Rieccomi
qui dopo qualche mese di assenza… a causa di vari motivi (matrimonio in
primis <3) sono stata un po’ lontana dalla scrittura… non sono
più produttiva come un tempo, ma la passione è rimasta e anche la
voglia di portare avanti le idee. Quindi sarò più lenta, ma produrrò
comunque!!
Per
quanto riguarda questo capitolo… non aspettatevi grandi cose XD Nel
senso… è un capitolo molto pieno di riflessioni e dialoghi. È un
confronto fra Makoto e Gakuto Igawa (personaggio che io adoro!) e le
loro riflessioni serviranno per il seguito effettivo della storia, che
sarà molto più movimentato e complesso. Tramite Gakuto, Soda farà delle
riflessioni alle quali mi aggancerò in seguito. Per Igawa ho in mente
una storia parallela, che spero di scrivere più avanti. Qui presento il
personaggio e parlo tanto di lui… tanto XD Magari potrà sembrare un
capitolo noioso, ma è essenziale ai fini della trama.
Lettrici avvisate…. XDDD
Non
avremo Louis in questo capitolo, ma nel prossimo ci sarà un extra su
lui e la madre che vi farà capire numerose cose!! ^_^
Per
chi non lo sapesse Gakuto Igawa è un giocatore che appare nel Golden
23, ha 22 anni, è giapponese ma ha vissuto per anni in Argentina, dove
aveva una moglie che però è morta dando alla luce la loro figlia Lisa.
Spronato da Minato Gamo, torna in Giappone per giocare in Nazionale per
le Olimpiadi insieme ai ragazzi della Generazione d’Oro. Ha un
carattere apparentemente arrogante e aggressivo, si infervora
facilmente e per questo liga spesso con Makoto Soda. In verità nasconde
una grande fragilità e sente il peso del confronto col Fratello Hayato
Igawa, capitano della Nazionale Maggiore.
Grazie
a chi mi segue ancora e a chi mi seguirà <3 Grazie a voi che
amate i due testoni di Makoto&Louis <3
Grazie a Soltanto una Fenice per il betaggio <3
Vi
voglio bene!!!
Releuse
DisSimile: Intermezzo
Il
traversone scavalcò la linea di metà campo invadendo l’area di rigore
avversaria. Gakuto Igawa seguì la parabola disegnata dal pallone,
cercando l’istante giusto per intercettarlo. Purtroppo il vento non
soffiava a suo favore, ma il sole alle sue spalle, a quell’ora
particolarmente fastidioso, sarebbe stato sicuro ostacolo per i
giocatori avversari. All’improvviso Igawa staccò da terra e,
con un’ottima elevazione, realizzò un potente dangan clear*,
che però non raggiunse mai il compagno al quale era
destinato. Makoto Soda aveva stoppato la palla, frenando l’azione
partita da un contropiede.
“Di
qui non si passa, tuttocampista*.”
Il
ghigno soddisfatto del kamisori fighters fece
ardere il desiderio di rivalsa di Igawa, il quale sarebbe stato pronto
ad avventarsi sull’altro per recuperare il pallone se il suono forte e
prolungato di un fischietto non lo avesse deconcentrato.
“Soda,
Igawa!” Uno dei terzini dei Gamba Osaka raggiunse i due giocatori
“L’allenatore vi sta chiamando da un pezzo!”
Makoto
e Gakuto si guardarono intorno, notando che i compagni avevano rotto le
righe e stavano eseguendo lo stretching. “È solo una partita di
allenamento, la prendete troppo sul serio!” Li rimproverò il ragazzo,
in maniera bonaria. Soda e Igawa esibirono la stessa aria perplessa,
poi scoppiarono a ridere.
“Via,
a rinfrescarci!” Esclamò il kamisori fighter,
scambiando un cinque con l’amico.
Makoto
uscì dalla doccia totalmente rinato. Era incredibile come il
getto dell’acqua riuscisse a rilassarlo e a placare l’adrenalina ancora
in circolo. Entrato nello spogliatoio, notò Gakuto scherzare
animatamente con i compagni di squadra e sorrise sollevato. Nonostante
il loro nuovo ingaggio si mostrasse un vero compagnone, Soda sapeva che
il suo cuore era attanagliato da diverse angosce che solo lui e pochi
altri conoscevano. Inoltre, non era il caso di farlo arrabbiare, visto
che era in grado di cambiare umore in una frazione di secondo e
aggredirti come una belva inferocita.
In
questo si somigliavano. Era la prima volta che in Giappone conosceva
uno come lui, con un carattere così vicino al suo. Fino a pochi mesi
prima, solo in Napoleon aveva trovato un’indole tanto affine. Ora che
ci pensava, anche fra lui e Igawa era nato tutto da una scazzottata.
Come poterlo dimenticare? Era stato durante gli allenamenti per le
eliminatorie asiatiche, qualche giorno dopo la partita contro la
Nigeria. Kozo Kira aveva schierato Gakuto in difesa e dopo pochissimi
minuti si stavano già prendendo a pugni.
“A
causa del tuo gioco difensivo di merda avete subito sia due goal dalla
Danimarca, sia dalla Nigeria, che neanche attaccava!”*
Quelle
parole gli avevano fatto salire il sangue al cervello e, col senno di
poi, sapeva di dover ringraziare i compagni per averlo fermato in
tempo, dato che difficilmente la sua furia si sarebbe placata prima di
aver visto Gakuto in terra e col setto nasale spaccato. All’inizio non
lo sopportava, si beccavano di continuo. Quel nuovo arrivato aveva
giudicato il suo modo di giocare e questo lo aveva fatto incazzare. Che
ne poteva sapere, lui, degli sforzi e dell’impegno che ci stava
mettendo per la qualificazione alle Olimpiadi?
Quelle
erano state le sue prime impressioni. Inoltre… aveva avuto paura di
perdere il posto di titolare. In fondo, Igawa era l’all round
player, il mister avrebbe potuto assegnargli un qualunque
altro ruolo… perché aveva scelto proprio quello di difensore? Vedendo
vacillare il proprio posto in squadra, si era sentito una forte
pressione addosso. Lui voleva assolutamente partecipare alle Olimpiadi.
L’aveva promesso anche a Louis.
Sì.
La sua vera paura era stata quella di vedersi escluso da una possibile
partita fra Giappone e Francia, incontro che aspettava da anni. Voleva
la sua rivincita contro Napoleon. Per questo non avrebbe ceduto il suo
ruolo con tanta facilità.
Quando
poi aveva capito che le intenzione di Kira non erano quelle di
tagliarlo fuori, ma semplicemente di dargli un supporto nella difesa,
Makoto si era prima rilassato, poi sentito un perfetto stupido. Ancora
una volta i sentimenti contrastanti nei confronti del cannoniere
francese lo avevano condizionato... e questo lo spaventava.
Alla
fine, però, dissipati i dubbi, aveva cominciato a provare simpatia per
Igawa e ad ammirare il suo coraggio di rimettersi in gioco dopo la
morte della moglie e con una figlia piccola da accudire.
Terminate
le Olimpiadi, Gakuto era stato ingaggiato da diverse squadre della J
League, e Makoto si era sorpreso quando aveva saputo che il compagno
aveva scelto proprio gli Osaka, che di certo non era fra i club più
famosi del campionato.
“In
una squadra di alto livello sentirei troppo il peso delle aspettative
nei miei confronti. E questo mi destabilizzerebbe.” Gli aveva detto
Gakuto, una sera che erano usciti a fare una bevuta. “Sarei circondato
dalle ansie e dalle speranze dei dirigenti, dell’allenatore, del
presidente, e potrei non reggere… qui, invece, sento di poter crescere
e affrontare le mie paure con maggiore tranquillità.”
Già.
Makoto si era scordato del limite psicologico del compagno*.
Quello che lo faceva scappare ogni volta che si sentiva sotto
pressione. Quello che lo aveva frenato sul campo alla sua partita
d’esordio contro il Paraguay, facendogli tremare le gambe come quelle
di un bambino di fronte a un mostro che di spaventoso aveva solo ciò
che lui ci voleva vedere. Durante le eliminatorie e le
Olimpiadi, Gakuto aveva affrontato le sue paure e agli occhi di tutti
le aveva anche superate. “Invece ho ancora tanto da lavorare per
cancellarle definitivamente. Non è semplice, ma sono sulla buona
strada.” Era stata la sua confidenza, sempre la stessa sera. “Posso
parlarne solo con te…” E Makoto si era sentito onorato. Certo, anche
nei Gamba Osaka aveva avuto qualche difficoltà a integrarsi,
soprattutto all’inizio. Questo perché Igawa, come lui, non era il tipo
che normalmente si mostrava gentile con le persone solo per il fatto di
averle di fronte. Anzi. Di solito sfoggiava un atteggiamento
provocatorio. Piano piano, però, era riuscito a farsi accettare e a
rivelare la persona gentile che fondamentalmente era.
“Allora,
sei pronto?” Gakuto si avvicinò. Aveva già il borsone sulle spalle.
“Certo!”
Esclamò Soda, caricandosi il proprio. Indossava una tuta bianca e nera
che gli ricordava la squadra italiana dove militava Hyuga. Salutarono i
compagni e uscirono insieme.
“Prima
voglio passare a prendere dei dolci per Lisa.” Lo avvertì Makoto
“Ehi,
non viziarla troppo! Che poi le donne diventano esigenti!” Scherzò
Igawa.
“Hahaha,
figurati. È solo un pensiero, anche per l’ospitalità.”
Quella
sera Gakuto lo aveva invitato a cena. E, quando accadeva, lui portava
sempre a Lisa i dolci della sua pasticceria preferita.
“Makoto
nii-san!*” Esclamò raggiante la bambina, non
appena Gakuto aprì la porta. “Ah, che bello essere accolti con tanto
amore dalla propria figlia!” Sospirò Igawa, dopo essere stato
bellamente ignorato. Ma il suo era finto rammarico, in verità sorrise
alla scena di Lisa che saltava al collo dell’amico. La bambina aveva
un’adorazione per Makoto, se non una vera e propria cotta. Su questo
Gakuto scherzava spesso, avvertendo Soda che avrebbe dovuto sudare
sette camicie prima di averla in moglie.
“Quanto
sei deficiente!” Gli rispondeva Makoto ogni volta.
“Bentornato
Igawa-kun” Dalla cucina si affacciò una signora anziana, che Gakuto
salutò con un inchino di reverenza. “Grazie Kyoko-san, spero che Lisa
si sia comportata bene.”
La
signora sorrise dolcemente. “Certo, come sempre. È una bambina molto
educata.”
Makoto
salutò a sua volta. La signora Kyoko Aomine abitava al piano di sotto
di quella palazzina e si prendeva cura di Lisa al rientro da scuola,
nei giorni in cui Gakuto non era in casa. Era una maestra delle
elementari in pensione molto conosciuta e rispettata nel quartiere.
“Papà,
oggi Kyoko-san mi ha insegnato a memorizzare le tabelline!” Esclamò
Lisa con soddisfazione. “Brava la mia piccola!” Igawa aprì le
braccia e la bambina tese le proprie per farsi prendere dal padre, il
quale, nel cingerla, le stampò un bel bacio sulla fronte. Poco dopo la
signora si congedò, salutando Lisa con estrema dolcezza. Makoto era
rimasto immobile, stordito. D’un tratto, aveva avvertito una strana
sensazione pesargli sullo stomaco, correre su per il torace e
scuotergli il cuore, fino a raggiungere le orecchie dove sembrò
sussurrargli un nome: Simone. Già, i modi di fare di quella donna e il
suo sorriso gli ricordavano moltissimo quelli della mamma di Napoleon.
“Ehi,
ti sei imbambolato?” Lo chiamò Igawa e Makoto tornò in sé. Scacciò quei
pensieri dalla testa, cercando di non dare il nome di nostalgia al
turbamento provato.
La
carbonada* preparata da Igawa era ottima come
sempre. Di solito Makoto non apprezzava l’agrodolce, ma il suo palato
non sapeva resistere al sapore particolare di quel piatto tipico
argentino. In casa propria Igawa e Lisa usavano posate occidentali e
per Soda non era di certo un problema, visto che andava spesso in
Francia.
“Evviva,
evviva, la torta alle fragole!” Lisa batté le mani contenta quando, a
fine cena, il padre mise sul tavolo il dolce portato da Soda. “Grazie,
Makoto nii-san!”
Il
kamisori fighter rise di fronte allo sguardo
radioso della piccola. “Ma grazie a voi della cena!” Esclamò con
sincerità. Ormai erano mesi che frequentava la casa di Igawa, ma ogni
volta si stupiva delle capacità culinarie dell’amico: in pochissimo
tempo era in grado di preparare delle ottime pietanze. Ma non era solo
quello. Guardandosi intorno, Soda poteva intuire che anche l’ordine in
casa era frutto del suo impegno, visto che non aveva qualcuno che se ne
occupava. Era tutto in ordine e nel suo ambiente Gakuto assumeva un
atteggiamento rilassato, ma non svogliato. La cosa che più lo stupiva,
poi, era che lui e Lisa vivevano da soli, ma la piccola non sembrava
affatto soffrirne. Era una bambina serena.
“Il
mio tempo libero cerco di dedicarlo esclusivamente a lei.” Gli aveva
detto Igawa più di una volta. “Non voglio essere un padre assente.
Certo, non potrò mai sostituire del tutto Caterina, ma voglio evitare
che per lei la mancanza della mamma diventi un peso insopportabile.”
Comunque,
aveva anche suo fratello Hayato e la moglie Noriko. Spesso, infatti,
soprattutto quando la scuola era chiusa, i due ospitavano Lisa nella
loro casa a Saitama e questo rincuorava tantissimo Gakuto. Makoto pensò
che l’amico era stato davvero sfortunato a perdere la moglie così
presto. Avevano la stessa età, ma lui aveva già un lutto doloroso alle
spalle e una figlia di cui occuparsi e lo stava facendo nel miglior
modo possibile. Nonostante il carattere fragile, di fronte agli occhi
della piccola le debolezze di Igawa sembravano volatilizzarsi. Per
questo Makoto lo ammirava moltissimo.
“…
è davvero buona!” Lisa era già alla seconda fetta di torta.
“Finisci
questa e poi basta, eh? Altrimenti ti viene il mal di pancia!” Le disse
Gakuto, impiegando un tono pacatamente severo.
“Va
bene!” S’imbronciò Lisa.
“Però,
papino, non finirla tutta tu. Altrimenti il male al pancino viene a
te!” Lo prese in giro Soda, ammiccando alla terza fetta dell’amico, il
quale fece finta di non averlo sentito.
D’un
tratto, un miagolio richiamò l’attenzione di tutti.
“Ehi,
Kira, brutta palla di pelo, eri a ronfare in giro, vero?”
Gakuto puntò la forchetta verso il loro gatto, un certosino di poco più
di tre anni che cominciò a fare le fusa zampettando fra i piedi del
padrone, alla ricerca di attenzioni. Makoto allungò il braccio e il
micio lo raggiunse subito, felice di farsi accarezzare. I gatti gli
piacevano proprio tanto.
“Ah,
papà!” Lisa sembrò ricordarsi di una cosa importante. “Oggi ho visto la
mamma di Teppei con Rocky, il loro akita inu.” Teppei era un compagno
di classe con cui Lisa aveva fatto amicizia. “Possiamo prendere anche
noi un cane? Daiiii!”
A
quella domanda, Makoto sbiancò. Sì, amava i gatti, ma lo stesso non lo
si poteva dire dei cani. Era risaputo. “Ma nooo, Lisa-chan. I cani sono
brutti cosi…”
“Rocky
non è brutto…”
“Non
ora, ma poi lo diventerà. I cani sono… ahem, antipatici.”
“Ma
io lo voglio!”
“Suuu,
hai Kira, che è tanto carino…”
Gakuto
ridacchiò. Quando si trattava di cani, Soda perdeva proprio la testa.
Si metteva pure a discutere con una bambina piccola. “Tesoro, se vuoi
il cane possiamo prenderlo…”
A
Lisa si illuminarono gli occhi, mentre Makoto spalancava i propri,
terrorizzato.
“…
ma…” Il padrone di casa poggiò una mano sulla testa della figlia,
accarezzandola piano. “Dovresti rinunciare a Makoto nii-san. O Makoto,
o il cane!”
“Igawa!”
Lo riprese Soda, rosso in viso. Non gli piaceva essere messo sullo
stesso piano di un cane. “Che diavolo stai dicendo? Non sparare queste
creti-”
“Scelgo
Makoto nii-san!” Affermò la bambina con sicurezza, guadagnandosi lo
sguardo soddisfatto del padre. Soda rimase di stucco, poi si passò una
mano sulla fronte, indirizzando un’occhiataccia all’amico. “Barattato
con un cane…”
“Io
preferisco Makoto nii-san. E poi anche Kira potrebbe rattristarsi.” La
genuina spontaneità di Lisa placò lo sdegno del difensore. “Grazie
Lisa-chan. Sei sicuramente molto più coscienziosa di tuo padre!”
Gakuto
scoppiò a ridere di gusto.
****
“Facciamo
piano...” Sussurrò Makoto, mentre uscivano dalla camera di Lisa.
L’ultima colonna di luce proveniente dal corridoio s’ assottigliò sul
viso della piccola accovacciata sotto le coperte, fino a scomparire non
appena il padre chiuse la porta. “Non preoccuparti, mia figlia ha il
sonno pesante.”
Andarono
a sedersi in soggiorno, dove Igawa aveva già preparato una bottiglia di
sakè. Makoto accarezzò la testa di Kira che si era
addormentato su una sedia e poi sprofondò nella poltrona, buttando giù
il primo bicchierino. Sollevò lo sguardo sulle Cascate dell’Iguazù,
immortalate in quella enorme foto incorniciata alla parete. Le trovava
davvero affascinanti. Diverse cose, in quell’abitazione, richiamavano
l’Argentina: un quadro rappresentante Buenos Aires, i cristalli di
quarzo o ametista usati come soprammobili, le maschere etniche appese
alle pareti che rievocavano antiche civiltà dell’America Latina, il
poster di Maradona all’ingresso… l’unica cosa giapponese era il sapore
del sakè che avvertiva sul palato. Tutto il resto richiamava la terra
della donna tanto amata da Gakuto.
“So
che non ami sentire il peso delle aspettative degli altri sulle tue
spalle…” Makoto puntò gli occhi in quelli dell’amico. “Ma sei davvero
convinto di aver fatto la scelta giusta nel venire ai Gamba Osaka? Hai
anche avuto un ingaggio agli Urawa Red dove milita tuo fratello…”
Igawa
sembrò sorpreso da quella domanda. “Tsk. Hayato…” Disse, abbozzando un
sorriso. Con uno scatto si sollevò dal divano, aprì l’anta di un
mobiletto alle sue spalle e tirò fuori un pacchetto di sigarette.
“Usciamo?” Chiese, avvicinandosi al terrazzo senza aspettare la
risposta dell’amico. Gakuto non era un fumatore. In un anno che lo
conosceva, Makoto l’aveva visto mettere in bocca una sigaretta sì e no
una decina di volte. Però aveva imparato che lo faceva quando stava per
affrontare un discorso che di norma lo avrebbe messo in difficoltà. Lui
avrebbe invece buttato giù un paio di birre. Il bicchiere di sakè di
Gakuto era ancora sul tavolo, intatto.
“Non
fraintendere. Voglio molto bene ad Hayato e non abbiamo mai litigato
seriamente.” Esordì Gakuto, dopo aver inspirato un po’ di fumo. “Ma
essere paragonato a lui è la cosa che odio di più.” Nel suo tono c’era
una punta di rassegnazione. “Lui è un vero campione. Un uomo che in
campo dà tutto se stesso, senza se e senza ma.”
“Beh…
non per nulla è il capitano della Nazionale Maggiore…” Gli ricordò
Makoto.
“Io
non sono come mio fratello.” Sospirò Igawa, dando le spalle alla
ringhiera che usò come appoggio per la schiena, espirando il fumo verso
il cielo. Era una serata non troppo fredda, l’ideale per concedersi uno
scambio di parole all’aperto, invece che rinchiusi dentro quattro mura.
Il terrazzo era rischiarato non solo dalla luce dei lampioni, ma anche
dalla luna piena e ciò permetteva ai due amici di cogliere ogni piega
espressiva nei rispettivi volti. Makoto aveva la sensazione di sentirsi
più leggero e non sapeva se fosse merito del sakè oppure della brezza
piacevole sul viso.
“Io
ho sempre avuto paura del confronto con Hayato.”
“Lo
so bene.” Makoto era il tipo che preferiva essere schietto, piuttosto
che tirare fuori smielate parole di conforto che probabilmente non era
neppure in grado di formulare. Ricordava benissimo che durante la
partita contro il Paraguay, Gakuto era stato presentato a tutto lo
stadio come il fratello del capitano della Nazionale Giapponese di
calcio. ‘Sono sicuro che buon sangue non mentirà’, aveva detto il
cronista. ‘Questo ragazzo sarà bravo come suo fratello maggiore?’ Aveva
poi aggiunto. Soda poteva soltanto immaginare il macigno che l’amico si
era sentito piombare addosso. Quando l’aveva visto tremare, immobile
sul prato, si era sentito in pena per lui. “Però mi è parso
di avertelo già detto che se sei sceso in campo alle eliminatorie e
alle Olimpiadi è stato grazie al ruolo che ti sei guadagnato. Grazie al
tuo talento. E non di certo per via di tuo fratello o per qualche
favoritismo di Kira. Imbecille!*” Sbuffò, puntando i gomiti alla
ringhiera.
“Accidenti,
credo che siano esattamente le stesse parole di allora. Con insulto
annesso!” Rise Gakuto. Poi fece un altro tiro. “Ammetto che prima di
conoscere voi ragazzi della Generazione d’Oro avevo sempre pensato che
qualsiasi cosa avessi fatto non mi sarebbe mai riuscita. Ero convinto
di non combinare nulla di buono. Sì, la mia vita poteva essere
riassunta in questo modo. Dopotutto sono andato in Argentina con la
scusa della gravidanza di Caterina perché non volevo giocare il calcio
di mio fratello, sputandogli contro che io avevo il mio calcio
personale. Di fronte agli altri cercavo di dimostrare più di quello che
sapevo fare, pavoneggiandomi come un genio del calcio, non volendo
mostrare i miei punti deboli, visto che avevo paura del confronto con
lui. La bravura di mio fratello mi faceva perdere la fiducia nei miei
mezzi, ma la verità è che ero solo un debole. E forse lo sono tutt’ora.”
“Smettila
di dire cazzate! Vuoi che ti pigli a cazzotti?” Makoto lo fronteggiò,
sventolandogli il pugno sotto il naso. “Sei un calciatore molto in
gamba e allo stesso tempo ti prendi cura di una bambina piccola. Vuoi
dirmi dov’è che sei debole?”
Gakuto
scansò la sua mano con la propria. “Lo so, lo so. Ce la posso fare
anch’io. Sei tu che mi hai convinto, anche quella volta sul campo, no?
E tutte le altre volte… è stato grazie a te che mi hai spronato che
sono riuscito a combinare qualcosa in squadra! Alla fine ho scelto i
Gamba Osaka perché c’eri tu. Sei l’unico con cui abbia davvero legato
fra i ragazzi.”
“Davvero?”
Makoto lo guardò meravigliato.
Gakuto
scrollò le spalle. “Beh, sì. Che poi detta così… sembra una
dichiarazione, non fraintendermi, eh!” Scherzò l’all round
player, facendo sobbalzare l’amico.
“Tsk.
Figurati se penso a una stronzata del genere!” Rispose seccato Makoto,
nascondendo il disagio causatogli da quella battuta. Dopotutto, Gakuto
era all’oscuro di quel lato della sua vita.
Igawa
sospirò. “Mi hai sempre dato ottimi consigli. Anzi, sei proprio il
primo a cui abbia mai chiesto un consiglio, lo sai?*”
Il
kamisori fighters sorrise compiaciuto e divertito dall’ironia della
situazione. Uno in apparenza tutto d’un pezzo come Igawa che gli stava
parlando in quel modo. Gli parve di aver già vissuto qualcosa di simile
e così ancora una volta gli venne in mente Louis. Anche lui era un tipo
diretto e impulsivo come Gakuto, solo che, i discorsi strani e più o
meno profondi li faceva alla fine di una scazzottata. Come quella volta
sul Pont Au Change, di fronte allo spettacolo della Senna che
risplendeva come la superficie di un lago*. Quella scena si riavvolse
nella sua testa provocandogli le medesime sensazioni di allora.
“Sarà
perché siamo simili…” Disse atono Makoto. Così come lui lo era con
Napoleon, con la sola differenza che non si sarebbe mai sognato di
portarsi a letto Gakuto. Con Louis, invece, succedeva ogni volta. Alla
fine il debole era lui, non di certo Igawa.
“Già.
Può darsi. Anche se tu non parli mai seriamente di te.”
Makoto
trasalii. Si sentì stordito come l’istante dopo a un brusco risveglio:
non si trovava a Parigi, bensì a casa di Gakuto e ciò che vedeva sotto
il balcone non era il flusso della Senna, ma l’intenso traffico di
Osaka.
“Perché
non c’è nulla da dire.” Era abituato a negare. “La mia vita è quella
classica di un calciatore famoso: donne, notorietà, soldi da spendere.
Che volere di più?” Ormai da tempo ripeteva quegli automatismi: il
sorriso o la battutaccia per evitare l’argomento, tutte le volte le
stesse bugie. Talvolta si sentiva come dentro una boccia di vetro. Era
difficile per uno come lui che aveva sempre detestato le imposizioni e
che mai si era interessato del giudizio altrui, mantenere un tale
comportamento fittizio.
“E
dove sarebbero queste donne, scusa? Non ti vedo uscire con una da mesi.
Ho come l’impressione che tu esca solo con me perché ho una vita
tranquilla e senza casini… in quel senso.”
Il
kamisori fighter provò qualcosa di simile a una secchiata di acqua
gelida. Da quando aveva cominciato a frequentare Louis non
aveva più avuto alcuna storia fissa con una donna. C’era stata solo
Meiko nella sua vita. Da lei in poi aveva avuto solo incontri e
rapporti occasionali, senza un vero e proprio coinvolgimento. Solo che,
nell’ultimo periodo, aveva cominciato a non avere più interesse nemmeno
in quella direzione, uscire con le donne era diventato un fastidio,
come se l’unico fosse… odiò se stesso per quel pensiero e lanciò
un’occhiata risentita a Gakuto, il quale aggiustò il tiro. “Non
fraintendermi. So che ti trovi bene con me, è reciproco. Se non avessi
te, qui, non saprei come fare. Solo che penso che tu stia evitando di
proposito le uscite con gli altri nei locali… per non imbarcarti in
relazioni sporadiche o di una sera e via.” L’all round
player piegò le ginocchia per spegnere la sigaretta nel
portacenere abbandonato in terra. “A Natale sei andato a Parigi. Eri
strano al rientro. Hai qualcuno lì? Oltre ai tuoi parenti, intendo.”
Era
vero, cazzo. Era tutto vero. Per un istante Makoto provò l’istinto di
sbattergli in faccia ogni cosa, ma l’orgoglio lo frenò ancora. Intanto
una collera incontrollata gli salì al cervello e il difensore non poté
far altro che incanalarla in quella domanda azzardata, fatta apposta
per colpire l’amico nel suo punto più debole. “Chissà.” Disse con
marcato cinismo. “E che mi dici di te? Parli tanto di me… ma hai mai
pensato di risposarti e sostituire Caterina?”
Molto
meglio prendersi a pugni e lasciare cadere lì i discorsi troppo
personali.
“Quanto
sei stronzo, Makoto.” Rispose Gakuto rimettendosi in piedi. Soda si
preparò a ricevere il colpo ma, contrariamente a quanto si sarebbe
aspettato, Gakuto non reagì con violenza. “Comunque la tua è una
domanda scontata. Sostituire Caterina?” Ripeté, mettendosi le mani in
tasca. “Non ci penso neppure. E sposarmi con la prima che capita per
dare una mamma a Lisa sarebbe un’azione degna di un film
strappalacrime. Peccato che non siamo in un film e che io mi ritenga in
grado di crescere mia figlia anche da solo. Non sono così vigliacco.”
Gakuto scrollò le spalle, facendo pochi passi per rientrare in casa.
Makoto lo seguì in silenzio. Vide poi l’amico fermarsi al centro della
stanza, ripercorrere con lo sguardo la foto delle Cascate dell’Iguazù
mentre un’espressione contrita gli deformava i lineamenti del viso.
“Ovviamente spero di non rimanere da solo in eterno. Ma prima dovrei
superare il senso di colpa che mi divora ogni qualvolta penso di
volermi trovare una compagna.”
Makoto
rimase immobile alle sue spalle. “Scusa.” Sospirò disarmato. La
franchezza con cui Gakuto gli aveva parlato lo ferì nel profondo. “Non
le mancheresti di rispetto… hai il diritto di rifarti una vita. L’hai
amata così tanto…” Disse non privo d’incertezza nella voce. A essere
incerta non era l’autenticità dei sentimenti di Gakuto, ma la scarsa
conoscenza di una situazione così delicata e difficile, che lui aveva
avuto la presunzione di tirare in gioco.
“Sì.
Lo so. Ma devo superare anche questo scoglio. Sono pieno di limiti
psicologici, eh?” Gakuto si voltò finalmente nella sua direzione. Le
labbra disegnavano un sorriso forzato. “Ora dimmi come stanno le cose.”
Il
difensore si sentì con le spalle al muro e il suo silenzio prolungato
suscitò in Igawa uno strano sentore. “Ho l’impressione che ci sia sotto
qualcosa di grosso. Non avrai una relazione con una donna sposata?”
“Che
diavolo dici, no!” Reagì subito Makoto.
“Una
minorenne! Soda!” Gakuto si portò le mani alla testa.
“Ma
per chi mi hai preso?”
“Una
carcerata!”
“Smettila!”
“Una
suora!”
“Vaffanculo,
Igawa!”
“Puoi
parlarmene…” Gakuto si sedette su uno dei due divanetti singoli. “Sono
o non sono il tuo migliore amico?”
Migliore
amico?
Makoto
strinse i pugni. Quelle due parole insieme lo avevano sempre irritato
molto. E anche in quel momento lo infastidirono. Ogniqualvolta udiva
quel termine, gli venivano in mente Louis, Juliet, Pierre e il loro
fottutissimo legame di amicizia. Quei tre sapevano sempre tutto l’uno
dell’altro e questo legame gli aveva sempre dato fastidio. Lui non
aveva mai creduto in un’amicizia così totalizzante. Non si era mai
fidato di qualcuno in quel modo. In quell’istante provò rabbia nei
confronti di Igawa che si fregiava di un simile titolo con tanta
leggerezza. E quella stessa rabbia fece a brandelli gli indugi di
lunghi anni, cosicché Makoto parlò senza più alcun freno, pronto a
giocarsi tutto. La maschera che aveva costruito con tanta cura sarebbe
presto scivolata via mostrando le sue debolezze.
Se
Igawa era davvero il suo migliore amico, le avrebbe accolte senza
pregiudizi, no? Le parole gli vennero alle labbra ancor prima di
rendersi conto del cinismo che animava i suoi ragionamenti.
“Vado
a letto con un uomo.”
Gakuto
spalancò gli occhi. “Stai scherz-” reagì di rimando, ma immediatamente
capì che era la verità. “Questa non me l’aspettavo.” Disse con
franchezza. Cominciava a capire perché l’amico gliel’avesse
tenuto nascosto e si sentì in colpa per averlo forzato. “Beh, dai. Non
è la fine del mondo. Guarda che per me non è un problema, eh?”
Le
parole di Gakuto erano sincere e questo a Makoto bastò per placare la
tensione avvertita poc’anzi. Si dette mille volte del cretino per aver
dubitato di lui. Dentro di sé era felice.
“…
è francese quindi?” Domandò Gakuto in tono curioso, come a voler
spettegolare per alleggerire la tensione. A Makoto venne da sorridere.
E allo stesso tempo gli affiorarono alle labbra tutte le parole che
aveva tenuto dentro per anni. Quel nome che non era mai riuscito a
pronunciare, nemmeno con una persona fidata come Vivianne.
“Si
tratta di Louis Napoleon.”
Per
un attimo Gakuto rimase interdetto, avendo focalizzato l’immagine di un
uomo a cavallo con un mantello rosso al vento, intravisto di sicuro in
un libro di scuola. Poi qualcosa lo scosse e lo sguardo da confuso si
fece sgomento. “Il bomber della Nazionale Francese? Stai scherzando?!”
Makoto
si versò un altro bicchierino di sakè. Poi si sedette su un bracciolo
del divano, come a non volersi rilassare troppo. “Pensi che possa
scherzare su una cosa simile?”
Igawa
sentì il desiderio di accendersi un’altra sigaretta, ma per il momento
cercò di trattenersi. “… e da quando voi due…”
“Ma
non lo so!” Rispose Soda di getto. “Dal World Youth… no anzi, da prima…
il Mondiale Giovanile… non ha importanza… dura da anni, cazzo!” Makoto
realizzò che era passato tanto tempo da quella scazzottata al Parco
Montsouris a Parigi. Troppo tempo.
“Sono
sorpreso. Lo ammetto. Non me lo sarei mai aspettato.”
“Lo
so.” Rispose Soda, ingoiando insieme al sakè anche la frustrazione che
provava.
“No,
senti, non fraintendere. Te lo ripeto: non ho nulla contro i gay…”
“Io
non sono gay!” Stavolta Makoto alzò lo sguardo, cercando quello
dell’amico nel quale lesse una sincera confusione. “Il fatto è… che mi
sento attratto solo da lui…” Provò a spiegare, non privo di difficoltà.
Non era abituato ad aprirsi in quel modo con qualcuno. “Non mi era mai
successo prima. Le donne mi piacciono. Ma in questo momento… ho in
testa solo lui. Eppure non guarderei mai un altro uomo e nemmeno mi
interessa. Sembra assurdo, vero?” Terminò con un sorriso, come a
volersi deridere.
“Oh,
no. Assolutamente. Anche Caterina diceva la stessa cosa.”
“Eh?”
Con enorme stupore, Makoto capì che Igawa stava per rivelargli qualcosa
che non aveva mai detto a nessuno. Ricordò per un istante il viso di
sua moglie che aveva visto in una foto nella camera dell’amico.
Indossava un bikini dalla fantasia tropicale e stava seduta sulla
sabbia di una spiaggia argentina. Sorrideva all’obiettivo. Gli era
sempre sembrata una persona dolce, ma allo stesso tempo decisa.
“Quando
l’ho conosciuta, Caterina stava con una donna. Erano venute qui a
studiare insieme.*”
“Che…
dici?” Makoto si stupì non poco, così Gakuto gli rivolse un sorriso che
diceva chiaramente: ‘non te l’aspettavi, eh?’. Poi l’all
round player continuò. “Avevano preso in affitto un
appartamento vicino al nostro e i primi giorni ci salutavamo con un
formale ‘buongiorno’, nulla di più. Litigava spesso con la sua
compagna, molte volte i loro strilli arrivavano fino a noi.
All’ennesima lite, Caterina uscì di casa. Ci incrociammo sulla strada,
aveva gli occhi rossi. Riuscì a trattenere le lacrime, ma non a celare
l’espressione esasperata e stanca. Volevo fare qualcosa per lei e così,
senza riflettere, le chiesi se voleva venire a fare un giro in moto.
Lei annuì, senza rispondere. Quella era la prima volta che le rivolgevo
seriamente la parola.” Gakuto fece un grosso respiro e in un attimo
alleggerì il tono. “Beh, da lì è cominciata la nostra storia. Ed è
stata una bellissima storia. Certo, lei era più grande di me di sei
anni e all’inizio i miei non l’avevano presa bene, ma col suo carattere
espansivo Caterina riuscì a conquistare tutti.”
Makoto
non apriva bocca. Non sapeva cosa dire, quelle rivelazioni lo avevano
gettato in uno stato di confusione.
“Ci
amavamo, Makoto. E tanto. Il fatto che a Caterina normalmente
piacessero le donne non m’importava. Mi amava, me lo ripeteva spesso e
io ne avevo la certezza. Mi amava come persona, a prescindere dal fatto
che fossi un uomo. E quando l’ho persa…” Gakuto s’afferrò un lembo
della felpa all’altezza del torace, stringendola con forza. “Ho provato
un dolore dilaniante qui, nel cuore. Come se avessi un coltello
conficcato dentro.”
Soda
fissò quel ‘qui’, dove stava la mano di Gakuto. Ma la domanda
successiva dell’amico lo costrinse a guardarlo dritto nel viso.
“Sei
innamorato?”
Il
silenzio che seguì, fu sempre Igawa a romperlo. “Ok, non picchiarmi!”
Esclamò, mettendosi sulla difensiva, cogliendo rabbia nell’espressione
del kamisori fighter. Ma la rabbia di Makoto era
rivolta a se stesso.
“Talvolta…
ho l’impressione che lui lo sia.” Soda strinse i pugni sulle ginocchia,
sentiva chiaramente lo sguardo di Igawa su di sé. “E questa cosa non la
so gestire.”
Durante
quegli istanti di silenzio, Gakuto si alzò per avvicinarsi alla camera
di Lisa. Aprì lentamente la porta e si soffermò sul viso disteso della
sua bambina avvolta fra le braccia di Morfeo. Sorrise nel richiudere la
porta. Makoto lo seguì nel movimento e pensò che Igawa era davvero un
buon padre.
“Cambierò
domanda, visto che non mi hai risposto.” Disse poi il padrone di casa,
mentre tornava a sedersi. “Io per Caterina ho abbandonato tutto:
famiglia e Giappone stesso. Ok, l’ho fatto anche per scappare dal
confronto con mio fratello, nella speranza che in Argentina potessi
cominciare da zero la carriera calcistica. Ma, soprattutto, l’ho fatto
per stare al suo fianco. Del resto non m’importava nulla. Tu saresti
disposto a fare lo stesso?”
Makoto
aprì la bocca, ma non disse niente. Sapeva che ogni volta che rientrava
in Giappone dopo essere stato con Napoleon e dormiva nel proprio letto
a Osaka, negli istanti immediatamente successivi al risveglio provava
una sensazione di malessere e vuoto. Come se gli mancasse qualcosa.
Avido di un sentimento senza nome. Soda rifiutava di dargliene uno, non
era capace di misurarsi con simili sensazioni. Nonostante questo
visualizzò due risposte opposte e, pur non essendo certo di quella
giusta, scelse la via più facile: “No, non sarei disposto.” Disse
serio, mostrandosi deciso. Ma dentro di sé era stanco. Stanco delle sue
debolezze, di quella storia che si trascinava da anni. “Mentirei se ti
dicessi che non mi piace stare con lui. Ma solo occasionalmente. Non
cerco altro. Né provo altro. Potrei chiudere con Napoleon anche oggi
stesso.”
E
mentre Gakuto gli versava un ultimo bicchierino di sakè senza
commentare, Makoto pensò che era arrivato il momento: presto avrebbe
dovuto telefonare a Louis per mettere una volta per tutte la parola
fine a una storia che non sarebbe mai dovuta iniziare.
FINE
(I parte)
-
Dangan
Clear , il
tiro di testa di Gakuto, realizzato con un salto da terra.
-
All round player, o tuttocampista. Soprannome dato a Igawa per via
della sua capacità di giocare in ogni ruolo, anche in quello di
portiere.
-
Questa frase Gakuto l’ha pronunciata nel Golden 23, quando inveisce
contro Makoto.
-
Il ‘limite psicologico’ di Gakuto viene espresso più volte nel manga. E
come dico su, è la sua paura di non essere all’altezza, il suo senso di
inferiorità verso il fratello. La paura di essere un perdente. Gakuto
stesso nel Golden, dice che scappava sempre, ogni volta che si trovava
di fronte alla difficoltà. Io adoro Gakuto proprio per il suo essere
così tremendamente umano <3
-
nii-san, cioè fratello maggiore.
-
Carbonada argentina: piatto tipico dell’Argentina,
con riso, carne e pezzi di frutta.
*
Volume 8. Gakuto durante la partita d’esordio con il Paraguay va in
panico e gli tremano le gambe. Makoto gli dice esattamente le parole
citate sopra: “Non sei sceso in campo per via di tuo fratello o per
qualche favoritismo di Kira, ma perché ti sei guadagnato il ruolo
grazie al tuo talento. Sii degno di essere un membro della Nazionale.
Imbecille!” XD
*
“Ammetto che prima di conoscere voi ragazzi della Generazione
d’Oro avevo sempre pensato che qualsiasi cosa io facessi non mi sarebbe
mai riuscita. Ero convinto di non combinare nulla di buono. Sì, la mia
vita poteva essere riassunta in questo modo. Sono andato in Argentina
perché non volevo giocare il calcio di mio fratello, sputandogli contro
che io avevo il mio calcio personale. Cercavo di dimostrare più di
quello che sapevo fare. Non volevo mostrare i miei punti deboli. La
verità era che avevo paura del confronto con lui. Anzi la verità è che
ero solo un debole. E forse lo sono tutt’ora.”. Questa
specie di riassunto, è una rielaborazione fatta da me di ciò che Gakuto
dice davvero di se stesso in varie parti del Golden 23.
*È
vero. Makoto è il primo a cui Gakuto chieda consiglio. Lo dice lui
stesso, nel manga, quando domanda a Makoto come riuscire a mantenere la
linea difensiva.
*
Scena sul Pont Au Change… si trova in “DisSimile- Fil Rouge”
*
Nel Golden 23 viene detto chiaramente che Caterina era in Giappone per
studiare ed è lì che lei e Gakuto si sono conosciuti.
*******
E
così abbiamo lasciato Makoto col desiderio di telefonare a Louis per
chiudere una volta per tutte la faccenda… ci riuscirà? E Louis che
starà facendo intanto? Nel prossimo capitolo lo scopriremo ^_^
Grazie
<3 La vostra Rel <3
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