Il Destino di Eligorn

di Saphyria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Aerys e Lucas correvano attraverso la Grande Pianura, il colore dei loro mantelli spiccava rispetto alla candida assenza di colore della neve.
Tutto era muto, mentre Aerys vedeva scomparire il mantello blu del fratello in un'altra direzione mentre le Guardie Reali si dividevano per inseguirli.
Correva correva, quando a un certo punto vide un casetta. 
Speranzosa si diresse lì; guardando al vetro della finestra vide che era abbandonata da tempo mentre il suo fiato formava goccioline di condensa sulla superficie.
Disperata tentò di aprire la porta, ma quella, bloccata dalla neve e dal ghiaccio, non voleva saperne di aprirsi. 
Tornò alla finestra e stupita vide che ancora un fiore sopravviveva a quel clima rigido. Era una rosa viola, di quelle che sbocciavano d'inverno. 
La pregò di crescere e rompere il vetro e quella lo fece. 
Si guardò intorno col cuore che batteva spasmodico per la paura, ma dei soldati non c'era traccia.
Entrata, si rintanò nell'angolo più buio della casa e, avvicinando le gambe al viso, avvolgendosi nel mantello, pianse.

Da quando suo padre aveva scoperto che lei sapeva usare la magia e che sia la moglie che il figlio glielo nascondevano era impazzito e aveva cercato di catturarli; 
erano riusciti a scappare solo grazie all'aiuto della madre, che con un ultimo sguardo li aveva pregati di restare in vita. 

E così pianse, in angoscia per la sorte di Lucas; 
pianse, preoccupata per la madre; 
pianse, non sapendo se avrebbe più rivisto la servitù del castello, il giardino sempre in fiore, la sua stanza;
pianse, poiché passava la notte all'addiaccio, in un posto sconosciuto; 
pianse, domandandosi quale sarebbe stato il futuro; 
pianse, constatando che ormai non era più una principessa.

Pianse, consapevole di essere una maga in un mondo che non l'accettava.

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Capitolo 1


 
1 mese dopo…



Il confine tra bene e male è sottile.
Questo Aerys lo sapeva bene mentre rubava una mela al mercato.

Gironzolava per le strade sudicie di Telthor, l’ultima città del regno degli umani.
Si era allontanata molto dal castello e ormai da molto tempo aveva lasciato alle spalle la Grande Pianura, sede del palazzo del re, e ormai si trovava a vivere quotidianamente tra i crimini di una città periferica dimenticandosi degli agi che possedeva a palazzo.

Se ci si sedeva sul tetto di una di quelle case piatte fatte di pietra per ammirare il tramonto si poteva scorgere la Grande Foresta di Jihal, regno del popolo degli elfi bianchi, e a sinistra la Regione dei Laghi dove risiedevano le ninfe e le fate.

Aerys era lì da tempo, aveva deciso che non sarebbe scappata per un po’; aveva finito la sacca di denaro che aveva rubato in qualche città prima ed era incerta sull’andarsene dal regno senza  prima sapere notizie di suo fratello e di sua madre. Inoltre aveva paura di cosa l’avrebbe potuta attendere siccome non conosceva nessun’altra lingua e non era mai uscita dal regno.

Comunque, ormai, si era abituata a vivere nell’ombra, il volto nascosto dal cappuccio del mantello sdrucito, la sua identità nascosta al pubblico; d’altronde chi non avrebbe potuto riconoscere la principessa? Con quei suoi capelli bianchi come la neve e gli occhi gialli da gatto, per cui doveva tenere la testa continuamente abbassata, non passava di certo inosservata. Sua madre le aveva detto che assomigliava insolitamente a sua nonna. 
Lucas invece presentava i classici tratti presenti comuni nel regno: capelli castani,occhi scuri e lineamenti marcati, oltre ad un fisico robusto, affinato dalla tecnica militare. 
La magia inoltre aveva conferito ad Aerys caratteristiche e interessi diversi da quelli del gemello.
Cosicché, mentre lei studiava di nascosto la magia dai libri presi dalla Biblioteca Proibita del castello, che aveva scoperto un pomeriggio, Lucas si buttava su libri di strategia militare, non senza un certo compiacimento del padre, che non vedeva l’ora che suo figlio fosse abbastanza grande da farlo diventare generale del suo esercito e dare inizio alle sue mire di potere ed espansionismo.

La piccola maga adesso, costretta a celare il volto e la lunga chioma nel cappuccio, ormai sporca e che un tempo era stata motivo di orgoglio, recitava la parte di una di quei poveri orfanelli, molto presenti nelle strade di Telthor, che cercavano di sopravvivere rubacchiando qua e là. Ecco chi era diventata; o almeno, quello che gli altri credevano lei fosse.

La notte tornava nella sua tana appena fuori dalla città:  un’angusta grotta quasi del tutto nascosta dalla vegetazione, ma grande abbastanza per un giaciglio e abbastanza vicina a un piccolo ruscello.
Era come se si sentisse a casa in quel posto, poiché lo vedeva come suo, un rifugio di cui solo lei era a conoscenza. Le ricordava quello che provava a palazzo nel giardino dietro i dormitori della servitù: lo stesso senso di quiete di quando si sedeva sotto il porticato a leggere i libri di magia, mentre tutto intorno a lei la natura fioriva quando per allenarsi pronunciava gli incantesimi o quando Lucas la raggiungeva in cerca di nuove scappatelle nella capitale.
Ripensando a lui le tornava in mente il momento in cui si erano separati, braccati come animali in fuga. Sperava ancora di rincontrarlo e ogni volta che vedeva un fattore somigliante in qualche persona le si accendeva una fiammella di speranza negli occhi, che subito evaporava quando si accorgeva che il naso era troppo aquilino o che la fronte era troppo alta o che aveva una voce diversa. 
Alcune sere piangeva per la solitudine e la paura di non vederlo mai più, ma si faceva forza e riprendeva ad allenarsi cosicché un giorno sarebbe riuscita a proteggerlo.

Tutto procedeva come al solito, nelle ore in cui non bighellonava in giro per la città, si allenava e dopo un po’ i risultati si fecero vedere, ma era ancora un po’ goffa ed inesperta, per questo riusciva a coltivare solo alcune piante e non sempre restavano in vita per dare frutti…

La notte, prima di addormentarsi, ripensava ai suoi affetti, e quella sera le venne in mente il ricordo di sua madre che le narrava di quando ancora la magia era presente in tutta Eligorn, un mondo in cui tutti potevano compiere piccoli incantesimi per facilitarsi la vita o per rendere felici semplicemente gli altri. 
Le vicende che però le interessavano maggiormente erano quelle legate ai maghi degli Elementi, talmente potenti da compiere imprese memorabili, poiché la Natura offriva loro tutto ciò che serviva, trattandoli come vecchi amici.
Purtroppo al momento lei sapeva solo comunicare con la Terra, ma sua madre le aveva detto che con fatica e dedizione sarebbe riuscita un giorno a parlare e invocare tutti gli Elementi, poiché lei possedeva lo stesso potere di sua nonna, la grande maga della Luce, Cayrin la Bianca.








 





N.D.A:

Saaalve a tutti!
Eccomi qui con un altro capitolo!
La storia ha inizio!
Credo di averci messo un pochino più del previsto a scriverlo, poichè è il capitolo iniziale, quello che dovrebbe incuriosire il lettore e, siccome poi è la mia prima storia, volevo essere sicura che riuscisse bene. Ovviamente ci sono alcuni dubbi sulla riuscita dell'intento, ma mi ritengo abbastanza soddisfatta del risultato.
Ad alcuni potrà sembrare che tutte le caratteristiche migliori si incentrino sulla protagonista e che forse proprio per questo spicchi un po' troppo, ma ci tenevo a darle un aspetto fuori dal comune, che non presentasse propriamente tratti tipici di noi umani. Insomma siamo in un fantasy!
Per il momento la storia non prevede discorsi diretti e quindi lo stile della narrazione sarà pressochè sempre questo.
Diciamo anche che essendo il mio primo scritto qui pubblicato mi sento un po' insicura e vorrei esortarvi a dirmi chiaramente se qualcosa non quadra nell'insieme.
Volevo inoltre aggiungere che siccome è ricominciata la scuola, non so precisamente quando riuscirò a pubblicare i capitoli, credo che comunque non vi farò attendere, poichè mi sentirei in colpa :)
Grazie a tutti quelli che recensiscono (o recensiranno) e ai lettori che semplicemente dedicano tempo a leggere questo frutto della mia pazzia ^^
Alla prossima!!

_Tiger_

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II

 
 
 
Si racconta che un tempo ci fosse una così grande quantità di magia nel continente, da essere a portata di tutte le genti.
Solo le persone più dotate però possedevano caratteristiche particolari e potevano far diventare la magia la propria professione di vita.
Questi individui, allora in grande presenza, potevano essere riconosciuti facilmente dalle chiome variopinte e da tatuaggi particolari presenti sul proprio corpo.
 
Perciò non era difficile trovare, passeggiando per le strade di qualunque città, una chioma rossa, un’altra trasparente come l’acqua più pura, una verde o una rosa. Oppure si potevano notare i segni impressi sul corpo di questi ultimi, messi in bella mostra dagli stessi portatori e motivi d’orgoglio, raffiguranti la connessione e l’affinità ad un particolare Elemento che donava ai maghi il proprio potere.
 
Queste peculiarità legate all’aspetto esteriore del mago però, si manifestavano solo e unicamente dal decimo anno di vita in poi. 
Da quest’età i prescelti venivano mandati all’Accademia di Albaran, Capitale per eccellenza e punto d’incontro per i popoli di tutta Eligorn, dove venivano insegnate le arti specifiche per ciascun Elemento; cosicché i giovani inesperti non potessero danneggiare involontariamente in alcun modo le persone che li circondavano.
 
Essere mago poteva essere sia una un dono che una condanna; le famiglie potevano sì gioire della manifestazione dei poteri del proprio figlio o della propria figlia, certi che essi avrebbero avuto un destino meraviglioso davanti ai loro occhi. Ma potevano anche veder partire il figlio per non tornare più o ricevere sconfortati la notizia da quest’ultimo di non essere diventato mago, poiché alcune volte si presentavano incomprensioni tra l’Elemento e il portatore, dovute alla mancanza di comunicazione tra i due nell’ultima prova della maggiore età, che consisteva in un viaggio per comprendere meglio loro stessi, il potere e il mondo che li circondava.
 
Tornando ad Albaran bisogna dire che era governata dal Concilio di Chet, cioè i maghi più potenti degli Elementi.
Alcun essere magico e non, che non fossero i suddetti esponenti dell’arte magica, poteva entrare nella Sala dei Cristalli, dove si prendevano le decisioni più importanti riguardanti la nazione.
In compenso i cinque maghi che formavano il Concilio si potevano scorgere un po’ dappertutto nella Capitale, poiché non avevano bisogno di protezione e si viveva in tempi di pace.
 
Perciò non era strano incontrare in qualche locanda a bere il mastro nano proveniente dalle Montagne di Onice, all’estremità est di Eligorn. Egli era il rappresentante della Terra; scuro di carnagione come la pietra estratta dalle vette della sua madre patria, aveva la chioma verde intrecciata con gioielli di nere pietre preziose e un fiore tatuato sul braccio nerboruto.
 
Sempre vicino a qualche sorgente invece sostava la ninfa della Regione dei Laghi, situata a ovest di Albaran. 
La si poteva riconoscere dal corpo e le vesti trasparenti: una bellezza eterea in affinità con l’Acqua; un essere magico di per sé che non aveva bisogno di un tatuaggio per farsi riconoscere.
 
Nella Biblioteca della città o al campo d’allenamento della guardia si poteva incontrare un uomo dalla corporatura robusta proveniente dal Regno di Embit. Una tunica marrone scuro e una zazzera di capelli rossi lo contraddistinguevano come rappresentante dell’Elemento Fuoco, mentre una fiamma quasi viva faceva bella mostra di sé sulla sua guancia destra.
 
In cielo invece si potevano ammirare i voli dell’esile donna cavaliere dei draghi dalla carnagione pallida, dagli occhi azzurri e dalla lunga treccia rosa tenue. Ella possedeva invece il potere di comunicare con l’Aria, essenziale sulle Cime Ventose della regione di Ashvin, a nord della Capitale. La veste che indossava lasciava nitidamente vedere due grandi ali azzurro cielo, simili a quelle della sua cavalcatura, sulla schiena tra le due scapole minute.
 
Infine si arrivava al capo del Concilio dei maghi, un elfo proveniente dalla grande Foresta di Jihal, scelto dalla Luce come mago più potente di Eligorn per combattere ogni Tenebra. 
 
A quei tempi questo destino toccò a Cayrin. 
Il suo aspetto era noto a tutti, mentre vagava per le strade di Albaran, giocando coi bambini o chiacchierando con qualche adulto: lisci capelli bianchi nascondevano le orecchie a punta, mentre sul piccolo volto dall’ovale perfetto tra le due sottili sopracciglia era presente un piccolo sole, anch’esso bianco. Tutto ciò però faceva da cornice ai meravigliosi occhi color smeraldo che rendevano difficile a chiunque mentirle.
 
Ella aveva terminato solo due mesi prima il proprio addestramento che, a differenza degli altri maghi, si svolgeva nella solitudine della Foresta. 
Il suo maestro era il mago della Luce che le aveva conferito poi il potere alla conclusione dell’ultima prova, nella quale Cayrin aveva dovuto vagare per quattro giorni e quattro notti tra gli alberi e i tortuosi sentieri del regno degli elfi bianchi.
Giorni in cui avrebbe dovuto entrare in contatto con tutti e quattro gli elementi principali.
Solo dopo essere tornata col segno del sole bianco inciso sul corpo, dono delle quattro magie primarie e dimostrazione delle affinità conquistate, avrebbe potuto ottenere anche il legame che l’avrebbe unita alla Luce.
 
Era giunta al Concilio giovane, ma si era fatta presto rispettare dagli altri membri per la sua saggezza e la sua capacità di giudizio, che, accompagnate al luminoso e rassicurante sorriso, oltre ad una ferrea determinazione, avevano conquistato il cuore di tutta Eligorn.
 
Passarono così quattro anni di pace, feste e tranquillità prima che arrivasse Hagar il Dio Oscuro, il suo esercito abominevole e la sua crudele signora, l’Ombra.










 
 
 
 
N.D.A:

 
Saaaalve a tutti di nuovo!
E' passato un po' di tempo da quando ho pubblicato l'ultima volta, ma, comprendetemi, è ricominciata la storia e la mia mente deve ancora abituarsi all'obbligo di mettersi sui libri a studiare +_+
Il nuovo capitolo introduce Cayrin a quanto potete leggere.
So che magari qualcuno avrebbe voluto continuare la storia di Aerys, ma mi serviva un punto d'appiglio per spiegare anche il passato, la magia di Eligorn e le citazioni riguardanti la nonnina della protagonista principale.
Detto questo, allego il link per visualizzare la sede del Concilio della città di Albaran citata nel capitolo:
http://www.iphonewallpaperhi.com/wp-content/uploads/20131011/fantasy-city-iphone-hd-wallpaper-iphonewallpaperhi.com-761-320x480.jpg

Sperando di riuscire a pubblicare settimana prossima, ci sentiamo col nuovo capitolo lunedì ;)
A lunedì ^^

_Tiger_

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III




Aerys si svegliò per colpa di un fastidioso raggio di sole che le colpiva gli occhi chiusi, ridestandola dal suo torpore.
Si alzò e, dopo essersi stiracchiata, si recò, barcollando per il sonno, verso la radura lì vicino.
Ebbe così inizio il solito allenamento quotidiano: semplici ma stancanti esercizi dediti ad aumentare sempre più la maestria nella spada e nel combattimento, la resistenza fisica e il comando esercitato, tramite la magia, che animava un manichino raffazzonato, che costituiva il suo nemico.
Non è strano pensare che Aerys sapesse maneggiare una spada, poiché, fino alla loro fuga, Lucas le aveva insegnato ciò che apprendeva alle lezioni cui svolgeva in quanto principe. In segreto e con molta discrezione, non facendolo sapere neppure alla madre, la ragazza aveva infatti da sempre una passione per quegli strumenti che potevano sì togliere una vita, ma anche salvarla in caso di difficoltà. Il fascino di quando il sole colpiva il filo della lama, l’elsa decorata dei grandi signori che facevano visita a palazzo e i foderi intarsiati attiravano sempre e indissolubilmente la sua attenzione. Così aveva insistito e Lucas non aveva avuto la forza di dirle di no una volta di più.
Perciò non era strano che il corpo della piccola discendente di Cayrin fosse snello e muscoloso, delicato e forte, insomma, il suo problema al momento era più la magia che il combattimento, ma allenarsi no guastava mai. 
Solo in quei momenti riusciva a svuotare la mente, concentrandosi sul mondo che la circondava, acuendo i sensi. E così fece anche quella mattina. Percepiva tutto intorno a lei: le fronde degli alberi che frusciavano al vento, il rumore di un cerbiatto che si abbeverava alla sorgente vicina, il cinguettio degli uccelli, l’accompagnarono fino alla fine dell’allenamento.

Sudata e ansimante per la fatica, ma temprata nello spirito e nel corpo, si recò verso il ruscello vicino alla caverna per rinfrescarsi. In un primo momento non se ne accorse, ma guardando meglio, notò un fiore verde discretamente grande sulla coscia destra. Cosa fosse? All’inizio non lo sapeva neanche lei, ma tornando indietro con la mente, si ricordò del mastro nano Ghibor MenteFredda delle Montagne d’Onice: l’Arcimago della Terra presentava lo stesso simbolo sul braccio ed era stato uno dei protagonisti della Grande Guerra al fianco di sua nonna.
In questo modo capì che la Terra l’aveva scelta, l’aveva accettata, aveva notato i suoi progressi e i suoi sforzi e alla fine l’aveva premiata: ora condividevano il potere della nascita e della distruzione, il potere della natura. 

Rivestitasi e avvoltasi nello sdrucito mantello marrone, comprato dopo aver abbandonato quello rosso, si recò così presso il mercato per riuscire a guadagnarsi il pasto per quella giornata.
Ragazze con vesti sgargianti e gioielli appariscenti danzavano nella piazza centrale della città, mercanti decantavo le qualità delle loro merci sperando di accalappiare qualche cliente, una confusione di odori e colori e una musica incalzante accompagnava le esplorazioni dei viandanti tra le bancarelle.
Il giorno di mercato era atteso da tutti a Telthor: la grigia città gioiva sempre e solo un giorno alla settimana, per poi tornare buia e cupa: un’apparenza di instabile felicità animava quei momenti. I giorni successivi la gente si rintanava in casa; le imposte chiuse, le porte sbarrate, gli occhi degli abitanti freddi e vuoti ormai disperati e stremati dalla mancanza di cibo: una carestia affliggeva le coltivazioni già da qualche mese; i raccolti si erano dimezzati e buona parte dei profitti andava alla reggia del re come tributo. I crimini si erano duplicati e le persone per strada a lasciarsi morire anche.
Ad Aerys dispiaceva, ma non trovava altro modo per poter sopravvivere se non quello di rubare.

Una pagnotta fumante di pane grigio era posata su una credenza in attesa di essere mangiata. Il profumo era talmente invitante… Non ci pensò su molto, la mano si mosse da sola e un attimo dopo poteva ritenersi soddisfatta del bottino.
L’essere umano è egoista e ancora di più lo è quando si trova in difficoltà; anche Aerys aveva subìto questo processo; aveva capito di doverlo diventare dopo essere quasi svenuta per la fame la seconda notte dopo la fuga.
La vecchia principessa Aerys era per lo più morta, lasciando il posto ad Aerys la ladra, colei che doveva sopravvivere giorno per giorno, confrontandosi con la realtà, procurandosi il cibo, allenandosi con la spada e la magia per avere una qualche possibilità di vincere in uno scontro e nascondendo il volto per via della taglia che pendeva sulla sua testa albina. 
Era bastato un solo mese per indurirla, per scacciare la dolcezza e far posto alla freddezza; a far emergere quegli atteggiamenti insiti nel suo cuore, simbolo di ribellione alla società che glieli proibiva in quanto femmina, e che ora potevano uscire liberamente e senza freno. La felicità di essere libera, anche se braccata, aveva surclassato la malinconia delle stanze vuote del palazzo anche se il suo cuore era ancora lacerato dall’abbandono dei cari e dalla sofferenza della solitudine.

Si diresse quindi verso l’Arena, dove i cittadini poveri scommettevano per disperazione su persone ancor più povere di loro, aumentando così le fila di ubriaconi e mendicanti che popolavano le sudicie strade della città grigia.
Lo spettacolo e le scommesse consistevano in duelli in cui non c’era spazio alla pietà o alla compassione: il più forte disintegrava il più debole, letteralmente.
Il Signore di Telthor e la guardia cittadina, ormai corrotta fino al midollo, avevano il compito di procurare continuamente nuovi combattenti.
I duelli quindi non erano equilibrati: criminali incalliti e bruti potevano scontrarsi con comuni cittadini condannati solo per non aver pagato le tasse o ladruncoli tropo sciocchi o alle prime armi che si erano fatti stupidamente prendere.

Aerys aveva imparato che anche gli individui più agiati venivano piacevolmente coinvolti da quegli spettacoli macabri, tanto che ella poteva facilmente sfilare la loro borsa di monete dal ventre schifosamente grasso mentre loro esultavano in preda alla frenesia del sangue, guadagnando così un bel bottino.

Ultimamente il campione in carica era Glor BraccioRosso: un energumeno rozzo e stupido e spregevolmente cattivo che doveva il suo appellativo ai glifi scarlatti che ricoprivano interamente il suo braccio destro.
Fu proprio mentre stava per sfilare la sacca che le avrebbe permesso di vivere modestamente bene per almeno un paio di giorni, che iniziò il duello e lei, ovviamente, perse la presa e l’opportunità di vivere una vita un minimo migliore di quella attuale; la folla euforica la schiacciò, allontanandola dal suo obiettivo mentre il direttore annunciava:
- Prestate attenzione, signori e signore, a Glor BraccioRosso! Colui che conoscete come le Bestia Infernale! Colui che tatua col loro sangue il nome dei suoi nemici sul proprio braccio! L’imbattuto da oltre ventiquattro combattimenti! Vincerà anche questa volta?
Acclamazioni accompagnarono l’ingresso del demonio tanto decantato, mentre la ragazza pensava alla prossima vittima del bestione, compatendola.
Si alzò quindi la grata e le guardie gettarono dentro l’arena il secondo duellante. Aerys lo squadrò, per quanto potesse vedere dall’ultimo anello dell’arena: un ragazzo più o meno suo coetaneo sostava accecato dal sole davanti all’ingresso da cui era stato spinto in quel suicidio. La ragazza perse interesse: non ce l’avrebbe sicuramente fatta, mingherlino com’era; Glor lo avrebbe fatto a pezzi in cinque secondi.
Aerys si girò e si concentrò sulla folla; doveva racimolare in fretta qualcosa prima che finisse il breve combattimento.
Grazie alla confusione e spingendo un po’; non facendosi notare tra la calca, riuscì a trovare di nuovo il suo obiettivo iniziale. Il conte non se ne accorse, le guardie nemmeno, ma un fastidiosissimo cittadino impiccione sì e diede l’allarme; così la fanciulla si vide venire incontro i soldati e, siccome i ricchi assistevano sempre allo spettacolo nei primi anelli, si ritrovò ben presto in trappola.
Pensò disperatamente a una via di fuga, ma ormai non ci fu più tempo, le guardie si erano avvicinate troppo; non le rimase quindi che gettarsi nell’Arena.

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