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di Drop_the_world
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una fantastica sfortuna ***
Capitolo 2: *** Ancora ***



Capitolo 1
*** Una fantastica sfortuna ***


Era pronto, carico, la sua mente era già scesa in campo. Il suo sguardo era fisso fuori dal finestrino del pullman. Niccolò , ragazzo di 16 anni, capitano della squadra di rugby della sua regione cercava la concentrazione nel paesaggio grigio e nuvolo in quella giornata di fine novembre. Era alto un metro e ottanta, ben messo fisicamente, muscoli definiti ma non esagerati, veloce e potente. In testa aveva una bella chioma di capelli castani leggermente mossi che gli arrivavano fin sotto all'orecchio. I suoi occhi, molto espressivi, erano un po' più scuri del color nocciola. Aveva inoltre un sorriso contagioso che spesso irradiava tutti. Estroverso e pieno di voglia di vivere e divertirsi sapeva come trattare le persone.
Quella trasferta era importantissima, bastava un pareggio per guadagnare il primo posto in campionato prima della pausa invernale. Scesi dal pullman i giocatori si dovettero coprire per bene, la pioggia cadeva davvero molto fitta. Il campo era una pozza di fango a tal punto che l’erba non si poteva più neanche distinguere. Il freddo di novembre pungeva le guance. Sapevano già che sarebbe stata una partita dura. Negli spogliatoi c’era un silenzio quasi assoluto, disturbato da qualche lieve rumore dei compagni di Nico che si preparavano a giocare. Calzettoni, pantaloncini corti, maglia termica a maniche lunghe, maglia della divisa a maniche corte, scarpe con tacchetti in ferro e fasciature varie. Erano pronti. Fu necessario un riscaldamento lungo e graduale, il freddo fa brutti scherzi hai muscoli e ai tendini.

L’arbitro fischiò e dopo pochi attimi partì il calcio di inizio. Niccolò grintoso e cattivo corse verso il portatore di palla e lo atterrò con un ottimo placcaggio. Ancora uno e uno ancora. Non lo si poteva fermare. Prima mischia della partita. Il capitano si posizionò al suo posto e guardò dritto negli occhi il suo avversario. La partita andava avanti, ma a un certo punto successe una cosa, un piccolo incidente. Nico cercò di placcare un avversario mentre questo calciava, prendendosi così una gomitata sull’occhio. Probabilmente grazie al freddo e all’adrenalina non sentì quasi nulla e continuò a giocare. Poco dopo, appena prima di un’altra mischia l’arbitrò fermò il gioco.

- Capitano sta sanguinando, non può proseguire la partita.

-Cosa?

-Il suo sopracciglio sanguina. Si faccia vedere dal medico in panchina.

Si guardò la maglia e vide che effettivamente era macchiata di sangue. Non doveva succedere quel giorno, in quella partita così importante in cui la squadra necessitava del suo aiuto. In collera si diresse imprecando verso la panchina.

-Doc sistemami che devo rientrare subito.

-Vedo cosa posso fare.

Appena il dottore ebbe disinfettata e pulita la ferita dal fango cambiò la sua espressione da serena a terrorizzata. Questo improvviso mutamento preoccupò un po’ il capitano. Sentiva che qualcosa non andava e che probabilmente non sarebbe potuto rientrare.

-Cosa c’è Doc? Tutto apposto?

-Hai un bello squarcio sul sopracciglio… è lacerato. Mi sa che hai vinto dai 3 ai 5 punti.

-Beh, cosa aspetti? Prendi ago e filo, fai la tua magia e fammi tornare in campo.

-Lo farei, ma c’è un piccolo problema… non ho punti di sutura. Mi dispiace, la tua partita finisce qua. Vai pure a farti la doccia. Ah e fai attenzione a non bagnarti la ferita. Naturalmente quando arriviamo a casa vai in pronto soccorso.

Senza dire nulla Niccolò si alzò e rassegnato si diresse verso gli spogliatoi. I suoi compagni persero di due punti allo scadere del tempo.

Quando il pullman si fermò buona parte dei genitori era ferma nel parcheggio ad aspettare ognuno il proprio figlio. La madre del capitano infortunato era tra questi, le si poteva leggere in faccia l’ansia e la preoccupazione a parecchi metri di distanza. Niccolò le andò in contro senza dire nulla, con ancora David Gilmour chitarrista dei Pink Floyd che suonava il suo assolo negli auricolari.

-Tutto bene? Fa tanto male?

-Mamma sto bene, andiamo al pronto soccorso così mi mettono sti cazzo di punti e ce ne torniamo a casa.

-Non essere volgare… Dai Sali in macchina.

 

Quando entrarono nell’ala dell’ospedale consona al pronto soccorso erano le 8:23. Niccolò lesse l’ora sull’orologio digitale che segnava con dei led rossi, a intermittenza di 5 secondi l’orario, la data e la temperatura esterna e capì subito che sarebbe stato il suo compagno per tutta la sua permanenza lì. Lui e sua madre si sedettero su una delle serie di sedie della sala d’attesa. Pensò di non aver mai provato una sedia così scomoda. Iniziò a guardarsi intorno e ad esplorare con gli occhi la fauna di quel luogo così triste. In fondo alla stanza un signore sui 50 anni si lamentava del dolore alla testa; accanto a lui una vecchia donna teneva compagnia al marito decrepito seduto su una carrozzina e dotato di un tubicino di silicone trasparente che gli usciva dalle narici e gli portava l’ossigeno. Di fronte all’anziana copia un’intera famiglia di tunisini occupava l’intera serie di sedie. Nell’angolo opposto al cinquantenne, che si lamentava in continuazione, una ragazza con i con la gamba immobilizzata era sdraiata su una barella.

Ad un certo punto un ragazzo con non più di trent’anni entrò e dopo essere andato all’accettazione si sedette tra il lamentone e la coppia di decrepiti. Come il suo vicino si lamentava, lui però accusava un forte male alla schiena e reclamava un antidolorifico. Dopo mezzora si alzò infuriato.

-Non è possibile che dopo mezzora neanche mi avete visitato. Ho un dolore incredibile alla schiena, non riesco a stare in piedi, seduto e sdraiato e su sto braccialetto vedo scritto “codice bianco”. Codice bianco un cazzo! Il servizio sanitario fa schifo, tutto fa schifo. È questo il problema del nostro paese! Andatevene tutti al diavolo.

E sen uscì sbattendo la porta. Nico fu divertito da quel bizzarro episodio, ma capì che effettivamente ne avrebbe avuto per parecchio tempo la dentro. Un altro evento gli fece dimenticare il precedente. Una ragazza con il polso legato al collo con un foulard entrò accompagnata dalla madre e si sedette di fronte a lui. Il ragazzo alzò gli occhi dal cellulare e la osservò molto attentamente.

Non era molto alta, circa un metro e sessanta contro il metro e ottanta di Niccolò. Il fisico era molto ben equilibrato, le gambe una giusta formula di muscoli e curve, i fianchi non troppo esagerati, i glutei sodi e molto ben definiti e una buona terza di seno. I suoi capelli erano color biondo cenere, mossi e lunghi abbastanza da arrivarle a metà schiena. La guardò per la prima volta in faccia e notò le guance coperte da un accenno di lentiggini. Ma la cosa che colpì davvero Niccolò fu il suo sguardo, il modo in cui per la prima volta si guardarono. Riuscì dopo neanche qualche minuto a perdersi nei suoi occhioni verdi. Non potette far altro che sorriderle. Sapeva, anche se non lo ammetteva mai, di aver un bel sorriso capace di ottenere molte cose. La ragazza rispose con un sorriso ancora più fatale. Lui ne rimase sconvolto, crebbe per un attimo di essersi addormentato durante l’attesa e di stare sognando. Non poteva essere vero, era bellissima.

Iniziarono a scambiarsi sguardi, prima di rado e senza molto significato, poi sempre più frequentemente. Era come se conversassero con gli occhi. Niccolò passava dall’orologio digitale alla ragazza senza sosta.

Erano le 22.07 quando venne chiamato per una visita veloce. L’infermiera gli misurò la pressione, chiese cosa fosse successo e lo rimandò in sala d’attesa dicendo che sarebbero serviti dei punti di sutura e che avrebbe dovuto aspettare qualche ora. "Fantastico! Non lo avrei mai saputo dire che mi servono dei punti, che perspicace che sei..." Pensò di rispondere, ma si limitò a un sorriso. Poco dopo essere tornato nella sala di attesa venne chiamata la ragazza per la visita.
Stette via per meno di dieci minuti e quando tornò al posto del foulard aveva una fascia. 
Passò un'ora e Niccolò non ne poteva già più, gli faceva male la testa era stanco e deluso dall'esito della partita. 
- Non è possibile, tutto questo tempo per quattro punti! Mi viene voglia di prendere una graffetta e lo spago che c'è al banco accettazione e cucirmi da solo...
Disse rivolgendosi alla madre che lo guardò dispiaciuta.
-Dopo che ti sei cucito ingessi anche il mio polso?
Quella risposta era arrivata dalla ragazza che lo guardava sorridente e divertita. Lui annuì sorridendo a sua volta. 

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Capitolo 2
*** Ancora ***


Davvero era successo? Davvero gli aveva rivolto la parola? Davvero quella ragazza perfetta aveva fatto una battuta per rompere il ghiaccio? Forse se l’era immaginato, il che non era affatto impossibile dato che era imbottito di antidolorifici. -Sono Emma, piacere. Sorrise ancora la ragazza. Era la conferma che non si era immaginato nulla, anche se non ne era del tutto sicuro di cosa fosse appena accaduto. Quelle parole avevano suscitato una strana sensazione dentro Niccolò. Eppure erano tre semplicissime parole. Forse era colpa del sorriso, di quel sorriso fatale, che lo aveva inebriato da subito, o forse degli occhi, di quei profondi occhioni verdi in cui riusciva a leggerle le emozioni. Fece per rispondere, aprì la bocca ma non uscì alcun suono. Ora la sua bocca era impastata e impregnata di un gustaccio amaro e acre. Gli venne un’improvvisa voglia di fumare. No, ora non doveva pensare al fumo, ma a una risposta semplice da dare a Emma. Stava di nuovo per aprire bocca quando improvvisamente si accorse di non ricordarsi più il proprio nome. Incredibile, il mix di antidolorifici, che avevano agito come una droga, la vista della ragazza e la botta in testa gli avevano fatto scordare il suo nome. Dovette guardare il braccialetto dell’ospedale per ricordare di chiamarsi Niccolò. -Io sono Niccolò, ma mi puoi chiamare Nico, se ti va naturalmente. Disse finalmente imbarazzato e un po’ insicuro. Non gli era mai capitata una cosa del genere. Di solito ci sapeva fare con le ragazze, sapeva cosa dire, come comportarsi, come guardarle. Di solito era lui a controllare le ragazze. Adesso però era Emma ad avere il pieno controllo su di lui. Capì subito che era diversa da tutte le altre. -Si, mi piace, Nico va bene. Ti chiamerò Nico. Ancora qual sorriso, ancora quello sguardo. -E dimmi Nico, cos’hai fatto al sopracciglio? -Giocando a rugby, ho preso una gomitata e mi sono lacerato il sopracciglio… -spiegò serenamente- e oltre al danno la beffa, è successo dopo un quarto d’ora dall’inizio di una delle partite più importanti del campionato. -Che sfiga! Mi dispiace un sacco. Spero non sia nulla di grave. -No no, qualche punto e sono come nuovo. -Hai ancora intenzione di cucirti con lo spago? – Rise lei -Si e dopo ti ingesso il braccio. Risero entrambi di gusto finendo per guardarsi nuovamente negli occhi -Tu invece, come hai fatto a romperti il polso? -Ehi, non è sicuro che sia rotto –disse scherzosamente Emma- Stavo facendo una gara di sci notturna e ho pensato bene di centrare in pieno una porta. Dopo essere esplosa tra neve, sci e racchette mi sono ritrovata il polso dolorante. -Vedo che anche tu non sei stata molto fortunata. -Dici? Secondo me lo sono stata eccome. Si stava davvero riferendo a ciò che pensava Niccolò? Si, aveva appena ammesso implicitamente che era stata fortunata a cadere ed essere costretta ad andare in pronto soccorso. Emma aveva intuito che Nico avesse capito tutto e sfoderò per l’ennesima volta il suo sorriso. Continuarono a parlare e Niccolò fu tentato più volte di chiederle il numero. Voleva rivederla, voleva conoscerla meglio. Alle 0.54 venne chiamato per farsi cucire. Se prima aveva aspettato con ansia quel momento ora non voleva andarsene, avrebbe voluto rimanere con Emma a chiacchierare. Si alzò svogliatamente dalla sedia, salutò la ragazza e si diresse verso la porta in fondo alla stanza da cui era spuntata l’infermiera per chiamarlo. Aprì la porta e mentre varcò la soglia guardò un’ultima volta la sua compagnia di quella fortunata disavventura. Venne condotto in un’altra sala d’attesa, dove un medico gli spiegò che tempo dieci minuti e lo avrebbe visitato. In realtà non era una vera e propria sala d’attesa, era stata ricavata da una stanza in cui dovrebbero esserci stati ricoverati dei pazienti. Vi erano otto letti, quattro sulla destra e quattro sulla sinistra. Come preannunciato, il dottore arrivò poco dopo e lo accompagnò in un’altra stanza ancora. Lì lo fece accomodare sul letto, chiese cosa fosse successo e disse che naturalmente ci sarebbero voluti dei punti. Prese una siringa di anestesia e la iniettò intorno al sopracciglio di Niccolò. Iniziò a cucire e una volta finito ammirò il lavoro, quattro punti di sutura. -Ora per sicurezza devo mandarti a fare i raggi per assicurarsi che non ci siano microfratture o commozioni cerebrali pericolose. Nico dopo aver fatto le lastre tornò nella sala d’attesa, o meglio, nella stanza con i letti. Durante il tragitto il suo sguardo era fisso al pavimento. Stava per svoltare nel corridoio che dava alla sua destinazione quando si scontrò con qualcuno. Appena alzò gli occhi riconobbe immediatamente quei lineamenti, quel sorriso, quegli occhi. -Ehi, chi si rivede! Vedo che hai finalmente dei punti al sopracciglio, li hai messi tu o il dottore? -Il dottore… anche se probabilmente li avrei messi meglio io. Tu invece sei ancora senza gesso, te lo devo mettere io? -Sto andando a fare i raggi… poi mi aspetto che tu mi ingessi questo maledetto polso -Volentieri, vado ad aspettare che il medico guardi i raggi e veda che ci sia tutto apposto. Così quando ti sistemo io il braccio. -D’accordo, io spero di fare veloce. Mi raccomando, non mi scappare eh. -Tranquilla, ti aspetto seduto, con tutti gli antidolorifici che mi hanno dato non potrei andare molto lontano. Quando arrivò nella sala d’attesa improvvisata si sedette sul letto dove sua madre lo aspettava pazientemente. Erano le 2:17. Niccolò non riusciva togliersi di mente Emma. Lo aveva fulminato, colto alla sprovvista nella notte buia e fredda e fatto sentire nudo sotto una coperta troppo corta per coprirlo tutto. Ogni volta che lei socchiudeva le labbra e lo illuminava con uno dei suoi sorrisi gli faceva mancare l’aria, lo faceva sentire soffocato, piccolo e indifeso. Non poteva non rivederla più, non era concepibile una cosa del genere per la sua mente, assolutamente no. Verso le 2:30 la vide spuntare col braccio ingessato e diregersi verso di lui con il suo sorriso, sta volta storpiato un po’ dal dolore. Si sedette accanto a lui sul letto. Ricominciarono a parlare e Niccolò continuava a essere indeciso se chiederle o meno il numero. Passò poco meno di un’ora e i due ragazzi avevano finito per sdraiarsi su un letto, uno vicino all’altro, e chiacchieravano, chiacchieravano senza sosta. Lui guardava lei e lei guardava lui. Nico avrebbe voluto passare l’eternità in quel modo, ma i suoi sogni ad occhi aperti vennero interrotti quando l’infermiera lo chiamò. Fortunatamente non aveva nessuna frattura e il trauma cranico era abbastanza contenuto. Uscì dalla stanza molto triste. Non per l’esito della ferita, gli era andata più che bene da quel punto di vista, ma per il fatto che non sopportava l’idea di lasciare Emma. Si conoscevano appena e già si era affezionato. Ammise a se stesso di volersene innamorare perdutamente, ma quando arrivò da lei per salutarla non ebbe il coraggio e la sfacciatezza per chiederle il numero. Riuscì però a farsi avanti per un abbraccio. Fu la stretta più bella di tutta la vita, non se ne voleva staccare. L’abbraccio durò a lungo, fino a che l’infermiera non chiamò la ragazza. Si guardarono per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Niccolò si perse nei suoi grandi ed espressivi occhioni verdi per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Niccolò si abbandonò al sorriso di Emma per quella che sarebbe potuta essere l’ultima volta. Dovevano andare entrambi. Erano le 3.43 del 28 novembre. Forse quello era il loro addio, forse. Avrebbe voluto tornare indietro per chiederle il numero di telefono e dirle quanto desiderasse rivederla. Ne voleva ancora. Bramava rivedere quel sorriso ancora. Sognava ad occhi aperti di incrociare quello sguardo ancora. Ne voleva ancora. Forse era troppo tardi. Forse.

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