Lunga vita al re!

di keepcalmandwrite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


[Premessa: per motivi di trama ho deciso di non rispettare completamente gli avvenimenti della serie. Ogni personaggio è ad una certa situazione, nello specifico Ned Stark è ancora vivo, poiché non ha ancora indagato sulla caduta di Bran, Robb è sposato con Talisa e aspettano il loro primo figlio, i draghi di Daenerys non sono più grandi di un metro d’altezza e Myrcella si trova ancora ad Approdo del Re ma è già promessa sposa a Tristane. Dalla lettura capirete anche degli altri personaggi, i principali ci saranno quasi tutti. Spero l’idea vi piaccia e che seguirete con interesse. Buona lettura, e recensioni ben accette!]


Da diversi giorni ormai i preparativi nella capitale avevano raggiunto il massimo del fervore. Passate le due settimane dalla morte del re Robert Baratheon, il giusto tempo che secondo Tywin Lannister sarebbe servito per elaborare il lutto, la capitale sarebbe dovuta essere pronta per festeggiare il nuovo, giovane re Joffrey Baratheon. La festa doveva essere sfarzosa come solo dei Lannister potevano fare (e permettersi). Per Tywin questo avvenimento segnava l’inizio di una nuova era: non solo per il piccolo segreto famigliare, per cui essendo Joffrey nato da un incesto il trono passava nelle mani dei Lannister anziché dei Baratheon, ma sopratutto perché con questa nuova incoronazione Tywin aveva deciso (o meglio, imposto) la totale pace in tutti i sette Regni. E quale modo migliore di festeggiare la nuova era, se non quello di invitare tutti gli esponenti delle maggiori casate e le loro famiglie nella capitale? In fondo, nessuno aveva il coraggio di contraddire l’uomo più ricco e potente di tutta Westeros, nemmeno i suoi figli. Specie Cersei che, alla sola idea di dover ospitare tanti nemici contemporaneamente negli alloggi della Fortezza Rossa, il luogo dove lei stessa abitava, provava un disgusto immane proprio al centro dello stomaco che si diffondeva nel resto del suo corpo. Aveva deciso di farsi andare bene l’idea (o per lo meno di farlo credere) soltanto per poter vedere il suo primogenito incoronato davanti a tutti. Ma non avrebbe mai creduto che il seccante compito di assicurarsi che tutti gli alloggi siano stati adeguatamente sistemati dalla servitù toccasse proprio a lei. E così, fu costretta a passare l’intero pomeriggio visitando ogni stanza del palazzo accompagnata dalle sguattere, invece che sorseggiare vino in veranda come avrebbe di gran lunga preferito.
-In questa stanza alloggerà Daenerys Targaryen, mia Signora- la informò la donna di servizio, aprendo la porta e mostrandole la stanza pulita e arredata –Spero sia di suo gradimento-
Cersei fece una smorfia, già stufa di avere quella donna petulante tra i piedi, poi entrò nella stanza. In confronto alla sua era decisamente molto piccola, ma comunque lussuosa. –Sì, può andare,- sospirò dopo aver dato un’occhiata in giro –soltanto una cosa cambierei: riempite i cuscini con delle spine affilate anzichè con le piume d’oca, la Targaryen apprezzerà di certo.-
L’anziana sguattera rimase immobile, confusa dal sadico sorriso sul volto della bionda donna, e indecisa se eseguire l’ordine o meno.
-Non darle retta, Theresa. Non devi farlo.- irruppe nel discorso Tyrion, che si affacciò nella stanza con la sua buffa camminata. Cersei stava già preparando il suo sguardo più irato non appena lo sentì parlare dal corridoio esterno.
-Ora conosci anche il nome delle sguattere del castello? Non dirmi che ci hai fatto amicizia, o peggio…- sentenziò, guardando con disgusto il fratello minore.
-No, sono solo un uomo intelligente io, a differenza tua. E se lo fossi anche tu, capiresti che avere amici tra la servitù può rivelarsi utile,- affermò il folletto aggirandosi nella stanza, -ad esempio quando vorresti che qualcuno in piena notte ti porti una nuova bottiglia di vino nella tua stanza.- poi si rivolse all’umile donna dal capo abbassato che pendeva dalle labbra della sua signora Cersei –Theresa, vai pure. Per oggi hai sopportato abbastanza mia sorella, direi.- L’anziana ringraziò con estrema cortesia e si liquidò in fretta.
Cersei sbuffò, poi si sedette esausta sul bordo del letto sistemato in ordine. –Non hai altro da fare tu, invece di venire qui ad irritarmi? Nostro padre non ha dato un compito anche a te, in tutto questo?-
Tyrion continuava ad osservare la stanza, con la premura che ogni superficie fosse priva di polvere e che ci fossero abbastanza candele –Certo che ho anch’io un compito. A me spetta il duro lavoro di assaggiare tutti i tipi di vino delle nostre dispense e decidere quali saranno i più adatti alla serata. E’ stato davvero duro, sai?- il folletto guardò la sorella con un sorriso beffardo, gustando lo sguardo ancor più irritato della sorella.
-Vuoi dirmi che io sono in giro con delle sguattere da ore mentre tu eri di sotto ad ubriacarti??- gridò Cersei rabbiosa –Questo non lo accetto, sono sicura che non sia stato Tywin a deciderlo, non sarebbe mai d’accordo!-
-E invece è stato proprio lui ad ordinarmelo. Ha anche detto che la mia esperienza con gli alcolici mi avrebbe di certo aiutato nel compito.- affermò Tyrion divertito.
Cersei sbuffò e lasciò la stanza brontolando qualcosa su quanto poco le importasse della pulizia degli alloggi dei suoi nemici. Tyrion sorrise, pensando che quella donna non avrebbe mai avuto in servo una buona parola per nessuno. Si avvicinò alla porta-finestra della stanza, e quando uscì nel piccolo ma elegante balcone per prendere un po’ d’aria, il suo sguardo cadde su di una serie di maestose carrozze in lontananza che stavano percorrendo il viale della Fortezza Rossa. Riconobbe subito l’importante vessillo sulle bandiere. –Gli Stark, sono già qui!- esclamò meravigliato, poi corse al piano terra per ricevere la nobile casata insieme al resto della sua famiglia. 

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


Nella sala dove si sarebbe tenuto l’abbondante banchetto, il fervore era ai massimi livelli. Il futuro re Joffrey si aggirava da un tavolo all’altro, controllando con minuzia ogni addobbo sui tavoli e sulle maestose pareti della sala. E ovviamente non perdeva occasione di rimproverare ogni uomo o donna al suo servizio. Ogni loro piccola disattenzione veniva punita con un pubblico rimprovero che terminava sempre con un saccente “…e se non rispetterai il volere del tuo Re ti priverò della mano!”
Il biondo ragazzo stava giusto minacciando l’ennesimo garzone che si era permesso di sbagliare il colore sul bordo degli ornamenti appesi alle colonne, quando sua madre gli si avvicinò per informarlo dell’arrivo degli Stark.
Per Joffrey, l’arrivo della nobile casata del Nord significava solo una cosa: Sansa. La bella ragazza era la sua promessa sposa, ed era intenzionato a fare una buona, anzi ottima figura con lei.
Nel cortile principale del castello la famiglia Lannister si era radunata per dare il benvenuto ai primi ospiti, Tywin in prima linea. Ma non erano al completo, e questo indispettì notevolmente Joffrey, già irritato per via della sua sbadata servitù.
-Dov’è quel rimbambito di mio fratello?- chiese, stizzito.
Sua madre Cersei gli rispose prontamente, con dolcezza –Tesoro, non preoccuparti, vado io a cercarlo!- e detto ciò si allontanò per cercare il suo secondo figlio, che come ogni giorno stava giocando a rincorrere il suo gatto nel lato opposto della fortezza.
Suo zio (almeno ufficialmente) Jaime, che si trovava proprio al fianco del giovane re, sbuffò. –Non chiamarlo così, è molto scortese da parte tua!- gli sussurrò.
Joffrey lo guardò stizzito, pronto a rispondergli con qualcosa che riguardasse la sua nuova posizione da sovrano, quando il nobile Lord Eddard Stark con la sua maestosa pelliccia del Nord scese dalla carrozza, quindi il giovane Joffrey dovette ricomporsi.
Tywin si avvicinò con la sua innata eleganza per porgergli i saluti a nome di tutta la famiglia.
-Lord Eddard Stark, per noi è un piacere poter accogliere la vostra casata-
In quel momento sua moglie Catelyn fece capolino dal mezzo su cui aveva viaggiato per poi uscirne, seguita dal resto della sua famiglia.
-E per noi è un piacere essere qui nella capitale. I miei figli più piccoli non l’avevano mai vista fino ad oggi, quindi ne coglieranno l’occasione.-
Tywin baciò la mano della Lady come formale saluto, per poi posare lo sguardo sulla numerosa famiglia –Spero abbiate fatto un buon viaggio. Avrete di sicuro caldo qui, con queste vostre pellicce.-
Joffrey si intromise subito tra suo nonno e i nuovi arrivati, non poteva sopportare di passare in secondo piano rispetto al facoltoso Tywin: –Miei Signori, la mia servitù vi scorterà presto nei vostri alloggi.  Siate liberi di sentirvi come a casa.-
Detto ciò si avvicinò a Sansa, ignorando spudoratamente gli altri ragazzi Stark, e le baciò la mano con eleganza, riservandole un’amichevole occhiata –Mia Signora, benvenuta!-
La ragazza sembrò piuttosto timida. Non appena il biondino le rivolse la parola, lei guardò suo padre, che con un gesto del capo la rassicurò. –Grazie, mio Signore-, farfugliò con timidezza. Sua sorella più piccola, Arya, notò subito il rossore sulle guance della sorella e non trattenne una risata. La madre la fulminò subito con lo sguardo. Anche Tywin Lannister le lanciò una fugace occhiata di disapprovazione, ma Arya non aveva paura di Tywin. A dire il vero, la ragazzina sembrava non aver paura proprio di niente. Suo padre Eddard si scusò in fretta con l’autorevole uomo.
-E’ normale, alcuni ragazzini e ragazzine hanno semplicemente bisogno di una maggiore educazione.- sentenziò Tywin senza scomporsi.
In quel momento Jaime Lannister notò che Jon Snow, oramai Guardiano della Notte che per l’occasione aveva accettato di riunirsi alla propria famiglia, reggeva un piccolo carretto su cui era in parte disteso Bran Stark. Rivedere quel bambino rimasto storpio per colpa sua gli provocò una fitta, per questo spostò in fretta lo sguardo concentrandosi su qualcos’altro. Mentalmente si ricordò che doveva indagare su cosa quel ragazzino ricordasse della caduta, ma tutta la famiglia Stark sembrava abbastanza tranquilla da non voler creare falsi allarmismi. Cercò con lo sguardo sua sorella Cersei, la quale era ancora alla ricerca del figlio Tommen. Jaime sospirò, sapeva che se n’era andata con la scusa soltanto per non guardare in faccia il bambino storpio e sentirsi in colpa, così da lasciare lì suo fratello e farlo sentire unico colpevole.
Suo padre Tywin riprese subito la parola: -Sarete stanchi, immagino, e vorrete fare un bagno. Come mio nipote vi ha già anticipato, la servitù vi mostrerà le vostre stanze. La cerimonia d’incoronazione del nuovo re Joffrey si terrà fra cinque giorni, quindi nel frattempo potete approfittarne per riposare e visitare la splendida capitale. Buona permanenza a nome di tutti i Lannister.-
Eddard Stark e il resto della sua famiglia ringraziarono e seguirono i due garzoni in servizio fino in cima alla torre dove le loro sfarzose stanze li aspettavano.
Di lì a breve, famiglie da ogni parte del continente arrivarono a bordo di eleganti carrozze: dalle estreme terre del Nord alle coste del Sud, dalle Isole di Ferro fino alle città d’Oriente. La Fortezza Rossa, ad un giorno dal grande evento, era affollata da dame, principi e ospiti prestigiosi come non lo era forse mai stata prima.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


Il giorno della cerimonia d’incoronazione, la sala del trono era gremita di Lord e Lady. Joffrey, dall’alto del suo trono, non poteva che godere della sua speciale incoronazione davanti a tutta quella gente, e il suo ego cresceva a dismisura mentre guardava in faccia tutti quei nobili con fare altezzoso.
L’Alto Septon iniziò l’antico rituale, parlando a fatica a causa dell’età avanzata: -Che il guerriero lo renda coraggioso e lo protegga in questi tempi pericolosi, e che il fabbro lo renda forte, così da…- ma venne presto interrotto dal giovane Re, che sbuffò impaziente: -Suvvia, vecchio. Diamoci un taglio e arriviamo al punto!- lo esortò nei modi che era solito avere. Gran parte della sala rise di gusto, sotto gli occhi sbarrati di Tywin e Cersei. L’Alto Septon non si scompose e riprese in fretta il discorso: -Sì certo, allora… nella luce dei sette, io proclamo oggi Joffrey della casa Baratheon, primo del suo nome, re degli andali e dei primi uomini, sovrano dei sette regni. Lunga vita al re!- Tutta la sala, in un unico coro, augurò una “Lunga vita al re!”, e i festeggiamenti iniziarono presto nella spaziosa sala adiacente, dove il ricco banchetto era già allestito.


La musica suonava forte e il vino scorreva di tavolo in tavolo. Daenerys Targaryen era seduta con i suoi fidati consiglieri Jorah Mormont, Missandei e Daario Naharis. La giovane donna non era abituata ad usi e tradizioni delle casate d’Occidente quindi, come aveva specificato ai suoi fidati prima di accettare formalmente l’invito a corte, né lei né nessuno sotto il suo controllo avrebbe avuto contatti non necessari con le altre casate. Da quando, qualche giorno prima, arrivò ad Approdo del Re dal lontano Oriente, i Lord e le Lady non facevano altro che sussurrare “la madre dei draghi” o “la figlia del Re Folle” alle sue spalle. Per questo motivo, Jorah Mormont era sempre sull’attenti, con la mano sotto al tavolo costantemente pronta ad impugnare la spada.
-Dovresti rilassarti, amico. Siamo ad una cerimonia e la gente vuole solo ubriacarsi, non iniziare una guerra!- lo ammonì un fin troppo rilassato Daario Naharis, mentre si riempiva il piatto con cosci di pollo.
Daenerys lo rimproverò subito: -Jorah fa bene ad essere sempre vigile. Io non mi fido di questa gente. Rammenta sempre che uccisero mio padre con un colpo alle spalle!-
-Mia Signora, siamo certi che i draghi siano al sicuro?- si intromise l’altro uomo, senza spostare mai lo sguardo dagli altri ospiti.
-I miei draghi sono rinchiusi in gabbia nella mia stanza. Sono legati e nessuno li toccherà. Almeno su questo fronte possiamo stare tranquilli.-
-Probabilmente l’unico fronte.- sentenziò Jorah.


Nel fondo della sala, Tywin Lannister si alzò dal centro del tavolo più prestigioso, dove re Joffrey e la sua famiglia consumavano il banchetto. Fece segno al menestrello di terminare in fretta la ballata che stava intonando, per poi prendere la parola. In un secondo nella sala, dopo tanto trambusto, calò il silenzio. Chiunque era curioso di sapere ciò che l’uomo più influente dei sette regni aveva da dire.
-Miei Lord, Lady, principi e principesse da ogni parte del globo. Vorrei porgervi ufficialmente i miei più sentiti ringraziamenti per essere qui riuniti quest’oggi. Come già annunciato nelle lettere che ho fatto spedire a mio nome, desidero che l’incoronazione del mio primo nipote Joffrey, della casa Baratheon e Lannister- e con una mano indicò l’egocentrico giovane -sia per tutti noi l’inizio di una nuova e prosperosa era di pace.-
Gli ospiti accolsero entusiasti le parole del capofamiglia dei Lannister con un applauso, poi l’uomo riprese a parlare: -Ma, come ben saprete, per poter incominciare il nuovo, è di buon auspicio concludere prima il vecchio, e riporre gli antichi rancori.- Gli ospiti si guardarono tra loro, curiosi di sapere quale potesse essere il vero intento del discorso.
-Ed è per questo motivo che ci tengo a dare pubblicamente il benvenuto a Daenerys Targaryen.-
Non appena sentì il nome della sua regina, Jorah estrasse metà spada dalla fodera da sotto il tavolo. Daenerys s’irrigidì, ora tutti gli occhi della sala le erano poggiati addosso. Fece comunque segno a Jorah di rilassarsi, poiché aveva la situazione sotto controllo.
Tywin, ottenuta l’attenzione della Targaryen, continuò a parlare. –La vostra presenza qui oggi, è per me e per tutti noi fondamentale. Siamo tutti al corrente degli avvenimenti che hanno colpito la vostra famiglia. E sappiamo anche chiaramente cosa accadde e cosa siamo stati. Voglio dire, non sto dicendo che i Lannister non abbiano avuto parte nel complotto contro la vostra casata, mia Signora. Lungi da me rinnegare il passato!-
Daenerys ascoltava e dentro di sé valutava con attenzione le parole dell’uomo. Non voleva fidarsi di lui, ma neanche mostrarsi contraria ad una tregua tra le due importanti casate.
-Ma,- continuò Tywin, afferrando un calice di vino ed alzandolo in aria –i tempi sono cambiati. E quindi, in nome di Re Joffrey e di tutta la casata Lannister, intendo porgervi le nostre sentite scuse e brindare alla nuova era di pace.-
Daenerys era incerta sul da farsi. Sentiva la pressione addosso mentre Tywin continuava a fissarla in attesa di una risposta. Così, si alzò anch’essa con un calice di vino, decisa a mostrarsi bendisposta.
-Mio Signore, accetto volentieri le vostre scuse. Con questo non ho comunque intenzione di dimenticare il passato. Ma desidero comunicarvi il mio totale consenso alla pace dei sette Regni.-
Jorah la guardò preoccupato, pregandola con lo sguardo di non farlo, ma la regina d’argento aveva già preso la sua decisione. Innalzò il calice di vino, e molti Lord nella sala seguirono il suo esempio.
-Lunga vita a Re Joffrey, che gli Dei nuovi e vecchi lo proteggano, e che possa diventare il Re giusto di cui il popolo ha bisogno.-
Tutti i presenti applaudirono e, una volta che la tensione creatasi si dissolse completamente, i festeggiamenti continuarono tra il buon cibo, le ballate dei menestrelli e gli innumerevoli auguri a re Joffrey.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


Sansa Stark era stufa di starsene lì seduta a guardare la sua famiglia bere e ingozzarsi di ogni pietanza come fosse l’ultimo giorno della loro vita. I discorsi sulle antiche casate che avevano preso piede tra suo padre e altri Lord seduti al loro tavolo la annoiavano. Si spostò di lato sulla sedia, così da poter osservare meglio il suo Re. Joffrey era seduto sul tavolo in fondo con il resto della sua famiglia. Quanto avrebbe voluto che la invitasse ad unirsi a loro! Un giorno sarebbe stata sua moglie, e allora si sarebbe seduta al suo fianco, circondata dagli altri membri della casata reale. Ed invece, eccola lì a sperare con tutta se stessa che il suo amato Re la degnasse almeno di uno sguardo. Al momento Joffrey sembrava più attratto alla corona che aveva in testa, piuttosto che alla sua Lady. Non faceva altro che farsi servire vino e cibo mentre ordinava ai menestrelli di cantare quella o quell’altra canzone. Osservò i Lannister seduti al prestigioso tavolo: Cersei, la madre di Joffrey, era bellissima nel suo lungo vestito rosso e oro. E tutti quei capelli biondi erano così regali! “Quanto sono stati fortunati i suoi tre figli ad ereditare la chioma biondo oro della madre”, pensò Sansa tra sé e sé.
Fu la voce di sua madre Catelyn, la quale stava discutendo con della gente in un lato della sala, a distoglierla dai pensieri.
“Sansa, tesoro, vieni qui. Vorrei presentarti questi gentili Lord.”
La ragazza si alzò in fretta e raggiunse sua madre. La trovò in compagnia di un uomo e di un giovane che dimostrava qualche anno in più di lei.
“Sansa, quest’uomo è Roose Bolton, mentre questo è suo figlio Ramsay.”
I due uomini la salutarono cordialmente baciandole la mano.
“Mia Signora, è un onore fare la sua conoscenza. Mio padre avrebbe dovuto avvisarmi della vostra incantevole bellezza!”
Sansa arrossì al complimento del giovane. “Grazie, mio Lord.”
“Mio figlio Ramsay è di recente divenuto un Bolton a tutti gli effetti.” iniziò a narrare l’uomo al fianco del giovane. “Inizialmente era uno Snow, ma di recente mio figlio si è rivelato un ottimo combattente ed anche uno stratega da non sottovalutare. E così, ho deciso di dargli ciò che si è meritato: un nome. Un vero nome che conti davvero.”
Ramsay ascoltava le parole del padre pieno d’orgoglio. “Ed ora si aspetta che io porti avanti questo nome”, aggiunse il giovane parlando in modo che solo la ragazza potesse sentirlo. Sua madre Catelyn e Roose Bolton stavano già discutendo tra loro, quindi i due giovani rimasero a conversare da soli.
“Hai ragione, da noi figli con un nome importante ci si aspetta sempre di portare avanti la dinastia con qualcuno di altrettanto importante.” le rispose Sansa sorridendo cordialmente. Notò che Ramsay non smetteva di guardarla. Guardava il suo corpo e il suo viso con scrupolo, tanto che si sentì presto a disagio. Lo lasciò fare poiché non voleva apparire maleducata davanti ad un Lord. E poi, sembrava un bel ragazzo, aveva dei bellissimi occhi azzurri.
“Quindi, Lord Bolton...”
Lui la interruppe: “Oh ti prego mia Signora, chiamami Ramsay!”
“Quindi, Ramsay” continuò Sansa “sei già promesso a qualcuna? Qualche Lady, immagino.”
“Oh, no” rispose subito il ragazzo “in realtà ancora no. Mentre tu, mia Signora, sembri piuttosto presa da Re Joffrey. E’ da ancor prima che l’incoronazione iniziasse che non smetti di guardarlo. Beh certo, ora è il Re, ma non mi sembra affatto un uomo alla tua altezza, mia Lady.”
Sansa si sentì sdegnata da quelle parole. Come poteva parlare così del suo Re? Non poté replicare che Ramsay riprese subito a parlare, stavolta con un ghigno sinistro negli occhi.
“Lascia che ti dia un consiglio, Sansa Stark. Evita di gettarti nelle braccia di quel ragazzino viziato. Lui non ti vuole.”
Terrore. Ecco cosa le faceva sentire Ramsay, ora lo aveva capito: quel giovane Lord le incuteva terrore. Quando suo padre lo richiamò per presentarlo a qualche altra nobile casata, Sansa si sentì particolarmente sollevata.



Nel frattempo, Cersei Lannister era seduta al tavolo della sua famiglia mentre sorseggiava vino di tanto in tanto. Era difficile mantenere la calma in mezzo a tutti quei nemici. Se ne fregava dei piani del padre, per lei rimaneva un nemico chiunque non appartenesse alla sua stessa casata. Osservò i propri figli mentre si divertivano, ognuno a modo loro. Il primogenito Joffrey si stava godendo il suo nuovo titolo mentre ascoltava i menestrelli cantare per lui. Tommen era rintanato nell’ultimo posto vicino alle guardie reali mentre tentava di nascondere il suo gatto sulle ginocchia. Myrcella invece, la sua unica figlia, sembrava piuttosto felice di trascorrere del tempo con il suo promesso sposo Tristane Martell. Cersei avrebbe dato la vita per poter annullare quel matrimonio, ma non poteva controbattere i piani politici di Tywin Lannister. Mandò giù un altro sorso di vino, poi con lo sguardo cercò suo fratello Jaime. Era ormai da un po’ che non lo vedeva, e nonostante si sforzò di esaminare ogni capo biondo nella sala, non riusciva a trovarlo. Allora decise di alzarsi e, suo malgrado, di mischiarsi nell’affollata sala per cercarlo. Al suo passaggio, ogni Lord e ogni componente della servitù la salutavano, mentre lei li ignorava continuando a cercare suo fratello. Quando finalmente lo vide, non volle credere ai propri occhi: Jaime era seduto al tavolo degli Stark mentre discuteva animatamente con Robb e il bastardo Jon Snow. Con loro c’era anche una donna, che doveva essere la sposa di Robb. Fece un respiro profondo prima di avvicinarsi a loro.
-Mia Regina!- la salutarono subito gli Stark alzandosi in piedi come forma di rispetto. Anche Jaime si unì al saluto.
-Sedete pure, non era mia intenzione disturbare. Sono venuta soltanto per riprendere mio fratello.- spiegò la Regina Madre mostrando uno dei suoi falsi sorrisi mentre appoggiava una mano sul braccio di Jaime. A quel punto, suo fratello salutò con cortesia gli Stark per poi allontanarsi con sua sorella.
-Sei impazzito Jaime? Cosa stavi facendo?- lo rimproverò non appena erano abbastanza lontani.
-Stavamo solo discutendo. Non l’hai sentito nostro padre prima? Sarà un’epoca di pace senza precedenti questa!- le rispose il fratello con tono fin troppo allegro.
-Jaime, hai bevuto, non è vero?- lo interrogò la sorella guardandolo dritto in faccia. –Sono stati loro scommetto, vogliono farti perdere i sensi e colpirti quando meno te l’aspetti!-
Jaime, in risposta, si mise a ridere. –Dai, Cersei, rilassati! Perché sei così tesa? Robb è un brav’uomo, si è sposato il mese scorso. Sapevi che sua moglie aspetta un figlio?-
A quel punto Cersei s’irritò maggiormente. –Ah, e quindi è di questo che avete parlato? Del felice matrimonio di Robb Stark? Mentre mandavate giù un bicchiere di troppo? Quelli sono gli Stark, Jaime! O te lo sei dimenticato?-
Jaime si fece serio. –Ovvio che non me lo sono dimenticato.-
Nel frattempo tornarono al tavolo della loro famiglia e si sedettero vicini. -Ancora non mi è chiara la ragione per cui nostro padre ha fatto questo.- continuò la donna. -Questi sono i nostri nemici, Jaime!-
Il biondo cavaliere si avvicinò appena per sussurrarle ad un orecchio. –Sai, non dobbiamo rimanere qui per forza, se non lo vogliamo. Possiamo andarcene, non se ne accorgerebbe mai nessuno.- detto ciò, con una mano da sotto il tavolo le accarezzò una gamba.
Cersei spostò subito la mano del fratello dal suo corpo. –Jaime fermo, potrebbero vederci.- lo ammonì, nonostante dentro di sé stesse considerando la proposta.
Un complice gioco di sguardi tra i due e Cersei prese la sua decisione: finì di bere il vino rimasto nel suo calice, per poi alzarsi e dirigersi verso le sue stanze private. Jaime attese qualche minuto per non destare sospetti, poi la seguì. Una volta raggiunta la sorella, serrò la porta e per un bel po’ di tempo i due Lannister si dimenticarono di tutto il resto.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


Era già da un po’ che Re Joffrey veniva intrattenuto dai menestrelli di corte. Ne aveva contati sei che, dall’inizio del banchetto, cercavano di divertirlo. Ai più fortunati di loro spettavano delle monete lanciate dal capriccioso giovane quando gradiva. Altri invece ottenevano soltanto umiliazioni e scherzi poco simpatici da parte sua.
Nel bel mezzo di una petulante canzone in suo onore, re Joffrey decise di non essere più entusiasta di quello spettacolo. Così s’alzo d’improvviso.
-Basta, basta! Non ho più voglia di stare ad ascoltarvi! Toglietevi di torno!- afferrò dal banchetto un frutto qualsiasi e lo lanciò al pover’uomo di fronte a lui che, terrorizzato, scappò in fretta dalla scena. Joffrey prese quindi la parola rivolgendosi a tutti i suoi ospiti.
-Miei Signori, sicuramente sarete stanchi anche voi di ascoltare queste petulanti canzoni. Ora che abbiamo mangiato, brindato e ascoltato della musica, direi che è tempo di un po’ d’azione.-
Tutti i presenti lo ascoltavano curiosi, chiedendosi che cosa l’imprevedibile re avesse in mente.
-Quindi, propongo di fare un gioco in mio onore.- dichiarò osservando la folla.  –E’ un gioco molto semplice. Innanzitutto vorrei ringraziare Lord Baelish per la sua gentile concessione.-
Petyr Baelish, dalle prime file, rispose orgoglioso –E’ sempre un piacere per me servire la corona!-
Joffrey sorrise eccitato per il suo nuovo gioco. -Che entri il dono di Lord Baelish allora, direttamente dal bordello da lui gestito!-
Dato l’ordine, una decina di prostitute in abiti succinti irruppero nella scena con movenze seducenti. Re Joffrey sentì la folla scaldarsi. Qualcuno sussultava, qualcuno gridava allo scandalo, altri ridevano divertiti.
-Miei Signori, state calmi! Non accadrà niente di ciò che immaginate!- li rassicurò prontamente il giovane.  –Quest’oggi ci sarà una sfida, in cui anch’io mi batterò. La servitù munirà me e i miei avversari di arco e frecce. Il gioco consisterà nel centrare queste gentili volontarie. Chi ne centrerà un numero maggiore avrà un premio!-
Nella sala si levarono sussulti increduli, qualcuno rimase sbigottito. Le prostitute entrate in scena si guardarono tra loro terrorizzate. Sapevano quale sarebbe stata la loro sorte, se non avessero avuto abbastanza fortuna.
-Ah, dimenticavo! Ovviamente saremo bendati!- aggiunse il Re mentre dei garzoni portarono arco, frecce e bende.
I Lord e le Lady nella sala continuavano a brontolare. Di certo, per chi non era abituato a convivere con le quotidiane follie del giovane, quello spettacolo risultava decisamente di cattivo gusto.
Suo zio Tyrion Lannister era visibilmente contrariato. Avrebbe voluto fermarlo in quel preciso istante, ma non appena si alzò dalla sedia per intervenire, suo padre Tywin lo fermò immediatamente. –Non ti consiglio di infastidire il tuo nuovo re. Torna al tuo posto.-
Tyrion guardò irritato suo padre, seduto qualche posto più in là del suo. –Perché dovremmo permettergli di essere così crudele come se niente fosse?-
Tywin ignorò del tutto la domanda del figlio sorseggiando del vino. Il folletto, allora, rimase al suo posto. Pensò che anche sua sorella Cersei sarebbe contraria ad uno spettacolo del genere e lo avrebbe fermato. Ma quando alzò lo sguardo per cercarla, non la trovò.
Nel frattempo, Joffrey aveva già impugnato il suo arco, impaziente di usarlo.
-Miei Lord, ho deciso che sceglierò personalmente il mio primo sfidante!- annunciò il giovane re, poi gettò uno sguardo sulla folla cercando il candidato ideale, ma sapeva già chi avrebbe scelto.
-Chi potrei chiamare?- si chiese, fingendosi in dubbio. -Ma certo, Trystane della casa Martell!-
Non appena il giovane di Dorne sentì il suo nome, s’irrigidì.
-Miei Lord, dovete sapere che Trystane è stato promesso sposo a Myrcella Baratheon. E Myrcella è mia sorella, ha sangue reale proprio come me. Quindi, mi chiedevo, il giovane Trystane merita di sposare la sorella del vostro re?- incitò i suoi ospiti i quali, se inizialmente erano diffidenti, ora chiedevano un duello a gran voce.
Doran Martell, il padre di Trystane, cercò di convincere suo figlio minore a rifiutare l’invito per mantenere i buoni contatti che si erano instaurati tra le due casate. Ma Joffrey continuava ad istigarlo: -Dai, dimostra davanti a tutti di essere un uomo e di meritare una moglie reale!-
Myrcella, seduta al fianco del suo innamorato, lo scongiurava: -Non devi farlo, Trystane! Parlerò con mio padre, ci lascerà sposare comunque, non serve che tu lo faccia!-
Ma l’orgoglioso giovane aveva già preso la sua decisione. Si alzò in piedi e guardò il suo avversario dritto in faccia in segno di sfida.
-Mio Re, come ben sapete io sono innamorato di vostra sorella Myrcella. Quindi accetto la sfida, e alla mia vittoria io otterrò il vostro permesso di prenderla in sposa!- Gli ospiti lo acclamarono eccitati per il duello che stava per iniziare.
Joffrey però non si sentì ancora soddisfatto.
-Miei Signori, lascerò che qualcun altro ancora si unisca al duello e che possa avere il privilegio di battersi contro il vincitore del primo scontro! Ovviamente anche il nuovo candidato avrà un ricco premio! Chi si propone?- chiese guardando i suoi ospiti.
Per quanto dilettevole poteva essere assistere a quel genere di spettacolo, nessuno se la sentiva di lanciare frecce su delle donne di bordello soltanto per divertimento. Nessuno, tranne uno.
Ramsay Bolton, da un lato della sala, si alzò in piedi così che tutti potessero vederlo. –Mio Re, per me sarebbe un piacere e un onore potermi battere contro di voi e contro il ragazzo Martell!-
Joffrey lo guardò più che soddisfatto. –Sei Ramsay della casa Bolton, figlio di Roose Bolton! Molto bene, potrai unirti ai giochi! Nel remoto caso in cui otterrai tu la vittoria, quale premio chiederesti al tuo re?- lo interrogò.
Ramsay sorrise beffardo. –Mio Re, chiedo che il premio alla mia vittoria sia la vostra promessa sposa Sansa Stark.-
La ragazza dai capelli rossi, sentito pronunciare il suo nome, si sentì morire. Il suo futuro nella capitale come moglie del re Joffrey, il suo amato re, veniva messo in discussione per un futile gioco. E cosa sarebbe successo se quel giovane che aveva da poche ore conosciuto, quel Ramsay, avesse davvero vinto la sfida? Non volle neanche pensarci. Iniziò ad agitarsi e a tremare, ma sua madre la rassicurò. Con una mano le accarezzava i capelli.
-Vedrai tesoro, andrà tutto bene. Magari il giovane Ramsay Bolton si rivelerà un marito migliore del re Joffrey...- le sussurrò. Sansa allora capì quale fosse la posizione della sua famiglia in merito, e improvvisamente si sentì tradita da tutti. In quel momento voleva piangere, ma trattenne le lacrime poiché il verdetto non era ancora stato pronunciato.
Joffrey rifletté sulla proposta fattagli, e dopo qualche secondo decise di accettare senza mostrare timore alcuno di perdere la sua promessa sposa.
-Lord Ramsay Bolton, il tuo re accoglie la vostra proposta. Sansa Stark potrà essere il vostro premio. Che i giochi inizino!- annunciò senza guardare la giovane in faccia neanche per un secondo.

 
Non appena Joffrey e Trystane furono bendati ed ebbero l’arco ben saldo tra le mani, il gioco iniziò. Le prostitute cominciarono a ballare muovendosi in cerchio a ritmo della musica dei suonatori di corte. Joffrey lanciò subito la sua prima freccia, che colpì il vuoto e cadde rovinosamente a terra. Tra la folla si levarono sussulti di delusione.
Trystane, nonostante avesse diversi anni in meno del giovane re, aveva comunque alle spalle molto più allenamento di tiro con l’arco. Scagliò la sua prima freccia, e dal grido di dolore capì di aver centrato una ragazza. La folla lo applaudì, e in quel momento il giovane di Dorne iniziò a credere di potercela fare. Doveva solo concentrarsi sulla sua amata. Partì presto la sua seconda freccia e la folla già lo acclamava vincitore. Joffrey non gioì affatto quando si rese conto che stava perdendo. Anche la seconda freccia del biondo re cadde a terra senza toccare nessuna donna.
La terza freccia di Trystane fu però decisiva: non appena colpì di nuovo una prostituta, Joffrey andò su tutte le furie. Non avrebbe mai permesso ad un ragazzino di sconfiggerlo ad un gioco creato da lui stesso, specie in un giorno così importante come la sua incoronazione. Irritato, alzò la benda fino a scoprire un occhio. Poi iniziò a lanciare tutte le frecce a sua disposizione, una dopo l’altra. Gli spettatori si concentrarono ora su di lui. In quel modo Joffrey riuscì a centrarle quasi tutte. Quando la maggior parte delle danzatrici furono da lui colpite, il duello terminò. Joffrey fu dichiarato vincitore: i pochi che si accorsero dell’imbroglio non ebbero il coraggio di contraddire il loro re. Così, il giovane si tolse in fretta la benda per godersi i fragorosi applausi in suo onore.
Myrcella corse dal suo principe, pronta a rincuorarlo. “Non importa, sarà come se non fosse mai successo! Noi ci sposeremo comunque!”
Ma Trystane non sembrava affatto crederci. “Mi dispiace, Myrcella, è stata tutta colpa mia!”
La giovane ragazza allora, decisa a chiudere quella spiacevole situazione una volta per tutte, cercò sua madre nella sala. Ne avrebbe parlato con lei e di certo l’avrebbe convinta a non annullare le nozze.

 
Sansa si rallegrò non appena il suo re venne proclamato vincitore della prima sfida. Ora riusciva a credere che avrebbe battuto anche quel Ramsay e che lei sarebbe rimasta la sua promessa sposa. Avrebbe dimenticato per sempre quel giorno e non avrebbe mai permesso a nessuno di mettersi fra loro due ancora una volta.
Il giovane Bolton, raggiunto il centro della sala pronto a sfidare re Joffrey, con lo sguardo cercò Sansa tra la folla e una volta trovata le sorrise beffardo e sicuro di sè. Sansa rabbrividì ed abbassò il capo. Si convinse che presto sarebbe finito tutto.
Anche il secondo duello iniziò, ma stavolta a sfidare il re non c’era un ragazzino insicuro e timoroso di scagliare frecce addosso ad un gruppo di donne. Stavolta c’era Ramsay Bolton, il quale iniziò a colpirle una dopo l’altra senza farsi scrupoli. Sansa notò il ghigno che si formava sul volto del ragazzo ogni volta che una prostituta colpita gridava. Sembrava quasi che si compiacesse di arrecare dolore. Il suo lancio era preciso nonostante la benda agli occhi. Diverse prostitute furono colpite al petto, vicino al cuore, e vennero presto allontanate e scortate dal gran maestro per curare le ferite.
Joffrey ce la stava mettendo tutta e stavolta senza inganni, ma Ramsay era decisamente in vantaggio. Abile e svelto, scoccò una freccia dopo l’altra, finchè non fu chiaro chi fosse il vincitore. Gli spettatori lo acclamarono subito con degli applausi, un menestrello tentò addirittura di comporre al momento una ballata su di lui. Ma i festeggiamenti vennero presto spenti dal re Joffrey.
-Basta, basta! Questo gioco non mi piace più! Lord Ramsay Bolton, prenditi pure la Stark, a me non interessa più! Servitemi del vino, veloce!- comandò alla servitù mentre, sedendosi, cercò di farsi venire in mente qualcos’altro. Decise allora di dare inizio ai balli, così che nessuno potesse più pensare a quella miserabile sconfitta. I suonatori di corte aprirono presto le danze con dell’allegra musica.
Sansa iniziò a tremare non appena Ramsay camminò vittorioso nella sua direzione.
-Sembra proprio che sia tempo di danze. Mi vuole offrire questo ballo, mia Signora?- le chiese porgendole una mano.
Sansa accettò riluttante. Ormai non aveva altra scelta se non accettare il volere del suo re, sia esso di volerla in sposa o di volerla abbandonare nelle mani di quel viscido.


Mentre nella grande sala giovani Lord e Lady si dilettavano a ballare sulle note di una musica molto ritmata, Myrcella Baratheon era alla ricerca di sua madre. Doveva assolutamente parlarle della questione irrisolta e convincerla a lasciarla sposare. “Non sarà di certo mio fratello Joffrey a decidere per me!”, pensò stizzita tra se e se. Dopo aver vagato in ogni angolo del banchetto, la ragazza appurò che sua madre doveva di certo trovarsi nelle sue stanze. “Chissà per quale ragione ha deciso di allontanarsi”, si chiese mentre a passo svelto percorreva quei corridoi che ormai conosceva benissimo. I suoi dubbi furono chiariti non appena, raggiunte le stanze della Regina Madre, sentì la sua inequivocabile voce e subito dopo quella che sembrava essere di... suo zio Jaime?!
Myrcella era matura abbastanza da capire cosa stesse succedendo in quella stanza. Così, girò sui tacchi silenziosa e con la mente annebbiata tornò indietro.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei ***


[Solo una piccola premessa per ringraziare chiunque stia seguendo questa fan fiction o abbia dedicato del tempo per leggerne anche solo un capitolo. Grazie! Vi informo inoltre che saranno nove capitoli in totale! Ecco a voi il sesto.. buona lettura ^^]


Tyrion Lannister fece un respiro di sollievo non appena suo nipote Joffrey pose fine a quell’assurdo gioco per lasciare spazio a delle tranquille e decisamente più consuete danze. Il ragazzino aveva di certo messo in scena tutta la sua sconcertante pazzia in una volta sola. Ora ogni Lord del continente sapeva quale crudele persona si nascondesse dietro Joffrey Baratheon, il loro nuovo re.
Osservò per un po’ i giovani che si stavano dilettando con i passi di danza e non poté fare a meno di pensare che lui non aveva una lady a cui chiedere di ballare insieme. Per un attimo l’idea di proporsi a qualche nobil donna gli attraversò la mente. “Non ci pensare neanche Tyrion, chi vuoi che accetti di ballare con un fottuto nano!”, si ammonì presto nei suoi pensieri.
Dopo aver sorseggiato un abbondante calice di vino, notò un particolare che solo in quel momento risaltava ai suoi occhi: suo padre Tywin sembrava molto impegnato in una conversazione con Roose Bolton. Una lunga conversazione interrotta solo quando suo padre alzava lo sguardo come per controllare qualcuno o qualcosa. I due erano distaccati dal tavolo dei Lannister, e con nessuno nelle vicinanze a cui Tyrion avesse potuto chiedere di origliare per lui. Praticamente al tavolo erano rimasti solo lui e il giovane Tommen, a cui i balli non sembravano interessare particolarmente.
Tyrion decise allora di voler chiedere a suo fratello Jaime cosa Tywin avesse in mente. Jaime era il figlio d’oro, da sempre il suo eletto, sicuramente lui sarebbe stato al corrente dei piani del suo tanto astuto quanto misterioso padre. Ma neanche lui era presente in quel momento. Non vedendolo da nessuna parte nella grande sala, così come sua sorella, Tyrion ebbe una mezza idea di dove potessero trovarsi i due. Li conosceva molto bene il loro fratellino, probabilmente meglio di chiunque altro.
Tra i pochi che avevano deciso di rimanere fuori dai balli c’era anche Jon Snow. Ad un guardiano della notte non sarebbe mai stato concesso di mischiarsi in simili futilità. Se ne stava semplicemente lì seduto da solo. Ogni tanto gettava uno sguardo sui suoi fratellastri, i quali si stavano divertendo sicuramente più di lui. Sembrava inoltre che anch’esso stesse tenendo d’occhio Tywin Lannister. Chiaramente il suo comportamento non destava sospetti soltanto sul folletto. Tyrion allora decise di abbandonare il tavolo reale ed unirsi al corvo.
-Jon Snow, il bastardo di Grande Inverno.- lo salutò sedendosi al suo fianco e riempiendosi un calice qualsiasi con del vino rosso.
-Tyrion Lannister, il folletto.- rispose il ragazzo senza scomporsi.
-Bene, ora che abbiamo chiarito ciò che è noto, possiamo passare ad altro- scherzò il mezz’uomo appoggiandosi con la schiena sulla sedia in una posizione molto rilassata. Jon lo guardò di traverso.
-Non sembri molto contento, corvo. Forse dovresti farti anche tu un bicchiere.-
-No, grazie.- rispose in fretta Jon –Al momento non posso distrarmi.-
-E da cosa? Non ci sono Estranei ad Approdo del Re! Qui ci concentriamo soltanto sul buon vino e sulle belle donne!- affermò Tyrion con orgoglio. Il ragazzo dai capelli corvini, ancora una volta, lo guardò di traverso.
-E pensare che voi corvi alla barriera non avete nessuna delle due cose…- continuò imperterrito il nano –Forse è questo il motivo per cui sembri tanto afflitto!-
A quel punto Jon prese la parola. –Scusami, Tyrion, ma al momento sono concentrato sui Lannister. Mio padre Ned dice che possiamo stare tranquilli e che non c’è niente di cui preoccuparsi, ma io non mi fido dei Lannister. A dire il vero, non so perché ne sto parlando con uno di loro- spiegò il Guardiano della notte, stavolta voltandosi per guardare in faccia il mezz’uomo.
-Ma io non sono come loro, credevo che ormai fosse abbastanza chiaro. Quanti Lannister sono venuti a bere un bicchiere qui con te, eh Jon Snow?-
Il corvo rimase in silenzio.
-So chi stai tenendo d’occhio- continuò Tyrion  –Mio padre Tywin. Sai, ti sembrerà strano, ma quell’uomo desta sospetti anche a me- Il folletto si ricompose e si fece serio tutto d’un tratto.
Jon era indeciso se fidarsi o meno di quel mezz’uomo. Continuò ad osservare i due Lord di casa Lannister e casa Bolton parlare misteriosamente tra di loro ed infine concordare entrambi su di una qualche questione. D’un tratto venne richiamato da suo padre Ned Stark.
-Jon, sai dove possa esser finita Arya? E’ da un po’ che non la vedo- lo interrogò il Lord di casa Stark.
Jon la cercò con lo sguardo ma non la trovò. Si sentì improvvisamente in colpa: se non fosse stato tutto il tempo a domandarsi di cosa stesse parlando Tywin Lannister, di certo ora saprebbe dove poteva essere sua sorella. Sentì il severo sguardo di Ned gravare su di lui.
-Vado a cercarla- rispose in fretta per porre rimedio a quella scomoda situazione.
-Tu, vieni con me- ordinò al folletto seduto al suo fianco.
Tyrion lo guardò confuso. –Io? Sono forse tuo prigioniero ora?-
Jon sbuffò. Quel mezz’uomo aveva sempre voglia di scherzare. –No, mi devi aiutare a cercare Arya. Tu vivi qui, giusto? Di certo conoscerai questo posto meglio di me.-
Tyrion finì in fretta il vino rimasto nel suo calice, poi svogliatamente si alzò e si incamminò per i lunghi corridoi della Fortezza Rossa con Jon Snow al seguito.


Dopo aver esaminato attentamente la veranda esterna e i rigogliosi giardini di Approdo del Re, i due ritornarono all’interno del palazzo. Solo quando decisero di percorrere le alte e strette scale che conducevano agli alloggi privati, videro una porta aperta illuminata dalle candele accese all’interno. Si precipitarono a controllare, e finalmente trovarono la figlia minore di casa Stark.
-Arya, per i sette inferi, avresti dovuto avvertire tuo padre! Ti sta cercando da tempo ormai!- la rimproverò il fratellastro.
Arya rimase rigida in silenzio. Jon capì subito che stava nascondendo qualcosa, così si guardò intorno alla ricerca di un qualche indizio.
-Ragazzina, non che la cosa mi interessi ma questo non è l’alloggio della tua famiglia- si intromise Tyrion, entrando nella stanza.
Arya guardò stravolta prima il nano poi suo fratello –Jon, per quale assurdo motivo ti sei portato dietro un Lannister?! Sei impazzito?!- gli urlò contro. Poi d’un tratto tirò fuori dalla fodera la sua spada Ago e la puntò dritta sulla faccia del mezz’uomo.
–Giuro che se farai la spia a tuo padre stanotte ti verrò a cercare e ti infilerò Ago dritto nella gola mentre dormi!-
Tyrion rimase perplesso dall’improvvisa reazione della ragazza. –Beh, ammetto che l’idea di una morte veloce ed indolore mi attragga, ma non ho intenzione di fare la spia con mio padre.-
Jon sospirò. –Dai Arya, lascialo stare. Mi fido di lui.-
La ragazza continuò a puntare la spada per ancora qualche secondo, infine si decise a mollare la presa sbuffando.
-Di chi è questo alloggio e perché sei qui?- Jon continuò ad incalzare la sorella.
Arya fissava il pavimento in silenzio, così fu Tyrion a rispondere. -Questo è l’alloggio di Lady Daenerys Targaryen.-
 Jon guardò il nano confuso, poi si rivolse nuovamente a sua sorella. –Cosa ci fai nell’alloggio della Targaryen?-
Arya sbuffò di nuovo. –E va bene, te lo dirò! Stavo soltanto osservando-
-E cosa stavi osservando di preciso?- continuò ad indagare Jon sospettoso.
D’un tratto sentirono un verso lamentoso provenire da qualche parte nella stanza, così i due capirono in fretta cosa stesse succedendo. Tyrion raggiunse deciso l’angolo della stanza in cui dei teli coprivano degli oggetti voluminosi. Afferrò un telo e lo tirò su, così i due li videro: sotto i teli erano nascosti i draghi di Daenerys rinchiusi in gabbie. Uno di loro era sveglio e non appena il nano tolse il telo, la creatura si voltò verso di lui rivolgendogli lo stesso verso lamentoso che sentirono poco prima.
Jon e Tyrion rimasero sconvolti per qualche istante: si trattava del loro primo incontro con quella leggendaria creatura.
-Cos’avevi intenzione di fare con quei… draghi?- chiese Jon preoccupato.
-Te l’ho detto, li stavo solo osservando. Non crederai che io sia l’unica qui curiosa di vedere un vero drago!- detto ciò, con passi sicuri si avvicinò alla gabbia del drago dalle squame rossicce e senza esitazioni appoggiò la mano sul suo muso ancora piccolo accarezzandolo con sicurezza. La creatura sembrò gradire quel gesto. Dopo poco però tornò ad accovacciarsi in un angolo della gabbia e chiuse gli occhi, pronto a schiacciare un altro pisolino.
Tyrion e Jon si guardarono, rassicurati che la giovane Stark non fosse finita nei guai.
-Ora direi che possiamo andarcene, Ned ti starà ancora cercando, è piuttosto preoccupato.- esortò Jon.
Arya lo guardò contrariata: -Puoi dire a mio padre che è ora che lui smetta di preoccuparsi per me e che oramai…-
Ma non finì la frase che Tyrion la interruppe: -Sssh! Fate silenzio! Ascoltate!-
Arya si zittì subito ed i tre ascoltarono in silenzio. In sottofondo si udivano delle voci e dei passi resi pesanti da armature che si stavano avvicinando.
Tyrion riconobbe quelle voci: –Sono le guardie dei Lannister-
La giovane Stark, in risposta, tirò fuori di nuovo il suo Ago, pronta ad usarlo.
Anche Jon con una mano impugnò la sua spada, ma non la tirò fuori.
Le guardie continuavano ad avvicinarsi parlando animatamente tra loro. Quando si avvicinarono abbastanza da scorgere le luci delle candele, si zittirono.
-C’è qualcuno!- constatò uno di loro. Si fermarono per un secondo, poi svelti raggiunsero la stanza. Erano tre uomini delle Cappe Dorate.
-Cosa ci fate voi qui?- chiese severo uno di loro.
-Potremmo farvi la stessa domanda- rispose prontamente Tyrion.
I tre cavalieri si voltarono verso il nano, riconoscendone l’autorità. –Mio Signore, dovete andarvene, e anche loro, ordini di vostro padre Tywin Lannister.-
Sentendo il nome dell’uomo, Arya s’irrigidì e punto la sua spada dritta sulle tre Cappe Dorate. -Tywin Lannister? Sapevo stesse tramando qualcosa! Cosa vi ha mandato a fare?-
I tre cavalieri, minacciati, risposero impugnando le loro spade. A quel punto, anche Jon tirò fuori la sua, pronto a difendere la sorella.
-Ve lo ripeto per l’ultima volta, andatevene immediatamente o saremo costretti ad usare la forza!-
A quel punto Tyrion, rimasto dietro i due fratelli armati, fece un passo in avanti.
-Miei Signori, io sono Tyrion Lannister e vi ordino di rimettere a posto le vostre spade.- tentò di convincere le tre guardie, le quali però non sembravano demordere.
Uno di loro lo guardò di traverso. –Mio Signore, noi al momento serviamo Tywin Lannister. E Tywin Lannister ci ha dato degli ordini ben precisi.-
A quel punto, una delle guardie sferrò un colpo verso Arya. Jon si precipitò su di lei e rispose prontamente facendo da scudo con la sua spada. Tyrion, essendo disarmato, si fece indietro mentre Jon continuava a rispondere agli attacchi della prima guardia.
Una seconda guardia passò oltre i due che si stavano scontrando e veloce raggiunse le gabbie dei draghi. Ne afferrò una staccandola da terra e fece per andarsene, quando Tyrion, capite le intenzioni delle tre Cappe Dorate, si guardò intorno alla ricerca di un’arma di fortuna. Tutto ciò che trovò fu un pesante libro su di uno scrittoio. Così, senza esitare, lo afferrò e lo scagliò sulla testa della guardia intenzionata a scappare con il drago. La gabbia cadde così a terra. L’uomo allora si voltò verso il nano pronto a colpirlo con la sua spada. Tyrion venne prontamente difeso da un’abile Arya che riuscì ad infilarsi tra i due e a difendersi dal colpo. La terza guardia si unì allo scontro contro Jon, il quale si trovava ora a fronteggiarne due. Il corvo riuscì con grande abilità ad evitare i colpi da parte di entrambi. Con una mossa strategica si spostò dietro uno di loro e lo colpì di sorpresa alla nuca. Estratta la spada dal corpo, non esitò nel colpire anche l’altra guardia, rimasta di sasso a guardare il compagno soccombere. Nel frattempo, Arya continuava a difendersi dai colpi della terza guardia quando, con un passo di danza appreso alle lezioni che frequentava, riuscì a confondere l’uomo il quale cadde rovinosamente a terra. Arya si precipitò sul suo massiccio corpo e con un’abile mossa gli tagliò la gola.
Quando nella stanza cadde il silenzio e i tre corpi giacevano agonizzanti sul pavimento in enormi pozze di sangue, Jon, Arya e Tyrion si accordarono con uno sguardo e si diedero alla fuga.

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Capitolo 7
*** Capitolo sette ***


Mentre nella grande sala al pian terreno i festeggiamenti continuavano allegramente, Jaime e Cersei erano chiusi in una delle torri più alte della fortezza, la stanza della Regina Madre. Quando Jaime passava del tempo con sua sorella come era solito fare, non era raro che perdesse completamente il senso del tempo. Entrambi erano ancora distesi sul letto di piume, esausti, quando l’uomo si chiese se fossero passati minuti o ore da quando decisero di andarsene.
L’ansia che qualcuno potesse iniziare a sospettare della loro lunga assenza si stava pian piano insinuando dentro di lui, quando Cersei decise d’improvviso di non averne abbastanza. Tornò a baciarlo mentre avvicinava il suo corpo a quello di suo fratello Jaime.
-Tu non hai affatto timore che ci scoprano!- constatò l’uomo, lasciando che sua sorella lo baciasse sulle labbra e poi sul resto del corpo, scendendo.
-Nessuno ci scoprirà- rispose Cersei in un fil di voce, ormai travolta dalla passione. –Se ci tengono alla propria vita, non dovranno mai scoprirlo-
Jaime allora si lasciò trascinare. Prese il controllo e decise di baciarla lui stavolta, abbracciando con calore quelle femminili forme, quando un rumore sordo lo bloccò d’improvviso.
-Cos’è stato?- chiese in un sussurro.
Cersei lo ignorò tirandolo a sé. Dopo pochi istanti il rumore si ripetè, stavolta più forte e Jaime si staccò definitivamente da lei, guardandosi intorno sospettoso.
La donna dai lunghi capelli oro s’irritò per quel comportamento. Sbuffò esasperata, poi alzandosi si allontanò per andare a riempirsi un calice di vino.
Jaime, nel frattempo, si rivestì in fretta deciso ad andare a controllare cosa fosse successo, lasciando Cersei sola nella sua collera.
Era convinto che quel rumore provenisse dal piano di sotto, così svelto scese le scale e svoltò. Nel lungo e buio corridoio, una sola stanza spiccava ai suoi occhi: quella con la porta aperta e le luci delle candele accese. Non appena la raggiunse, si bloccò. Vide le tre guardie reali stramazzate a terra in pozze di sangue ancora caldo. Jaime riconobbe quegli uomini, li conosceva bene. Constatò in fretta il loro effettivo decesso, poi si guardò intorno per capire le dinamiche dello scontro avvenuto di certo pochi istanti prima.
 Sapeva che quella stanza era momentaneamente riservata a qualcuno dei tanti ospiti, quindi Jaime pensò che in quella vicenda c’entrasse chiunque alloggiasse lì dentro. E chiunque esso fosse, aveva attaccato le guardie reali. Un solo pensiero gli balenò per la testa: “Joffrey non è al sicuro!”. Così, travolto da un senso di protezione verso il giovane re e suo figlio, tornò correndo al piano superiore.

 
Quando piombò nella stanza di sua sorella, Cersei era già rivestita. Era seduta alla sua elegante toeletta intenta a ricomporsi la particolare acconciatura. Sentendo il fratello arrivare, si voltò per chiedergli cosa avesse scoperto, ma capì subito che qualcosa non andava dal suo sguardo.
-Hanno attaccato le guardie reali! Dobbiamo avvertire nostro padre, Joffrey potrebbe essere in pericolo!- spiegò Jaime, lasciando trasparire la sua preoccupazione.
Cersei, non appena apprese la notizia, scattò in piedi con un’espressione addolorata in volto.
-Joffrey, dov’è? Dobbiamo proteggerlo! Devo proteggere mio figlio!- uscì in fretta dalla stanza mentre ancora pronunciava quelle parole. Jaime le corse dietro, entrambi con il cuore in gola al pensiero che qualcuno stesse minacciando l’incolumità della loro famiglia.

 
Raggiunsero la grande sala principale dove si stavano ancora tenendo i festeggiamenti. I due fratelli tirarono un respiro di sollievo quando videro che la situazione, almeno apparentemente, sembrava normale. Jaime si fece avanti:
-Parlerò io con nostro padre. Tu va’ da Joffrey, e tieni d’occhio anche Tommen e Myrcella-
Cersei annuì, poi a grandi passi raggiunse suo figlio e rimase al suo fianco protettiva. Ringraziò mentalmente i Sette Dei che non gli fosse successo nulla.
Jaime, invece, cercò suo padre e lo trovò seduto con i Bolton impegnato a brindare. Lo raggiunse in fretta.
-Padre, mi dispiace disturbarti, ma devo parlarti- esordì lasciandogli capire le sue intenzioni di parlare da soli, in privato. Guardò di traverso gli altri uomini seduti con lui: per quel che ne sapeva, sarebbero potuti essere stati loro ad aver sferrato l’attacco.
Tywin lo guardò, sorpreso per l’agitazione del figlio –Possiamo parlare qui, ora- dichiarò senza scomporsi.
Jaime era visibilmente contrariato, ma alla fine decise di parlare comunque: -Tre guardie reali sono morte, ci hanno attaccato. Non so chi sia stato ma cercherò di scoprirlo- gli promise.
La reazione che ebbe suo padre sbalordì Jaime. In realtà, l’uomo non ebbe reazione alcuna. Si scambio un fugace sguardo con Roose Bolton poi, sempre mantenendo il suo temperamento,asserì: -Impossibile, nessuno ci ha attaccato.-
Jaime, a quel punto, era totalmente confuso. Suo padre lo capì: come poteva nascondere qualcosa a Tywin Lannister?
L’uomo lo guardò severo, poi continuò a parlare: -Jaime, sei il mio primo figlio. Da te ho avuto grandi aspettative fin dal momento in cui venisti al mondo. Ora guardati bene intorno: cosa vedi?- Jaime rimase in silenzio, perso nelle sue enigmatiche parole.  –Fa’ il tuo dovere e non deludere la tua famiglia.- concluse infine come per volerlo liquidare.
Jaime rimase immobile a fissarlo per qualche secondo, poi si allontanò. Tutto ciò che capì fu che Tywin aveva un piano in mente, e che gli aveva espressamente chiesto di non ostacolarlo. Il biondo Lannister fu pervaso da un senso di inadeguatezza: perché, se era il suo figlio prediletto, non lo riteneva comunque abbastanza da confidargli i suoi piani? Perché non avrebbe potuto dargli una mano? Da quando suo padre non credeva più in lui? Quei dubbi gli pesavano dentro come macigni.
Deluso da ciò che ottenne, tornò al tavolo della famiglia reale. Seduto da lassù, notò qualcosa che doveva essergli sfuggito fino a quel momento: le Cappe Dorate erano nella grande sala. Fiancheggiavano le pareti, a distanza di circa cinque metri una dall’altra, arrivando a costeggiare l’intera stanza. Inizialmente, Jaime pensò che si trattasse di qualche forma di difesa del Re, nel caso qualcuno decidesse di attaccarlo. Ma ogni dubbio che aveva accumulato fino al quel momento svanì, quando i suonatori di corte cominciarono ad eseguire le note di una canzone che conosceva molto bene: le piogge di Castamere. Quello doveva essere un chiaro avvertimento verso qualcuno. Jaime allora capì: non erano i Lannister quelli ad essere in pericolo. Anzi, la sua casata stava per sferrare il colpo.
Tywin aveva intenzione di attaccare i suoi nemici nel momento di festa, quando loro meno se lo aspettavano. A quel punto Jaime era convinto di una cosa soltanto: “Mio padre è un codardo. E io non voglio essere parte di tutto ciò.”
Così, si alzò e camminò dritto verso quelli che dovevano essere i loro nemici: aveva già preso la sua decisione.
Non appena fu tra gli Stark, la seconda casata più potente del continente occidentale oltre che protettori di vaste terre del Nord, andò dritto da Ned e sua moglie Catelyn.
-Tywin Lannister ha intenzione di attaccarvi. Dovete essere pronti.- dichiarò, saltando ogni formale convenevole, mente una piccola parte dentro di lui gli sussurrava “traditore”.
Catelyn, a quel punto, si agitò visibilmente: -Ned, non abbiamo trovato Arya, e Jon non è di ritorno. Potrebbero essere in pericolo!-
Suo marito rimase perplesso. –Perché tu sei qui?- chiese guardando Jaime con diffidenza.
Il biondo Lannister evitò di rispondere, probabilmente non lo sapeva neanche lui.
-Fate attenzione alle Cappe Dorate, vi stanno circondando- asserì, guardandosi intorno sospettoso.
Ned Stark era sul punto di replicare, deciso a non credere alle parole di Jaime, quando nella sala irruppero due figure: erano Arya e Jon, seguiti poco dopo da Tyrion.
I due fratelli raggiunsero in fretta la loro famiglia ancora ansimanti. Ned e Catelyn  notarono preoccupati le loro vesti macchiate di sangue.
-Ci hanno attaccato!- spiegò in tutta fretta Jon con voce trafelata, mentre Arya annuiva dietro di lui.
Solo allora Ned diede credito alle parole di Jaime che, a quanto pareva, era stato sincero con loro.
-Dobbiamo prepararci a difenderci, potrebbero attaccare di nuovo da un momento all’altro- dichiarò infine il Lord della casata Stark, indeciso su come muoversi in quello spazio stretto.
Allora Jon prese subito la parola: -In realtà, padre, sono convinto che i Lannister non stiano cospirando contro di noi- asserì il giovane. Suo padre e sua madre lo guardarono senza capire.
Il folletto, nel frattempo, si fece avanti e andò dritto da suo fratello Jaime.
-Cosa ci fai tu qui?- gli chiese, confuso di vederlo con Ned Stark.
-Potrei chiederti la stessa cosa- rispose il fratello indicando con lo sguardo i due giovani con cui Tyrion era tornato. –In ogni caso, cosa ha in mente nostro padre? Avete scoperto qualcosa?- domandò infine andando dritto al punto cruciale.
Tyrion sentì addosso gli occhi di suo fratello e di Ned e Catelyn, i quali attendevano ansiosi quella risposta. Il folletto fece per parlare e raccontare del tentativo da parte dei Lannister di privare Daenerys dei suoi draghi, quando un acuto urlo di dolore attirò l’attenzione di ogni persona presente nella sala. Si voltarono tutti in contemporanea verso l’angolo da cui quello straziante verso proveniva: l’ultima Targaryen era stata colpita in pieno petto da una freccia. 

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Capitolo 8
*** Capitolo otto ***


[ottavo e penultimo capitolo.. buona lettura!]


Nella grande sala, per un secondo, cadde un silenzio tombale. Solo quando i presenti realizzarono cosa fosse accaduto, si diffuse il panico generale: qualcuno urlava resosi conto del pericolo, qualcuno invocava la protezione degli Dei, qualcuno fuggì.
Jorah si gettò subito sul corpo steso a terra della sua Regina, deciso a toglierle quella freccia dal petto mentre cercava di mantenere il sangue freddo.
Daario si guardò intorno furioso cercando di capire chi avesse sferrato quel colpo fatale.
-Attaccare di nascosto? Complimenti, vigliacchi! Chi di voi è stato?- iniziò ad urlare, poi tirò fuori la sua spada pronto a colpire brutalmente chiunque poteva essere il colpevole.
Gli Stark erano rimasti di sasso, nessuno si sarebbe aspettato quella mossa. Talisa, moglie di Robb, fu l’unica a correre verso la ragazza ferita in mezzo a tante figure che si allontanavano o, peggio, cercavano di scappare.
-Vi aiuto io, mio Signore! So come fare!- esclamò avvicinandosi a Jorah e spingendolo da parte, intenzionata ad agire in fretta.
Suo marito Robb la seguì senza pensarci due volte, temendo potesse finire al centro dello scontro. Quando vide che l’uomo sembrava piuttosto diffidente nel lasciare la sua Khaleesi nelle mani di quella donna, lo rassicurò subito:-Puoi fidarti, sa quel che fa!-. Allora Jorah acconsentì, con il respiro mozzato in gola, a farle toccare la donna che serviva e per cui viveva. Quando quelle mani con fare esperto estrassero una freccia dorata, capì subito chi fosse il loro nemico.
Si alzò in piedi e, senza pensarci due volte, estrasse la spada ed iniziò la folle rincorsa intenzionato a colpire senza pietà: il Re era il suo obiettivo.
Cersei, non appena si accorse dell’imminente pericolo, urlò esasperata: -Proteggete il vostro Re! Cosa aspettate!-
Diverse guardie reali eseguirono l’ordine gettandosi in mezzo, così da formare uno scudo di protezione e difendere Joffrey. Anch’essi sfoggiarono le loro spade dando inizio ad uno scontro corpo a corpo contro l’uomo che si era avventato sulla famiglia reale. Daario corse subito ad aiutare il compagno che si ritrovò a battersi contro cinque o sei guardie dei Lannister.
Joffrey rimase interdetto: -Che cosa vogliono? Non ho dato io l’ordine di attaccare!-
Cersei, timorosa, si strinse a suo figlio con fare protettivo: -Devi andartene! Va’, scappa! Qui è pericoloso per te!- lo esortò, mentre con lo sguardo cercò Jaime, che in quel momento era lontano da lei.
Joffrey, con una scrollata di spalle, si tolse di torno la madre. –Guardie, portatemi le teste di questi ignobili ribelli che hanno tentato di attaccarmi!-
Le Cappe Dorate allora si scagliarono ancor più ferocemente sui protettori di Daenerys, i quali non erano affatto intenzionati a demordere. Lo scontro si fece sempre più brutale. Daario venne ferito al volto e il sangue caldo gli colò su di un occhio compromettendone la vista. Una guardia perse l’elmo e si ritrovò la spada di uno dei suoi avversari direttamente conficcata nella nuca, e dovette quindi ritirarsi. Il sangue ormai aveva macchiato quei corpi mentre se le davano di santa ragione, generando ancor più panico tra le urla dei presenti.
Jaime, che finora era rimasto interdetto, decise che era il momento di intervenire: quei due se la stavano prendendo con il nemico sbagliato, ed inoltre se avessero avuto la meglio di certo il loro prossimo obiettivo sarebbe stato Joffrey. Il biondo Lannister però non voleva attaccare i fedeli compagni di Daenerys, lasciando così credere a suo padre di voler combattere per la sua causa. Questa titubanza lo innervosì molto, sapeva che doveva fare qualcosa e che il tempo scorreva.
Tyrion, al suo fianco, inveì contro di lui: -Jaime, fa’ qualcosa!- lo pregò disperato senza staccare gli occhi da quel sanguinoso duello, temendo il peggio.
Nel frattempo, nonostante le numerose contusioni e ferite aperte, Jorah e Daario riuscirono ad avere la meglio sulle Cappe Dorate, spinti dal forte desiderio di vendicare la loro amata Regina, mentre era ancora a terra a combattere tra la vita e la morte.
Cersei allora, in un impeto di protezione materna, ordinò con voce disperata alle sue uniche guardie rimaste a proteggerla di prendere suo figlio e, contro il volere del giovane Re, di rinchiuderlo nelle sue stanze. Joffrey tentò di replicare, ma venne staccato da terra e in un attimo sparì dietro le massicce armature delle Cappe Dorate. Ora che suo figlio era in salvo, la disperazione sembrò quasi scomparire dal volto della Regina Madre.
Ma non ebbe modo di tirare un respiro di sollievo che si sentì strattonata per un braccio e, in un attimo, si ritrovò stretta nella morsa del furioso Daario mentre la pungente spada ancora insanguinata dell’uomo era tesa a pochi millimetri dal suo collo bianco, pronta a venir premuta contro la sua gola.
Jaime assistette a quella scena che, nella sua mente, sembrava scorrere al rallentatore, come se stesse vivendo un incubo. Da una parte il suo severo padre che, dall’alto della sua posizione, lo osservava e lo giudicava. Ma dall’altra parte, proprio davanti a lui, lo sguardo di sua sorella Cersei che, avvertendo l’imminente pericolo a pochi millimetri dal suo corpo, trovò disperato quello del fratello. Jaime sentì la sua silenziosa richiesta di aiuto e in quel preciso istante prese la sua decisione.


Estrasse la sua nuova spada in acciaio di Valyria e senza esitare si fece avanti pronto a trarre in salvo sua sorella.
-Lasciala andare!- gridò raggiungendo il luogo dello scontro.
Jorah, sbarazzatosi oramai delle guardie reali, puntò stavolta la sua spada contro quella di Jaime.
-Voi avete ferito la nostra regina Daenerys Targaryen! Voi Lannister siete solo dei codardi assassini! Dimmi, per quale motivo dovremmo lasciarvi ancora in vita?- gli urlò contro con una punta di disperazione nel tono di voce.
-Noi non c’entriamo niente in questa faccenda, non io e mia sorella. Per favore, lasciatela andare.- spiegò Jaime tentando di convincerli. Cercava di mantenere la calma sapendo che cosa un solo passo falso avrebbe causato, ma lo sguardo terrorizzato di Cersei gli rendeva tutto molto difficile.
-Jaime ti prego…- sussurrò la donna con la voce rotta in gola. Allora Daario la strinse ancora più forte facendole del male.
Jorah, accecato dalla rabbia, non volle più stare a sentire quell’uomo che giudicava un assassino: in un secondo impugnò la spada più saldamente e sferrò l’attacco. Jaime, il quale non aveva intenzione di schierarsi contro di loro, dovette comunque difendersi dai colpi. Due, tre, quattro fendenti pieni di tutto il rancore dell’uomo, a distanza di pochi secondi uno dall’altro. Ma la spada di Jaime era di un acciaio molto più resistente, il migliore sul mercato, e nel respingere l’ultimo colpo la spada di Jorah venne spinta lontano e cadde a terra. L’uomo rimase di sasso, arrancando un passo indietro. Jaime allora puntò la spada sull’altro uomo. Daario rimase imperterrito.
-Jaime Lannister, posa a terra quella spada o ucciderò tua sorella!- gli urlò pronto a spingere la lama e privare la Regina Madre della sua vita.
Ma Jaime non gli diede ascolto, rimase immobile continuando a stringere in aria la sua spada. Cersei lo guardò scongiurandolo di gettarla, così che potesse essere liberata.
Per qualche secondo che sembrò eterno i tre rimasero immobili. Chiunque nella sala rimase con il fiato sospeso, avvertendo la tensione che si era generata.
Improvvisamente Jaime, con una tanto abile quanto inaspettata mossa, spostò la lama puntandola da un’altra parte. Tutti gli sguardi si mossero seguendo quella traiettoria nell’aria: la spada era ora puntata contro Tywin Lannister. Esclamazioni di stupore si levarono nella sala.
Tywin guardò suo figlio senza scomporsi troppo. –Jaime, cosa stai facendo? Posa quella spada.- lo esortò.
Ma Jaime era sicuro di sé e di quella sua mossa. -Ora basta, padre, fine dei giochi. Voglio che tutti sappiano.- pronunciò quelle parole con decisione, sapeva che quella era la cosa giusta da fare. -Avanti, dì come stanno le cose davanti a tutti: dì che hai organizzato tu tutto questo. Dì di aver ordinato tu di colpire Daenerys. Avanti!-
Jorah e Daario erano confusi da quel gesto. Guardarono prima il padre, poi il figlio cercando di capire come stessero realmente le cose.
Tywin scrutò negli occhi verdi di Jaime cercando di convincerlo a cambiare idea. -Jaime, tu sei mio figlio. Non puoi schierarti contro tuo padre.- affermò con convinzione.
Jaime sostenne il suo sguardo, concentrato sul suo obiettivo. –Sì, sei mio padre. Ma questo non mi desterà dal volerti uccidere.- Dopo aver pronunciato quelle parole, Jaime potè distinguere chiaramente tra i sussulti dietro le sue spalle quelli di suo fratello e sua sorella. –Io non sono parte dei tuoi meschini piani. Avresti dovuto considerarlo prima. Ora confessa di essere il responsabile. Nessun’altro pagherà per le tue colpe.-
Tywin Lannister rimase in silenzio, senza dissentire le parole di suo figlio. Questo convinse Daario ad allentare la presa, così che Cersei potè liberarsi. Si allontanò comunque di un solo passo, troppo scossa da quella scena per fuggire.
-I Lannister pagano sempre i loro debiti.- aggiunse infine Jaime, deciso più che mai a colpire suo padre.
L’uomo era pronto a sferrare il colpo, quando qualcosa lo fermò.
Un verso selvaggio e inumano venne sentito dapprima da pochi, poi da chiunque. I Lord, con il cuore in gola, iniziarono a chiedersi cosa quel latrato potesse essere. Improvvisamente, dalla scale che davano ai piani superiori cadde rotolando rovinosamente il corpo completamente carbonizzato di quella che doveva essere una guardia reale. Il silenzio denso di paura e terrore venne rotto quando quel verso bestiale si sentì di nuovo, stavolta così chiaramente che qualcuno iniziò a balbettare il nome di quella bestia.
Ed ecco che quella figura alata iniziò ad intravvedersi fino a che non irruppe nella scena, seguita dai suoi due simili, seminando il panico generale.
I tre draghi, dopo aver sorvolato la stanza, si precipitarono sui resti di quel corpo martoriato ed iniziarono selvaggiamente a dividerselo.
 Daenerys, che finora era rimasta a terra in stato confusionale a causa della profonda ferita al petto, spalancò gli occhi nel riconoscere le sue creature.
-Drogon, Rhaegal, Viserion!- li nominò con un filo di voce. La vista dei suoi draghi la aiutò ad acquistare un po’ di lucidità. Si alzò sui gomiti e Talisa, la quale era rimasta al suo fianco per soccorrerla in quella dolorosa fase, la sostenne per permetterle di alzarsi con la schiena. In quella posizione la Khaleesi riuscì a distinguere più chiaramente le figure davanti a lei.
Li chiamò di nuovo, stavolta con più forza: -Drogon, vieni qui! Rhaegal e Viserion, anche voi, vi prego!-
I tre draghi smisero di consumare quel macabro banchetto per alzare il muso verso la loro madre. Allora i tre iniziarono una specie di corsa verso la donna d’argento, sbattendo uno contro l’altro nel tentativo di superarsi a vicenda. Quando la raggiunsero, Daenerys li accarezzò uno per uno. I presenti in sala sembrarono un po’ più tranquillizzati da quella scena, ma nessuno era abituato alla vista di ben tre draghi.
Nonostante l’incommensurabile affetto che Daenerys mostrò verso quelli che chiamava i suoi figli, delle dolorose fitte al petto le provocarono violenti spasmi, costringendola a concentrarsi sulla situazione in cui riversava. Dimenticò per un attimo i suoi draghi per rivolgere lo sguardo verso tutti i presenti, in particolare verso coloro che credeva fossero i suoi assassini.
Parlò a fatica ma con decisione: -Ascoltatemi bene, tutti voi, poiché queste potrebbero essere le mie ultime parole. Il vostro unico obiettivo, a quanto pare, era quello di farmi fuori.- fece una breve pausa per riprendere le energie, poi continuò: –Non sprecherò quindi i miei deboli respiri per dirvi cosa penso di voi. Dirò soltanto che se non sarà la legittima erede a sedere sul trono di spade, allora...- si fermò di nuovo per osservare tutti quei compassionevoli volti che l’ascoltavano. -…allora, non sarà nessun’altro-
Quelle parole risuonarono come una condanna nel silenzio generale. Daenerys allora, oramai esausta, si rivolse ai suoi draghi. Gridò con tutte le forze rimaste un’unica parola, ripetendola una seconda volta per assicurarsi che le sue creature la sentissero, per poi cadere a terra stremata:
-Dracarys!-.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove ***


[Ed eccoci qui all’ultimo capitolo di questa fan fiction! Innanzitutto vorrei ringraziare chiunque abbia seguito questa storia, sia dall’inizio che non. Grazie di cuore a tutti voi! Se in futuro sarò nuovamente ispirata, potrei scrivere qualcos’altro.. per ora grazie per avermi seguita fin qui! Buona lettura e a presto! ^^
Piccola pubblicità: se siete fan della coppia Jaime/Cersei, ho scritto una fan fiction incentrata esclusivamente su di loro, basta entrare nel mio profilo e la trovate. Grazie di nuovo!]



Non appena Daenerys pronunciò quella parola, i tre draghi si alzarono in aria volando in circolo. Jorah e Daario erano gli unici presenti a conoscere le disastrose conseguenze che quella decisione della Regina d’argento avrebbe inesorabilmente portato. Ma nonostante ciò non protestarono, accettando silenziosamente il loro destino. La Madre dei Draghi, la donna che entrambi amavano e a cui avevano deciso di dedicare interamente se stessi, non sarebbe sopravvissuta a quella ferita mortale. E cosa poteva essere la loro vita dopo la sua tanto crudele quanto ingiusta morte? Jorah e Daario preferivano di gran lunga morire con lei piuttosto che vivere senza. Si guardarono negli occhi in modo eloquente, entrambi dolorosamente giunti alla stessa conclusione. Infine s’avvicinarono alla loro Regina, decisi a rimanerle al fianco per l’eternità.
Drogon fu il primo dei tre draghi che, all’ordine della Targaryen, spalancò le sue fauci, non ancora del tutto sviluppate ma già letali. Un’unica fiamma fuoriuscita dalla creatura fu sufficiente per dare fuoco a gran parte della sala della Fortezza Rossa. Le famiglie che ne rimasero vittime urlarono in maniera disumana. Gli altri si precipitarono, urlando terrorizzati a loro volta, verso le uscite di quell’enorme palazzo. Viserion e Rhaegal seguirono l’esempio del fratello, completando il lavoro che il drago dalle squame rossicce aveva iniziato: dar fuoco a quel luogo fino a raderlo al suolo.



Poco prima Jaime, non appena intuì ciò che stava per succedere, poté sentire il suo cuore quasi esplodergli nel petto. Sapeva che in quel momento non doveva cedere all’ansia di non farcela e sarebbe così riuscito a schivare il pericolo incombente. Doveva a tutti i costi proteggere se stesso e quelle poche, uniche persone che avesse mai amato.
Scattò verso Cersei come in un movimento involontario, la sua naturale reazione all’imminente pericolo. L’afferrò saldamente per un polso temendo che, nella confusione generale che di lì a poco sarebbe scoppiata, quell’esile braccio sarebbe potuto scivolare via e le fiamme l’avessero divorata.
Cersei si aggrappò al braccio di suo fratello e lo seguì senza pensarci due volte.
-Jaime, i nostri figli!- urlò disperata mentre con lo sguardo cercava i due ragazzi. Cersei in cuor suo sapeva che senza di loro non sarebbe mai scappata da nessuna parte.
 Suo fratello ricordava bene dove si trovasse Tommen prima che scoppiasse il finimondo. Così, i due iniziarono l’affannosa corsa contro il tempo. Jaime, non appena riuscì a distinguere la sagoma di suo figlio minore dietro una scura nube di fumo, corse nella sua direzione.
Il ragazzino era ancora seduto lì dove era rimasto tutto il tempo, mentre intorno a lui ogni cosa iniziava a prendere fuoco. Sul suo viso si poteva leggere facilmente la paura che provava in quel momento. Si stava guardando disperatamente intorno nel tentativo di intravvedere qualcuno della sua famiglia. Quando, finalmente, riuscì a vedere sua madre corrergli incontro, proprio dietro a suo zio, la raggiunse mentre cercava in ogni modo di trattenere le lacrime.
Cersei lo strinse a sé. -Tommen! Grazie al cielo! Tutto bene?- gli chiese prontamente accogliendolo tra le braccia, la voce rotta in gola. La donna ricevette in risposta un cauto movimento della testa, essendo il ragazzo troppo scosso per parlare.
-Dobbiamo trovare Myrcella e andarcene immediatamente!- dichiarò Jaime mentre nella sua mente scongiurava ognuno dei Sette Dei affinché fossero tutti usciti vivi da quella situazione. Nel frattempo, il fumo rese l’atmosfera insostenibile e le fiamme sprigionate dalle creature in aria sempre più alte ed estese. Tommen tossì, poi alzò una mano per indicare un punto lontano: -Era laggiù, l’ho vista poco fa!- esclamò.
Jaime allora proseguì nella direzione indicatagli, immergendosi nell’oscura nube, mentre Cersei e suo figlio lo seguirono.
Myrcella comparì presto dinnanzi a loro. La ragazza aveva perso di vista il suo promesso sposo Trystane, e non appena intravide Jaime e sua madre, corse da loro sentendosi improvvisamente al riparo. In quell’istante, un pezzo del soffitto venne giù cadendo rumorosamente nell’esatta posizione dove la giovane ragazza si trovava poco prima di spostarsi, generando altre urla di panico.
Cersei, tenendo i suoi due figli per le braccia, tirò un sospiro di sollievo ringraziando tutti i Sette Dei che fossero ancora vivi.
-Dobbiamo andarcene in fretta!- asserì Jaime mentre cercava insistentemente una via di fuga. D’un tratto si ricordò di un passaggio segreto della Fortezza che, in breve tempo, avrebbe permesso loro di essere fuori da quelle mura.
-Seguitemi, passeremo da quest’altro lato!- guardò la sua famiglia, cercando di infondere coraggio a quei ragazzini impauriti.
-Jaime, per i Sette Inferi, dobbiamo salvare Joffrey!- gli rispose sua sorella gridando isterica, preoccupata al pensiero che il suo primo figlio potesse essere in pericolo.
Jaime non ebbe modo di risponderle che parte del soffitto venne giù, consentendo alle fiamme di innalzarsi maggiormente. Le scale ai piani superiori, in quel momento, vennero completamente invase dalle fiamme.
-Non c’è tempo Cersei, non ce la faremo mai!- Jaime le rispose notando negli occhi della sorella la dolorosa reazione che quelle parole scaturirono. Allora s’avvicinò a lei prendendola per mano. –Dobbiamo farlo per loro, per i nostri figli. Andiamocene e salviamo almeno la loro vita.- le sussurrò per infonderle coraggio.
Cersei, a quelle parole, annuì appena. Solo in quel momento si rese conto di quanto potesse essere forte la leonessa che era in lei. Così, i quattro Lannister ripresero la corsa verso l’uscita, mentre il pavimento che si lasciavano dietro diveniva fuoco.  



Nel frattempo, nell’altra parte della stanza invasa dalle fiamme Tyrion, grazie alla sue dimensioni, riuscì ad infilarsi tra i vari Lord e le Lady che disperatamente cercavano di uscire da quell’inferno. Quando però parte del soffitto venne giù tra le urla di chi si trovava proprio lì sotto, decise di tornare indietro per poter aiutare chi fosse in pericolo. Sapeva che quel gesto gli sarebbe potuto costare la vita, ma la sua naturale indole altruista, in quel momento, prese il sopravvento su di lui. Corse come meglio poteva schivando le fiamme, quando s’imbatté in una fanciulla caduta a terra nel tentativo di scappare. S’avvicinò porgendole una mano, e subito la riconobbe: era Sansa Stark. Il suo viso e i suoi capelli rossi erano sporchi della polvere dei mattoni caduti a pochi passi, ma Tyrion sapeva fosse lei.
-Mia Signora, venga con me!- le propose il folletto. Quegli occhi chiari inondati dalle lacrime lo scrutarono. La ragazza sembrò piuttosto diffidente.
-Avanti, Sansa, se rimani qui le fiamme ti raggiungeranno!- la spronò allora, stavolta quasi gridandole.
Non ricevendo risposta alcuna, decise di riprovare usando un tono più gentile, temendo di averla spaventata. –Cosa fai qui da sola? Ti sei ferita?- Notò che teneva una mano appoggiata ad una caviglia.
-Sono caduta, mi sono fatta male- si decise infine a parlare la ragazza con la voce rotta dalle lacrime.
Tyrion avrebbe voluto aiutarla con modi decisamente più garbati, ma non avevano molto altro tempo a disposizione.
-Sansa, devi alzarti e seguirmi immediatamente!- Senza attendere il suo consenso, la prese per mano con decisione cercando di aiutarla ad alzarsi.
Sansa, inizialmente, era diffidente: per quale motivo il nano dei Lannister avrebbe mai voluto aiutarla? Ma era anche consapevole che, rimanendo lì ad aspettare che qualcun altro la venisse a salvare, sarebbe stato un suicidio. Rifletté in una manciata di secondi, per poi concludere che sarebbe stato meglio non opporre resistenza. Con una spinta riuscì ad alzarsi in piedi e, nonostante il forte dolore alla caviglia destra, si trascinò come meglio poteva dietro quel folletto.
-Dov’è la tua famiglia?- le chiese Tyrion mentre le faceva strada.
-Non lo so. Fino a poco fa ero in compagnia di Lord Ramsay, il figlio di Roose Bolton, ma lui e suo padre sono fuggiti e mi hanno lasciata sola- nel raccontare quei momenti pieni di panico, gli occhi di Sansa si riempirono nuovamente di lacrime.
–Mi dispiace molto che ti abbiano abbandonata, Sansa- ammise il folletto, sentendo la delusione che quella ragazza provava nei confronti dei giovani uomini a cui veniva promessa sposa.
-Vedrai, una volta uscita da quest’inferno saprai vendicarti per ciò che ti hanno fatto- continuò, tentando di rincuorarla come meglio poteva.
Sansa annuì,quanto avrebbe voluto credere a quelle parole, ma vendicarsi non era mai semplice per lei. –Ci proverò-, disse infine.
-Anche mio nipote Joffrey avrà ciò che si merita, non temere- aggiunse infine il nano. –Ora, però, vediamo di portare in salvo la nostra pelle. Sarebbe complicato per te vendicarti una volta passata a miglior vita-
Sansa gli sorrise. Quel folletto non le era mai stato simpatico, ma dovette riconoscere che riuscì ad infonderle il coraggio di cui aveva bisogno. Insieme riuscirono a raggiungere il grande portone in legno. Una volta passati per di lì, attraversarono il ponte levatoio insieme a donne e uomini che scappavano disperati. Quando furono al riparo, fuori dalla Fortezza Rossa, si ritrovarono nelle strade di Approdo del Re, dove nobili e popolani si erano riversati per osservare quelle alte torri mentre venivano divorate dalle fiamme. Tyrion continuò a tenerla per mano, sicuro che quel gesto l’avesse aiutata ad essere forte di fronte a quella catastrofe. Sansa apprezzò quel gesto e lo lasciò fare. Entrambi sapevano che la vita in quella città non sarebbe stata più la stessa, a cominciare dalle proprie.
 


Mentre gran parte della Fortezza era già invasa dalle fiamme, Jon Snow riuscì a trovare un passaggio secondario che in poco tempo avrebbe permesso alla sua famiglia di evadere da lì. Ricordò che fu Tyrion a mostrarglielo poche ore prima, mentre erano alla ricerca di sua sorella Arya. La ragazzina in quel momento era lì con lui, insistente nel voler dare una mano.
-Arya, corri più lontano che puoi, arriva fino al porto se necessario!- l’ammonì Jon.
-I miei fratelli sono in pericolo, lascia che ti dia una mano!- insistette la ragazzina, e in un attimo la vide sparire dietro le mura del palazzo. Jon sbuffò nervoso, per quanto le volesse bene dovette ammettere che era davvero difficile tenerle testa, specie in situazioni del genere. La ragazzina tornò spingendo il carretto su cui si trovava Bran paralizzato.
-L’avrei aiutato io!- rispose stizzito Jon, poi tornò serio –Ora allontanatevi più che potete, presto qui rimarranno solo macerie!- si raccomandò con i fratellastri.
Arya annuì, poi fece come le fu ordinato.
Poco dopo anche Rickon e sua madre Catelyn vennero messi in salvo, seguiti da Robb e sua moglie Talisa, quest’ultima seriamente preoccupata per la salute del bambino che aveva in grembo. Quando parte della struttura iniziò a crollare, Jon si assicurò che la sua famiglia fosse al riparo ed ordinò loro di fuggire il più lontano possibile. Ma Lady Catelyn si oppose alla richiesta del giovane Snow, preoccupata per suo marito Ned. Dopo aver atteso per svariati minuti, non vedendolo ancora arrivare, Jon decise di tornare all’interno della fortezza, ignorando la voce di Lady Catelyn che gli chiedeva di non farlo.
-Andatevene da qui, penserò io a mio padre. Te lo prometto.- fu l’ultima frase che gli sentì pronunciare prima di vederlo scomparire dietro la nube di fumo. Con il cuore in gola, Catelyn si allontanò dalla zona incendiata con il resto della sua famiglia, pregando per suo marito e Jon.
Il ragazzo trovò presto suo padre, seppur con qualche difficoltà.
-Padre, tutto bene?- gli chiese avvicinandosi e notando una profonda bruciatura della pelle sul braccio dell’uomo.
-Sì, posso farcela, non preoccuparti per me. Dove sono i tuoi fratelli? Catelyn è con loro?- domandò l’uomo.
-Sì, padre, sono tutti in salvo- lo rassicurò il ragazzo, per poi mostrargli l’uscita più sicura. –Passa per di qua, ma fai in fretta!-
Ned lo guardò incerto. –E Sansa, è con voi? Non l’ho più vista da quando si è allontanata-
Jon gli rispose prontamente –Sansa è in buone mani, l’ho vista scappare poco fa. Ora va’, io vi raggiungerò presto, non temere. Ho un conto in sospeso.-
Con quelle ultime parole rassicurò il padre. Non appena lo vide allontanarsi per mettersi in salvo, Jon si addentrò svelto nella direzione in cui poco prima aveva intravisto un uomo steso a terra chiedere aiuto. Il ragazzo volle correre il rischio, sicuro di ciò che vide: quell’uomo non era una persona qualunque.
Infatti, non appena lo raggiunse, ne ebbe la conferma: era Tywin Lannister.
-Mio Signore, tutto bene?- si abbassò alla sua altezza, constatandone le condizioni generali. L’uomo aveva una gamba intrappolata da mattoni caduti da una parete e parte del soffitto.
-Ragazzo, aiutami!- lo implorò il Lannister.
Jon, allora, si precipitò su di lui per spostare quell’enorme masso dal piede, probabilmente rotto. Poi gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi.
-Grazie, ragazzo, verrai ricompensato per questo.- assicurò il Lord, alzandosi in piedi seppur con qualche difficoltà. Ma Jon riprese subito a parlare.
-Hai ucciso tu Daenerys.- affermò. Il Corvo non aveva bisogno di constatarlo, sapeva già che fosse così.
Tywin lo guardò di traverso. –Ha forse importanza, ora? Svelto, aiutami ad uscire di qui, non riesco a camminare molto bene.-
Jon rimase immobile, poi parlò in un movimento quasi impercettibile. –Sei un cordardo, Tywin Lannister.-
L’uomo lo fissò senza capire. Le fiamme che si innalzarono illuminarono meglio quel viso.
 –Sei Jon Snow.- lo riconobbe. –Cosa vuoi da me, Jon Snow? Oro? Potere? Entrambi?-
Il corvo rimase impassibile davanti a quella proposta. Sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto fare in quel momento.
–Sai, Tywin, un giorno mio padre Ned Stark mi disse una frase. “Al gioco del trono, o si vince o si muore”.- gli sussurrò, avvicinandosi. Il Corvo potè avvertire il corpo del Lord irrigidirsi. Aveva sentito parlare dell’incredibile intelligenza di quell’uomo, di sicuro aveva già immaginato cosa stesse per succedere. Jon fu certo che lo capì, glielo lesse nello sguardo.
-E tu, Tywin, non vincerai di certo.- affermò con convinzione.
Il Lord sembrava impassibile di fronte a quelle parole. Gli rispose come se non gliene importasse davvero. –Uccidimi, Jon Snow. Avanti, fallo!- lo scrutò negli occhi scuri, e allora capì che quel giovane ne sarebbe stato davvero capace.
-Uccidi me, se vuoi.- continuò. –Ma come ultimo desiderio, Jon Snow, ti chiedo di lasciar stare i miei figli, e anche i miei nipoti. Loro non c’entrano niente in tutto questo. Loro non sono come me. Non lo sono mai stati, nonostante i miei insegnamenti.- Tywin, anche stavolta, non si scompose, bensì mantenne la severa espressione in viso. Jon rimase colpito dalla fierezza ed imperscrutabilità di quell’uomo, anche di fronte la morte. Probabilmente, se non ci fosse stata tanta malvagità in lui, di certo gli sarebbe piaciuto. Probabilmente avrebbe fatto grandi cose e avrebbe combattuto per nobili cause. Ma nella realtà, Tywin Lannister non era tutto ciò.
Le fiamme raggiunsero i due. Jon, senza esitare, lo spinse con forza, poi osservò il fuoco prendersi avidamente quel corpo, accompagnato dalle sue urla. Infine, corse più che poté per mettersi in salvo.
 


Cersei, Jaime e i loro due figli, una volta fuori da quelle mura, continuarono a scappare fino a raggiungere una collina appena fuori la città. Da lì si potevano osservare le torri della Fortezza Rossa, quella che da molti anni ormai era stata la loro casa, venir distrutte dalle fiamme. Si fermarono lì, sicuri che nessuno li avrebbe visti. Jaime era certo che sarebbero stati incolpati dell’accaduto, quindi tornare ad Approdo del Re poteva rivelarsi pericoloso, almeno finché non avessero provveduto ad una scorta di guardie. L’uomo avrebbe voluto continuare a spostarsi ancora un po’, ma Cersei non ne volle sapere. La donna rimase immobile a fissare l’incendio per diverso tempo, in silenzio. Jaime la lasciò indisturbata. Gettò uno sguardo su Tommen e Myrcella: i due ragazzini erano alla riva di un fiumiciattolo poco distante a ripulirsi da polvere e cenere. Sembravano tranquilli, per il momento. Quei due erano sempre andati d’accordo, e Jaime era sicuro si sarebbero fatti forza insieme per affrontare qualunque cosa sarebbe successa in futuro. Tommen e Myrcella erano sempre stati ragazzini buoni ed educati, a differenza di Joffrey.
Jaime non ne poté più del lungo silenzio della sorella. Voleva sapere a cosa stesse pensando, nonostante lo immaginasse già. Si avvicinò a lei senza dire una parola. La donna aveva lo sguardo perso verso le alte torri della fortezza. Il suo viso era rigato dalle lacrime, probabilmente aveva pianto in silenzio.
-Quella torre laggiù- iniziò a parlare, la voce calma ma decisa. –Quella era la stanza di Joffrey. Completamente bruciata.-
Jaime la guardò. Era cosciente che non avrebbe mai potuto comprendere il suo dolore fino in fondo. Nessuno avrebbe mai compreso il dolore di una madre, e lui non era stato mai neanche un padre per Joffrey.
-Avremmo potuto salvarlo, Jaime, se solo fosse rimasto lì con noi. Ma io gli ordinai di andarsene. Volevo proteggerlo, ed invece è morto per colpa mia.- aggiunse, con così tanta decisione che Jaime stesso sentì la sofferenza di quelle parole.
-No, non è vero. Nessuno sapeva cosa sarebbe successo. Come puoi dartene la colpa?- l’uomo le prese le mani per darle conforto.
Non ricevendo alcuna risposta, Jaime continuò a parlare. –Solo un secondo in più lì dentro, e saremmo morti tutti. Io, tu, e loro.- con un movimento del capo indicò i ragazzini in lontananza. –Mi dispiace molto per Joffrey, davvero. Certo, aveva ancora molto da imparare prima di diventare un vero re, ma questo non significa che non sarebbe mai potuto diventarlo.-
Cersei abbozzò un sorriso –Certo che lo sarebbe diventato!- esclamò, persa per un momento nei ricordi del suo primogenito. Poi tornò alla realtà, con un’espressione rassegnata in volto. –Cosa faremo ora, Jaime?-
Il fratello guardò i boschi che si stagliavano verso ovest, sempre più folti.
–Torneremo a Castel Granito. Quando tutte le fiamme si saranno spente, della Fortezza Rossa rimarranno solo macerie. Poi avremo bisogno di un nuovo esercito, e delle guardie a proteggerci, così poi…-
-Reclameremo il nostro trono.- affermò con convinzione Cersei, terminando la frase del fratello.
-Probabilmente ci attaccheranno da ogni dove, e forse scoppierà anche una guerra, ma ci proveremo.-
Cersei lo guardò fiduciosa, poi tornò a posare lo sguardo verso l’orizzonte. –Credo che dovremmo parlare con Tommen e Myrcella. Saranno ancora spaventati, poveri figli miei! E di certo ci chiederanno di Joffrey.-
Jaime, notando la sua preoccupazione, le appoggiò una mano su di una spalla. –Non preoccuparti, ci penso io. Vedrai Cersei, andrà tutto bene.-
-Lo spero davvero- sussurrò infine la donna.
Jaime raggiunse i due ragazzini. Li trovò seduti, in silenzio. Probabilmente, quella per loro era la prima volta fuori dalle mura reali senza guardie appresso che li vigilassero. L’uomo si sedette al loro fianco.
-Come state, ragazzi? Sarete sconvolti immagino.- decise di rompere il silenzio. Jaime non sapeva cosa avrebbe detto loro di preciso. Non sapeva neanche come consolare dei ragazzini, a dire il vero, ma ci volle provare.
Myrcella gli rispose prontamente. –Io sto bene, zio Jaime. Non ho avuto mica paura, non sono più una bambina!-
Jaime la guardò cercando di nascondere la sua espressione sorpresa. Non si aspettava quella risposta. Si era davvero distratto così tanto, negli ultimi anni, da non notare che la sua bambina era diventata oramai una ragazza forte che non si spaventava più facilmente?
-Hai ragione, scusami. Tommen, tu stai bene?- si rivolse al ragazzo, ancora bianco in volto per lo spavento.
-Sì, zio Jaime, credo di sì. Però sono triste. Nostro fratello Joffrey di certo non ce l’ha fatta.-
Jaime tentò di misurare attentamente le parole che avrebbe usato in un momento tanto delicato.
-Joffrey… non è stato molto fortunato. Purtroppo, nessuno poteva sapere cosa sarebbe successo.-
Tommen sospirò sconsolato. –Mi arrabbiavo spesso con lui, ma so che mi mancherà molto.-
 -Già, ci mancherà.- asserì Jaime.
Dopo un momento di silenzio in cui tanti, diversi pensieri affollarono le menti di ognuno di loro, Tommen si alzò e si diresse verso sua madre, la quale lo accolse tra le braccia. Il ragazzo era il più giovane, e di conseguenza il più sconvolto per l’accaduto.
Non appena rimasero soli, Myrcella gli domandò: -Dove andremo ora, zio Jaime?-
Lui le rispose con sincerità: -Credo proprio che saremmo costretti a tornarcene a Castel Granito. Qui non possiamo restare.- le rivelò indicando con il capo la città che si stagliava davanti a loro.
-Zio Jaime, a proposito…- riprese a parlare la ragazza. Improvvisamente guardò l’uomo con un’espressione seria in volto. –Vorrei ringraziarti per quello che hai fatto. Ci hai salvato la vita. Te ne saremo sempre grati, io e Tommen.-
Jaime le sorrise. –Non avrei mai potuto lasciarvi lì da soli. Per me siete davvero… importanti- le rispose, mentre dentro di se realizzava, per la prima volta, quanto vere fossero quelle parole. Myrcella sembrava ancora piuttosto pensierosa.
-Devi dirmi qualcos’altro, Myrcella?- le chiese infine.
La ragazza lo guardò, inizialmente incerta, poi decise di parlare guardandolo dritto negli occhi. –In realtà sì. C’è questa cosa che… beh, sento il bisogno di dirtelo.-
A quel punto, Jaime la guardò preoccupato. –Cosa vuoi dirmi, Myrcella?-
La ragazza si guardò intorno per un attimo, come per prendere tempo e cercare le parole giuste, poi parlò decisa: -Non so come dirtelo, forse non c’è un modo giusto di dirlo. Il fatto è che… io so di voi due.- abbassò lo sguardo, riflettendo su ciò che stava per dire. -E mi fa male pensare che dobbiate nascondervi, perché sembrate così felici insieme. Io vorrei tanto che tu e mia madre siate felici.-
Lo guardò poi con quei grandi occhi verdi, e Jaime non potè fare a meno di ricordare il giorno in cui quella bambina venì al mondo e quegli stessi occhi lo fissavano per la prima volta. Quegli occhi erano rimasti gli stessi, così grandi e belli, ma quella che aveva di fronte, in quel momento, era una giovane donna che le parlava di felicità e amore come solo le persone pure come lei potevano fare. Myrcella era troppo buona per giudicarlo. Glielo lesse negli occhi che non l’avrebbe mai fatto.
Jaime era rimasto in silenzio, preso da quei pensieri. –Scusami, Myrcella. E’ solo che, beh, non mi aspettavo di sentirtelo dire. Sono senza parole.-
La ragazza lo guardò sorridendogli. –Ti capisco. Ma non preoccuparti, sarà il nostro segreto, se vuoi.-
Jaime sentì di non aver mai avuto una conversazione così intima con Myrcella. Dentro di lui provò un’emozione nuova che per tanti anni aveva nascosto in un angolo remoto. Probabilmente, sua figlia non l’avrebbe mai chiamato padre, ma quella naturale intimità che si era creata lo fece sentire così bene che capì che non era necessario farsi chiamare padre, per poterlo diventare veramente.
Jaime la prese per mano e le sorrise affettuoso. -Sì, sarà il nostro segreto.- le rispose, poi continuò: -Myrcella, voglio che tu sappia che, anche se non ho mai avuto occasione di dimostrarvelo, a te e Tommen, vi ho sempre voluto bene. Spero che un giorno io possa rimediare a tutti questi anni passati senza essere stato davvero presente nelle vostre vite.”
I due si alzarono e si scambiarono un veloce abbraccio affinché il loro segreto rimanesse tale.
D’un tratto la loro attenzione venne catturata da un’improvvisa esclamazione di sorpresa di Tommen. Quando si voltarono, videro i tre draghi appartenuti all’ultima Targaryen sorvolare sui resti della Fortezza Rossa. La famiglia rimase ad osservarli finché non si innalzarono in aria e si allontanarono volando verso Nord.
Chiunque, dopo quel giorno, si aspettava che in futuro sarebbero tornati a seminare il panico. Inoltre, il continente occidentale non sarebbe rimasto senza un re tanto a lungo. Presto, una guerra sarebbe scoppiata per scegliere il nuovo sovrano. Un’altrettanto sfarzosa fortezza sarebbe stata costruita intorno al trono di spade, e presto i giochi sarebbero ricominciati.

 

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