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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nota di nostalgia ***
Capitolo 2: *** L'articolo ***
Capitolo 3: *** Il torneo di arti marziali ***
Capitolo 4: *** Il piano ***
Capitolo 5: *** Una panchina ***
Capitolo 6: *** Doppio Confronto ***
Capitolo 1 *** Una nota di nostalgia ***
Una nota di nostalgia
Capitolo 1 - Una nota di nostalgia
Ndr
12/09/15 Rispetto alla prima pubblicazione, sono state apportate
alcune correzioni generali; nella fattispecie al nome di Satomi, che ho
scoperto essere femminile e quindi trasformato in “Hitoshi”. Chiedo venia per l’errore,
nei prossimi capitoli presterò maggiore attenzione.
***
Nonostante
i valori della diligenza e devozione al lavoro gli fossero stati inculcati sin
dall’infanzia, Hitoshi san non reggeva più la vista di quella enorme montagna
di scartoffie che da settimane gli impediva di rincasare ad un orario decente;
e quella sera non si annunciava diversa dalle altre. Sbuffando appena,
impercettibilmente, prese a massaggiarsi le tempie doloranti; la dolce brezza
serale di inizio estate proveniente dall’esterno della finestra aperta gli
regalò un attimo di pace, ma non bastò a distrarlo dal pensiero della reazione
che sua moglie avrebbe avuto dopo l'ennesimo ritardo a cena. Certamente non
sarebbe stata docile e sottomessa quanto lei stessa era stata in passato, ai
tempi del loro matrimonio.
Eppure, nonostante questi tormenti gli rendessero difficile concentrarsi, mai
avrebbe consentito ai propri problemi personali di frapporsi tra se stesso e il
lavoro. I suoi superiori lo avevano reso responsabile dell'organizzazione di un
evento assolutamente maestoso; e lui avrebbe volentieri preferito il suicido anziché
deluderli con un fallimento.
La soddisfazione di aver ricevuto un incarico così importante lo fece fremere
di orgoglio e per un momento dimenticò la moglie insoddisfatta, il figlio
atteso invano per anni ed il suo stipendio appena dignitoso se paragonato a
quello di colleghi meno capaci di lui.
“Forse questa sarà la volta buona”, pensò sollevando la testa mentre esaminava
l’ennesimo modulo da compilare, “Stavolta, non potranno ignorare i risultati
eccellenti del mio lavoro”, e gli apparve così verosimile la prospettiva di una
promozione, che prese a lavorare con rinnovato vigore approfittando degli
ultimi raggi di sole che penetravano ancora nella stanza. Mai lo sfiorò, quella
sera, l’idea che la sua consorte, così devota eppure così sola nella piccola
casetta di periferia, avrebbe preferito averlo a cena tutte le sere piuttosto
che promosso. Quando finalmente rincasò, era già tardi e lei fingeva di
dormire; lo sentì distendersi nel letto al suo fianco, ma non si girò verso di
lui.
Reiko Matsuda vide il pugno del combattente che le stava di fronte, giungerle
con sorprendente chiarezza, e le fu facile evitarlo spostando appena il proprio
peso sulla gamba sinistra e abbassandosi leggermente. Nel farlo, fu così rapida
che il suo avversario non ebbe il tempo di ricomporre la guardia e questo errore
gli fu fatale : Con un ampio movimento del braccio lo colpì al fianco destro in
modo da togliergli il fiato; e quando lui si trovò completamente scoperto, lo
centrò in pieno petto con un colpo veloce e preciso. L’atleta, che quel giorno
era sceso in campo con incrollabile fiducia nella propria superiorità di
genere, e fermamente convinto che combattere contro una ragazza non fosse una
prova degna del suo talento, crollò invece miseramente al tappeto senza più le
energie per rialzarsi. Immediatamente, lo stupore degli spettatori si trasformò
in applausi indirizzati all’inaspettata vincitrice dell’incontro, quella
ragazza dallo sguardo fiero e dal fisico leggero e veloce.
Mentre si apprestava ai rituali inchini che celebravano la fine della gara e
stringeva la mano al suo sconfitto e mortificato avversario, tutto ciò che le
venne da pensare fu che da troppo tempo non aveva modo di misurarsi con un
degno lottatore. Si avviò verso gli spogliatoi con passo deciso sotto gli
sguardi ammirati del pubblico maschile del Wilmington Karate Club di Los
Angeles. Nel corridoio l’attendeva suo padre, Gonshiro Matsuda, con le braccia
conserte e la sua stessa espressione altera; non ebbero bisogno di scambiarsi
parole poiché lui la anticipò sul tempo
- Direi poco più di una passeggiata -
- Mpf - fu tutto ciò che ebbe a replicare Reiko, e proseguì diretta alle docce.
Quando si ritrovarono all’uscita della palestra, il cielo era dipinto dei
colori del blu, ma le sfavillanti luci della città intorno a loro tingevano l’aria
di un’atmosfera dinamica e incoraggiavano a perdersi tra la moltitudine della
folla e dei locali circostanti, nonostante l’orario tardo.
Casa loro era poco distante da lì, così si incamminarono a piedi, l’uno accanto
all’altra, in silenzio.
Fisicamente, non si assomigliavano molto, poiché Reiko aveva ereditato i
lineamenti gentili del volto, il color ambrato dei capelli e il corpo atletico
dalla madre; ma i suoi profondi occhi castani, dai quali saettava lo stesso
sguardo penetrante e austero del padre, lasciavano pochi dubbi sull’identità
del loro legame; uguale era pure il loro portamento sicuro.
Attraversarono a passo rapido il boulevard.
- Potremmo mangiare qualcosa - propose l’uomo – Che ne diresti di uno strappo
alle regole? Hai combattuto bene stasera -
Reiko, che aveva lo sguardo pensieroso, impiegò qualche secondo prima di
rispondere – Non ho fame, andrò direttamente a dormire; Ho intenzione di
riprendere gli allenamenti già domattina –
Il padre tentò una debole protesta - Questo programma che segui…Non sarà
eccessivamente severo? Ricorda che il riposo…-
- …E’ altrettanto importante che l’allenamento – concluse lei al posto suo,
sforzandosi di trattenere un sorrisetto – Strano che sia proprio tu a dirmelo,
abbiamo preparato insieme la mia scheda atletica –
- Ammetto che all’epoca non pensavo che saresti mai riuscita a seguirla
integralmente – confessò Gonshiro sorridendo di fronte all’occhiataccia di
risposta che si ebbe dalla figlia – Ma è stato comunque interessante seguire i
tuoi progressi – aggiunse appoggiandole una mano sulla spalla.
La ragazza corrucciò la fronte prima di sorridere anch’ella – Ecco perché ho
faticato tanto…Ma non ti avrei mai dato la soddisfazione di chiederti di mitigarmi
gli allenamenti –
- Lo credo bene, sei mia figlia – rispose lui, semplicemente.
Continuarono a camminare finché non furono giunti all’ingresso della loro
abitazione, e fu in quel momento che Gonshiro ebbe uno dei suoi rari attimi di
esitazione.
Da tutta la sera desiderava rivolgerle una domanda, ma il carattere estremamente
riservato della ragazza, così simile al suo, unito al timore di una reazione
potenzialmente esplosiva, lo aveva dissuaso dal tentare senza prima aver colto
il momento giusto, e quello gli parve il migliore della giornata.
Sorrise tra sé e sé poiché l’indecisione era stata una sensazione a lui
sconosciuta fino a qualche tempo prima; ma da quando Reiko era cresciuta, le
cose erano cambiate.
- Avanti, dimmi a cosa stai pensando – lo esortò lei inclinando leggermente la
testa come faceva sempre quando notava qualcosa di insolito.
Gonshiro sospirò, deluso di non aver saputo mascherare meglio la sua
incertezza, poi si risolse a chiederle francamente – Mi domandavo se avessi
ricevuto più notizie da Hayama –
Come aveva previsto, lo sguardo della fanciulla passò immediatamente dalla
curiosità al fastidio – No, e non ho intenzione di riceverne – fu la secca
replica.
L’irruenza della risposta di sua figlia lo indusse ad esprimersi senza più
curarsi di essere delicato - Reiko, non dovresti essere così severa -
Si aspettava una reazione violenta, che stranamente non giunse; invece lei lo
fissò dritto negli occhi - Non penso affatto di essere severa, ho i miei motivi
per comportarmi così -
- Non ho dubbi - convenne il padre - Sei una ragazza
intelligente e volitiva, abituata a riflettere prima di agire; ma sei anche
orgogliosa come me, e a te stessa non puoi mentire : Conoscevi fin dall’inizio
la situazione, e sapevi che prima o poi sarebbe rientrato a Tokyo;
ciò nonostante, mi sembra che tu non riesca proprio a perdonarlo e che lo abbia
preso come un torto personale -
Reiko si voltò a guardare la strada, cosciente della verità di quanto le era stato
appena detto da suo padre, che pure conosceva solo una parte della storia; il
pezzo mancante, per quanto potesse intuirlo, non sarebbe stato certamente lei a
rivelarglielo. Ma era testarda per natura e quindi insistette - Tornare a Tokyo
non era necessariamente l’unica scelta che avesse; e inoltre dal giorno della
sua partenza ha agito in modo tale da troncare i nostri rapporti, perciò non c’è
altro da aggiungere -
Gonshiro fece un ultimo tentativo prima di aprire il portone di casa - Sono
pronto a scommettere che ti manca combattere contro di lui -
Una nota di nostalgia velò appena i grandi occhi della ragazza - Era l’unico che valesse qualcosa, e abbastanza intelligente da capire subito
che non doveva abbassare la guardia e trattarmi alla pari di un atleta maschio
- concluse prima di dirigersi verso la sua stanza senza aggiungere altro.
Era vero, Hayama era stato il solo contro cui le fosse piaciuto davvero
combattere, uno dei pochi in cui aveva scorto lo spirito del vero
karateka. Quando si muoveva sul
ring aveva una resistenza ed una forza d’animo che conquistavano
il cuore e gli
occhi di chi lo osservava. Niente avrebbe potuto distoglierlo dal suo
obiettivo; era una persona che nel karate infondeva parte della propria
vita, ed
era difficile anche solo sperare di poterlo fermare.
Eppure, la prima volta che lo vide presentarsi alla palestra del padre, non
avrebbe mai pensato che quel ragazzino biondo dalla faccia ostinata e dal
braccio destro paralizzato potesse competere in quel mondo alla pari dei
normodotati. Era sicura che, come altri prima di lui, si sarebbe presto
destato dal sogno e avrebbe abbandonato quell’idea folle per dedicarsi ad
altro; tuttavia ne ammirò il coraggio. Ciò nonostante, l’unica simpatia che potesse
nutrire per Hayama all'epoca, era quella di condividere le medesime origini
nipponiche e il destino di ritrovarsi in una terra straniera così diversa
dalla loro.
Suo padre invece, più lungimirante di lei, era rimasto affascinato dalla
caparbietà del biondino, e aveva scorto al di là di essa una forza tenuta volutamente nascosta; ma questa sensazione, da sola non sarebbe bastata per
convincerlo a fargli da maestro : Occorreva prima che il ragazzo fosse
messo alla prova, e che la superasse.
Reiko ricordava bene quel giorno; Hayama, privo di qualsiasi
allenamento e
senza conoscere nulla sui metodi di combattimento del padre, venne
invitato a misurarsi contro uno degli allievi più promettenti in
un regolare match; com’era prevedibile, perse l’incontro,
ma non
prima di aver impegnato duramente il proprio avversario per 8 riprese senza che
questi riuscisse a domarlo.
Gonshiro aveva osservato la gara; quando Akito era stato sconfitto aveva
sorriso, e, senza esitazione, gli aveva comunicato che accettava di addestrarlo
alla disciplina. Reiko aveva obiettato; non capiva perché ad Hayama dovesse
essere risparmiata la lunga gavetta fatta di ore di esercizi e preparazione in
solitudine che era spettata invece a tutti gli altri, lei compresa, e gli fosse
stata invece subito riconosciuta una preparazione speciale.
Dapprima, lo aveva odiato per questo, e aveva tentato in tutti i modi di fargli
percepire questo suo sentimento sottoponendolo al doppio delle fatiche ogni
volta che il padre lo spediva ad allenarsi nella zona della palestra di sua
competenza; inoltre, non perdeva occasione per rimproverarlo anche di colpe non
sue.
Ma Akito aveva retto alla prova; e con il tempo, con la dedizione,
mese dopo
mese, aveva recuperato quasi completamente l’utilizzo
dell’arto destro e
colmato la distanza che lo separava dagli altri atleti, confermando
così l'avvedutezza della scelta di Gonshiro. Infine, anche la stessa
Reiko dovette riconoscere le eccezionali qualità di quel ragazzo
tenebroso e
taciturno, e fu meravigliata di riscoprirsi affascinata e desiderosa di
conoscerlo in modo sincero. Ben presto, mise da parte tutti i suoi rancori,
anche se
mantenne una certa diffidenza ancora per qualche tempo.
Questi ricordi destarono in lei una spiacevole sensazione di sconforto poiché
sapeva che non lo avrebbe forse mai più rivisto; decise così di andare a letto.
Nonostante avesse appena disputato un incontro, però, non riusciva a prendere
sonno.
Prese a rigirarsi tra le lenzuola senza trovar pace, finché capì che sarebbe
stato inutile insistere e decise di uscir fuori della terrazza a prendere una
boccata d’aria. Dall’alto del proprio appartamento, osservava le luci della
città risplendere come fuochi ardenti di fronte a lei, e poteva facilmente
udire il rumore appena smorzato dei clacson delle automobili che, come
formiche, pullulavano le affollate strade del centro di Los Angeles.
Reiko sospirò, prima di scorrere con lo sguardo l’intera strada e posare i
propri occhi su una panchina solitaria alla fine di essa.
Le tornò alla mente un episodio risalente alla permanenza di Hayama, legato
proprio a quella panca; in modo del tutto simile al padre, abbassò la testa e
sorrise tra sé e sé.
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Capitolo 2 *** L'articolo ***
l'articolo
Capitolo
2 - L’articolo
Ndr
14/09/15 Si
conferma la tradizione che vuole il secondo
capitolo come molto più difficile da elaborare rispetto al
primo; la stesura ha
richiesto infatti il doppio del tempo. Potrete notare la presenza di
note a piè
di pagina; mi sono chiesto se chiunque leggesse fosse a conoscenza
degli
equivalenti giapponesi dei nomi dei personaggi principali. Dal momento
che mi
ispiro al manga, ho usato gli originali. Se qualcuno dovesse avere
delle
difficoltà, non esiti a scrivermi. Buona lettura.
***
Se Ohki san non fosse
stato un uomo solitario, egoista ed assolutamente anaffettivo,
probabilmente
avrebbe trovato sul suo cammino almeno un amico pronto a metterlo in
guardia dalla
inevitabile bancarotta che lo avrebbe atteso, qualora avesse investito
tutti i
suoi risparmi nella costruzione di una ennesima palestra di karate
proprio a
Tokyo.
Nessuno però
si era
dato pena di preoccuparsi per lui, così l’incubo
del dissesto finanziario si
era rapidamente trasformato in realtà e le ingiunzioni di
pagamento bancarie erano
divenute la costante di ogni fine mese. Nonostante fosse avvilito,
ricordava di
aver desiderato ardentemente la realizzazione di quel sogno che
inseguiva dagli
anni della gioventù e a cui aveva dovuto rinunciare quando
era nato Tsuyoshi.
Ma il destino gli si era opposto, e lungo il tunnel della disperazione
nel
quale era precipitato, era giunto al punto di non distinguere
più la luce, sebbene
tentasse di ingannarsi mentendo a sé stesso e ricorrendo a
dosi sempre maggiori
di alcol.
Nonostante i suoi
difetti lo avessero reso inavvicinabile come persona e inaffidabile
quasi sotto
ogni punto di vista, per una sorta di strano paradosso, non dimenticava
mai di
versare puntualmente ogni mese la quota di alimenti che spettava alla
sua
ex-moglie e ai figli.
Tuttavia, se la
fortuna avesse continuato a voltargli le spalle, presto avrebbe dovuto
venir
meno anche a quell’ultimo, sacro dovere.
Era questa grave
preoccupazione che più di ogni altra lo affliggeva mentre si
apprestava a
chiudere il locale vuoto e dall’aspetto tetro.
Come unico lusso
della giornata, si concesse l’acquisto di un quotidiano
serale dall’unico edicolante
aperto a quell’ora; poi andò alla stazione giusto
in tempo per il treno delle
21.
Seduto
all’interno
del vagone, ripensò ai propri fallimenti, al rapporto
difficile con il figlio
maggiore e a quello perduto con la moglie; realizzò subito
quanto inutile fosse
sperare di contare sul loro aiuto. D’altronde, aveva ben poco
di cui
meravigliarsi, considerata la sua inspiegabile fuga di qualche anno
prima, seguita
da un divorzio complicato e dall’abbandono ingiustificato dei
propri bambini.
Con il senno di
poi, il pentimento per quelle scelte irrazionali era diventato
insopportabile.
La voce robotica,
che annunciava la fermata ovest di Shinjuku, lo destò dai propri
pensieri. Scese dal
mezzo pubblico, attraversò a piedi il quartiere e finalmente
fu a casa. Nell’avvicinarsi
all’ingresso, notò subito, inchiodato al centro
della porta, un fascicolo
bianco la cui dicitura principale “Final Notice”,
lasciava poco spazio a fraintendimenti. Con mano tremante,
strappò i fogli e si
precipitò in casa chiudendo violentemente il portone alle
spalle. La vergogna e
l’umiliazione al pensiero che chiunque fosse passato di
lì sapesse delle sue
disgrazie, lo fecero star male. Prese la bottiglia che gli aveva tenuto
compagnia la sera precedente, dal frigorifero; sedette sfinito sul
divano e
cominciò a bere voluttuosamente.
L’annebbiamento
che
gli diede l’alcol fu immediato e questo lo calmò,
ma non poté risparmiarsi di
piangere quando posò lo sguardo stanco sul ritratto della
famiglia che da
qualche mese teneva esposto sul comodino.
Il sonno si
impadronì improvvisamente di lui; scivolò
lentamente dal sofà e cadde a terra
con un tonfo sordo. Si rese conto di non avere altre speranze e di
essere un uomo
finito; l’ultimo suo gesto cosciente fu scrutare uno degli
articoli presenti sul
giornale che aveva acquistato poco prima. Il suo cervello
registrò una
informazione importante, ma il corpo non ebbe la forza di reagire;
chiuse gli
occhi e si abbandonò.
Sebbene due anni di
permanenza a Los Angeles lo avessero reso più british
nel modo di vestire, Akito Hayama non aveva smarrito quella
sua aria da ragazzo di strada che lo rendeva poco caro ai vicini. Per
giunta,
la fama di essere stato un adolescente problematico ed incline alla
violenza,
continuava a inseguirlo e a precederlo in qualunque cosa facesse.
La natura irruente
e risoluta del suo carattere però, rappresentava una
barriera impermeabile a
qualsiasi pregiudizio, così non si curava
dell’opinione altrui. E tutto
sommato, tolte quelle inezie, le cose procedevano nel migliore dei modi
sin dal
giorno del suo rientro, avvenuto 6 mesi prima.
La vita aveva
ripreso a scorrere inaspettatamente come se nulla fosse cambiato, una
cosa che
aveva meravigliato persino lui stesso.
Sollevato
dall’aver
ritrovato Sana, Hayama aveva dimostrato a tutti di essere molto
cambiato in
fatto di scelte, a partire da quella del liceo, che era stata felice, e
assolutamente non dettata dal caso.
Il suo interesse
per la fisioterapia e l’agopuntura andava di pari passo con
la passione per lo
sport della sua vita; di conseguenza, seguire le lezioni non
rappresentava più,
come in passato, una tortura alla quale adattarsi malvolentieri,
bensì un
piacere da approfondire anche dopo l’orario.
Con l’arrivo
delle
vacanze estive e la fine degli esami però, aveva deciso di
riprendere anche gli
allenamenti che Gonshiro aveva stabilito per lui quando era in America.
Della sua
permanenza a L.A. aveva parlato molto poco, e fortunatamente tutti
avevano
associato la cosa esclusivamente ai tratti schivi e ben noti del suo
carattere
introverso. Ben presto, avevano smesso di fare domande.
Nel complesso,
Akito era convinto di aver avuto un’ottima idea a tacere,
soprattutto con Sana;
parlare le avrebbe soltanto procurato inutili ansie e messo in testa
strane
idee, il che avrebbe provocato un fiume di fastidiose domande, le quali
sarebbero a loro volta degenerate in litigi.
Messa così,
la
faccenda lo rendeva insolitamente fiero di sé stesso e lo
convinceva di essere diventato
un uomo maturo e coscienzioso.
Ma i sensi di colpa
per aver abbandonato Reiko non avrebbero ceduto facilmente il passo a
un autocompiacimento
personale che di maturo aveva ben poco, e di tanto in tanto lo
tormentavano.
Quel giorno in
particolare, decise di metterli a tacere proprio andando ad allenarsi;
così
cominciò l’usuale maratona della città.
Mentre correva, gli
venne in mente l’invito a cena che Sana aveva diramato a
tutti gli amici più
intimi per quella sera stessa; per festeggiare l’inizio delle
vacanze in modo
gioioso, gli aveva confessato con aria sognante la settimana prima.
Le labbra gli si
incurvarono in quello che aveva la pretesa di essere un sorriso, ma che
agli
occhi altrui era sempre risultata come una smorfia appena accennata :
“Che
tipa, non cambierà mai”.
Seguitando a
correre però, altri pensieri presero ad affollargli la
testa; l’istinto lo
spinse a guardare il proprio braccio destro.
Convivere per due
anni con quell’arto paralizzato sarebbe stata una tortura
severa per qualsiasi
stoico, figurarsi per un tipo come lui.
Ricordava i primi,
terribili mesi della sua esperienza nella città degli angeli
come il periodo
più buio della propria esistenza : Ferito, isolato, distante
dagli amici e soprattutto
da Sana, cui lo mantenevano legato solo il debole filo della speranza
di un ritorno
a casa e un numero a cui telefonare ad orari improbabili; sulle prime,
aveva
pensato di essere spacciato. Poi Gonshiro e Reiko erano entrati a far
parte
della sua vita, e grazie a loro aveva scoperto un mondo nuovo da cui
attingere
motivazioni fino ad allora sconosciute.
L’incontro con
padre
e figlia era avvenuto circa 7 mesi dopo il suo arrivo in terra
straniera,
mentre era ancora impegnato nella fisioterapia di recupero a seguito
dell’intervento
alla mano.
Aveva sentito
parlare della famiglia Matsuda da un compagno appassionato come lui di
karate,
durante le lezioni di inglese alla scuola serale. Incuriosito, si era recato alla loro
palestra dopo aver
ottenuto il benestare del medico curante. Certo, avrebbe potuto evitare
di
lasciarsi convincere a disputare un incontro regolamentare seduta
stante, ma
quella proposta così diretta e risolutiva gli era piaciuta e
aveva accettato
prima ancora di rendersene davvero conto.
Credeva che il
padre di Reiko non lo avrebbe allenato dopo la sconfitta, invece questa
previsione venne smentita dai fatti, e il percorso che avevano
intrapreso
insieme da quel giorno era stato avvincente. Akito aveva imparato di
più sul
karate in un anno che non in tutta la sua esperienza precedente,
sperimentando
tecniche tanto innovative quanto ardue. Insieme lui, Gonshiro e
Reiko avevano
elaborato un rivoluzionario stile di combattimento che avrebbe potuto
cambiare per sempre
l’interpretazione ufficiale della disciplina. Nei loro
progetti per l’immediato
futuro, avrebbero dovuto esportare all’estero i loro metodi
inediti in una
serie di competizioni ufficiali per cui la famiglia Matsuda si era
già
aggiudicata la partecipazione. L’ambizione che aveva provato
durante quei
giorni meravigliosi fatti di allenamenti estenuanti e scontri
avvincenti, lo
aveva quasi portato a dimenticare tutto quanto lo legasse al Giappone,
a
dimostrazione di quanto la distanza e il tempo possano logorare anche
il più
inossidabile dei legami. Tuttavia, non aveva potuto dimenticare Sana.
Quando era tornato,
ritrovarla era stata la cosa più naturale del mondo, per
lui, ma non avrebbe
mai dimenticato l’espressione ferita di Reiko e quella
tristemente comprensiva
del padre, nel momento in cui aveva comunicato loro la sua partenza.
Gonshiro,
dall’alto
della sua età ed esperienza, pur se triste per la perdita
dell’allievo, aveva
annuito e compreso. Reiko, no.
Testarda, ribelle,
forte, determinata, aveva tentato di dissuaderlo
dall’abbandonarli e di portare
avanti il progetto che stavano costruendo, ma Akito era stato
irremovibile.
Quello che era accaduto, in seguito, era un segreto che avrebbe
custodito
gelosamente.
Pensava ancora a Reiko,
quella stessa ragazzina che lo aveva disprezzato una volta deciso di
lasciarli
e che insieme era stata la persona a dargli più filo da
torcere all’inizio
della sua esperienza alla palestra Wilmington.
Nei primi tempi,
sembrava proprio che lo odiasse; ma in seguito il legame che aveva
sviluppato
con lei si era rivelato forte al punto di sorprenderlo.
Senza rendersene
conto, aveva corso più a lungo di quanto fosse abituato a
fare da un pezzo, per
cui si ritrovò senza fiato all’altezza del
quartiere ovest di Shinjuku. Si appoggiò
ad una panchina e prese ad asciugarsi la fronte dal sudore.
Dall’altra parte
della strada non poté fare a meno di notare la facciata
lugubre della palestra
che lui sapeva essere gestita dal padre di Tsuyoshi, in quel momento
chiusa al
pubblico.
Da qualche tempo si
era ritrovato a paragonare i luoghi ginnici in cui si imbatteva con la
struttura
moderna ed efficiente dei Matsuda a Los Angeles, e anche questa volta
non poté
evitare il confronto.
Nel constatare le
ovvie differenze di qualità e stile, uno sguardo sprezzante
gli si dipinse sul
volto. Si girò sui tacchi, e prese nuovamente a correre
diretto verso casa;
doveva sbrigarsi, o avrebbe perso la cena, con la prevedibile
conseguenza che
Sana gli avrebbe dato il tormento.
***
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Capitolo 3 *** Il torneo di arti marziali ***
il torneo di arti marziali
Capitolo 3 - Il torneo di arti marziali
Ndr
19/09/15 Avrei dovuto intitolare il terzo capitolo
“Finalmente Sana”. Ho aspettato a lungo prima di introdurla perché sapevo che sarebbe
stato difficile realizzarlo. Sana è il personaggio a cui resto più legato, e la
sua psicologia complicata, fatta di un alternarsi continuo tra momenti di gioia
e nostalgia, rende difficile scrivere e descrivere bene i suoi mutevoli stati
d’animo.
Ho tentato di impreziosire il capitolo con più dialoghi; non a caso, proprio la
comparsa della protagonista trasforma il tono dal serio quasi tetro delle
pagine precedenti a quello leggero e spensierato tipico del suo modo di essere.
Buona lettura, e se doveste avere qualche appunto o suggerimento, non esitate a
recensire.
***
Memore degli
“esplosivi” esperimenti precedenti, Misako Kurata avrebbe preferito
che non fosse sua figlia ad occuparsi dei preparativi della cena di quella
sera, ma Sana aveva insistito al punto da sfinirla, e alla fine l’aveva
spuntata. Pertanto, quando sentì aprirsi la consueta danza di urla e viavai di
gente che accorreva preoccupata, timorosa che la ragazza avesse nuovamente
usato il lievito al posto della farina, decise di ignorarla; e che ciò le servisse
da lezione.
Tuttavia la sua
vocazione e professione di scrittrice, la rendevano anche una incontenibile curiosa,
e non appena Rei fu di passaggio
nel corridoio si precipitò a chiedergli cosa stesse accadendo al piano di
sotto; lo vide completamente coperto di farina e questo le diede modo di farsi
un’idea.
- E dimmi, almeno
mia figlia è ancora viva? - chiese con garbo - O forse, sarebbe più opportuno
chiederti se esiste ancora una cucina? -
Il manager di Sana
allargò le braccia con fare sconsolato e tutto ciò che riuscì a dire fu - C’è
voluto un po’ ma sono riuscito a convincerla a lasciarsi aiutare dalla signora
Shimura, tuttavia temo che
il frullatore ci abbia abbandonato per sempre - concluse sconsolato.
Misako san aprì il
ventaglio per mascherare il sorrisetto beffardo che le si era stampato in volto.
- Faresti meglio a
cambiarti; ma bada bene di non accostarti alla cucina di nuovo prima che sia
tutto finito -
L’uomo abbassò la
testa, sconfitto, riconoscendo la saggezza di quel consiglio e commiserando il
destino di trovarsi in quanto unico uomo della casa, solo nella lotta alla
sopravvivenza contro l’imprevedibilità di madre e figlia.
Sana era in piedi
davanti al grande forno nero con lo stesso fuoco negli occhi di un esploratore
che approda alla scoperta del suo personale sacro Graal dopo anni di fatiche e
ricerche infruttuose.
I capelli color
rame raccolti in una coda di cavallo, il viso completamente coperto di farina
bianca e un grembiule che pareva sopravvissuto all’esplosione di una bomba,
erano i testimoni della lunga battaglia che aveva sostenuto contro i fornelli,
e in quel momento delicato esibiva una fanatica espressione di vittoria. Dietro
di lei, una impaurita quanto sconfortata signora Shimura, già si accingeva a
porre rimedio ai danni ingenti che aveva causato. Il momento della verità era
vicino.
Sana puntò il dito
contro il dispositivo elettrico - Mi hai procurato dolori e sofferenze oltre
ogni immaginazione, adesso sapremo; signora Shimura, quanto manca ancora? -
La donna giunse le
mani a mo’ di preghiera.
- Sana chan, ti
prego, non devi essere così impaziente; occorre aspettare ancora qualche minuto
prima di toglierli dal forno -
La ragazza accolse
quella notizia con uno sbuffo sonoro; decisamente, si chiedeva troppo alla sua
limitata pazienza.
La frustrazione
però non durò a lungo; la gioia che provava per aver preparato il suo primo dango di Hokkaidō soppiantava qualunque altro sentimento. “Li
farò assaggiare ad Hayama”, si disse tutta contenta battendo le mani.
Tuttavia, nel compiere questo gesto la sua
attenzione ricadde sull’orario indicato dall’orologio, e quel che ne seguì fu
un boato che fece immediatamente pensare ad un’altra esplosione.
- Sono in ritardo clamoroso ! Signora
Shimura, la prego, provveda lei a togliere i dango dal forno quando saranno
pronti -
Sfinita dopo quella estenuante sessione
culinaria, alla signora non restò che annuire.
- Certamente, me ne occuperò io, adesso corri
a prepararti, gli ospiti saranno qui a…- ma la vide precipitarsi fuori dalla
stanza prima di avere avuto modo di concludere la frase. Sospirando di fronte a
quelle estreme manifestazioni di eccentricità, tornò ai suoi doveri di
domestica.
Il tempo che Sana dedicò alla preparazione e
abbellimento della propria persona fu a stento la metà di quanto ne avesse
speso per imbandire la cena. Per la verità, in questo le fu di grande aiuto la
sua naturale bellezza fisica, la quale non esigeva artifici o cosmetici che ne
esaltassero l’avvenenza.
Durante quegli ultimi mesi, il corpo le si
era slanciato definitivamente e aveva assunto le fattezze di quello di una
giovane donna.
Le gambe, prima semplicemente snelle,
apparivano ora ancora lunghe, ma dalle curve più pronunciate e morbide; la
bocca aveva assunto la delicata forma di un arco di cupido e i graziosi
lineamenti del volto erano divenuti più maturi. Solo il seno, pensò lei con una
piccola nota di disappunto, era rimasto immune alle trasformazioni fisiche che
avevano interessato il resto del suo corpo. Hayama ne avrebbe sicuramente
approfittato alla prima occasione buona per darle il tormento, si disse con
aria divertita.
Quando ebbe terminata la toilette, le bastò
indossare un delicato abito color crema su cui sciogliere i voluminosi capelli
rame per raggiungere quello che a lei parve modestamente un risultato decente.
Il sorriso che elargì allo specchio le venne
restituito dalla propria immagine riflessa.
Questo le servì ad allontanare il triste ricordo
dei tempi in cui, malata psicologicamente, aveva perduto temporaneamente la
capacità di mutare le espressioni facciali. Tormenti che anche a distanza di
anni, non l’avevano mai abbandonata del tutto.
Le capitava ancora di sognare di essere
diventata una bambola senza mimiche, abbandonata su una sedia al centro di una
stanza buia e vuota e condannata a trascorrere il resto dei suoi giorni a
cantare sottovoce una triste melodia di aiuto, che nessuno avrebbe però mai
udito.
Questo incubo ricorreva con cadenza regolare
ogni paio di settimane. Non potendo sopportare di non parlarne con nessuno,
alla fine lo aveva rivelato ad Hayama, e lui l’aveva esortata a chiamarlo senza
esitazione, a qualunque orario, ogni volta che le fosse accaduto di nuovo. Da
quel momento, grazie al suo supporto, le capitava sempre meno spesso.
Molte volte si era domandata quale sarebbe stata
la sua fine se Akito non fosse corso in suo
aiuto. Vero, la natura di quel male aveva le sue origini proprio nel trasferimento
del ragazzo a Los Angeles; ma all’epoca lei era all’oscuro del fatto che le
sole possibilità di guarigione della sua mano destra paralizzata
fossero oltreoceano.
Quando ci pensava, non poteva trattenersi dal
provare un moto di sincero orgoglio per come avessero superato, insieme, una
prova così difficile come la dolorosa separazione di due anni.
Per fortuna, quei giorni terribili erano passati
ed il futuro le appariva, in quel momento, roseo e sgombro da inquietudini.
Dal piano di sotto il suono del campanello la
riportò bruscamente alla realtà; si girò con un sorriso verso la porta
- Sono arrivati ! -
Teneva particolarmente a quella cena : Era la
prima dall’inizio dell’estate, ma soprattutto la prima dal ritorno in Giappone
di Hayama, e nulla avrebbe dovuto comprometterla.
Tutti gli ospiti giunsero pressappoco allo
stesso orario e vennero accolti nel grande salotto proprio come in passato.
All’appello mancava il solo Hayama, inspiegabilmente in ritardo.
Sana notò subito la sua assenza, e se ne
domandò il motivo, ma non ebbe tempo di ragionarci sopra, poiché i doveri di padrona
di casa richiesero ben presto tutta la propria attenzione.
Dopo aver offerto da bere un aperitivo a
tutti, cominciò a spostarsi da un lato all’altro della stanza intavolando
conversazioni coi presenti e mantenendo viva l’atmosfera grazie alla briosità del suo
carattere.
Di tutti gli invitati, l’unico che le parve
essere stranamente avulso dal contesto, era Tsuyoshi, il quale pur sforzandosi
di partecipare attivamente, non riusciva a mascherare un’aria di inquietudine.
Sana si avvicinò ad Aya Sugita e la prese in disparte.
- Va tutto bene? Che cos’ha Tsuyoshi? -
La ragazza scosse tristemente il capo - Oggi
ha incontrato suo padre, e credo abbiano avuto una discussione accesa -
Sana conosceva bene la situazione famigliare
dell’amico, che sin dalla separazione dei suoi accettava di malavoglia qualunque
altro incontro con il genitore che non fosse strettamente indispensabile.
- Ti ha detto di che cosa hanno parlato ? -
chiese apprensiva
- Non ha voluto, è tutto il giorno che provo
a chiederglielo, ma si ostina a non rivelarmi nulla - rispose Aya calando la
testa.
Nella mente di Sana presero forma le idee più
contorte, tuttavia cercò di non lasciarle trapelare e tentò di rassicurare
l’amica.
- Non devi avere paura Aya, Tsuyoshi è un
ragazzo responsabile, e sono sicura che ti rivelerà tutto appena sarà pronto ad
affrontare l’argomento, magari questa è solo una reazione temporanea -
Sugita scosse nuovamente la testa - Non
credo, finora non mi ha mai taciuto nulla a proposito del padre, questa volta
dev’essere accaduto qualcosa di grave -
- Allora ti aiuterò io a farlo parlare -
concluse Sana mantenendo la calma - Ti chiedo solo di aspettare che la cena sia
conclusa, va bene ? -
Aya annuì riconoscente; in quel momento il
campanello suonò di nuovo ed Hayama fece la sua apparizione all’interno della
casa.
L’ingresso del
ragazzo colse Sana impreparata e la lasciò interdetta perché avrebbe voluto che
lui trovasse lei ad accoglierlo alla porta anziché la signora Shimura, ma il
suo ritardo e quella conversazione inaspettata l’avevano distratta.
Subito gli si
precipitò incontro, indecisa se salutarlo con un bacio o un rimprovero; alla
fine optò per entrambe le opzioni; era ancora teneramente ingenua ed inesperta
sulla gestione di un rapporto di coppia, tuttavia faceva progressi.
- Sei in ritardo,
Hayama-kun - esordì pizzicandolo su una guancia.
- Scusa, ho perso
la cognizione del tempo - rispose lui poggiandole appena l’indice sulla pancia
e facendola ridere per il solletico.
- Ho preparato un
piatto speciale che ti sorprenderà ! -
Akito socchiuse gli
occhi, diffidente - Sarebbe? -
Sana mise su un
finto broncio - Non devi essere sempre così sospettoso sai? Il mio rapporto con
i fornelli è in costante miglioramento -
Una leggera smorfia
apparve sul volto del giovane - Sarà…Tu cerca soltanto di non avvelenarmi ok ? Non
ho proprio voglia di trascorrere la serata con i mal di pancia -
L’insolenza di
quella affermazione gli costò una scoppola affettuosa dietro la nuca, poi lo
sguardo della ragazza si fece serio.
- Ho appena parlato con
Aya, ci sono dei problemi -
- Che tipo di
problemi ? -
- Pare che Tsuyoshi
abbia visto il padre, oggi - esordì Sana tormentandosi nervosamente le mani
- Ah sì, quel
pelatone… - fece di rimando Hayama che aveva avuto un unico, spiacevole
incontro col padre dell’amico ai tempi del divorzio
Sana avrebbe riso
se non fosse stata ancora turbata - Sì, proprio lui…Ma non si sa che cosa si
siano detti, e Sagita chan mi è sembrata molto preoccupata a riguardo; dice che
Tsuyoshi non ha voluto rivelarle nulla; le ho promesso che più tardi mi
impegnerò a fargli vuotare il sacco… -
Akito la interruppe
schioccandole l’indice contro la fronte.
- Ahia…ma che ti
prende !? - si lamentò lei portandosi le mani alla testa - Perché mi hai
colpita? -
- Stai agendo
nuovamente di impulso e senza riflettere. Se vuoi davvero aiutarli devi
aspettare che siano loro a lasciare un varco; intromettendoti così non farai
che peggiorare le cose e alla fine non otterresti nulla -
La maturità di
Hayama in quel frangente le risultò fastidiosa, ma dovette riconoscere che
aveva ragione.
- Non ti sopporto
quando fai l’adulto - rispose sbuffando - ma quello che dici mi sembra giusto,
aspetterò un segnale -
Lui la gratificò di
un leggero sorriso - Brava Kurata, e adesso che ne diresti di farmi assaggiare
queste meraviglie ? Mi sento coraggioso stasera -
- Attento a te -
rispose lei con un occhiolino - Potresti pentirtene -
Nonostante le
aspettative non fossero alte, la cena si rivelò ottima, e Sana poté
glorificarsi di una serie di inaspettati complimenti.
Fuka, in particolare,
gradì molto le Takoyaki che l’amica aveva
preparato appositamente per lei.
- Sono davvero squisite - disse assaporandole - Non mi sarei mai aspettata tanto da te, allora è vero
che sei migliorata ! -
Sana agitò
modestamente la mano in segno di risposta - Suvvia non sono poi così buone,
posso ancora migliorare -
Nessuno avrebbe mai
dovuto sapere che buona parte di quei piatti non erano diventati cenere solo
perché una premurosa signora Shimura aveva sacrificato tutto il pomeriggio
seguendola passo passo e aiutandola in ogni fase della preparazione.
Akito mangiava
silenziosamente i dango di Hokkakido, e questo le fece molto piacere, perché
era sicura che fosse un buon segno.
- Che ne pensi,
sono di tuo gradimento ? -
- Non mi
dispiacciono -
Adorava quel suo
modo di rispondere, pertanto la domanda era stata fatta con la precisa
intenzione di sentirselo dire. Sorrise compiaciuta.
Ad un certo punto
Hisae Kumagai si rivolse
direttamente al ragazzo.
- Hayama-Kun,
pratichi ancora il karate non è vero ? -
Il ragazzo bevve
lungamente dal proprio bicchiere prima di rispondere causticamente - No -
- Ma ti interessa
tuttora o sbaglio ? - insisté lei
La scarsa
tolleranza di Akito verso le domande incalzanti non era migliorata col passare
degli anni - Perché me lo chiedi ? - Il tono era ancora educato, ma prossimo a divenire scontroso.
Sana aveva osservato
l’evolversi della situazione con aria timorosa; da quando il suo fidanzato era
tornato a Tokyo il discorso Karate era diventato una specie di taboo. Tutto ciò
che le aveva confidato era di aver conquistato la cintura nera e di aver
praticato la disciplina in una palestra specializzata di nome Wilmington Karate
Club fino al giorno del suo rientro in Giappone, e che, da quel momento in poi,
aveva deciso di dare la priorità unicamente agli studi.
Questa spiegazione
non l’aveva mai pienamente convinta, ma aveva deciso di farsela bastare fino a
quando Akito non fosse stato pronto a rivelarle il resto.
D'altronde, dovendo
scegliere, preferiva gioire per il suo ritrovato interesse negli studi
piuttosto che lamentarsi del superfluo. In quel momento, però, quell'argomento era
tornato prepotentemente in gioco, e in modo del tutto inatteso.
Hisae-chan non si
lasciò intimidire dall’espressione decisa di Hayama e proseguì con
noncuranza - Se sei ancora
appassionato, allora ti interesserà sapere del torneo… -
- Il torneo? - fece lui socchiudendo gli occhi
Tutta l’attenzione
della tavolata si concentrò sulla ragazza, che parve apprezzare quell’attimo di
notorietà.
- Sì, quest’anno si
terrà in Giappone un importante torneo internazionale di arti marziali; pare si
tratti di una manifestazione imponente e che vi parteciperà il fior fiore degli
atleti di mezzo mondo - disse con voce emozionata e pettegola.
Tutti rimasero in
apparenza molto colpiti dalla notizia, ad eccezione proprio di Hayama, abile
come sempre nel non lasciar trapelare le proprie emozioni.
Sana lo osservò
attentamente prima di rendersi conto che non era lui il solo a mantenere un
atteggiamento distaccato.
Seduto dall’altra
parte del tavolo, Tsuyoshi manteneva la testa bassa e si ostinava a guardare
unicamente nel proprio piatto. Accanto a lui, Aya lo osservava con aria triste
e comprensiva.
Hisae proseguì nel
discorso - Credevo che la notizia avrebbe potuto interessarti, Hayama-Kun;
infondo, questa era la tua passione… -
- Grazie per
l’informazione, ma non mi interessa affatto - rispose lui riprendendo a
mangiare e facendole capire che il discorso, almeno per quanto lo riguardava,
era concluso.
Fuka invece aveva
ancora qualcosa da aggiungere - Wow…ma ci pensate ragazzi? Potrebbe essere un
avvenimento unico ! Hisae, quando si terrà il torneo ? -
La ragazza sorrise
- Nel prossimo mese di Agosto; visto che sarà durante le vacanze, potremmo
anche andare ad assistere -
La proposta
riscosse ampi consensi, al punto che, per tutto il resto della cena, non si parlò
di altro.
Sana si girò verso
Akito - Non ti piacerebbe quantomeno assistere ? -
Lo vide riflettere
e considerare l’ipotesi - Non lo so, non ci avevo pensato, onestamente;
potrebbe essere un’idea -
Lei annuì
convintamente - Potremmo andarci insieme; infondo, anche se hai abbandonato la
disciplina non c’è niente di male ad interessartene... Potrebbe anche darsi che
ti ritorni la voglia di riprendere - aggiunse con fare malizioso.
Hayama scosse la
testa, ma si vedeva come la prospettiva esercitasse una certa presa su di lui.
- Questo lo
escluderei; ma ad ogni modo, non hai completamente torto, ci penserò su -
Sana gli accarezzò
il braccio e sorrise; era l’unica in grado di piegare la sua volontà inflessibile
e l’idea che i suoi consigli gli stessero a cuore la riempivano di gioia.
Più tardi, terminata
la cena e con la maggior parte degli ospiti sulla via del ritorno, Akito, Tsoyoshi
e Aya si offersero di aiutare a sistemare e far pulizia.
Infine, si accomodarono
sui comodi divani del soggiorno dove decisero di concedersi un’ultima coppa di
gelato prima della buonanotte.
Fu allora che
Tsuyoshi decise di rivelarsi, e lo fece nell’esatto momento in cui aveva
programmato di farlo, sul finire della serata.
Lentamente,
deliberatamente, si girò verso Hayama e lo supplicò con una gravità nella voce
che mai nessuno aveva sentito fino ad allora.
- Ho bisogno del
tuo aiuto -
Il silenzio scese
tra i presenti, e lo stesso Akito fu talmente sorpreso da perdere per un
istante la sua leggendaria sicurezza.
Tsoyoshi, invece,
non tentennò, perché si era preparato ad affrontare quel discorso dalla mattina.
- Devi aiutarmi, e
devi anche sapere che se rifiutassi, per me non ci sarebbe più speranza -
Hayama guardò
istintivamente Sana e notò la preoccupazione trapelare dai suoi occhi quasi
quanto da quelli di Aya.
Si girò verso
l’amico, non senza una certa diffidenza.
- Sembra che tu
abbia davvero bisogno di aiuto; spiegami che cosa è successo - gli chiese
accavallando le gambe com’era solito fare quando c'era di mezzo un discorso serio, e quello aveva tutta l'aria di esserlo.
Il ragazzo sospirò
prima di togliersi gli occhiali; appoggiò la testa allo schienale del divano, e
cominciò a parlare.
- Questa mattina è
venuto a cercarmi mio padre - disse massaggiandosi gli occhi - Non lo vedevo da
molto tempo, così sono stato sorpreso di trovarlo fuori casa mia ad aspettarmi;
ho persino corso il rischio di non riconoscerlo. Era completamente fuori di sé,
puzzava di alcol lontano un miglio e anche quello che diceva non aveva molto
senso. Nonostante il mio istinto mi suggerisse di starne alla larga, però, resta
pur sempre mio parente e alla fine ho ascoltato quello che aveva da dirmi -
Si interruppe un
momento, il tempo di bere un bicchiere di acqua e raccogliere le energie prima
di raccontare la parte per lui emotivamente più delicata.
- Per farla breve -
riprese - Mi ha detto di non avere più un soldo e che dal prossimo mese non
potrà più permettersi di passare a mia madre la quota mensile con la quale
siamo sopravvissuti sino ad oggi. C’è dell’altro, mi ha anche detto che
probabilmente dovrà chiudere la palestra e che non può sperare di venderla
perché sarà la banca ad appropriarsene come forma di risarcimento per il mutuo
non onorato -
Aya, che aveva
portato la mano alla bocca in segno di apprensione, appariva letteralmente
sconvolta dalla gravità della situazione, che era assai peggiore di quanto
avesse pronosticato in partenza.
Hayama, che pure
aveva ascoltato pazientemente il racconto fino a quel momento, nutriva gli
stessi timori per le sorti dell’amico, tuttavia ancora non riusciva ad intuirne
le intenzioni.
- Mi dispiace per
quello che stai passando - disse alla fine con un tono insolitamente gentile -
Ma come potrei mai aiutarti? -
Tsuyoshi lo guardò
dritto negli occhi, consapevole di essere sul punto di formulargli la più
improbabile delle richieste di aiuto da quando erano amici.
- Akito - sospirò -
Ho bisogno che tu mi dia delle lezioni di karate -
Un’espressione di
pura meraviglia si dipinse sul volto del biondino e su quello delle altre
ragazze; tutti si chiesero se avessero sentito bene.
-
Di che diavolo stai parlando ? - ruggì dopo qualche secondo, saltando dal divano - Ti è dato di volta
il cervello per caso ? -
- No, sono
serissimo - rispose l’altro alzando una mano nel timore che Hayama stesse per
aggredirlo - E’ l’ultima possibilità per la mia famiglia di scongiurare il dissesto
finanziario, ti prego, lascia che ti spieghi tutto fino in fondo -
A quel punto, Sana
decise di intervenire per rasserenare gli animi
- Lascialo finire, Hayama,
sono convinta che ci sia una spiegazione più che ragionevole - poi si rivolse all’amico con fare comprensivo -
Perché ritieni che queste lezioni di karate possano aiutarti ? -
Akito si mise
nuovamente a sedere, ma la sua espressione appariva adesso decisamente
contrariata. Tsuyoshi rivolse uno sguardo di gratitudine all'amica prima di proseguire.
- Ciò che vi ha
detto Hisae a proposito del torneo di arti marziali è vero ma incompleto; si
terrà qui, a Tokyo, e tutte le palestre della città avranno libero accesso ai
gironi eliminatori - disse guardando i presenti ad uno ad uno - …E coloro che
accederanno alle finali riceveranno un riconoscimento ufficiale oltre a un
premio in denaro commisurato al posizionamento in classifica -
Si alzò in piedi, rivolgendosi poi direttamente ad Akito.
- Mio padre è venuto da me a supplicarmi.
Conosce la tua storia. Sa che siamo amici e che hai ottenuto la cintura nera a
Los Angeles. Sperava che io potessi convincerti ad aiutarlo facendoti
partecipare al torneo in quanto rappresentante della sua palestra. Gli ho
risposto che ciò non sarebbe mai accaduto, e che chiedermi un favore del genere
era un insulto e un affronto - tirò un lungo sospiro, guardò fermamente Aya e affermò
- Ma in quanto
uomo, spetta a me aiutare la mia famiglia; pertanto ho deciso di partecipare alla
competizione, e di chiederti aiuto, perché se riuscissi ad aggiudicarmi una
ricompensa, potrei usarla per aiutare i miei; non solo, anche la palestra di
mio padre trarrebbe giovamento dalla pubblicità; così lui riprenderebbe a
lavorare e a sostenerci di nuovo fintanto che ne avremo bisogno - a quel punto
l’emozione lo sopraffece e lacrime di vergogna e disonore gli rigarono il viso.
Aya gli si strinse al fianco teneramente e lo abbracciò.
Sana e Akito si
rivolsero un intenso sguardo e non poterono nutrire più dubbi sulla sincerità
delle parole dell’amico.
Akito cominciò a
riflettere attentamente sulla proposta che gli era stata fatta, e avrebbe
potuto avanzare subito mille dubbi; pretendere di partecipare ad un torneo così
importante come quello e sperare di arrivare alle finali senza aver mai
praticato il karate in vita sua, era decisamente un pensiero folle da parte dell'amico. Tuttavia vi
era anche qualcosa in quella situazione, che lo affascinava profondamente. Per
un attimo Reiko e Gonshiro gli apparvero davanti agli occhi come fantasmi del
passato e quella visione lo scosse.
Si rese conto che
Sana lo stava osservando nel momento in cui lei gli prese la mano tra le sue
sussurrando
- Un amico in
difficoltà non può essere abbandonato a sé stesso, abbiamo il dovere di
aiutarlo -
Sapeva che lei non
avrebbe avuto esitazioni; scritta nel suo DNA, da qualche parte, c’era sempre
stata la capacità di prendersi cura degli altri e sostenerli nei momenti duri.
Una qualità rara che non aveva mai smarrito. Tuttavia la prospettiva di aiutare
una persona così sgradevole come il padre di Tsuyoshi, lo repelleva quasi
quanto l’idea di salire, fobico com’era delle altezze, su un grattacielo di
oltre cento piani.
Non fece mistero di
questi suoi sentimenti.
- Sai bene che tuo
padre non mi piace - gli disse
- Sì, non piace
neanche a me - rispose l’altro asciugandosi gli occhi - Ma se aiutare lui
vuol dire aiutare mia madre e mia sorella, allora lo farò senza esitazione -
sostenne convintamente.
Sana volle tentare
un’ultima mossa, pur sapendo in anticipo che l’orgolio dell’amico l’avrebbe destinata
al fallimento.
- Ascoltami - gli
si rivolse con fare risoluto - Io e mia madre potremmo fare qualcosa per
sostenervi fintanto che non si sarà ristabilita la situazione, non è necessario
che tu combatta -
Aya si girò
speranzosa verso il suo ragazzo, il quale però già scuoteva la testa.
- Non posso
accettare; sarebbe una soluzione vigliacca e parassita, dobbiamo farcela con le
nostre forze -
Colpito dalla sua
caparbietà e prima ancora di aver ponderato fino in fondo la situazione, cosa insolita per lui, Hayama
si ritrovò a dire, telegraficamente
- Domattina alle 9
presentati sotto casa mia. Da solo. Non portare con te né cibo né acqua. Prima
di addormentarti, stanotte, guarda il cielo -
Tsuyoshi sgranò gli
occhi - I…Il cielo hai detto? -
- Sì, ti aiuterà a
riflettere -
Il ragazzo
occhialuto dall’aria smagrita e fragile annuì convinto
- Lo farò, grazie
Hayama - disse commosso - Non dimenticherò mai questo debito -
- Mpf - fu
l’imbarazzata risposta.
Rimasti finalmente
soli, Akito si abbandonò sul divano con la testa sul grembo di Sana che prese
ad accarezzargli i capelli.
- Hayama, voglio
che tu sappia che sono molto fiera di te e della tua decisione - gli disse lei
guardandolo dolcemente.
- Si farà male. Non ha nessuna speranza di farcela e io non avrei dovuto accettare - rispose lui
chiudendo gli occhi.
Sana si interruppe
un momento, poi riprese a spettinarlo
- Perché dici
questo? Stai aiutando una persona a te cara che vive un momento di difficoltà,
dovresti essere contento -
Akito riaprì gli
occhi - Tu non capisci - disse spostando lo sguardo verso la finestra -
Tsuyoshi ha scelto di lanciarsi in un’impresa al di là delle sue possibilità.
Ci sono delle richieste che non andrebbero mai assecondate. Se parteciperà a
quel torneo, incontrerà atleti con anni di preparazione alle spalle; si
ritroverà sconfitto e senza aver ottenuto nulla, e io dovrò portare il peso di
averlo guidato e assecondato nella sua folle idea; dovrebbe cercare altre
soluzioni -
Inaspettatamente,
Sana sorrise, e questo lo sorprese. Si aspettava una reazione assolutamente diversa.
- Sei il solito
lupo solitario - affermò battendogli affettuosamente il pugno sulla fronte - E
delle cose riesci a vedere sempre e solo il lato negativo; invece dovresti
essere fiero di stare al suo fianco in quella che appare un’impresa disperata,
ma che è anche la sola scelta che ha - concluse poggiandogli una mano sugli
occhi - Smettila di guardare al peggio e impegnati al massimo per aiutarlo -
Uno dei rari
sorrisi di Hayama gli comparve sul volto - Anche tu non cambi mai -
Si
protese verso di
lei per baciarla; Sana si piegò leggermente in avanti per
rispondere al bacio, appoggiandogli delicatamente le mani sul volto.
Akito si ritrovò a
desiderare, in quel momento, di dirle ogni cosa riguardo Los Angeles e il
karate, ma l’affetto che nutriva nei suoi confronti gli impedì di correre il
rischio di ferirla.
Tsuyoshi aveva
salutato Aya con un lungo abbraccio carico di significato ed era tornato a
casa.
Aveva indossato
rapidamente il pigiama, sistemate alcune delle cose che teneva sulla scrivania
e rimboccato le lenzuola della sorella che dormiva.
Prima di coricarsi,
decise di uscire sulla terrazza come gli era stato detto e rivolgere lo sguardo
al cielo. Le stelle splendevano luminose, appena velate da alcune nuvole di
passaggio.
***
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Capitolo 4 *** Il piano ***
Il pian
Capitolo 4 - Il piano
Ndr 26/09/15 Cominciamo
ad entrare nella sezione portante della storia.
Il capitolo è stato scritto quasi interamente di notte, e forse proprio per
questo, molto più arduo da realizzare. Spero di non aver commesso ingenuità e
che la storia abbia mantenuto una sua integrità, nonostante l’alternarsi di
situazioni e personaggi diversi.
Auguro a tutti una buona lettura, e rinnovo la mia disponibilità ad ascoltare
qualunque consiglio o critica vorrete gentilmente prestarmi.
***
Junichi
entrò di corsa nella enorme palestra; stretto nella mano, portava con sé un
foglio bianco ripiegato.
La
sua voce riecheggiò profonda nell’atrio.
- Sensei,
finalmente l’ho trovato! -
L’uomo
a cui si rivolgeva però, non poté prestargli attenzione, preso com’era dal
tempestare di colpi lo sventurato sparring partner di turno.
Il
povero disgraziato realizzò ben presto come la sua unica speranza di
sopravvivenza, quel giorno, fosse rintanarsi in un angolo del ring e cessare
subito ogni resistenza, confidando che la furia omicida del suo carnefice si
placasse quanto prima.
Il
suo atteggiamento remissivo alla fine pagò, regalandogli la gioia di scendere
dal quadrato sulle proprie gambe anziché in barella come i malcapitati che lo
avevano preceduto.
Junichi
conosceva bene il temperamento aggressivo del proprio maestro, e di norma si
sarebbe guardato bene dal rivolgergli la parola alla fine di un incontro,
tuttavia l’importanza della notizia che recava era tale da fargli correre il
rischio.
Si
avvicinò prudentemente e sussurrò con tono di abnegazione.
-
Ryota-sama…
-
Dall’alto
della sua imponente statura, che ben si addiceva al fisico muscoloso e
possente, il maestro lo fulminò con uno sguardo ancora carico di adrenalina e
furore agonistico.
-
Sai bene che non voglio essere disturbato quando combatto - disse brutale,
dopodiché gli voltò le spalle, immergendo il capo in una tinozza di acqua.
Il
contatto con il liquido freddo placò il suo spirito almeno in parte.
-
Avanti, parla - borbottò coprendosi il volto con un asciugamano.
Junichi
abbassò la testa - Perdonami sensei, ma una ragione urgente mi giustifica…Sono
infine riuscito a rintracciare Hayama-kun -
Il
volto dell’uomo riemerse di scatto da sotto il tessuto umido come se avesse
avvertito il fragore di una violenta esplosione. Per un attimo fissò il ragazzo
come se gli avesse udito pronunciare qualche sordida bestialità, poi lo assalì
con foga.
-
Ripetilo! - ruggì afferrandolo per un braccio - Stai dicendo la verità? Ne sei
proprio sicuro? -
-
Ne sono certo - gli fece eco lui - La sua supposizione era fondata, dopotutto,
il suo nome era tra gli iscritti, tuttavia…-
Ma
già Ryota non lo ascoltava più - Come immaginavo… Sospettavo che non ne sarebbe
rimasto alla larga, e avevo ragione di farlo; le persone prevedibili agiscono
sempre come ti aspetti, e Hayama dimostra ancora una volta di esserlo - disse
serrando i pugni.
Approfittando
del momento favorevole, Junichi riuscì ad inserirsi in quel soliloquio.
-
Quel che dice è vero, ma… C’è dell’altro - proseguì aprendo il foglio che
stringeva ancora nella mano e leggendo a voce alta le informazioni che aveva
annotato - Da quanto mi risulta, Hayama non parteciperà al torneo in qualità di
atleta, bensì con il ruolo di secondo -
Così
com’era giunta, l’euforia di Ryota svanì in un lampo.
- Cosa significa? - domandò sconvolto - Quello che dici non ha senso… Perché
dovrebbe fare una cosa del genere? -
-
E’ quanto riportato nella lista dei partecipanti che ho trovato su internet -
gli spiegò il ragazzo indicando la carta - Ogni campione dovrà presentare la
richiesta di ammissione accompagnata dalla firma di un secondo, che avrà le
funzioni di manager durante gli incontri, e Hayama figura in quanto tale -
Sempre
più sconvolto, Ryota proprio non riusciva a capacitarsi di quella assurda
decisione, la quale oltretutto lo feriva nell’orgoglio di allenatore.
- Quel
bastardo si è forse messo in testa di essere alla pari di un sensei? - urlò
indignato - Voglio sapere il nome dell’atleta che seguirà al torneo! -
-
Un certo Tsuyoshi Sasaki, un
compagno del liceo - replicò prontamente Junichi, con l’aria dello scolaretto
che aveva preparato bene la sua interrogazione di quel giorno.
A
quel punto Ryota abbassò la testa.
-
Stando così le cose, non c’è modo di realizzare quanto avevo sperato… - lamentò
con voce deformata dalla rabbia - Allora non è solo prevedibile; è anche un
vigliacco - aggiunse sferrando un violento pugno contro uno dei sacchi di
sabbia di allenamento.
Tuttavia,
l’allievo aveva ancora qualcosa in serbo per il suo maestro.
-
Sembrerebbe di sì; nondimeno, sensei, potrebbe esserci un’altra soluzione… -
disse trattenendo il respiro.
-
Sarebbe a dire ? - chiese Ryota fissandolo negli occhi.
-
Quando ho scoperto che Hayama non avrebbe partecipato, ho avuto anch’io una
reazione simile alla vostra - esordì - Ma leggendo bene le regole della
manifestazione, mi è venuta un’idea -
Ryota
ascoltò quanto il discepolo ebbe da dirgli; dopo averne appreso il progetto,
dovette riconoscerne l’ingegnosità.
-
Molto bene, Junichi - approvò sorridendo malignamente - Il tuo piano poggia
molto sulla prevedibilità del soggetto in questione; proprio per questo sono
convinto che funzionerà e che valga la pena provare; in caso contrario,
otterremmo comunque la soddisfazione di ferirlo -
Il
ragazzo, fremendo di piacere di fronte a quei complimenti, si prodigò in un
unico lungo inchino.
***
All’inizio del proprio percorso di
allenamenti, Tsuyoshi non aveva idea di quanto duri sarebbero stati. Non l’avrebbe
avuta neanche nelle settimane successive, poiché Hayama aveva insistito per
cominciare con una preparazione “leggera, ma adeguata”, a dispetto dei tempi
ridotti a disposizione.
Nonostante ciò, il ragazzo non si era perso
d’animo e aveva deciso di infondere tutto il suo impegno e le sue energie
nell’apprendimento della disciplina, che decisamente pareva calzargli stretta
quanto un paio di scarpe scomode.
Si rese presto conto che non avrebbe mai
capito sul serio le arti marziali finché non avesse adottato un approccio di
tipo mentale.
Akito in persona si era preoccupato di
spiegargli che dedicarsi allo studio del karate non poteva essere un’attività
limitata alle sole ore di esercizio fisico.
- Quando decidi di farlo sul serio - gli
aveva detto il primo giorno di lezione - Tutto quanto diventa karate, ogni momento
della giornata è un’occasione per allenare la mente e fortificarla -
In quel momento non lo disse ad Hayama per
timore di risultare invadente, ma questo spiegava in verità molte cose; ad
esempio, come mai ai tempi delle medie il ragazzo trascorresse ore intere della
giornata con la testa apparentemente tra le nuvole, trascurando le lezioni e
suscitando le ire dei professori, Sengoku in primis.
All’epoca, Tsuyoshi lo aveva biasimato per la
sua scarsa disciplina scolastica che tante apprensioni aveva procurato sia a
lui che a Sana.
Dopo quella rivelazione però, realizzò che
oltre alla indubbia personalità schiva, vi era sempre stato altro dietro quegli
atteggiamenti; e ciò gli permise di cogliere inaspettatamente un lato del
carattere del suo amico cui difficilmente sarebbe giunto da solo.
- Come faccio a lasciare che il karate entri
dentro di me? - gli aveva chiesto, vagamente scettico sulla prospettiva.
- Oh, è facile - aveva risposto Hayama, alzando
leggermente le sopracciglia - Ti ammazzi di fatica giorno e notte e la domenica
pomeriggio la trascorri seduto sui talloni anziché al parco con Aya -
Era cosa nota a tutti la grande
suscettibilità di Tsuyoshi su qualunque faccenda riguardasse la ragazza; ma
Akito teneva questa cosa nella stessa considerazione che avrebbe avuto per un
peluche a forma di cuore : Nulla.
- Soltanto perché tu, Hayama, sei un essere
asociale, non vuol dire che tutti dobbiamo esserlo - ribatté stringendo i pugni
- Non sei migliorato proprio per niente! Mai sentito parlare di romanticismo? -
- No - borbottò Akito, punto sul vivo.
- Beh non è mai troppo tardi! Povera Sana,
scommetto che non le hai mai scritto neanche un messaggio carino della
buonanotte…-
A quel punto, il colpo di Hayama lo aveva
raggiunto alla bocca dello stomaco come il volo del più veloce dei falchi. Si
era spinto troppo oltre.
Tsuyoshi si ritrovò improvvisamente piegato
in due per la mancanza di fiato; la forza del biondo era fuori discussione
quanto il suo pessimo carattere.
- Dì un po’, ti sembro tipo da fare una cosa simile? - Aveva ruggito Akito
guardandolo in cagnesco - Bada a come parli e smettila di annoiarmi se vuoi che
ti dia delle lezioni… E ora cominciamo! -
E su quelle dolci note, era partita la loro
danza.
Sana e Aya li avevano raggiunti al parco
comunale intorno al mezzodì per portar loro qualcosa da mangiare e supportare
moralmente Tsuyoshi, il quale, come espressamente richiesto da Hayama, era
andato ad allenarsi senza avere con sé neanche una borraccia d’acqua da cui
attingere.
Aya si era subito preoccupata delle
condizioni fisiche in cui lo aveva trovato; il ragazzo boccheggiava come un
pesce fuor d’acqua, completamente madido di sudore; in generale sembrava
prossimo ad un infarto.
- Hayama, che cosa gli hai fatto ? - domandò
spaventata guardando il fidanzato neanche fosse al suo capezzale.
- Assolutamente nulla, ha soltanto sete -
rispose Akito minimizzando il problema - Non abbiamo ancora neanche cominciato
col karate… -
- Hayama… - era intervenuta Sana con
delicatezza, porgendo un fazzoletto di carta all’amico accaldato - Sei proprio
sicuro che questo approccio non sia troppo… severo? -
- Affatto - ribatté lui seccamente, irritato
dalla sua mancanza di attenzioni verso di lui - E adesso, se non vi dispiace,
vorrei proseguire; non abbiamo tempo da perdere, e che nessuno gli dia da
mangiare finché non abbiamo terminato - le ammonì severamente.
Le ragazze si erano fatte da parte, e
l’allenamento era ripreso.
Hayama recuperò la sua posizione - Avanti
Ohki-san - lo aveva provocato
- Stai morendo di sete, e la fontana pubblica è proprio alle mie spalle; prova
a raggiungere l’acqua, se ti riesce di farlo -
“Il solito sadico” aveva pensato Sana,
preoccupandosi di non sorridere per rispetto dell’apprensione di Aya, che le
stava seduta di fianco con aria avvilita. Tuttavia era convinta che dietro
quella singolare richiesta, vi fosse uno scopo ben preciso.
Tsuyoshi portò la mano alla fronte per
asciugarsi dal sudore; trasse un respiro profondo, dopodiché parti all’attacco.
Il suo obiettivo, era quello di raggiungere la fontana.
Tutte le volte precedenti, era crollato di
fronte alle resistenze del biondo senza riuscire ad impensierirlo minimamente.
“Se ho fallito quando avevo ancora energie,
figurarsi adesso” si disse amaramente correndo; ciò nonostante decise di
provare a mettere a frutto quelle 3 ore di esercizi concedendosi un ultimo
scatto.
Hayama, fermo in piedi di fronte a lui, le
braccia rigide parallele ai fianchi, non sembrava preoccuparsi più di quanto
avesse fatto per i tentativi precedenti, e per un grandioso momento, Tsuyoshi
si convinse di poterlo superare contando sulla sua velocità.
Abbassò la testa, e lo caricò.
Un secondo prima del contatto, con un unico,
fluido movimento del corpo, Akito sollevò la gamba destra facendo leva sulla
sinistra.
Il suo corpo piegò perfettamente ad angolo
concavo e il colpo che ne scaturì, pur se non pesante poiché indirizzato con
sapienza, respinse al mittente il tentativo del ragazzo occhialuto, il quale crollò
con la stessa dignità di un sacco di patate al sole.
Aya e Sana scattarono in piedi
simultaneamente, ma per motivi diversi.
I sentimenti della prima, in quel momento,
furono di puro orrore alla vista di Tsuyoshi disteso a terra, apparentemente
privo di sensi.
Sana invece, pur condividendo parte di quella
preoccupazione, non poté far a meno, e quella fu in assoluto la prima volta, di
sentirsi ammaliata dalla prestanza di Hayama, e di subirne il fascino animale.
Questo sentimento nuovo, del tutto inusuale
per lei, si manifestò con un improvviso sospiro che le risultò impossibile
controllare; lo sguardo le si accese di ammirazione e l’emozione intensa che
provò la fece involontariamente protendere verso Akito, ancora eretto nella sua
posa statuaria. Si ritrovò a desiderare di stringersi a lui.
Quando fu passato quell’attimo di
smarrimento, provò un moto di vergogna.
“Che cosa mi succede?” si chiese
portandosi una mano al petto “E’ una sensazione così strana che non saprei
neanche darle un nome”. Si augurò di non aver lasciato trasparire platealmente
i propri sentimenti.
Per sua fortuna, la preoccupazione per le
sorti di Tsuyoshi tenne gli altri così impegnati che quella sua intima
manifestazione di fisicità passò del tutto inosservata.
Aya era corsa subito dal ragazzo stringendo
una pezza bagnata con la quale asciugargli la fronte. Akito l’aveva seguita un
po’ titubante.
- Ehi, va tutto bene? - domandò, cominciando
a preoccuparsi di non aver dosato correttamente la forza quanto credesse.
- Sto bene - rispose lui dopo qualche
secondo, mettendosi a sedere con fatica sul prato - Il colpo non era pesante -
aggiunse tentando di tranquillizzare Aya che pareva prossima alle lacrime.
- Meglio così - si rilassò Hayama, sospirando
- Il tuo ultimo scatto era incoraggiante - aggiunse poi appoggiandogli una mano
sulla spalla - Puoi andare a bere, adesso -
Ma Tsuyoshi non sembrava avere l’aria
soddisfatta.
- Non è per nulla incoraggiante - si lamentò
- Sono goffo e assolutamente impacciato nei movimenti, non è vero ? - Chiese
guardandolo con l’aria disperata di chi conosce i propri limiti.
Akito non era, né sarebbe mai stato, una
persona capace di indorare le pillole indigeste da mandar giù, pertanto non
riuscì a mentirgli.
- Lo sei - confermò, spingendolo ad abbassare
la testa per lo sconforto
- Ma questo è il primo allenamento, non puoi pretendere più di così - aggiunse
tentando di confortarlo, senza successo.
Aya strinse il ragazzo per il braccio con una
mano, accarezzandogli i capelli con l’altra.
- Hayama ha ragione, non devi essere così
severo con te stesso -
Nel frattempo, anche Sana, sebbene ancora un
po’ scossa, si era avvicinata al trio e volle dire la sua, energicamente come
al solito.
- Io credo che tu sia andato benissimo! -
disse con voce allegra - Non ne capisco molto di karate, ma ho studiato
ginnastica, e ho visto un grande potenziale in te; sono sicura che con
l’allenamento migliorerai ancora di più! -
Il suo entusiasmo era contagioso, e Tsuyoshi
parve rallegrarsi un po’.
- D’accordo - fece alzandosi da terra - Direi
che per stamattina va bene così, quando possiamo riprendere ? -
Akito lo squadrò attentamente prima di
rispondere; evidentemente stava ancora valutando le sue condizioni fisiche -
Per oggi, direi che è sufficiente così, possiamo ricominciare domattina -
L’amico non poté che sentirsi deluso da
quella risposta; e per un momento sembrò voler protestare, ma alla fine preferì
non contraddirlo; infondo, se accettava le sue lezioni, si disse, doveva anche
fidarsi del suo giudizio.
Hayama, che era stato un allievo ribelle ed indisciplinato,
aveva colto queste sue emozioni, e gli avrebbe fatto piacere che il ragazzo
provasse a reagire, a rompere gli schemi; sarebbe stata una confortante
dimostrazione di carattere.
“Ma Forse” si disse sconsolato “E’ ancora
troppo presto per i miracoli”.
Si accomodarono tutti e quattro sotto l’ombra
di un grande albero, dopodiché Sana e Aya servirono loro i bento che avevano preparato insieme quella
mattina.
Mentre mangiavano, Akito ebbe una domanda da
porre a Tsuyoshi.
- Come ci registreremo al torneo? -
- Mio padre ha detto che avrebbe provveduto lui
stesso - rispose l’amico intento a mandar giù con avidità il proprio pasto.
Akito si accigliò - Come? -
Dopo aver deglutito, gli spiegò - Per adesso,
si è preoccupato di iscriverci a nome della palestra; siccome siamo ancora
minorenni, sarà necessario poi che tuo padre dia il proprio consenso formale;
ne hai già parlato a casa? -
Hayama scosse la testa - Contavo di farlo nel
pomeriggio -
Sana poggiò sull’erba il piatto - Come mai
tuo padre non si occupa personalmente dell’allenamento? - chiese incuriosita a
Tsuyoshi
- Dopotutto dovrebbe essere il suo lavoro, oltre che una sua responsabilità di
genitore -
Il ragazzo scosse energicamente la testa -
Avrebbe voluto. In effetti ha molto insistito ma io ho rifiutato; non ho voglia
di trascorrere tanto tempo in sua compagnia -
Aya cercò di inserirsi con tatto nella
discussione.
- Eppure, poteva essere una buona occasione per ricucire un po’ il vostro
rapporto; è così triste che non vi rivolgiate quasi la parola… -
Tsuyoshi la guardò di rimando.
- Non devi immaginare me e mio padre come una
coppia di normali parenti che si amano - rispose seccamente - Per quanto mi
riguarda, meno contatti abbiamo, meglio è. Tutto ciò che farò non sarà per
aiutare lui, bensì mia madre e mia sorella; il suo destino mi è indifferente -
A quel punto, un moto di indignazione
provenne da Sana - Credo che tu abbia molte ragioni per biasimare tuo padre - disse
guardandolo dritto negli occhi - Ma se inaridisci così il tuo cuore, farai la
sua stessa fine -
L’amico si voltò, oltraggiato - Come puoi
dire una cosa simile? Io sono diverso da lui! -
Sana si alzò in piedi - Questo lo so
perfettamente, non ho mai affermato il contrario. Ma non mi aspetto che tu sia
crudele con un tuo parente, ti giudico migliore di così -
Tsuyoshi la osservò, riflettendo su come la
semplicità del suo modo di parlare fosse un elemento disarmante per
l’interlocutore; tuttavia il discorso toccava una corda assai delicata del suo animo;
qualcosa di cui non desiderava parlare. E quella invadenza lo aveva
infastidito.
Fu Hayama ad intervenire, ponendo fine a una
discussione che viaggiava su una lama di rasoio particolarmente affilata.
- Ritengo che Tsuyoshi abbia il diritto di
assecondare i suoi sentimenti, per il momento - disse con calma, bevendo dal
bicchiere - La crudeltà è un elemento estraneo al suo animo, perciò sono
convinto che non gli mancheranno le occasioni per riflettere e cambiare idea,
se necessario; personalmente nemmeno io nutro una grande stima per il padre… -
proseguì riprendendo a mangiare il sushi - Ma lascia che ti dica una cosa -
concluse voltandosi a guardarlo - Sana non ha torto; E se la tua intenzione è
quella di combattere carico di rancore, allora non otterrai nulla di buono -
Era, a memoria d’uomo, sicuramente il
discorso più lungo ed estroverso che nessuno gli avesse mai sentito
pronunciare, e furono tutti sorpresi di essere testimoni di un avvenimento che
aveva tutti i crismi della epicità. Qualcosa, insomma, da raccontare un giorno
ai propri figli.
Hayama si accorse dei loro sguardi emozionati
e immediatamente fu colto da un profondo imbarazzo; si voltò dando loro le
spalle e continuando a mangiare nel suo piatto.
Sana lo guardò dolcemente “Hayama… Non ci
sono più dubbi su di te, sei una persona completamente nuova”.
Gli si sedette accanto sotto l’albero.
All’inizio lui, ancora a disagio, fece finta di nulla, continuando a mangiare;
poi lei gli prese teneramente la mano tra le sue. A quel punto, i loro occhi si
incontrarono rivelando un’armonia perfetta e intangibile.
***
Dall’altra parte del mondo, Reiko Matsuda se
ne stava seduta alla scrivania della propria stanza, navigando in rete.
Come da abitudine, indossava a lungo l’accappatoio
dopo la doccia e i capelli color ambra, ancora bagnati, erano tenuti insieme da
un sottile elastico nero.
I suoi profondi occhi castani scorrevano
febbrilmente l’elenco degli iscritti alla pagina internet ufficiale del torneo
di Tokyo.
Si disse che, probabilmente, non avrebbe visto
il suo nome, poiché lui le aveva manifestato a suo tempo l’irrevocabile
decisione di voler abbandonare quel mondo.
Nonostante non fosse ingenua al punto da
essere incosciente dell’errore, non era riuscita a dominarsi; e ancora in cuor
suo, si domandava se fosse più forte il desiderio di trovarlo oppure no.
L’aver comunque considerato la possibilità, le
impedì di farsi cogliere impreparata, quando la lista le restituì quello che
cercava.
Si alzò di scatto dalla sedia girevole,
sentendo aumentare i battiti del suo cuore e l’adrenalina scorrerle nelle vene.
Si girò, ed uscì di corsa dalla stanza.
- Papà! -
***
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Capitolo 5 *** Una panchina ***
una panchina
Capitolo 5 - Una panchina
Ndr 07/10/15 Rieccomi
dopo una breve assenza dovuta ad un viaggio ed al lavoro che, in questo
periodo, mi tiene occupato al punto da farmi rientrare a casa letteralmente
sfinito. Questo capitolo, come probabilmente il prossimo, è un flashback che si
propone di illuminare alcuni aspetti fondamentali della trama. Scriverlo è
stato molto faticoso. Mi scuserete per la lunghezza forse eccessiva, ma lo
considero fondamentale, e ho cercato di realizzarlo al meglio.
Come al solito, sarò contento per qualsiasi recensione o critica vorrete
indirizzarmi. Buona lettura !
***
Hayama
era in piedi di fronte al suo avversario. Tentava in ogni modo di raggiungerlo
con i suoi colpi, ma ad ogni sforzo la sua mano destra si faceva sempre più
pesante e difficile da muovere.
Sfiancato,
con le energie ormai prossime ad abbandonarlo e la vista annebbiata dal dolore,
assisteva impotente al sorriso beffardo rivoltogli dal suo nemico.
Tentò
disperatamente un ultimo attacco, ma il terreno gli si aprì improvvisamente
sotto ai piedi facendolo franare in un baratro profondo.
Riuscì
ad aggrapparsi con l’arto indolenzito a una crepa e tentò di risalire ad ogni
costo la china, ma l’uomo contro cui combatteva si affacciò a quella voragine e
prese a calpestargli la mano.
Alzò
la testa per guardarlo in volto; Ryota rideva restituendogli uno sguardo di
puro sadismo.
Un
attimo prima di abbandonarsi e cadere nel vuoto, i suoi occhi si posarono sulla
persona comparsa al fianco di Ryota. Quando la vide, ne rimase sconvolto.
Reiko
se ne stava lì accanto al suo nemico giurato, e come lui gli sorrideva
perfidamente.
Avrebbe
voluto supplicarla di aiutarlo, ma fu proprio lei a dargli il colpo di grazia,
colpendolo sulla mano e precipitandolo nel buio.
--
Si
svegliò di soprassalto respirando affannosamente; impiegò qualche secondo prima
di riprendere contatto con la realtà, poi, lentamente, la consapevolezza di
essere stato vittima di un incubo si sostituì alla paura.
Il
suo sguardo corse subito alla mano destra; quasi dovesse accertarsi delle sue
buone condizioni, iniziò a muoverla e rotearla. Una volta constatato che rispondeva
ai comandi, si rasserenò.
Sapeva
che quella mano rappresentava ancora un punto debole, oltre che la sua più
grande paura.
Per
quanto l’operazione e la fisioterapia ne avessero ristabilito le funzioni
principali, non era certo di poter disputare un incontro regolare senza
riportare danni che questa volta sarebbero stati permanenti.
E,
qualora ciò fosse accaduto, avrebbe dovuto nuovamente separarsi da Sana per
recarsi oltreoceano e seguire nuove terapie. La preoccupazione di una simile
eventualità, che avrebbe significato la fine del loro rapporto, lo fece
rabbrividire.
Hayama
si mise a sedere al centro del letto massaggiandosi le tempie e riprendendo
fiato. Guardò l’orologio sul comodino segnare le 4:05 del mattino.
“Maledizione”
si disse cadendo nuovamente disteso sul materasso.
Da
quando aveva accettato di occuparsi degli allenamenti di Tsuyoshi,
quell’assurdo incubo aveva preso a perseguitarlo senza sosta, ed era sicuro di
cominciare a portarne i segni anche durante il giorno.
Presto,
Sana si sarebbe accorta che qualcosa in lui non andava, e gli avrebbe fatto
delle domande. Alle quali, avrebbe dovuto mentire.
Dentro
di sé, Akito era consapevole di non potersene lamentare; piuttosto avrebbe
dovuto essere grato alla ragazza, la quale aveva accettato tutte le (poche)
spiegazioni che era riuscito a darle senza aver mai voluto indagare più fondo
sui dettagli della sua permanenza all’estero.
Al
suo posto, non era tanto sicuro che gli sarebbero bastate, e con coerenza
riconosceva di non poter pretendere di evitare ancora a lungo un confronto con
la persona che amava.
Quel
pensiero gli fece istintivamente prendere a pugni il cuscino, e per un momento
maledisse sé stesso, il padre di Tsuyoshi e lo stesso amico per averlo
catapultato in quella situazione senza via di uscita.
La
scelta di abbandonare il karate era stata sofferta; non era neanche sicuro che
fosse definitiva, ma si era reso conto che, senza Reiko e Gonshiro, quel mondo
gli era diventato assolutamente indifferente e privo di fascino.
Credeva
di poter aiutare Tsuyoshi senza risentirne eccessivamente, invece così facendo
aveva superficializzato tutti i sentimenti che lo avevano accompagnato da
quando era rientrato a Tokyo, e che aveva faticosamente messo a tacere.
Pensò
a Reiko, dall’altra parte del mondo, e si domandò che cosa stesse facendo dopo
aver calcolato a mente che ore fossero in California.
Da
diversi giorni l’idea di contattare lei e suo padre gli pizzicava la mente ad
intervalli regolari, ma avrebbe dovuto farlo all’insaputa di Sana; e ciò
bastava a fargliene passare subito la voglia ogni volta.
Di
nuovo, lo sguardo andò alla mano destra e il ricordo del giorno in cui era
guarito del tutto lo fece sorridere per un momento.
***
Los Angeles, 1 anno prima…
Akito
era solo al centro del quadrato. Attendeva un segno dal proprio maestro.
Gonshiro era in piedi di fronte a lui; le muscolose braccia conserte e lo
sguardo altero gli conferivano l’aria di un guerriero trionfante pronto a
colpire la sua preda. Per la prima volta, Hayama veniva messo alla prova contro
il proprio sensei dopo mesi di addestramento.
Concentrato
come mai nella vita, era pronto allo scontro.
Gonshiro
avanzò fermandosi a qualche metro di distanza, incrociando lo sguardo con quello
del suo allievo; si sfidarono così per alcuni lunghi secondi.
-
Hayama, sei pronto? -
-
Sono pronto, sensei -
-
Oggi si decide il tuo destino. Se avrai saputo ascoltare, potrai proseguire nel
tuo percorso; in caso contrario, avrò preso la più grossa cantonata della mia
vita -
Era
tipico del padre di Reiko passare nella stessa frase da un tono grave ad uno
spiritoso. Qualcuno tra i presenti rise, e questo servì ad allentare
leggermente la tensione che si era creata nella stanza.
Tutti
gli allievi della palestra Wilmington erano accorsi per assistere all’esame di
Hayama. Tra di essi, Reiko era in prima fila ed era di gran lunga la persona
più consumata dall’ansia, anche se tentava di non darlo a vedere.
I
due atleti mantennero le loro posizioni ancora per qualche istante; poi
Gonshiro passò all’offensiva.
La
sua velocità fu sbalorditiva; con sole due gigantesche falcate raggiunse Akito
e assestò il primo colpo all’altezza del volto.
Hayama
aveva alzato la mano destra a protezione giusto in tempo per pararlo. Lo
scontro tra i due arti fu pesante da sostenere per entrambi.
Tentò
di reagire restituendo il colpo con quanta forza avesse; ma il tempo che
impiegò a imprimere l’energia necessaria al braccio finì per rallentare
l’attacco al punto da renderlo assolutamente prevedibile. Perciò, fallì.
Immediatamente,
realizzò di non poter competere per forza bruta contro un uomo più imponente di
lui, pertanto decise di ritirarsi in una posizione più arretrata e cercare di
aggirarlo con la propria velocità.
Ma
Gonshiro, ben piazzato fisicamente e consapevole delle sue intenzioni, gli
tagliò la strada impedendogli di portare a compimento l’opera.
A
quel punto Akito non ebbe altra scelta che attaccarlo frontalmente; ma decise
di farlo puntando sulla rapidità più che sulla potenza.
Dopo
aver sferrato un calcio veloce all’altezza della spalla destra, attaccò con la
mano sinistra per colpirlo al fianco scoperto.
Gonshiro
parò entrambi i colpi; poi con abile mossa, riuscì a bloccargli il braccio tentando di sbilanciarlo
con la gamba sinistra.
Il
suo assalto andò a buon fine, e Hayama perse l’equilibrio; ma prima che avesse
modo di colpirlo di nuovo, lo vide far leva sulla gamba di appoggio e riprendere
una posizione stabile.
I
due si studiarono nuovamente; per qualche secondo si sorrisero, dopo di che
ripresero a combattere.
Una
serie di rapidi colpi in entrambi le direzioni sancì l’inizio di una nuova fase
della lotta; abbandonate le riserve iniziali, e dimentico del pericolo, Akito prese
a combattere mettendo a frutto tutta la sua velocità senza più timori
reverenziali.
Gonshiro
sembrava però intuire ogni sua mossa, e finiva sempre per anticiparlo un attimo
prima che i suoi colpi giungessero a destinazione.
Reiko,
che assisteva emozionata allo svolgersi di quello scontro esaltante, riusciva
chiaramente a distinguere la soddisfazione nello sguardo di suo padre nell’aver
trovato un discepolo così talentuoso. Ed era ammirata dalle capacità atletiche
di Hayama, che reggeva bene un confronto così ostico e complicato.
Protrassero
ancora per qualche secondo il loro corpo a corpo, prima di allontanarsi
vicendevolmente di qualche metro allo scopo di recuperare fiato.
-
Sei diventato un atleta eccezionale, Hayama - riconobbe Gonshiro ansimando
leggermente.
Fu
ammirato nel constatare le notevoli capacità di ripresa del giovane, che
sembrava già pronto per ricominciare.
-
Tuttavia - aggiunse - Difetti ancora in esperienza, pertanto la tua
preparazione non può definirsi ancora completa -
Hayama,
che aveva recuperato le energie, ricompose subito la sua posizione di difesa e
si preparò a fronteggiarlo nuovamente.
Ciò
nonostante, per tutto il combattimento aveva evitato accuratamente di
utilizzare la mano destra come strumento di offesa, preferendo adoperarla a
scopo difensivo.
Consapevole
del potenziale non sfruttato a causa di questo grave impedimento, non riusciva
a escogitare un sistema alternativo che fosse altrettanto valido.
Gonshiro
intuì quella debolezza, e si preparò a sfruttarla cambiando guardia; avrebbe
portato gli attacchi successivi sul lato destro, in modo tale da lasciare Akito
impossibilitato a compiere qualunque ulteriore tentativo di aggressione.
Scattò
nuovamente in avanti e questa volta, grazie al suo stratagemma, riuscì a
colpirlo al volto, pur misurando la forza in modo da non ferirlo gravemente.
Hayama
barcollò arretrando, ma decise di non mollare; ripiegò quindi su un fianco e
tentò di resistere all’impeto del maestro che cominciò ad abbattersi su di lui.
Gonshiro
prese a bersagliarlo senza sosta, e ormai lo stava spingendo alle corde, dove
gli avrebbe assestato il colpo di grazia.
Resosi
conto della situazione difficile in cui era venuto a trovarsi, il giovane non
ebbe alternative.
“Se
non cambierò guardia, non riuscirò ad allontanarlo” si disse.
Era
costretto ormai a rimanere curvo su sé stesso pur di resistere, ma cominciava
ad avvertire l’indolenzimento provocato ai muscoli dai danni subiti, e sapeva
che, bloccato in quella posizione, non avrebbe resistito ancora a lungo.
Reiko
osservava la scena letteralmente divorata dall’ansia.
Aveva
capito che suo padre avrebbe seguitato a colpire il ragazzo senza riserve,
trattandolo da pari a pari.
Nonostante
sapesse che quell’atteggiamento sottintendeva un riconoscimento ufficiale della
sua dignità di avversario, non riuscì a scacciare il tormento che la affliggeva.
Una
sola speranza occupava il suo cuore e la sua mente : Che Hayama trovasse il
modo di uscire da quella trappola.
Si
protese a guardarlo finché i loro occhi si incrociarono.
-
Coraggio Hayama, reagisci! - lui la sentì sussultare, e questo gli diede il
coraggio di giocarsi la sua ultima carta.
Decise
che avrebbe colpito alla prima occasione propizia. Per l’ultima volta, quindi,
si spostò di lato muovendo velocemente le gambe e tentando di ingannare
l’avversario con la sua rapidità.
Gonshiro
riprese la posizione e partì all’attacco.
Nel
volgere di un secondo, Akito cambiò guardia; spostò la mano sinistra in
posizione di difesa ed alzò quella destra per offendere.
Il
suo colpo centrò violentemente il maestro alla nuca, facendolo sbilanciare all’indietro;
un secondo dopo, lo colpì in pieno petto con un calcio veloce e preciso,
facendolo crollare contro le corde del ring.
Lo
stupore si diffuse nella sala, seguito da un’ovazione spontanea da parte degli
spettatori. Hayama aveva appena realizzato un K.O. ai danni di Gonshiro
Matsuda, cintura nera affermata e titolare del Wilmington Karate Club; nessuno
aveva memoria di aver mai assistito ad un simile evento.
Reiko
esibiva un’espressione di puro stordimento; un attimo dopo, nonostante lo
conoscesse solo da alcuni mesi, e nonostante avesse appena mandato al tappeto
suo padre, si ritrovò ad estasiarsi per lui insieme agli altri.
Lentamente,
Gonshiro, quel grande maestro il cui allievo, inferiore per esperienza e
statura aveva atterrato, si rialzò.
Il
silenzio scese di nuovo nella stanza, raggelando temporaneamente l’ambiente. Tutti
attendevano con ansia la reazione del sensei, ma quando lo videro esibire
un’espressione di pura gioia i loro timori svanirono.
-
Congratulazioni Hayama - disse Gonshiro, orgoglioso
-
Sei riuscito a recuperare la calma in una situazione di difficoltà, e hai agito
usando razionalmente il cervello prima dei muscoli. Tuttavia, non pensare di
aver già raggiunto un punto di arrivo. Lo scopo del nostro incontro era
mostrarti la via giusta…e diamine, l’hai trovata! - concluse con un sorriso.
Un
attimo dopo, si inchinò di fronte al discepolo, ormai maturo.
Akito,
frastornato dall’emozione e sommerso dal fragore degli applausi, ebbe serie
difficoltà a non perdere il suo famigerato sangue freddo.
Da
lontano, vide Reiko corrergli incontro per poi abbracciarlo saltandogli
letteralmente al collo - Sei stato fantastico! -
Poi
le strette di mani… I complimenti dei presenti, le pacche sulle spalle degli
altri atleti, andarono a sommarsi come tante gocce in quel mare infinito di
gioia.
Più
tardi, si sarebbe sentito in colpa per non aver minimamente pensato, in quei
frangenti, né a Sana, né alla sua vita a Tokyo.
Mai come in quei momenti, il suo passato gli era parso più remoto.
Approfittando
del momento di confusione che si era venuto a creare, Reiko si avvicinò al
padre, il quale era volutamente rimasto in un angolo ad assistere ai
festeggiamenti con aria appagata.
Quando
gli fu giunta vicino, gli diede una affettuosa pacca sulla spalle.
Lui
si girò a guardarla, felice come poche volte lo aveva visto.
-
Non mi sentivo così soddisfatto dal giorno in cui ti ho vista vincere il tuo
primo match, quel ragazzo è davvero formidabile -
Lei
gli sorrise - Ha avuto un formidabile sensei, ma tu non me la conti giusta… -
Gonshiro
assunse un’espressione confusa - Di cosa parli? -
-
Non fare il finto tonto con me, sono tua figlia, dopotutto - gli disse Reiko, astuta
- Hai subito il primo colpo, ma hai lasciato volontariamente che sferrasse
anche il secondo, quando avresti potuto pararlo, perché? -
Vide
suo padre abbandonarsi ad una fragorosa risata - Non ti si può nascondere
proprio nulla, vero? - affermò scompigliandole affettuosamente i capelli.
Lei
scosse la testa giocosamente - Sii serio, papà; credevo combattessi al 100%
contro di lui, perché hai lasciato che ti mandasse al tappeto? -
A
quel punto, il volto di Gonshiro si fece serio.
-
Perché non era vincere, il mio vero obiettivo -
-
E qual era allora? -
La
osservò un po’ pensieroso prima di risponderle.
-
Un vero combattente non deve aver paura di rischiare - le spiegò infine,
sospirando - Deve sforzarsi di superare i propri limiti; è questa la sola, ma
fondamentale differenza tra un semplice atleta che studia, ed un vero karateka.
E Io credo che lui possa farcela ad arrivare fino in fondo… proprio come te -
A
quel punto si interruppe un momento; beandosi del sorriso di cui lo gratificò
la figlia.
-
Insomma - concluse guardandola, sorridendo - Chi se ne frega di quel colpo! -
--
Più
tardi quel giorno, affaticati, ma ancora in preda all'euforia, Reiko e
Hayama si erano incamminati fianco a fianco di ritorno dalla
palestra Wilmington.
Camminavano
a passo spedito lungo il boulevard principale, compiacendosi dei risultati
raggiunti e godendo della vista di un tramonto sereno, i cui mille colori
andavano a sommarsi a quelli della grande città.
A
un certo punto la ragazza gli aveva sorriso.
-
Ehi “biondo”, davvero una bella prova oggi -
Eccezion
fatta per lei, nessuno avrebbe mai avuto l’ardire di chiamarlo “biondo”;
tuttavia il fatto che glielo consentisse, testimoniava in parte l’affetto che
le portava.
Akito
l’aveva guardata socchiudendo gli occhi
- Ne dubitavi? -
Reiko
aveva scosso la testa - Assolutamente no - poi gli si era fatta più vicina e,
quasi sfiorandolo con il corpo, aveva aggiunto sottovoce - A dire il vero,
considerato il tuo livello di 6 mesi fa, ti avrei dato per spacciato dopo pochi
secondi -
Allora
Akito, cui non era sfuggito quel gesto, si era impercettibilmente irrigidito,
tentando comunque di mantenere una certa compostezza.
-
Mi spiace per te - l’aveva beccata di rimando - Avresti perso -
-
Suvvia non essere così rigido - fu la sua risposta pacata - Non ce l’avrai
ancora con me? - chiese poi facendosi apprensiva tutto d’un tratto.
Lui
aveva assunto un’espressione seria - No -
La
ragazza però, non sembrava convinta - Ne sei Sicuro? -
Per
un attimo, la scrutò. Quella manifestazione di incertezza, così insolita dato
il suo carattere risoluto, lo sorprese
profondamente e gli diede uno spunto di riflessione che, a dire la verità, lo
inquietò un poco.
Tuttavia
decise di non badarci.
-
Avevi tutte le ragioni per avercela con me, prima - le rispose tornando a
guardare dritto di fronte a sé - Credo che la tua sia stata una reazione umana
e basta -
Lei
sembrò sollevata di sentirglielo dire - Lo credo anch’io. Non è stato facile
accettare che mio padre ti desse tutte quelle attenzioni; tanto più che non
riuscivo a capire cosa ci vedesse in te -
A
quel punto aveva smesso di camminare ed era rimasta a fissarlo.
Hayama
proseguì di alcuni passi prima di fermarsi a sua volta.
Voltandosi
verso di lei, la guardò intensamente, e la domanda uscì dalle proprie labbra
prima che potesse fermarla.
-
E adesso? -
I
suoi occhi incontrarono quelli profondi e fieri della ragazza, che in un attimo
si colorarono di una emozione intima e genuina.
-
Adesso lo capisco. Forse l’ho sempre saputo -
Rimasero
in silenzio a guardarsi ancora per qualche secondo. Il vento scelse quel
preciso momento per animarsi tra loro, dando vita a un quadro fino a quel
momento statico.
Resosi
conto dell’atmosfera che si stava creando, Akito stabilì velocemente che fosse
più saggio proseguire.
-
Andiamo? - le fece muovendo appena la testa.
Reiko
sembrò destarsi improvvisamente da un sogno, arrossì senza riuscire a dominarsi
e abbassò la testa - Sì, scusami -
Ripresero
a camminare, questa volta la ragazza fece il possibile per tenersi ad una
educata distanza fisica.
Quando
furono giunti nel viale del suo appartamento, che distava pochi passi da quello
preso in affitto dalla famiglia di Hayama, lei volle fargli una domanda che
teneva in serbo già da alcuni mesi.
Trattandosi
di una domanda personale, avrebbe voluto trovare un modo gentile di porla. Ma
la sua naturale schiettezza le rendeva difficile elaborare metodi troppo
complicati. Alla fine fu più diretta di quanto desiderasse.
-
Ho notato che quando combatti, tendi ancora ad evitare il più possibile
l’utilizzo della mano destra - gli disse piegando la testa verso di lui
- Sii sincero, hai ancora dolore non è vero ? -
Hayama
era rimasto in silenzio. Per qualche istante gli unici rumori furono quelli dei
loro passi sul viale di pietra; Reiko stava quasi per rinunciare ad insistere
quando lui le rispose.
-
E’ così. Non posso ancora usarla bene quanto vorrei. Se non sarò prudente,
potrei subire danni irreparabili al nervo radiale. Questo renderebbe vane tutte
le terapie a cui mi sono sottoposto; sarei costretto a rimanere a Los Angeles
per sottopormi ad un nuovo intervento, e non posso permettermelo; prima o poi,
dovrò andare -
Lo
aveva detto con semplicità, senza tacere nulla, e così facendo le aveva anche
rivelato esplicitamente che un giorno, che lei lo volesse oppure no, lui
avrebbe fatto ritorno a Tokyo.
La
scoperta la spinse involontariamente a girare la testa di scatto, quasi a voler
scacciare quel brutto pensiero. Nel giro di pochi attimi, quella semplice
risposta le diede una conferma definitiva sulla natura dei sentimenti che la
legavano a quel ragazzo.
Non
poteva avere dubbi, poiché mai nella vita si era sentita legata in quel modo
particolare ad una persona. Questo sentimento le fece girare la testa.
Tuttavia,
essendo fiera per carattere, la sua reazione esteriore fu quella di indurire lo
sguardo e chiedere.
-
Se quello che dici è vero, perché hai accettato di seguire il programma di mio
padre? Stando alle tue parole, un bel giorno te ne andrai e allora cosa ne
rimarrà? -
Di
nuovo, la risposta fu semplice e diretta.
-
Non posso sapere quale sarà con certezza il mio domani - mormorò Akito
appoggiandosi al muro di uno dei palazzi, lasciando penzolare svogliatamente la
borsa della palestra che manteneva con la mano sinistra.
- Oggi
la mia vita è qui, e sarebbe stupido e disonesto non viverla appieno. Devo
ragionare un passo alla volta - proseguì poi cercando di evitare lo sguardo
ferito della ragazza - Ho scelto di seguire te e tuo padre perché è ciò che
desidero fare, fin quando potrò. Con voi ho scoperto un mondo nuovo che mi
esalta. Nondimeno, non posso mentire; se me lo chiedi adesso, ti dico che un
giorno tornerò a casa -
Ma
Reiko non sembrava disposta a cedere facilmente. Le tornava in mente l’immagine
del padre di poche ore prima, e la felicità che aveva provato nel vedere i
progressi di Hayama.
E
ora lui se ne stava lì a dirle con quel suo odioso modo di fare, che sarebbe
tutto finito; che un giorno sarebbe tornato a casa.
In
lei si accese a quel punto un risentimento tipicamente femminile che la spinse
a sentirsi offesa oltre che tradita.
-
La vita qui ti deve far parecchio schifo se non consideri nemmeno l’idea di
provare a restare, dopo tutto quello che c’è stato - lo aggredì con
risentimento.
Questa
volta fu Hayama a fissarla con rabbia - E’ una delle cose più stupide che
potessi dire! Come diavolo ti salta in mente una simile idiozia ? -
-
Bè non deve essere proprio un’idiozia - inveì Reiko alzando la voce
- Altrimenti non parleresti di tornare e mandare tutto all’aria! Dimmi, cos’è
che ti spinge a voler tornare? - lo aggredì con fare imperioso.
-
Sei maledettamente insistente! - Urlò Hayama, confermandosi intollerante agli
interrogatori - Perché non vai a casa a
dormire? Credo che tu abbia preso un brutto colpo in testa durante
l’allenamento, stai vaneggiando! -
Il
temperamento della ragazza si rivelò aggressivo quanto il suo.
-
Sei tu che vaneggi, stupido bamboccio! - gli sbraitò contro puntandogli il dito
al petto - Dimmi, da quando sei diventato un piagnucolone senza attributi che
scappa di fronte a una innocua domanda? -
-
E tu? - rispose prontamente Akito ringhiando - Da quando sei diventata una
donnetta isterica in perenne fase mestruale? -
A
quel punto, lo scontro tra i loro due caratteri decisi e bellicosi, fu
pressoché totale ed incontenibile.
Reiko
piegò sulla gamba destra, tentando di assestargli un colpo deciso alla spalla
con quella sinistra. Akito, più rapido di lei, parò senza difficoltà il colpo e
rispose con un altro.
La
ragazza però saltò agilmente indietro, evitandolo, prima di scattare nuovamente
all’attacco con una serie di pugni agili e veloci; tutti prontamente parati dal
biondo.
-
Hayama-sei-un-deficiente - inveì lei scandendo ogni parola con un colpo.
-
E tu una femminuccia isterica - rispose lui schivando l’ennesimo attacco
piegandosi sulle ginocchia e spingendola via appoggiandole una mano sul petto.
Lei
sussultò costernata.
-
Mi hai toccato il seno! Sei un dannato maniaco! -
Akito
era letteralmente sconvolto - Ma cosa blateri, sei tu che mi hai attaccato! Che
dovrei fare, portarti dei dolcetti? -
A
quel punto, rimasero a guardarsi ansimando, in cagnesco. Poi così com’era
venuto, quell’attimo di rissosità passò.
-
Vieni, sediamoci - propose Hayama invitando la ragazza a sedersi su una
panchina poco distante da loro.
-
Mpf - fu la risposta seccata di Reiko, che tuttavia accettò di seguirlo pur con
le braccia conserte.
Fu
mentre erano diretti verso la panca, che la ragazza ebbe un improvviso
mancamento. Forse fu a causa delle emozioni intense di quel giorno; o forse,
per quel breve litigio, fatto sta che le energie le vennero meno.
-
Hayama… - ebbe giusto il tempo di dire prima di portarsi una mano alla fronte e
piegarsi sulle ginocchia.
Akito
si voltò improvvisamente ed ebbe la prontezza di riflessi di prenderla al volo
con una mano, sorreggendola di peso e portandola fino alla panchina, dove la
fece sedere.
-
Va tutto bene? - le chiese preoccupato - Vado a prenderti dell’acqua -
Lei
lo fermò con la mano - Non preoccuparti, sto bene, è stato solo un momento;
rimani qui vicino a me -
Lui
le si sedette accanto - D’accordo, ma tu resta seduta fin quando non ti sarai
ripresa del tutto -
-
Va bene - acconsentì Reiko chiudendo gli occhi.
Passarono
alcuni minuti in silenzio. Poi la ragazza aprì gli occhi mormorando con voce
debole - Ehi… Sbaglio o hai usato la mano destra per prendermi? -
Per
un momento, Hayama la guardò senza capire, poi annuì - E’ vero -
Lei
sorrise debolmente - Allora, non devi essere messo poi così male se riesci a
sostenere un peso morto -
Akito
rimase in silenzio, fissandosi l’arto. Se quel che diceva Reiko era vero,
allora il giorno del suo rientro a casa, non poteva essere lontano.
Pian
piano, stavano passando anche quei mesi. In quel preciso istante, il volto di
Sana gli affiorò nella mente, e i sensi di colpa per essersi dimenticato di lei
per tutto il giorno, affiorarono insieme ad esso.
Nel
mentre, lo sguardo della ragazza si era fatto di nuovo triste; perciò decise di
mettere da parte quei pensieri e parlare con lei per rasserenarla.
Ancora
una volta, gli si chiedeva di essere più estroverso di quanto la natura lo
spingesse a fare; ma si rese conto di doverle almeno qualche spiegazione.
-
Non voglio che tu pensi che non sia felice di essere qui con voi - esordì sospirando - Quello che ho provato in
questi mesi…è stato esaltante. Tu e tuo padre mi avete restituito una serenità
che temevo di aver perduto; avete aperto le porte di un mondo nuovo; io guardo
a voi con ammirazione, ed è per questo che non voglio più sentirti dire certe
cose -
Lei
lo ascoltò parlare, rapita, e quelle parole la emozionarono al punto che le sue
gote si tinsero di rosso.
Akito
la guardò in volto, e una spiacevole sensazione si impadronì del suo stomaco,
facendolo sentire tremendamente a disagio. Di nuovo, Sana gli balenò nella
mente.
Avrebbe
voluto alzarsi e tornare subito a casa; tuttavia mantenne il controllo pur di
non ferire la persona che in quel momento gli era vicina.
-
Ad ogni modo - disse alzandosi, poiché comunque non riuscì più a stare fermo -
Per adesso ti ripeto che la mia vita è qui; di tornare, non se ne parla; devo
completare gli studi, o mio padre mi darà il tormento, quindi non pensiamoci
più, va bene? Ciò che conta per me, è proseguire ancora su questa strada,
insieme a voi -
Reiko
si era ripresa dal temporaneo malessere; la felicità di essersi scoperta così importante
per lui aveva spazzato via tutte le domande che avrebbe voluto ancora fargli
sul perché volesse tornare a tutti i costi in Giappone.
Rinunciando,
perse un’occasione importante per venire a conoscenza di Sana; in egual modo,
Hayama perse l’opportunità di rivelarglielo quando sarebbe stato più opportuno
farlo.
-
Va bene “biondo”, eviterò di strapazzarti ancora, per stasera - lo schernì
rialzandosi e colpendolo affettuosamente sulla spalla.
Akito
riprese subito il suo naturale atteggiamento di supponenza.
-
Figuriamoci; non mi servono entrambe le mani per atterrarti - la schernì.
-
Attento a te, bamboccio! -
Nel
giro di qualche mese, quando la verità su Sana sarebbe venuta a galla, Reiko
avrebbe avuto le risposte che quella sera non aveva osato cercare.
Quando
ciò avvenne, non riuscì a non portargli rancore; ma più di ogni altra cosa, non
poté evitare di disprezzare sé stessa per essersi umiliata a quel punto.
Hayama,
non avrebbe mai avuto il tempo né il modo di spiegarsi.
***
L’orologio
segnava le ore 5:00 del mattino.
Fermo,
disteso ancora nel letto, Akito rifletteva sulla piega assurda che gli eventi
della propria vita avevano assunto negli ultimi due anni, e sui danni che il
tempo e l’incomunicabilità possono causare tra due persone.
Quando
riuscì a riaddormentarsi, l’alba era ormai vicina. Le risposte che cercava,
ancora no.
|
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Capitolo 6 *** Doppio Confronto ***
Doppio confronto
Capitolo 6 - Doppio Confronto
Ndr 19/10/15 Non
avrei mai immaginato che scrivere un racconto lungo fosse un’impresa così ardua
per me. Più vado avanti, più la stesura dei capitoli diventa complicata e
faticosa. Anche stavolta, non sono pienamente convinto di essere riuscito a
rendere nel migliore dei modi tutto quello che avrei voluto raccontare, per cui
lo capirei se dovessero giungermi eventuali critiche. Tuttavia, la storia
prosegue prendendo sempre più forma. Questo estratto illumina un aspetto
fondamentale della vita di Sana che fin ad ora non aveva trovato collocazione
nella mia linea temporale. Auguro a tutti una buona lettura, e resto a vostra
disposizione.
***
Quella
sera si annunciava tranquilla in casa Kurata. L’esperienza della cena di gruppo
era rimasta fortunatamente un unicum della carriera di Sana in quanto cuoca,
dopo il quale, la ragazza aveva nuovamente consegnato le redini della cucina
alla signora Shimura. Con somma soddisfazione da parte di tutti.
Dopo
cena la ragazza si era rinchiusa nella propria stanza asserendo di voler
telefonare ad Akito e la signora Kurata l’aveva imitata adducendo la scusa del
manoscritto (alla quale, beninteso, nessuno più credeva da un pezzo).
Soltanto
una persona, all’interno della villa, sembrava non riuscire a godere di
quell’atmosfera pacifica.
Da
diverso tempo, Rei Sagami tentava di avere, senza successo, una conversazione
con Sana. Ma la ragazza continuava inesorabilmente a sfuggirgli adducendo le
motivazioni più inverosimili. Se non avesse preso un’iniziativa decisa, quel
dialogo a cui tanto teneva non sarebbe mai avvenuto.
Era
ormai giunto al punto di sentirsi letteralmente divorato dall’ansia.
Non desiderando altro che porre fine a quel tormento, si decise a salire con convinzione
al secondo piano e bussare alla sua porta.
Le
avrebbe parlato senza esitazioni. Avrebbe persino rischiato di rompere il loro
decennale rapporto di lavoro, amicizia e stima reciproca. Ma tacere sarebbe
stato colpevole, a quel punto.
Era
già in piedi davanti alla soglia e aveva alzato la mano per bussare quando lo
colse un attimo di esitazione che gli congelò il braccio a mezz’aria.
Innumerevoli
preoccupazioni presero ad affollargli la mente; tutta la sua sicurezza iniziale
svanì in un lampo. Cosa sarebbe stato di lui se la discussione avesse preso una
piega spiacevole? Avrebbe dovuto lasciare la casa? Sana stessa gli avrebbe
chiesto di farlo?
Si
rese conto di star sudando; inspiegabilmente sentì l’esigenza di aggiustarsi il
nodo della cravatta, quasi dovesse presentarsi ad un importante appuntamento di
lavoro. Il suo disagio era lampante.
Era
ancora lì in piedi a tormentarsi quando la porta della stanza si aprì
improvvisamente.
Rei,
colto totalmente alla sprovvista, ebbe un immediato sobbalzo che quasi lo fece
inciampare. Al contrario, il volto di Sana, emerso dall’interno della camera,
appariva sereno.
-
Da quando hai paura di me? - gli chiese sorridendogli timidamente.
L’uomo,
ancora scioccato, esibì un’espressione confusa che le fece scappare una
risatina nervosa.
-
Mi aspettavo di trovarti qui - spiegò lei, inclinando leggermente testa.
-
Io… davvero non so cosa dire - balbettò Rei, mortificato, non trovando ancora
il coraggio per guardarla negli occhi.
La
ragazza sorrideva ancora.
-
Be’, qualcosa dovrai pur dirmi. Ormai sono giorni che ci provi, e stasera a
cena era evidente che fossi tormentato; ho semplicemente tirato le somme -
-
Quindi te lo aspettavi… La telefonata ad Hayama… - intuì lui, cominciando a
riacquistare padronanza di sé e della situazione.
Questa
volta, toccò alla ragazza abbassare lo sguardo.
- Era
solo una scusa… Ero d’accordo con la mamma - disse semplicemente
- Ti va di entrare? - propose spostandosi leggermente dall’uscio.
Non
appena ebbe messo piede all’interno, Rei prese subito posto alla sedia della
scrivania; Sana si accomodò sul letto, le braccia protese sulle gambe e la
testa china tipica di chi nutre un senso di colpa.
Rimasero
in silenzio per alcuni secondi; alla fine, fu proprio lei a prendere
l’iniziativa.
-
Io… Credo di doverti delle scuse, Rei - esordì guardandolo.
Lui
rimase muto. Una parte di sé fu felice di quelle parole; l’altra cominciò a sentire
il peso di aver nascosto fino a quel momento i suoi sentimenti.
Decise
comunque di non intervenire e lasciarla proseguire.
Sana
si fece coraggio, e continuò.
-
So che cosa pensi. E’ dal ritorno di Hayama che ho abbandonato quasi del tutto
il lavoro. Non ti ho dato spiegazioni e ho lasciato che ti tormentassi per
tutti questi mesi. Credevo, col tempo, di essere diventata una persona meno insicura;
invece mi rendo conto di avere ancora una volta tentato di aggirare un problema
senza risolverlo. Ti prego di scusarmi, non avrei dovuto - disse dispiaciuta.
I
grandi occhi castani esprimevano una tenerezza infinita. Il suo rammarico era
commovente; Rei non avrebbe potuto portarle rancore nemmeno se gli avesse fatto
un torto assai peggiore. Ciò nonostante, era pur sempre deciso a dirle senza
esitazione qualcosa che l’avrebbe fatta sicuramente soffrire.
Sospirando,
si tolse gli occhiali da sole, che ancora usava indossare ogni volta che
parlava con lei, e la guardò.
-
Riesci sempre a sorprendermi. Pensavo già a quanto sarebbe stato difficile
confessarti tutto, ed ecco che arrivi tu e mi togli dall’imbarazzo. Sei molto
più matura di quello che credi - le disse sincero, facendola sorridere ancora.
Era
un po’ più rassicurata quando gli si rivolse di nuovo.
-
Quindi non ce l’hai con me? - chiese ancora un po’ timorosa.
Rei
scosse la testa.
-
No Sana, non ce l’ho con te. Non posso nasconderti di aver sofferto molto,
soprattutto nelle ultime settimane - rispose - Ma non posso dimenticare tutto
quello che hai fatto per me sin da quando eri piccola - aggiunse francamente -
Vorrei solo che tu mi dicessi quali sono i tuoi progetti per il futuro… -
Tirò
un lungo sospiro e finalmente le fece la domanda che avrebbe chiarito tutti i
suoi dubbi; e deciso il suo futuro.
-
Con me puoi essere onesta. Perché hai abbandonato la carriera? Riprenderai
prima o poi a lavorare? Desideri ancora… Che io sia il tuo manager? -
La
ragazza chiuse gli occhi, prendendosi qualche momento per riordinare le idee.
Avrebbe cercato di spiegargli le cose coerentemente, senza farsi prendere
dall’emozione.
- Le
cose hanno preso una piega strana negli ultimi mesi - esordì tormentandosi le
mani - Il lavoro è sempre stato importante per me; è vero, ho deciso di
metterlo da parte temporaneamente, ma questa situazione potrebbe cambiare in
futuro… -
-
A cosa ti riferisci? - le domandò Rei, non riuscendo ancora a mettere a fuoco
il problema, ma cominciando a intuirne l’origine.
Il
sospetto divenne certezza mentre le chiedeva - Dimmi la verità, sei sicura che
non si tratti di nuovo di Hayama? -
-
No, no, non è così - ribatté Sana, punta sul vivo, arrossendo leggermente in
viso.
Di
nuovo, scese il silenzio, dovuto stavolta alla poca credibilità della risposta.
-
Forse è così - riconobbe alla fine la ragazza, alzando la testa - Ma non per le
motivazioni che credi tu - aggiunse convintamente.
Rei
accavallò le gambe, tentando di darsi un tono. Portò la mano destra all’altezza
del mento, assumendo un’aria da pensatore talmente fuori posto sulla propria
persona, che a Sana venne una gran voglia di ridere, nonostante il momento
fosse delicato.
Ma
non avrebbe riso, se avesse saputo che poco prima, nella mente del suo manager,
alla parola “Hayama” si erano risvegliati sentimenti legati ad un’inimicizia
mai celata e al fastidio di trovarsi di nuovo il biondino tra i piedi come
fonte di problemi per la ragazza verso la quale provava lo stesso affetto di
una sorella minore.
-
Io non credo niente; so soltanto quello che vedo - le disse Rei, guardandola
negli occhi in un modo che quasi le mise paura.
L’uomo
sentì montare dentro di sé un incontenibile risentimento verso Akito. Non gli erano
forse bastati i guai che aveva già causato in passato? Perché quel teppista non
si decideva a uscire una buona volta dalla vita della ragazza? Più ci
rifletteva, e meno gli sembrava possibile che un animo nobile come quello di
Sana potesse avere affinità con uno arido come quello di Hayama.
-
E quello che vedo - proseguì alterandosi a causa di quei cattivi pensieri - è
un’attrice che spreca il proprio talento per correre dietro al suo ragazzino;
come manager, ho il dovere di consigliarti di rifletterci bene; stai
commettendo un grosso errore -
Più
che la scarsa considerazione nei confronti della sua maturità, fu il sentir
nominare Hayama “ragazzino” a non piacerle per niente.
Sana
sentì crescerle nel petto uno sdegno bruciante; le riuscì di mantenere
momentaneamente la calma e non rovinare subito tutto; ma non poté mascherare l’acredine
nel tono della voce.
-
Non si tratta di correre dietro a nessuno! - ribatté caustica - Sai Rei, ci
sono delle cose più importanti del lavoro, a questo mondo! -
Rei
si sentì accusato e rispose senza riflettere - Senza dubbio, ma a volte mi
domando se tu sia in grado di riconoscerle ancora! -
Qualcosa
nell’atmosfera era cambiato. Una gelida tensione era calata tra di loro ed
entrambi apparivano maldisposti l’uno verso l’altro.
-
La verità è che a te Hayama non è mai piaciuto - lo accusò lei alzandosi di
scatto dal letto, senza più riuscire a dominarsi.
Rei
si alzò a sua volta; nel suo volto, ormai più nessuna traccia di giovialità -
E’ vero; non mi è mai piaciuto. Troppe volte ti ho vista soffrire a causa sua;
la vostra è una storia disgraziata -
La
durezza di quelle parole fu tale che a Sana parve di ricevere un ceffone in
pieno volto. L’astio di Rei nei confronti del suo ragazzo la ferì
profondamente.
-
Come puoi esprimerti così? - lo aggredì - Tu non lo conosci! Non sei in grado
di giudicarlo! Ti è mai venuto il sospetto che potrei avere le mie buone motivazioni
per comportarmi così? Non è stato Hayama a chiedermi di rinunciare al lavoro!
L’ho deciso io, di mia iniziativa, e quello che abbiamo passato non ha niente a
che vedere con questo… -
Il
manager allargò le braccia, lasciando che il fiume di parole che aveva tenuto
in serbo si riversasse su di lei, crudelmente. Nonostante sapesse che in quel
modo non avrebbe ottenuto nulla; nonostante si fosse preparato per mesi a quel
momento, il suo temperamento tranquillo venne meno.
-
Sana… Ha tutto a che vedere! Perché non riesci a capirlo? Neanche una storia
tra due adulti avrebbe potuto essere più complicata della vostra! Ti ritroverai
sola e ti resterà solo il rimpianto di aver mandato tutto all’aria! -
Per
Sana, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non riuscì più a
ragionare coerentemente; il risentimento le colorò le gote di rosso e le fece
salire le lacrime agli occhi. Puntando il dito contro l’uomo che prima di Akito
aveva rappresentato il centro del suo modo insieme alla madre, lo accusò
violentemente e con parole gravi.
-
Sei un egoista! Tutto ciò che ti preme è salvaguardare la tua posizione di
manager! Sei mosso unicamente dall’interesse per il denaro! -
Nel
volgere di pochi secondi, l’implacabile crepa delle incomprensioni si propagò da
un capo all’altro della stanza, sacrificando il loro rapporto sull’altare delle
meschinità umane.
Rei
rimase lì attonito, sconvolto. Gli sembrò di essere vittima di un incubo
orribile. Fu costretto a prendere atto che i suoi timori erano divenuti realtà;
se ciò fosse avvenuto per colpa sua, o di Sana, a questo punto non aveva più
alcuna importanza. Tutto era andato in frantumi.
Lentamente,
nonostante fosse sera tarda, si infilò di nuovo gli occhiali da sole e disse
con voce rotta.
-
Ti auguro ogni bene. Lascerò questa casa stanotte stessa; abbi cura di te -
E
con passi gravi si avviò fuori dalla stanza. Quando chiuse dietro di sé la
porta della stanza, rimase ancora per un momento fermo sulla soglia, sperando
infantilmente che Sana lo richiamasse, che potessero parlare ancora un’ultima
volta.
Sospirando,
si diresse in camera sua con la morte nel cuore.
Sana
era rimasta in piedi al centro della stanza; non era riuscita a trovare la
forza di fermarlo. Provava un odio bruciante per Rei; non soltanto per come
avesse tenuto in scarsa considerazione la maturità delle sue scelte; ma anche,
soprattutto, perché aveva risvegliato il mostro dell’inquietudine che aveva
albergato stabilmente nel suo cuore.
Sfinita,
si distese sul letto portandosi una mano alla fronte.
A
sé stessa, non poteva mentire. Sapeva che le parole di Rei sulla sua storia con
Hayama erano in parte vere. Era stata una relazione maledettamente complicata;
e lei aveva sperato che dopo il rientro del ragazzo dagli Stati Uniti il peggio
fosse passato.
Invece,
il nuovo Akito, pur essendo ancora il ragazzo di cui si era innamorata prima
della partenza, era tornato con addosso una specie di infelicità di cui lei si
era accorta immediatamente.
Aveva
cercato di scavargli nell’animo per carpirne qualcosa; ma per la prima volta
non ci era riuscita. Il ragazzo aveva preferito non dirle niente, limitandosi a
vaghe rassicurazioni alle quali non aveva creduto.
Per
aiutarlo e stargli vicina, aveva comunque deciso di abbandonare temporaneamente
tutte le sue attività, compresa quella radiofonica di assistenza sociale che
così tanto l’aveva confortata durante i 24 mesi di assenza di Hayama.
Quella
scelta le era sicuramente costata parecchio, poiché Sana amava molto il suo
lavoro; semplicemente, si era accorta di amare di più lui, e aveva desiderato
ardentemente che questo bastasse.
E
tutto sommato, era quasi bastato. La vita aveva ripreso in qualche modo a
scorrere tranquillamente. Si era abituata a non lavorare più, anche se
saltuariamente le veniva ancora un po’ di nostalgia dei tempi in cui,
affaccendata e correndo a perdifiato, sfrecciava in macchina con Rei da una
stazione televisiva all’altra.
In
quel momento però, la paura delle cose non dette ed i sensi di colpa per aver
ferito Rei con parole che non appartenevano al suo mondo, avevano messo in
bilico quasi tutte le sue certezze; sicché ebbe la sensazione che tutto le
stesse sfuggendo di mano; si rannicchiò su di un fianco e pianse.
Akito
guardò il display del cellulare ancora per un momento, poi si decise ad attaccare.
Era strano che non rispondesse, dal momento che aveva insistito così tanto per
essere tenuta al corrente sull’andamento degli allenamenti.
-
Mah, chi la capisce è bravo - mormorò a sé stesso infilandosi il cellulare
nella tasca.
La
sorella, di passaggio nel salone dopo aver sistemato in cucina, lo sentì sussurrare
e volle tentare di saperne di più, da brava curiosa quale era.
Si
avvicinò con passo felpato alle sue spalle, approfittando del rumore di fondo
della televisione accesa per non farsi udire.
-
Va tutto bene? Per caso Sana non è raggiungibile? -
Akito
ebbe un sobbalzo che lo fece scattare in piedi alla stregua di un marine
sull’attenti. Si voltò infastidito verso la ragazza.
- Natsumi!
Ti sembra questo il modo di arrivare alle spalle? -
La
ragazza rise - Suvvia era solo un gioco, non capita spesso di vederti usare il
cellulare -
Akito
alzò le spalle - Solo quando serve; non come te che ci perdi le giornate;
finirai per lobotomizzarti il cervello -
Per
quanto fosse più grande di lui di alcuni anni, Natsumi soffriva di reazioni che
il fratello faticava a comprendere e che la rendevano, almeno all’apparenza,
molto più infantile.
Gli
mostrò la linguaccia - E’ una fine che farai tu molto prima di me se continui a
beccarti tutti quei colpi in testa col karate -
La
stessa lingua tagliente restava comunque la prova più lampante della loro
parentela.
Erano
sul punto di continuare a beccarsi quando improvvisamente suonò il campanello.
Il
padre di Akito, Fuyuki Hayama, giunse dalla stanza attigua e andò ad aprire
lasciandosi alle spalle i figli interdetti : Non erano soliti ricevere visite a
quell’ora.
-
Buonasera; posso sapere con chi ho il piacere? - chiese garbatamente,
rivolgendosi allo sconosciuto che stanziava sulla soglia di casa sua.
L’uomo
indossava un lungo pantalone marrone oltre ad una camicia bianca lasciata
cadere sul ventre prominente.
Da
sobrio, Ohki-san aveva un aspetto decisamente più rassicurante rispetto al
solito. Dovendo presentarsi alla famiglia Hayama, aveva saggiamente deciso di
evitare di ricorrere al solito cicchetto serale.
Magari
avrebbe recuperato il tempo perduto una volta rientrato a casa.
-
Buonasera a lei; si ricorda di me? Il
mio nome è Tsumuri Ohki e sono il padre di Tsuyoshi -
Sentendo
nominare l’amico del figlio, Fuyuki finalmente lo riconobbe. L’ultimo ricordo
che aveva di lui risaliva ai tempi in cui Akito e Tsuyoshi frequentavano ancora
le elementari; si ricordò di averci avuto a che fare in occasione di uno degli
ultimi consigli scolastici.
-
Il padre di Tsuyoshi, ma certo. E’ un piacere rivederla; la prego, desidera
accomodarsi? Posso esserle utile? -
-
E’ molto gentile, grazie - disse Tsumuri, riconoscente.
Non
appena furono entrati in casa, la reazione di Akito non tardò a manifestarsi.
-
Papà, che cosa ci fa lui qui? -
chiese il ragazzo con fare aggressivo, accigliandosi.
Il
padre rimase titubante per un momento.
-
Akito, conosci già il signor Ohki, il padre di Tsuyoshi? -
Akito
serrò i denti; durante il loro ultimo incontro, di fronte all’indifferenza che
aveva manifestato verso il destino dei propri figli, lo aveva apostrofato
“pelatone” rischiando di scatenare una colluttazione.
-
Certo che lo conosco - rispose bruscamente.
Il
padre di Tsuyoshi alzò le mani nel tentativo di manifestare le sue intenzioni
pacifiche.
-
So di non godere della tua stima, Hayama-kun; sono venuto qui soltanto per
parlare e nient’altro; ti prometto che andrò via presto -
Akito,
di tutta risposta trattenne a stento uno sbuffo. Quella visita si annunciava
come l’ennesimo fastidio.
Natsumi
aveva assistito alla conversazione, e per rompere l’imbarazzo che si era venuto
a creare propose energicamente.
-
Perché non vi accomodate tutti in cucina? Preparerò qualcosa di fresco da bere
-
Il
padre, colse al volo l’occasione - Davvero una buona idea, figliola. Venite,
avanti - e li condusse nella stanza.
Seduti
tutti e tre intorno al tavolo, con Fuyuki al centro e gli altri due di lato,
l’atmosfera non era delle più serene.
Akito
continuava a guardare Ohki-san in cagnesco, e sembrava pronto a scattare alla
prima occasione buona. Il padre di Tsuyoshi, nel frattempo, cercava ostinatamente
di mantenere un contegno degno di un funerale.
Alla
fine fu il padre di Hayama, dopo aver saettato lo sguardo da un capo all’altro
del tavolo, a prendere la parola, con la solita calma e compostezza.
-
Allora signor Ohki, immagino che il motivo di questa visita abbia in qualche
modo a che fare con il torneo. C’è stato per caso qualche problema con i
documenti? -
Tsumuri
alzò finalmente la testa, che aveva tenuto calata fino a quel momento.
-
Assolutamente no; tutto è in regola e pronto per l’inizio della competizione
tra 45 giorni -
-
Allora che cosa è venuto a fare? - si intromise prepotentemente Hayama
-
Akito… - fece suo padre tentando di riportarlo alla calma
-
Lasci stare, Hayama-san - lo tranquillizzò il padre di Tsuyoshi - Suo figlio ha
tutte le ragioni per avercela col sottoscritto. In realtà sono venuto qui
stasera solamente per ringraziarlo -
Akito
si accigliò - Mi dispiace, ha sprecato il suo tempo. Non occorre che mi
ringrazi di nulla -
Tsumuri
insistette - Invece devo farlo. Stai rendendo un grande favore a me ed alla mia
famiglia; voglio che tu sappia che non lo dimenticherò. Anche Tsuyoshi mi è
sembrato contento - aggiunse con fare malinconico.
Ma
il biondo non era disposto a cedere così facilmente.
-
Ma davvero… Da quando le importa se suo figlio è contento? - chiese con crudele
sarcasmo.
Ohki-san
abbassò la testa.
-
Da molto più di quanto tu non creda - gli rispose stringendo i pugni. Sapeva
che quel ragazzino sarebbe stato un osso duro, ma non immaginava fino a quel
punto.
A
quel punto, Fuyuki intervenne tentando di riportare il dialogo a livelli
accettabili di civiltà.
-
Akito, non potresti essere meno severo con il nostro ospite? Ricorda che è
giunto fin qui per ringraziarti, pertanto merita un trattamento più rispettoso
da parte tua -
-
Il mio rispetto ce l’hanno le persone che lo meritano - ribatté Akito girandosi
verso il padre - Quest’uomo non ha la minima idea dei danni e delle sofferenze
che le sue azioni hanno causato. Lo dimostra il fatto che sia venuto qui
stasera -
Tsumuri
lo guardò strabuzzando gli occhi - Che cosa intendi dire? -
Hayama
si voltò verso di lui - Visto che non riesce a capirlo da solo; glielo dirò io.
In questo momento lei non dovrebbe essere qui a parlare con me, bensì
dall’altra parte del quartiere a tentare di spiegare a sua moglie come mai suo
figlio verrà pestato a sangue nel prossimo torneo! -
In
quel momento giunse Natsumi con le bevande fresche e tutti ne approfittarono
per prendersi una pausa doverosa.
Il
padre di Tsuyoshi utilizzò quel fortunoso momento di break per raccogliere le
idee, sorseggiando la bevanda.
Posando
lentamente il bicchiere si rivolse al giovane.
-
Se potessi ancora parlare con mia moglie, credimi, lo farei. In compenso, posso
parlare con te. Perciò ti prego di ascoltare quanto ho da dirti -
Di
ascoltarlo, Akito non aveva alcuna voglia, tuttavia un’occhiataccia del padre
lo fece desistere dal protestare ancora.
Respirando
profondamente, Tsumuri parlò senza riserve. La gravità nella sua voce gli
ricordò molto quella del figlio la sera in cui gli aveva chiesto aiuto.
-
So di aver sbagliato molte volte nella mia vita. Ho avuto già modo di
pentirmene senza che tu infierisca su di me; e pagherò con la solitudine il
prezzo delle mie scelte errate. Tutto ciò che desidero adesso è aiutare la mia
famiglia rispettando l’ultimo vincolo che mi lega a loro : Quello economico.
Per questo ti ringrazio per aver deciso di aiutare mio figlio, e che tu ci
creda o no, hai la mia gratitudine -
Si
trattava, in bocca a lui, di un ringraziamento sincero. Persino Akito non poté
restare indifferente di fronte al suo parlare onesto, e assunse un
atteggiamento lievemente meno ostile nei suoi confronti.
Ciò
nonostante, non fece sconti quando gli disse come la pensava.
-
Tsuyoshi non ha alcuna possibilità di farcela -
L’uomo
lo guardò tristemente.
-
Ne sei sicuro? -
-
Purtroppo, è una certezza - rispose Akito bevendo dal suo bicchiere
- Non crederà possibile imparare il karate in poco più di 2 mesi? Lei gestisce
una palestra, dovrebbe sapere come funziona - aggiunse causticamente.
A
quel punto suo padre volle fargli una domanda.
-
Akito, tu hai seguito un programma speciale in America… Non pensi che sia
possibile fare in modo che Tsuyoshi possa seguirne uno identico? Aumenterebbe
le vostre possibilità -
-
E’ quello che stiamo già facendo - gli rispose il figlio - Ma abbiamo comunque
poco tempo -
-
Se solo voleste… - propose timidamente Tsumuri - …Potreste venire ad allenarvi
alla palestra, a Shinjuku… -
Akito
non si diede neanche la pena di rispondergli. Andare ad allenarsi in palestra,
come in qualsiasi altro luogo, non avrebbe inciso sulle loro possibilità di
vittoria. Era una mera questione di tempistica.
-
Cosa pensi che succederà? - gli chiese Fuyuki.
-
Per come la vedo io - spiegò Akito - Stiamo parlando di un’impresa disperata. A
questo torneo parteciperanno alcuni tra i migliori atleti di karate in
circolazione. Tsuyoshi ha una volontà ferrea e sta imparando velocemente;
tuttavia stiamo parlando di pochi mesi di addestramento che si scontreranno
contro anni di preparazione atletica. Il risultato è scontato -
Tutti,
al tavolo, colsero la spiacevole allusione che il ragazzo aveva volutamente
lasciato incompiuta.
Tsumuri
sentì una morsa di disagio serpeggiargli dentro, e improvvisamente ebbe paura
per le sorti del figlio. Una paura che l’entusiasmo per la sua partecipazione
al torneo aveva tenuto sopita fino a quel momento.
-
Per questo le dicevo di non ringraziarmi - continuò Hayama, alzandosi dal
tavolo - Dovrebbe farlo se potessi garantirgli di vincere, ma non posso;
l’unica cosa che posso garantirle, è che andrò fino in fondo, insieme a lui -
A
quel punto, Ohki-san si rese conto che la conversazione era terminata, e fece
anch’egli per alzarsi e tornare a casa. Prima di congedarsi, volle tuttavia
chiedere un ultimo favore al ragazzo.
-
Nonostante non parliamo quasi mai, ho visto mio figlio molto contento in questi
giorni; sembra una persona nuova da quando si allena con te, pare stia anche
acquisendo più fiducia in sé stesso. Per favore, non dirgli nulla sulla mia
visita di questa sera, ma soprattutto, non rivelargli che secondo te non ha
speranze; gli taglierebbe le gambe -
Akito
volle protestare - Io non mento mai -
-
Non ti sto chiedendo di mentire; soltanto di considerare il fatto che è meglio
che lui arrivi al torneo convinto di potercela fare piuttosto che con la
certezza di perdere datagli dal suo stesso sensei - rispose stancamente Tsumuri
- Conosco mio figlio percui accetta questo buon consiglio : convincilo di
essere forte e lui lo diventerà davvero - dopodiché si rivolse al padre di
Hayama.
-
La ringrazio per avermi accolto in casa sua stasera, e perdoni ancora se l’ho
disturbata a quest’ora -
Fuyuki
lo salutò con garbo - Ma le pare; sono sicuro che avremo modo di rivederci
anche prima del torneo. Si riguardi -
Ohki-san
uscì dalla casa assaporando la piacevole brezza di quella calda sera d’estate.
Sospirando, alzò la testa rivolgendo lo sguardo alle stelle, e si disse che,
forse, quella sera avrebbe anche potuto evitare il cicchetto della buona notte.
Akito,
suo padre e la sorella avevano preso di nuovo posto a sedere sul divano del
salotto. La televisione stavolta era spenta e tutti e tre aspettavano in
silenzio il momento giusto per parlare.
-
Sembra un uomo migliore di quanto appaia - osservò Natsumi
-
Ha abbandonato la famiglia. Si è ritrovato senza un soldo, e adesso sta
cercando un modo per uscirne; è fortunato ad avere un figlio che si prenda cura
di lui, nonostante non lo meriti - rispose Akito.
-
Tutti possiamo sbagliare, nella vita - gli fece notare suo padre con una punta
di disagio, dovuta certamente alla delicatezza del discorso che stavano
affrontando - Ma è confortante sapere che voglia rimediare ai propri errori -
aggiunse imbarazzato.
Hayama
non poté fare a meno di ricordare che anche loro, un tempo, erano stati una
famiglia divisa e segnata dal dolore. Il rapporto difficile che aveva avuto con
la sorella e con il padre lo avevano profondamente destabilizzato durante
quegli anni bui.
Il
ragionamento lo portò ad apprezzare ancora di più il cuore d’oro di Tsuyoshi,
che nonostante le avversità, aveva messo da parte il risentimento nei confronti
del padre, per aiutare lui e la sua famiglia.
Gli
venne da chiedersi come avrebbe reagito lui, al posto dell’amico, se a trovarsi
in difficoltà durante quegli anni bui, fosse stato uno dei suoi parenti.
Per
fortuna, aveva avuto Sana al suo fianco, ad aiutarlo e a riportare la serenità;
decise allora che Tsuyoshi avrebbe avuto lui.
Quel
pensiero lo spinse di nuovo a domandarsi come mai Sana non avesse risposto alla
telefonata fatta mezz’ora prima. Avrebbe voluto ritentare, ma l’ora tarda lo
fece desistere. Tuttavia, uno spiacevole presentimento gli tenne compagnia per
tutta la notte.
Sana
non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare alla lite con Rei e alle
parole dure che si erano rivolti quella sera.
Ancora
stesa nel letto con indosso una leggera sottoveste, guardava fissamente lo
schermo del proprio cellulare dove lampeggiava la chiamata persa da parte di
Hayama.
Avrebbe
tanto voluto rispondergli; ma una sorta di blocco psicologico dovuto agli
avvenimenti di quella sera l’aveva portata ad ignorare la telefonata.
Quella
notte, la ragazza rifletté a lungo senza chiudere occhio sul da farsi. Poco
prima dell’alba, decise che al più presto avrebbe parlato al ragazzo,
nonostante la prospettiva le incutesse una strana paura che non sapeva
spiegarsi.
“Non
posso più esitare; adesso devo capire” si disse girandosi nel letto per
l’ultima volta prima di cedere alla stanchezza. Il suo, fu un sonno agitato. Di
nuovo, l’incubo della bambola tornò a manifestarsi con la sua terrificante
presenza, facendola piangere nel sonno.
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