Il canto della sirena di oOLeylaOo (/viewuser.php?uid=20051)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 -Suicide note- ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 -The Kids Aren't Alright- ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 -Night Calls- ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 -School days- ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 -Hello- ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 -Here, there and evrywhere- ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 -Killing me, killing you- ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 -Home tonight- ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 -Hide and Sink- ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 -Love is in the air- ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 -Remember- ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 -Together- ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 -Girlfriend- ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 -e fuori è buio- ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 -My Friends- ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 -sister- ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 -Apertura- ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Trappole - ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 -True- ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 -Beautiful- ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 -Love song for a vampire- ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - In the end- ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 -Ready, set, go!- ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 -Per me è importante- ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 -Love in cold blood- ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 -Bad day- ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 -blu- ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 -Tell him - ***
Capitolo 29: *** -Lacrime di pioggia- ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 -I belive – ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 -I love you- ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 -Breath- ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Together - ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34- To be born again - ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - Missing link- ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 -My happy ending- ***
Capitolo 37: *** Epilogo - New Future- ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 -Suicide note- ***
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Il canto della sirena
Capitolo 1
-Suicide Note-
Ci sono molte cose che ho dimenticato nell’arco della mia vita, ci sono cose che ormai non potrei ricordare nemmeno se mi sforzassi o se lo volessi, ma ce ne sono altre che invece non riesco a scordare per quanto mi sforzi. È un paradosso. Nei libri di psicologia ho letto che di solito le persone conservano un alto numero di ricordi piacevoli, un numero intermedio di ricordi neutri e un numero decisamente basso di ricordi spiacevoli. Eppure con me questa categorizzazione non funzionava, perché il numero di ricordi spiacevoli superava di gran lungo a qualunque altro.
Ricordo vagamente mia madre, aveva un sorriso dolce, gentile, tenero… un sorriso bellissimo, ricordo solo il suo sorriso… in realtà ricordo anche il suo odore, dolce, gentile, aveva qualcosa di profondamente calmante e rassicurante. Insieme a lei ero tranquilla, ero al sicuro da tutto… Poi è morta, non so né come né perché, non lo ricordo, penso di non averlo mai ricordato.. penso di averlo dimenticato. Non ricordo quanti anni avevo, ma so che è stato dopo di questo che mio padre ha iniziato a bere.. forse un po’ dopo tutto lo capivo.
Ricordo con chiarezza che mio padre beveva, è il ricordo credo più chiaro, aveva sempre un forte odore di alcol che mi dava la nausea… e ricordo anche che a volte mi picchiava… Di solito accadeva quando era totalmente sbronzo… non ricordo perché si comportava in quel modo, non penso ci fosse una ragione precisa… o forse ho dimenticata anche quella…tante cose si possono dimenticare. Di lui non ho ricordi se non quelli di quando perdeva la calma… non ho ricordi piacevoli o che trasmettano calore… non ho, insomma, ricordi positivi.
Su una parte però quell’insulso libro aveva ragione, i ricordi traumatici erano rimasti chiari: infatti ricordo con estrema chiarezza il giorno della mia morte.
Si, sono morta. E allora? Voi non avete un difetto? Tutti ce li hanno, c’è chi ha poca memoria, chi è egocentrico, chi eccessivamente possessivo, chi ha i brufoli, chi perde i capelli… e io sono morta. Che c’è di male? Prima o poi moriamo tutti. Però la mia situazione è un po’ più complicata di così, perché io non sono morta, morta. E non è che io sia un vampiro. È un po’ più complicato di così.
Come ho detto ricordo la mia morte: ci fu un incidente, un terribile e molto letale incidente, la macchina guidata da mio padre, che tanto per cambiare aveva bevuto molti bicchieri (per non dire bottiglie) di troppo, entrò nell’altra corsia nella quale veniva un camion e ricordo che poi mio padre per evitarlo sterzò… gesto inutile visto finì fuori strada. La macchina con noi dentro fece un volo di almeno cento metri prima di entrare diritta spedita nell’oceano. Ricordo che tutto divenne buio, poi sentii freddo e sopra di noi c’era tanta acqua…tutto era blu… e rosso perché nella macchina c’era tanto sangue. Il finestrino davanti era incrinato e mio… bé, “padre”, anche se in quel momento ho pensato che fosse un termine troppo al di sopra delle sue possibilità (e lo penso ancora adesso)… era morto. Che perdita, vero?
Ma il vetro non resse alla pressione e l’acqua invase la macchina, io riuscii in qualche modo ad uscire, ma non a risalire. Soffocavo, l’acqua aveva iniziato a riempirmi i polmoni, quanto ancora sarei rimasta in vita? Quanto lunga sarebbe stata a mia agonia? Mi dibattevo inutilmente tra le correnti sempre più forti, mentre mi sentivo sempre più debole. C’era così tanto dolore, è quello che ricordo meglio.
Poi una voce arrivò alle mie orecchie, una voce profonda, forse cupa, eppure bella… splendida…una voce che ricordava il mare nelle sue profondità. La voce mi sussurrò con dolcezza una proposta, un patto, una speranza di salvezza o forse ciò che porta a un’ancora più lenta agonia… Anche se in quel momento non avrei saputo dirlo, in seguito mi fu chiaro che quel patto recava solo marginali vantaggi per me, ma comunque era l’unico modo che avevo per restare viva.
La voce mi disse che mi aveva cercato a lungo, che per molto, moltissimo tempo, aveva avuto bisogno di qualcuno come me e che avrei potuto avere salva la vita ad una condizione: dovevo lavorare per lui, dovevo aiutarlo a fermarli e a salvare il mondo. A me suonava tutto molto melodrammatico, ma più di qualunque altra cosa volevo vivere e del melodramma non mi importava niente.
Lo gridai quasi. “Voglio vivere!” non desideravo altro e fu ciò che accadde. Una luce azzurra mi avvolse, era calda e fredda allo stesso tempo: dentro di me qualcosa cambiò indelebilmente e io rinacqui, diventai qualcosa di diverso…diventai una sirena… si una sirena! Anche se in quel momento non me ne accorsi.
Persi i sensi e quando riapri gli occhi ero stesa su una specie di altare e avevo la coda… non hai capelli, avevo un orribile coda di pesce... e a me nemmeno piaceva il pesce! Ero in un grande tempio azzurro, le pareti che mi circondavano erano blu, c’erano colonne di marmo bianco con capitelli elaborati che tenevano su un alto soffittò con sculture elaborate… non potevano disegnarci qualcosa? Non sarebbe stato più semplice? Certo, l’acqua che lo riempiva li avrebbe probabilmente sciolti o rovinati, ma nonostante il tempio fosse praticamente immerso nell’acqua io respiravo agevolmente, senza alcun problema.
Un essenza azzurra e incorporea apparve davanti i miei occhi e mi spiegò una strana situazione: disse di essere Nettuno, il signore dei mari e che suo fratello Ades, il signore dell’oltretomba, era in una situazione orribile. In una parte profonda degli inferi si era generata una forza oscura e fuori dal suo controllo, la parte “nera” degli esseri umani aveva dato vita alle loro paure più profonde.
Che diavolo voleva dire? Semplice che nel mondo giravano liberamente e indisturbati mostri e esseri malvagi di ogni sorta. E indovinate un po’ cosa toccava a me? Dovevo diventare la versione giovanile di Buffy! Bello è? Solo che al contrario di Sarah Michelle Galler io i vampiri dovevo combatterli sul serio. In realtà non è che dovessi combattere i vampiri soltanto, dovevo combattere un po’ tutte le specie, ma specificatamente i vampiri perché ero ancora debole e non avevo abbastanza forza per uccidere altre specie di mostri. Quindi a me toccavano i vampiri, gli zombi e nel caso qualche mostro o demone inferiore… All’inizio solo gli zombi, quando migliorai toccò ai vampiri… perché le cose fanno sempre schifo?
Ovviamente non avrei mai potuto cavarmela da sola in tutto: come li trovavo? Dove li trovavo? Perché dovevo trovarli? (la vera domanda) E come facevo a sopravvivere senza soldi e una casa? E poi come avrei fatto con la coda? Mica potevo andare in giro indisturbata con una coda di pesce al posto dei piedi!
Bè, per la coda era semplice: niente acqua quando il tatuaggio azzurro che mi era apparso incorniciando il mio ombelico, un intricato groviglio di strani simboli che non capivo, diventava azzurro o caldo. Quando sarei uscita dall’acqua il tatuaggio sarebbe diventato bianco, con solo i contorni neri a sottolinearlo, ma mano a mano che i vampiri che sconfiggevo e il potere che quindi imprigionavo sarebbe cresciuto anche il tatuaggio sarebbe cambiato diventando lentamente blu, se il blu fosse diventato così scuro da sembrare nero allora probabilmente sarei morta perché quell’oscurità mi avrebbe uccisa. Prima che ciò accadesse dovevo andare nel tempio del mare a rilasciare le perle che entravano a far parte dell’elsa delle mie due armi…erano così strane. Sembravano due tridenti in miniatura, non sapevo nemmeno quale fosse il loro nome, ma da quel momento dovetti imparare a combattere e ad usarli alla perfezione: ne dipendeva la mia vita!
Avevo anche dei poteri ma quelli era meglio lasciarli stare, non ero brava a controllarli, quando ci avevo provato avevo creato un’onda anomala, fortunatamente nessuno si era fatto male.
Per quanto riguarda le altre cose a quanto pare era stata fondata una sorta di organizzazione, non so come ne da chi fosse stata fondata, che si sarebbe occupata di me. Chi conosceva Demetra? Io non sapevo assolutamente chi fosse ma a quanto pare era lei quella che dirigeva il tutto.
Quindi la mia vita da… bè.. non saprei definirmi, comunque iniziò a quel modo… Una morte, una rinascita e forse un suicidio, d’altronde non ero l’unica ad aver scelto quel patto… viva i Kamikaze!
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 -The Kids Aren't Alright- ***
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Lo ammetto, sono stata travolta dalla corrente delle storie di vampiri -.-
Ormai il mio destino è deciso! Ma non importa, io andrò avanti con coraggio XD Visto che la protagonista si innamorerà di un vampiro, la storia mi ricordava un pò troppo Twilight, ma spero che alla fine risulti diverso, anche perchè ci sono parecchie cose diverse da quella storia^^... Bacioni e buona lettura.
Capitolo 2
-The Kids Aren't Alright-
-Andrai in Francia.-
Sembra una bella frase che apre la porta a mille opportunità, ma in realtà era proprio una fregatura. Sognavo di andare in Francia da quando avevo dieci anni, il che non sembra molto tempo visto che ero morta a quattordici, ma anche se il mio aspetto era quella di una quindicenne (in cento anni ero cresciuta solo di poco, ora ne dimostravo quindici o sedici e meno male, almeno mi era cresciuto un po’ di seno!) di anni ne avevo molto di più ormai. Erano passati cento anni … così tanto tempo… e avevo imparato a combattere più o meno, e ora mi spedivano in Francia. Gia sognavo di visitare Versaille, Parigi, Orlèans... i castelli della Loira… Visitare la Francia, credo che tutti lo vogliano almeno una volta nella vita, anche perché è così bella e splendida, con la sua arte, le sue architetture e i negozi. Avevo un limite di spese, ma almeno un tot di cose potevo comprarmele e in Francia… avevo la lista di cose che volevo comprare! Invece…
Invece mi hanno spedito in un posto che sembra essere…bè.,.. diciamo che al confronto la collina in cui stava Haidi era più popolata (e c’erano solo lei, suo nonno e il suo amico di cui non ricordo il nome che viveva con la nonna pure lui…forse.. non ricordo bene quel cartone, non ero una sua grande fan). Il tempo nei templi del mare scorre più rapidamente, in realtà sulla terra erano trascorsi solo 10 anni, Nettuno disse che mi aveva scelta per avere qualcuno che si integrasse facilmente nel mondo contemporaneo, quindi chi meglio di me? La storia che mi cercava da tanto tempo era una frottola colossale, lo diceva a tutte, era solo per fare spettacolo.
“Alvernia”, una regione in cui c’erano solo monti e pascoli… e un collegio cattolico. Non chiedetemi come, ma vicino (a meno di 600 km di distanza, quello in quel posto è “vicino”) all’unico paesino vagamente decente di quella regione c’era una sorta di gigantesco castello che in realtà era un collegio. Odio i collegi e anche se ero cattolica non entravo più in chiesa da molto, molto, molto tempo. Una sirena può essere cattolica? Mi suona strano in una maniera esagerata.
Stavo in un grande dormitorio con almeno altre seicento ragazze, nella mia stanza c’erano tre letti oltre il mio e non avevo idea di chi avrebbe dormito con me. La camera non era molto grande ed era decisamente sobria, avevo un armadio in cui buttai i miei pochi vestiti e le mie tre uniformi. Si, uniformi! In collegio ci sono sempre delle uniformi (posso gridare?). Io odio le uniformi! Camicetta, gonna corta e calze, un paio di stivaletti bassi e se fa freddo una giacca… e avevo dimenticato la cravatta! Un orribile cravatta blu con scacchi bianchi, intonata alla gonna (la odio!) che spiccava alquanto con l’inevitabile camicia bianca. Mi lasciai cadere sul letto rassegnata, aveva addosso una maglietta pelosa nera, con ricamato un orsacchiotto e un paio di jeans che si infilavano in un paio di stivali stile cowboy marrone scuro. Il soffitto bianco della stanza metteva tristezza, tutto trasmetteva un atmosfera come da prigione e io avevo una gran voglia di fuggire.
Le nostre scrivanie erano munite di computer e stampante, unico segno del fatto che ci trovassimo nel ventunesimo secolo, e sopra le scrivanie c’erano delle mensole in cui mettere i libri. Le finestra avevano delle tende bianche, tutto mi ricordava un ospedale, la luce della lampada era fredda: dovevo decisamente fare qualcosa per vivacizzare quella stanza, era un mortorio!
I rumori fuori dalla porta mi fecero capire che le lezioni erano finite e che le studentesse stavano tornando nei dormitori, rimasi sdraiata senza dire niente mentre delle ragazze entravano nella stanza chiacchierando.
-Si, quel professore è davvero antipatico.- fece una ragazza con una voce squillante, da ragazzina.
-Mi ha dato un voto orribile! Odio biologia!- disse un'altra, la cui voce era più bassa, quasi roca.
-A me sembra sexy!- disse un'altra con la voce sensuale.
-Ma che dici? Simon non …- si interruppe.
Sentti gli occhi untati addosso e alzai una mano in segno di saluto.
-Salve a tutte compagne di prigionia, sono Grace.- mi presentai voltandomi per guardarle con un sorriso sulla faccia. I capelli mi ricaddero sul viso nascondendolo in parte, forse era arrivato il momento di tagliarli.
Una ragazza con i capelli neri lunghi, scalati, tenuti indietro con delle forcine con le farfalle mi sorrise. Aveva gli occhi nocciola leggermente all’ingiù e le labbra sottili, un viso lievemente squadrato i cui tratti erano ammorbiditi dal taglio dei capelli. Aveva un trucco leggero ma perfetto, non era molto alta e aveva un corpo minuto esaltato dall’orribile divisa della scuola; quella che indossava era perfettamente stirata, non aveva nemmeno una piega…come era possibile?
-Ciao, io sono Chantal.- si presentò cortesemente lasciando cadere lo zaino accanto ad un letto, poi ci si mise seduta con eleganza… bè era francese! La sua voce roca mi rivelò che era la ragazza che aveva preso un brutto voto. -Loro sono Julie e Violette, da oggi dormiremo insieme, cerchiamo di andare d’accordo!- concluse cerimoniosa.
Mi misi a sedere sul letto incrociando le gambe e scostandomi i capelli dal viso, fissai le due ragazze che mi erano appena state presentate e sorrisi loro nel modo più naturale e spontaneo che riuscii a fare.
-Scusate, chi è Julie e chi Violette?- domandai un po’ impacciata.
La ragazza alta, con la camicia bianca legata sotto il seno e la gonna più corta di quella delle altre due si fece avanti, aveva i capelli marroni con le maches rosse raccolti in due codine basse che le ricadevano davanti al seno, gli occhi erano di un brillante blu scuro e le labbra carnose. Il volto ovale aveva un ossatura sottile ed era ben proporzionato, le labbra carnose sporgevano leggermente. -Io sono Violette.- disse con voce da baritono, era quella che aveva definito il professore sexy. Mi porse la mano e io la strinsi, aveva una stretta forte e un sorriso sveglio e acuto.
-Piacere.- dissi guardando prima lei e poi Julie, che era una ragazza alta più o meno quanto me, quindi all’incirca un metro e sessantasette, i capelli rossi raccolti in una treccia e gli occhi verdi, di un verde strano però, tipo quello usato per le macchine, un verde scuro metallizzato, e la carnagione chiara. Era un po’ robusta, ma aveva un viso simpatico, a cuore, che irradiava allegria. -Allora, chi è il professore sexy?- chiesi spostando nuovamente lo sguardo su Violette, che mi sorrise divertita e complice.
-Il professor Bachman, che fa biologia.- rispose Violette allegramente, Julie scoppiò a ridere.
-Non darle retta.- mi disse Julie sedendosi accanto a me -Lei trova sexy anche Matt Damon!-
-Matt Damon è sexy!- ribatté Violette.
-No, per niente!-
-Oh, quindi è meglio quel tizio, giusto? Quello di quel libro che ti piace tanto!-
-Oh, si! Hunter è sexy… ed è anche bellissimo e affascinante!- sottolineò Julie.
-Ma se nemmeno esiste.- rispose subito Violette.
Chantal sospirò scuotendo il capo. -Non farci caso Grace, loro fanno sempre così. Speravo che almeno all’inizio avresti potuto vederci come persone normali, invece mi sa che ti è chiaro che sei finito in camera con due matte.-
Sorrisi a tutte e tre molto divertita dalla discussione che era appena stata interrotta, ma prima che potessi dire loro che pensavo mi sarei divertita stando con loro, Julie tirò il cuscino sul mio letto in faccia a Chantal.
-Cosa vorrebbe dire due matte? Non ti sei contata o non hai contato me?- la prese in giro.
-Ovviamente io non sono come voi.- ribatté lanciandole il cuscino che finì in faccia a me. -Oh, scusa.-mi fece prontamente, ma io glielo rilanciai in faccia, e lei evitandolo le fece finire addosso a Violette.
Passammo un ora buona a prenderci a cucinate, a ridere e a scherzare e alla fine quel dormitorio non mi sembrava più tanto una prigione.
Mentre Chantal mi accompagnava alla mensa e mi faceva vedere le varie aule mi sorpresi della facilità con cui avevamo fatto amicizia. Anche con Julie e Chantal era lo stesso, solo che Violette era quella giudiziosa, le altre due invece erano un po’ meno responsabili e un po’ più adolescenti, infatti in quel momento stavano facendo una ricerca che gli era stata affidata due settimane fa e che dovevano consegnare l’indomani.
-Quella in fondo è la porta della sala mensa. Di solito pranziamo da mezzogiorno e mezzo fino alle due e ceniamo alle sette e mezzo alle nove, la colazione è dalle sette di mattina fino alla nove e mezzo. I corsi iniziano a ore diverse quindi anche agli studenti è permesso alzarsi a ore diverse. Il sabato e la domenica siamo liberi, ma non possiamo uscire solo fino alle undici di sera, dopo c’è il coprifuoco. Per andare in paese c’è un autobus della scuola, se lo manchi sono fatti tuoi, nel senso che ti abbandonano lì e fine.-
-Bello!- esclamai sconsolata, Chantal rispose con un sorriso alla mia battuta sarcastica.
-Tranquilla, alla prima uscita ti faremo vedere io e le ragazze.- disse strizzando l’occhio in un gesto di complicità.
Le risposi con un sorriso e uno sguardo interrogativo.
-Il dormitorio maschile è dall’altra parte del nostro.- ricominciò a spiegare in tono professionale. -È severamente vietato entrare nei dormitori dei membri dell’altro sesso senza un permesso dell’insegnante, nel caso qualcuno si introducesse e venisse trovato rischierebbe l’espulsione. La biblioteca è al terzo piano ed è aperta dalle dieci di mattina alle undici di sera, su questo piano oltre alle aule di chimica, biologia, il laboratorio di lingue e la sala conferenze che ti ho gia fatto vedere, ci sono anche quelle di trigonometria, matematica e astrologia. Ovviamente Astrologia è facoltativa, trigonometria e matematica invece no . Altre materie facoltative che puoi scegliere sono storia dell’arte, storia del cinema e teatro, introduzione alla psicologia, antropologia culturale, letteratura creativa, musica e scienze politiche.- elencò, contandole con i diti della mano.
-Wow, quante! E uno che dovrebbe farci con tutte quelle materie? C’è davvero qualcuno che le frequenta?- domandai sorpresa.
-Si, certo. Io frequento scienze politiche e faccio parte del club di dibattito. Ah gia, di pomeriggio è possibile iscriversi e poi frequentare i vari club. Le lezioni facoltative sono solitamente frequentate da membri degli specifici club. Per esempio i membri del club di arte frequentano le lezioni di storia dell’arte.-
-Ed è obbligatorio se fai parte di un club?- chiesi.
-No, ovviamente no… ma è preferibile. Teologia e religione sono obbligatorie.- rispose con un mezzo sorriso, aprendo la porta della mensa che avevamo appena raggiunto.
Davanti a me c’era una stanza immensa con cinque lunghe file di tavole, più una trasversale in fondo. Un gigantesco candelabro pendeva dal soffitto e dalle ampie finestre dietro il tavolo trasversale entrava una calda luce splendente. All’estrema sinistra della sala c’era un mobile dove di solito veniva servito il cibo.
-Wow! È immensa!- dissi entrando e guardandomi intorno.
Un urlo riempì la stanza, un urlo che veniva da una piccola porta a lato della sala, mi diressi precipitosamente verso la porta seguita da Chantal. La spalancai con un colpo, preoccupata e trovai una signora accucciata a terra, spaventata a morte da un corvo che era entrato nella stanza e che ora sembrava attaccarla.
-Mandatelo via! Mandatelo via!- gridava come un ossessa.
Sorrisi, lieta che non fosse successo niente, dopo di che io e Chantal tentammo di farlo uscire, cosa non troppo facile, ma alla fine riuscii a prenderlo in mano e a mandarlo fuori. Lui gracchio in protesta fino a che non lo liberai vicino a un albero nell’immenso giardino che circondava la scuola.
-Andiamo.- disse Chantal che mi aveva seguito. -Devo ancora farti vedere le aule al secondo piano dove si svolgono la maggior parte delle lezioni e la soffitta che di fatto è usata come biblioteca, ma visto che è gigantesca e molto accogliente nessuno protesta. Tra l’altro l’atmosfera lì è splendida, molti ragazzi ci vanno a fare qualcosa di diverso dallo studio - disse arrossendo leggermente e sorridendo in modo malizioso.
Io rimasi a guardarla un po’ interdetta, poi scossi la testa, preferivo non sapere cosa facevano i ragazzi in biblioteca oltre che a studiare o leggere. La seguii in silenzio oltre il grande portone sul retro della gigantesca villa che ospitava le lezioni e salimmo per la rampa di scale con il corrimano in legno che arrivata al secondo piano dava su due diversi corridoi, noi imboccammo quello di destra e Violette iniziò a indicarmi le varie aule. Improvvisamente mi fermai davanti a quella di letteratura rendendomi conto che non ero ancora passata in segreteria a prendere l’orario delle lezioni. Midny mi aveva lasciato al dormitorio con un sorriso divertito sulle labbra e con il numero della mia stanza.
-Che c’è?- chiese Chantal quando mi fermai.
-Mi stavo solo chiedendo dove fosse la segreteria.- spiegai, rivelando i miei pensieri.
-Bè, questo è l’edificio principale, la segreteria è lontana, nel giardino ad ovest, in una sorta di dependance. Se vuoi dopo ti ci accompagno, è aperta fino alle sei.- spiegò con calma. -Ma perché devi andarci?-
Guardai il mio orologio che segnava le cinque e un quarto. -Ce la facciamo ad arrivarci prima delle sei? Oppure è meglio che ci vada domattina?- chiesi.
Lei sbirciò il mio orologio. -Penso che tu possa andarci anche domattina.- disse scrollando le spalle.
-Va bene, andiamo… la prossima tappa è?- domandai curiosa, sorridendo. Quel posto iniziava a piacermi.
-La biblioteca! Sono sicura che ti piacerà molto, è un posto bellissimo!- esclamò entusiasta trascinandomi per un braccio vero le scale infondo al corridoio.
La seguii in silenzio, ma con un sorriso stampato in faccia, ero molto felice di essere lì anche se prima non lo avrei mai immaginato.
Arrivata alle scale iniziammo a salirle ma ci bloccammo a metà perché una folla di ragazzi in divisa riempivano tutto lo spazio. Quando arrivammo un ragazzo alto, con i capelli castani e gli occhi nocciola si voltò a vedere chi arrivava e si fermò a fissami un istante prima di salutare Chantal con un sorriso gentile e scese un paio di gradini per venirci incontro. Indossava la divisa della scuola: un paio di pantaloni blu, una giacchetta dello stesso colore e una camicia blu con una cravatta abbinata.
-Ciao Chantal.- disse poi si voltò verso di me.
Io allungai la mano e mi presentai con un sorriso gentile. -Ciao, io sono Grace Jakson e tu?- domandai mentre lui mi stringeva la mano, un stretta forte e al tempo stesso decisa.
-Io sono Jean-Christohpe Parmentier , piacere di conoscerti. Sei la nuova arrivata, giusto?- domandò con gentilezza, fissandomi negli occhi.
Feci cenno di si con la testa.
-Allora, che succede?- domandò Chantal incuriosita.
Lui ci guardò un attimo incerto. -Non è una bella cosa.- avvertì facendo cenno di sederci sui gradini.
Ci accomodammo lentamente fissandolo, lui sostenne il nostro sguardo incuriosito con un misto di comprensione e disgusto.
Fece un respiro profondo e poi disse -È morto un ragazzo. In biblioteca.- esordì con calma.
Chantal sbiancò e per un attimo pensai che sarebbe svenuta o che mi avrebbe vomitato… a volte la morte fa questo effetto.
-M… morto…?- farfuglio scioccata. -Chi? Come?- chiese ancora sconvolta.
-Un ragazzo e una ragazza… non so molto a parte che non sono in classe con me in nessuno dei corsi. La ragazza era Elizabeth Messing, inglese e l’altro Jhoswa Tompson, americano.- disse il ragazzo massaggiandole la schiena.
Lo fissai sorpresa. -Ci sono molti ragazzi che non sono francesi, qui?- chiesi incuriosita.
-Si, questa è una scuola prestigiosa, i ragazzi vengono mandati qui dalle loro famiglie dai vari angoli del mondo, inclusa la Cina e il Giappone.- mi spiegò lui.
-Ma… chi è stato?- domandò Chantal ignorando il completo cambio di direzione che avevo fatto prendere alla discussione.
-Non si sa, non ci sono segni di lotta… però…- si bloccò incerto.
Lo fissai incuriosita. -Che succede?- domandai.
-Loro… è davvero strano…- farfuglio in difficoltà.
-Cosa?- chiesi con dolcezza e impazienza, l’esperienza e una lunga predica da parte di una mia conoscente sirena. Nemmeno io lo pensavo ma in giro c’erano più si rene e creature magiche di quante se ne possono indovinare.
-Ecco… hanno degli strani segni… sembra quasi che sia stato un animale a morderli… però non c’è alcuna traccia di sangue in giro.- farfugliò orripilato.
-Oddio! Ma hanno preso l’assassino?- domandò Chantal molto spaventata e disgustata. -Voglio dire… non ci sarà un killer in giro per la scuola! Vero?- domandò incera e preoccupata.
Io le cinsi la vita con un braccio e appoggiai la testa alla sua spalla. -Va tutto bene.- le dissi in tono tranquillo. Ma dentro di me pensavo un'altra cosa: c’erano stati due morti e in circostanze poco chiare: era inevitabilmente arrivato il momento di indagare… e pensare che non avevo ancora finito il giro della scuola.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 -Night Calls- ***
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Capitolo 3
-Night Calls-
Era notte fonda, forse l’una o magari le due, di certo la mezzanotte era passata. Chantal era sdraiata nel suo letto, di fronte al mio, il suo respiro si era finalmente fatto regolare: era rimasto in camera sconvolta, non aveva nemmeno toccato la cena, cosa strana, visto che non aveva nemmeno visto i corpi, e insensata, visto quanto era buona quella cena.
Violette era venuta con me mentre Julie era rimasta in camera con Chantal e dopo che eravamo tornate era andata a cena da sola. Chantal sembrava in una sorta di trans o in uno stato catatonico, fissava il vuoto , sembrava una bambola. Poi di punto in bianco si era messa a piangere e aveva continuato ininterrottamente per delle ore, si era fermata giusto il tempo di stendersi sul letto e dormire, ma invece di dormire aveva continuato a singhiozzare e nessuna di noi sapeva come fare. Julie era andata a letto con lei, così il letto accanto al mio era vuoto.
Avevo abilmente indossato un cortissimo top nero, che lasciava scoperta la pancia con in tatuaggio e un paio di pantaloni neri con scarpe da ginnastica: dovevo confondermi con l’oscurità e essere silenziosa, mi chiedo come facciano le ladre dei cartoni a non fare rumore con i tacchi a spillo…. Ma gli autori non ci pensano a fatto che i tacchi fanno rumore? Ah.. gli uomini!
Sgattaiolai nel più assoluto silenzio fuori dal letto, mi diressi verso la finestra, sempre molto attenta a non far rumore, poi l’aprii e saltai fuori. La mia stanza era al terzo piano, cero, ma io ero una sirena. In un istante trasformai il tatuaggio che avevo sullo stomaco in un paio di armi e poi lo trasformai in un mantello che usai per rallentare la caduta. Atterrai con leggerezza e tramutai all’istante il mantello nelle armi che si riformarono in un tatuaggio.
Camminai lentamente verso la “reggia” (impossibile definirla in modo diverso) che ospitava le lezioni. In giro non c’era nessuno, il silenzio era quasi snervante, l’unico rumore che era udibile era quello del vento che soffiava tra le foglie degli alberi, che comunque erano abbastanza lontani da essere udibile a stento. Arrivai davanti alla grande porta d’ingresso e mi bloccai scorgendo il sistema d’allarme che probabilmente era accesso, mi concentrai e percepii l’elettricità che circondava tutto il primo piano(l’acqua conduce l’elettricità e io in quanto sirena ero molto sensibile verso quest’ultima, riuscivo a percepirla con facilità), l’allarme era acceso e funzionante. Mi diressi verso il retro e camminai fino a che non raggiunsi più o meno le finestre sotto la biblioteca, poi feci un salto e richiamando una frusta, poi la usai facilmente per fare un salto ed arrivare alla finestra sotto la biblioteca, al secondo piano non avevano messo l’allarme, non sentivo la presenza di reti elettriche oltre a quelle della luce. Fortunatamente tra i pochi poteri che avevo c’era anche quello di spostare gli oggetti con la forza del pensiero, quindi non mi ci volle niente ad aprire e ad arrivare alla biblioteca.
Fortunatamente tra i pochi poteri che avevo c’era anche quello di spostare gli oggetti con la forza del pensiero, quindi non mi ci volle niente ad aprire e ad arrivare alla biblioteca.
Il luogo era stato sigillato con dei nastri, due ragazzi erano riversi a terra, privi di vita. Mi avvicinai con circospezione, stando attenta a dove mettevo i piedi, la polizia vera e propria non era ancora arrivata, l'unico poliziotto che abitava vicino a quel luogo era un sessantenne di nome Andrè che al massimo nella sua vita aveva arrestato una persona per guida in stato d'ebbrezza. Le informazioni sulla polizia venivano fornite quando ci mandavano in missione perché potevamo trovarci ad avere a che fare con loro.
Mi chinai sui cadaveri dei due ragazzi, accessi la torcia che mi ero portata dietro e esaminai con attenzione i corpi, le prime volte in cui lo facevo mi facevano molto senso, ma ora mi lasciavano indifferente. Notai che non avevano nessuna ferita da nessuna parte, non c'era sangue né sui vestiti, né per terra. Presi una mano della ragazza, che era stesa a terra accanto al ragazzo, per vedere se le unghie erano striate, magari avevano usato del veleno, ma nel farlo mi avvicinai al collo del ragazzo sul quale spiccavano un paio di buchi che sembravano fatti da un tritaghiaccio o da un altro oggetto acuminato e appuntito. Guardai il collo della ragazza, anche lei aveva dei segni simili, da entrambi i lati del collo.
-No!- mi lamentai a bassa voce. Che incubo! Vampiri! Perché proprio vampiri? A me non piacciono i vampiri. In realtà non mi piacciono nemmeno i francesi, ho sempre pensato che avessero la puzza sotto il naso. Quindi figuriamoci dei vampiri francesi!
Il silenzio aveva assunto tinte fosche e sinistre, dietro di me sentii uno strano fruscio e mi voltai di scatto spengendo la pila che avevo in mano, mi trovai davanti a una figura scura, abbastanza lontana da non essere ben visibile, illuminata appena dalla luce della luna. In quel momento nella mia mente si accese un allarme.
Avete presente quei giochi di ruolo in cui ad un certo punto il gioco ti da due opzioni: porta numero uno o porta numero due. Fuggire o restare. Ottima domanda. La figura avanzava lentamente e un raggio di luna gli illuminò per un istante il volto, non vidi molto a parte due brillanti occhi azzurri: bellissimi e quasi trasparenti. Scappai. Fu il mio primo istinto, il desiderio di sopravvivere può superare qualunque cosa. Spalancai la finestra che era dall'altra parte della stanza e mi fiondai fuori: eravamo al terzo piano, non avevo mai saltato da così in altro, feci tre giri su me stessa, come si vedeva nei cartoni, e riuscii ad atterrare senza rompermi niente: meno male che ero un sirena o sarei di sicuro morta!
Mentre mi alzavo sentii il suono di un cellulare, mi alzai e mi misi a correre con tutte le mie forze verso il dormitorio, non ero mai stata così veloce in vita mia. Improvvisamente un ombra oscura mi si presentò davanti, prima che me ne rendessi conto mi trovai scaraventata dalla parte opposta a quella in cui correvo, sentivo un dolore lancinante alla bocca dello stomaco. Mi raggomitolai preparandomi alla caduta e rotolai per terra, quando mi fermai schizzai in piedi armandomi e mettendomi in posizione di difesa, sentii un rumore dietro di me e capii di essere circondata. L'unico pensiero che mi veniva in mente in quel momento era: "Sono rovinata!"
Chiusi gli occhi e mi concentrai al massimo, scacciando la paura e l’ansia, fin troppo presto sentii uno spostamento, qualcuno si muoveva verso di me. Riuscii a scansare il suo colpo che arrivava da destra e lo attaccai con la sinistra ferendolo al braccio e spostandomi dietro di lui. Immediatamente si girò verso di me per contrattaccare, ma non fu l’unico perché dalle mie spalle partì un altro attacco, probabilmente dall’altro vampiro. Aspettai fino all’ultimo secondo e feci un salto all’indietro evitando i colpi all’ultimo momento e con una ruota atterrai in piedi mentre loro venivano scaraventati lontano dai reciproci colpi. Aspettai, ma non li percepii più, quando aprii gli occhi ero di nuovo sola. Mi avvicinai all’edificio riparandomi alla sua ombra mentre la luna la illuminava, corsi velocemente verso il dormitorio ma fui fermata da qualcosa di scintillante: era come una corda, molto spessa, fatta di acqua, che riluceva a causa della luce della luna. Mi si avvolse attorno al corpo, lasciando uno spazio di almeno dieci centimetri tra me e lei, poi si riunì in una sorta di specchio da cui prese forma un uccellino, molto piccolo, interamente bianco, dagli occhi blu scuro e con una gemme sulla fronte azzurro chiaro. La gemma si illuminò e una voce riempì l’aria, profonda e insieme cristallina, splendida e bellissima.
-Penso possa servirti un mezzo di comunicazione, ti servirà anche come arma. Mi raccomando impegnati.- pronunciò la voce, che sembrava provenire dalla gemma sulla fronte. Detto ciò la luce si spense e la voce sparì.
Fissai quell’affare che si era poggiato sul mio braccio senza dire niente, quasi sconcertata da quello che stava accadendo.
Sospirai molto stanca e seccata.
-Senti piccola, puoi dirgli che il fantastico luogo in cui mi ha mandata pullula di simpatici succhiasangue?-
Come in risposta alle mie parole la gemma sulla fronte brillò, poi spiccò il volo mentre io risalivo e entravo nella mia stanza dalla finestra, mi svestii al buio e mi misi il pigiama, lentamente scivolai sotto le coperte e chiusi gli occhi: non avevo mai avuto così tanto sonno in vita mia.
fine capitolo 3
Una piccola curiosità : ogni capitolo ha il titolo di una canzone,putroppo non è facile trovare una canzone che riassuma con chiarezza di cosa parla il capitolo, quindi alla fin fine prende solo titoli di canzoni che non ho mai sentito e non so di cosa parlano -.-
Forse così non ha molto senso -.-
Il primo capitolo ha come titolo la canzone che ha fatto da colonna sonora al film Underwold, mentre le altre le ho trovate cercando in giro qualcosa che potesse servirmi, non so a che gruppo appartengono, quindi chiedo scusa -.-
Spero che questa storia vi piaccia, specialmente a chi ha letto L'ombra della luna, è un pò diversa come trama... alla fin fine però mi sembra quasi che la protagonista abbia lo stesso carattere... *gratt, gratt*
Speriamo bene -.-
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 -School days- ***
Documento senza titolo
Capitolo 4
-School days-
Qualcuno mi stava chiamando, ero immersa in un sonno dolcissimo, non volevo aprire gli occhi, ma qualcuno iniziò a scuotermi.
-Vuoi deciderti a svegliarti?!- domandò una voce, ero ancora troppo addormentata per capire a chi apparteneva.
-No.- biascicai ancora addormentata. Sfido chiunque a voler aprire gli occhi dopo poche ore di sonno.
-Sono le otto, arriverai in ritardo e se non ti sbrighi non potrai nemmeno fare colazione.- disse Julie, finalmente stavo uscendo dal torpore e iniziavo a svegliarmi.
Aprii gli occhi e scattai a sedere. -Che succede?- domandai guardandomi intorno. -È tardi, se continui così puoi dire addio alla colazione perché non ne avrai più il tempo: sono le otto.- mi spiegò Julie.
-Okay, okay, mi alzo.- dissi scendendo dal letto.
-Io devo andare a lezione, alle otto e mezzo ho la prima ora.- mi informò mentre mi lavavo i denti. -Ci vediamo dopo.-
Biascicai con difficoltà una risposta e continuai a prepararmi. Dopo essermi pettinata e infilata la camicia corsi a fare colazione. Sembrava che la mia vita fosse una corsa continua. Arrivai in mensa, afferrai un paio di panini e della marmellata, poi presi un tè e mi misi seduta a un tavolo a caso e feci colazione senza dire niente, sbrigandomi a mangiare:dovevo ancora passare in segreteria a vedere che corsi avevo. Finii di mangiare il panino con la marmellata e mentre masticavo tolsi velocemente la bustina di tè dall’infusione e ci aggiunsi dello zucchero. Mentre mescolavo con cucchiaino per farlo sciogliere nell’acqua del tè si formò un messaggio: era come vedere una scritta sul fondo di un lago, bisognava aspettare che le increspature sparissero prima di riuscire a capisci qualcosa. Attesi pazientemente.
-Cerca di non fare troppo tardi.-
Era uno scherzo? Per colpa di chi facevo tardi?!
Bevvi il tè ignorando il messaggio, al diavolo Nettuno e le sue diavolerie! Perché non rompeva le scatole a qualche altra sirena? Posai la tazza in modo quasi violento e corsi fuori dalla mensa, in direzione dalla segreteria. Feci praticamente irruzione spalancando la porta, da dietro il banco , accanto alle scale che portavano al piano superiore, una donna dall’aspetto severo alzò lo sguardo a incontrare il mio.
-Buon… buon… buongiorno.- riuscii a dire alla fine, reggendomi alla porta e tentando di riprendere fiato.
-Buongiorno.- disse quasi alzando in naso, palesemente disgustata da un simile comportamento. -La signorina Jefferson immagino.-
Respiravo a fatica perché avevo il fiatone, era un ottima scusa per non rispondere perché non sapevo se quello era il mio cognome, ne avevo cambiati troppi, ormai non li ricordavo più.
-Cosa?- domandai riprendendo fiato e alzandomi, ero piegata in due con le mani appoggiate alle ginocchia..
-Lei è la signorina Isabelle Jefferson?- domandò di nuovo la segretaria.
Feci segno di no con la testa, il mio nome non era mai cambiato anche se il cognome cambiava di continuo.
Lei guardò sui fogli sulla scrivania, cercando qualcosa -Allora deve essere la signorina Brine, Grace Brine.-
-Si, sono io.- risposi, ormai riuscivo a respirare normalmente e a stare tranquillamente in piedi.
-Il preside l’aspetta con il suo programma di studi.- >mi informò. -Il suo ufficio è al primo piano, porta davanti alle scale. Bussi due volte.- disse afferrando il telefono e premendo un tasto mentre io salivo le scale per avvertire il preside che ero arrivata.
Salii le scale di marmo bianco, appoggiando la mano alla corrimano di mogano ben levigato, arrivata al secondo piano bussai alla porta di legno scuro che era di fronte alle scale.
Un uomo con un completo elegante nero mi aprì la porta, aveva i capelli neri con delle striature grigie, ordinatamente sistemati all’indietro, così da lasciare scoperto il volto. L’uomo non dimostrava più di quaranta anni e aveva dei brillanti occhi grigi, svegli e intelligenti e delle sopracciglia sottili, era molto alto, almeno un metro e ottanta e un fisico robusto ma asciutto. Mi fece cenno di entrare con un gesto.
La stanza era ampia, piena di scaffali addossati alle pareti di destra e un ampia libreria che era sulla parete di sinistra, il pavimento era ricoperto dalla mochette beige e l’ampia scrivania di mogano era davanti alla finestra che dava sull’esterno.
L’uomo mi indicò la sedia di fronte alla scrivania.
-Benvenuta alla Sant Mary accamedy.- esordì con un sorriso. -Io sono il preside Jean-Clode DuPree. Puoi chiamarmi J., tutti i ragazzi possono chiamarmi J.- si presentò in tono amichevole.
-Si, signor preside.- risposi presa in contropiede, non mi aspettavo una persona tanto gentile. La mia faccia doveva esprimere la mia sorpresa perché il preside (o J che chiamar si voglia) mi chiese curioso -Sembra molto sorpresa. Come mai?-
-Ecco…- iniziai cercando le parole giuste. -Io… non pensavo che… insomma lei… che questo posto…- non sapevo come spiegarmi.
-Non si immaginava che fossi così… amichevole.- mi venne in aiuto il preside.
-Quando ho sentito le parole “collegio cattolico” ho immaginato un posto dalle regole molto rigide dove tutti gli insegnanti avevano un aspetto e un modo di fare austero, tipo medievale.- ho confessato con gli occhi bassi.
Lui rise divertito. -Si, lo pensano tutti. E ora dopo un giorno che pensa?-
-Non lo so, devo ancora farmi un opinione.- risposi sempre con sincerità.
-Bene.- bisbigliò con gentilezza. -Vedrai che ti piacerà. Comunque la finzione delle sei è obbligatoria, inclusa la lezione di religione che comunque si tiene solo una volta a settimana.-
-Va bene.- feci cenno di si con la testa soprappensiero. -E per le altre lezioni?-
Lui prese una scheda che era sulla scrivania, l’aprì e ci diede un occhiata veloce, poi si mise a scartabellare con il computer e alla fine mi diede un programma dicendo -Per letteratura l’ho messa nel programma avanzato, ha due corsi di cui uno è letteratura straniera, anche per quello ho scelto il programma avanzato. Per la lingua straniera ho scelto l’italiano, è molto difficile, ma nella sua scheda c’è scritto che il tedesco lo conosce gia e non serve chiederle dell’inglese. Oltre a quello ha matematica, fisica, chimica, biologia e storia, visto che è al terzo anno ha ancora educazione fisica, dal prossimo anno può scegliere se farla o meno. Se vuole ai suoi corsi puossono essere aggiunti arte e letteratura moderna.-
Sorrisi: arte? Letteratura moderna? Ma scherziamo.
-Io… preferirei qualcosa di più… fisico. Tipo ginnastica artistica, canto o danza.- dissi un po’ incerta.
-Abbiamo dei club scolastici per queste cose, se vuoi puoi iscriverti.- rispose con un sorriso cordiale.
-La ringrazio.- bisbigliai accennando un inchino con la testa.
-Ora puoi andare, ci vedremo alla messa delle sei.- disse con un sorriso.
Mi alzai senza più dire niente e lui si alzò con me come un perfetto gentiluomo, io me ne andai senza dire niente, aprendo la porta mi trovai davanti a una ragazza bionda e alta, bellissima, con la pelle chiarissima, e due splendidi occhi azzurri. Erano chiari, ma di una tonalità strana, come se fossero metallizzati, un po’ come quelli di Julie. Guardandola mi resi conto che al contrario di me, a lei l’uniforme stava da favola.
-Isabelle, ben venuta. Ti stavo aspettando.- il preside dietro di me la salutò con calore, mi voltai un attimo a fissarlo, distogliendo lo sguardo da lei. -Non conosci ancora la signorina Brine, vero?-
Mi voltai verso di lei e mi accorsi che mi fissava con interesse e freddezza, come di solito si guarda un animale raro, interessante e possibilmente pericoloso. Rimasi sorpresa e lei se ne accorse e si riscosse subito, riprendendo totalmente il controllo delle proprie espressioni, e mi tese la mano con un sorriso amichevole. Erano passati pochi minuti, ma a me sembrava fosse passato un infinità.
-Piacere di conoscerti, io sono Isabelle Jefferson, la presidentessa dell’associazione studentesca, piacer di conoscerti.- la sua mano sembrava sottile e delicata, ma quando la strinsi era forte e fredda.
-Piacere, io sono Grace Brine.- le sorrisi cordiale. Che fosse un vampiro? Impossibile, non in pieno giorno! E poi, infondo, era abbastanza freddo, la temperatura delle sue mani non era rilevante. Ritirai la mano e la misi in tasca, mentr un brivido gelido mi attraversava: quella ragazza non mi piaceva.
-Bene.- disse giovialmente il preside. -Sono felice che vi siate conosciute. Isabelle, ti affido Grace.-
Mi voltai a guardarlo, per niente felice: pessima, pessima idea! Non so perché ma quella ragazza, proprio quella ragazza, non mi piaceva per niente. Non so se fosse perché lei era l’incarnazione di tutti gli stereotipi di perfezione moderni, oppure perché dietro il suo sguardo apparentemente gentile si nascondevano oscure ombre, ma comunque non mi ispirava fiducia.
Gli sorrisi forzatamente, poi chiesi. -Come faccio a trovare le aule?- dubitavo di riuscire a ricordarmi dove erano quelle che ieri mi aveva fatto vedere Chantal e comunque non erano tutte.
-Oh, si certo!- rispose il preside, come ricordandosi all’improvviso di qualcosa. Andò alla scrivania e prese un foglio dove erano indicate le aule dei corsi e sul retro era disegnata una piccola mappa. Mi congedai dal preside e dalla presidentessa con un saluto veloce e corsi in aula per la prima ora di matematica.
Corsi più velocemente possibile verso l’edificio e mi diressi nell’aula di matematica al secondo piano. Feci le scale di corso e quando arrivai non mi reggevo in piedi, di nuovo: odio correre! Arrivai davanti alla porta chiusa e mi paralizzai un attimo, nella mia mente si stava formando l’analogia “porta chiusa = ritardo”. Nella mia testa riapparve come in un sogno la frase che Nettuno mi aveva inviato nella tazzina di tè: “Non fare troppi ritardi!”. Dannatamente predittivo.
Ero incerta se entrare o bussare e poi entrare. Optai per la prima idea ed aprii la porta facendo un paio di passi dentro, la professoressa: una donna con i capelli corti color caramello e gli occhi nocciola, con la stessa sfumatura di quelli di Isabelle e Julie: che cosa ci mettevano nel cibo francese per far venire un colore simile negli occhi?
Sentii gli occhi di tutta la classe fissi su di me, ma preferii tenere i miei fissi sulla professoressa che si alzò con eleganza dalla sedia dietro alla cattedra e venne verso di me con un sorriso gentile, il che mi rincuorò un po’.
-Cosa posso fare per lei signorina…?- chiese con voce melodiosa.
-Grace Brine. Questa è l’aula di matematica?- chiesi incerta, con il bruciante desiderio di sotterrarmi sotto terra o di sparire nelle profondità dell’oceano. La seconda era più facile della prima.
-Si, esatto. Lei è la nuova arrivata.- costato controllando il computer che era adagiato sulla cattedra. -La aggiungerò al registro. Bè, benvenuta nella mia classe. Può prendere posto…- iniziò alzando lo sguardo, mi voltai a guardare la classe: era composta da almeno una trentina di banchi messi come tessere del domino, cioè due attaccati, poi uno spazio, poi altri due. Le file in longitudinale erano composte da tre agglomerati di banchi e verticalmente erano almeno cinque file. -… all’incirca al centro della classe, accanto alla signorina De la Cur.- concluse con un sorriso. Mi avviai mentre la professoressa diceva -Signorina Brine non arrivi più in ritardo, stavolta passa solo perché era dal preside.-
Mi voltai. -Si, mi scusi.- il tono sottomesso e contrito, ero una sirena, ero brava a modulare la voce.
Sorrise con dolcezza. -Non si faccia distrarre da Violette.-
-Non la distrarrò.- promise una voce familiare, mi voltai e vidi che il mio banco era quello accanto a lei e i restanti due accanto a noi erano occupati da Julie e Chantal, che mi salutarono con un sorriso.
-Non mi fido molto. Sei a metà classe, è difficile vedervi.- fece pensierosa la professoressa, accompagnandomi al mio posto.
-Non si preoccupi, la terrò d’occhio io.- le promise Julie e lei sembrò rincuorata e tornò alla cattedra.
La fissai sorpresa, non mi aspettavo che Julie, che ieri era in ritardo con i compiti, avesse tanto credito presso la professoressa.
-È mia madre.- bisbigliò a voce bassissima. Julie, rispondendo alla domanda che mi lesse negli occhi.
La lezione iniziò e io riempii due fogli di appunti, senza però realmente capire il significato di ciò che diceva, quando andavo a scuola adoravo la matematica e mi piacevano molto le ore di lezione ma ormai era da troppo tempo che non la studiavo e non ricordavo quasi niente di tutto quello che avevo imparato. Alla fine della lezione decisi che avrei costretto Chantal a spiegarmi per bene tutta quella roba.
Quando la campanella suonò rimasi seduta mentre gli allievi si affrettavano ad uscire, rimisi nella mia cartella il blocco appunti e lessi l’orario delle lezioni: avevo chimica, due lunghe e deprimenti ore. L’orario delle lezioni sembrava infinito, mi sentivo male solo a guardarlo. Fortunatamente, anche se nella mia scheda non c’era scritto, sapevo anche l’italiano, non bene come le altre lingue, ma mi avevano obbligato a imparare anche quello.
-Ora cosa ti tocca?- chiese Violette incuriosita.
-Chimica.- risposi meccanicamente, con una punta di tristezza, alzandomi dalla sedia per raggiungere l’aula.
-Strano che ti abbia affibbiato tutti questi corsi.- disse Julie guardando il mio orario, la sua voce squillante era pensierosa.
-Che vuoi dire?- domandai.
-Bè, solitamente questi corsi si scelgono, sono facoltativi. Certo, alla fine della scuola devi averli fatti più o meno tutti, ma hai altri quattro anni, e chimica dura solo due. Non dovresti averla a meno di non averla scelta.- mi spiegò con voce neutra. -Comunque ne sono felice, ci sono anch’io in quel corso e mi manca giusto una compagna.- concluse con un sorriso.
-Mi prenoto!- esclamai allegra, alzando la mano.
-Sei accettata.- rispose lei prendendomi a braccetto e conducendomi al primo piano. Salutammo Chantal e Violette sulla scala perché le loro lezioni erano al secondo piano e continuammo a chiacchierare finché non arrivammo in classe. Il professore non fece obbiezioni sul fatto che diventassi la compagna di banco di Julie e lei sembrava felice.
Il professore era un uomo vecchiotto, sulla cinquantina, con i capelli bianchi, alto e mingherlino, che indossava un camice bianco e ti fissava con una strana espressione.
Mentre ascoltavo quello che diceva il prof mi venne mal di testa, non ci capivo un tubo! I miei appunti erano composti da un insieme di disegni, perché al contrario della professoressa di matematica, il prof di chimica era molto meno chiaro e spiegava molto peggio. Alla fine della lezione tutto quello che volevo era rinchiudermi in camera e fare finta che la chimica non esistesse.
Fortunatamente le due ore di letteratura furono molto migliori, la professoressa era una donna sulla cinquantina, vivace e sveglia, e spigava benissimo, senza contare che ero nuovamente finita in classe con Julie e Chantal. Quelle di fisica invece furono da suicidio, un suicidio che affrontai totalmente da sola, il che mi fece anche capire che in fisica avrei avuto seri problemi, perché nessuno mi avrebbe dato una mano spiegandomela, dato che il professore si limitava a dire cose incomprensibili, era un uomo anziano, con i capelli bianchi che secondo me avrebbero dovuto mandare in pensione gia da un pezzo.
Quando la sera tornammo in camera, dopo la fine delle lezioni, Chantal e Julie con molta pazienza mi spiegarono tutto quelle che non mi era chiaro, fortunatamente erano molto brave e pazienti e in poco tempo riuscii a finire tutti i compiti. Entrambe mi lasciarono i loro appunti, che però decisi di guardare il giorno dopo, con calma.
Alle sette e mezza andammo a cena, Violette non era ancora tornata, la trovammo in mensa, circondata da un gruppetto di persone, quasi tutti ragazzi. Le tirai un occhiata mentre passavo a metà tra l’incredulità e l’ammirazione, lei la intercettò e si limitò a farmi l’occhiolino prima di tornare alla conversazione con un ragazzo, piuttosto alto e bello, di almeno un paio di anni più grande.
Alla mensa presi una fetta di pizza e delle patatine, insieme a una sprite, poi mi misi a sedere con le ragazze. Julie guardò il mio piatto è bisbigliò qualcosa tipo -Americani!- tagliando con noncuranza un pezzo del suo arrosto prima di addentarlo. Chiacchierammo del più e del meno, Chantal non riusciva a sopportare il silenzio, probabilmente perché quando niente occupava la sua mente, i suoi pensieri correvano inevitabilmente agli omicidi del giorno prima.
-Violette fa sempre così?- domandai, addentando la mia pizza.
-Si, lei si diverte molto a stare con i ragazzi.. In realtà si diverte con i ragazzi in modi non appropriati a mio parere, ma ognuno è libero di fare ciò che vuole.-
-Di che parlate?- domandò il ragazzo che avevamo visto il giorno prima sedendosi accanto a Chantal.
-Niente di che .- disse con indifferenza Julie, che aveva gia smesso di mangiare la cena, nonostante avesse solo dato un paio di morsi alla carne.
-Non mangi altro?- domandai un po’ sorpresa.
-Non mi va niente…educazione fisica mi fa questo effetto.- scherzò con un sorriso.
-Come è andata la tua giornata Jean-Christohpe?>>domandò cortesemente Chantal.
-Abbastanza bene, grazie. E tu come stai?- chiese lui con un velo di preoccupazione negli occhi.
Chantal abbassò lo sguardo -Meglio.- bisbigliò guardando il tavolo.
Decisi di cambiare discorso. -Posso chiamarti Chris?- domandai al ragazzo -Jean-Christohpe è piuttosto lungo.-
Lui si voltò verso di me con un sorriso un po’ tirato. -Davvero americano.-
-Avete qualcosa contro gli americani?- domandai incorciando le braccia in un atteggiamento di sfida.
-No, no.- si affettò a rispondermi -Chris va bene.-
-Bè.. allora sabato usciamo giusto? Che facciamo?- chiesi con entusiasmo, qualunque cosa mi portasse lontano dalle lezioni in quel momento andava bene, anche se dovevo comunque investigare sui vampiri… Perché non potevo avere un po’ di pace in questa mia caotica esistenza?
-Gia stanca delle lezioni?- domandò Violette prendendo posto accanto a me.
-Si.- confessai -Non ho mai amato molto studiare.-
-Come ogni persona normale.- proseguì lei per me.
-Sabato andiamo in città e prendiamo un treno per Lione, i miei hanno una casa in città, possiamo stare lì.- disse Chantal -Al preside va bene, devi solo far chiamare i tuoi perché diano il permesso.-
Sospirai, una lunga chiacchierata con Nettuno aspettava solo me.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 -Hello- ***
Capitolo 5
Capitolo 5 -Hello-
Sabato arrivò velocemente e finalmente riuscii ad alzarmi alle nove (gli altri gironi avevo dovuto alzarmi alle otto), visto che la lezione di matematica era alle dieci. Quando mi alzai, dopo essere andata in bagno, mi recai stancamente a fare colazione dopo aver indossato la divisa. Le ragazze erano ancora a letto, nessuna di loro aveva voglia di alzarsi, ma erano tutte sveglie. Andai a fare colazione, la mensa era quasi deserta, mangia velocemente qualcosa prima di dirigermi in classe.
Durante la settimana non avevo fatto amicizia con molte persone, per lo più con qualche ragazza che mi aveva presentato Chantal. Julie se ne stava quasi sempre da sola o con dei ragazzi, un gruppetto di cui faceva parte anche la rappresentate degli studenti di cui non ricordo il nome, che io evitavo. Violette era perennemente in compagnia di un ragazzo, ma non sempre lo stesso e quindi non ero interessata a stringere amicizia con il mal capitato di turno.
Arrivai davanti l’aula con la voglia di essere fuori, sdraiata all’ombra di un albero, avvolta dal tepore del sole, invece che lì a fare matematica. Almeno, visto che ero in anticipo potevo sedermi a leggere un libro… La luce del sole entrava dalle finestre, luminosa e silenziosa, illuminando l’aula semi vuota. Infatti, anche se all'inizio non me ne ero accorta poi mi resi conto che c'era un ragazzo nascosto nell'ombra.
Appena entrai si voltò nella mia direzione e io mi pietrificai, anche se solo per un istante, perché era bellissimo, ma i suoi occhi erano freddi... incredibilmente freddi. Occhi azzurri intensi, sembravano metallici come quelli di Julie, capelli biondi come il grano, lunghi un pò più del normale, gli ricadevano scomposti sulla pelle chiarissima. I tratti del viso erano bellissimi e armoniosi, leggermente squadrati, e al contempo leggermente femminei. L'uniforme blu gli dava un'aria elegante e vagamente sofisticata, sottolineando il fisico asciutto e ben temprato, al contrario di me che faceva sembrare una mascot di una squadra di baseboll liceale.
Il suo sguardo mi percorse da capo a piedi, sembrava incredulo e scioccato. -Tu…tu che…ci fai qui?- la sua voce era un sussurro dolce e triste.
-Sono qui per la lezione.- risposi confusa, non riuscivo a comprendere il perché di quel comportamento.
Lui sgranò gli occhi per un istante, poi abbassò la testa. Mi avvicinai e gli sfiorai un braccio per attirare la sua attenzione: -Stai bene? Ti senti male?- chiesi un po’ preoccupata.
Lui mi afferrò la mano e sentii il suo pollice accarezzarne il dorso un'unica volta, poi la lasciò e si allontanò appoggiandosi ad un banco.
Continuava a evitare il mio sguardo, quando alzò il volto i nostri occhi si incrociarono e lui mi fissò in modo curioso e distaccato, era come se non fosse ancora sicuro di quello che vedeva e non volesse lasciar trapelare alcun emozione. Infine mi sorrise e lo sguardo si addolcì un poco, ma improvvisamente divenne anche arrogante e impenetrabile.
-Credo tu abbia sbagliato aula, matricola, ti sei persa?- domandò con la sua voce profonda, melodiosa e fredda.
Matricola? Persa? Però che cambio di direzione! Come era successo? Mi ero persa qualcosa? -Io non sono una matricola.- gli risposi ancora un pò confusa. Ma quello era in classe con me? E che cosa gli era preso d’improvviso?
Lui alzò le sopracciglia vagamente confuso. -Di che hanno sei?- chiese soprappensiero, valutando qualcosa, lo sguardo perso nel vuoto.
-Sono al terzo anno.- risposi con tranquillità, ancora sorpresa per il cambio repentino di comportamento.
Lo sguardo che mi rivolse era a dir poco scioccato. -Al terzo anno? Sul serio? Pensavo fossi al primo.- pronunciò le parole con un certo divertimento, quasi per prendermi in giro o per prendere le distanze.
Mi irrigidii. -Invece sono al terzo!- dissi con tono irritato.
Lui alzò un sopracciglio, poi scoppiò a ridere divertito dalla mia reazione, in quello non c’era niente di calcolato. -Ma come siamo permalose, ragazzina!- mi prese in giro.
-Senti un pò moccioso! Come ti permetti?!- scattai, la faccia rossa di rabbia. Ragazzina a me? Avevo un secolo, io!
Lui rise ancora di più, avevo voglia di prendere a pugni quel suo bel viso! Davvero e stavo per farlo, per la prima volta in vita mia avrei preso a pugni qualcuno e al diavolo il resto! Ma quando alzai il pugno lui mi fermò bloccandomi il polso in una presa ferrea.
-Scusa, davvero.- disse sorridendo. -Ma eri un amore, non sono riuscito a trattenermi.-
Lo fissai ancora più rossa, a causa dell'imbarazzo stavolta, totalmente senza parole.
Il suo sorriso si fece più ampio. Mi lasciò il polso, poi mi mise un dito sotto il mento facendomi alzare la faccia, mi baciò lievemente le labbra.
-Per scusarmi, principessa.- bisbigliò, poi si allontanò e uscì dall'aula mentre io me ne stavo impietrita a fissare il vuoto, il mio cervello assolutamente fermo a pochi istanti prima.
Que... que... quello era... era il mio... il mio... PRIMO BACIO!!!!
Avevo voglia di gridare, ma Julie entrò nell'aula sbadigliando e mi guardò con aria sorpresa dopo avermi visto. -Che succede?-
Aprii bocca un paio di volte, ma non riuscii a dire niente. Alla fine mi misi seduta e fissai la lavagna con la mente totalmente vuota, Julie continuava a guardarmi confusa.
Il ragazzo di prima rientrò con un libro, posai lo sguardo su di lui e lo fulminai, mi alzai dalla sedia battendo le mani sul banco.
-Tu!- iniziai, ma Julie mi afferro per una spalla, fermandomi.
-Che cosa le hai fatto Hanry?- domandò con aria di rimprovero.
Lui si finse offeso. -Io?- chiese con innocenza e incredulità.
-Si, esatto, TU!- sottolineò il "tu" in modo molto chiaro che mi fece sorridere.
-Io non ho fatto niente... di male alla piccola...?- chiese voltandosi verso di me.
-Grace! Grace Brine!- risposi tra i denti, avevo davvero voglia di picchiarlo.
Lui mi guardò con rinnovato interesse. -Sei nuova, giusto?- domandò con gentilezza. Dove diavolo era la sua gentilezza dieci minuti fa???
-Si, ma non è un buon motivo per...- non terminai la frase, arrossii violentemente e distolsi lo sguardo da lui imbarazzata.
La professoressa entrò e noi ci mettemmo seduti. Hanry si sedette dietro di me, sentivo il suo sguardo sulla schiena e mi innervosiva.
-Oh, continuate pure ragazzi. Mancano ancora 15 minuti prima della lezione.- disse con un sorriso, era una donna davvero gentile, la professoressa migliore dell'istituto. In quel momento però avrei preferito che fosse un po’ più severa.
Non mi mossi, pensavo fosse meglio restare dov'ero.
Hanry si avvicinò da dietro e mi disse. -Io sono Hanry Ororo, piacere principessa.- il suo tono di voce aveva un che di sarcastico.
-Mi chiamo Grace.- non avevo mai avuto un tono tanto velenoso in vita mia.
-E' un nome splendido.- continuò ignorando tutto il vetriolo presente nella mia voce. -Grece, vuol dire grazia. Dovresti tentare di essere all'altezza del tuo nome, principessa.- concluse con gentilezza, come se cercasse di farmi un complimento.
-Smettila di chiamarmi principessa!- sbuffai girandomi.
Lui mi guardò sorridendo. -A me sembra un soprannome carino.-
Volevo tirargli uno schiaffo, ma c'era la professoressa e non mi sembrava il caso.
-Smettila Henry.- l'avvisò Julie, sembrava molto seria, era come se qualcosa le desse profondamente fastidio.
Lui la guardò di sottecchi. -Stiamo solo scherzando.-
Uno schiaffo! Uno solo! Vi prego!
-A me sembra che tu la stia solo irritando!- ribatté prontamente Julie. Sembrava però che lo dicesse più per rabbia verso Hanry che per venire in mio aiuto.
-Che succede?- mi chiese Violette, non mi ero nemmeno accorta che era arrivata.
-Niente!- risposi a denti stretti, ancora irritata.
Violette guardò incuriosita Hanry, che la ignorò e la cosa mi sorprese, di solito i ragazzi sgomitavano per parlare con lei. Chantal prese posto accanto a Julie sbadigliando e tirò fuori il quaderno, poi si voltò a chiedermi -Sicura di non voler venire con noi?-
Scossi la testa sconsolata, reprimendo la rabbia verso il mio maleducato compagno di classe e risposi con il tono più calmo possibile -Devo rimettermi in pari.-
In realtà era una scusa, Nettuno mi aveva fatto notare che allentandomi non avrei potuto indagare sui vampiri e io avevo ceduto: il dovere prima di tutto, anche se con molto rammarico.
La professoressa iniziò la lezione e a me arrivò un bigliettino da parte di Violette.
*-Che voleva Ororo?-*
Fissai il foglietto interdetta, che gli rispondevo? Optai per la sincerità e scrissi:
*-Rompermi le scatole!-*
Lei lesse la risposta e mi fissò sorpresa.
-Lui non parla mai con nessuno!- bisbigliò.
Ora toccava a me essere sorpresa, anzi sbalordita. -Cosa?- chiesi incredula, tentando di tenere la voce bassa.
-Si lui...-
-Signorina De la Cur, signorina Brine, la mia lezione vi annoia?- ci riprese la prof.
-Ci scusi.- facemmo il coretto e ci concentrammo sulla lezione, o meglio io mi concentrai, mentre Violette continuava a guardare Hanry.
Quando la lezione fu finita io corsi fuori e mi fermai ad aspettare le altre, Julie e Chantal arrivarono quasi subito ma di Violette non c'era traccia e quando le guardai con aria interrogativa Chantal alzò gli occhi al cielo esasperata e Julie mi fissò seccata.
-Sta parlando con Hanry.- era la prima volta che Julie era irritata con Violette per via di un ragazzo.
-Una bella coppia.- assentii ancora seccata per il comportamento di quel tipo.
-Ti sbagli!- replicò con rabbia la mia amica, quel giorno i suoi capelli ricci erano sciolti e lei ricordava vagamente un leone. -Hanry non è il tipo di ragazzo frivolo che credi! Non è come Violette! Non è il tipo che pensi! Non lo è affatto!-
Rimasi scioccata, non tanto perché quello che "non" doveva essere un ragazzo frivolo mi aveva baciato meno di tre ore prima con assoluta indifferenza nonostante fossi un estranea, ma perché Julie non aveva mai prima di quel momento, perso le staffe. Era sempre stata calma e tranquilla, sembrava inoffensiva, ma in quel momento invece mi apparve almeno un po’ pericolosa, anche se non saprei bene dire il perché.
-Scusa... non volevo offenderti. Ma... - temevo di porre quella domanda. -... per caso lui è... il tuo ragazzo?- dì di no, non voglio dirti che tre ore fa ti ha tradito!
-No, ovviamente!- disse lei scuotendo la testa. -Ma è un mio amico di vecchia data, per così dire.-
-E hai un debole per lui?- azzardai, sempre cauta.
Julie mi fissò quasi disgustata -Assolutamente no!-
Feci cenno di si con la testa, lieta della notizia.
-Io mi avvio, Violette ci mette sempre una vita.- fece Chantal, per niente toccata dal comportamento della nostra amica. -Vieni Julie?-
Julie scoccò un occhiata preoccupata alla porta e io dissi. -Io non devo fare i bagagli quindi resto ad aspettare Violette, poi vi raggiungiamo.-
A quel punto fui io a guadagnarmi un occhiata preoccupata, e non capii sinceramente, ma sostenni il suo sguardo con serenità.
-Va bene.- bisbigliò, quasi con amarezza.
-Verremo appena esce.- tentai di rassicurarla.
Lei fece un cenno d'assenso e si girò avviandosi per le scale, Chantal e io ci scambiammo un occhiata confusa, del tipo:che accidenti sta succedendo? Poi seguì velocemente Julie giù per le scale.
Tirai fuori una bottiglia d'acqua dallo zaino e ne bevvi un sorso, appoggiandomi al muro, mentre aspettavo pazientemente Violette. Neanche cinque minuti dopo lei corse fuori dall'aula in lacrime e si precipitò al piano terra senza nemmeno notarmi. Io rimasi un attimo esterrefatta a guardarla prima di entrare in classe a scambiare due paroline con Ororo.
Lui era ancora al suo banco, il sole gli illuminava tenue la mano, i raggi entravano molto meno direttamente ora che era mezzogiorno. Mi avvicinai con passo tranquillo, anche se il mio cuore batteva un pò forte.
-Domanda.- esordii quando fui davanti al suo banco, lui alzò gli occhi che erano fissi sul suo zaino nel quale stava riponendo i libri -Un ragazza parla con te, è tranquilla, sorridente, e meno di venti minuti dopo la vedo uscire dalla classe piangendo...che cosa è successo?-
Serrò le mascelle. -Non sono affari tuoi Grace.-
-Oh, devo irritarti per farti usare il mio nome, lo terrò a mente!- dissi con fare pensieroso e provocatorio.
Lui scosse la testa, ma gli sfuggì un sorriso. -Io e la tua amica non andiamo d'accordo, dovrebbe starmi alla larga, a me non piacciono i tipi come lei.- mi fissò intensamente, ma io evitavo di guardarlo negli occhi, fissavo invece le sue mani: aveva le dita lunghe e affusolate, sarebbe stato un ottimo pianista.
-Questo è un tuo diritto.- assentii alzando lo sguardo, lui mi fissò sorpreso. -Tutta via hai esagerato.-
-La tua amica non capisce il significato della parola no.->riprese lui con decisione
-Ha un nome... "la mia amica"... è Violette!- gli feci notare con una certa dose di irritazione.
-Oh... Immagino lo conoscano molti ragazzi.-fu il suo commento.
Stappai la bottiglia e gli vuotai il contenuto addosso. -Sei un idiota!- detto ciò mi voltai e me ne andai, lasciandolo lì totalmente sbalordito.
Quando arrivai nella nostra stanza Julie e Chantal avevano gia fatto le valige e ora stavano preparando anche quella di Violette che si era rinchiusa in bagno. Bussai piano alla porta e lei l'aprì, si era appena rimessa il trucco, ma aveva gli occhi ancora lucidi.
L'abbracciai. -Lascia perdere quel cretino!- tentai di consolarla -Non merita che tu ci rimanga così male.- conclusi
Violette scoppiò a piangere tra le mie braccia e io la strinsi con dolcezza bisbigliandole nell’orecchio -Quell’idiota! Ho fatto bene a fargli la doccia!- in tono fiero.
-Cosa?- domandarono sbalordite Violette, le cui lacrime si fermarono per via dello sciock e Julie insieme. Mi chiesi come avesse potuto sentirmi Julie che era dall'altra parte della stanza.
-Gli ho tirato l'acqua della mia bottiglietta addosso.- spiegai con un sorriso, Violette mi abbracciò e mi bisbigliò nell'orecchio -Sei un amica!- mentre Julie continuò a fissarmi stralunata.
Dopo che le valige furono pronte le accompagnai all’uscita e le salutai con un abbraccio, poi corsi in camera e mi cambiai, finalmente potevo indossare un paio di jeans! Scelsi una maglietta azzurra da abbinarci perché sinceramente l’idea di indossare un'altra camicia mi faceva rabbrividire. Dopo di che gettai le scarpe in un angolo e mi misi i miei amati stivali, poi corsi in mensa, prima che il turno per pranzare finisse.
Irruppi nella stanza, senza tanti complimenti, non c’era quasi nessuno, solo qualche studente qua e la con ancora la divisa addosso, per lo più erano ragazzi più grandi di me. Andai spedita a tavolo per prendere un piatto e servirmi il pranzo, passando accanto a un tavolo, però, qualcuno mi bloccò afferrandomi il polso. Mi voltai di scatto e mi trovai davanti a Hanry, di nuovo. Non lo avevo nemmeno visto! Illuminato dai raggi del sole era bellissimo, mi incantava quasi, ma ero ancora troppo irritata con lui per poter essere gentile.
-Che vuoi? Lo sai che l’agguato è illegale in tutti gli stati del mondo?- la mia voce aveva una nota polemica, me ne accorsi solo in quel momento.
Lui sorrise, molto divertito. -Pensavo di offrirti il pranzo.- spiegò facendo cenno al vassoio davanti al suo, completamente intatto. Conteneva della pasta a forma di farfalle ai funghi, almeno quattro diversi tipi di formaggi e una bottiglietta di aranciata.
-Hai preso un vassoio per me?- ero più che sorpresa, ero sbalordita.
-Sono riuscito ad azzeccare i tuoi gusti?- domandò, il sorriso ancora più ampio, probabilmente a causa della mia espressione.
Rimasi in silenzio, pensando a come rispondere, non mi veniva in mente niente di tagliente o antipatico da dire. -Perché?- fu tutto quello che riuscii a farfugliare.
-Volevo chiederti scusa. Non avevo mai fatto arrabbiare così tanto qualcuno da farmi tirare dell’acqua addosso.>>spiegò, ma a me sembrò anche prendermi un po’ in giro.
-Julie ha molta pazienza.- constatai fissandolo.
-Che vuoi dire?- chiese preso in contropiede.
-Voglio dire che ti ha sempre sopportato senza tirarti niente addosso e per farlo occorre molta pazienza.- spiegai scrollando le spalle.
Sorrise nuovamente, un luccichio negli occhi azzurri, e mi invitò con un gesto a sedermi.
-Preferirei pranzare da sola.- risposi meccanicamente e sinceramente.
-Il cibo non è buono, se mangiato in solitudine.-replicò tranquillo lui.
-Meglio soli che male accompagnati.-fu la mia risposta, ma non potevo andarmene perché si ostinava a non lasciarmi il polso.
-Finché non pranzi con me non ti lascio.- ricattò.
Mi misi a sedere davanti a lui, che non mi lasciò il polso finche non presi in mano la forchetta. Iniziai a mangiare in silenzio, la pasta era deliziosa, mentre lui continuava a tenere le braccia stese sul tavolo, si era lasciato andare contro lo schienale della sedia, sembrava completamente rilassato e a proprio agio. Dopo un paio di forchettate, durante le quali lui se ne era stato in silenzio a fissarmi, lo avevo visto, allungai la mano per prendere la bottiglia di aranciata e intercettai il suo sguardo. Stavo iniziando seriamente a irritarmi.
-Puoi smetterla?- la richiesta fu proferita in tono assolutamente cortese.
-Ti da fastidio?- chiese con curiosità.
-A te darebbe fastidio se ti fissassero mentre mangi?- il mio tono di voce era misurato, neutro.
Lui scrollò le spalle e io presi un sorso d’aranciata, poi cercai il tovagliolo, che però non c’era. Mi alzai per andarlo a prendere, ma lui mi bloccò nuovamente il polso.
-Dove vai?- chiese preoccupato. Che accidenti voleva da me? Perché faceva così?
-A prendere un tovagliolo.- risposi con una certa sorpresa, non capivo per niente il suo modo di fare.
-Vado io.- disse lasciandomi il polso e alzandosi in piedi, mi tirò un occhiata tipo “non muoverti” e andò a prendermi un tovagliolo. Tornò porgendomelo e io lo presi senza dire niente, mi sentivo ancora scioccata.
-Tu hai bisogno di un bravo psichiatra.- bisbigliai ancora scioccata.
-Ma come? Io mi comporto da perfetto cameriere e tu mi offendi?- mi prese in giro, sorrisi.
-Tu… sei strano forte.-costatai a voce alta, con un sorriso di scusa.
-Me lo dicono anche i miei compagni di stanza.-assentì con un mezzo sorriso.
Abbassai gli occhi e fissai un piatto, poi infilzai un paio di farfalle e le mangiai ancora soprappensiero, mentre Hanry continuava a fissarmi.
Presi un sorso d’aranciata, mi era completamente passato l’appetito quindi posai la forchetta sul tavolo e lo guardai mentre lui mi restituiva lo sguardo, attento. Era decisamente uno dei ragazzi più belli che avessi mai visto, ma grazie a una certa preparazione riuscivo a non subire troppo il suo fascino, credo c’entrasse il fatto di essere una sirena.
-Violette dice che non sei solito dare confidenza alle ragazza.- esordii, la mia voce esprimeva una certa curiosità.
-Non mi interessano molto.- confermò con un sorriso.
-Allora che c’è di diverso in me?- chiesi con tono ragionevole. Non è che volessi cacciarlo o allontanarlo… è solo che non lo volevo intorno.
Lui abbassò lo sguardo sul tavolo restando in silenzio, poi lo alzò a guardarmi e io mi pietrificai. Avevo uno sguardo dolce e nostalgico insieme, sorrideva in modo gentile, quasi tenero e allo stesso tempo triste, come se pensasse a qualcosa di doloroso e bello.
In quel momento provai qualcosa di irresistibile.
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