Declino e Ascesa

di Deneb_Algedi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Hamburger SV ***
Capitolo 2: *** Ritorni ***
Capitolo 3: *** Nuove rivelazioni ***
Capitolo 4: *** Addii ***
Capitolo 5: *** La vita continua ***
Capitolo 6: *** Ozora vs Wakabayashi... nemici-amici ***
Capitolo 7: *** Decisioni ***
Capitolo 8: *** Re del Calcio - parte prima ***
Capitolo 9: *** Re del Calcio - parte seconda ***
Capitolo 10: *** 30 dicembre 2000 ***



Capitolo 1
*** Hamburger SV ***


   Febbraio 2000. Hamburger Sv. Ufficio del Presidente

 

 

 

Per me va bene”. Il Presidente si alzò volgendo le spalle ai suoi interlocutori, osservando il campo di allenamento dell’Amburgo. Dall’ampia finestra del suo studio era possibile guardare le sedute di allenamento dei suoi ragazzi.
“Ammetto che sono davvero dispiaciuto per lui. Non lo conosco da tanto, ma parlando con chi ha guidato questo Club prima di me, ho saputo che era un bambino silenzioso ed educato. Ed è riuscito a conquistare la stima di tutti lavorando sodo, fino a diventare il portiere titolare”.
“Purtroppo le attuali sanzioni a cui è soggetto il Club ci obbligano a vendere”, intervenne il Direttore Sportivo. Si tolse gli occhiali e li pulì con un fazzoletto.
“È Genzo è colui che può salvare l’Amburgo”, mormorò il Presidente Hoffmann. 
“Esatto. Qualche mese fa ha rifiutato un’offerta non ufficiale del Monaco che ci avrebbe fatto guadagnare 43 milioni di euro. I dirigenti del Bayern inviarono come intermediario Karl Heinz Schneider, dato che sono amici, ma non è servito a nulla”, inforcò gli occhiali e sfogliando diversi fogli continuò il discorso, “Ho svariate conoscenze nella stampa sportiva europea e alcune società sembrerebbero interessate ad avanzare un’offerta nella sessione estiva di mercato. In particolare, il Manchester United e il Liverpool in Inghilterra, il Lione e il PSG in Francia, il Milan e la Juventus in Italia e il Barcellona e il Real Madrid in Spagna”, sorrise soddisfatto.“Non appena comunicheremo che Wakabayashi sarà ufficialmente sul mercato si scatenerà un’asta e il prezzo salirà vertiginosamente".
“L’unico problema sarà affrontare l’insofferenza dei tifosi”, s’intromise il Direttore Generale.
“Dovremmo cercare di convincere Wakabayashi che questa è la decisione migliore per lui e per noi”.
“La soluzione migliore è strumentalizzare la partita con il Bayern e costringerlo ad abbandonare il Club".
"Sì, è meglio non lasciar trapelare i problemi finanziari. Sono in contatto con diverse cordate che sono disponibili a nuovi accordi. Se sapessero che abbiamo operato delle scelte sbagliate temo verrebbe a mancare la fiducia necessaria per sbloccare i nuovi fondi”, sostenne Hoffman.
A malincuore dico che Genzo Wakabayashi sarà il nostro capro espiatorio”.

                      

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Capitolo 2
*** Ritorni ***




Mangiò velocemente la cena che la madre gli aveva preparato e corse al pano superiore. Entrò nella sua camera da letto chiudendosi dentro. Si guardò intorno cercando il cellulare e lo vide appoggiato sulla scrivania. Buttandosi su letto compose il numero che ormai conosceva a memoria. Dopo pochi squilli una voce famigliare rispose.
“Ma senti un po’ chi mi chiama… ti avevo dato per disperso!”.
“Ciao Kaiser, disturbo?”.
“No, sto tornado ora a casa, abbiamo finito poco fa gli allenamenti. Hermann?”.
“Mh?”, grugnì Kaltz.
“Sei ancora arrabbiato con me?”, lo stuzzicò.
“Quella storia l’ho messa da parte, tranquillo. Almeno fino a che non ci rincontreremo, naturalmente”, sorrise.
“Sì, tanto perderete di nuovo. Non scaldarti più di tanto. E poi c’è già Wakabayashi che mi ha fatto una promessa simile. A proposito, come sta? É da molte partite che non gioca”.
“Infatti è questo il motivo per cui ti ho chiamato”, disse cambiando tono, “Karl, Genzo… dovrà lasciare la squadra”.
Schneider rimase a bocca aperta, “Che cosa? Non dirmi che per quel gol lo vogliono fare fuori?”.
“Sì, pare sia quella la causa. Lo metteranno in vendita a Luglio”.
“Ma lui ti ha spiegato qualcosa in più?”.
“No. Lo sai come è fatto quel dannato musone di un giapponese. Non si riesce a cavare un ragno dal buco con Genzo”.
Karl rimase in silenzio, meditando sulle parole dell’amico.
“Non riesco a tirarlo su, da solo”.
“Prova con una ragazza”, rispose scherzosamente l’altro tedesco.
“Schneider, da quando fai queste battute? Una risposta del genere me la sarei aspettata da Schester, non da te!”.
“Dopodomani il mio allenamento termina presto. Verrò ad Amburgo per parlare con Wakabayashi”.
“Sono felice di sentirtelo dire”, dichiarò masticando uno stuzzicadenti, “Magari in due lo risolleviamo un po’. Ah, un’altra cosa, Schneider”, aggiunse.
“Dimmi”.
“Marie come sta? Quanti anni ha ora? È diventata bella?”.
“Kaltz?”.
“Sì?”.
“Vaffanculo” rispose chiudendogli il telefono in faccia.


Due giorni dopo


Genzo era sdraiato sul divano, quando sentì il citofono suonare. “Che palle, oggi non ho proprio voglia di vedere nessuno” borbottò, “Chi è?”.
“Wakabayashi, sono Kaltz”.
Non rispose, limitandosi ad aprire la porta di casa. Raggiunse nuovamente il divano. Dopo pochi istanti avvertì un trambusto davanti l’entrata e girando il volto vide l’amico appoggiato alla porta.
"È così che si salutano gli amici che non vedi da tanto tempo?”, lo prese in giro.
“Hermann, ci siamo visti ieri”, ribatté con stanchezza il portiere.
“Ma io non parlavo di me”, si scostò facendo passare un’altra persona.
“Ciao Wakabayashi”, lo salutò quest’ultimo.
“Karl! Che ci fai qui?”, si alzò andando verso il frigorifero e prese tre lattine di birra. Le lanciò ai due invitandoli a sedere.
Scrollò le spalle, “Avevo nostalgia dei vecchi amici. Stasera però devo rientrare a Monaco”.
Il SGGK guardò sospettosamente il centrocampista, “Lo hai chiamato tu, vero?”.
“Io non centro niente. Mi ha telefonato stamattina avvertendomi del suo arrivo, ed ho pensato di portarlo qui”.
“Devo credergli?”, domandò al Kaiser.
Schneider scrutò la lattina ancora chiusa e sviò il discorso, “Non ho mangiato nulla. Da ieri sera. Cosa ne dite di preparare qualcosa?”.
“Già ottima idea, cucinerò io per voi. Le donne mi chiamano Chef Hermann!”, esclamò allegramente Kaltz dirigendosi in cucina.
“Certo le donne… tua madre vorrai dire”, lo corresse Schneider ridendo.
“Sei simpatico quanto un gol subito al novantesimo”. Cominciò ad aprire tutti i cassetti alla ricerca degli utensili e il frigorifero per cercare gli ingredienti.
Genzo e Karl si guardarono perplessi e il SGGK si decise a rivolgere la fatidica domanda al compagno di squadra, “Hermann, ma tu sai cucinare?”.
“Sicuro che so farlo! Anzi venite ad aiutarmi, scansafatiche! Tu Schneider metti l’acqua sul fuoco e intanto prendi gli spaghetti!”, ordinò poi al nipponico, “Tu invece sbuccia uno spicchio d’aglio, io penso al peperoncino”.
Il portiere squadrò il coltello e tagliò maldestramente l’aglio, “Va bene così?”.
Kaltz osservò il lavoro e lo bacchettò, “Mio Dio Genzo, sarai pure un fenomeno in porta ma in cucina sei proprio un disastro!”.
“Chef, l’acqua sta bollendo, butto la pasta?”, lo canzonò l’altro tedesco.
“Sì, buttala. Hai salato l’acqua?”.
“Ovvio, almeno quello so farlo”.
“Ok, ora andate a preparare la tavola, al resto ci penso io”, disse ai due prendendo una padella e dell’olio.
Dopo dieci minuti portò in tavola il suo capolavoro. “Bene, servitevi” esclamò orgoglioso.
“Sembra buono”, rifletté Genzo dopo il primo boccone, ma non fece in tempo a fare i complimenti a Kaltz che prese violentemente a tossire, seguito a ruota dal povero Schneider.
“Acqua, acqua” chiese il tedesco con un flebile tono di voce.
“Che delusione, il miglior attaccante e portiere della Bundesliga messi KO da un po’ di peperoncino”.
“Non sembra male, però hai esagerato col piccante”, affermò Wakabayashi.
“Sì giusto. Ma cos’è?”, domandò il Kaiser.
“É un piatto italiano. Si chiama spaghetti aglio, olio e peperoncino”.
“Come fai a conoscerlo?”.
“Ti ricordi l’amichevole che abbiamo giocato qualche mese fa, contro l’Italia?”.
“Sì”, replicò a denti stretti Schneider, “Quella finita 0-0”.
“Esatto, quella. Prima della partita nel tunnel che porta agli spogliatoi ho chiacchierato con Gentile”.
“Il difensore della Juventus?”, lo interruppe Genzo.
“Quell’antipatico arrogante”, aggiunse Karl.
“Non è male se lo sai prendere per il verso giusto”, lo difese Hermann, “É lui che mi ha suggerito la ricetta”.
“Tu e Gentile che parlate di cucina…”.
“Roba da non crederci”, concluse il biondo la frase iniziata dal giapponese.
“Ehi io ho altri interessi oltre al calcio, non sono mica come voi due”, ribatté piccato il ragazzo messo in discussione.

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Capitolo 3
*** Nuove rivelazioni ***





Erano circa le 17 e i tre giovani stavano guardando la televisione sul comodo divano del portiere. Il mezzobusto del notiziario sportivo stava lanciando una notizia sulla Liga.
“Per favore alza il volume, Genzo” chiese l’attaccante, attento alle parole e alle immagini trasmesse in TV.
“E ora parliamo del Valencia, reduce dalla vittoria in trasferta sul difficile campo dell’Atletico Madrid. Mattatore del match è stato Carlos Santana, autore della doppietta che ha portato la sua squadra a scavalcare i madrileni al terzo posto in classifica. Ora ascoltiamo una parte dell’intervista”.
Sullo schermo apparve la figura di Santana, palesemente stanco e provato dalla partita appena conclusa, “Sono molto felice della mia prestazione. Vincere qui al Vicente Calderón è difficile per tutti, ma i ragazzi sono stati bravissimi ed io non potevo sbagliare”.
“Tra una settimana ci sarà l’andata degli ottavi di finale della Champions League. Dovrete affrontare il Bayern Monaco delle tre stelle Sho, Levin e Schneider, come pensate di batterli?”, domandò l’inviata sul campo.
“Semplicemente brillerò più intensamente delle tre stelle messe insieme” rispose serafico Santana, allontanandosi poi verso gli spogliatoi.



“Ma guarda con che tranquillità ha risposto. È proprio cambiato dal World Youth”, notò Kaltz.
“Bene, il Cyborg del Calcio troverà pane per i suoi denti”, affermò deciso il Kaiser.



Il giornalista riprese il discorso, “Adesso uno sguardo in casa Barcellona, dove si sta facendo notare ormai da diverso tempo il giapponese Tsubasa Ozora”. Il video mostrava Tsubasa esultare dopo un gol. “Abbiamo chiesto al giocatore più forte del mondo, Rivaul, un commento su Ozora. Il servizio,” lanciò l’uomo dallo studio.
“Tsubasa non è una sorpresa ma una certezza” sorrise Rivaul, “Dopo i tre anni trascorsi in Brasile ha reso la sua tecnica un misto tra il calcio Samba dei sudamericani e il calcio giocato con cuore e passione dai giapponesi. Per essere poco più che ventenne è già molto forte, forse anche troppo” scherzò, “Tra qualche tempo sarò io che dovrò imparare da lui e non più il viceversa”.



"Certo che anche il Barcellona quest’anno è temibile, soprattutto grazie a Ozora e Rivaul”, commentò Schneider rivolgendosi a Genzo.
Il portiere non rispose, immerso nei suoi pensieri.
“Pensa a noi dell’Amburgo che dovremo affrontare l’Ajax di Cruyfford, quel tizio è molto forte. Che belli i tempi in cui i più forti tra i giovani europei erano Schneider, Le Blanc e Napoleon” si lamentò il centrocampista.
“Eh? Che significa ero? Secondo te non lo sono più?” chiese leggermente infastidito, l’altro tedesco.
“Certo che no, Cruyfford secondo me è più bravo di te e poi c’è anche Levin. Prima che fosse convertito da San Tsubasa era un pazzo omicida molto più pericoloso del Kais…”, non riuscì a terminare la frase, in quanto colpito da una cuscinata di Karl.
“Vuoi la guerra, Kaiser?”.
“Non chiedo di meglio”.
Iniziò una battaglia tra i due alla quale Genzo non sembrava volere prenderne parte. Karl si fermò di colpo osservando il giapponese, poi con un gesto d’intesa rivolta al connazionale gettò in faccia al povero amico il cuscino. Il colpo fece cadere il sacro cappello del SGGK.
“Ma che cazzo!”, imprecò.
“Vai Hermann, ora!”, urlò Schneider.
“Agli ordini Generale, colpisco il nemico!”, si buttò su Genzo stile placcaggio e lo spinse per terra, tempestandolo di cuscinate.
Il perfido attaccante intanto, aveva recuperato il cappello e lo sventolava davanti agli occhi del proprietario, “Cosa ne dici, lo bruciamo?”.
“NO, t’ammazzo Schneider” gridò disperato il portiere.
“Allora subisci” si unì a Kaltz nel colpirlo con il cuscino mentre rideva sempre di più. A breve fu seguito dagli altri due e si ritrovarono tutti sdraiati sul pavimento a ridere fino alle lacrime.
Dopo qualche minuto si calmarono e rimasero in silenzio a godersi la quiete di quel freddo pomeriggio di Febbraio.
Il primo a parlare fu Genzo, “Perché stavamo ridendo?”.
“Non lo so, so solo che non riuscivo a fermarmi”, rispose Hermann massaggiandosi il costato.
“Era da tanto che non ridevamo così, insieme”, considerò l’altro biondo. “Genzo?”.
“Dimmi Karl”.
“Ora te lo devo chiedere, come stai?”.
“Ti sei scoperto finalmente, raccontalo a qualcun’ altro che il motivo per cui sei venuto qui era una semplice nostalgia”.
“Colpito e affondato”. Si mise seduto sul divano in attesa della risposta del nipponico.
Wakabayashi guardò il soffitto,“Calcisticamente parlando, sto di merda”.
“Ma cosa è successo di preciso, vuoi raccontarcelo?”.


Genzo si rabbuiò alle parole dell’amico, “Dopo la fine di quella partita sono stato convocato dall’allenatore. Era deluso e arrabbiato e mi punì non facendomi giocare i seguenti incontri. Mi aspettavo una presa di posizione dal Club, perciò non ero sorpreso della decisione”.
“Non capisco come si è arrivati a questo punto” intervenne Schneider, “Va bene tenerti qualche partita in panchina ma addirittura metterti sul mercato…”.
“La situazione è precipitata due settimane fa. Sono stato chiamato da Hoffman in persona per discutere della situazione e mi hanno dato il ben servito” rispose con amarezza, “Mi hanno comunicato che sarei stato messo in vendita a Luglio, perché era venuta a mancare la fiducia nei miei confronti”.
“Ma non è possibile!”, Karl scattò in piedi indignato, “Un errore non può pregiudicare un rapporto che dura da anni. Sei il miglior portiere della Bundesliga insieme a Muller, praticamente è solo grazie a te che l’Amburgo compete per la vittoria del campionato!”.
“Schneider ha ragione. L’Amburgo è sicuramente una squadra forte ma l’unico motivo che ci permette di lottare fino all’ultima giornata sei tu, Wakabayashi” ammise Kaltz, “È per questo che non capisco la ragione per cui non abbiano chiuso un occhio”, bisbigliò pensieroso.
“Cosa spinge una squadra a lasciare andare l’elemento più forte della rosa?” domandò Karl. Poi d’un tratto, illuminato da un’idea improvvisa chiese al portiere, “Genzo, quando scade il tuo contratto?”.
“Scade a Giugno dell’anno prossimo”.
“Bingo!” esclamo Hermann, battendo il pugno nel palmo della mano. “Se venissi venduto a Luglio, l’Amburgo guadagnerebbe molti milioni, se invece…”.
“Tu non venissi ceduto in questa sessione, nella prossima potresti essere acquistato a parametro zero”, concluse la frase il Kaiser.
Genzo rimase a bocca aperta. Come aveva fatto a non pensare ad una risposta così semplice?
“Non abbatterti, Wakabayashi”, Karl pose una mano sulla spalla del nipponico. “È naturale che tu non ci abbia pensato, eri scosso dagli eventi. Non avevi la mente lucida”.
“Che bastardi”, mormorò deluso, “Io che avevo giurato fedeltà al Club. Dopo tutti quegli anni passati ad allenarmi per un posto in squadra. Trattato come un oggetto”.
“Purtroppo il calcio è anche questo. Il sudore, l’impegno e i sentimenti di un giocatore a volte, non valgono niente”, constatò il centrocampista.



Karl guardò l’orologio “Ragazzi è tardi, devo andare in aeroporto. Entro stanotte devo rientrare a Monaco”.
“Ti accompagno io, Karl”, disse Genzo prendendo le chiavi della macchina.



Si diressero verso l’aeroporto e mentre guidava Genzo osservava le strade, i negozi e le case di quella città che per dieci anni era stata la sua casa. Tutto ora, aveva un sapore diverso. Una nuova consapevolezza aveva invaso il suo cuore. Lasciò la macchina nel parcheggio dell’aeroporto e camminarono fino all’entrata. Si fermarono per salutarsi.
“Genzo, prenditi tutto il tempo per pensare. Io credo che la proposta del Bayern Monaco sia ancora valida, quindi se vorrai, potremo giocare insieme”, disse guardandolo negli occhi.
“Grazie Karl, ma temo che dovrò rifiutare. Non so in quale squadra tornerò a giocare, prima voglio concentrarmi sulle qualificazioni ai Giochi Olimpici. Spero solo che il mio errore non condizionerà le mie prestazioni col Giappone”, abbassò lo sguardo.
“Riuscirete a qualificarvi anche senza Ozora, Hyuga e gli altri ragazzi che giocano in Europa, ne sono certo”, affermò il Kaiser.
“Sì, ci saranno Misaki, Msugi, Matsuyama, Wakashimazu e tutti gli altri giocatori della Generazione D’Oro, vinceremo sicuramente”, annuì il SGGK.
“Bene, allora ci rivedremo in Spagna e magari poi penserai con calma alla mia proposta”, ritentò Schneider.
Wakabayashi sorrise anche se i suoi occhi tradivano il suo vero stato d’animo, “No Karl, non tornerò in Germania. Non posso fare questo ai miei tifosi. Come potrei gioire con la maglia del Bayern dopo aver vinto una partita contro di loro? I sostenitori dell’Amburgo non hanno colpe per quello che è successo”.
“In effetti la tua situazione è differente dalla mia. Io andai via senza troppi problemi dopo tutto quello che fecero passare alla mia famiglia. Ma il tuo rapporto con loro è completamente diverso”, considerò il giovane attaccante.
“A proposito della tua famiglia, non ti ho ancora chiesto come stanno”.
“Bene. Mio padre e mia madre sono più innamorati che mai”, rispose felice.
“E Marie? Tutto bene?”.
Schneider, nel sentir nominare il nome di sua sorella sussultò, ricordandosi improvvisamente di una cosa. Si girò verso Kaltz e lo colpì con un pugno sulla spalla.
“Ahia!” si lamentò l’altro, toccandosi il punto colpito.
“Mi sono perso qualcosa?”.
“Niente Wakabayashi, il tuo amico è solo un po’ troppo stupido”, rispose Schneider.
“Niente Wakabayashi, il tuo amico è solo un po’ troppo geloso della sorella”, lo scimmiottò il biondo.
“Allora ci vediamo, Genzo” allungò la mano per salutarlo.
“È stato bello rivedersi dopo tanto tempo”, si strinsero la mano.
“Quanto siete formali, vo due. Gli amici si salutano così”. Hermann prese i due e gli strinse in un abbraccio spezza ossa.
“Non respiro”, annaspò Genzo.
“Levati dalle palle, Hermann!”, disse il tedesco.
Finalmente Kaltz s decise a scogliere l’abbraccio e il Kaiser fu libero di andare.
“Io scappo prima che questo qui mi uccida”, si congedò.
“Ciao Karl”.
“Ciao Genzo, in bocca al lupo per tutto”, lo salutò il tedesco, voltando le spalle agli amici.

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Capitolo 4
*** Addii ***







Genzo sospirò guardando il campo di allenamento dell’Amburgo. Per dieci anni aveva giocato, sofferto e vinto insieme a dei ragazzi sconosciuti che in seguito sarebbero divenuti i suoi migliori amici. Aprì il cigolante cancello ed entrò nel campo. Si posizionò al centro della porta e chiudendo gli occhi ripeté nella mente la sua prima frase rivolta, in uno stentato tedesco, ai ragazzi che costituivano la formazione giovanile della squadra.
“Non sono venuto dal Giappone per essere una riserva, ma per diventare un professionista. Io sono Genzo Wakabayashi e un giorno sarò il portiere più forte del mondo!”.
Ricordò allora il primo incontro con Karl e di come riusciva a segnarli con una semplicità disarmante. Le mani in tasca e il viso impassibile mentre si accingeva a scagliare il suo Fire Shot. Fu la persona che infranse la sua sicurezza di portiere. Nessuno in Giappone poteva segnare così al SGGK.
Nemmeno Ozora, Hyuga o Misugi.
Possibile che l’estremo difensore temuto da tutti nel paese del Sol Levante, fosse uno dei tanti in Germania?
No, non l’avrebbe permesso. Si sarebbe allenato più di chiunque altro. Sarebbe stato il primo ad arrivare e l’ultimo a tornare. Il campo sarebbe divenuto la sua casa. Ma c’erano altre due persone che pensavano la stessa cosa, Karl ed Hermann.
Karl, che senza pregiudizi lo aveva accolto in squadra e che aveva ammonito i propri compagni invitandoli a giudicare Genzo non per la nazionalità, ma per le sue prestazioni.
Hermann, che non aveva esitato a difenderlo dagli altri vigliacchi che lo picchiavano. La prima volta perché, “Non è corretto un quattro contro uno”, la seconda volta perché, “Mi piacciono le risse”, ma la terza volta, “Perché non sei male, Wakabayashi. Potremmo andare d’accordo, noi due”.
Ricordò quando veniva invitato a pranzo una volta dalla famiglia di uno e una volta dalla famiglia di un altro, poiché provavano pena per quel ragazzino sempre solo, in una terra sconosciuta.


Aprì gli occhi e guardò a sinistra. Sopra la bandierina del calcio d’angolo, c’era una riflettore all’apparenza uguale agli altri, ma con una storia in realtà, ben diversa.
Tanto tempo prima, alla fine del suo primo campionato giovanile nazionale, Genzo insieme a Karl ed Hermann chiese al custode dell’intero centro, il favore di lasciargli le chiavi, per poter giocare anche di sera. Una di quelle sere Kaltz volle provare il Fire Shot e il risultato fu che non indirizzò la palla verso la porta ma verso il povero riflettore che s’infranse in mille pezzi.
Impauriti, i tre scapparono.
Ma il giorno dopo seppero che Moser, il custode, era stato licenziato. Accusato di aver perso le chiavi e dei danni provocati. Aveva una famiglia. La moglie era una casalinga che si occupava dei loro due bambini. Ma egli non si discolpò, si prese tutte le responsabilità e non parlò di Genzo, Hermann e Karl.
Ricordò di come, si guardarono in faccia consci di quello che dovevano fare. Si scusarono col Presidente , si assunsero le proprie colpe e chiesero che Moser fosse riabilitato al suo lavoro. In cambio gli promisero che avrebbero vinto per tre anni consecutivi il campionato.
Così fu.



Uscì dal campo per dirigersi verso gli spogliatoi. Aprì la porta e trovò i compagni di squadra mentre si stavano rivestendo, dopo aver fatto una doccia. Alcuni erano già andati via ed erano rimasti in pochi, tra cui Kaltz.
“Wakabayashi ciao, oggi hai saltato gli allenamenti”, il primo a parlare fu il capitano.
“Ciao Boisier. Sì lo so, mi dispiace, ma ho un appuntamento con Hoffmann e non volevo fare tardi”.
“Cosa vuole il Presidente da te?”, domandò l’altro stizzito, “Non bastano tutte quelle cazzate che hanno combinato lui e i suoi dirigenti?”.
“Vai a chiederli di ripensarci?”, chiese il secondo portiere Schweitzer.
“No ragazzi. Sono qui per chiarire la mia posizione. Ma non mi umilierò ancora una volta”, rispose orgogliosamente Genzo, “Ho già chiesto una volta scusa”.
“Fai bene. Per me hai sbagliato a farlo, perché non c’era bisogno. Soprattutto con idioti del genere!”, esclamò arrabbiato Boisier.
“Capitano, se le cose non dovessero aggiustarsi, questo mio saluto sarà un addio. Ti prego solo di una cosa. Non inasprite i rapporti con la dirigenza a causa mia. Dovere mantenere un clima sereno per continuare a vincere. Fatelo per me e per i tifosi”.
“Le tue parole non fanno altro che aumentare il mio astio nei loro confronti, Genzo”, ribatté Boisier, “Sei davvero una persona eccezionale e ciò che hai subito è tremendamente ingiusto, ma rispetteremo la tua volontà. Anche se, ammetto che sarà difficile. Se il nostro miglior giocatore è stato trattato così, non oso immaginare cosa potrebbe accadere a noi. Il rapporto di fiducia con il Club si è incrinato”.
“Allora io vado, ciao ragazzi”.
“Ciao Genzo”.
“In bocca al lupo!”.
“Prendilo a pugni, Wakabayashi!”, lo salutarono gli altri.



Si fermò davanti la porta del Presidente e prendendo un bel respirò, bussò.
“Avanti”, gridò una voce all’interno della stanza.
Genzo entrò e vide Hoffmann seduto dietro la sua scrivania. A parte lui non era presente nessun altro.
“Buonasera, Presidente”.
“Wakabayashi, prego accomodati”, lo salutò indicando l’elegante sedia posta di fronte a lui.
Il SGGK si sedette e osservò con il suo sguardo penetrante l’interlocutore.
Bernd Hoffmann era un uomo sulla quarantina, stempiato e con occhi scuri. Solitamente il suo viso esprimeva sicurezza ed eleganza, ma ora pareva solo un uomo stanco, oppresso da troppi pensieri e preoccupazioni.
“Presidente, verrò subito al dunque. La sua posizione nei miei confronti non è cambiata?”.
Anche l’uomo fece scorrere il suo sguardo sul viso del giovane prima di rispondere, “No, Wakabayashi. Il tuo gesto è stato avventato e imprudente. Sei consapevole dell’importanza degli scontri diretti con il Bayern Monaco. Se arrivassimo all’ultima giornata a pari punti, ciò che decreterebbe la vincitrice della Bundesliga, sarebbe la squadra vincente degli scontri diretti. Il pareggio che avremmo potuto strappare a Monaco, se non fosse stato per il tuo errore, costituiva un grande vantaggio. Poiché il ritorno si giocherà qui ad Amburgo. Partire con il vantaggio del pareggio fuori casa avrebbe aiutato voi giocatori a gestire meglio la partita”.
“Parla come se i ragazzi avessero già giocato. Come fa a dire che l’Amburgo vincerà o perderà la partita?”, rispose irritato.
“Si tratta di spirito”.
“Spirito? Voi non avete fiducia in loro, è questa la verità. Scenderanno in campo come leoni, di questo sono sicuro”.
“Forse, ma ricorda che basta un solo errore per distruggere tutto. Non importa quanto un giocatore abbia talento, si sia allenato o desideri vincere. Basta un errore per distruggere tutto”.
Genzo rimase colpito da quella risposta. Quanto si era allenato sin da piccolo? Quanta fame di vittorie aveva? Tutto quello che aveva costruito, possibile che fosse stato azzerato da un solo errore? Era questa la vita di un calciatore? Dopo una vita di successi, essere ricordato solo per un errore?
“Dunque ha intenzione di mettermi sul mercato, a Luglio?”.
Hoffmann si limitò ad annuire.
“Io amo l’Amburgo, lo capisce questo?”, si alzò urlando. “Questa squadra rappresenta tutto per me, il sogno di diventare un professionista si è avverato grazie a questo Club. Ho sopportato le angherie degli altri ragazzi, le discriminazioni, perché credevo in me e nella società”, riprese fiato cercando di controllare la rabbia che avvertiva dentro di sé, “Mi sono allenato più di chiunque altro. Ho dedicato tutta la mia giovinezza per raggiungere il posto di titolare ed un volta ottenuto ho fatto in modo che fosse mio, per sempre!”.
Hoffmann continuava a guardarlo, impassibile.
“Per il bene della squadra ho giocato sempre al massimo delle mie possibilità e abbiamo raggiunto insieme traguardi insperati. Io ero pronto a giurare fedeltà eterna all’Amburgo. Avrei rifiutato Club più titolati pur di rimanere qui, e voi cosa fate? Mi mandate via in questo modo?!”.
Il Presidente dondolò sulla sedia, “Wakabayashi, lo capisci che questo è un bene sia per te che per noi? Potrai finalmente approdare in squadre di altissimo livello e così coronare i tuoi sogni calcistici. Non pensi alle vittorie e alle conquiste che otterrai, un giorno? Tutto questo accadrà a Luglio”, terminò, cercando di convincere quel testardo che, la sua proposta, era un bene per tutti.
Il SGGK guardò deluso Hoffmann. Non aveva capito proprio niente se pensava che a lui interessasse solo la vittoria. Per lui era importante vincere con l’Amburgo, non con altri Club.
“Però io non so se sarò pronto per scegliere un’altra squadra”.
“Cosa significa!”, esclamò allarmato l’uomo.
Genzo si alzò e si diresse verso l’uscita, intenzionato ad andarsene, “Significa che rescinderò il contratto con l’Amburgo. Voglio essere libero di scegliere il momento in cui sarò pronto per un nuovo Club. Addio Presidente”.



Affrettò il passo deciso ad andarsene il prima possibile, ma uscito dal centro di allenamento, incontrò una persona. Kaltz attendeva appoggiato alla sua macchina, parcheggiata appena al di fuori dell’ingresso.
Si guardarono negli occhi. Non avevano bisogno di parole.
Genzo scosse la testa in segno di diniego e abbassò la visiera per celare lo sguardo.
“Vuoi un passaggio?”.
“No, grazie. Preferisco tornare a casa da solo”.
Nuovamente rimasero in silenzio, i rombi dei motori delle auto, delle moto, gli schiamazzi della gente, riempivano l’aria di quel freddo giorno. Un freddo che penetrava nei loro cuori e invadeva la mente, annebbiandola di ricordi. La sensazione che fosse finito un ciclo della loro vita, iniziato dall’arrivo del giapponese. L’amicizia tra i tre ragazzi, gli allenamenti, le partite, le risate e i litigi, gli scherzi e le prime cotte.
Senza che se ne accorgessero si abbracciarono, come fratelli.
“Buona fortuna, Genzo. Ricordati che anche se ora vivremo lontani, la nostra amicizia non sparirà. Vienici a trovare qualche volta”, sussurrò in giapponese.
“Bravo, vedo che sono stato un buon maestro, qualche parola l’hai imparata”, sorrise il portiere, “Grazie di tutto, Hermann”.



Si voltò incamminandosi verso casa. Doveva preparare le valigie per il suo ritorno a Fujisawa. Presto sarebbe stato a disposizione di Kira per le partite di qualificazione.




“Auf Wiendersehen Hamburg. Auf Wiendersehen Deutschland”.

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Capitolo 5
*** La vita continua ***




Madrid, Spagna. Dicembre, 5 mesi dopo la finale di calcio dei Giochi Olimpici








“La finestra di mercato si avvicina, Presidente. Le ho preparato una lista dei giocatori che vorrei avere a disposizione per Gennaio”.
Pérez prese l’elenco dalle mani dell’allenatore e gli diede una rapida occhiata, “Vedo che sono solo difensori”.
“Be’, in realtà sono calciatori da usare per i turnover. Se vogliamo vincere la Champions League, come lo scorso anno, abbiamo bisogno di persone affidabili da alternare ai titolari”.
“Quindi non mi chiedi nessuno grosso colpo, eh Del Bosque?”, lo interpellò con un sorriso misterioso. Si alzò dalla comoda sedia e prese a camminare per la stanza, in uno strano stato di eccitazione.
“Non capisco, non è contento che non le chieda di sborsare altri soldi?”, domandò l’altro, stupito dell’atteggiamento di Pérez.
“No, no mio caro amico. Siamo i Campioni d’Europa grazie a te. E io voglio farti un regalo. Grazie alla vittoria abbiamo quasi interamente coperto le spese dei nuovi arrivati, perciò posso spendere ancora qualcosa”.
L’allenatore guardò strabiliato l’uomo. Aveva da sempre considerato Florentino Pérez l’antitesi del Presidente tirchio. Era pronto a sborsare qualunque cifra pur di ottenere un giocatore di alto livello, ma ora proprio non lo capiva. Che senso aveva spendere altri milioni se la squadra era completa?
Scosse la testa, “Io mi arrendo, Pérez. Non sto capendo più nulla”.
Florentino continuava a sorridere sornione, “Ricapitoliamo gli acquisti di questa estate. Tre giovani calciatori. Due centrocampisti e un attaccante”.
“Carlos Santana, Il Cyborg del Calcio. 21 gol attuali nella Liga. Medaglia d’Argento alle Olimpiadi. Pagato 71 milioni di euro al Valencia, il secondo acquisto più oneroso della storia del calcio.
E poi la coppia Raphael e Michael del Numancia. Pagati rispettivamente 10 e 40 milioni di euro. Raphael lo abbiamo dovuto comprare per assicurarci Michael, dato che la richiesta di quest’ultimo era di giocare con l’amico. Devo dire che insieme ricordano la Golden Combi del Giappone.
In quanto a Michael cosa aggiungere al suo biglietto da visita, oltre che ricordare che ha battuto sia Santana che Natureza, la scorsa stagione?”.
“Appunto, la squadra è completa”, insistette Del Bosque.
“No, io voglio un altro giocatore. Deve essere mio”, scandì lentamente, “Vediamo se indovini Vicente. È un giovane calciatore di altissimo livello, attualmente svincolato”.
L’allenatore non ebbe bisogno di pensare, sgranò gli occhi e balbettò, “G Genzo Wa Wakabayashi!”.
“Esatto, Genzo Wakabayashi”, ripeté Florentino, “Vincitore del premio come miglior portiere in tutte le stagioni giocate in Bundesliga. Miglior portiere nel World Youth e nelle Olimpiadi, proprio lui”.
“È un idea magnifica, Presidente!”, commentò esaltato, “Non dovremmo nemmeno pagare un Club per averlo, ma solo il suo stipendio! Quando lo incontrerà?”.
“Incontrarlo? E a cosa servirebbe? Gli manderò nei prossimi giorni un e-mail in cui gli rivelerò che firmerò un contratto in bianco”.
“Cioè Wakabayashi potrà chiedere qualunque cifra?”.
“Basti che non mi mandi in bancarotta”, scherzò, “Lo voglio e sono disposto a tutto. Wakabayashi, Michael, Natureza e Santana, chi potrà fermarci!”.










Barcellona








L’allenamento si era appena concluso e Tsubasa stava chiacchierando con i compagni di squadra, quando il coach Van Gaal entrò nello spogliatoio. Cercò qualcuno con lo sguardo e poi disse, “Ozora, puoi venire fuori? Devo parlarti”.
“Sì mister, arrivo subito”, controllò un attimo il cellulare e salutando gli altri, seguì l’uomo.
Van Gaal attendeva appena fuori la porta, “Tsubasa, sono qui per chiederti una cosa molto importante. Come ben sai a Gennaio ci sarà la finestra di mercato invernale ed io ho intenzione di comprare un giocatore”.
“Bene, un nuovo acquisto, di chi si tratta?”, chiese felice il ragazzo.
“Lo conosci molto bene, si chiama Genzo Wakabayashi”.
“Genzo? Davvero?”, domandò stupito il giapponese.
“Molti Club lo stanno corteggiando e anche noi del Barcellona vorremmo fare un tentativo”.
“Un tempismo perfetto, mister. Genzo tra pochi minuti atterrerà in città. È venuto per assistere al Clásico di Domenica”.
“In realtà il motivo penso sia un altro… l’ho chiamato per un colloquio. Voglio parlargli di persona”.
“Che strano, a me non ha svelato le sue vere intenzioni”, pensò passando una mano dietro la testa.
“Non fare quella faccia, Ozora. Probabilmente non te lo ha detto per non essere influenzato nella scelta. Però io ti ho rivelato tutto, proprio perché voglio che ciò accada”.
“Cosa vuole che accada?”.
“Benedetto ragazzo, sarai pure un genio del calcio, ma a volte sei davvero tonto” .
Sospirò sconsolato e poi si spiegò meglio, “Voglio che tu lo convinca a venire qui. Avrà ricevuto tante offerte, tra cui sicuramente una del Real Madrid. Loro hanno Santana, Natureza e Michael e con lui in porta diventerebbero imbattibili. Anche per noi”.
Tsubasa rifletté qualche secondo prima di dare una risposta, “No mister, non lo farò”, disse deciso, “Se lui non me ne ha voluto parlare significa che vuole prendere la decisione in totale autonomia. Quindi rispetterò la sua decisione”.
Sentì il cellulare vibrare, “Ora mi scusi devo andare”. Corse via prima che Van Gaal potesse replicare.
Guardò il telefonino sorridendo, “Parli del Diavolo…,” e premette il tasto per avviare la conversazione, “Ciao Genzo, sei arrivato?”.
“Sì, sono sceso adesso e non vedo l’ora di andare in albergo”.
“Dove? Tu vieni a dormire da noi naturalmente!”.
“Che cosa? No Tsubasa, grazie dell’invito ma non voglio disturbare. Sanae deve badare ai piccoli, non voglio portarle altro carico di lavoro”.
“Sciocchezze, sarà felicissima anche lei”, insistette, “Aspettami, ti vengo a prendere. Questo è un ordine del tuo Capitano!”, riattaccò.
“Ma aspetta un attimo, Tsubasa? Ozora ci sei?”.
"Dannazione ha chiuso la chiamata. Ma perché ogni volta se ne esce con questa storia del Capitano, non siamo mica in ritiro!”, pensò infastidito.




Casa Ozora









"Ozora, ma sei sicuro?”.
“Certo! E poi devi conoscere i gemelli”. Prese le chiavi e aprì la porta di casa. Si ritrovarono nell’ingresso, sulla destra c’era un ampia sala con un divano bianco, molto lungo, appoggiato alla parete. Un tavolo basso, tipico del Giappone, al centro della stanza e una TV più in là, completavano il minimale arredo.
“Ma se gli ho conosciuti ad Agosto, quando siamo venuti io, Taro e Ryo!”.
Il compagno lo ignorò e chiamò a gran voce la moglie.
“Finalmente sei rientrato! Hai sentito Genzo?”, gridò una voce femminile dalla cucina. Pochi istanti dopo una giovane donna con un bambino in braccio, apparve di fronte ai due. Si blocco guardando l’ospite, e poi esclamò felice, “Genzo, che sorpresa!”.
“Ciao Sanae, coma stai?”, si avvicinò all’amica e prese in braccio il piccolo, “E tu devi essere Hayate?”.
“Daibu”, lo corresse la madre.
“Sono proprio uguali”, notò, mentre faceva giocare il bambino, che rideva felice.
“Attento Genzo, ha appena mangiato”, si allarmò improvvisamente Sanae. Daibu aveva infatti cambiato espressione e un attimo dopo riversò il contenuto della cena addosso al portiere.
“Scusa, sono mortificata”, sghignazzò prendendo il figlio che aveva cominciato a piangere. Ordinò poi al marito di indicare all’amico dove era il bagno.
“Si vede come sei mortificata”, ribatté piccato l’altro.
“Genzo, il bagno è la seconda porta a sinistra, fatti una bella doccia”, rise Tsubasa.
Il SGGK lo fulminò con lo sguardo, infilandosi poi nella stanza.
Tsubasa tornò in cucina dove la moglie stava cercando di calmare Daibu, prima che il suo pianto coinvolgesse anche il fratello. Il ragazzo vedendo la moglie ridere ancora di Genzo, approfittò del momento di ilarità per renderla partecipe della sua idea. Non si spiegava il perché ma Sanae ultimamente era sempre nervosa e intrattabile e aveva la sensazione che, sebbene la sua fosse una pensata perfetta, c’era comunque qualcosa di sbagliato.
“Amore ascolta, ho chiesto a Genzo di non andare a dormire in albergo ma di stare qui da noi”.
La ragazza smise di ridere e guardò il marito con occhi infuocati, “Come ti è venuta in mente un’idea del genere?”.
Il nervosismo cominciò ad aumentare e Tsubasa se ne accorse.
Fece un passo indietro andando a sbattere con il muro, ”Calmati, ora ti spiego”.
“Cosa vuoi spiegare? Io non ho preparato nemmeno la stanza degli ospiti! Devo badare ad Hayate e a Daibu, preparare da mangiare a noi e a loro, tenere pulita la casa, fare la spesa!”. S’infuriò.
“Ma Genzo non ti darà fastidio”, provò a replicare debolmente.
“E non hai pensato neanche a lui, lo sai che i gemelli sono ingestibili…”.
“Chissà da chi avranno ripreso”.
“Come farà a riposare? Era meglio per lui andare in hotel, scommetto che hai insistito tu, vero Ozora?”, indovinò puntando il dito contro il petto del colpevole.
“Io so che la mia super mogliettina non avrà problemi”, replicò conciliante. Cercò di baciarla per farla calmare, ma lei si scostò.
“Cambia Hayate, io vado a preparare la stanza per Genzo”, gli ordinò allontanandosi.





Genzo provò ad addormentarsi ma Morfeo sembrava non voler adempiere al suo compito. Decise così di alzarsi per andare in bagno a sciacquarsi il viso, ma vedendo la luce accesa in cucina, si diresse lì. Trovò Sanae mentre cullava uno dei due gemelli. Si accostò alla porta osservando la madre canticchiare amorevolmente una ninnananna in giapponese al figlio.
“Tsubasa è fortunato ad avere te come madre dei suoi figli”, sorrise.
Sanae si voltò udendo la voce dell’amico, “Non riesci a dormire?”.
Il portiere scosse la testa sedendosi attorno al grande tavolo della cucina, “Il Jet Lag. Sai, ho notato che hai arredato la casa mescolando lo stile occidentale e orientale. Hai nostalgia di casa?”.
“La mia casa non è il Giappone, ma è dovunque siano le persone che amo. Tsubasa, Daibu e Hayate sono la mia casa”, rispose, “Ti piace come abbinamento?”, chiese dopo aver riportato il piccolo nel suo lettino. Portò due tazze di una tisana rilassante in tavola e si sedette.
“Non ci capisco molto di arredamento, ma posso dire che gli elementi sono ben armonizzati. Hai creato un connubio perfetto tra gli stili. Dovresti farne un lavoro”, le consigliò.
“Un cosa? Non conosco quella parola”, scherzò l’amica sorseggiando la tisana.
“Sì un lavoro. E come quello che stai facendo ora, solo semplicemente pagata”.
“Tra il matrimonio e i bambini non ho avuto il tempo per pensarci”, tornò seria, “Sai però che non sarebbe male come idea? Quando sono arrivata a Barcellona ho arredato la casa in cui viveva Tsubasa e da quel momento ho scoperto questa passione”, fece spallucce, “Magari in un’altra vita…”.
“Non dico che devi iniziare adesso. Quando i gemelli saranno un po’ più grandi potresti segnarti all’università”.
“Come farò con Daibu e Hayate?”.
“Prenderai una tata. Fatti consigliare dalla moglie di un compagno di squadra di Tsubasa. Se non ricordo male Rivaul ha due figli”, disse pensieroso.
“Però è un impegno non facile, l’università”, obiettò Sanae.
“Sciocchezze. Segui qualche lezione, studia a casa così starai con i gemelli. Poi quando dovrai sostenere l’esame prenderai il punteggio massimo e tornerai dalla tua famiglia felice per il voto”.
“Il massimo?”, rise.
“Non sarà un problema. Quando ti vedranno in faccia e leggeranno il tuo nome, ti metteranno la lode senza neanche farti una domanda. Se poi la situazione si complica dì che tuo marito potrebbe innervosirsi del voto basso e di conseguenza giocare male”.
“Ma sei proprio cattivo, Wakabayashi! Senti, domani ti voglio solo per me. Ho bisogno di svagare un po’. Non potendo avere vicino Yukari e Kumi in questo momento sei l’unica persona con cui possa fare due chiacchiere per rilassarmi”, lo avvisò.
“Mi rincresce Nakazawa ma devo rifiutare, si è già prenotato suo marito”.
“Allora dopodomani”, si alzò per andare a letto, “Buonanotte, SGGK”.
“Buonanotte, Anego ”.






Tornato in camera si ricordò, improvvisamente, di non aver ancora acceso il PC per controllare le e-mail. Era sua abitudine farlo prima di andare a dormire. Molte squadre inviavano tramite posta elettronica le loro offerte e infatti ne trovò una non ancora letta.
Aprì con attenzione il file.






“Buonasera Wakabayashi,

Sono Florentino Pérez, il Presidente del Real Madrid.
Voglio prima di tutto farti i miei complimenti per la tua immensa bravura come portiere. La vicenda con il tuo precedente Club ha riempito, per molti mesi, le pagine dei maggiori giornali calcistici d’Europa. Le motivazioni dell’Amburgo risultano oscure persino per me, però ho intenzione di dirti che capisco quali siano state le emozioni che hanno attraversato il tuo animo.
Ma la vita va avanti e io sono qui per proporti di giocare per la mia squadra. Sai benissimo che il Real Madrid è una delle Società più vincenti della storia del calcio e una stella del tuo calibro non potrà che essere la benvenuta. Sicuramente avrai ricevuto molte offerte dai Club più forti del mondo, ma io posso offrirti qualcosa di diverso.
Sono intenzionato a firmare un contratto in BIANCO.
Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per averti qui a Madrid.

Grazie per il tempo che spenderai nel leggere la mia lettera. Spero di vederti presto fra i Blancos”.





Genzo rilesse più volte la lettera, non poteva credere che quel pazzo di Pérez fosse intenzionato a firmare un contratto in bianco, pur di averlo!
Passò una mano sulla fronte. La situazione si faceva sempre più, piacevolmente, complicata.
Ora si era aggiunto anche il Real Madrid, fra le tante squadre che lo corteggiavano e lui non aveva la più pallida ideale di quale scegliere.

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Capitolo 6
*** Ozora vs Wakabayashi... nemici-amici ***








“Dove mi porti di bello, Capitano? Mi hai fatto portare anche i guanti”.
“Andiamo in un posto dove ci divertiremo, sicuramente. Wakabayashi, è da tempo che noi due non ci sfidiamo, vero?”.
I due ragazzi si fermarono davanti ad un enorme struttura. Lo spazio che essa ricopriva era veramente grande e si potevano scorgere campi di calcio, tennis e basket all’aperto. Il portiere rimase a bocca aperta, constatando che, il centro di allenamento dell’Amburgo, non era nemmeno un terzo di quello del Barcellona.
“Sorpreso? Dai entriamo”, lo spinse Tsubasa, camminando in direzione di uno di quei campi. Genzo lo seguiva osservando ragazzi e ragazze allenarsi in diversi sport.
“Sai, il Barcellona è una società polisportiva, perciò il centro è animato da squadre di calcio, tennis e altro, sia maschili che femminili”, spiegò, “Sono presenti anche le primavere e i bambini che praticano lo sport da pochi anni. Alcune volte vedi sfrecciare piccoletti di cinque o sei anni e devi stare attento a non schiacciarli”, rise.
“Scommetto che quando saranno più grandi anche i tuoi bambini scorazzeranno per questo centro”.
“Assolutamente sì, anche se Sanae vorrebbe che scegliessero loro quale sport praticare. Lei ha paura che se giocassero a calcio poi soffrirebbero di una sorta di senso di inferiorità nei miei confronti”.
“In effetti potrebbe accadere, ma tu allenali fino a farli diventare più forti di te”, lo consigliò Genzo costeggiando il campo, “Sei sicuro che possiamo giocare?”.
“Certo! Oggi non abbiamo gli allenamenti, quindi il campo è tutto nostro”.
Lasciò cadere il pallone e lo spedì in porta, facendo gol da quaranta metri.
“Fammi arrivare in porta, però!”, protestò il portiere posizionandosi tra i pali.






“Finalmente ci sfidiamo nuovamente, Wakabayashi”, disse guardando negli occhi il rivale, “Cinque calci di rigore, che ne dici?”.
“Avanti Ozora, prova a segnarmi”.
Rimasero fermi a guardarsi per qualche secondo. Il tempo intorno a loro era come bloccato in un’altra dimensione. I ricordi del loro primo incontro, della partita tra la Shutetsu e la Nankatsu e della sfida finale prima che Genzo partisse per la Germania, li assalirono.
Entrambi consideravano il rispettivo amico come il più grande rivale.
Tsubasa, che dopo aver ideato un nuovo tiro, pensava subito al portiere, chiedendosi se lui fosse in grado di pararlo.
E Genzo, che dopo ogni estenuante allenamento, si domandava se fosse abbastanza per reggere il passo di Ozora.





Tsubasa prese una breve rincorsa e calciò un tiro violento e rasoterra diretto alla destra di Genzo. Il SGGK si tuffò e la toccò con la punta delle dita ma la palla entrò lo stesso.
“Uno a zero per te”, rilanciò, con una strana smorfia, la sfera verso Ozora e si sistemò meglio il cappello.
Il giapponese calciò il pallone che schizzò in aria, apparentemente destinato a oltrepassare la traversa, ma ad un certo punto cambiò direzione dirigendosi verso il basso.
Wakabayashi rimase immobile e seguendo la traiettoria del tiro intuì il punto in cui sarebbe entrato e tuffandosi bloccò la sfera.
“Complimenti, Wakabayashi”. Ozora pose con cura il pallone sul dischetto e questa volta prese la rincorsa da fuori area. Respirò profondamente e poi calciò la palla che si diresse velocissima verso l’angolo alto alla sinistra di Genzo, che si distese, ma la sfera colpì il palo insaccandosi poi in rete. “Ora sono io che devo complimentarmi!”, esclamò Genzo.
“Grazie. Sai, ho provato quel tiro perché c’eri tu in porta. Se il miglior portiere del mondo non riesce a pararlo, significa che è davvero un buon tiro”.
“Sì lo è. L’unico punto debole è che hai solo il 50% di possibilità di segnare. Se la palla sbatte sul palo e si dirige in porta è un gol sicuro con qualunque portiere, ma c’è l’altro 50% che il pallone una volta sbattuto sul palo finisca fuori”, analizzò Genzo.
Tsubasa sorrise, per niente sorpreso che l’amico avesse capito il segreto del suo tiro dopo averlo visto per la prima volta.
Si apprestò a calciare per la quarta volta, ma senza prendere la rincorsa. Il tiro sembrava piuttosto centrale ma improvvisamente si diresse di lato.
Genzo si gettò sulla sinistra e riuscì a deviare la sfera, senza però riuscire a bloccarla. “Ah Ozora, è vero che il tuo Drive Shot spesso si dirige dall’alto verso il basso, ma tu puoi far cambiare direzione al tiro anche orizzontalmente”.
“Due a due. Quest’ultimo rigore decide la sfida”.
Tsubasa cercò di pensare ad un colpo per poter sorprendere l’amico. Sorrise e calciò il pallone con un tocco sotto. La palla viaggiò lentamente verso il centro della porta per poi finire tra le braccia di un sorridente Genzo.
“Perché? Perché non ti sei buttato?”, domandò stupito il centrocampista.
“Perché ti conosco molto bene. Era l’ultimo rigore ed eravamo pari, quindi ero sicuro che avresti usato qualche strano tiro. Ti si legge in faccia quando pensi qualcosa. Non hai la cosiddetta faccia da poker. Di solito i portieri si buttano prima che l’avversario calci il pallone, ma io questa volta ho voluto aspettare per vedere la traiettoria della palla. E così ho parato il cucchiaio”.
“Hai vinto tu, complimenti”, disse il Capitano stringendo la mano del portiere.
“Per me è sempre un piacere affrontarti, Ozora”, sorrise il rivale.




“Dai, riposiamoci un attimo e raccontami cosa hai fatto in questi ultimi mesi”, lo invitò Tsubasa, mentre palleggiava.
Genzo si distese sull’erba e si tolse il cappello. Intrecciò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, rilassato dalla leggera brezza. Il vento sembrava cullarlo. L’aria di Dicembre di Barcellona era completamente diversa rispetto a quella di Amburgo.
“Sono tornato in Giappone e ogni tanto ho viaggiato per lavoro”.
Il numero dieci della nazionale giapponese aggrottò le sopracciglia, “Cosa intendi per lavoro?”.
“Sono stato contattato da diverse Società e dato che avevo tanto tempo per decidere la mia prossima destinazione, ho deciso di visitare quelle città le cui squadre avevano intenzione di ingaggiarmi”.
“Mh, e quali sono queste squadre?”.
“Lo United e il Chelsea, per esempio”.
“Molto forti, in effetti”, considerò il centrocampista.
“Sì, ho incontrato anche Cruyfford. Mi ha parlato bene del Manchester, ma non sono molto sicuro che sia la scelta giusta per me”.
“Immagino che il motivo sia perché preferisci affrontare grandi calciatori, piuttosto che giocarci insieme”.
“Giusto! Però non sei tanto svampito!”, scherzò l’amico.
“Farò finta di non aver sentito… sei stato da qualche altra parte?”.
“In Italia, a Torino. Meravigliosa città”.
“A Torino, da Hyuga”.
“Quando mi ha visto è sbiancato. Mi sono divertito, lì. Ho anche conosciuto meglio Davi. Quante risate ci siamo fatti insieme”, ricordò con uno strano sorriso.
“In Italia hai incontrato anche Aoi e Akai?”.
“No, sono stato a Milano perché contattato dal Milan, ma essendo Akai dell’Inter non l’ho visto. E poi loro hanno già Belli, quindi non mi hanno chiamato”.
“E niente dalla Spagna?”, tentò di indagare.
Genzo lo guardò per pochi secondi e poi decise di rivelare la verità al connazionale, “Ti devo dire una cosa, Tsubasa. In realtà non sono venuto qui solo per la partita di Domenica…”.
“Ma anche per parlare con Van Gaal”, completò l’altro, “Me lo ha riferito lui stesso ieri sera. Sperava che ti convincessi a giocare con noi. Però io ho rifiutato. Non voglio influenzarti in alcun modo. Se deciderai di giocare contro di me sarò felice perché avrò un nuovo rivale. Se vorrai giocare con me, invece, sarò contento di avere accanto un amico”.
Il SGGK guardò l’amico, “Sei straordinario, Ozora. Grazie”.





“Mica tanto. Non riesco a capire nemmeno mia moglie”, si sfogò, rabbuiandosi. Fermò la palla e si distese accanto al portiere.
“Cosa succede tra voi due?”.
“Non lo so. È da un po’ di tempo che è strana. È sempre nervosa e intrattabile”.
“Vorrei tanto fare una battuta… Cazzo che male, Ozora!”, gridò per il calcio appena ricevuto.
“So cosa stavi per dire. Che non è diversa dal solito. Scherzi a parte, la sento distante. Si è spezzata quell’armonia che c’era tra noi due. E poi è da molto che noi due… cioè ecco…”, s’impappinò imbarazzato.
Genzo spalancò gli occhi, “Cosa? È da molto che non parlate di calcio?”, lo prese in giro.
“No, stupido! Hai capito cosa intendo”.
“Quindi hai capito che oltre al calcio ci sono tanti altri giochini divertenti da fare! Il mio amico è diventato un uomo!”, sospirò platealmente.
“Quando fai così sembri Ishizaki. Secondo te cosa devo fare?”.
Genzo osservò il trequartista. Era davvero preoccupato per il rapporto con la moglie, “Io non so cosa significhi essere sposato ed avere dei bambini, ma è possibile che lei sia stanca del doversi occupare dei gemelli e del resto, da sola? Mi spiego meglio… è possibile che Sanae non ti senta vicino?”.
Ozora impiegò qualche minuto prima di rispondere. Le parole del portiere lo avevano colpito in pieno.
“Sono sempre occupato con gli allenamenti e talvolta rimango a giocare anche oltre il normale orario. Forse hai ragione. Sanae si sente trascurata. Non lo aiutata più di tanto con i gemelli, convinto che non avesse bisogno del mio aiuto. Come al solito. Sono sempre stato troppo concentrato su me stesso, fin da ragazzino. Ma se un tempo non avevo nessuno di cui occuparmi, ora è diverso. Il Tsubasa calciatore deve ora condividere il posto con il Tsubasa marito e padre. Dovrò dare più spazio alla famiglia, che al calcio. Sono stato per troppo tempo egoista”, terminò con amarezza.
Si alzò e tese una mano per aiutare Genzo, “Grazie per lo sfogo, ora so cosa devo fare”.
Genzo si rialzò, guardando strabiliato l’amico, “Ozora, a te pensare fa proprio male”.
“Cosa intendi dire?”.
“Non ti ho mai sentito parlare così. Va bene che è tua moglie, ma non è successo nulla. Hai fatto un discorso che sembra quasi che Sanae voglia divorziare!”.
Tsubasa rise, mentre passava la mano dietro la testa, “Quando sei sposato cerchi di fare il possibile per non far soffrire la tua metà e a me è dispiaciuto che non sia stato presente, così come lei voleva. Ma questo lo capirai quando anche tu farai il grande passo“.
Genzo sgranò gli occhi, “Fossi matto! Sono giovane non ho proprio voglia di pensare al matrimonio. Sto così bene da solo! E ora se hai finito di fare il melodrammatico possiamo tornare a casa? Voglio fare una doccia. Stasera ho la cena con Van Gaal”.

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Capitolo 7
*** Decisioni ***






Tsubasa era arrivato al ristorante da circa quindici minuti. Genzo aveva insistito affinché si avviasse da solo. Diceva che Sanae sarebbe giunta con un taxi dopo di lui. Ciò avrebbe reso più intrigante l’incontro tra i due, sosteneva.
Mentre ripensava alle parole del portiere, la sua attenzione venne attirata da un taxi che si fermò a pochi metri da lui.
Vide scendere Sanae che, notato il marito, si avviò con passo incerto verso il giovane, il quale rimase a bocca aperta.
La squadrò dalla testa ai piedi, era bellissima, sembrava una Dea.
“Allora Wakabayashi non sbagliava quando diceva che saresti rimasto di sasso!”, scherzò la ragazza, “Devo dire che è davvero bravo a dispensare consi…”
Tsubasa non aveva seguito nemmeno una parola del discorso della moglie e anzi non le fece finire la frase. Le prese il delicato viso tra le mani e la baciò con dolcezza, “Sei meravigliosa, amore mio”, le sussurrò dopo essersi staccato con difficoltà dalle sue labbra.
La ragazza arrossì, colpita dal gesto romantico e improvviso del ragazzo, “Stupido, non lo sono sempre?”.
“Andiamo”, la prese per una mano e insieme entrarono nel lussuoso ristorante.
“Buonasera, ieri ho prenotato un tavolo”, si rivolse al maître.
“Buonasera a voi, il nome?”, chiese con gentilezza l’uomo.
“Oliver Hutton” rispose sicuro Tsubasa, destando la curiosità della moglie.
L’anziano maître sorrise sotto i baffi, riconoscendo lo stratagemma del ragazzo, “Vogliate seguirmi”, gli invitò, guidandoli verso un tavolo appartato. “Vi porto subito la carta dei vini”.
“Lei è molto gentile”, lo ringraziò il giapponese, poi vedendo che Sanae stava per sedersi scattò, come all’inseguimento di una palla, verso la ragazza.
“Aspetta”, scostò la sedia e la invitò con galanteria a sedersi prima di lui.
“Va bene, il gioco è bello quando dura poco, dove hai nascosto mio marito?”, domandò fingendosi impaurita.
Tsubasa rise passandosi poi una mano dietro la testa, come soleva fare quando era nervoso o imbarazzato. “Diciamo che il vecchio Tsubasa non esiste più, ora ci sono io, se per te non è un problema!”, esclamò stando al gioco.
“No no per me va bene così. Ma dimmi una cosa… cos’ è questa storia del falso nome? E soprattutto, come è possibile che tu abbia trovato la disponibilità per una prenotazione in questo posto, ieri?”.
“Ho assicurato che avrei pagato il triplo e anche di più, se era necessario. Per quanto riguarda il nome è stata un’idea di Genzo. Lui quando usciva con qualche ragazza, trovava sempre i paparazzi ad attenderlo fuori dal locale. Secondo la sua teoria, quando qualche persona famosa prenota in un ristorante, i gestori del locale avvertono i giornalisti, che puntualmente si fiondano a fotografare il vip”.
“Ecco perché non si sente nulla, sul suo conto. Usa un nome falso!”.
“Mi sembra che il suo sia Benjamin Price”, tentò di ricordare.





Genzo starnutì improvvisamente, “Vuoi vedere che ho preso un raffreddore “, pensò.
“Bene, visto che non riuscite a dormire, vi racconterò una storia”. Prese una sedia e si sedette accanto al lettino, dove riposavano Daibu e Hayate.
“Vi parlerò del primo incontro tra vostro padre e me. Tutto iniziò con un pallone scagliato nell’enorme giardino della mia casa a Fujisawa”.





“Sanae… c’è qualcosa di cui vuoi parlarmi?”, il volto del Capitano si oscurò. Posò forchetta e coltello e guardò intensamente la moglie.
La ragazza abbassò lo sguardo, cercando di trovare le parole adatte per iniziare il discorso.
Tsubasa si accorse della sua difficoltà e allungò il braccio per prendere la sua mano, stringendola con delicatezza, “Sanae guardami, per favore”.
Lei alzò gli occhi, incrociando quelli decisi del ragazzo.
“Noi siamo una coppia molto giovane e magari non conosciamo tutte le dinamiche che compongono un matrimonio. Ma una cosa la so. Non dobbiamo commettere l’errore di chiuderci nei nostri silenzi, nella vana speranza che l’altro o l’altra, comprenda i nostri sentimenti. Il dialogo deve essere la base del nostro matrimonio”.
Sane, rassicurata dal suo discorso, decise di esternare le preoccupazioni che, da alcuni mesi, attanagliavano il suo animo. “Ti vorrei più vicino, Tsubasa. Sei stato concentrato su te stesso, da sempre. Io venivo dopo il calcio. Ma questo lo capivo, dopotutto eravamo solo ragazzini e non sarebbe stato giusto ostacolare tuoi sogni. Anzi, se avessi rinunciato ad andare in Brasile per stare con me, ti avrei spinto a tornare sui tuoi passi. Non avrei vissuto serenamente la nostra storia d’amore, sapendo che avessi accantonato il tuo sogno”.
“E di questo io ti sarò sempre grato”, la interruppe Ozora.
“Ma dopo il matrimonio e ancora di più dopo la nascita dei nostri bambini, io speravo che avresti dedicato parte della tua vita a me e ai gemelli. Non siamo mai riusciti a ritagliarci del tempo, solo per noi due. Mi sto occupando di Daibu e Hayate solo io. Gli allenamenti e le partite ti tengono sempre fuor casa e quando ci sei, sei talmente stanco che non riesci a far niente”.
Il numero dieci della nazionale giapponese strinse il pugno della mano sinistra.
“In un certo senso mi sembra di vivere la storia dei miei genitori. Con mia madre che ha badato a me e a mio fratello quasi sempre da sola. Ma io non sono nella stessa situazione di mio padre, che lavora lontano dalla famiglia per mesi. Lui, una volta finito il suo turno, torna in cabina e l’unica cosa che può fare e abbracciare la foto della moglie e dei figli. Per anni mi sono chiesto come potesse andare avanti senza avvertire il calore di un abbraccio. Invece, io sono qui vicino a voi, eppure sono più assente di mio padre”.
Trasse un lungo respiro pensando alle sue giornate. Usciva presto la mattina per correre, tornava a casa, faceva una rapida doccia e andava agli allenamenti rimanendo il più delle volte fuori orario. Amava allenarsi anche quando tutti erano andati via. Come quando era un ragazzino.
“Come un ragazzino”, ripeté ad alta voce, “Sanae, quando ero piccolo dedicavo tutta la mia giornata al calcio, studio permettendo. Ma potevo farlo perché non avevo alcuna responsabilità. Invece ora sono un marito e un padre ed ho delle responsabilità verso la mia famiglia. Sanae, perdona la mia ingenuità. D’ora in avanti tutto sarà diverso”.
La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Non aveva mai sentito un discorso così sofferto e amaro da parte del marito.
“E sai qual è la cosa buffa?” disse Tsubasa, cercando di stemperare la situazione.
“Qual è?”.
“Che Wakabayashi ci aveva azzeccato in pieno. Pur non essendo sposato è riuscito a capire quali erano le cose che non andavano nel nostro rapporto”.





“E fu così, che solo grazie agli insegnamenti di Roberto, vostro padre riuscì a battere il Super Great Goal Keeper… etciù”, starnutì ancora.
“Maledizione, non ho preso mai un raffreddore in Germania, che diavolo succede?”, imprecò ad alta voce, dimenticandosi per un attimo che, accanto a lui, c’erano i gemellini che stavano dormendo. Quell’attimo fu fatale.
Uno dei bambini cominciò a piangere, infastidito dalla voce che lo aveva appena svegliato.
“No, no sta zitto Daibu, o Hayate, chiunque tu sia”. Prese il piccolo in braccio portandolo velocemente in cucina, per non rischiare di svegliare l’altro diavoletto.
“Ma guarda se Genzo Wakabayashi, il più grande dei portieri deve fare da balia a dei mocciosi”, considerò, dando delle pacche leggere alla schiena del bambino, per convincerlo, invano, a smetterla di spaccargli i timpani… e anche qualcos’altro.
“Che tu sia dannato Tsubasa Ozora, spero proprio che tu possa perdere la partita di domani!”, maledì l’amico, reo di averlo lasciato in quella situazione.
Non fece in tempo ad insultare Ozora che qualcun altro aveva deciso di rendere ancora più insopportabile quell’inferno.
Il cellulare prese a vibrare e il portiere, imprecando, rispose forse con un po’ troppa irruenza.
“Pronto!”.
“Wakabayashi, buonasera. Sono Louis Van Gaal, se vuoi chiamo in un altro momento?”, lo salutò l’allenatore del Barça con un tono incerto, dopo aver sentito la voce piuttosto alterata del portiere.
“Buonasera, ma no sono libero”, rispose velocemente il SGGK, sorpreso della sua telefonata.
“Ecco, io volevo ancora scusarmi per aver disdetto il nostro appuntamento di ieri sera... purtroppo la partita di Domenica sta occupando tutte le ore delle giornate precedenti alla sfida”.
“Immagino che lei sia impegnato ad ideare delle tattiche per fermare il Real Madrid?”.
“Infatti. Come il mio collega Del Bosque, credo. Comunque, ti ho chiamato perché non ho dimenticato l’importanza del nostro incontro. Wakabayashi, tu sei un grande portiere e io voglio proporti di giocare nella mia squadra”.
Genzo sorrise alla notizia, “Grazie di aver pensato a me, sono onorato di ricevere un offerta da un Club così importante”.
“Ma sono sicuro che noi non siamo l’unico Club ad aver pensato a te, sbaglio?”, replicò scherzosamente.
“No, no, la lista è molto lunga”.
“Io non so se tu abbia già preso una decisione, però voglio che tu ci rifletta bene. Noi vogliamo gente come te. Vogliamo persone carismatiche”.
“La ringrazio nuovamente, le dirò… io non ho ancora deciso, ma le farò sapere qualcosa sicuramente prima di Gennaio”.
“Spero che la risposta sarà affermativa. Allora a presto Wakabayashi”, terminò la chiamata il mister.



Genzo, dopo che ebbe finito di parlare, si appoggiò al tavolo della cucina, massaggiandosi le tempie. La lista dei Club aumentava e ben due squadre spagnole desideravano averlo come loro numero 1. Per non pensare alle proposte italiane, francesi e inglesi.
La scelta era sempre più difficile.

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Capitolo 8
*** Re del Calcio - parte prima ***


Camp Nou. 16esima giornata della Primera División




Genzo era arrivato allo stadio circa mezz’ora prima del fischio d’inizio. Lo stadio del Barça si stava riempiendo completamente e i colori delle due squadre sulle curve regalavano un’atmosfera magica. La storica rivalità infiammava gli animi dei tifosi e ciò non faceva che aumentare la pressione dei giocatori. L’adrenalina che si respirava stava contagiando anche il giovane portiere che avrebbe tanto voluto essere in campo. Non importa se in Italia, Spagna, Francia o Inghilterra, l’importante era tornare a giocare. Era da circa un anno che non giocava con un Club ed ora le emozioni sopite si stavano risvegliando.


“Bene ragazzi, questa sarà la formazione che scenderà in campo”. Lo sguardo di Del Bosque si posò sui suoi calciatori, “Adotteremo un 4-4-2.
In porta Casillas.
Difensori centrali Hierro e Helguera, terzino destro Salgado e sinistro Roberto Carlos.
Centrocampisti centrali Michael e Raphael, esterni Figo e Guti.
Attaccanti Santana e Natureza”.


“Hai visto Raphael? Sei titolare contro il Barcellona”, si complimentò Michael, rivolgendosi all’amico di vecchia data.
“Ti confesso che sto tremando dalla paura”, rispose con una sincerità disarmante il ragazzo, provocando le risate dei compagni.
“Ti assicuro che tremano le gambe anche a me, quindi non preoccuparti”, lo rassicurò Hierro.
“Grazie, Capitano”, sussurrò, mentre gli altri si alzarono per andare in campo.
“Aspettate, non ho ancora finito”, gli fermò l’allenatore, “Figo e Guti, vi ho messo esterni anche se non è il vostro ruolo abituale. Figo rimani vicino a Raphael e dialoga con lui, Guti tu invece offrirai copertura giocando sulla stessa linea di Michael, chiaro?”.
“Sì, mister”, annuirono i due.
“Natureza”, continuò rivolgendosi al numero 0, “Sentiti libero di spaziare su tutto il fronte dell’attacco e a volte avvicinati al centrocampo per prendere palla, tu Santana invece, darai profondità alla squadra”.
“Certo mister. Conti su di me!”, esclamò Natureza, come sempre su di giri.
“Infine la cosa più importante… Michael sarai tu a coordinare il gioco e a marcare Tsubasa Ozora. Dovrai lavorare perciò sia per il reparto offensivo che per quello offensivo”.
“Va bene. Farò tutto ciò che è nelle mie possibilità per aiutare la squadra”, sorrise il biondo.



“Oggi giocheremo una partita difficile. Il Real Madrid si è rafforzato quest’estate ma noi non siamo da meno. Siamo il Barcellona, la vittoria è l’unico risultato che conosciamo. Useremo un 4-2-1-3.
In porta Valdes.
Centrali di difesa Gonzales e Almieja, terzini Puyol e Fonseca.
Mediani Rivaul e Guardiola. Trequartista Ozora.
Esterni d’attacco Eto’o e Overmars, punta Kluivert. Potete andare”.


“Il mister oggi è stato molto breve, di solito ci fa scoppiare la testa”, commentò Kluivert verso Puyol.
“Non c’è molto da dire, siamo il Barcellona, la vittoria è l’unico risultato ammesso”, rispose il difensore.
“Già, ma secondo me è preoccupato”, affermò pensieroso l’attaccante.
A quelle parole il compagno di squadra perse la pazienza, “Statemi a sentire tutti!”, gridò, “Non importa chi sia il nostro avversario, i Blaugrana non temono nessuno, vero?”.
“Vero!”, gridarono gli altri, incoraggiati dalle parole del focoso difensore.



Le squadre si incontrarono nel tunnel che conduceva al campo. In quei pochi minuti che precedevano la battaglia, i giocatori chiacchieravano tra loro, per cercare di diminuire la tensione. Molti di loro, sebbene giocassero per team rivali, erano amici. Perciò, non era strano vedere Rivaul che abbracciava Roberto Carlos o Hierro che scherzava con Puyol e Guardiola, suoi connazionali. Tsubasa si sentiva a suo agio nel clima di amicizia-rivalità che animava quegli istanti e si diresse a salutare le vecchie conoscenze.
“Santana, ti auguro una buona partita”, disse rivolgendosi al brasiliano.
“Ozora, questa volta vincerò io e mi vendicherò della sconfitta della finale dei Giochi Olimpici”, affermò l’altro stringendo la mano del nipponico.
“Tsubasa!”, urlò un giocatore alle sue spalle saltandogli addosso, “Sono felice di vederti!”.
“Natureza, smettila di fare il buffone!”, gridò il capitano dei Blancos, Hierro. Scosse la testa e riprese il discorso con Guardiola, il quale rideva, divertito dal buffo numero 0.
“Tsubasa, per me è davvero un enorme piacere incontrarti”, si avvicinò Michael.
“Michael, il piacere è tutto mio. Questa è la prima partita che ci vede avversari, divertiamoci ok?”.
“Certo!”, annuì l’altro, accettando la stretta che il rivale gli offriva.
“Che strana sensazione che provo di fronte a lui. È come se irradiasse una luce che si diffonde intorno a tutta la sua squadra. Il suo animo è forte, puro, luminoso. Sembra un angelo”, pensò stupito Tsubasa.



“Eccoli che entrano, la sfida sta per iniziare. Chissà chi vincerà?”, mormorò Genzo.
“Me lo chiedo anche io, Wakabayashi”, gli rispose una voce familiare.
Il ragazzo si voltò verso le gradinate, alla sua sinistra, “Roberto! Anche tu qui!”, esclamò guardando il brasiliano che poi si sedette accanto a lui.
“Non potevo perdermi una sfida tra i miei tre allievi”.





L’arbitro guarda l’orologio e da il via alla partita. Si comincia!
Natureza passa a Santana che subito si dirige verso la porta difesa da Valdes, ma Ozora è di fronte a lui, pronto per il primo contrasto fra i due assi. Ma il brasiliano con un colpo di tacco, evita il giapponese e passa indietro per Raphael, che senza perdere tempo allarga il gioco sulla fascia per Luis Figo. Avanza ancora Figo che con un elegante dribbling supera Guardiola.
Siamo sulla trequarti di destra e il giocatore prova un passaggio rasoterra per Santana, ma la palla viene intercettata da Rivaul. Il numero 10 è da inizio stagione che occupa il ruolo di mediano, avendo lasciato le chiavi del centrocampo al giovane Ozora.
Rivaul, dopo aver intercettato la palla, effettua un passaggio per Ozora, che si gira e trova Raphael pronto a recuperare il pallone.
Ozora lo scarta sulla sinistra e cede la sfera al suo compagno di squadra Overmars che scatta sulla fascia. Brucia il terzino Fonseca e prova un cross per la testa di Kluivert, ma esce bene Casillas che blocca in aria la palla. Nulla da fare per il Barcellona.
Le squadre si affrontano a viso aperto e dopo quindici minuti il risultato è ancora sullo 0-0.
La sfera è nelle mani del Real Madrid, il capitano Hierro passa a Roberto Carlos che, a causa del pressing di Eto’o, si affretta a liberarsi del pallone in direzione del cerchio di centrocampo, dove è presente Michael.
“Tsubasa, fermalo tu!”, gridò Guardiola.
Ed ecco il primo scontro tra il nuovo acquisto Michael e Ozora.
Lo spagnolo fa avanzare la palla e poi sale su di essa! Sta usando la palla come se fosse uno skateboard!
“Cosa?”, pensò Tsubasa, “Come posso fermarlo?”.
Ozora si ferma a pochi centimetri da Michael, fermo anch’esso sulla sfera. Tenta una scivolata, ma il centrocampista madrileno, incredibilmente, si sposta sulla destra, facendo roteare il pallone senza nemmeno appoggiare i piedi sul manto erboso. Supera Ozora e si appresta a lanciare Santana.
“Vai, Carlos!”.
Michael prova un lancio lungo per Santana, posizionato all’altezza del dischetto del rigore, marcato però dai due centrali.
Santana riesce a colpire di testa, in direzione di Natureza, che attendeva al limite dell’area. Natureza salta seguito immediatamente da Rivaul. Il colpo di testa di entrambi si risolve con un nulla di fatto, tuttavia la palla è ancora in aria.
Il giovane brasiliano si rialza velocemente e prova una rovesciata.
“C’è la farò!”.
La palla si dirige verso Valdes, ma ad un certo punto si abbassa e colpisce il terreno, spiazzando così il portiere ed insaccandosi poi in porta.
Ed è gol! 1-0 Real Madrid! I Los Galatticos sbloccano il match con una splendida rovesciata di Natureza!
“È gol! È gol! Grazie del bellissimo assist, Santana!”, urlò fuori di sé dalla gioia, abbracciando il compagno.
“Sempre con queste reazioni esagerate, tu”, ringhiò l’altro, allontanando l’appiccicoso numero 0.
“Scusate, la traiettoria era prevedibile, però poi ha colpito il terreno”, si scusò l’estremo difensore del Barcellona.
“Tranquillo, è solo un gol”, lo rassicurò Tsubasa, prendendo il pallone dal fondo della rete.




“Quel gol…”, bisbigliò arrabbiato Genzo.
“Molto simile a quello che hai subito tu, durante la finale del World Youth”, disse Roberto, udendo le parole del ragazzo.
“Comunque, hai visto come quel Michael ha saltato Tsubasa?”.
Roberto annuì, preoccupato dalla bravura di Michael. Solo qualche mese prima, da solo, il biondo aveva tenuto a basa Santana, Rivaul e Natureza, nella semifinale dei Giochi Olimpici.
Il risultato era bloccato sull’ 1-1. Ma poi un duro contrasto tra lo spagnolo e Natureza gli aveva costretti ad abbandonare il campo. Il Brasile poi dominò l’incontro, perdendo però Natureza. E la finale stessa.
Si vociferava che la Spagna temesse più il Giappone che il Brasile e che fosse arrivata seconda nel suo girone per non affrontare i nipponici in semifinale.
Michael venne impiegato contro il Camerun, la Francia e il Brasile, risultando il migliore in campo e ora si stava dimostrando un avversario ostile anche per Tsubasa.




Siamo giunti alla mezz’ora di gioco, il Real Madrid è in vantaggio grazie ad una rovesciata dal limite di Natureza. La palla è tra i piedi di Ozora, ostacolato da Guti. Si ferma e comincia a palleggiare per poi effettuare un sombrero sul centrocampista madrileno. Il pallone scavalca Guti ed ora Ozora si appresta a recuperare la sfera, ma gli si fa incontro Michael, che tenta di riconquistare il pallone.
“Non mi fermerai ora, Michael!”.
Tsubasa aggancia il pallone e supera lo spagnolo per poi cercare un passaggio verso Eto’o, ma una splendida scivolata di Michael blocca sul nascere l’azione.
“Cosa? Possibile che abbia previsto tutto?”. Il ragazzo del Sol Levante corre dietro il centrocampista centrale, per recuperare il pallone.
Michael è veloce ed ha già superato il cerchio di centrocampo, ma ha davanti a sé Rivaul. Il biondo è accerchiato davanti dal numero 10 del Barcellona e dietro sta arrivando Ozora, pronto a vendicarsi del precedente contrasto.
I due assi hanno creato una gabbia perfetta.
Michael sorrise, “Siete stati bravi, ma io non sono tutto il Real Madrid”.
Passaggio d’esterno verso destra, in una zona vuota della mediana avversaria. Sembra proprio che Ozora e Rivaul abbiano costretto all’errore l’avversario. Ma attenzione! Dalle retrovie sbuca Raphael che intercetta la palla e verticalizza verso Natureza, avvicinatosi al cerchio di centrocampo.
“Bravo, Raphael”, si complimentò rivolgendosi al compagno di squadra, mentre cercava con lo sguardo Santana, che per sfuggire alla marcatura di Gonzales e Almieja, si era spostato sulla fascia destra.
Passaggio di Natureza per Santana, che si trova in una posizione defilata.
“Santana Turn!”. Supera Puyol ed entra in area.
“E ora… Arrow Shot!”, Santana lascia partire il suo tiro speciale che si insacca con molta potenza nell’angolo più lontano della porta!
Raddoppio Real!
Ed ecco l’esultanza di Carlos Santana, alza il pugno verso il cielo! Decisamente un esultanza più composta rispetto a quella di Natureza!
“Ottimo lavoro, Raphael. Come al solito noi due ci intendiamo alla perfezione”, Michael abbracciò l’amico di vecchia data, felice per la sua prestazione nel Clasico.
Santana intanto stava tornando nella metà campo della sua squadra e superando Michael chiuse gli occhi, accennando un sorriso.
“Non ci credo, Carlos ha sorriso! Questo è un vero miracolo!”, scoppiò a ridere lo spagnolo, pensando a come era cambiato il ragazzo dal loro precedente incontro, avvenuto qualche anno prima a Salvador.


“Dannazione, è la seconda volta che mi batte!”, considerò Ozora, afflitto per i gol subiti.
“Stai calmo Tsubasa. Risolveremo la partita”, si avvicinò con la palla tra le mani, Rivaul.
“Certo!”, esclamò deciso il giapponese, “Non mi arrenderò mai, possiamo ancora vincere!”.



Siamo alla fine del primo tempo, l’arbitro ha decretato due minuti di recupero. La partita vede il Real Madrid vincere per 2-0, grazie ai gol dei campioni Santana e Natureza. Il pallino del gioco è nelle mani dei Blancos che avanzano con Raphael, il quale viene pressato da Rivaul, spostatosi da alcuni minuti, da mediano a trequartista, affianco ad Ozora.
Passaggio di Raphael verso Michael, ma la pressione del numero 10 avversario lo costringe all’errore.
Michael allunga la gamba ed arpiona il pallone con la suola dello scarpino.
“Questa volta deve essere assolutamente mia, dobbiamo segnare per ridurre lo svantaggio”. Ozora, veloce come il vento, entra in scivolata sul giocatore del Real e ruba la palla, complice anche la posizione sbilanciata del centrocampista madrileno, il quale ha dovuto rimediare all’errore del compagno di squadra. Ora il Barcellona, superati i centrocampisti avversari, si trova ad affrontare solo i difensori che, presi alla sprovvista, cercano di recuperare la posizione.
Ozora scarta Helguera, “Rivaul, è tua!”.
Ozora passa a Rivaul, che ha di fronte a sé il Capitano Hierro. Finge un dribbling, ma poi lancia un filtrante per Ozora, il quale dopo aver scartato il centrale, intelligentemente, cerca di trovare uno spazio nel buco della difesa avversaria. Rivaul lo vede e passa al giapponese, che s’invola verso la porta difesa da Casillas.
“È un uno contro uno… non posso sbagliare. Flying Drive Shot!”. La palla assume una traiettoria stranissima e si insacca nel sette. Ed è gol! Casillas immobile! Barcellona che accorcia le distanze, proprio allo scadere del primo tempo. Lo stadio esplode, Ozora e compagni non sono stati ancora domati!
“Andiamo a riprenderci la partita!”, urlò dalla gioia Tsubasa, mentre veniva abbracciato da tutti i compagni di squadra e anche, spiritualmente, dalla folla in festa.




Le squadre sono negli spogliatoi in attesa di ricominciare questa emozionante partita.
“Il gol di Tsubasa è arrivato nel momento giusto. Con il risultato aperto sarà più facile ribaltare le sorti dell’incontro”, notò Genzo.
Roberto era scuro in volto, “Il gol ha dato fiducia alla squadra, ma anche il Real vorrà vincere, soprattutto perché potrebbe allungare il vantaggio sul Barcellona, portandolo a sei punti”.
Genzo non poté replicare in quanto avvertì una vibrazione nella tasca dei pantaloni. Estrasse il cellulare e rispose.
“Misaki, che ci fai sveglio a quest’ora?”.
“Stiamo guardando la partita a casa mia”, disse l’amico.
“Stiamo?”.
“Sì io, Ischizaki, Morisaki, Urabe, Izawa e tutti gli altri”.
“Ma non dovete giocare? Che ci fate tutti a Fujisawa?”.
“Genzo, il campionato è finito qualche giorno fa”, spiegò Taro alzando un po’ la voce. Il frastuono a casa sua era assordante. Fortuna che abitava in una casa indipendente. In Francia non avrebbero tollerato un baccano del genere alle sei e quarantacinque del mattino.
“Cosa? Puoi ripetere? Non si capisce niente!”.
“Ho detto che il campionato è finito qualche giorno fa!”, urlò.
Wakabayashi perse la ragione, “Misaki”, ordinò, “C’è anche Takasugi?”.
“Sì, perché?”.
“Digli di dare un cazzotto in testa ad Urabe!”, gridò con tutta la voce che aveva nei polmoni, facendo girare persino Roberto.
Taro rise alle sue parole, “Aspetta che mi sposto… Eccomi. Hai visto?”, chiese l’altra metà della Golden Combi, cercando di mascherare quella strana preoccupazione che lo opprimeva.
“Dal vivo è qualcosa di impressionante”. Persino lui si sentiva strano. E la cosa non fece che aumentare dopo aver appurato che anche Taro percepiva la stessa cosa. Per non parlare di Roberto, che era più silenzioso del solito.
“Non ho mai visto nessuno così abile con il pallone”.
“Già, ed ho il presentimento che non sia solo questo. Dopotutto non lo abbiamo visto tirare nemmeno una volta”.
“Stanno per cominciare, ci sentiamo più tardi”, terminò la chiamata, per poi concentrarsi sulla partita.








**************

Note dell’Autore: Questa è la lista dei calciatori con affianco i nomi con cui sono conosciuti nel Manga.


Barcellona

Valdes – Valtes
Puyol – Payol
(c) Guardiola – Grandios
Eto’o – Neto’o
Overmars – Overus
Kluivert – Luikal
Allenatore Louis Van Gaal – Erick Van Saal

Real Madrid

Casillas - Callusias
(c) Hierro - Blueno
Helguera - Ivangel
Salgado - Olgado
Roberto Carlos - Roberto Carolus
Guti - Gati
Louis Figo - Louis Fago
Allenatore Vicente del Bosque - Vicente del Pasque

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Capitolo 9
*** Re del Calcio - parte seconda ***


La sfida riprese a ritmi elevatissimi e la prima a sfiorare il gol fu il Barcellona, con un’azione di Overmars, ma Casillas mandò la palla in calcio d’angolo.
Poi fu la volta di Figo, che tentò una prodezza da oltre quaranta metri. La conclusione finì ad un paio di metri dalla porta di Valdes.


Puyol per Rivaul, avanza ancora il brasiliano ostacolato da Guti, passa il pallone ad Ozora che cerca di addomesticare la sfera, ma Michael si avventa su di lui.
“Ti fermerò, Tsubasa!”. Contrasto fra i due giovani. La palla schizza in aria ed entrambi saltano e tentano una sforbiciata.
“Questa volta è mia, Michael!”. Lo scontro sembra volgere a favore di Ozora, il quale cerca di mandare la palla verso Guardiola, ma interviene nuovamente lo spagnolo, che devia la sfera in favore di Raphael.
Parte il giovane che passa a Figo, più avanzato rispetto a lui. Figo alza la testa e vede Natureza correre verso il portoghese, per liberarsi dei centrali della difesa blaugrana.
Natureza accoglie il passaggio del compagno, mentre Carlos Santana attende sulla linea di Gonzales e Almieja.
“Natureza, sono qui!”, si sbracciò Michael, inseguito da Ozora.
Il numero 0 cede la sfera al biondo, situato nei pressi del cerchio di centrocampo.
“Ora!”. Scivolata di Ozora che tenta di far sua la palla, ma Michael lancia di prima verso Santana, il quale ha letto bene il gioco e scattando sul filo del fuorigioco, brucia i difensori, per poi ritrovarsi da solo in area.
Esce tempestivamente Valdes, che chiude lo specchio della porta.
“Stupido, pensi davvero che il Cyborg del Calcio sia così scarso da non segnare da questa posizione?”.
Santana inganna il portiere ed invece di tirare, lo dribbla sulla sinistra e poi appoggia facilmente in rete!
3 a 1 Real Madrid! Lo stadio è gelato dalla prestazione dei rivali, che stanno distruggendo le speranze dei padroni di casa! Che azione dei Los Galatticos!
Ed ecco l’esultanza di Santana, allarga le braccia, come a mimare la croce cristiana.
I giocatori esultano, impazziti dalla gioia, primo fra tutti Natureza, che ha letteralmente buttato a terra Michael dalla felicità, sotto lo sguardo sconvolto del Capitano Hierro, che evidentemente ha paura che il Nature Boy, possa far del male, con la sua irruenza, al biondo ragazzo.



Santana si avvicinò al cerchio di centrocampo, fermandosi pochi metri dopo Tsubasa, “Questa volta non vincerai tu, Ozora”, sentenziò con la sua fredda voce. Guardò prima Michael e poi alzò gli occhi per osservare le stelle, “Questa notte, il Cielo è dalla nostra parte”.
Tsubasa ascoltò le sue parole, per poi ripensare ai precedenti contrasti, “Nel primo, durante la sforbiciata, mi era parso di sentire che Michael avesse retratto la gamba, ma lo aveva fatto apposta, per permettermi di vincere il contrasto. Voleva capire a chi l’avrei passata ed infatti è intervenuto qualche secondo più tardi, per deviare la traiettoria. Nel secondo, era consapevole che il mio tackle gli avrebbe sottratto la palla e ha verticalizzato senza stoppare la sfera. Ma io non mi arrenderò, mancano ancora dieci minuti alla fine”.
“Adesso basta, non possiamo perdere. Dobbiamo andare all’attacco”, disse arrabbiato Rivaul, avvicinandosi ad Ozora.



Mancano pochi minuti alla fine e il Barcellona sta tentando il tutto per tutto. In difesa sono rimasti solo Puyol e Gonzales. Il Real Madrid è arroccato tutto nella propria metà campo. È davvero strano vedere i madrileni difendersi così, ma probabilmente la paura dei due assi Rivaul e Ozora è tale da far sì che la squadra voglia difendere il vantaggio e cercare magari un contropiede.
Tsubasa sembra inarrestabile, supera Figo e Raphael, per poi passare a Rivaul, che avanza dribblando anche Guti. È in buona posizione per tentare il tiro e infatti ci prova.
Questo deve entrare per forza, metterò tutta la disperazione e le speranze della squadra”, “Per te, Barça! Golden Hawk Shot!”, gridò.
Tiro violentissimo di Rivaul dai venticinque metri, Michael salta tentando di deviare la sfera. Palla sfiorata dal biondo che cade a terra, il tiro viaggia verso la porta. Casillas si tuffa e tenta di sfiorare il pallone che lo oltrepassa e colpisce la traversa! Incredibile tiro del numero 10, la porta trema ancora per il violento colpo.
Recupera palla agilmente Roberto Carlos, che passa a Michael, il quale si alza sanguinante per il colpo appena subito. L’arbitro pare non accorgersene, Michael avanza e trova Rivaul a sbarrargli la strada.
“Non posso permetterti di passare!”.
Il biondo sale nuovamente sul pallone e disorienta Rivaul, fingendo di andare a destra per poi scattare a sinistra. Rivaul incespica e cade, mentre Michael corre per dare il via al contropiede. Il Barcellona difende solo con Gonzales e Puyol.
“Ti fermerò io!”, Ozora si avventa sull’avversario, ancora pochi passi e potremmo assistere allo scontro.
Michael alzò la testa e sorrise, “Mi piacerebbe affrontati ancora Tsubasa, ma preferisco mettere da parte i desideri personali, in favore di quelli collettivi”.
Michael si ferma e lancia la palla verso la metà campo del Barcellona, il lancio lungo viene agganciato da Natureza, il quale partendo da una posizione defilata e riuscito a non attirare l’attenzione dei difensori. Naturalmente cominciare a correre da qualche metro prima ha fatto sì, che l’attaccante potesse prendere un considerevole vantaggio su Gonzales e Puyol, costretti ad accelerare da fermo.
Natureza corre verso la porta difesa da Valdes, che prova una disperata uscita, il numero 0 lo vede, alza il pallone con il piede destro e prova un pallonetto dai ventri metri che scavalca l’estremo difensore. La palla disegna una parabola perfetta ed entra in rete.
4 a 1 per il Real Madrid!



Il triplice fischio del direttore di gara pone fine a questa sensazionale partita. Lo stadio, a maggioranza blaugrana, è raggelato. I tifosi dei Los Galatticos, invece, sono deliranti per la gioia.



Genzo, impietrito non riuscì a muovere un muscolo, “Non è possibile Tsubasa… ha perso”, balbettò puntando lo sguardo sui calciatori del Barcellona.
Si poteva scorgere la delusione nei loro occhi. Puyol guardò il Capitano Guardiola, che manteneva gli occhi fissi sul terreno.
Ma colui che provava più sofferenza di tutti, era certamente, il numero 28. “Sono stato sconfitto”, continuava a ripetere. Le gambe cedettero e Tsubasa si ritrovò carponi sul campo. Strinse con forza il manto strappando alcuni fili d’erba.
La bruciante sconfitta non gli permetteva di ragionare lucidamente. Non aveva mai provato una sensazione del genere. La partita era finita e non poteva più ribaltare il risultato.
Alcuni giocatori si diressero verso gli spogliatoi, mentre altri s’intrattennero per parlare con i propri compagni di squadra o con i rivali.
Santana superò tutti e imboccò il tunnel. Si fermò all’inizio di esso e si voltò per osservare il suo vecchio rivale, il quale era ancora inginocchiato.
Adesso sai cosa abbiamo provato tutti noi”.
Natureza dietro di lui, capì che il brasiliano stava guardando il giapponese e disse, “Sai, pensavo di andare a consolarlo. Ma poi ho creduto che nessuna parola potesse essere di conforto”.
L’altro non rispose, riprendendo a camminare. Il numero 0, allora, affrettò il passo e avvicinandosi gli diede una pacca sulla schiena, “Tra noi due è finita con un pareggio. 2 gol e 1 assist a testa”, scherzò.


Lentamente tutti i giocatori lasciarono il campo, tranne due. Tsubasa era rimasto immobile per molti minuti, quando ad un certo punto vide un braccio tendersi verso di lui, invitandolo ad alzarsi. Alzò lo sguardo, velato da lacrime che, difficilmente riusciva a contenere, e vide un uomo attorniato da una bianchissima luce.
Stropicciò gli occhi per mettere a fuoco la figura e incontrò il sorriso gentile di Michael. Strinse la sua mano, mettendosi poi in piedi. Guardandolo meglio notò che il ragazzo aveva una ferita, piuttosto superficiale, che sanguinava bagnando i biondi capelli.
“Tsubasa, per me è stato un vero onore giocare contro di te. Sei un formidabile calciatore e lo hai dimostrato non arrendendoti mai. Non vedo l’ora di giocare nuovamente contro. Quindi, alla prossima”, lo salutò congedandosi.
Ozora non ebbe la forza di rispondere e poco dopo si diresse anche lui verso gli spogliatoi.


“Andiamo Genzo. Avrà sicuramente finito di fare la doccia”.
Il portiere si riscosse dai propri pensieri. Non ricordava per quanti minuti era rimasti seduti, in silenzio. Il Camp Nou era deserto.
Uscirono dalla stadio, dirigendosi verso l’ingresso riservato ai calciatori. Lo trovarono seduto in disparte.
“Tsubasa!”, lo chiamò Genzo, avvicinandosi all’amico.
“Genzo… Roberto!”, esclamò notando l’uomo alle spalle del portiere.
“Tsubasa, sei davvero questo?”, lo attaccò duramente il suo mentore.
“Il giocatore non parve capire, “Mi ha battuto su tutti i fronti. Non ho portato la mia squadra alla vittoria”, sussurrò scioccato. “Michael è più forte di me nei passaggi, dribbling, visione di gioco, intelligenza e carisma. Mi ha praticamente umiliato”.
“Tsubasa, chi è il Re del Calcio?”, sibilò il brasiliano, reprimendo a fatica la rabbia.
“Il Re del Calcio?”, ripeté intontito il ragazzo, “Io… io non lo so”, rispose con lo sguardo fisso nel vuoto.
A quelle parole Roberto perse la calma e diede uno schiaffo al suo allievo più amato. “Tsubasa, sei davvero tu questo? I veri uomini si vedono nelle sconfitte. È facile vivere di continue vittorie. Il tuo reale carattere si mostra nei momenti bui. Risollevati, Tsubasa! Torna in te!”.
“Fa male”.
“È questo ciò che hanno provato tutti quelli che hai battuto. Genzo, Hyuga, Le Blanc, Belli, Diaz, Schneider, Cruyfford, Levin, Sho, Santana e Natureza. Tutti loro hanno vissuto l’amarezza di dare se stessi e perdere. Ma i migliori calciatori della storia sono quelli che hanno perso combattendo e che poi si sono rialzati a testa alta, perché consapevoli di aver dato il 100%”.
Le parole del suo maestro scossero l’animo del ragazzo, “Devo far tesoro della sconfitta e migliorare”.
“Esatto. Le sconfitte sono il miglior modo per crescere e acquisire l’esperienza. Adesso che anche tu sai come è il sapore della sconfitta diventerai più forte!”, esclamò Roberto, sollevato. Ora sì che aveva davanti il suo allievo.
“Grazie Roberto. Mi sento meglio dopo quello schiaffo”.
Roberto sorrise alle sue parole e controllò l’orologio, “Ragazzi, io vi saluto. Vado in hotel. Domani, per me, sarà una giornata intensa e voglio cercare di riposare”.
“Ma come? Vai già via?”, domandò Tsubasa dispiaciuto, “E quando ci rivedremo?”.
Il brasiliano, che intanto aveva già iniziato ad avviarsi, si voltò con un sorriso misterioso, “Diciamo che se giocherete bene, ci rivedremo sicuramente”.
Genzo e Tsubasa si guardarono perplessi, e una volta rimasti soli il Capitano chiese al portiere, “Tu sai qualcosa?”.
Genzo ricambiò lo sguardo sconcertato dell’amico, “A me non ha detto niente. Comunque è meglio che ci sbrighiamo ad andare a casa. Sanae sarà preoccupata dopo aver visto la partita”.


Il centrocampista seguì il SGGK e poco dopo, ruppe il silenzio, “Sai è proprio una strana sensazione. Io ho perso. La mia prima sconfitta a livello professionistico”, realizzò.
“È stato un duro colpo anche per me e sicuramente per i ragazzi della nazionale. Il Capitano è stato sconfitto”.
“Capisco l’amicizia, ma addirittura un duro per colpo per voi”, obiettò Tsubasa.
Genzo rise, “Probabilmente non hai ancora capito quanto tu sia importante per noi, Ozora”, lo guardò e riprese il discorso, “Tutti noi avevamo la certezza che nessuno potesse sconfiggerti. È come se la colonna portante del Giappone si fosse incrinata”.
“Non credevo di essere così decisivo per il morale del Giappone”.
“Sai da cosa siamo accomunati noi della nazionale?”.
Tsubasa scosse la testa.
“Nei momenti di difficoltà pensiamo a te”, continuò con tono malinconico, “È ciò che ho fatto io durante la ma ultima partita con l’Amburgo. Cosa farebbe Tsubasa al posto mio? La tua sconfitta è un bene per tutti noi”.
“È come se vi foste liberati di un fantasma”, commentò il numero 10.
“Diciamo che è come se ci fossimo svegliati da un sogno. Tu hai sconfitto i migliori giocatori della nazionale, dimostrando in ogni partita di poter ribaltare ogni risultato all’ultimo minuto. Anche se il nostro avversario era più forte di noi, sapevamo che ci avresti condotto alla vittoria. Ora che invece, abbiamo visto che anche Tsubasa Ozora può essere battuto, diventeremo più maturi”.
“Quindi secondo te ora siamo più forti?”.
“Ne sono certo. Sono d’accordo con il discorso di Roberto. Nulla fa diventare più forte di una sconfitta. Questa consapevolezza ha dato al Giappone la possibilità di crescere e perciò siamo pronti a traguardi ancora più importanti rispetto a quelli raggiunti in passato”.
Gli occhi dell’amico, a quelle parole, si illuminarono, “Ti riferisci al nostro sogno, vero?”.
“Sì. Il nostro sogno più grande è il motivo per cui voglio tornare a giocare il più presto possibile. La porta del Giappone dovrà essere difesa dal SGGK. Ma dovremo giocare bene per attirare l’attenzione dell’allenato…”. Mentre pronunciava l’ultima parola si bloccò, fulminato da un’idea improvvisa, “Non è che Roberto, con quel discorso... ma no, cosa vado a pensare. È impossibile!”.
Tsubasa rimase in silenzio per qualche minuto. Sembrava che stesse ragionando su qualcosa.
Ad un tratto si fermò, “Genzo!”, chiamò l’amico, chiuso anch’egli in uno strano silenzio. Si voltò ed incontrò il sorriso a trentadue denti del Capitano, “Ora ho capito a cosa alludeva Roberto con la storia del Re del Calcio. La prossima volta che lo incontrerò gli dirò che ho la risposta”.
“Sono felice per te”, rispose il connazionale, mentre estraeva il cellulare. Guardò prima il telefonino e poi il numero 10, “Prendi… è per te”.
Tsubasa afferrò al volo il telefono e rispose, “Misaki! Che bello poterti sentire!”.

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Capitolo 10
*** 30 dicembre 2000 ***




30 Dicembre 2000


Le ville dei Price avevano tutte una cosa in comune, l’immenso giardino. Genzo, dopo aver cenato, uscì per fare due passi. L’aria inglese era tagliente quanto quella tedesca, ma lui era abituato alle fredde temperature e perciò non risentiva del vento pungente che soffiava, in quella sera di Dicembre.
Il giardino era immerso nel silenzio e nell’oscurità. Amava quel momento della giornata in cui poteva stare da solo a passeggiare.
Molti dei suoi amici non capivano come potesse piacergli la solitudine. Loro vivevano tutti con le loro famiglie, mentre il portiere aveva vissuto sempre da solo.
Per me è una condizione naturale, la solitudine”.
Ripeté nella mente la frase con cui rispose alla domanda posta da Taro.
Ricordava ancora quella domanda. Quanti anni erano passati dai pomeriggi di Fujisawa, spesi a giocare fino allo sfinimento.


Inspirò profondamente avvertendo l’odore dell’erba appena tagliata. Estrasse il cellulare e avviò la chiamata.
Uno squillo, due, tre…
“Wakabayashi!”.
“Ciao Hermann, stavi cenando?”.
“Se stavo mangiando secondo te avrei perso tempo a risponderti?”, ironizzò il tedesco.
“Immagino di no”, rise.
“Ma dove ti trovi, al cimitero? C’è un silenzio tombale”.
“Sono nel giardino della casa dei miei genitori, in Inghilterra”, spiegò.
“Ah, sei andato da loro per le vacanze di Natale. E come va?”.
“Niente di ché. I soliti discorsi. Ciao papà, come stai? Bene, e tu? Anche io. Fine del discorso”, replicò amaro.
“Una chiacchierata molto calorosa”.
“E a te, come va?”.
Kaltz ci mise qualche secondo per rispondere, “Fisicamente sto bene, ma sono psicologicamente un po’ demoralizzato”.
Genzo sapeva bene a cosa alludeva. L’Amburgo era al sesto posto in classifica e difficilmente sarebbe riuscita ad accedere alla Champions League, accontentandosi forse, della Coppa Uefa. Sebbene la sua avventura non si fosse conclusa nel migliore dei modi, un pezzo del suo cuore era rimasto in Germania e vedere la sua squadra in quella posizione faceva male.
“Coraggio, potete ancora farcela. Dopotutto siete solo a metà campionato”.
“Genzo, vogliamo prenderci in giro? Quest’anno sarà una fortuna se ci qualificheremo per la Coppa Uefa”, replicò tristemente,”Lontani sono i tempi delle vittorie ottenute grazie ad un moccioso giapponese”.
Genzo rise, ricordando della sua prima partita con la maglia dell’Amburgo, avvenuta alla giovane età di quindici anni. Da quel giorno in cui rimase imbattuto, nonostante gli attacchi del Bayern e del giovane Kaiser Schneider, il posto di titolare fu suo. I tifosi erano impazziti per quel piccolo prodigio, mentre gli avversari erano sconcertati che quel marmocchio col cappello riuscisse a fermare i tiri dei veterani del calcio, capaci di vincere le più importanti competizioni a livello nazionale e mondiale, ma impotenti di fronte al SGGK.
“Tempi passati”.
“Appunto. Quando non si vince ci si aggrappa ai fasti del passato. Comunque, quest’estate credo che andrò via”, gli confessò.
“Davvero?”, chiese stupito, il portiere.
“Il mio agente ha detto che ci sono squadre di alto livello che sono interessate a me”, disse orgogliosamente, “Però voglio giocare con continuità per attirare l’attenzione di Völler. Voglio sfruttare il prossimo anno per cercare di ottenere un posto in squadra nei Mondiali. Temo che se giocassi per un Club molto più forte, potrei stare in panchina per molte partite. Tu che ne pensi?”.
“Non credo che saresti un panchinaro. Sei uno dei migliori centrocampisti tedeschi”.
“Grazie per il complimento. A proposito di centrocampisti, hai visto quel Michael?”.
“Ero allo stadio”, gli rivelò.
“Ha battuto il tuo amico. Se non sbaglio è stata la sua prima sconfitta a livello professionistico. Come sta Ozora?”.
“Bene. Era un po’ frastornato all’inizio, ma poi ha reagito”.
“E tu, invece? Hai deciso?”.
“Sì”.
“Allora? Francia, Spagna, Italia o Inghilterra?”, chiese roso dalla curiosità.
“Non te lo dico. L’unica cosa che posso svelarti è che giocherò in una nazione europea”, ridacchiò, “Ora devo andare. Ciao, Kaltz”.
“Tutte sono europee. Che razza di risposta è? Dai bastardo! Dimmelo! Pronto! Pronto!”, sbuffò, “Che palle, almeno a me poteva dirlo”.



“Una è andata. Ora, la più importante”. Compose il numero che aveva salvato.
“Wakabayashi, che piacere sentirti!”, lo salutò l’uomo.
“Salve, mister. La chiamavo per informarla che ho preso la mia decisione”.
L’uomo era sulle spine. Per due settimane non avevano fatto altro che criticarlo e la situazione era divenuta insostenibile. “Ti ascolto”.
Genzo rimase in silenzio, gustandosi la suspense che la sua risposta aveva creato.
“Wakabayashi?”, lo implorò l’uomo, ormai raggiunto il limite dell’attesa.
Il ragazzo rispose sorridendo, “Ho deciso di accettare la sua offerta”.
L’allenatore rimase immobile, ringraziando tutti i Santi del Paradiso. Decise, inoltre, che avrebbe ballato dopo aver terminato la chiamata. Tanto non lo avrebbe visto nessuno, dato che era chiuso a chiave nello studio della sua casa. “Grazie, Wakabayashi. Grazie”, disse con la voce rotta dall’emozione.
“Di nulla. Anzi, non vedo l’ora di scendere in campo”.
“E se posso… qual è il motivo per cui hai scelto noi?”.
“La voglia di ripartire affrontando due persone. Natureza e Michael”, spiegò, “Natureza perché non ho avuto il piacere di affrontarlo per vendicarmi. Gli sono bastati due minuti per distruggere la mia imbattibilità. Mi ha segnato da fuori area con troppa facilità ed io non ho ancora digerito quell’umiliazione. E poi Michael”. Strinse con forza il cellulare, “L’unico uomo ad aver battuto Carlos Santana, Natureza, Rivaul e… Tsubasa Ozora. Voglio essere io il portiere che fermerà il giocatore che ha sconfitto il Capitano della nazionale giapponese!”, esclamò con il sangue che ribolliva nelle vene.
“Dunque vuoi regolare alcuni conti e vendicare un amico?”.
“Tsubasa è abbastanza forte da poter sconfiggere chi vuole senza il mio aiuto. No, non lo sto facendo per lui. È una questione personale”. Alzò lo sguardo per osservare le stelle.
“In realtà se avessi dovuto scegliere pensando ad Ozora avrei scelto una squadra rivale, per confrontarmi con lui. Nel periodo in cui mi trasferii in Germania, Karl Heinz Schneider divenne il mio obiettivo. Mi allenavo per diventare l’unico portiere in grado di fermare i suoi tiri. Perché in quel momento era lui il mio più grande rivale. Ma dopo la vicenda con l’Amburgo è come se io fossi rinato. Come se dovessi ricominciare tutto da capo. E ora, il mio più grande rivale, è colui che ha sconfitto Ozora. È una questione di autostima. Se voglio raggiungere il mio sogno, dovrò ricominciare sconfiggendo colui che, in questo momento, è il miglior calciatore del mondo”.
“Sono felice, forse per il Barcellona c’è ancora speranza. Ci vediamo la prossima settimana, Wakabayashi. Ti attendiamo con ansia”, si congedò l’uomo.
“A presto, mister Van Gaal”.


Terminò la chiamata e rimase per qualche minuto ad osservare le stelle. La motivazione che aveva dato a Van Gaal era prettamente sportiva. Riconquistare il titolo di miglior portiere battendo il più forte giocatore al mondo.
Ma non aveva certo dimenticato la chiacchierata di quel sogno.
Se chiudeva gli occhi poteva ancora scorgere la figura del biondo sovietico che gli consigliava di ripartire dai suoi amici.
Ripartire da un Club in cui avverto lo stesso spirito che aleggia intorno alla nazionale. Lo spirito del divertimento e della spensieratezza”.
E in quel momento, quello spirito, aleggiava sopra la città spagnola, chiamata Barcellona.


Inspirò profondamente. Finalmente, dopo un anno, tornava a giocare in un Club.
“La strada per diventare il portiere di calcio più forte della storia è costellata da ostacoli di grande valore.
Questi ostacoli sono rappresentati dai migliori calciatori del mondo.
Ma non permetterò a nessuno di frapporsi tra me e il mio sogno.
Diventerò il numero uno più forte di sempre.
Un giorno, la mia stella brillerà più intensamente della tua, Lev Jašin!”.

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