L'ultima risorsa

di RisinG
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una nota di nostalgia ***
Capitolo 2: *** L'articolo ***
Capitolo 3: *** Il torneo di arti marziali ***
Capitolo 4: *** Il piano ***
Capitolo 5: *** Una panchina ***
Capitolo 6: *** Doppio Confronto ***



Capitolo 1
*** Una nota di nostalgia ***


Una nota di nostalgia

Capitolo 1 - Una nota di nostalgia

 

Ndr 12/09/15 Rispetto alla prima pubblicazione, sono state apportate alcune correzioni generali; nella fattispecie al nome di Satomi, che ho scoperto essere femminile e quindi trasformato in “Hitoshi”. Chiedo venia per l’errore, nei prossimi capitoli presterò maggiore attenzione.

***

Nonostante i valori della diligenza e devozione al lavoro gli fossero stati inculcati sin dall’infanzia, Hitoshi san non reggeva più la vista di quella enorme montagna di scartoffie che da settimane gli impediva di rincasare ad un orario decente; e quella sera non si annunciava diversa dalle altre. Sbuffando appena, impercettibilmente, prese a massaggiarsi le tempie doloranti; la dolce brezza serale di inizio estate proveniente dall’esterno della finestra aperta gli regalò un attimo di pace, ma non bastò a distrarlo dal pensiero della reazione che sua moglie avrebbe avuto dopo l'ennesimo ritardo a cena. Certamente non sarebbe stata docile e sottomessa quanto lei stessa era stata in passato, ai tempi del loro matrimonio.
Eppure, nonostante questi tormenti gli rendessero difficile concentrarsi, mai avrebbe consentito ai propri problemi personali di frapporsi tra se stesso e il lavoro. I suoi superiori lo avevano reso responsabile dell'organizzazione di un evento assolutamente maestoso; e lui avrebbe volentieri preferito il suicido anziché deluderli con un fallimento.
La soddisfazione di aver ricevuto un incarico così importante lo fece fremere di orgoglio e per un momento dimenticò la moglie insoddisfatta, il figlio atteso invano per anni ed il suo stipendio appena dignitoso se paragonato a quello di colleghi meno capaci di lui.
“Forse questa sarà la volta buona”, pensò sollevando la testa mentre esaminava l’ennesimo modulo da compilare, “Stavolta, non potranno ignorare i risultati eccellenti del mio lavoro”, e gli apparve così verosimile la prospettiva di una promozione, che prese a lavorare con rinnovato vigore approfittando degli ultimi raggi di sole che penetravano ancora nella stanza. Mai lo sfiorò, quella sera, l’idea che la sua consorte, così devota eppure così sola nella piccola casetta di periferia, avrebbe preferito averlo a cena tutte le sere piuttosto che promosso. Quando finalmente rincasò, era già tardi e lei fingeva di dormire; lo sentì distendersi nel letto al suo fianco, ma non si girò verso di lui.
 
 
Reiko Matsuda vide il pugno del combattente che le stava di fronte, giungerle con sorprendente chiarezza, e le fu facile evitarlo spostando appena il proprio peso sulla gamba sinistra e abbassandosi leggermente. Nel farlo, fu così rapida che il suo avversario non ebbe il tempo di ricomporre la guardia e questo errore gli fu fatale : Con un ampio movimento del braccio lo colpì al fianco destro in modo da togliergli il fiato; e quando lui si trovò completamente scoperto, lo centrò in pieno petto con un colpo veloce e preciso. L’atleta, che quel giorno era sceso in campo con incrollabile fiducia nella propria superiorità di genere, e fermamente convinto che combattere contro una ragazza non fosse una prova degna del suo talento, crollò invece miseramente al tappeto senza più le energie per rialzarsi. Immediatamente, lo stupore degli spettatori si trasformò in applausi indirizzati all’inaspettata vincitrice dell’incontro, quella ragazza dallo sguardo fiero e dal fisico leggero e veloce.
Mentre si apprestava ai rituali inchini che celebravano la fine della gara e stringeva la mano al suo sconfitto e mortificato avversario, tutto ciò che le venne da pensare fu che da troppo tempo non aveva modo di misurarsi con un degno lottatore. Si avviò verso gli spogliatoi con passo deciso sotto gli sguardi ammirati del pubblico maschile del Wilmington Karate Club di Los Angeles. Nel corridoio l’attendeva suo padre, Gonshiro Matsuda, con le braccia conserte e la sua stessa espressione altera; non ebbero bisogno di scambiarsi parole poiché lui la anticipò sul tempo
- Direi poco più di una passeggiata -
- Mpf - fu tutto ciò che ebbe a replicare Reiko, e proseguì diretta alle docce. Quando si ritrovarono all’uscita della palestra, il cielo era dipinto dei colori del blu, ma le sfavillanti luci della città intorno a loro tingevano l’aria di un’atmosfera dinamica e incoraggiavano a perdersi tra la moltitudine della folla e dei locali circostanti, nonostante l’orario tardo.
Casa loro era poco distante da lì, così si incamminarono a piedi, l’uno accanto all’altra, in silenzio.
Fisicamente, non si assomigliavano molto, poiché Reiko aveva ereditato i lineamenti gentili del volto, il color ambrato dei capelli e il corpo atletico dalla madre; ma i suoi profondi occhi castani, dai quali saettava lo stesso sguardo penetrante e austero del padre, lasciavano pochi dubbi sull’identità del loro legame; uguale era pure il loro portamento sicuro.
Attraversarono a passo rapido il boulevard.
- Potremmo mangiare qualcosa - propose l’uomo – Che ne diresti di uno strappo alle regole? Hai combattuto bene stasera -
Reiko, che aveva lo sguardo pensieroso, impiegò qualche secondo prima di rispondere – Non ho fame, andrò direttamente a dormire; Ho intenzione di riprendere gli allenamenti già domattina –
Il padre tentò una debole protesta - Questo programma che segui…Non sarà eccessivamente severo? Ricorda che il riposo…-
- …E’ altrettanto importante che l’allenamento – concluse lei al posto suo, sforzandosi di trattenere un sorrisetto – Strano che sia proprio tu a dirmelo, abbiamo preparato insieme la mia scheda atletica –
- Ammetto che all’epoca non pensavo che saresti mai riuscita a seguirla integralmente – confessò Gonshiro sorridendo di fronte all’occhiataccia di risposta che si ebbe dalla figlia – Ma è stato comunque interessante seguire i tuoi progressi – aggiunse appoggiandole una mano sulla spalla.
La ragazza corrucciò la fronte prima di sorridere anch’ella – Ecco perché ho faticato tanto…Ma non ti avrei mai dato la soddisfazione di chiederti di mitigarmi gli allenamenti –
- Lo credo bene, sei mia figlia – rispose lui, semplicemente.
Continuarono a camminare finché non furono giunti all’ingresso della loro abitazione, e fu in quel momento che Gonshiro ebbe uno dei suoi rari attimi di esitazione.
Da tutta la sera desiderava rivolgerle una domanda, ma il carattere estremamente riservato della ragazza, così simile al suo, unito al timore di una reazione potenzialmente esplosiva, lo aveva dissuaso dal tentare senza prima aver colto il momento giusto, e quello gli parve il migliore della giornata.
Sorrise tra sé e sé poiché l’indecisione era stata una sensazione a lui sconosciuta fino a qualche tempo prima; ma da quando Reiko era cresciuta, le cose erano cambiate.
- Avanti, dimmi a cosa stai pensando – lo esortò lei inclinando leggermente la testa come faceva sempre quando notava qualcosa di insolito.
Gonshiro sospirò, deluso di non aver saputo mascherare meglio la sua incertezza, poi si risolse a chiederle francamente – Mi domandavo se avessi ricevuto più notizie da Hayama –
Come aveva previsto, lo sguardo della fanciulla passò immediatamente dalla curiosità al fastidio – No, e non ho intenzione di riceverne – fu la secca replica.
L’irruenza della risposta di sua figlia lo indusse ad esprimersi senza più curarsi di essere delicato - Reiko, non dovresti essere così severa -
Si aspettava una reazione violenta, che stranamente non giunse; invece lei lo fissò dritto negli occhi - Non penso affatto di essere severa, ho i miei motivi per comportarmi così -
- Non ho dubbi - convenne il padre - Sei una ragazza intelligente e volitiva, abituata a riflettere prima di agire; ma sei anche orgogliosa come me, e a te stessa non puoi mentire : Conoscevi fin dall’inizio la situazione, e sapevi che prima o poi sarebbe rientrato a Tokyo; ciò nonostante, mi sembra che tu non riesca proprio a perdonarlo e che lo abbia preso come un torto personale -
Reiko si voltò a guardare la strada, cosciente della verità di quanto le era stato appena detto da suo padre, che pure conosceva solo una parte della storia; il pezzo mancante, per quanto potesse intuirlo, non sarebbe stato certamente lei a rivelarglielo. Ma era testarda per natura e quindi insistette - Tornare a Tokyo non era necessariamente l’unica scelta che avesse; e inoltre dal giorno della sua partenza ha agito in modo tale da troncare i nostri rapporti, perciò non c’è altro da aggiungere -
Gonshiro fece un ultimo tentativo prima di aprire il portone di casa - Sono pronto a scommettere che ti manca combattere contro di lui -
Una nota di nostalgia velò appena i grandi occhi della ragazza - Era l’unico che valesse qualcosa, e abbastanza intelligente da capire subito che non doveva abbassare la guardia e trattarmi alla pari di un atleta maschio - concluse prima di dirigersi verso la sua stanza senza aggiungere altro.
Era vero, Hayama era stato il solo contro cui le fosse piaciuto davvero combattere, uno dei pochi in cui aveva scorto lo spirito del vero karateka. Quando si muoveva sul ring aveva una resistenza ed una forza d’animo che conquistavano il cuore e gli occhi di chi lo osservava. Niente avrebbe potuto distoglierlo dal suo obiettivo; era una persona che nel karate infondeva parte della propria vita, ed era difficile anche solo sperare di poterlo fermare.
Eppure, la prima volta che lo vide presentarsi alla palestra del padre, non avrebbe mai pensato che quel ragazzino biondo dalla faccia ostinata e dal braccio destro paralizzato potesse competere in quel mondo alla pari dei normodotati. Era sicura che, come altri prima di lui, si sarebbe presto destato dal sogno e avrebbe abbandonato quell’idea folle per dedicarsi ad altro; tuttavia ne ammirò il coraggio. Ciò nonostante, l’unica simpatia che potesse nutrire per Hayama all'epoca, era quella di condividere le medesime origini nipponiche e il destino di ritrovarsi in una terra straniera così diversa dalla loro.
Suo padre invece, più lungimirante di lei, era rimasto affascinato dalla caparbietà del biondino, e aveva scorto al di là di essa una forza tenuta volutamente nascosta; ma questa sensazione, da sola non sarebbe bastata per convincerlo a fargli da maestro : Occorreva prima che il ragazzo fosse messo alla prova, e che la superasse.
Reiko ricordava bene quel giorno; Hayama, privo di qualsiasi allenamento e senza conoscere nulla sui metodi di combattimento del padre, venne invitato a misurarsi contro uno degli allievi più promettenti in un regolare match; com’era prevedibile, perse l’incontro, ma non prima di aver impegnato duramente il proprio avversario per 8 riprese senza che questi riuscisse a domarlo.
Gonshiro aveva osservato la gara; quando Akito era stato sconfitto aveva sorriso, e, senza esitazione, gli aveva comunicato che accettava di addestrarlo alla disciplina. Reiko aveva obiettato; non capiva perché ad Hayama dovesse essere risparmiata la lunga gavetta fatta di ore di esercizi e preparazione in solitudine che era spettata invece a tutti gli altri, lei compresa, e gli fosse stata invece subito riconosciuta una preparazione speciale.
Dapprima, lo aveva odiato per questo, e aveva tentato in tutti i modi di fargli percepire questo suo sentimento sottoponendolo al doppio delle fatiche ogni volta che il padre lo spediva ad allenarsi nella zona della palestra di sua competenza; inoltre, non perdeva occasione per rimproverarlo anche di colpe non sue.
Ma Akito aveva retto alla prova; e con il tempo, con la dedizione, mese dopo mese, aveva recuperato quasi completamente l’utilizzo dell’arto destro e colmato la distanza che lo separava dagli altri atleti, confermando così l'avvedutezza della scelta di Gonshiro. Infine, anche la stessa Reiko dovette riconoscere le eccezionali qualità di quel ragazzo tenebroso e taciturno, e fu meravigliata di riscoprirsi affascinata e desiderosa di conoscerlo in modo sincero. Ben presto, mise da parte tutti i suoi rancori, anche se mantenne una certa diffidenza ancora per qualche tempo.
Questi ricordi destarono in lei una spiacevole sensazione di sconforto poiché sapeva che non lo avrebbe forse mai più rivisto; decise così di andare a letto.
Nonostante avesse appena disputato un incontro, però, non riusciva a prendere sonno.
Prese a rigirarsi tra le lenzuola senza trovar pace, finché capì che sarebbe stato inutile insistere e decise di uscir fuori della terrazza a prendere una boccata d’aria. Dall’alto del proprio appartamento, osservava le luci della città risplendere come fuochi ardenti di fronte a lei, e poteva facilmente udire il rumore appena smorzato dei clacson delle automobili che, come formiche, pullulavano le affollate strade del centro di Los Angeles.
Reiko sospirò, prima di scorrere con lo sguardo l’intera strada e posare i propri occhi su una panchina solitaria alla fine di essa.
Le tornò alla mente un episodio risalente alla permanenza di Hayama, legato proprio a quella panca; in modo del tutto simile al padre, abbassò la testa e sorrise tra sé e sé.

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Capitolo 2
*** L'articolo ***


l'articolo

Capitolo 2 - L’articolo

 

Ndr 14/09/15 Si conferma la tradizione che vuole il secondo capitolo come molto più difficile da elaborare rispetto al primo; la stesura ha richiesto infatti il doppio del tempo. Potrete notare la presenza di note a piè di pagina; mi sono chiesto se chiunque leggesse fosse a conoscenza degli equivalenti giapponesi dei nomi dei personaggi principali. Dal momento che mi ispiro al manga, ho usato gli originali. Se qualcuno dovesse avere delle difficoltà, non esiti a scrivermi. Buona lettura.

 

***

 

Se Ohki[1] san non fosse stato un uomo solitario, egoista ed assolutamente anaffettivo, probabilmente avrebbe trovato sul suo cammino almeno un amico pronto a metterlo in guardia dalla inevitabile bancarotta che lo avrebbe atteso, qualora avesse investito tutti i suoi risparmi nella costruzione di una ennesima palestra di karate proprio a Tokyo.

Nessuno però si era dato pena di preoccuparsi per lui, così l’incubo del dissesto finanziario si era rapidamente trasformato in realtà e le ingiunzioni di pagamento bancarie erano divenute la costante di ogni fine mese. Nonostante fosse avvilito, ricordava di aver desiderato ardentemente la realizzazione di quel sogno che inseguiva dagli anni della gioventù e a cui aveva dovuto rinunciare quando era nato Tsuyoshi. Ma il destino gli si era opposto, e lungo il tunnel della disperazione nel quale era precipitato, era giunto al punto di non distinguere più la luce, sebbene tentasse di ingannarsi mentendo a sé stesso e ricorrendo a dosi sempre maggiori di alcol.

Nonostante i suoi difetti lo avessero reso inavvicinabile come persona e inaffidabile quasi sotto ogni punto di vista, per una sorta di strano paradosso, non dimenticava mai di versare puntualmente ogni mese la quota di alimenti che spettava alla sua ex-moglie e ai figli.

Tuttavia, se la fortuna avesse continuato a voltargli le spalle, presto avrebbe dovuto venir meno anche a quell’ultimo, sacro dovere.

Era questa grave preoccupazione che più di ogni altra lo affliggeva mentre si apprestava a chiudere il locale vuoto e dall’aspetto tetro.

Come unico lusso della giornata, si concesse l’acquisto di un quotidiano serale dall’unico edicolante aperto a quell’ora; poi andò alla stazione giusto in tempo per il treno delle 21.

Seduto all’interno del vagone, ripensò ai propri fallimenti, al rapporto difficile con il figlio maggiore e a quello perduto con la moglie; realizzò subito quanto inutile fosse sperare di contare sul loro aiuto. D’altronde, aveva ben poco di cui meravigliarsi, considerata la sua inspiegabile fuga di qualche anno prima, seguita da un divorzio complicato e dall’abbandono ingiustificato dei propri bambini.

Con il senno di poi, il pentimento per quelle scelte irrazionali era diventato insopportabile.

La voce robotica, che annunciava la fermata ovest di Shinjuku, lo destò dai propri pensieri. Scese dal mezzo pubblico, attraversò a piedi il quartiere e finalmente fu a casa. Nell’avvicinarsi all’ingresso, notò subito, inchiodato al centro della porta, un fascicolo bianco la cui dicitura principale “Final Notice”[2], lasciava poco spazio a fraintendimenti. Con mano tremante, strappò i fogli e si precipitò in casa chiudendo violentemente il portone alle spalle. La vergogna e l’umiliazione al pensiero che chiunque fosse passato di lì sapesse delle sue disgrazie, lo fecero star male. Prese la bottiglia che gli aveva tenuto compagnia la sera precedente, dal frigorifero; sedette sfinito sul divano e cominciò a bere voluttuosamente.

L’annebbiamento che gli diede l’alcol fu immediato e questo lo calmò, ma non poté risparmiarsi di piangere quando posò lo sguardo stanco sul ritratto della famiglia che da qualche mese teneva esposto sul comodino.

Il sonno si impadronì improvvisamente di lui; scivolò lentamente dal sofà e cadde a terra con un tonfo sordo. Si rese conto di non avere altre speranze e di essere un uomo finito; l’ultimo suo gesto cosciente fu scrutare uno degli articoli presenti sul giornale che aveva acquistato poco prima. Il suo cervello registrò una informazione importante, ma il corpo non ebbe la forza di reagire; chiuse gli occhi e si abbandonò.

 

 

 

Sebbene due anni di permanenza a Los Angeles lo avessero reso più british nel modo di vestire, Akito Hayama non aveva smarrito quella sua aria da ragazzo di strada che lo rendeva poco caro ai vicini. Per giunta, la fama di essere stato un adolescente problematico ed incline alla violenza, continuava a inseguirlo e a precederlo in qualunque cosa facesse.

La natura irruente e risoluta del suo carattere però, rappresentava una barriera impermeabile a qualsiasi pregiudizio, così non si curava dell’opinione altrui. E tutto sommato, tolte quelle inezie, le cose procedevano nel migliore dei modi sin dal giorno del suo rientro, avvenuto 6 mesi prima.

La vita aveva ripreso a scorrere inaspettatamente come se nulla fosse cambiato, una cosa che aveva meravigliato persino lui stesso.

Sollevato dall’aver ritrovato Sana, Hayama aveva dimostrato a tutti di essere molto cambiato in fatto di scelte, a partire da quella del liceo, che era stata felice, e assolutamente non dettata dal caso.

Il suo interesse per la fisioterapia e l’agopuntura andava di pari passo con la passione per lo sport della sua vita; di conseguenza, seguire le lezioni non rappresentava più, come in passato, una tortura alla quale adattarsi malvolentieri, bensì un piacere da approfondire anche dopo l’orario.

Con l’arrivo delle vacanze estive e la fine degli esami però, aveva deciso di riprendere anche gli allenamenti che Gonshiro aveva stabilito per lui quando era in America.

Della sua permanenza a L.A. aveva parlato molto poco, e fortunatamente tutti avevano associato la cosa esclusivamente ai tratti schivi e ben noti del suo carattere introverso. Ben presto, avevano smesso di fare domande.

Nel complesso, Akito era convinto di aver avuto un’ottima idea a tacere, soprattutto con Sana; parlare le avrebbe soltanto procurato inutili ansie e messo in testa strane idee, il che avrebbe provocato un fiume di fastidiose domande, le quali sarebbero a loro volta degenerate in litigi.

Messa così, la faccenda lo rendeva insolitamente fiero di sé stesso e lo convinceva di essere diventato un uomo maturo e coscienzioso.

Ma i sensi di colpa per aver abbandonato Reiko non avrebbero ceduto facilmente il passo a un autocompiacimento personale che di maturo aveva ben poco, e di tanto in tanto lo tormentavano.

Quel giorno in particolare, decise di metterli a tacere proprio andando ad allenarsi; così cominciò l’usuale maratona della città.

Mentre correva, gli venne in mente l’invito a cena che Sana aveva diramato a tutti gli amici più intimi per quella sera stessa; per festeggiare l’inizio delle vacanze in modo gioioso, gli aveva confessato con aria sognante la settimana prima.

Le labbra gli si incurvarono in quello che aveva la pretesa di essere un sorriso, ma che agli occhi altrui era sempre risultata come una smorfia appena accennata : “Che tipa, non cambierà mai”.

Seguitando a correre però, altri pensieri presero ad affollargli la testa; l’istinto lo spinse a guardare il proprio braccio destro.

Convivere per due anni con quell’arto paralizzato sarebbe stata una tortura severa per qualsiasi stoico, figurarsi per un tipo come lui.

Ricordava i primi, terribili mesi della sua esperienza nella città degli angeli come il periodo più buio della propria esistenza : Ferito, isolato, distante dagli amici e soprattutto da Sana, cui lo mantenevano legato solo il debole filo della speranza di un ritorno a casa e un numero a cui telefonare ad orari improbabili; sulle prime, aveva pensato di essere spacciato. Poi Gonshiro e Reiko erano entrati a far parte della sua vita, e grazie a loro aveva scoperto un mondo nuovo da cui attingere motivazioni fino ad allora sconosciute.

L’incontro con padre e figlia era avvenuto circa 7 mesi dopo il suo arrivo in terra straniera, mentre era ancora impegnato nella fisioterapia di recupero a seguito dell’intervento alla mano.

Aveva sentito parlare della famiglia Matsuda da un compagno appassionato come lui di karate, durante le lezioni di inglese alla scuola serale. Incuriosito,  si era recato alla loro palestra dopo aver ottenuto il benestare del medico curante. Certo, avrebbe potuto evitare di lasciarsi convincere a disputare un incontro regolamentare seduta stante, ma quella proposta così diretta e risolutiva gli era piaciuta e aveva accettato prima ancora di rendersene davvero conto.

Credeva che il padre di Reiko non lo avrebbe allenato dopo la sconfitta, invece questa previsione venne smentita dai fatti, e il percorso che avevano intrapreso insieme da quel giorno era stato avvincente. Akito aveva imparato di più sul karate in un anno che non in tutta la sua esperienza precedente, sperimentando tecniche tanto innovative quanto ardue. Insieme lui, Gonshiro e Reiko avevano elaborato un rivoluzionario stile di combattimento che avrebbe potuto cambiare per sempre l’interpretazione ufficiale della disciplina. Nei loro progetti per l’immediato futuro, avrebbero dovuto esportare all’estero i loro metodi inediti in una serie di competizioni ufficiali per cui la famiglia Matsuda si era già aggiudicata la partecipazione. L’ambizione che aveva provato durante quei giorni meravigliosi fatti di allenamenti estenuanti e scontri avvincenti, lo aveva quasi portato a dimenticare tutto quanto lo legasse al Giappone, a dimostrazione di quanto la distanza e il tempo possano logorare anche il più inossidabile dei legami. Tuttavia, non aveva potuto dimenticare Sana.

Quando era tornato, ritrovarla era stata la cosa più naturale del mondo, per lui, ma non avrebbe mai dimenticato l’espressione ferita di Reiko e quella tristemente comprensiva del padre, nel momento in cui aveva comunicato loro la sua partenza.

Gonshiro, dall’alto della sua età ed esperienza, pur se triste per la perdita dell’allievo, aveva annuito e compreso. Reiko, no.

Testarda, ribelle, forte, determinata, aveva tentato di dissuaderlo dall’abbandonarli e di portare avanti il progetto che stavano costruendo, ma Akito era stato irremovibile. Quello che era accaduto, in seguito, era un segreto che avrebbe custodito gelosamente.

Pensava ancora a Reiko, quella stessa ragazzina che lo aveva disprezzato una volta deciso di lasciarli e che insieme era stata la persona a dargli più filo da torcere all’inizio della sua esperienza alla palestra Wilmington.

Nei primi tempi, sembrava proprio che lo odiasse; ma in seguito il legame che aveva sviluppato con lei si era rivelato forte al punto di sorprenderlo.

 

Senza rendersene conto, aveva corso più a lungo di quanto fosse abituato a fare da un pezzo, per cui si ritrovò senza fiato all’altezza del quartiere ovest di Shinjuku. Si appoggiò ad una panchina e prese ad asciugarsi la fronte dal sudore. Dall’altra parte della strada non poté fare a meno di notare la facciata lugubre della palestra che lui sapeva essere gestita dal padre di Tsuyoshi, in quel momento chiusa al pubblico.

Da qualche tempo si era ritrovato a paragonare i luoghi ginnici in cui si imbatteva con la struttura moderna ed efficiente dei Matsuda a Los Angeles, e anche questa volta non poté evitare il confronto.

Nel constatare le ovvie differenze di qualità e stile, uno sguardo sprezzante gli si dipinse sul volto. Si girò sui tacchi, e prese nuovamente a correre diretto verso casa; doveva sbrigarsi, o avrebbe perso la cena, con la prevedibile conseguenza che Sana gli avrebbe dato il tormento.

 

 

 

 

 

 

***



[1] Cognome giapponese del padre di Tsuyoshi, ovvero Terence nell’edizione italiana

[2] Ingiunzione di pagamento finale, sfratto

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Capitolo 3
*** Il torneo di arti marziali ***


il torneo di arti marziali

Capitolo 3 - Il torneo di arti marziali

 

Ndr 19/09/15 Avrei dovuto intitolare il terzo capitolo “Finalmente Sana”. Ho aspettato a lungo prima di introdurla perché sapevo che sarebbe stato difficile realizzarlo. Sana è il personaggio a cui resto più legato, e la sua psicologia complicata, fatta di un alternarsi continuo tra momenti di gioia e nostalgia, rende difficile scrivere e descrivere bene i suoi mutevoli stati d’animo.
Ho tentato di impreziosire il capitolo con più dialoghi; non a caso, proprio la comparsa della protagonista trasforma il tono dal serio quasi tetro delle pagine precedenti a quello leggero e spensierato tipico del suo modo di essere. Buona lettura, e se doveste avere qualche appunto o suggerimento, non esitate a recensire.

 

***

 

Memore degli “esplosivi” esperimenti precedenti, Misako Kurata[1] avrebbe preferito che non fosse sua figlia ad occuparsi dei preparativi della cena di quella sera, ma Sana aveva insistito al punto da sfinirla, e alla fine l’aveva spuntata. Pertanto, quando sentì aprirsi la consueta danza di urla e viavai di gente che accorreva preoccupata, timorosa che la ragazza avesse nuovamente usato il lievito al posto della farina, decise di ignorarla; e che ciò le servisse da lezione.

Tuttavia la sua vocazione e professione di scrittrice, la rendevano anche una incontenibile curiosa, e non appena Rei[2] fu di passaggio nel corridoio si precipitò a chiedergli cosa stesse accadendo al piano di sotto; lo vide completamente coperto di farina e questo le diede modo di farsi un’idea.

- E dimmi, almeno mia figlia è ancora viva? - chiese con garbo - O forse, sarebbe più opportuno chiederti se esiste ancora una cucina? -

Il manager di Sana allargò le braccia con fare sconsolato e tutto ciò che riuscì a dire fu - C’è voluto un po’ ma sono riuscito a convincerla a lasciarsi aiutare dalla signora Shimura[3], tuttavia temo che il frullatore ci abbia abbandonato per sempre - concluse sconsolato.

Misako san aprì il ventaglio per mascherare il sorrisetto beffardo che le si era stampato in volto.

- Faresti meglio a cambiarti; ma bada bene di non accostarti alla cucina di nuovo prima che sia tutto finito -

L’uomo abbassò la testa, sconfitto, riconoscendo la saggezza di quel consiglio e commiserando il destino di trovarsi in quanto unico uomo della casa, solo nella lotta alla sopravvivenza contro l’imprevedibilità di madre e figlia.

 

 

Sana era in piedi davanti al grande forno nero con lo stesso fuoco negli occhi di un esploratore che approda alla scoperta del suo personale sacro Graal dopo anni di fatiche e ricerche infruttuose.

I capelli color rame raccolti in una coda di cavallo, il viso completamente coperto di farina bianca e un grembiule che pareva sopravvissuto all’esplosione di una bomba, erano i testimoni della lunga battaglia che aveva sostenuto contro i fornelli, e in quel momento delicato esibiva una fanatica espressione di vittoria. Dietro di lei, una impaurita quanto sconfortata signora Shimura, già si accingeva a porre rimedio ai danni ingenti che aveva causato. Il momento della verità era vicino.

Sana puntò il dito contro il dispositivo elettrico - Mi hai procurato dolori e sofferenze oltre ogni immaginazione, adesso sapremo; signora Shimura, quanto manca ancora? -

La donna giunse le mani a mo’ di preghiera.

- Sana chan, ti prego, non devi essere così impaziente; occorre aspettare ancora qualche minuto prima di toglierli dal forno -

La ragazza accolse quella notizia con uno sbuffo sonoro; decisamente, si chiedeva troppo alla sua limitata pazienza.

La frustrazione però non durò a lungo; la gioia che provava per aver preparato il suo primo dango di Hokkaidō[4] soppiantava qualunque altro sentimento. “Li farò assaggiare ad Hayama”, si disse tutta contenta battendo le mani.

Tuttavia, nel compiere questo gesto la sua attenzione ricadde sull’orario indicato dall’orologio, e quel che ne seguì fu un boato che fece immediatamente pensare ad un’altra esplosione.

- Sono in ritardo clamoroso ! Signora Shimura, la prego, provveda lei a togliere i dango dal forno quando saranno pronti -

Sfinita dopo quella estenuante sessione culinaria, alla signora non restò che annuire.

- Certamente, me ne occuperò io, adesso corri a prepararti, gli ospiti saranno qui a…- ma la vide precipitarsi fuori dalla stanza prima di avere avuto modo di concludere la frase. Sospirando di fronte a quelle estreme manifestazioni di eccentricità, tornò ai suoi doveri di domestica.

 

 

 

Il tempo che Sana dedicò alla preparazione e abbellimento della propria persona fu a stento la metà di quanto ne avesse speso per imbandire la cena. Per la verità, in questo le fu di grande aiuto la sua naturale bellezza fisica, la quale non esigeva artifici o cosmetici che ne esaltassero l’avvenenza.

Durante quegli ultimi mesi, il corpo le si era slanciato definitivamente e aveva assunto le fattezze di quello di una giovane donna.

Le gambe, prima semplicemente snelle, apparivano ora ancora lunghe, ma dalle curve più pronunciate e morbide; la bocca aveva assunto la delicata forma di un arco di cupido e i graziosi lineamenti del volto erano divenuti più maturi. Solo il seno, pensò lei con una piccola nota di disappunto, era rimasto immune alle trasformazioni fisiche che avevano interessato il resto del suo corpo. Hayama ne avrebbe sicuramente approfittato alla prima occasione buona per darle il tormento, si disse con aria divertita.

Quando ebbe terminata la toilette, le bastò indossare un delicato abito color crema su cui sciogliere i voluminosi capelli rame per raggiungere quello che a lei parve modestamente un risultato decente.

Il sorriso che elargì allo specchio le venne restituito dalla propria immagine riflessa.

Questo le servì ad allontanare il triste ricordo dei tempi in cui, malata psicologicamente, aveva perduto temporaneamente la capacità di mutare le espressioni facciali. Tormenti che anche a distanza di anni, non l’avevano mai abbandonata del tutto.

Le capitava ancora di sognare di essere diventata una bambola senza mimiche, abbandonata su una sedia al centro di una stanza buia e vuota e condannata a trascorrere il resto dei suoi giorni a cantare sottovoce una triste melodia di aiuto, che nessuno avrebbe però mai udito.

Questo incubo ricorreva con cadenza regolare ogni paio di settimane. Non potendo sopportare di non parlarne con nessuno, alla fine lo aveva rivelato ad Hayama, e lui l’aveva esortata a chiamarlo senza esitazione, a qualunque orario, ogni volta che le fosse accaduto di nuovo. Da quel momento, grazie al suo supporto, le capitava sempre meno spesso.

Molte volte si era domandata quale sarebbe stata la sua fine se Akito non  fosse corso in suo aiuto. Vero, la natura di quel male aveva le sue origini proprio nel trasferimento del ragazzo a Los Angeles; ma all’epoca lei era all’oscuro del fatto che le sole possibilità di guarigione della sua mano destra paralizzata  fossero oltreoceano.

Quando ci pensava, non poteva trattenersi dal provare un moto di sincero orgoglio per come avessero superato, insieme, una prova così difficile come la dolorosa separazione di due anni.

Per fortuna, quei giorni terribili erano passati ed il futuro le appariva, in quel momento, roseo e sgombro da inquietudini.

Dal piano di sotto il suono del campanello la riportò bruscamente alla realtà; si girò con un sorriso verso la porta

- Sono arrivati ! -

Teneva particolarmente a quella cena : Era la prima dall’inizio dell’estate, ma soprattutto la prima dal ritorno in Giappone di Hayama, e nulla avrebbe dovuto comprometterla.

 

 

 

Tutti gli ospiti giunsero pressappoco allo stesso orario e vennero accolti nel grande salotto proprio come in passato. All’appello mancava il solo Hayama, inspiegabilmente in ritardo.

Sana notò subito la sua assenza, e se ne domandò il motivo, ma non ebbe tempo di ragionarci sopra, poiché i doveri di padrona di casa richiesero ben presto tutta la propria attenzione.

Dopo aver offerto da bere un aperitivo a tutti, cominciò a spostarsi da un lato all’altro della stanza intavolando conversazioni coi presenti e mantenendo viva l’atmosfera grazie alla briosità del suo carattere.

Di tutti gli invitati, l’unico che le parve essere stranamente avulso dal contesto, era Tsuyoshi, il quale pur sforzandosi di partecipare attivamente, non riusciva a mascherare un’aria di inquietudine.

Sana si avvicinò ad Aya Sugita[5] e la prese in disparte.

- Va tutto bene? Che cos’ha Tsuyoshi? -

La ragazza scosse tristemente il capo - Oggi ha incontrato suo padre, e credo abbiano avuto una discussione accesa -

Sana conosceva bene la situazione famigliare dell’amico, che sin dalla separazione dei suoi accettava di malavoglia qualunque altro incontro con il genitore che non fosse strettamente indispensabile.

- Ti ha detto di che cosa hanno parlato ? - chiese apprensiva

- Non ha voluto, è tutto il giorno che provo a chiederglielo, ma si ostina a non rivelarmi nulla - rispose Aya calando la testa.

Nella mente di Sana presero forma le idee più contorte, tuttavia cercò di non lasciarle trapelare e tentò di rassicurare l’amica.

- Non devi avere paura Aya, Tsuyoshi è un ragazzo responsabile, e sono sicura che ti rivelerà tutto appena sarà pronto ad affrontare l’argomento, magari questa è solo una reazione temporanea -

Sugita scosse nuovamente la testa - Non credo, finora non mi ha mai taciuto nulla a proposito del padre, questa volta dev’essere accaduto qualcosa di grave -

- Allora ti aiuterò io a farlo parlare - concluse Sana mantenendo la calma - Ti chiedo solo di aspettare che la cena sia conclusa, va bene ? -

Aya annuì riconoscente; in quel momento il campanello suonò di nuovo ed Hayama fece la sua apparizione all’interno della casa.

L’ingresso del ragazzo colse Sana impreparata e la lasciò interdetta perché avrebbe voluto che lui trovasse lei ad accoglierlo alla porta anziché la signora Shimura, ma il suo ritardo e quella conversazione inaspettata l’avevano distratta.

Subito gli si precipitò incontro, indecisa se salutarlo con un bacio o un rimprovero; alla fine optò per entrambe le opzioni; era ancora teneramente ingenua ed inesperta sulla gestione di un rapporto di coppia, tuttavia faceva progressi.

- Sei in ritardo, Hayama-kun - esordì pizzicandolo su una guancia.

- Scusa, ho perso la cognizione del tempo - rispose lui poggiandole appena l’indice sulla pancia e facendola ridere per il solletico.

- Ho preparato un piatto speciale che ti sorprenderà ! -

Akito socchiuse gli occhi, diffidente - Sarebbe? -

Sana mise su un finto broncio - Non devi essere sempre così sospettoso sai? Il mio rapporto con i fornelli è in costante miglioramento -

Una leggera smorfia apparve sul volto del giovane - Sarà…Tu cerca soltanto di non avvelenarmi ok ? Non ho proprio voglia di trascorrere la serata con i mal di pancia -

L’insolenza di quella affermazione gli costò una scoppola affettuosa dietro la nuca, poi lo sguardo della ragazza si fece serio.

- Ho appena parlato con Aya, ci sono dei problemi -

- Che tipo di problemi ? -

- Pare che Tsuyoshi abbia visto il padre, oggi - esordì Sana tormentandosi nervosamente le mani

- Ah sì, quel pelatone… - fece di rimando Hayama che aveva avuto un unico, spiacevole incontro col padre dell’amico ai tempi del divorzio

Sana avrebbe riso se non fosse stata ancora turbata - Sì, proprio lui…Ma non si sa che cosa si siano detti, e Sagita chan mi è sembrata molto preoccupata a riguardo; dice che Tsuyoshi non ha voluto rivelarle nulla; le ho promesso che più tardi mi impegnerò a fargli vuotare il sacco… -

Akito la interruppe schioccandole l’indice contro la fronte. 

- Ahia…ma che ti prende !? - si lamentò lei portandosi le mani alla testa - Perché mi hai colpita? -

- Stai agendo nuovamente di impulso e senza riflettere. Se vuoi davvero aiutarli devi aspettare che siano loro a lasciare un varco; intromettendoti così non farai che peggiorare le cose e alla fine non otterresti nulla -

La maturità di Hayama in quel frangente le risultò fastidiosa, ma dovette riconoscere che aveva ragione.

- Non ti sopporto quando fai l’adulto - rispose sbuffando - ma quello che dici mi sembra giusto, aspetterò un segnale -

Lui la gratificò di un leggero sorriso - Brava Kurata, e adesso che ne diresti di farmi assaggiare queste meraviglie ? Mi sento coraggioso stasera -

- Attento a te - rispose lei con un occhiolino - Potresti pentirtene -

 

 

Nonostante le aspettative non fossero alte, la cena si rivelò ottima, e Sana poté glorificarsi di una serie di inaspettati complimenti.

Fuka[6], in particolare, gradì molto le Takoyaki[7] che l’amica aveva preparato appositamente per lei.

- Sono davvero squisite - disse assaporandole - Non mi sarei mai aspettata tanto da te, allora è vero che sei migliorata ! -

Sana agitò modestamente la mano in segno di risposta - Suvvia non sono poi così buone, posso ancora migliorare -

Nessuno avrebbe mai dovuto sapere che buona parte di quei piatti non erano diventati cenere solo perché una premurosa signora Shimura aveva sacrificato tutto il pomeriggio seguendola passo passo e aiutandola in ogni fase della preparazione.

Akito mangiava silenziosamente i dango di Hokkakido, e questo le fece molto piacere, perché era sicura che fosse un buon segno.

- Che ne pensi, sono di tuo gradimento ? -

- Non mi dispiacciono -

Adorava quel suo modo di rispondere, pertanto la domanda era stata fatta con la precisa intenzione di sentirselo dire. Sorrise compiaciuta.

Ad un certo punto Hisae Kumagai[8] si rivolse direttamente al ragazzo.

- Hayama-Kun, pratichi ancora il karate non è vero ? -

Il ragazzo bevve lungamente dal proprio bicchiere prima di rispondere causticamente - No -

- Ma ti interessa tuttora o sbaglio ? - insisté lei

La scarsa tolleranza di Akito verso le domande incalzanti non era migliorata col passare degli anni - Perché me lo chiedi ? - Il tono era ancora educato, ma prossimo a divenire scontroso.

Sana aveva osservato l’evolversi della situazione con aria timorosa; da quando il suo fidanzato era tornato a Tokyo il discorso Karate era diventato una specie di taboo. Tutto ciò che le aveva confidato era di aver conquistato la cintura nera e di aver praticato la disciplina in una palestra specializzata di nome Wilmington Karate Club fino al giorno del suo rientro in Giappone, e che, da quel momento in poi, aveva deciso di dare la priorità unicamente agli studi.

Questa spiegazione non l’aveva mai pienamente convinta, ma aveva deciso di farsela bastare fino a quando Akito non fosse stato pronto a rivelarle il resto.

D'altronde, dovendo scegliere, preferiva gioire per il suo ritrovato interesse negli studi piuttosto che lamentarsi del superfluo. In quel momento, però, quell'argomento era tornato prepotentemente in gioco, e in modo del tutto inatteso.

Hisae-chan non si lasciò intimidire dall’espressione decisa di Hayama e proseguì con noncuranza - Se sei ancora appassionato, allora ti interesserà sapere del torneo… -

- Il torneo? - fece lui socchiudendo gli occhi

Tutta l’attenzione della tavolata si concentrò sulla ragazza, che parve apprezzare quell’attimo di notorietà.

- Sì, quest’anno si terrà in Giappone un importante torneo internazionale di arti marziali; pare si tratti di una manifestazione imponente e che vi parteciperà il fior fiore degli atleti di mezzo mondo - disse con voce emozionata e pettegola.

Tutti rimasero in apparenza molto colpiti dalla notizia, ad eccezione proprio di Hayama, abile come sempre nel non lasciar trapelare le proprie emozioni.

Sana lo osservò attentamente prima di rendersi conto che non era lui il solo a mantenere un atteggiamento distaccato.

Seduto dall’altra parte del tavolo, Tsuyoshi manteneva la testa bassa e si ostinava a guardare unicamente nel proprio piatto. Accanto a lui, Aya lo osservava con aria triste e comprensiva.

 

Hisae proseguì nel discorso - Credevo che la notizia avrebbe potuto interessarti, Hayama-Kun; infondo, questa era la tua passione… -

- Grazie per l’informazione, ma non mi interessa affatto - rispose lui riprendendo a mangiare e facendole capire che il discorso, almeno per quanto lo riguardava, era concluso.

Fuka invece aveva ancora qualcosa da aggiungere - Wow…ma ci pensate ragazzi? Potrebbe essere un avvenimento unico ! Hisae, quando si terrà il torneo ? -

La ragazza sorrise - Nel prossimo mese di Agosto; visto che sarà durante le vacanze, potremmo anche andare ad assistere -

La proposta riscosse ampi consensi, al punto che, per tutto il resto della cena, non si parlò di altro.

Sana si girò verso Akito - Non ti piacerebbe quantomeno assistere ? -

Lo vide riflettere e considerare l’ipotesi - Non lo so, non ci avevo pensato, onestamente; potrebbe essere un’idea -

Lei annuì convintamente - Potremmo andarci insieme; infondo, anche se hai abbandonato la disciplina non c’è niente di male ad interessartene... Potrebbe anche darsi che ti ritorni la voglia di riprendere - aggiunse con fare malizioso.

Hayama scosse la testa, ma si vedeva come la prospettiva esercitasse una certa presa su di lui.

- Questo lo escluderei; ma ad ogni modo, non hai completamente torto, ci penserò su -

Sana gli accarezzò il braccio e sorrise; era l’unica in grado di piegare la sua volontà inflessibile e l’idea che i suoi consigli gli stessero a cuore la riempivano di gioia.

 

 

Più tardi, terminata la cena e con la maggior parte degli ospiti sulla via del ritorno, Akito, Tsoyoshi e Aya si offersero di aiutare a sistemare e far pulizia.

Infine, si accomodarono sui comodi divani del soggiorno dove decisero di concedersi un’ultima coppa di gelato prima della buonanotte.

Fu allora che Tsuyoshi decise di rivelarsi, e lo fece nell’esatto momento in cui aveva programmato di farlo, sul finire della serata.

Lentamente, deliberatamente, si girò verso Hayama e lo supplicò con una gravità nella voce che mai nessuno aveva sentito fino ad allora.

- Ho bisogno del tuo aiuto -

Il silenzio scese tra i presenti, e lo stesso Akito fu talmente sorpreso da perdere per un istante la sua leggendaria sicurezza.

Tsoyoshi, invece, non tentennò, perché si era preparato ad affrontare quel discorso dalla mattina.

- Devi aiutarmi, e devi anche sapere che se rifiutassi, per me non ci sarebbe più speranza -

Hayama guardò istintivamente Sana e notò la preoccupazione trapelare dai suoi occhi quasi quanto da quelli di Aya.

Si girò verso l’amico, non senza una certa diffidenza.

- Sembra che tu abbia davvero bisogno di aiuto; spiegami che cosa è successo - gli chiese accavallando le gambe com’era solito fare quando c'era di mezzo un discorso serio, e quello aveva tutta l'aria di esserlo.

Il ragazzo sospirò prima di togliersi gli occhiali; appoggiò la testa allo schienale del divano, e cominciò a parlare.

- Questa mattina è venuto a cercarmi mio padre - disse massaggiandosi gli occhi - Non lo vedevo da molto tempo, così sono stato sorpreso di trovarlo fuori casa mia ad aspettarmi; ho persino corso il rischio di non riconoscerlo. Era completamente fuori di sé, puzzava di alcol lontano un miglio e anche quello che diceva non aveva molto senso. Nonostante il mio istinto mi suggerisse di starne alla larga, però, resta pur sempre mio parente e alla fine ho ascoltato quello che aveva da dirmi -

Si interruppe un momento, il tempo di bere un bicchiere di acqua e raccogliere le energie prima di raccontare la parte per lui emotivamente più delicata.

- Per farla breve - riprese - Mi ha detto di non avere più un soldo e che dal prossimo mese non potrà più permettersi di passare a mia madre la quota mensile con la quale siamo sopravvissuti sino ad oggi. C’è dell’altro, mi ha anche detto che probabilmente dovrà chiudere la palestra e che non può sperare di venderla perché sarà la banca ad appropriarsene come forma di risarcimento per il mutuo non onorato -

Aya, che aveva portato la mano alla bocca in segno di apprensione, appariva letteralmente sconvolta dalla gravità della situazione, che era assai peggiore di quanto avesse pronosticato in partenza.

Hayama, che pure aveva ascoltato pazientemente il racconto fino a quel momento, nutriva gli stessi timori per le sorti dell’amico, tuttavia ancora non riusciva ad intuirne le intenzioni.

- Mi dispiace per quello che stai passando - disse alla fine con un tono insolitamente gentile - Ma come potrei mai aiutarti? -

Tsuyoshi lo guardò dritto negli occhi, consapevole di essere sul punto di formulargli la più improbabile delle richieste di aiuto da quando erano amici.

- Akito - sospirò - Ho bisogno che tu mi dia delle lezioni di karate -

Un’espressione di pura meraviglia si dipinse sul volto del biondino e su quello delle altre ragazze; tutti si chiesero se avessero sentito bene.

- Di che diavolo stai parlando ? - ruggì dopo qualche secondo, saltando dal divano - Ti è dato di volta il cervello per caso ? -

- No, sono serissimo - rispose l’altro alzando una mano nel timore che Hayama stesse per aggredirlo - E’ l’ultima possibilità per la mia famiglia di scongiurare il dissesto finanziario, ti prego, lascia che ti spieghi tutto fino in fondo -

A quel punto, Sana decise di intervenire per rasserenare gli animi

- Lascialo finire, Hayama, sono convinta che ci sia una spiegazione più che ragionevole - poi  si rivolse all’amico con fare comprensivo - Perché ritieni che queste lezioni di karate possano aiutarti ? -

Akito si mise nuovamente a sedere, ma la sua espressione appariva adesso decisamente contrariata. Tsuyoshi rivolse uno sguardo di gratitudine all'amica prima di proseguire.

- Ciò che vi ha detto Hisae a proposito del torneo di arti marziali è vero ma incompleto; si terrà qui, a Tokyo, e tutte le palestre della città avranno libero accesso ai gironi eliminatori - disse guardando i presenti ad uno ad uno - …E coloro che accederanno alle finali riceveranno un riconoscimento ufficiale oltre a un premio in denaro commisurato al posizionamento in classifica -

Si alzò in piedi, rivolgendosi poi direttamente ad Akito.

 - Mio padre è venuto da me a supplicarmi. Conosce la tua storia. Sa che siamo amici e che hai ottenuto la cintura nera a Los Angeles. Sperava che io potessi convincerti ad aiutarlo facendoti partecipare al torneo in quanto rappresentante della sua palestra. Gli ho risposto che ciò non sarebbe mai accaduto, e che chiedermi un favore del genere era un insulto e un affronto - tirò un lungo sospiro, guardò fermamente Aya e affermò

- Ma in quanto uomo, spetta a me aiutare la mia famiglia; pertanto ho deciso di partecipare alla competizione, e di chiederti aiuto, perché se riuscissi ad aggiudicarmi una ricompensa, potrei usarla per aiutare i miei; non solo, anche la palestra di mio padre trarrebbe giovamento dalla pubblicità; così lui riprenderebbe a lavorare e a sostenerci di nuovo fintanto che ne avremo bisogno - a quel punto l’emozione lo sopraffece e lacrime di vergogna e disonore gli rigarono il viso. Aya gli si strinse al fianco teneramente e lo abbracciò.

Sana e Akito si rivolsero un intenso sguardo e non poterono nutrire più dubbi sulla sincerità delle parole dell’amico.

Akito cominciò a riflettere attentamente sulla proposta che gli era stata fatta, e avrebbe potuto avanzare subito mille dubbi; pretendere di partecipare ad un torneo così importante come quello e sperare di arrivare alle finali senza aver mai praticato il karate in vita sua, era decisamente un pensiero folle da parte dell'amico. Tuttavia vi era anche qualcosa in quella situazione, che lo affascinava profondamente. Per un attimo Reiko e Gonshiro gli apparvero davanti agli occhi come fantasmi del passato e quella visione lo scosse.

Si rese conto che Sana lo stava osservando nel momento in cui lei gli prese la mano tra le sue sussurrando

- Un amico in difficoltà non può essere abbandonato a sé stesso, abbiamo il dovere di aiutarlo -

Sapeva che lei non avrebbe avuto esitazioni; scritta nel suo DNA, da qualche parte, c’era sempre stata la capacità di prendersi cura degli altri e sostenerli nei momenti duri. Una qualità rara che non aveva mai smarrito. Tuttavia la prospettiva di aiutare una persona così sgradevole come il padre di Tsuyoshi, lo repelleva quasi quanto l’idea di salire, fobico com’era delle altezze, su un grattacielo di oltre cento piani.

Non fece mistero di questi suoi sentimenti.

- Sai bene che tuo padre non mi piace - gli disse

- Sì, non piace neanche a me - rispose l’altro asciugandosi gli occhi - Ma se aiutare lui vuol dire aiutare mia madre e mia sorella, allora lo farò senza esitazione - sostenne convintamente.

Sana volle tentare un’ultima mossa, pur sapendo in anticipo che l’orgolio dell’amico l’avrebbe destinata al fallimento.

- Ascoltami - gli si rivolse con fare risoluto - Io e mia madre potremmo fare qualcosa per sostenervi fintanto che non si sarà ristabilita la situazione, non è necessario che tu combatta -

Aya si girò speranzosa verso il suo ragazzo, il quale però già scuoteva la testa.

- Non posso accettare; sarebbe una soluzione vigliacca e parassita, dobbiamo farcela con le nostre forze -

Colpito dalla sua caparbietà e prima ancora di aver ponderato fino in fondo la situazione, cosa insolita per lui, Hayama si ritrovò a dire, telegraficamente

- Domattina alle 9 presentati sotto casa mia. Da solo. Non portare con te né cibo né acqua. Prima di addormentarti, stanotte, guarda il cielo -

Tsuyoshi sgranò gli occhi - I…Il cielo hai detto? -

- Sì, ti aiuterà a riflettere -

Il ragazzo occhialuto dall’aria smagrita e fragile annuì convinto

- Lo farò, grazie Hayama - disse commosso - Non dimenticherò mai questo debito -

- Mpf - fu l’imbarazzata risposta.

 

 

Rimasti finalmente soli, Akito si abbandonò sul divano con la testa sul grembo di Sana che prese ad accarezzargli i capelli.

- Hayama, voglio che tu sappia che sono molto fiera di te e della tua decisione - gli disse lei guardandolo dolcemente.

- Si farà male. Non ha nessuna speranza di farcela e io non avrei dovuto accettare - rispose lui chiudendo gli occhi.

Sana si interruppe un momento, poi riprese a spettinarlo

- Perché dici questo? Stai aiutando una persona a te cara che vive un momento di difficoltà, dovresti essere contento -

Akito riaprì gli occhi - Tu non capisci - disse spostando lo sguardo verso la finestra - Tsuyoshi ha scelto di lanciarsi in un’impresa al di là delle sue possibilità. Ci sono delle richieste che non andrebbero mai assecondate. Se parteciperà a quel torneo, incontrerà atleti con anni di preparazione alle spalle; si ritroverà sconfitto e senza aver ottenuto nulla, e io dovrò portare il peso di averlo guidato e assecondato nella sua folle idea; dovrebbe cercare altre soluzioni -  

Inaspettatamente, Sana sorrise, e questo lo sorprese. Si aspettava una reazione assolutamente diversa.

- Sei il solito lupo solitario - affermò battendogli affettuosamente il pugno sulla fronte - E delle cose riesci a vedere sempre e solo il lato negativo; invece dovresti essere fiero di stare al suo fianco in quella che appare un’impresa disperata, ma che è anche la sola scelta che ha - concluse poggiandogli una mano sugli occhi - Smettila di guardare al peggio e impegnati al massimo per aiutarlo -

Uno dei rari sorrisi di Hayama gli comparve sul volto - Anche tu non cambi mai -

Si protese verso di lei per baciarla; Sana si piegò leggermente in avanti per rispondere al bacio, appoggiandogli delicatamente le mani sul volto.

Akito si ritrovò a desiderare, in quel momento, di dirle ogni cosa riguardo Los Angeles e il karate, ma l’affetto che nutriva nei suoi confronti gli impedì di correre il rischio di ferirla.


 

Tsuyoshi aveva salutato Aya con un lungo abbraccio carico di significato ed era tornato a casa.

Aveva indossato rapidamente il pigiama, sistemate alcune delle cose che teneva sulla scrivania e rimboccato le lenzuola della sorella che dormiva.

Prima di coricarsi, decise di uscire sulla terrazza come gli era stato detto e rivolgere lo sguardo al cielo. Le stelle splendevano luminose, appena velate da alcune nuvole di passaggio.

 

 

 

 

 

***



[1] Nell’adattamento italiano, Catherine Smith, la madre di Sana

[2] Nell’adattamento italiano, Robby

[3] Nell’adattamento italiano, signora Patricia

[4] Gnocchi di riso giapponesi cotti al forno

[5] Nell’adattamento italiano, Alyssa, la fidanzata di Terence

[6] Nell’adattamento italiano, Fanny

[7] Piatto tipico del Kansai, la regione da cui proviene Fuka, a base di polpettine di polpo molto morbide, condite con fiocchi di tonno essiccato

[8] Nell’adattamento italiano, Margaret

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Capitolo 4
*** Il piano ***


Il pian

Capitolo 4 - Il piano

 

Ndr 26/09/15 Cominciamo ad entrare nella sezione portante della storia.
Il capitolo è stato scritto quasi interamente di notte, e forse proprio per questo, molto più arduo da realizzare. Spero di non aver commesso ingenuità e che la storia abbia mantenuto una sua integrità, nonostante l’alternarsi di situazioni e personaggi diversi.
Auguro a tutti una buona lettura, e rinnovo la mia disponibilità ad ascoltare qualunque consiglio o critica vorrete gentilmente prestarmi.

 

***

 

Junichi entrò di corsa nella enorme palestra; stretto nella mano, portava con sé un foglio bianco ripiegato.

La sua voce riecheggiò profonda nell’atrio.

 - Sensei[1], finalmente l’ho trovato! -

L’uomo a cui si rivolgeva però, non poté prestargli attenzione, preso com’era dal tempestare di colpi lo sventurato sparring partner di turno.

Il povero disgraziato realizzò ben presto come la sua unica speranza di sopravvivenza, quel giorno, fosse rintanarsi in un angolo del ring e cessare subito ogni resistenza, confidando che la furia omicida del suo carnefice si placasse quanto prima.

Il suo atteggiamento remissivo alla fine pagò, regalandogli la gioia di scendere dal quadrato sulle proprie gambe anziché in barella come i malcapitati che lo avevano preceduto.

Junichi conosceva bene il temperamento aggressivo del proprio maestro, e di norma si sarebbe guardato bene dal rivolgergli la parola alla fine di un incontro, tuttavia l’importanza della notizia che recava era tale da fargli correre il rischio.

Si avvicinò prudentemente e sussurrò con tono di abnegazione.

- Ryota-sama[2]… -

Dall’alto della sua imponente statura, che ben si addiceva al fisico muscoloso e possente, il maestro lo fulminò con uno sguardo ancora carico di adrenalina e furore agonistico.

- Sai bene che non voglio essere disturbato quando combatto - disse brutale, dopodiché gli voltò le spalle, immergendo il capo in una tinozza di acqua.

Il contatto con il liquido freddo placò il suo spirito almeno in parte.

- Avanti, parla - borbottò coprendosi il volto con un asciugamano.

Junichi abbassò la testa - Perdonami sensei, ma una ragione urgente mi giustifica…Sono infine riuscito a rintracciare Hayama-kun -

Il volto dell’uomo riemerse di scatto da sotto il tessuto umido come se avesse avvertito il fragore di una violenta esplosione. Per un attimo fissò il ragazzo come se gli avesse udito pronunciare qualche sordida bestialità, poi lo assalì con foga.

- Ripetilo! - ruggì afferrandolo per un braccio - Stai dicendo la verità? Ne sei proprio sicuro? -

- Ne sono certo - gli fece eco lui - La sua supposizione era fondata, dopotutto, il suo nome era tra gli iscritti, tuttavia…-

Ma già Ryota non lo ascoltava più - Come immaginavo… Sospettavo che non ne sarebbe rimasto alla larga, e avevo ragione di farlo; le persone prevedibili agiscono sempre come ti aspetti, e Hayama dimostra ancora una volta di esserlo - disse serrando i pugni.

Approfittando del momento favorevole, Junichi riuscì ad inserirsi in quel soliloquio.

- Quel che dice è vero, ma… C’è dell’altro - proseguì aprendo il foglio che stringeva ancora nella mano e leggendo a voce alta le informazioni che aveva annotato - Da quanto mi risulta, Hayama non parteciperà al torneo in qualità di atleta, bensì con il ruolo di secondo -

Così com’era giunta, l’euforia di Ryota svanì in un lampo.
- Cosa significa? - domandò sconvolto - Quello che dici non ha senso… Perché dovrebbe fare una cosa del genere? -

- E’ quanto riportato nella lista dei partecipanti che ho trovato su internet - gli spiegò il ragazzo indicando la carta - Ogni campione dovrà presentare la richiesta di ammissione accompagnata dalla firma di un secondo, che avrà le funzioni di manager durante gli incontri, e Hayama figura in quanto tale -

Sempre più sconvolto, Ryota proprio non riusciva a capacitarsi di quella assurda decisione, la quale oltretutto lo feriva nell’orgoglio di allenatore.

- Quel bastardo si è forse messo in testa di essere alla pari di un sensei? - urlò indignato - Voglio sapere il nome dell’atleta che seguirà al torneo! -

- Un certo Tsuyoshi Sasaki[3], un compagno del liceo - replicò prontamente Junichi, con l’aria dello scolaretto che aveva preparato bene la sua interrogazione di quel giorno.

A quel punto Ryota abbassò la testa.

- Stando così le cose, non c’è modo di realizzare quanto avevo sperato… - lamentò con voce deformata dalla rabbia - Allora non è solo prevedibile; è anche un vigliacco - aggiunse sferrando un violento pugno contro uno dei sacchi di sabbia di allenamento.

Tuttavia, l’allievo aveva ancora qualcosa in serbo per il suo maestro.

- Sembrerebbe di sì; nondimeno, sensei, potrebbe esserci un’altra soluzione… - disse trattenendo il respiro.

- Sarebbe a dire ? - chiese Ryota fissandolo negli occhi.

- Quando ho scoperto che Hayama non avrebbe partecipato, ho avuto anch’io una reazione simile alla vostra - esordì - Ma leggendo bene le regole della manifestazione, mi è venuta un’idea -

Ryota ascoltò quanto il discepolo ebbe da dirgli; dopo averne appreso il progetto, dovette riconoscerne l’ingegnosità.

- Molto bene, Junichi - approvò sorridendo malignamente - Il tuo piano poggia molto sulla prevedibilità del soggetto in questione; proprio per questo sono convinto che funzionerà e che valga la pena provare; in caso contrario, otterremmo comunque la soddisfazione di ferirlo -

Il ragazzo, fremendo di piacere di fronte a quei complimenti, si prodigò in un unico lungo inchino.

 

***

 

All’inizio del proprio percorso di allenamenti, Tsuyoshi non aveva idea di quanto duri sarebbero stati. Non l’avrebbe avuta neanche nelle settimane successive, poiché Hayama aveva insistito per cominciare con una preparazione “leggera, ma adeguata”, a dispetto dei tempi ridotti a disposizione.

Nonostante ciò, il ragazzo non si era perso d’animo e aveva deciso di infondere tutto il suo impegno e le sue energie nell’apprendimento della disciplina, che decisamente pareva calzargli stretta quanto un paio di scarpe scomode.

Si rese presto conto che non avrebbe mai capito sul serio le arti marziali finché non avesse adottato un approccio di tipo mentale.

Akito in persona si era preoccupato di spiegargli che dedicarsi allo studio del karate non poteva essere un’attività limitata alle sole ore di esercizio fisico.

- Quando decidi di farlo sul serio - gli aveva detto il primo giorno di lezione - Tutto quanto diventa karate, ogni momento della giornata è un’occasione per allenare la mente e fortificarla -

In quel momento non lo disse ad Hayama per timore di risultare invadente, ma questo spiegava in verità molte cose; ad esempio, come mai ai tempi delle medie il ragazzo trascorresse ore intere della giornata con la testa apparentemente tra le nuvole, trascurando le lezioni e suscitando le ire dei professori, Sengoku in primis.

All’epoca, Tsuyoshi lo aveva biasimato per la sua scarsa disciplina scolastica che tante apprensioni aveva procurato sia a lui che a Sana.

Dopo quella rivelazione però, realizzò che oltre alla indubbia personalità schiva, vi era sempre stato altro dietro quegli atteggiamenti; e ciò gli permise di cogliere inaspettatamente un lato del carattere del suo amico cui difficilmente sarebbe giunto da solo.

- Come faccio a lasciare che il karate entri dentro di me? - gli aveva chiesto, vagamente scettico sulla prospettiva.

- Oh, è facile - aveva risposto Hayama, alzando leggermente le sopracciglia - Ti ammazzi di fatica giorno e notte e la domenica pomeriggio la trascorri seduto sui talloni anziché al parco con Aya -

Era cosa nota a tutti la grande suscettibilità di Tsuyoshi su qualunque faccenda riguardasse la ragazza; ma Akito teneva questa cosa nella stessa considerazione che avrebbe avuto per un peluche a forma di cuore : Nulla.

- Soltanto perché tu, Hayama, sei un essere asociale, non vuol dire che tutti dobbiamo esserlo - ribatté stringendo i pugni - Non sei migliorato proprio per niente! Mai sentito parlare di romanticismo? -

- No - borbottò Akito, punto sul vivo.

- Beh non è mai troppo tardi! Povera Sana, scommetto che non le hai mai scritto neanche un messaggio carino della buonanotte…-

A quel punto, il colpo di Hayama lo aveva raggiunto alla bocca dello stomaco come il volo del più veloce dei falchi. Si era spinto troppo oltre.

Tsuyoshi si ritrovò improvvisamente piegato in due per la mancanza di fiato; la forza del biondo era fuori discussione quanto il suo pessimo carattere.

- Dì un po’, ti sembro tipo da fare una cosa simile? - Aveva ruggito Akito guardandolo in cagnesco - Bada a come parli e smettila di annoiarmi se vuoi che ti dia delle lezioni… E ora cominciamo! -

E su quelle dolci note, era partita la loro danza.

Sana e Aya li avevano raggiunti al parco comunale intorno al mezzodì per portar loro qualcosa da mangiare e supportare moralmente Tsuyoshi, il quale, come espressamente richiesto da Hayama, era andato ad allenarsi senza avere con sé neanche una borraccia d’acqua da cui attingere.

Aya si era subito preoccupata delle condizioni fisiche in cui lo aveva trovato; il ragazzo boccheggiava come un pesce fuor d’acqua, completamente madido di sudore; in generale sembrava prossimo ad un infarto.

- Hayama, che cosa gli hai fatto ? - domandò spaventata guardando il fidanzato neanche fosse al suo capezzale.

- Assolutamente nulla, ha soltanto sete - rispose Akito minimizzando il problema - Non abbiamo ancora neanche cominciato col karate… -

- Hayama… - era intervenuta Sana con delicatezza, porgendo un fazzoletto di carta all’amico accaldato - Sei proprio sicuro che questo approccio non sia troppo… severo? -

- Affatto - ribatté lui seccamente, irritato dalla sua mancanza di attenzioni verso di lui - E adesso, se non vi dispiace, vorrei proseguire; non abbiamo tempo da perdere, e che nessuno gli dia da mangiare finché non abbiamo terminato - le ammonì severamente.

Le ragazze si erano fatte da parte, e l’allenamento era ripreso.

Hayama recuperò la sua posizione - Avanti Ohki-san - lo aveva provocato
- Stai morendo di sete, e la fontana pubblica è proprio alle mie spalle; prova a raggiungere l’acqua, se ti riesce di farlo -

“Il solito sadico” aveva pensato Sana, preoccupandosi di non sorridere per rispetto dell’apprensione di Aya, che le stava seduta di fianco con aria avvilita. Tuttavia era convinta che dietro quella singolare richiesta, vi fosse uno scopo ben preciso.

Tsuyoshi portò la mano alla fronte per asciugarsi dal sudore; trasse un respiro profondo, dopodiché parti all’attacco. Il suo obiettivo, era quello di raggiungere la fontana.

Tutte le volte precedenti, era crollato di fronte alle resistenze del biondo senza riuscire ad impensierirlo minimamente.

“Se ho fallito quando avevo ancora energie, figurarsi adesso” si disse amaramente correndo; ciò nonostante decise di provare a mettere a frutto quelle 3 ore di esercizi concedendosi un ultimo scatto.

Hayama, fermo in piedi di fronte a lui, le braccia rigide parallele ai fianchi, non sembrava preoccuparsi più di quanto avesse fatto per i tentativi precedenti, e per un grandioso momento, Tsuyoshi si convinse di poterlo superare contando sulla sua velocità.

Abbassò la testa, e lo caricò.

Un secondo prima del contatto, con un unico, fluido movimento del corpo, Akito sollevò la gamba destra facendo leva sulla sinistra.

Il suo corpo piegò perfettamente ad angolo concavo e il colpo che ne scaturì, pur se non pesante poiché indirizzato con sapienza, respinse al mittente il tentativo del ragazzo occhialuto, il quale crollò con la stessa dignità di un sacco di patate al sole.

Aya e Sana scattarono in piedi simultaneamente, ma per motivi diversi.

I sentimenti della prima, in quel momento, furono di puro orrore alla vista di Tsuyoshi disteso a terra, apparentemente privo di sensi.

Sana invece, pur condividendo parte di quella preoccupazione, non poté far a meno, e quella fu in assoluto la prima volta, di sentirsi ammaliata dalla prestanza di Hayama, e di subirne il fascino animale.

Questo sentimento nuovo, del tutto inusuale per lei, si manifestò con un improvviso sospiro che le risultò impossibile controllare; lo sguardo le si accese di ammirazione e l’emozione intensa che provò la fece involontariamente protendere verso Akito, ancora eretto nella sua posa statuaria. Si ritrovò a desiderare di stringersi a lui.

Quando fu passato quell’attimo di smarrimento, provò un moto di vergogna. “Che cosa mi succede?” si chiese portandosi una mano al petto “E’ una sensazione così strana che non saprei neanche darle un nome”. Si augurò di non aver lasciato trasparire platealmente i propri sentimenti.

Per sua fortuna, la preoccupazione per le sorti di Tsuyoshi tenne gli altri così impegnati che quella sua intima manifestazione di fisicità passò del tutto inosservata.

Aya era corsa subito dal ragazzo stringendo una pezza bagnata con la quale asciugargli la fronte. Akito l’aveva seguita un po’ titubante.

- Ehi, va tutto bene? - domandò, cominciando a preoccuparsi di non aver dosato correttamente la forza quanto credesse.

- Sto bene - rispose lui dopo qualche secondo, mettendosi a sedere con fatica sul prato - Il colpo non era pesante - aggiunse tentando di tranquillizzare Aya che pareva prossima alle lacrime.

- Meglio così - si rilassò Hayama, sospirando - Il tuo ultimo scatto era incoraggiante - aggiunse poi appoggiandogli una mano sulla spalla - Puoi andare a bere, adesso -

Ma Tsuyoshi non sembrava avere l’aria soddisfatta.

- Non è per nulla incoraggiante - si lamentò - Sono goffo e assolutamente impacciato nei movimenti, non è vero ? - Chiese guardandolo con l’aria disperata di chi conosce i propri limiti.

Akito non era, né sarebbe mai stato, una persona capace di indorare le pillole indigeste da mandar giù, pertanto non riuscì a mentirgli.

- Lo sei - confermò, spingendolo ad abbassare la testa per lo sconforto
- Ma questo è il primo allenamento, non puoi pretendere più di così - aggiunse tentando di confortarlo, senza successo.

Aya strinse il ragazzo per il braccio con una mano, accarezzandogli i capelli con l’altra.

- Hayama ha ragione, non devi essere così severo con te stesso -

Nel frattempo, anche Sana, sebbene ancora un po’ scossa, si era avvicinata al trio e volle dire la sua, energicamente come al solito.

- Io credo che tu sia andato benissimo! - disse con voce allegra - Non ne capisco molto di karate, ma ho studiato ginnastica, e ho visto un grande potenziale in te; sono sicura che con l’allenamento migliorerai ancora di più! -

Il suo entusiasmo era contagioso, e Tsuyoshi parve rallegrarsi un po’.

- D’accordo - fece alzandosi da terra - Direi che per stamattina va bene così, quando possiamo riprendere ? -

Akito lo squadrò attentamente prima di rispondere; evidentemente stava ancora valutando le sue condizioni fisiche - Per oggi, direi che è sufficiente così, possiamo ricominciare domattina -

L’amico non poté che sentirsi deluso da quella risposta; e per un momento sembrò voler protestare, ma alla fine preferì non contraddirlo; infondo, se accettava le sue lezioni, si disse, doveva anche fidarsi del suo giudizio.

Hayama, che era stato un allievo ribelle ed indisciplinato, aveva colto queste sue emozioni, e gli avrebbe fatto piacere che il ragazzo provasse a reagire, a rompere gli schemi; sarebbe stata una confortante dimostrazione di carattere.

“Ma Forse” si disse sconsolato “E’ ancora troppo presto per i miracoli”.

Si accomodarono tutti e quattro sotto l’ombra di un grande albero, dopodiché Sana e Aya servirono loro i bento[4] che avevano preparato insieme quella mattina.

Mentre mangiavano, Akito ebbe una domanda da porre a Tsuyoshi.

- Come ci registreremo al torneo? -

- Mio padre ha detto che avrebbe provveduto lui stesso - rispose l’amico intento a mandar giù con avidità il proprio pasto.

Akito si accigliò - Come? -

Dopo aver deglutito, gli spiegò - Per adesso, si è preoccupato di iscriverci a nome della palestra; siccome siamo ancora minorenni, sarà necessario poi che tuo padre dia il proprio consenso formale; ne hai già parlato a casa? -

Hayama scosse la testa - Contavo di farlo nel pomeriggio -

Sana poggiò sull’erba il piatto - Come mai tuo padre non si occupa personalmente dell’allenamento? - chiese incuriosita a Tsuyoshi
- Dopotutto dovrebbe essere il suo lavoro, oltre che una sua responsabilità di genitore -

Il ragazzo scosse energicamente la testa - Avrebbe voluto. In effetti ha molto insistito ma io ho rifiutato; non ho voglia di trascorrere tanto tempo in sua compagnia -

Aya cercò di inserirsi con tatto nella discussione.

- Eppure, poteva essere una buona occasione per ricucire un po’ il vostro rapporto; è così triste che non vi rivolgiate quasi la parola… -

Tsuyoshi la guardò di rimando.

- Non devi immaginare me e mio padre come una coppia di normali parenti che si amano - rispose seccamente - Per quanto mi riguarda, meno contatti abbiamo, meglio è. Tutto ciò che farò non sarà per aiutare lui, bensì mia madre e mia sorella; il suo destino mi è indifferente -

A quel punto, un moto di indignazione provenne da Sana - Credo che tu abbia molte ragioni per biasimare tuo padre - disse guardandolo dritto negli occhi - Ma se inaridisci così il tuo cuore, farai la sua stessa fine -

L’amico si voltò, oltraggiato - Come puoi dire una cosa simile? Io sono diverso da lui! -

Sana si alzò in piedi - Questo lo so perfettamente, non ho mai affermato il contrario. Ma non mi aspetto che tu sia crudele con un tuo parente, ti giudico migliore di così -

Tsuyoshi la osservò, riflettendo su come la semplicità del suo modo di parlare fosse un elemento disarmante per l’interlocutore; tuttavia il discorso toccava una corda assai delicata del suo animo; qualcosa di cui non desiderava parlare. E quella invadenza lo aveva infastidito.

Fu Hayama ad intervenire, ponendo fine a una discussione che viaggiava su una lama di rasoio particolarmente affilata.

- Ritengo che Tsuyoshi abbia il diritto di assecondare i suoi sentimenti, per il momento - disse con calma, bevendo dal bicchiere - La crudeltà è un elemento estraneo al suo animo, perciò sono convinto che non gli mancheranno le occasioni per riflettere e cambiare idea, se necessario; personalmente nemmeno io nutro una grande stima per il padre… - proseguì riprendendo a mangiare il sushi - Ma lascia che ti dica una cosa - concluse voltandosi a guardarlo - Sana non ha torto; E se la tua intenzione è quella di combattere carico di rancore, allora non otterrai nulla di buono -

Era, a memoria d’uomo, sicuramente il discorso più lungo ed estroverso che nessuno gli avesse mai sentito pronunciare, e furono tutti sorpresi di essere testimoni di un avvenimento che aveva tutti i crismi della epicità. Qualcosa, insomma, da raccontare un giorno ai propri figli.

Hayama si accorse dei loro sguardi emozionati e immediatamente fu colto da un profondo imbarazzo; si voltò dando loro le spalle e continuando a mangiare nel suo piatto.

Sana lo guardò dolcemente “Hayama… Non ci sono più dubbi su di te, sei una persona completamente nuova”.

Gli si sedette accanto sotto l’albero. All’inizio lui, ancora a disagio, fece finta di nulla, continuando a mangiare; poi lei gli prese teneramente la mano tra le sue. A quel punto, i loro occhi si incontrarono rivelando un’armonia perfetta e intangibile.

 

***

 

Dall’altra parte del mondo, Reiko Matsuda se ne stava seduta alla scrivania della propria stanza, navigando in rete.

Come da abitudine, indossava a lungo l’accappatoio dopo la doccia e i capelli color ambra, ancora bagnati, erano tenuti insieme da un sottile elastico nero.

I suoi profondi occhi castani scorrevano febbrilmente l’elenco degli iscritti alla pagina internet ufficiale del torneo di Tokyo.

Si disse che, probabilmente, non avrebbe visto il suo nome, poiché lui le aveva manifestato a suo tempo l’irrevocabile decisione di voler abbandonare quel mondo.

Nonostante non fosse ingenua al punto da essere incosciente dell’errore, non era riuscita a dominarsi; e ancora in cuor suo, si domandava se fosse più forte il desiderio di trovarlo oppure no.

L’aver comunque considerato la possibilità, le impedì di farsi cogliere impreparata, quando la lista le restituì quello che cercava.

Si alzò di scatto dalla sedia girevole, sentendo aumentare i battiti del suo cuore e l’adrenalina scorrerle nelle vene. Si girò, ed uscì di corsa dalla stanza.

- Papà! -

 

***



[1] Termine onorifico giapponese per indicare un “maestro”

[2] “sama”, altro termine onorifico che sottintende ammirazione profonda

[3] Ricordiamo che dopo il divorzio dei suoi genitori, Tsuyoshi abbandona il cognome Ohki del padre, per adottare quello della madre

[4] Tipico pranzo da asporto per studenti, preparato in casa.

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Capitolo 5
*** Una panchina ***


una panchina

Capitolo 5 - Una panchina

 

Ndr 07/10/15 Rieccomi dopo una breve assenza dovuta ad un viaggio ed al lavoro che, in questo periodo, mi tiene occupato al punto da farmi rientrare a casa letteralmente sfinito. Questo capitolo, come probabilmente il prossimo, è un flashback che si propone di illuminare alcuni aspetti fondamentali della trama. Scriverlo è stato molto faticoso. Mi scuserete per la lunghezza forse eccessiva, ma lo considero fondamentale, e ho cercato di realizzarlo al meglio.
Come al solito, sarò contento per qualsiasi recensione o critica vorrete indirizzarmi. Buona lettura !

 

***

 

Hayama era in piedi di fronte al suo avversario. Tentava in ogni modo di raggiungerlo con i suoi colpi, ma ad ogni sforzo la sua mano destra si faceva sempre più pesante e difficile da muovere.

Sfiancato, con le energie ormai prossime ad abbandonarlo e la vista annebbiata dal dolore, assisteva impotente al sorriso beffardo rivoltogli dal suo nemico.

Tentò disperatamente un ultimo attacco, ma il terreno gli si aprì improvvisamente sotto ai piedi facendolo franare in un baratro profondo.

Riuscì ad aggrapparsi con l’arto indolenzito a una crepa e tentò di risalire ad ogni costo la china, ma l’uomo contro cui combatteva si affacciò a quella voragine e prese a calpestargli la mano.

Alzò la testa per guardarlo in volto; Ryota rideva restituendogli uno sguardo di puro sadismo.

Un attimo prima di abbandonarsi e cadere nel vuoto, i suoi occhi si posarono sulla persona comparsa al fianco di Ryota. Quando la vide, ne rimase sconvolto.

Reiko se ne stava lì accanto al suo nemico giurato, e come lui gli sorrideva perfidamente.

Avrebbe voluto supplicarla di aiutarlo, ma fu proprio lei a dargli il colpo di grazia, colpendolo sulla mano e precipitandolo nel buio.

--

 

Si svegliò di soprassalto respirando affannosamente; impiegò qualche secondo prima di riprendere contatto con la realtà, poi, lentamente, la consapevolezza di essere stato vittima di un incubo si sostituì alla paura.

Il suo sguardo corse subito alla mano destra; quasi dovesse accertarsi delle sue buone condizioni, iniziò a muoverla e rotearla. Una volta constatato che rispondeva ai comandi, si rasserenò.

Sapeva che quella mano rappresentava ancora un punto debole, oltre che la sua più grande paura.

Per quanto l’operazione e la fisioterapia ne avessero ristabilito le funzioni principali, non era certo di poter disputare un incontro regolare senza riportare danni che questa volta sarebbero stati permanenti.

E, qualora ciò fosse accaduto, avrebbe dovuto nuovamente separarsi da Sana per recarsi oltreoceano e seguire nuove terapie. La preoccupazione di una simile eventualità, che avrebbe significato la fine del loro rapporto, lo fece rabbrividire.

Hayama si mise a sedere al centro del letto massaggiandosi le tempie e riprendendo fiato. Guardò l’orologio sul comodino segnare le 4:05 del mattino.

“Maledizione” si disse cadendo nuovamente disteso sul materasso.

Da quando aveva accettato di occuparsi degli allenamenti di Tsuyoshi, quell’assurdo incubo aveva preso a perseguitarlo senza sosta, ed era sicuro di cominciare a portarne i segni anche durante il giorno.

Presto, Sana si sarebbe accorta che qualcosa in lui non andava, e gli avrebbe fatto delle domande. Alle quali, avrebbe dovuto mentire.

Dentro di sé, Akito era consapevole di non potersene lamentare; piuttosto avrebbe dovuto essere grato alla ragazza, la quale aveva accettato tutte le (poche) spiegazioni che era riuscito a darle senza aver mai voluto indagare più fondo sui dettagli della sua permanenza all’estero.

Al suo posto, non era tanto sicuro che gli sarebbero bastate, e con coerenza riconosceva di non poter pretendere di evitare ancora a lungo un confronto con la persona che amava.

Quel pensiero gli fece istintivamente prendere a pugni il cuscino, e per un momento maledisse sé stesso, il padre di Tsuyoshi e lo stesso amico per averlo catapultato in quella situazione senza via di uscita.

La scelta di abbandonare il karate era stata sofferta; non era neanche sicuro che fosse definitiva, ma si era reso conto che, senza Reiko e Gonshiro, quel mondo gli era diventato assolutamente indifferente e privo di fascino.

Credeva di poter aiutare Tsuyoshi senza risentirne eccessivamente, invece così facendo aveva superficializzato tutti i sentimenti che lo avevano accompagnato da quando era rientrato a Tokyo, e che aveva faticosamente messo a tacere.

Pensò a Reiko, dall’altra parte del mondo, e si domandò che cosa stesse facendo dopo aver calcolato a mente che ore fossero in California.

Da diversi giorni l’idea di contattare lei e suo padre gli pizzicava la mente ad intervalli regolari, ma avrebbe dovuto farlo all’insaputa di Sana; e ciò bastava a fargliene passare subito la voglia ogni volta.

Di nuovo, lo sguardo andò alla mano destra e il ricordo del giorno in cui era guarito del tutto lo fece sorridere per un momento.

***

 

Los Angeles, 1 anno prima…

 

Akito era solo al centro del quadrato. Attendeva un segno dal proprio maestro. Gonshiro era in piedi di fronte a lui; le muscolose braccia conserte e lo sguardo altero gli conferivano l’aria di un guerriero trionfante pronto a colpire la sua preda. Per la prima volta, Hayama veniva messo alla prova contro il proprio sensei dopo mesi di addestramento.

Concentrato come mai nella vita, era pronto allo scontro.

Gonshiro avanzò fermandosi a qualche metro di distanza, incrociando lo sguardo con quello del suo allievo; si sfidarono così per alcuni lunghi secondi.

- Hayama, sei pronto? -

- Sono pronto, sensei -

- Oggi si decide il tuo destino. Se avrai saputo ascoltare, potrai proseguire nel tuo percorso; in caso contrario, avrò preso la più grossa cantonata della mia vita -

Era tipico del padre di Reiko passare nella stessa frase da un tono grave ad uno spiritoso. Qualcuno tra i presenti rise, e questo servì ad allentare leggermente la tensione che si era creata nella stanza.

Tutti gli allievi della palestra Wilmington erano accorsi per assistere all’esame di Hayama. Tra di essi, Reiko era in prima fila ed era di gran lunga la persona più consumata dall’ansia, anche se tentava di non darlo a vedere.

I due atleti mantennero le loro posizioni ancora per qualche istante; poi Gonshiro passò all’offensiva.

La sua velocità fu sbalorditiva; con sole due gigantesche falcate raggiunse Akito e assestò il primo colpo all’altezza del volto.

Hayama aveva alzato la mano destra a protezione giusto in tempo per pararlo. Lo scontro tra i due arti fu pesante da sostenere per entrambi.

Tentò di reagire restituendo il colpo con quanta forza avesse; ma il tempo che impiegò a imprimere l’energia necessaria al braccio finì per rallentare l’attacco al punto da renderlo assolutamente prevedibile. Perciò, fallì.

Immediatamente, realizzò di non poter competere per forza bruta contro un uomo più imponente di lui, pertanto decise di ritirarsi in una posizione più arretrata e cercare di aggirarlo con la propria velocità.

Ma Gonshiro, ben piazzato fisicamente e consapevole delle sue intenzioni, gli tagliò la strada impedendogli di portare a compimento l’opera.

A quel punto Akito non ebbe altra scelta che attaccarlo frontalmente; ma decise di farlo puntando sulla rapidità più che sulla potenza.

Dopo aver sferrato un calcio veloce all’altezza della spalla destra, attaccò con la mano sinistra per colpirlo al fianco scoperto.

Gonshiro parò entrambi i colpi; poi con abile mossa, riuscì a  bloccargli il braccio tentando di sbilanciarlo con la gamba sinistra.

Il suo assalto andò a buon fine, e Hayama perse l’equilibrio; ma prima che avesse modo di colpirlo di nuovo, lo vide far leva sulla gamba di appoggio e riprendere una posizione stabile.

I due si studiarono nuovamente; per qualche secondo si sorrisero, dopo di che ripresero a combattere.

Una serie di rapidi colpi in entrambi le direzioni sancì l’inizio di una nuova fase della lotta; abbandonate le riserve iniziali, e dimentico del pericolo, Akito prese a combattere mettendo a frutto tutta la sua velocità senza più timori reverenziali.

Gonshiro sembrava però intuire ogni sua mossa, e finiva sempre per anticiparlo un attimo prima che i suoi colpi giungessero a destinazione.

Reiko, che assisteva emozionata allo svolgersi di quello scontro esaltante, riusciva chiaramente a distinguere la soddisfazione nello sguardo di suo padre nell’aver trovato un discepolo così talentuoso. Ed era ammirata dalle capacità atletiche di Hayama, che reggeva bene un confronto così ostico e complicato.

Protrassero ancora per qualche secondo il loro corpo a corpo, prima di allontanarsi vicendevolmente di qualche metro allo scopo di recuperare fiato.

- Sei diventato un atleta eccezionale, Hayama - riconobbe Gonshiro ansimando leggermente.

Fu ammirato nel constatare le notevoli capacità di ripresa del giovane, che sembrava già pronto per ricominciare.

- Tuttavia - aggiunse - Difetti ancora in esperienza, pertanto la tua preparazione non può definirsi ancora completa -

Hayama, che aveva recuperato le energie, ricompose subito la sua posizione di difesa e si preparò a fronteggiarlo nuovamente.

Ciò nonostante, per tutto il combattimento aveva evitato accuratamente di utilizzare la mano destra come strumento di offesa, preferendo adoperarla a scopo difensivo.

Consapevole del potenziale non sfruttato a causa di questo grave impedimento, non riusciva a escogitare un sistema alternativo che fosse altrettanto valido.

Gonshiro intuì quella debolezza, e si preparò a sfruttarla cambiando guardia; avrebbe portato gli attacchi successivi sul lato destro, in modo tale da lasciare Akito impossibilitato a compiere qualunque ulteriore tentativo di aggressione.

Scattò nuovamente in avanti e questa volta, grazie al suo stratagemma, riuscì a colpirlo al volto, pur misurando la forza in modo da non ferirlo gravemente.

Hayama barcollò arretrando, ma decise di non mollare; ripiegò quindi su un fianco e tentò di resistere all’impeto del maestro che cominciò ad abbattersi su di lui.

Gonshiro prese a bersagliarlo senza sosta, e ormai lo stava spingendo alle corde, dove gli avrebbe assestato il colpo di grazia.

Resosi conto della situazione difficile in cui era venuto a trovarsi, il giovane non ebbe alternative.

“Se non cambierò guardia, non riuscirò ad allontanarlo” si disse.

Era costretto ormai a rimanere curvo su sé stesso pur di resistere, ma cominciava ad avvertire l’indolenzimento provocato ai muscoli dai danni subiti, e sapeva che, bloccato in quella posizione, non avrebbe resistito ancora a lungo.

Reiko osservava la scena letteralmente divorata dall’ansia.

Aveva capito che suo padre avrebbe seguitato a colpire il ragazzo senza riserve, trattandolo da pari a pari.

Nonostante sapesse che quell’atteggiamento sottintendeva un riconoscimento ufficiale della sua dignità di avversario, non riuscì a scacciare il tormento che la affliggeva.

Una sola speranza occupava il suo cuore e la sua mente : Che Hayama trovasse il modo di uscire da quella trappola. 

Si protese a guardarlo finché i loro occhi si incrociarono.

- Coraggio Hayama, reagisci! - lui la sentì sussultare, e questo gli diede il coraggio di giocarsi la sua ultima carta.

Decise che avrebbe colpito alla prima occasione propizia. Per l’ultima volta, quindi, si spostò di lato muovendo velocemente le gambe e tentando di ingannare l’avversario con la sua rapidità.

Gonshiro riprese la posizione e partì all’attacco.

Nel volgere di un secondo, Akito cambiò guardia; spostò la mano sinistra in posizione di difesa ed alzò quella destra per offendere.

Il suo colpo centrò violentemente il maestro alla nuca, facendolo sbilanciare all’indietro; un secondo dopo, lo colpì in pieno petto con un calcio veloce e preciso, facendolo crollare contro le corde del ring.

Lo stupore si diffuse nella sala, seguito da un’ovazione spontanea da parte degli spettatori. Hayama aveva appena realizzato un K.O. ai danni di Gonshiro Matsuda, cintura nera affermata e titolare del Wilmington Karate Club; nessuno aveva memoria di aver mai assistito ad un simile evento.

Reiko esibiva un’espressione di puro stordimento; un attimo dopo, nonostante lo conoscesse solo da alcuni mesi, e nonostante avesse appena mandato al tappeto suo padre, si ritrovò ad estasiarsi per lui insieme agli altri.

Lentamente, Gonshiro, quel grande maestro il cui allievo, inferiore per esperienza e statura aveva atterrato, si rialzò.

Il silenzio scese di nuovo nella stanza, raggelando temporaneamente l’ambiente. Tutti attendevano con ansia la reazione del sensei, ma quando lo videro esibire un’espressione di pura gioia i loro timori svanirono.

- Congratulazioni Hayama - disse Gonshiro, orgoglioso

- Sei riuscito a recuperare la calma in una situazione di difficoltà, e hai agito usando razionalmente il cervello prima dei muscoli. Tuttavia, non pensare di aver già raggiunto un punto di arrivo. Lo scopo del nostro incontro era mostrarti la via giusta…e diamine, l’hai trovata! - concluse con un sorriso.

Un attimo dopo, si inchinò di fronte al discepolo, ormai maturo.

Akito, frastornato dall’emozione e sommerso dal fragore degli applausi, ebbe serie difficoltà a non perdere il suo famigerato sangue freddo.

Da lontano, vide Reiko corrergli incontro per poi abbracciarlo saltandogli letteralmente al collo - Sei stato fantastico! -

Poi le strette di mani… I complimenti dei presenti, le pacche sulle spalle degli altri atleti, andarono a sommarsi come tante gocce in quel mare infinito di gioia.

Più tardi, si sarebbe sentito in colpa per non aver minimamente pensato, in quei frangenti, né a Sana, né alla sua vita a Tokyo.

Mai come in quei momenti, il suo passato gli era parso più remoto.

Approfittando del momento di confusione che si era venuto a creare, Reiko si avvicinò al padre, il quale era volutamente rimasto in un angolo ad assistere ai festeggiamenti con aria appagata.

Quando gli fu giunta vicino, gli diede una affettuosa pacca sulla spalle.

Lui si girò a guardarla, felice come poche volte lo aveva visto.

- Non mi sentivo così soddisfatto dal giorno in cui ti ho vista vincere il tuo primo match, quel ragazzo è davvero formidabile -

Lei gli sorrise - Ha avuto un formidabile sensei, ma tu non me la conti giusta… -

Gonshiro assunse un’espressione confusa - Di cosa parli? -

- Non fare il finto tonto con me, sono tua figlia, dopotutto - gli disse Reiko, astuta - Hai subito il primo colpo, ma hai lasciato volontariamente che sferrasse anche il secondo, quando avresti potuto pararlo, perché? -

Vide suo padre abbandonarsi ad una fragorosa risata - Non ti si può nascondere proprio nulla, vero? - affermò scompigliandole affettuosamente i capelli.

Lei scosse la testa giocosamente - Sii serio, papà; credevo combattessi al 100% contro di lui, perché hai lasciato che ti mandasse al tappeto? -

A quel punto, il volto di Gonshiro si fece serio.

- Perché non era vincere, il mio vero obiettivo -

- E qual era allora? -

La osservò un po’ pensieroso prima di risponderle.

- Un vero combattente non deve aver paura di rischiare - le spiegò infine, sospirando - Deve sforzarsi di superare i propri limiti; è questa la sola, ma fondamentale differenza tra un semplice atleta che studia, ed un vero karateka. E Io credo che lui possa farcela ad arrivare fino in fondo… proprio come te -

A quel punto si interruppe un momento; beandosi del sorriso di cui lo gratificò la figlia.

- Insomma - concluse guardandola, sorridendo - Chi se ne frega di quel colpo! -

--

 

Più tardi quel giorno, affaticati, ma ancora in preda all'euforia, Reiko e Hayama si erano incamminati fianco a fianco di ritorno dalla palestra Wilmington.

Camminavano a passo spedito lungo il boulevard principale, compiacendosi dei risultati raggiunti e godendo della vista di un tramonto sereno, i cui mille colori andavano a sommarsi a quelli della grande città.

A un certo punto la ragazza gli aveva sorriso.

- Ehi “biondo”, davvero una bella prova oggi -

Eccezion fatta per lei, nessuno avrebbe mai avuto l’ardire di chiamarlo “biondo”; tuttavia il fatto che glielo consentisse, testimoniava in parte l’affetto che le portava.

Akito l’aveva guardata socchiudendo gli occhi  - Ne dubitavi? -

Reiko aveva scosso la testa - Assolutamente no - poi gli si era fatta più vicina e, quasi sfiorandolo con il corpo, aveva aggiunto sottovoce - A dire il vero, considerato il tuo livello di 6 mesi fa, ti avrei dato per spacciato dopo pochi secondi -

Allora Akito, cui non era sfuggito quel gesto, si era impercettibilmente irrigidito, tentando comunque di mantenere una certa compostezza.

- Mi spiace per te - l’aveva beccata di rimando - Avresti perso -

- Suvvia non essere così rigido - fu la sua risposta pacata - Non ce l’avrai ancora con me? - chiese poi facendosi apprensiva tutto d’un tratto.

Lui aveva assunto un’espressione seria - No -

La ragazza però, non sembrava convinta - Ne sei Sicuro? -

Per un attimo, la scrutò. Quella manifestazione di incertezza, così insolita dato il suo carattere risoluto, lo  sorprese profondamente e gli diede uno spunto di riflessione che, a dire la verità, lo inquietò un poco.

Tuttavia decise di non badarci.

- Avevi tutte le ragioni per avercela con me, prima - le rispose tornando a guardare dritto di fronte a sé - Credo che la tua sia stata una reazione umana e basta -

Lei sembrò sollevata di sentirglielo dire - Lo credo anch’io. Non è stato facile accettare che mio padre ti desse tutte quelle attenzioni; tanto più che non riuscivo a capire cosa ci vedesse in te -

A quel punto aveva smesso di camminare ed era rimasta a fissarlo.

Hayama proseguì di alcuni passi prima di fermarsi a sua volta.

Voltandosi verso di lei, la guardò intensamente, e la domanda uscì dalle proprie labbra prima che potesse fermarla.

- E adesso? -

I suoi occhi incontrarono quelli profondi e fieri della ragazza, che in un attimo si colorarono di una emozione intima e genuina.

- Adesso lo capisco. Forse l’ho sempre saputo -

Rimasero in silenzio a guardarsi ancora per qualche secondo. Il vento scelse quel preciso momento per animarsi tra loro, dando vita a un quadro fino a quel momento statico.

Resosi conto dell’atmosfera che si stava creando, Akito stabilì velocemente che fosse più saggio proseguire.

- Andiamo? - le fece muovendo appena la testa.

Reiko sembrò destarsi improvvisamente da un sogno, arrossì senza riuscire a dominarsi e abbassò la testa - Sì, scusami -

Ripresero a camminare, questa volta la ragazza fece il possibile per tenersi ad una educata distanza fisica.

Quando furono giunti nel viale del suo appartamento, che distava pochi passi da quello preso in affitto dalla famiglia di Hayama, lei volle fargli una domanda che teneva in serbo già da alcuni mesi.

Trattandosi di una domanda personale, avrebbe voluto trovare un modo gentile di porla. Ma la sua naturale schiettezza le rendeva difficile elaborare metodi troppo complicati. Alla fine fu più diretta di quanto desiderasse.

- Ho notato che quando combatti, tendi ancora ad evitare il più possibile l’utilizzo della mano destra - gli disse piegando la testa verso di lui
- Sii sincero, hai ancora dolore non è vero ? -

Hayama era rimasto in silenzio. Per qualche istante gli unici rumori furono quelli dei loro passi sul viale di pietra; Reiko stava quasi per rinunciare ad insistere quando lui le rispose.

- E’ così. Non posso ancora usarla bene quanto vorrei. Se non sarò prudente, potrei subire danni irreparabili al nervo radiale. Questo renderebbe vane tutte le terapie a cui mi sono sottoposto; sarei costretto a rimanere a Los Angeles per sottopormi ad un nuovo intervento, e non posso permettermelo; prima o poi, dovrò andare -

Lo aveva detto con semplicità, senza tacere nulla, e così facendo le aveva anche rivelato esplicitamente che un giorno, che lei lo volesse oppure no, lui avrebbe fatto ritorno a Tokyo.

La scoperta la spinse involontariamente a girare la testa di scatto, quasi a voler scacciare quel brutto pensiero. Nel giro di pochi attimi, quella semplice risposta le diede una conferma definitiva sulla natura dei sentimenti che la legavano a quel ragazzo.

Non poteva avere dubbi, poiché mai nella vita si era sentita legata in quel modo particolare ad una persona. Questo sentimento le fece girare la testa.

Tuttavia, essendo fiera per carattere, la sua reazione esteriore fu quella di indurire lo sguardo e chiedere.

- Se quello che dici è vero, perché hai accettato di seguire il programma di mio padre? Stando alle tue parole, un bel giorno te ne andrai e allora cosa ne rimarrà? -

Di nuovo, la risposta fu semplice e diretta.

- Non posso sapere quale sarà con certezza il mio domani - mormorò Akito appoggiandosi al muro di uno dei palazzi, lasciando penzolare svogliatamente la borsa della palestra che manteneva con la mano sinistra.

- Oggi la mia vita è qui, e sarebbe stupido e disonesto non viverla appieno. Devo ragionare un passo alla volta - proseguì poi cercando di evitare lo sguardo ferito della ragazza - Ho scelto di seguire te e tuo padre perché è ciò che desidero fare, fin quando potrò. Con voi ho scoperto un mondo nuovo che mi esalta. Nondimeno, non posso mentire; se me lo chiedi adesso, ti dico che un giorno tornerò a casa -

Ma Reiko non sembrava disposta a cedere facilmente. Le tornava in mente l’immagine del padre di poche ore prima, e la felicità che aveva provato nel vedere i progressi di Hayama.

E ora lui se ne stava lì a dirle con quel suo odioso modo di fare, che sarebbe tutto finito; che un giorno sarebbe tornato a casa.

In lei si accese a quel punto un risentimento tipicamente femminile che la spinse a sentirsi offesa oltre che tradita.

- La vita qui ti deve far parecchio schifo se non consideri nemmeno l’idea di provare a restare, dopo tutto quello che c’è stato - lo aggredì con risentimento.

Questa volta fu Hayama a fissarla con rabbia - E’ una delle cose più stupide che potessi dire! Come diavolo ti salta in mente una simile idiozia ? -

- Bè non deve essere proprio un’idiozia - inveì Reiko alzando la voce
- Altrimenti non parleresti di tornare e mandare tutto all’aria! Dimmi, cos’è che ti spinge a voler tornare? - lo aggredì con fare imperioso.

- Sei maledettamente insistente! - Urlò Hayama, confermandosi intollerante agli interrogatori  - Perché non vai a casa a dormire? Credo che tu abbia preso un brutto colpo in testa durante l’allenamento, stai vaneggiando! -

Il temperamento della ragazza si rivelò aggressivo quanto il suo.

- Sei tu che vaneggi, stupido bamboccio! - gli sbraitò contro puntandogli il dito al petto - Dimmi, da quando sei diventato un piagnucolone senza attributi che scappa di fronte a una innocua domanda? -

- E tu? - rispose prontamente Akito ringhiando - Da quando sei diventata una donnetta isterica in perenne fase mestruale? -

A quel punto, lo scontro tra i loro due caratteri decisi e bellicosi, fu pressoché totale ed incontenibile.

Reiko piegò sulla gamba destra, tentando di assestargli un colpo deciso alla spalla con quella sinistra. Akito, più rapido di lei, parò senza difficoltà il colpo e rispose con un altro.

La ragazza però saltò agilmente indietro, evitandolo, prima di scattare nuovamente all’attacco con una serie di pugni agili e veloci; tutti prontamente parati dal biondo.

- Hayama-sei-un-deficiente - inveì lei scandendo ogni parola con un colpo.

- E tu una femminuccia isterica - rispose lui schivando l’ennesimo attacco piegandosi sulle ginocchia e spingendola via appoggiandole una mano sul petto.

Lei sussultò costernata.

- Mi hai toccato il seno! Sei un dannato maniaco! -

Akito era letteralmente sconvolto - Ma cosa blateri, sei tu che mi hai attaccato! Che dovrei fare, portarti dei dolcetti? -

A quel punto, rimasero a guardarsi ansimando, in cagnesco. Poi così com’era venuto, quell’attimo di rissosità passò.

- Vieni, sediamoci - propose Hayama invitando la ragazza a sedersi su una panchina poco distante da loro.

- Mpf - fu la risposta seccata di Reiko, che tuttavia accettò di seguirlo pur con le braccia conserte.

Fu mentre erano diretti verso la panca, che la ragazza ebbe un improvviso mancamento. Forse fu a causa delle emozioni intense di quel giorno; o forse, per quel breve litigio, fatto sta che le energie le vennero meno.

- Hayama… - ebbe giusto il tempo di dire prima di portarsi una mano alla fronte e piegarsi sulle ginocchia.

Akito si voltò improvvisamente ed ebbe la prontezza di riflessi di prenderla al volo con una mano, sorreggendola di peso e portandola fino alla panchina, dove la fece sedere.

- Va tutto bene? - le chiese preoccupato - Vado a prenderti dell’acqua -

Lei lo fermò con la mano - Non preoccuparti, sto bene, è stato solo un momento; rimani qui vicino a me -

Lui le si sedette accanto - D’accordo, ma tu resta seduta fin quando non ti sarai ripresa del tutto -

- Va bene - acconsentì Reiko chiudendo gli occhi.

Passarono alcuni minuti in silenzio. Poi la ragazza aprì gli occhi mormorando con voce debole - Ehi… Sbaglio o hai usato la mano destra per prendermi? -

Per un momento, Hayama la guardò senza capire, poi annuì - E’ vero -

Lei sorrise debolmente - Allora, non devi essere messo poi così male se riesci a sostenere un peso morto -

Akito rimase in silenzio, fissandosi l’arto. Se quel che diceva Reiko era vero, allora il giorno del suo rientro a casa, non poteva essere lontano.

Pian piano, stavano passando anche quei mesi. In quel preciso istante, il volto di Sana gli affiorò nella mente, e i sensi di colpa per essersi dimenticato di lei per tutto il giorno, affiorarono insieme ad esso.

Nel mentre, lo sguardo della ragazza si era fatto di nuovo triste; perciò decise di mettere da parte quei pensieri e parlare con lei per rasserenarla.

Ancora una volta, gli si chiedeva di essere più estroverso di quanto la natura lo spingesse a fare; ma si rese conto di doverle almeno qualche spiegazione.

- Non voglio che tu pensi che non sia felice di essere qui con voi  - esordì sospirando - Quello che ho provato in questi mesi…è stato esaltante. Tu e tuo padre mi avete restituito una serenità che temevo di aver perduto; avete aperto le porte di un mondo nuovo; io guardo a voi con ammirazione, ed è per questo che non voglio più sentirti dire certe cose -

Lei lo ascoltò parlare, rapita, e quelle parole la emozionarono al punto che le sue gote si tinsero di rosso.

Akito la guardò in volto, e una spiacevole sensazione si impadronì del suo stomaco, facendolo sentire tremendamente a disagio. Di nuovo, Sana gli balenò nella mente.

Avrebbe voluto alzarsi e tornare subito a casa; tuttavia mantenne il controllo pur di non ferire la persona che in quel momento gli era vicina.

- Ad ogni modo - disse alzandosi, poiché comunque non riuscì più a stare fermo - Per adesso ti ripeto che la mia vita è qui; di tornare, non se ne parla; devo completare gli studi, o mio padre mi darà il tormento, quindi non pensiamoci più, va bene? Ciò che conta per me, è proseguire ancora su questa strada, insieme a voi -

Reiko si era ripresa dal temporaneo malessere; la felicità di essersi scoperta così importante per lui aveva spazzato via tutte le domande che avrebbe voluto ancora fargli sul perché volesse tornare a tutti i costi in Giappone.

Rinunciando, perse un’occasione importante per venire a conoscenza di Sana; in egual modo, Hayama perse l’opportunità di rivelarglielo quando sarebbe stato più opportuno farlo.

- Va bene “biondo”, eviterò di strapazzarti ancora, per stasera - lo schernì rialzandosi e colpendolo affettuosamente sulla spalla.

Akito riprese subito il suo naturale atteggiamento di supponenza.

- Figuriamoci; non mi servono entrambe le mani per atterrarti - la schernì.

- Attento a te, bamboccio! -

Nel giro di qualche mese, quando la verità su Sana sarebbe venuta a galla, Reiko avrebbe avuto le risposte che quella sera non aveva osato cercare.

Quando ciò avvenne, non riuscì a non portargli rancore; ma più di ogni altra cosa, non poté evitare di disprezzare sé stessa per essersi umiliata a quel punto.

Hayama, non avrebbe mai avuto il tempo né il modo di spiegarsi.

 

***

 

L’orologio segnava le ore 5:00 del mattino.

Fermo, disteso ancora nel letto, Akito rifletteva sulla piega assurda che gli eventi della propria vita avevano assunto negli ultimi due anni, e sui danni che il tempo e l’incomunicabilità possono causare tra due persone.

Quando riuscì a riaddormentarsi, l’alba era ormai vicina. Le risposte che cercava, ancora no.

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Capitolo 6
*** Doppio Confronto ***


Doppio confronto

Capitolo 6 - Doppio Confronto

 

Ndr 19/10/15 Non avrei mai immaginato che scrivere un racconto lungo fosse un’impresa così ardua per me. Più vado avanti, più la stesura dei capitoli diventa complicata e faticosa. Anche stavolta, non sono pienamente convinto di essere riuscito a rendere nel migliore dei modi tutto quello che avrei voluto raccontare, per cui lo capirei se dovessero giungermi eventuali critiche. Tuttavia, la storia prosegue prendendo sempre più forma. Questo estratto illumina un aspetto fondamentale della vita di Sana che fin ad ora non aveva trovato collocazione nella mia linea temporale. Auguro a tutti una buona lettura, e resto a vostra disposizione.

 

***

Quella sera si annunciava tranquilla in casa Kurata. L’esperienza della cena di gruppo era rimasta fortunatamente un unicum della carriera di Sana in quanto cuoca, dopo il quale, la ragazza aveva nuovamente consegnato le redini della cucina alla signora Shimura. Con somma soddisfazione da parte di tutti.

Dopo cena la ragazza si era rinchiusa nella propria stanza asserendo di voler telefonare ad Akito e la signora Kurata l’aveva imitata adducendo la scusa del manoscritto (alla quale, beninteso, nessuno più credeva da un pezzo).

Soltanto una persona, all’interno della villa, sembrava non riuscire a godere di quell’atmosfera pacifica.

Da diverso tempo, Rei Sagami tentava di avere, senza successo, una conversazione con Sana. Ma la ragazza continuava inesorabilmente a sfuggirgli adducendo le motivazioni più inverosimili. Se non avesse preso un’iniziativa decisa, quel dialogo a cui tanto teneva non sarebbe mai avvenuto.

Era ormai giunto al punto di sentirsi letteralmente divorato dall’ansia.
Non desiderando altro che porre fine a quel tormento, si decise a salire con convinzione al secondo piano e bussare alla sua porta.

Le avrebbe parlato senza esitazioni. Avrebbe persino rischiato di rompere il loro decennale rapporto di lavoro, amicizia e stima reciproca. Ma tacere sarebbe stato colpevole, a quel punto.

Era già in piedi davanti alla soglia e aveva alzato la mano per bussare quando lo colse un attimo di esitazione che gli congelò il braccio a mezz’aria.

Innumerevoli preoccupazioni presero ad affollargli la mente; tutta la sua sicurezza iniziale svanì in un lampo. Cosa sarebbe stato di lui se la discussione avesse preso una piega spiacevole? Avrebbe dovuto lasciare la casa? Sana stessa gli avrebbe chiesto di farlo?

Si rese conto di star sudando; inspiegabilmente sentì l’esigenza di aggiustarsi il nodo della cravatta, quasi dovesse presentarsi ad un importante appuntamento di lavoro. Il suo disagio era lampante.

Era ancora lì in piedi a tormentarsi quando la porta della stanza si aprì improvvisamente.

Rei, colto totalmente alla sprovvista, ebbe un immediato sobbalzo che quasi lo fece inciampare. Al contrario, il volto di Sana, emerso dall’interno della camera, appariva sereno.

- Da quando hai paura di me? - gli chiese sorridendogli timidamente.

L’uomo, ancora scioccato, esibì un’espressione confusa che le fece scappare una risatina nervosa.

- Mi aspettavo di trovarti qui - spiegò lei, inclinando leggermente testa.

- Io… davvero non so cosa dire - balbettò Rei, mortificato, non trovando ancora il coraggio per guardarla negli occhi.

La ragazza sorrideva ancora.

- Be’, qualcosa dovrai pur dirmi. Ormai sono giorni che ci provi, e stasera a cena era evidente che fossi tormentato; ho semplicemente tirato le somme -

- Quindi te lo aspettavi… La telefonata ad Hayama… - intuì lui, cominciando a riacquistare padronanza di sé e della situazione.

Questa volta, toccò alla ragazza abbassare lo sguardo.

- Era solo una scusa… Ero d’accordo con la mamma - disse semplicemente
- Ti va di entrare? - propose spostandosi leggermente dall’uscio.

Non appena ebbe messo piede all’interno, Rei prese subito posto alla sedia della scrivania; Sana si accomodò sul letto, le braccia protese sulle gambe e la testa china tipica di chi nutre un senso di colpa.

Rimasero in silenzio per alcuni secondi; alla fine, fu proprio lei a prendere l’iniziativa.

- Io… Credo di doverti delle scuse, Rei - esordì guardandolo.

Lui rimase muto. Una parte di sé fu felice di quelle parole; l’altra cominciò a sentire il peso di aver nascosto fino a quel momento i suoi sentimenti.

Decise comunque di non intervenire e lasciarla proseguire.

Sana si fece coraggio, e continuò.

- So che cosa pensi. E’ dal ritorno di Hayama che ho abbandonato quasi del tutto il lavoro. Non ti ho dato spiegazioni e ho lasciato che ti tormentassi per tutti questi mesi. Credevo, col tempo, di essere diventata una persona meno insicura; invece mi rendo conto di avere ancora una volta tentato di aggirare un problema senza risolverlo. Ti prego di scusarmi, non avrei dovuto - disse dispiaciuta.

I grandi occhi castani esprimevano una tenerezza infinita. Il suo rammarico era commovente; Rei non avrebbe potuto portarle rancore nemmeno se gli avesse fatto un torto assai peggiore. Ciò nonostante, era pur sempre deciso a dirle senza esitazione qualcosa che l’avrebbe fatta sicuramente soffrire.

Sospirando, si tolse gli occhiali da sole, che ancora usava indossare ogni volta che parlava con lei, e la guardò.

- Riesci sempre a sorprendermi. Pensavo già a quanto sarebbe stato difficile confessarti tutto, ed ecco che arrivi tu e mi togli dall’imbarazzo. Sei molto più matura di quello che credi - le disse sincero, facendola sorridere ancora.

Era un po’ più rassicurata quando gli si rivolse di nuovo.

- Quindi non ce l’hai con me? - chiese ancora un po’ timorosa.

Rei scosse la testa.

- No Sana, non ce l’ho con te. Non posso nasconderti di aver sofferto molto, soprattutto nelle ultime settimane - rispose - Ma non posso dimenticare tutto quello che hai fatto per me sin da quando eri piccola - aggiunse francamente - Vorrei solo che tu mi dicessi quali sono i tuoi progetti per il futuro… -

Tirò un lungo sospiro e finalmente le fece la domanda che avrebbe chiarito tutti i suoi dubbi; e deciso il suo futuro.

- Con me puoi essere onesta. Perché hai abbandonato la carriera? Riprenderai prima o poi a lavorare? Desideri ancora… Che io sia il tuo manager? -

La ragazza chiuse gli occhi, prendendosi qualche momento per riordinare le idee. Avrebbe cercato di spiegargli le cose coerentemente, senza farsi prendere dall’emozione.

- Le cose hanno preso una piega strana negli ultimi mesi - esordì tormentandosi le mani - Il lavoro è sempre stato importante per me; è vero, ho deciso di metterlo da parte temporaneamente, ma questa situazione potrebbe cambiare in futuro… -

- A cosa ti riferisci? - le domandò Rei, non riuscendo ancora a mettere a fuoco il problema, ma cominciando a intuirne l’origine.

Il sospetto divenne certezza mentre le chiedeva - Dimmi la verità, sei sicura che non si tratti di nuovo di Hayama? -

- No, no, non è così - ribatté Sana, punta sul vivo, arrossendo leggermente in viso.

Di nuovo, scese il silenzio, dovuto stavolta alla poca credibilità della risposta.

- Forse è così - riconobbe alla fine la ragazza, alzando la testa - Ma non per le motivazioni che credi tu - aggiunse convintamente.

Rei accavallò le gambe, tentando di darsi un tono. Portò la mano destra all’altezza del mento, assumendo un’aria da pensatore talmente fuori posto sulla propria persona, che a Sana venne una gran voglia di ridere, nonostante il momento fosse delicato.

Ma non avrebbe riso, se avesse saputo che poco prima, nella mente del suo manager, alla parola “Hayama” si erano risvegliati sentimenti legati ad un’inimicizia mai celata e al fastidio di trovarsi di nuovo il biondino tra i piedi come fonte di problemi per la ragazza verso la quale provava lo stesso affetto di una sorella minore.

- Io non credo niente; so soltanto quello che vedo - le disse Rei, guardandola negli occhi in un modo che quasi le mise paura.

L’uomo sentì montare dentro di sé un incontenibile risentimento verso Akito. Non gli erano forse bastati i guai che aveva già causato in passato? Perché quel teppista non si decideva a uscire una buona volta dalla vita della ragazza? Più ci rifletteva, e meno gli sembrava possibile che un animo nobile come quello di Sana potesse avere affinità con uno arido come quello di Hayama.

- E quello che vedo - proseguì alterandosi a causa di quei cattivi pensieri - è un’attrice che spreca il proprio talento per correre dietro al suo ragazzino; come manager, ho il dovere di consigliarti di rifletterci bene; stai commettendo un grosso errore -

Più che la scarsa considerazione nei confronti della sua maturità, fu il sentir nominare Hayama “ragazzino” a non piacerle per niente.

Sana sentì crescerle nel petto uno sdegno bruciante; le riuscì di mantenere momentaneamente la calma e non rovinare subito tutto; ma non poté mascherare l’acredine nel tono della voce.

- Non si tratta di correre dietro a nessuno! - ribatté caustica - Sai Rei, ci sono delle cose più importanti del lavoro, a questo mondo! -

Rei si sentì accusato e rispose senza riflettere - Senza dubbio, ma a volte mi domando se tu sia in grado di riconoscerle ancora! -

Qualcosa nell’atmosfera era cambiato. Una gelida tensione era calata tra di loro ed entrambi apparivano maldisposti l’uno verso l’altro.

- La verità è che a te Hayama non è mai piaciuto - lo accusò lei alzandosi di scatto dal letto, senza più riuscire a dominarsi.

Rei si alzò a sua volta; nel suo volto, ormai più nessuna traccia di giovialità - E’ vero; non mi è mai piaciuto. Troppe volte ti ho vista soffrire a causa sua; la vostra è una storia disgraziata -

La durezza di quelle parole fu tale che a Sana parve di ricevere un ceffone in pieno volto. L’astio di Rei nei confronti del suo ragazzo la ferì profondamente.

- Come puoi esprimerti così? - lo aggredì - Tu non lo conosci! Non sei in grado di giudicarlo! Ti è mai venuto il sospetto che potrei avere le mie buone motivazioni per comportarmi così? Non è stato Hayama a chiedermi di rinunciare al lavoro! L’ho deciso io, di mia iniziativa, e quello che abbiamo passato non ha niente a che vedere con questo… -

Il manager allargò le braccia, lasciando che il fiume di parole che aveva tenuto in serbo si riversasse su di lei, crudelmente. Nonostante sapesse che in quel modo non avrebbe ottenuto nulla; nonostante si fosse preparato per mesi a quel momento, il suo temperamento tranquillo venne meno.

- Sana… Ha tutto a che vedere! Perché non riesci a capirlo? Neanche una storia tra due adulti avrebbe potuto essere più complicata della vostra! Ti ritroverai sola e ti resterà solo il rimpianto di aver mandato tutto all’aria! -

Per Sana, quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Non riuscì più a ragionare coerentemente; il risentimento le colorò le gote di rosso e le fece salire le lacrime agli occhi. Puntando il dito contro l’uomo che prima di Akito aveva rappresentato il centro del suo modo insieme alla madre, lo accusò violentemente e con parole gravi.

- Sei un egoista! Tutto ciò che ti preme è salvaguardare la tua posizione di manager! Sei mosso unicamente dall’interesse per il denaro! -

Nel volgere di pochi secondi, l’implacabile crepa delle incomprensioni si propagò da un capo all’altro della stanza, sacrificando il loro rapporto sull’altare delle meschinità umane.

Rei rimase lì attonito, sconvolto. Gli sembrò di essere vittima di un incubo orribile. Fu costretto a prendere atto che i suoi timori erano divenuti realtà; se ciò fosse avvenuto per colpa sua, o di Sana, a questo punto non aveva più alcuna importanza. Tutto era andato in frantumi.

Lentamente, nonostante fosse sera tarda, si infilò di nuovo gli occhiali da sole e disse con voce rotta.

- Ti auguro ogni bene. Lascerò questa casa stanotte stessa; abbi cura di te -

E con passi gravi si avviò fuori dalla stanza. Quando chiuse dietro di sé la porta della stanza, rimase ancora per un momento fermo sulla soglia, sperando infantilmente che Sana lo richiamasse, che potessero parlare ancora un’ultima volta.

Sospirando, si diresse in camera sua con la morte nel cuore.

 

 

Sana era rimasta in piedi al centro della stanza; non era riuscita a trovare la forza di fermarlo. Provava un odio bruciante per Rei; non soltanto per come avesse tenuto in scarsa considerazione la maturità delle sue scelte; ma anche, soprattutto, perché aveva risvegliato il mostro dell’inquietudine che aveva albergato stabilmente nel suo cuore.

Sfinita, si distese sul letto portandosi una mano alla fronte.

A sé stessa, non poteva mentire. Sapeva che le parole di Rei sulla sua storia con Hayama erano in parte vere. Era stata una relazione maledettamente complicata; e lei aveva sperato che dopo il rientro del ragazzo dagli Stati Uniti il peggio fosse passato.

Invece, il nuovo Akito, pur essendo ancora il ragazzo di cui si era innamorata prima della partenza, era tornato con addosso una specie di infelicità di cui lei si era accorta immediatamente.

Aveva cercato di scavargli nell’animo per carpirne qualcosa; ma per la prima volta non ci era riuscita. Il ragazzo aveva preferito non dirle niente, limitandosi a vaghe rassicurazioni alle quali non aveva creduto.

Per aiutarlo e stargli vicina, aveva comunque deciso di abbandonare temporaneamente tutte le sue attività, compresa quella radiofonica di assistenza sociale che così tanto l’aveva confortata durante i 24 mesi di assenza di Hayama.

Quella scelta le era sicuramente costata parecchio, poiché Sana amava molto il suo lavoro; semplicemente, si era accorta di amare di più lui, e aveva desiderato ardentemente che questo bastasse.

E tutto sommato, era quasi bastato. La vita aveva ripreso in qualche modo a scorrere tranquillamente. Si era abituata a non lavorare più, anche se saltuariamente le veniva ancora un po’ di nostalgia dei tempi in cui, affaccendata e correndo a perdifiato, sfrecciava in macchina con Rei da una stazione televisiva all’altra.

In quel momento però, la paura delle cose non dette ed i sensi di colpa per aver ferito Rei con parole che non appartenevano al suo mondo, avevano messo in bilico quasi tutte le sue certezze; sicché ebbe la sensazione che tutto le stesse sfuggendo di mano; si rannicchiò su di un fianco e pianse.

 

 

Akito guardò il display del cellulare ancora per un momento, poi si decise ad attaccare. Era strano che non rispondesse, dal momento che aveva insistito così tanto per essere tenuta al corrente sull’andamento degli allenamenti.

- Mah, chi la capisce è bravo - mormorò a sé stesso infilandosi il cellulare nella tasca.

La sorella, di passaggio nel salone dopo aver sistemato in cucina, lo sentì sussurrare e volle tentare di saperne di più, da brava curiosa quale era.

Si avvicinò con passo felpato alle sue spalle, approfittando del rumore di fondo della televisione accesa per non farsi udire.

- Va tutto bene? Per caso Sana non è raggiungibile? -

Akito ebbe un sobbalzo che lo fece scattare in piedi alla stregua di un marine sull’attenti. Si voltò infastidito verso la ragazza.

- Natsumi! Ti sembra questo il modo di arrivare alle spalle? -

La ragazza rise - Suvvia era solo un gioco, non capita spesso di vederti usare il cellulare -

Akito alzò le spalle - Solo quando serve; non come te che ci perdi le giornate; finirai per lobotomizzarti il cervello -

Per quanto fosse più grande di lui di alcuni anni, Natsumi soffriva di reazioni che il fratello faticava a comprendere e che la rendevano, almeno all’apparenza, molto più infantile.

Gli mostrò la linguaccia - E’ una fine che farai tu molto prima di me se continui a beccarti tutti quei colpi in testa col karate -

La stessa lingua tagliente restava comunque la prova più lampante della loro parentela.

Erano sul punto di continuare a beccarsi quando improvvisamente suonò il campanello.

Il padre di Akito, Fuyuki Hayama, giunse dalla stanza attigua e andò ad aprire lasciandosi alle spalle i figli interdetti : Non erano soliti ricevere visite a quell’ora.

 

 

- Buonasera; posso sapere con chi ho il piacere? - chiese garbatamente, rivolgendosi allo sconosciuto che stanziava sulla soglia di casa sua.

L’uomo indossava un lungo pantalone marrone oltre ad una camicia bianca lasciata cadere sul ventre prominente.

Da sobrio, Ohki-san aveva un aspetto decisamente più rassicurante rispetto al solito. Dovendo presentarsi alla famiglia Hayama, aveva saggiamente deciso di evitare di ricorrere al solito cicchetto serale.

Magari avrebbe recuperato il tempo perduto una volta rientrato a casa.

- Buonasera a lei; si ricorda di me?      Il mio nome è Tsumuri Ohki e sono il padre di Tsuyoshi -

Sentendo nominare l’amico del figlio, Fuyuki finalmente lo riconobbe. L’ultimo ricordo che aveva di lui risaliva ai tempi in cui Akito e Tsuyoshi frequentavano ancora le elementari; si ricordò di averci avuto a che fare in occasione di uno degli ultimi consigli scolastici.

- Il padre di Tsuyoshi, ma certo. E’ un piacere rivederla; la prego, desidera accomodarsi? Posso esserle utile? -

- E’ molto gentile, grazie - disse Tsumuri, riconoscente.

 

Non appena furono entrati in casa, la reazione di Akito non tardò a manifestarsi.

- Papà, che cosa ci fa lui qui? - chiese il ragazzo con fare aggressivo, accigliandosi.

Il padre rimase titubante per un momento.

- Akito, conosci già il signor Ohki, il padre di Tsuyoshi? -

Akito serrò i denti; durante il loro ultimo incontro, di fronte all’indifferenza che aveva manifestato verso il destino dei propri figli, lo aveva apostrofato “pelatone” rischiando di scatenare una colluttazione.

- Certo che lo conosco - rispose bruscamente.

Il padre di Tsuyoshi alzò le mani nel tentativo di manifestare le sue intenzioni pacifiche.

- So di non godere della tua stima, Hayama-kun; sono venuto qui soltanto per parlare e nient’altro; ti prometto che andrò via presto -

Akito, di tutta risposta trattenne a stento uno sbuffo. Quella visita si annunciava come l’ennesimo fastidio.

Natsumi aveva assistito alla conversazione, e per rompere l’imbarazzo che si era venuto a creare propose energicamente.

- Perché non vi accomodate tutti in cucina? Preparerò qualcosa di fresco da bere -

Il padre, colse al volo l’occasione - Davvero una buona idea, figliola. Venite, avanti - e li condusse nella stanza.

Seduti tutti e tre intorno al tavolo, con Fuyuki al centro e gli altri due di lato, l’atmosfera non era delle più serene.

Akito continuava a guardare Ohki-san in cagnesco, e sembrava pronto a scattare alla prima occasione buona. Il padre di Tsuyoshi, nel frattempo, cercava ostinatamente di mantenere un contegno degno di un funerale.

Alla fine fu il padre di Hayama, dopo aver saettato lo sguardo da un capo all’altro del tavolo, a prendere la parola, con la solita calma e compostezza.

- Allora signor Ohki, immagino che il motivo di questa visita abbia in qualche modo a che fare con il torneo. C’è stato per caso qualche problema con i documenti? -

Tsumuri alzò finalmente la testa, che aveva tenuto calata fino a quel momento.

- Assolutamente no; tutto è in regola e pronto per l’inizio della competizione tra 45 giorni -

- Allora che cosa è venuto a fare? - si intromise prepotentemente Hayama

- Akito… - fece suo padre tentando di riportarlo alla calma

- Lasci stare, Hayama-san - lo tranquillizzò il padre di Tsuyoshi - Suo figlio ha tutte le ragioni per avercela col sottoscritto. In realtà sono venuto qui stasera solamente per ringraziarlo -

Akito si accigliò - Mi dispiace, ha sprecato il suo tempo. Non occorre che mi ringrazi di nulla -

Tsumuri insistette - Invece devo farlo. Stai rendendo un grande favore a me ed alla mia famiglia; voglio che tu sappia che non lo dimenticherò. Anche Tsuyoshi mi è sembrato contento - aggiunse con fare malinconico.

Ma il biondo non era disposto a cedere così facilmente.

- Ma davvero… Da quando le importa se suo figlio è contento? - chiese con crudele sarcasmo.

Ohki-san abbassò la testa.

- Da molto più di quanto tu non creda - gli rispose stringendo i pugni. Sapeva che quel ragazzino sarebbe stato un osso duro, ma non immaginava fino a quel punto.

A quel punto, Fuyuki intervenne tentando di riportare il dialogo a livelli accettabili di civiltà.

- Akito, non potresti essere meno severo con il nostro ospite? Ricorda che è giunto fin qui per ringraziarti, pertanto merita un trattamento più rispettoso da parte tua -

- Il mio rispetto ce l’hanno le persone che lo meritano - ribatté Akito girandosi verso il padre - Quest’uomo non ha la minima idea dei danni e delle sofferenze che le sue azioni hanno causato. Lo dimostra il fatto che sia venuto qui stasera -

Tsumuri lo guardò strabuzzando gli occhi - Che cosa intendi dire? -

Hayama si voltò verso di lui - Visto che non riesce a capirlo da solo; glielo dirò io. In questo momento lei non dovrebbe essere qui a parlare con me, bensì dall’altra parte del quartiere a tentare di spiegare a sua moglie come mai suo figlio verrà pestato a sangue nel prossimo torneo! -

In quel momento giunse Natsumi con le bevande fresche e tutti ne approfittarono per prendersi una pausa doverosa.

Il padre di Tsuyoshi utilizzò quel fortunoso momento di break per raccogliere le idee, sorseggiando la bevanda.

Posando lentamente il bicchiere si rivolse al giovane.

- Se potessi ancora parlare con mia moglie, credimi, lo farei. In compenso, posso parlare con te. Perciò ti prego di ascoltare quanto ho da dirti -

Di ascoltarlo, Akito non aveva alcuna voglia, tuttavia un’occhiataccia del padre lo fece desistere dal protestare ancora.

Respirando profondamente, Tsumuri parlò senza riserve. La gravità nella sua voce gli ricordò molto quella del figlio la sera in cui gli aveva chiesto aiuto.

- So di aver sbagliato molte volte nella mia vita. Ho avuto già modo di pentirmene senza che tu infierisca su di me; e pagherò con la solitudine il prezzo delle mie scelte errate. Tutto ciò che desidero adesso è aiutare la mia famiglia rispettando l’ultimo vincolo che mi lega a loro : Quello economico. Per questo ti ringrazio per aver deciso di aiutare mio figlio, e che tu ci creda o no, hai la mia gratitudine -

Si trattava, in bocca a lui, di un ringraziamento sincero. Persino Akito non poté restare indifferente di fronte al suo parlare onesto, e assunse un atteggiamento lievemente meno ostile nei suoi confronti.

Ciò nonostante, non fece sconti quando gli disse come la pensava.

- Tsuyoshi non ha alcuna possibilità di farcela -

L’uomo lo guardò tristemente.

- Ne sei sicuro? -

- Purtroppo, è una certezza - rispose Akito bevendo dal suo bicchiere
- Non crederà possibile imparare il karate in poco più di 2 mesi? Lei gestisce una palestra, dovrebbe sapere come funziona - aggiunse causticamente.

A quel punto suo padre volle fargli una domanda.

- Akito, tu hai seguito un programma speciale in America… Non pensi che sia possibile fare in modo che Tsuyoshi possa seguirne uno identico? Aumenterebbe le vostre possibilità -

- E’ quello che stiamo già facendo - gli rispose il figlio - Ma abbiamo comunque poco tempo -

- Se solo voleste… - propose timidamente Tsumuri - …Potreste venire ad allenarvi alla palestra, a Shinjuku… -

Akito non si diede neanche la pena di rispondergli. Andare ad allenarsi in palestra, come in qualsiasi altro luogo, non avrebbe inciso sulle loro possibilità di vittoria. Era una mera questione di tempistica.

- Cosa pensi che succederà? - gli chiese Fuyuki.

- Per come la vedo io - spiegò Akito - Stiamo parlando di un’impresa disperata. A questo torneo parteciperanno alcuni tra i migliori atleti di karate in circolazione. Tsuyoshi ha una volontà ferrea e sta imparando velocemente; tuttavia stiamo parlando di pochi mesi di addestramento che si scontreranno contro anni di preparazione atletica. Il risultato è scontato -

Tutti, al tavolo, colsero la spiacevole allusione che il ragazzo aveva volutamente lasciato incompiuta.

Tsumuri sentì una morsa di disagio serpeggiargli dentro, e improvvisamente ebbe paura per le sorti del figlio. Una paura che l’entusiasmo per la sua partecipazione al torneo aveva tenuto sopita fino a quel momento.

- Per questo le dicevo di non ringraziarmi - continuò Hayama, alzandosi dal tavolo - Dovrebbe farlo se potessi garantirgli di vincere, ma non posso; l’unica cosa che posso garantirle, è che andrò fino in fondo, insieme a lui -

A quel punto, Ohki-san si rese conto che la conversazione era terminata, e fece anch’egli per alzarsi e tornare a casa. Prima di congedarsi, volle tuttavia chiedere un ultimo favore al ragazzo.

- Nonostante non parliamo quasi mai, ho visto mio figlio molto contento in questi giorni; sembra una persona nuova da quando si allena con te, pare stia anche acquisendo più fiducia in sé stesso. Per favore, non dirgli nulla sulla mia visita di questa sera, ma soprattutto, non rivelargli che secondo te non ha speranze; gli taglierebbe le gambe -

Akito volle protestare - Io non mento mai -

- Non ti sto chiedendo di mentire; soltanto di considerare il fatto che è meglio che lui arrivi al torneo convinto di potercela fare piuttosto che con la certezza di perdere datagli dal suo stesso sensei - rispose stancamente Tsumuri - Conosco mio figlio percui accetta questo buon consiglio : convincilo di essere forte e lui lo diventerà davvero - dopodiché si rivolse al padre di Hayama.

- La ringrazio per avermi accolto in casa sua stasera, e perdoni ancora se l’ho disturbata a quest’ora -

Fuyuki lo salutò con garbo - Ma le pare; sono sicuro che avremo modo di rivederci anche prima del torneo. Si riguardi -

Ohki-san uscì dalla casa assaporando la piacevole brezza di quella calda sera d’estate. Sospirando, alzò la testa rivolgendo lo sguardo alle stelle, e si disse che, forse, quella sera avrebbe anche potuto evitare il cicchetto della buona notte.

 

 

Akito, suo padre e la sorella avevano preso di nuovo posto a sedere sul divano del salotto. La televisione stavolta era spenta e tutti e tre aspettavano in silenzio il momento giusto per parlare.

- Sembra un uomo migliore di quanto appaia - osservò Natsumi

- Ha abbandonato la famiglia. Si è ritrovato senza un soldo, e adesso sta cercando un modo per uscirne; è fortunato ad avere un figlio che si prenda cura di lui, nonostante non lo meriti - rispose Akito.

- Tutti possiamo sbagliare, nella vita - gli fece notare suo padre con una punta di disagio, dovuta certamente alla delicatezza del discorso che stavano affrontando - Ma è confortante sapere che voglia rimediare ai propri errori - aggiunse imbarazzato.

Hayama non poté fare a meno di ricordare che anche loro, un tempo, erano stati una famiglia divisa e segnata dal dolore. Il rapporto difficile che aveva avuto con la sorella e con il padre lo avevano profondamente destabilizzato durante quegli anni bui.

Il ragionamento lo portò ad apprezzare ancora di più il cuore d’oro di Tsuyoshi, che nonostante le avversità, aveva messo da parte il risentimento nei confronti del padre, per aiutare lui e la sua famiglia.

Gli venne da chiedersi come avrebbe reagito lui, al posto dell’amico, se a trovarsi in difficoltà durante quegli anni bui, fosse stato uno dei suoi parenti.

Per fortuna, aveva avuto Sana al suo fianco, ad aiutarlo e a riportare la serenità; decise allora che Tsuyoshi avrebbe avuto lui.

Quel pensiero lo spinse di nuovo a domandarsi come mai Sana non avesse risposto alla telefonata fatta mezz’ora prima. Avrebbe voluto ritentare, ma l’ora tarda lo fece desistere. Tuttavia, uno spiacevole presentimento gli tenne compagnia per tutta la notte.

 

 

Sana non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare alla lite con Rei e alle parole dure che si erano rivolti quella sera.

Ancora stesa nel letto con indosso una leggera sottoveste, guardava fissamente lo schermo del proprio cellulare dove lampeggiava la chiamata persa da parte di Hayama.

Avrebbe tanto voluto rispondergli; ma una sorta di blocco psicologico dovuto agli avvenimenti di quella sera l’aveva portata ad ignorare la telefonata.

Quella notte, la ragazza rifletté a lungo senza chiudere occhio sul da farsi. Poco prima dell’alba, decise che al più presto avrebbe parlato al ragazzo, nonostante la prospettiva le incutesse una strana paura che non sapeva spiegarsi.

“Non posso più esitare; adesso devo capire” si disse girandosi nel letto per l’ultima volta prima di cedere alla stanchezza. Il suo, fu un sonno agitato. Di nuovo, l’incubo della bambola tornò a manifestarsi con la sua terrificante presenza, facendola piangere nel sonno.

 

***

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