà un po’ di tempo, temo.» - Sentì Aegislash borbottare, mentre tuttavia il suo occhio scandagliava frettoloso la stanza. Sapeva chi aspettava.
«La stai cercando, vero?» - Chiese, cambiando argomento come se nulla fosse, gli occhi poggiati sulla giovane dama che si stava apprestando ad entrare, i lunghi capelli castani raccolti dietro alla nuca ma lasciati sciolti davanti. Il compagno spettrale, allo stesso modo, parve guardare in quella direzione, rimanendo però deluso nel vedere che non c’era chi di suo interesse.
«No. Non so di cosa tu stia parlando.» - Allontanò la sua domanda come si farebbe con un insetto eccessivamente fastidioso, sparendo senza aggiungere altro nell’ombra. Lo conosceva sufficientemente bene per sapere che stava mentendo.
Proprio mentre il Pokémon se la batteva la giovane parve accorgersi di lui e gli rivolse un cenno di saluto, avvicinandosi un po’ di fretta dopo aver sollevato gli orli della gonna. Le avrebbero detto che era disdicevole mostrare così le gambe, ma non c’erano tutori lì a fermarla, e di certo non le avrebbe fatto lui una lezione di galateo.
«Principe Elisio! Non mi aspettavo di trovarvi qui. Non siete accompagnato da Aegislash?» - Le sue parole furono seguite da un lieve inchino, subito ricambiato dal rosso.
«Lady Diantha. Ho accompagnato il mio nuovo servitore affinché possa scegliere un nuovo Pokémon.» - Fece una piccola pausa, ovviando con lo sguardo verso l’unico altro umano presente lì dentro, a parte qualche garzone sulla porta. - «Aegislash era qui fino a un momento fa. Credo volesse stare un po’ da solo.»
La giovane parve annuire appena, un’espressione indecifrabile sul viso. Lasciò cadere l’argomento dello spettro poco dopo aver mormorato che Gardevoir non aveva potuto accompagnarla per motivi di salute, preferendo tornare a parlare del servitore.
«Sembra molto curioso. Come si chiama, se posso permettermi? Ricordo che eravate proprio voi a dire cose come “Non voglio stringere un patto vincolante, mai e poi mai!”»
Rise, nel sentire la propria voce imitata malamente, e così fece anche la giovane donna, seppur in maniera molto più femminea e leggiadra. Era una creatura davvero incantevole.
«Il suo nome è Augustine. È figlio del consigliere di palazzo. Le circostanze mi hanno spinto ad assumermi la responsabilità della sua vita.»
Gli occhi chiari della donna parvero capire, a giudicare dalla luce che li animò mentre annuiva con il capo.
Diantha era una bellezza rara, tanto delicata quanto gentile. Proveniva da un altro luogo, e le sue residenze erano ben lontane da palazzo, ma spesso i doveri nobiliari la portavano a corte, facendoli incontrare. Molti vociferavano che si sarebbero sposati, visto l’alto lignaggio della sua famiglia, ma Elisio preferiva non ascoltare e non porsi interrogativi su una questione che preferiva sorvolare.
«Credo che abbia trovato ciò che cercava.» - La sentì mormorare, con un piccolo sorriso sulle labbra, gli occhi ora impegnati ad osservare il moro. Anche Elisio voltò il proprio sguardo, vedendosi correre incontro il ragazzo con un Pokémon fra le braccia.
«È … È la cosa più bella che io abbia mai visto! Voglio lei!» - Gli parve quasi un bambino, mentre alzava fin quasi al suo naso un Lampent, evidentemente una femmina. Vide la creatura agitarsi appena, palesemente contenta, e non poté fare a meno di sorridere lievemente, osservandolo tirarsela di nuovo contro al petto con fare protettivo.
«Se è lei che vuoi, per me va bene.» - Entrambi parvero esultare, a giudicare dal modo in cui la stretta delle sue braccia sottili si intensificò sulla figura nera del Pokémon, anch’esso gongolante.
Solo allora Augustine parve notare la giovane al suo fianco.
I suoi occhi chiari si spalancarono incredibilmente e il volto impallidì fino a diventare esangue.


{Post Scriptum:


In questo capitolo, finalmente, iniziano a prendere forma alcuni misteri precedentemente oscuri.
Mi sto divertendo a svelare a poco a poco questi intrighi, cercando di plasmare alla mia storia.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che abbia aumentato la vostra curiosità!
Ci si vede al prossimo appuntamento~

Ps: Ditelo, non vi aspettavate che Aegislash fosse cromatico! :D

 

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