Wanted for art

di Queen_e_Lune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Iris ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Olympia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Benjamin Guinness ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Iris ***


Iris
Cap. 1 – IRIS di Vincent Van Gogh, 1890


British Columbia(2) - Vancouver, sabato sera


Erano passate le venti e Dominic non aveva ancora lasciato l'ufficio.
La personale di quel pittore francese semisconosciuto gli stava dando più grattacapi e complicazioni che se avesse organizzato la mostra Iris e Rose di Van Gogh al Metropolitan di New York(3).

Non fosse stato che, un mese prima, quello che a lui sembrava solo un imbrattatele aveva piazzato un suo quadro nella casa di vacanza dell'attuale amante del Ministro della Cultura sudafricano(4), non sarebbe stato incastrato dal direttivo della Fondazione della Galleria Blanchard in quell’assurda situazione.

Quel Ministro, in particolare, cambiava amante alla stessa velocità con cui lui cambiava i boxer e Nick si augurò che la prossima prediletta avesse già provveduto ad arredare e decorare tutte le sue proprietà, altrimenti avrebbe seriamente valutato la possibilità di trasferirsi in Australia a fare il curatore di mostre su canguri in calore e surfisti in lotta con gli squali(5).

Sbuffando, chiuse finalmente il portatile, dopo aver controllato per l'ennesima volta che l'ordine per l'allestimento floreale richiesto da Monsieur La Fleur -l'imbrattatele-, fosse completo.
Si tolse gli occhiali, posandoli accanto al notebook e si pizzicò la radice del naso nel tentativo di recuperare il minimo di concentrazione necessario per terminare il programma di lavoro per il lunedì successivo.

Doveva ancora contattare il servizio di sorveglianza per gli ultimi accordi, ma un'occhiata all'orologio che aveva al polso lo fece desistere. Alle venti e trenta di un sabato sera nessuno sano di mente avrebbe risposto alla sua telefonata.
Per quella giornata, dunque, non avrebbe combinato più nulla.

Si alzò dalla scrivania per approfittare del suo ben rifornito angolo bar, l’unico vezzo che si era concesso di aggiungere nell’ufficio, altrimenti molto spartano, ereditato dal suo predecessore, il vecchio Miller, e si versò una generosa dose di Porto Tawny(6).

Sam Miller era il suo unico rimpianto.
Dopo aver conseguito il Bachelor’s Honours(7) a Vancouver, Dominic si era trasferito in Italia, patria dell’arte, oltre che dei nonni materni, per conseguire il master in Comunicazione e Didattica dell’Arte, seguendo corsi di specializzazione presso le più quotate sedi universitarie italiane(8).

Sam era malato da tempo, ma non gli aveva detto nulla poiché temeva che Dominic mollasse tutto per tornare in Canada e restargli accanto. Era morto poco prima di vedere il suo pupillo tornare a casa con una preparazione di tutto rispetto, che gli aveva consentito di subentrare alla Blanchard nello stesso ruolo del suo mentore.
Era morto da solo e lui non aveva potuto dirgli addio come avrebbe voluto.

Doveva molto al vecchio Miller.
La sua passione per il Porto invecchiato, anzitutto. Lo stesso che stava bevendo in quel momento, degno compare dopo una giornata pesante come quella appena passata.

Dominic l’aveva incontrato a tredici anni, appena trasferitosi con i genitori dall’Inghilterra.
Suo padre era un diplomatico ed in pochi anni Nick aveva cambiato nazione ben quattro volte.
Si era ritrovato, suo malgrado, in un paese sconosciuto, senza amici, in una nuova scuola in cui lui era additato come “lo straniero”, spesso detto in tono dispregiativo, dovuto anche alle sue origini italiane.
[Come se i parenti facessero la differenza…]

Sam era il loro vicino di casa, un tipo a prima vista un po’ scorbutico e solitario, senza moglie né figli.
Passare da lui per un saluto, al rientro da scuola, oppure lavorare part time alla Galleria durante l’estate, aveva permesso ad entrambi di conoscersi e, soprattutto, rispettarsi.

A Miller piaceva la compagnia del ragazzo, lo faceva sentire giovane ed inoltre lo aiutava nelle incombenze più faticose.
Per Dominic era il modo più semplice per avere qualche dollaro da spendere senza dover chiedere ai suoi. Un modo onesto di essere economicamente indipendente.

Vancouver avrebbe dovuto essere la destinazione ultima per la famiglia Stevens, tuttavia a diciassette anni, quando ormai il ragazzo si era definitivamente ambientato, a suo padre venne comunicato un nuovo trasferimento e la notizia creò un attrito profondo tra Nick ed i genitori.
Essendo prossimo all’ingresso nella facoltà universitaria, dopo varie liti e discussioni, Dominic si era trasferito da Sam, rifiutandosi categoricamente di seguire il resto della famiglia nell’ennesimo trasloco.

Ormai vicino alla tanto sospirata pensione, Miller aveva accolto il nuovo inquilino come il nipote che non aveva mai avuto. Sua moglie era morta molto giovane, in un incidente stradale, prima che potesse dargli un figlio, e lui aveva scelto di non risposarsi.

Ah, il vero amore… Vedrai Nick, quando lo avrai incontrato nessun’altra potrà sostituirla” gli diceva quando era in vena di confidenze, l’onnipresente bicchiere di porto in mano.

Sempre al caro Sam doveva l’amore per l’arte in tutte le sue forme.
Miller era più che altro uno storico, ma dopo diversi decenni di impiego alla Galleria Blanchard, aveva unito le sue conoscenze storiche allo studio delle opere d’arte, di cui curava mostre ed esposizioni.

Ogni opera ha la sua storia”, era il suo motto.
E pian piano aveva avvicinato Dominic a quel mondo, ricco di fascino e bellezza.

Ora Nick aveva trent’anni, una casa di proprietà e un lavoro gratificante, escludendo le pretese di alcuni imbrattatele che si credevano “arrivati”.

Alla Galleria si occupava di tutto, dall’organizzazione, alla scelta degli allestimenti, alla pubblicità. Il lavoro era vario e ben remunerato, a contatto con artisti e persone famose, ricche ed altolocate. Sotto la sua direzione la Blanchard era diventata, in poco tempo, l’unico punto di riferimento per chiunque avesse a che fare, direttamente o indirettamente, con l’arte, non solo in città, ma in tutta la zona ovest del Canada.

Questo successo, unito all’aspetto fisico decisamente appetibile per ogni essere di sesso femminile, e non solo, faceva di lui uno degli scapoli più ambiti di Vancouver.

Decise infine che la serata era appena iniziata.
Lasciò quindi l’ufficio in West Mall, nel quartiere universitario della British Columbia, ed imboccò la SW Marine Dr, diretto in Trafalgar Street, dove, all’incrocio con la W38th Avenue(9), aveva acquistato da poco una costruzione a due piani senza capo né coda, che un po’ alla volta stava ristrutturando.

Tempo di farsi una doccia e di cambiarsi ed avrebbe raggiunto il suo migliore amico, Damon, all’Irish Pub di Gastown(10).
Una buona birra, musica ed una partita a biliardo era quello che ci voleva, di sabato sera.
Possibilmente senza donne tra i piedi, dato che dalla settimana seguente, tra lancio pubblicitario, evento, party, conferenza stampa e tutto quello che corredava ogni nuova esposizione, ne avrebbe viste parecchie.

E tutte, o quasi, avrebbero sgomitato per avere la sua attenzione.
[Nemmeno fossi io il soggetto in bella mostra!]



Angolino di Queen e Lune:

Queen – Un applauso alla mia collega/compagna di malefatte Lunedì per questa splendida introduzione; ammettetelo, il personaggio di Dominic attizza anche voi... e preparatevi alla descrizione fisica!
Scrivere una storia a quattro mani è un'esperienza nuova per me, ma sono sicura che la collaborazione fra me e Lunedì porterà a risultati interessanti, nonostante le numerose differenze che contraddistinguono i nostri "modi di fare" quando si parla di scrittura (basti pensare alla selva oscura di link... io che sono l'opposta di una nativa digitale dovrò stare attenta a non postarvi cose improprie, lol). Che dire, quando c'è feeling, c'è feeling!
Spero che anche voi possiate divertirvi oppure rattristarvi con noi e che questo progetto sia in grado di entusiasmarvi almeno un quarto di quanto ha coinvolto le (bellissime, purissime e levissime) autrici; e detto questo, mi raccomando, vi aspettiamo al prossimo capitolo!

Lune – Come ci è venuta questa idea? Un caso. Ah! I casi della vita! Insomma, siamo qui, questo è solo l’inizio. Magari ci scanneremo a vicenda per conquistare il cuore di un personaggio e ucciderne un altro, ma vedo, prevedo e stravedo una buona collaborazione con la collega qui sopra.
Io puntigliosa fino alla nausea e lei “wall of words” (non dite nulla, è lei che si definisce così), non sappiamo cosa ne esce, ma sappiamo per certo che sarà una cosa GRANDIOSA!


Per saperne di più:

(1) Abbiamo deciso di identificare ogni capitolo con un’opera d’arte. Il primo tocca a Iris, di Van Gogh, olio su tela, dipinto nel 1890, alla vigilia della sua partenza dal manicomio di Saint-Rémy e concepito come una serie.
Giunge al Metropolitan Museum in esposizione permanente nel 1958, donato da Adele R. Levy, dopo aver fatto un po’ di passaggi e traslochi.
(2) British Columbia è l’università principale di Vancouver. Da qui viene definito con lo stesso nome anche il quartiere universitario.
(3) Mostra che, in effetti, è stata in programma al Metropolitan di New York, dal 12 maggio al 16 agosto 2015. 
Vincent van Gogh (1853-1890) portò a termine il suo lavoro in Provenza, mazzi di fiori esuberanti -due di iris di primavera e due di rose-  in formati e colori contrastanti.  Il gruppo comprende Iris e Rose del Metropolitan Museum e le loro controparti: Iris dal Museo Van Gogh, Amsterdam, e Rose dalla Galleria Nazionale d'Arte, Washington, DC. La mostra riunisce i quattro dipinti per la prima volta dopo la morte dell'artista.
(4) Ok, vi domanderete “Cosa c’entra adesso il Sud Africa?” C’entra c’entra, fidatevi di noi. Inoltre, che ci crediate o meno, in Canada non esiste il Ministero della Cultura.
(5) Fatto recente veramente accaduto a Jeffreys Bay, in Sudafrica, al campione australiano Mick Fanning, per fortuna senza conseguenze.
(6) Il Porto, o vino di porto, è un vino liquoroso portoghese prodotto esclusivamente da uve provenienti dalla regione del Douro, nel nord del Portogallo, sita a circa 100 chilometri a est della città di Porto.
Tawny è una delle sette varietà: prodotto con uve rosse, le stesse del ruby, viene fatto invecchiare in botti grandi solo per due-tre anni, dopo i quali vengono travasati in piccole botti da circa 550 litri, nelle quali invecchia anche fino a 40 anni, assumendo una tonalità più chiara, ambrata, e sapore di frutta secca, tipo noci o mandorle. Con l'invecchiamento, i tawny guadagnano ulteriormente in complessità aromatica.
(7) Il Bachelor’s Degree dura dai 3 ai 5 anni in Canada e corrisponde alla nostra Laurea quinquennale. Gli studenti che desiderano conseguire un baccalaureato o una laurea sono chiamati "undergraduate". L'ammissione a un corso di laurea prevede solitamente il conseguimento di un diploma di scuola secondaria superiore. Le lauree richiedono normalmente 3-4 anni di studio a tempo pieno, a seconda della provincia e del tipo di corso (specialistico o generico). Un Baccalaureato Honours indica di solito una specializzazione nella materia e un più elevato livello di impegno accademico. In alcune università il conseguimento di una laurea Honours può richiedere un ulteriore anno di studio.
(8) Questa specializzazione non esiste. Esiste un corso di 3+2 anni, in diverse sedi, tra cui cito l’Accademia di Venezia, la Naba a Milano e l’Accademia Santa Giulia a Brescia. Avevo però necessità di un “grado” di istruzione che non fosse una semplice laurea quinquennale, mi sono concessa una licenza poetica.
Dove si può studiare arte al meglio se non in Italia?
(9) Le vie citate sono realmente esistenti a Vancouver e sono nelle zone indicate. Google Map e Street View sono a vostra disposizione se volete dare un’occhiata. E’ ovvio, ma teniamo a sottolinearlo, che NON esiste una Galleria Blanchard e non sappiamo chi sia il vero proprietario della casa all’indirizzo menzionato.
(10) Gastown è considerato il quartiere storico di Vancouver.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Olympia ***


Olympia
Cap. 2 – OLYMPIA di Edouard Manet, 1863


Borehamwood(2) - UK, venerdì mattina


Cassandra era determinata come mai prima ad ottenere il caso “Blanchard” e sarebbe ricorsa a qualsiasi mezzo pur di raggiungere il proprio scopo.
Persino sedurre il suo capo, ovvero un uomo che considerava come un secondo padre, se necessario.

Aveva indossato i propri abiti migliori, lasciando slacciato qualche bottone di troppo, e si era truccata con cura.
Di solito, per andare al lavoro, puntava sulla comodità, soprattutto se doveva rimanere in ufficio. Scarpe basse, pantaloni fluidi e camicie un po’ troppo larghe ed anonime per essere definite sexy ed eleganti. Guardandosi allo specchio, dovette tuttavia ammettere di sembrare davvero una persona su cui poter fare affidamento, vestita in quel modo.
La sua figura, insieme alla sua autostima, aveva guadagnato parecchi punti.

Era dimagrita nell’ultimo periodo, così si era audacemente permessa di evidenziare la vita stretta e il ventre piatto con un completo aderente, la cui sensualità veniva però mitigata dalla giacca dal taglio professionale e dalla pettinatura composta.

Giocherellò nervosamente con il bracciale argentato che le aveva regalato il suo fidanzato.
[Ex-fidanzato], si corresse, decidendo di levarselo e buttarlo a terra,
Avrebbe fatto meglio a liberarsene il prima possibile, insieme a tanti altri oggetti, se davvero voleva chiudere i conti con quella storia.

Dopo che l’aveva trovato intento a dimenarsi tra le sue lenzuola preferite con la sua migliore amica –ex-migliore amica– non credeva proprio che la loro relazione potesse avere ancora corso. In quel momento non l’aveva specificato, ma sperava che il verme avesse inteso di non doversi mai più presentare al suo cospetto. E di potersi tenere pure le lenzuola!
La sola idea di quante volte i due l’avessero fatto a sua insaputa e per giunta sullo stesso letto in cui lui le aveva giurato eterno amore, la disgustava ancora profondamente, tant’è che aveva temporaneamente lasciato il bilocale in cui abitavano insieme, benché fosse di sua esclusiva proprietà e l’avesse acquistato a costo di tanti sacrifici.

[Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci.]

Quando fosse tornata –se fosse tornata- avrebbe provveduto a rifare tutto l’arredamento, o, meglio ancora, l’avrebbe venduto e si sarebbe trovata qualcosa di diverso. Da anni sognava di trasferirsi in un altro appartamento, più grande, magari a Notting Hill(3), oppure fuori Londra, ma, complici le lamentele dell’ex, che non voleva allontanarsi da quella zona –e ne aveva capito il motivo a sue spese- aveva sempre rimandato.

Diede un’ultima aggiustata ai capelli, si assicurò che la camicia fosse infilata senza pieghe evidenti nella longuette color carta da zucchero e si decise ad uscire dalla stanza.
- Allora? Come sto? – chiese, ansiosa.
Clarisse alzò svogliatamente lo sguardo dal cellulare e la guardò in modo sommario.
- Che figa. –

Cassandra sospirò.
Se a ventisette anni faceva ancora quell’effetto, allora poteva esserne soddisfatta… giusto? E poi, nel dizionario di Clarisse, quello poteva –doveva- essere un complimento.
Di certo la sua –provvisoria– coinquilina non avrebbe mai usato parole come “attraente”, “elegante” oppure “raffinata”, e cioè tutto ciò che voleva sembrare per far capire a François di essere finalmente pronta a seguire un caso interamente per conto proprio.

La Galleria Blanchard, a Vancouver, era stata la “fortunata” vincitrice del concorso “A chi affibbiamo lo sgorbio dell’anno?”, dal momento che il Ministro della Cultura sudafricano aveva incaricato la Fondazione No-Profit che la gestiva affinché organizzasse una personale del pittore preferito dall’amante di turno.

Tutto questo a Cassandra non sarebbe minimamente interessato, se non fosse giunta la soffiata da parte dell’Intelligence britannica che Mr. John Smith, ovvero il trafficante più ricercato nel Commonwealth, nonché il più abile, fosse direttamente coinvolto nella faccenda.

Quanto ed in che modo era tutto da scoprire, ed era ciò che Cassandra intendeva fare.

Gli stavano addosso da anni, ma in qualche modo il fantomatico signor Smith era sempre riuscito a far cadere le accuse a suo carico perché i testimoni “ritrattavano”, i custodi dei musei “non sapevano” e la merce contraffatta o rubata “spariva”.
John Smith aveva le mani in pasta praticamente ovunque: opere d’arte, avorio, pietre preziose, alcuni dicevano si fosse appropriato anche di alcune partite di droga, giocando un tiro mancino al cartello sudamericano, ma Cassandra aveva abbastanza esperienza nel suo mestiere per sapere che certe informazioni, il più delle volte, si rivelavano essere completamente inventate.

Era qui che entrava in gioco la Galleria Blanchard.
Dovendo esporre le opere di Jean Claude La Fleur, un pittore semi-sconosciuto di origine francese, ma residente a Cape Town(4) da un decennio, c’era il forte sospetto che Vancouver sarebbe stata il nuovo paese dei balocchi dell’evanescente Smith, nonché punto di arrivo e smistamento di un proficuo traffico di merce posseduta illegalmente.

Il Canada era fuori dalla sua zona sicura. Di solito Smith operava nel suo paese d’origine che, per quello che ne sapevano, era il Sudafrica, oppure in Europa, e non si era mai spinto tanto lontano.
Non c’erano indizi, inoltre, che le persone operanti attorno alla Fondazione, e di conseguenza alla Blanchard, avessero mai avuto contatti con il ministro e col governo sudafricano.
Questo aveva indotto il dipartimento a sperare che Smith si trovasse in una posizione più debole e con una rete di appoggi meno organizzata rispetto al solito. Si trattava quindi dell’occasione perfetta per smascherarlo.
O, almeno, per provarci.

Cassandra sapeva che un caso così importante era una dura prova per un’agente giovane come lei, ma si sentiva pronta. Erano anni che aspettava quel momento.
Si era laureata alla London Metropolitan University in Analisi Comportamentale Applicata(5) con i massimi voti, era riuscita ad ottenere un master in Sociologia(6) ed aveva contemporaneamente coltivato la sua grande passione per l’arte, senza fare discriminazioni fra pittura, scultura e architettura. Aveva inoltre esperienza nel proprio lavoro di investigatrice ed aveva più volte dato prova della propria competenza.
Era l’occasione giusta per dare una svolta alla propria carriera e non intendeva lasciarsela scappare.

Indossò le scarpe, forse un po’ troppo alte per andare al lavoro, e salutò Clarisse. L’amica grugnì in risposta, come sempre, senza staccare gli occhi dallo schermo del cellulare.
- Dai da mangiare a Mefisto(7) e assicurati che non si faccia le unghie sul mio copriletto preferito! – aggiunse, prima di uscire.

[Parole al vento?]
Clarisse mugugnò qualcosa di inintelligibile, dall’altra stanza. Poco dopo sentì lo sportello del frigo aprirsi.
[Parole al vento!]

Clarisse non era una cattiva ragazza. Era solo molto distratta.
Si erano conosciute un paio di anni prima all’università e da allora avevano continuato a frequentarsi anche grazie ad una catena di amicizie in comune, trovando piacevole la reciproca compagnia, ma senza mai avere l’occasione di approfondire il loro rapporto.
Era pertanto rimasta sorpresa quando, due mesi prima, si era offerta di ospitarla provvisoriamente a casa propria dopo il fattaccio.
Aver perso convivente e migliore amica in un colpo solo era stato uno choc e, di certo, un evento che non si sarebbe mai aspettata.

Vivere con Clarisse, dopotutto, non era difficile. Bastava solo saperla prendere.
La prima regola vietava assolutamente ogni rumore al mattino, a qualsiasi ora, visto che l’amica lavorava di notte. Non sapeva dove, ma si augurava almeno si trattasse di qualcosa di legale. E se, per sbaglio, Cassandra le avesse fatto trovare il pranzo già pronto, sarebbe stata una sorpresa molto gradita.

La seconda imponeva di non portare uomini in casa.
Cassandra non aveva trovato nulla da ridire in proposito e, dati i recenti sviluppi della sua situazione sentimentale, si trattava sicuramente della condizione più facile da rispettare. Su questo particolare Clarisse era stata tuttavia molto chiara, premurandosi addirittura di spendere più di due parole per sottolineare il concetto.
Una sera, prima di andare al lavoro, si era fermata sulla porta e le aveva detto, nonostante Cassandra non avesse fatto domande, “Sai, sono androfobica”(8).

A parte questo, Clarisse non sembrava avere altri disturbi particolari. O, almeno, non lo dava a vedere.

Aveva accettato con cordiale ostilità persino Mefisto, il suo gatto, e gli dava da mangiare quando se ne ricordava, anche se di certo non correva il pericolo di viziarlo con eccessive moine, oppure farlo ingrassare troppo.

Per il resto del tempo l’unica sua attività era spostare lo sguardo dallo schermo del computer a quello del cellulare. Era impossibile sostenere una conversazione con lei quando era assorta nel suo mondo privato: non ascoltava nemmeno, né si dava il disturbo di fingere interesse.
Una volta aveva fatto un velato accenno ad un “blog personale per gente come me”.

[Altre ventiseienni androfobiche, vestite da hippie anni settanta e con i capelli tinti di arancione? Ok, non voglio sapere altro!]




Angolino di Queen e Lune:

Queen – Ciao a tutte/i! Esordisco subito ringraziandovi per aver letto anche il secondo capitolo; i personaggi femminili non sono il mio forte, ma spero di essere riuscita ad intrigarvi con Cassandra, e cioè la ragazza che in questo periodo mi sta tenendo sveglia e che mi avrà fatto ingrassare di almeno un chilo mentre mi teneva davanti al computer… premessa perfetta per farmi maturare il desiderio di vendetta!
Anche questa volta, direi che un applauso per Lune è più che doveroso: oltre a dover gestire Dominic e i suoi millemila link, si è ritrovata anche a dovermi betare! Ma quanto si può essere grate ad una donna?

Lune – Mi pare sensato, dopo aver detto che il personaggio è “dimagrita nell’ultimo periodo” (cit. dal testo), che l’autrice si lamenti di quanto lei invece sia ingrassata. Lo sappiamo tutti che noi autori regoliamo la nostra vita sulle vicende/azioni dei nostri personaggi e che sono loro che guidano noi, facendoci fare/scrivere i loro porci comodi, quando dovrebbe essere il contrario.
Detto ciò, avrete capito che l’onere (o l’onore, ancora devo deciderlo) di farvi innamorare di Dominic è mio, mentre Cassandra e coinquilina androfobica inclusa (geniale, questo personaggio, sappiatelo) è tutto merito di Queen. Questo lo dico in modo che sappiate a chi rivolgervi per rimostranze, insulti, complimenti e quant’altro.
Riguardo il “betaggio” non credeteci manco un po’: mi sono limitata a “spaziare” il testo (wall of words, ricordate?), spezzare alcune frasi ed eliminare un paio di ripetizioni.
Apprezzate il cu… ore con cui invece Queen ha inserito i link e le varie note.


Per saperne di più:

(1) Per quest’introduzione ho scelto l’opera “Olympia” di Edouard Manet, olio su tela (130x190 cm). Fu realizzata nel 1863, e destò immediatamente un immenso scandalo nella Parigi dell’epoca (come anche Colazione sull’erba, opera precedente dello stesso autore) perché ritrae una prostituta “al lavoro”: l’opera venne giudicata immorale, provocatoria e ricevette molte critiche negative anche riguardo all’impianto disegnativo e alla rappresentazione dell’illuminazione. Venne esposta nell’angolo più nascosto del Salon di Parigi nel 1865, e poi relegata nel Salon des Refusés. Oggi si trova al Musée d’Orsay.
Edouard Manet (1832-1883) è stato un pittore francese e viene ancora oggi considerato come uno dei massimi interpreti del pre-impressionismo.
(2) Borehamwood è una città della contea dell’Hertfordshire in Inghilterra, a soli 20 km da Londra, interessante per gli studi cinematografici della MGM British.
Qui furono girati i 4 film gialli con protagonista Miss Marple, noto personaggio immaginario di Agatha Christie, per la regia di George Pollock ed interpretata da Margaret Rutherford.
Ho scelto il venerdì mattina perché in Inghilterra la maggior parte delle persone non lavora di sabato (e beati loro, aggiungerei).
(3) Notting Hill è un quartiere residenziale di Londra situato nella parte più interna della zona occidentale della città. Si estende dal Notting Hill Gate a Portobello Road, ovvero il quartiere del mercato. Vi si tiene il Carnevale Caraibico l’ultimo fine settimana di agosto, un evento caratteristico che attrae migliaia di persone.
Presumiamo sappiate che non è un semplice quartiere residenziale, ma IL quartiere residenziale per eccellenza, dove diversi VIP hanno casa.
(4) Cape Town, o Città del Capo, è la capitale del Sudafrica.
(5) La London Metropolitan University esiste veramente: è la più grande università singola di Londra ed è nata nel 2002 dall’accorpamento della London Guidhall University e della University of North London, che oggi sono due campus. La facoltà di Analisi Comportamentale non esiste; vi è però un corso di psicologia interno all’università; mi sono presa questa libertà per esigenze legate al personaggio. La facoltà di sociologia si trova, assieme a molte altre, alla Brunel University, nel West London. 
(6) Un “master” è, per i profani come me, un titolo accademico che si consegue dopo un particolare corso di studi. Può essere raggiunto a diversi livelli; nel sistema scolastico britannico, il Master’s degree è un titolo accademico di secondo grado, e quelli che in Italia sono considerati master di secondo e terzo livello in Gran Bretagna sono, rispettivamente, 1st Level Master degree e 2nd Level Master degree.
(7) Mefisto, o Mefistofele e Mephisto, è un personaggio del folklore tedesco che indica il diavolo, e in alcuni casi rappresenta Satana. Non appare con le caratteristiche tipiche di un demonio, ma ha invece un aspetto umano e si tratta nella maggior parte dei casi di un uomo alto e vestito di nero. L’esempio letterario più celeberrimo di Mefistofele si trova nel Faust, opera del poeta e scrittore tedesco Johann Wolfgang von Goethe, ma ha le sue origini nella storia popolare del dottor Faust, usata poi come base per numerose altre opere letterarie, che narra di come il sapiente Faust, avido uomo di scienza, decise di stringere un patto con il diavolo per ottenere la conoscenza assoluta in cambio della propria anima.
Ovviamente il gatto in questa storia è NERO.
(8) L’Androfobia (letteralmente, “paura degli uomini”) è il terrore nei confronti del sesso maschile – inteso sia come “individuo” uomo, che come “pene”. Le persone affette da questo disturbo, in maggioranza donne, provano una forte repulsione nei confronti degli uomini, soprattutto se adulti. La serie di sintomi che identifica l’androfobia può nascere in seguito ad un trauma subito nell’infanzia oppure durante l’adolescenza, ma si verifica anche in donne che hanno superato i trent’anni, di solito dopo una violenza sessuale oppure in seguito a ripetuti episodi di violenza. A volte, le donne androfobiche (dico “donne” per generalizzare, ma esistono androfobi con sessualità confusa, gay, transessuali oppure agender) non temono gli amici di vecchia data oppure coloro che non avvertono come una minaccia, ma anche in questi casi persiste l’avversione per il sesso.
Non ho trovato link di siti “scientifici”, ma se volete capirci qualcosa di più potete consultare questo sito… fra tutti quelli che ho visitato, offre le informazioni più sintetiche e importanti. 
(9) Mi sento davvero molto professionale in questo momento.
(nota burlona di Queen, NdLune)

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Benjamin Guinness ***


Benjamin Guinness
Cap. 3 – BENJAMIN GUINNESS di John Henry Foley, 1875


The Blarney Stone(2) a Gastown - Vancouver, sabato sera


Erano passate da poco le ventidue quando Dominic entrò al Blarney Stone, l’Irish Pub che lui ed il suo migliore amico Damon(3) avevano eletto quale miglior locale per le serate rigorosamente senza donne.
Era certo di trovarlo lì, benché non si fossero dati appuntamento, proprio perché nessuno dei due aveva una compagna fissa da alcuni mesi.

L’amico aveva mollato la sua ex storica, una certa Katerina Petrova(4), una biondina di origini bulgare, dopo aver scoperto che lei era innamorata del fratello minore di Damon, Stefan, praticamente da sempre. Sapere di essere stato per due anni una specie di ripiego non l’aveva di certo reso felice, ma Damon era uno che sapeva riprendersi in fretta.
Per questo gli piaceva.
Non era il tipo da piangersi addosso. A volte era estremamente stronzo ed insopportabilmente egocentrico, ma sapeva anche essere leale e sotto la scorza da duro di cuore in realtà nascondeva ben altro.

Solo Dominic era al corrente di quanto fosse stato innamorato –o avesse creduto di esserlo– della ragazza, ma per Damon la famiglia veniva sempre prima di tutto, pertanto si era fatto da parte in favore del fratellino, con la promessa che se Kat l’avesse fatto soffrire in qualche modo, lui le avrebbe spezzato le ossa una ad una.
A cominciare dal collo.
E Damon manteneva sempre le sue promesse.

Ad ogni modo i due piccioncini si erano sposati un mese prima, dopo un fidanzamento lampo, e, per la gioia di tutti, erano partiti per una lunga luna di miele in giro per l’Europa, lasciando al suo amico tutto il tempo per riprendersi.
[E non gli ci vorrà molto…]

Dominic lo raggiunse al tavolo da biliardo, trovandolo appunto con un bicchiere del miglior whiskey irlandese(5) in una mano e la stecca nell’altra.
Ordinò per sé una pinta(6) di Guinness Stout(7), giudicando lo stomaco troppo vuoto per dedicarsi al whiskey, tanto più dopo il bicchiere di Porto che aveva bevuto in ufficio, e si preparò a giocare l’ennesima partita con Damon, quasi senza parlare.

Dopo oltre dieci anni, decisamente non servivano parole tra loro. Si capivano con una semplice occhiata.
Si erano incontrati casualmente ad una festa, poco prima che ci fosse la rottura tra Dominic ed il padre. All’inizio era stata una semplice conoscenza, ma quell’episodio, che aveva quasi portato Dominic verso una brutta china, li aveva avvicinati.

Damon aveva perso il padre da ormai diversi anni e, prima con le buone, poi con una sana scazzottata, aveva fatto rinsavire l’amico, facendogli comprendere l’importanza di avere accanto a sé una famiglia e, soprattutto, un padre che, nonostante tutto, stravedeva per il figlio.

Era stato poi proprio Damon a suggerire a Dominic la sistemazione presso il vecchio Miller, soluzione che aveva messo tutti d’accordo, consentendo a Dominic di fermarsi in pianta stabile a Vancouver e di frequentare la facoltà che aveva scelto, alla British Columbia(8).

Da quel giorno i due erano diventati inseparabili. Damon era, per Dominic, un amico, meglio ancora, un fratello, l’unico a cui avrebbe affidato la sua stessa vita.

Fisicamente si somigliavano parecchio. Stessa età, entrambi alti, il fisico asciutto e scolpito di chi pratica regolarmente attività fisica, capelli neri ed occhi chiarissimi, tanto che più persone, ragazze soprattutto, erano convinte che fossero gemelli.
Nessuno dei due si era mai preoccupato di smentire questa diceria.
In fondo, pensavano, la loro fratellanza non dipendeva dal sangue o dal dna, ma dal rispetto reciproco, ed era altrettanto forte.

Solo osservandoli più attentamente, ci si rendeva conto di sottili, ma evidenti, differenze tra i due.

Dominic aveva un viso ovale, occhi più grandi e dal taglio più obliquo, il naso meno affilato. Preferiva sfoggiare un accenno di barba che, benché sembrasse incolta, in realtà era curatissima. E oltretutto serviva a nascondere, tra lo zigomo e l’orecchio, una piccola cicatrice, ricordo del micidiale destro dell’amico. Le spalle larghe ed i fianchi stretti erano la naturale conseguenza delle lunghe nuotate in piscina.

Damon aveva, al contrario, la mascella più squadrata e gli zigomi pronunciati, la bocca poco più sottile ed era quasi sempre meticolosamente sbarbato. Fisicamente un po’ meno imponente dell’amico, sfoggiava comunque addominali di tutto rispetto, dovuti alla passione per la lotta libera, per cui era molto più portato. Lui non amava l’acqua(9) e preferiva iniziare la giornata con una corsa nei parchi adiacenti la British Columbia

Entrambi avevano labbra morbide, che sembravano fatte apposta per baciare, e irresistibili fossette che, ad ogni sorriso, impreziosivano il volto ed incorniciavano la bocca in modo sensuale.
Gli occhi erano d’un azzurro così chiaro da sembrare di ghiaccio, ma quando esprimevano rabbia quelli di Dominic viravano sul blu, come l’oceano più profondo, mentre a Damon si coloravano d’un grigio plumbeo, come il cielo in tempesta.

C’erano poi differenze di carattere. Laddove Dominic era più tranquillo e pacato, Damon era più sanguigno ed iperattivo. Insieme si compensavano nel migliore dei modi, sostenendosi a vicenda nei momenti più difficili, anche con la sola reciproca presenza.

Avevano terminato da poco la prima partita, scambiandosi in tutto poche parole, quando una ragazza si presentò davanti loro.
Degna di attenzione, fu l’immediato pensiero di Dominic.
Bionda, occhi verdi e un fisico da modella, la nuova arrivata aveva delle forme alquanto invitanti, ben evidenziate dal taglio semplice, ma elegante, dell'abito verde scuro che indossava.

Qualcosa si smosse decisamente nei pantaloni di Nick, che fu dolorosamente cosciente di essere in astinenza da sesso da più tempo di quanto non credesse.
Abbastanza da sentirsi arrapato come un adolescente alla vista di due gambe lunghe, fianchi morbidi e una terza abbondante di seno.

- Ehi! Guarda chi si rivede! – l’apostrofò subito Damon, poggiando la stecca a terra.
Dominic lo guardò con attenzione. A quanto sembrava l’amico si stava velocemente riprendendo dalla delusione amorosa, tornando ad essere il solito vecchio seduttore.

- Damon. – lo salutò la biondina.
- Nessun irlandese -tecnicamente inglese- al seguito? – le chiese, col tono irriverente che Dominic associava ad un certo interesse per il soggetto.
- Solo una ragazza inglese, se t’accontenti – rispose lei, ridendo.

I due uomini si scambiarono un’occhiata al volo. Come al solito le parole non furono necessarie e, mentre Dominic bofonchiò una frase di scuse, defilandosi con discrezione, Damon fece un gesto con la mano, rivolto al tavolo da biliardo che lo separava dalla ragazza, ammiccando un invito che lei seppe cogliere al volo.
- Volentieri! –accettò.
[Bella ed intelligente!]

Damon le porse la sua stecca, per poi procurarsene una nuova dalla parete lì accanto.
- A te l’onore della spaccata, ragazza inglese. – le propose, sistemando sul tappeto verde le biglie col triangolo.
- Dana. – disse lei, mentre preparava la punta della stecca col gesso – Mi chiamo Dana. -

A quel punto fu chiaro a Dominic che la serata rigorosamente senza donne era saltata e, non volendo certo fare il terzo incomodo, decise di bersi un’ultima pinta al bancone prima di tornarsene a casa.
Da solo.

Era evidente che i due si erano già incontrati in precedenza. Dominic non poteva che approvare la scelta dell’amico e, per quanto potesse piacergli quella ragazza, non si sarebbe intromesso tra i due.

L’amicizia era più importante di qualsiasi donna.
Era uno dei fondamentali del loro rapporto: niente scambi o passaggi di sorta. Nemmeno in caso di rotture. Le “ex” erano intoccabili tanto quanto le compagne del momento.

L’altra regola non scritta era “niente uscite a tre”. Nessuno dei due avrebbe accettato di fare da reggi moccolo, pertanto uscivano insieme solo se entrambi erano accoppiati, oppure, come quella sera, per una serata di bevute tra amici.

Quella Dana era davvero un delizioso bocconcino, del genere però che non si lasciava mangiare facilmente. In poche parole era il tipo giusto per Damon, che non apprezzava le prede facili da catturare.
Le trovava poco stimolanti, diceva. A lui piacevano invece le donne con le palle, come spesso le definiva. Apprezzava il gioco della seduzione, per dare più sapore alla conquista, così la vittoria sarebbe stata molto più soddisfacente.
Per entrambi i giocatori.

Dominic lo sapeva bene, perché anche lui era così.
Conosceva molte, -troppe-, donne disponibili, che gli si gettavano praticamente tra le braccia, ma non gli interessavano. Lui, così come l’amico, aveva bisogno di sentirsi coinvolto anche e soprattutto mentalmente, non solo con l’uccello.

Avvicinandosi al bancone, con la testa persa in queste riflessioni, si scontrò casualmente con un tipo alquanto fuori luogo in quel pub.
L’abbigliamento bohémien(10), con pantaloni smilzi alla caviglia, cardigan a righe bizzarre e l’onnipresente sciarpa annodata vezzosamente al collo, diede subito a Nick l’idea di avere di fronte il tipico esemplare di “tento di essere un artista, ma non ci riesco”.

Uno che, in ogni caso, nessuno, e tanto meno Nick, si sarebbe aspettato di incrociare in un irish pub.

Ad una seconda occhiata, poi, Dominic comprese che ancor meno avrebbe voluto incontrarlo, dato che il tipo in questione gli stava letteralmente prendendo le misure, spogliandolo con gli occhi.
- Mais bonsoir!(*) – lo salutò quello, senza però distogliere lo sguardo dalle sue parti basse, dando più l’impressione che parlasse con la cinta dei pantaloni, anziché con chi li indossava.

- Que voulez vous?(*) – lo apostrofò Nick, oltremodo irritato dal quel personaggio. E anche dall’amica di Damon, che lo aveva cacciato in quella incresciosa situazione.
- Oh, mais vous parlez ma langue, quelle chance!(*) – disse sorpreso, alzando gli occhi – Parlate la mia lingua, che fortuna! – riprese ancora, ripetendo la stessa frase in inglese stentato.

- Monsieur, siamo a Vancouver, in Canada. – chiarì in tono ironico Dominic, nonostante fosse ovvio come il sorgere del sole – Qui tutti, o quasi, parlano sia inglese che francese! -
[Basta che la pianti di misurarmi il pacco!]
- Oui oui, vous avez raison(*)… avete ragione, che sciocco! – farfugliò l’altro, mischiando indecentemente entrambe le lingue.
[Idiota, ecco cosa sei! Altro che sciocco!]

- Excusez-moi, sono appena arrivato. Vous savez… l’anglais… c’est une langue terrible!(*)(11) –
Dominic sbuffò.
[E tornatene in Francia allora, babbeo!]

- Posso aiutarla? – si decise a chiedere.
Tutto pur di liberarsi in fretta di quello strano ed appiccicoso individuo.

- Mais oui! Avevo un rendez-vous con monsieur Smith, mais je ne le vois pas!(*) Per caso voi l’avete visto? –
- Eh, come no! Chi non riconosce Tal dei Tali(12) in un pub pieno zeppo di gente! –
Il sarcasmo di Dominic si poteva quasi gustare, tanto era tangibile, ma non certo per il piccolo francese che, imperterrito, continuò:
- Qui est-ce ce monsieur Tal dei Tali? Je ne connais pas de ce nom là!(*) –
- Lasci perdere, glielo spiego un’altra volta – disse Dominic, perdendo ormai le speranze di avere una conversazione sensata con il suo interlocutore.

Sconsolato, diede un’ultima occhiata in direzione dell’amico Damon, scoprendo che si stava senza alcun dubbio divertendo in compagnia della ragazza, prima di decidersi a dare un’ultima chance al francese.
- Potete almeno descriverlo? – domandò, rassegnato, rimpiangendo di non essere rimasto a casa quella sera.

L’uomo si illuminò, esibendosi in un sorriso che mise in mostra degli orrendi denti ingialliti e storti.
- Bien sûr. Monsieur Smith c’est… John Smith!(*) – rispose infine, come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.

[Ok! Adesso lo ammazzo!]




Angolino di Queen e Lune:

Queen – Salve a tutte/i!
Come sempre, un grande ringraziamento a chiunque di voi per aver letto anche questo nostro ultimo capitolo. Penso di poter parlare a nome di entrambe quando dico che il vostro apprezzamento ci fa davvero molto, molto piacere. E poi, ma quanto è brava Lunedì? Ogni volta che mi deve mandare i suoi capitoli per chiedermi un parere sono lì che sbavo davanti al computer con gli occhi luccicanti (brutta immagine. Scusate).
Che altro dire? Non so a voi, ma a me Dominic piace sempre di più. Che la nostra Cassandra stia attenta, meglio non avere mai la propria autrice come rivale in amore!
Di nuovo un grandissimo ringraziamento a tutti voi. Alla prossima!

Lune – Confesso. Ho impunemente creato un parallelismo tra questo capitolo ed uno presente nell’altra mia storia. E mi sono decisamente divertita nel farlo.
Riguardo il tizio francese, si è capito che si tratta del famoso (ma anche no) imbrattatele appena giunto a Vancouver dal lontano Sudafrica, mentre John Smith è, e resterà ancora per il momento, un personaggio evanescente, in perfetta linea con il suo ruolo di uomo onnipresente, ma invisibile.
Non date retta a Queen, che esagera come al solito. I suoi capitoli sono altrettanto intriganti, anche se lei dice di no.
Per esigenze che capirete, ho dovuto inserire nei dialoghi alcune frasi in lingua originale, contrassegnate da (*), per le quali ho messo la relativa traduzione in fondo alle note.


Per saperne di più:

(1) Parlando di Irish Pub trovo adattissimo intitolare il capitolo alla scultura di Benjamin Lee Guinness, situata nei giardini della cattedrale St. Patrick a Dublino. La statua, in bronzo, è stata realizzata nel 1875 da John Henry Foley, artista irlandese, e restaurata di recente, nel 2006. Benjamin Guinness, primo Baronetto, fu mastro birraio, ma anche un politico ed un filantropo.
(2) Il Blarney Stone è un Irish Pub a Gastown, in pieno centro, dove servono birra e piatti tipici, hanno zone di gioco tra cui biliardo e freccette, fanno serate con musica dal vivo e tanto altro. E’ uno dei locali storici di Vancouver. Le descrizioni inserite nel testo sono fedeli alla realtà. Questo è il sito ufficiale
Ho scoperto questo pub per un’altra storia che ho in corso e me ne sono letteralmente innamorata, quindi lo riutilizzo volentieri anche qui. Chissà che non faccia innamorare un po’ anche voi.
(3) Damon è un chiaro omaggio a Damon Salvatore, personaggio più unico che raro della serie The Vampires Diaries. Irriverente, ironico, decisamente sexy e chi più ne ha più ne metta.
(4) Katerina Petrova, o Catherine Pierce è un altro personaggio di TVD. L’ho descritta come bionda, perché nei libri in realtà lei è bionda e con gli occhi azzurri.
(5) Storcerete il naso nel leggere “whiskey irlandese”, quando sappiamo tutti benissimo che Damon Salvatore si sollazza di solito col bourbon. Non è una licenza poetica. Anzitutto stiamo parlando della stessa bevanda, ossia di whisky, ma essendo in un pub irlandese è più appropriato parlare di whiskey. Questo perché il primo, senza la E, identifica lo Scotch whisky, prodotto, distillato ed invecchiato in Scozia, mentre l’altro è di origini irlandesi, appunto. Il bourbon non è altro che il whisky americano, nato nell’omonima contea Bourbon, nel Kentuky. Questo articolo spiega benissimo le differenze.
(6) La Pinta non è solo un’unità di misura, ma è anche il nome del bicchiere più adatto ad esaltare le birre ales inglesi o stout irlandesi.
(7) La Guinness Stout è una birra scura, quasi nera, con schiuma bianca compatta, 4.2% di gradazione alcoolica. 
(8) La British Columbia University è decisamente la più grande a Vancouver, sicuramente quella che offre più facoltà di studio, tra cui, ovviamente, quella d’Arte. Si trova al 2329 di West Mall. E qui trovate l’elenco delle facoltà. 
(9) Che i “vampiri” non amino l’acqua, l’ho scoperto in una puntata di TVD, quando Damon salva Elena sul Wickery Bridge buttandosi con lei in acqua per evitarle di essere arsa viva, in un disperato tentativo di suicidio dovuto alle allucinazioni per aver ucciso un Cacciatore. Non so quanto questa “diceria” sia vera, però. 
(10) Non c’è molto da dire sullo stile bohémien da uomo. S’ispira principalmente a personaggi dandy, tipo Oscar Wilde, ed è descritto in poche essenziali parole in questi due articoli: qui e qui
(11) Per molti francesi, l’inglese è una lingua ostica, tanto più se si considera che Francia ed Inghilterra hanno una storica tradizione di rivalità sfociata in diverse guerre non di poco conto, a partire dalla Guerra dei Cent’anni, durata, appunto oltre 100 anni, giusto per citarne una a caso. Screzi tra vicini, insomma.
(12) John Smith è il classico nome che, in Inghilterra, indica tutti e nessuno, un po’ come da noi Mario Rossi. In questo articolo sono elencati alcuni dei nomi comuni fittizi più usati nel mondo. Speriamo che sia chiara la scelta di questo nome per un ricercato internazionale.
(*) Traduzione veloce delle frasi in francese:
•    Mais bonsoir! – Buonasera! (il “ma” è un semplice rafforzativo)
•    Que voulez vous? – Cosa volete? (forma colloquiale della frase. La forma corretta sarebbe stata “Qu’est-ce que voulez vous?”, che si traduce nello stesso modo, ma è più elegante. Usando la prima versione si enfatizza il tono non propriamente cordiale. In francese si usa il “voi” al posto del “lei”).
•    Oh, mais vous parlez ma langue, quelle chance! – Ma voi parlate la mia lingua, che fortuna!
•    Oui oui, vous avez raison – Sì sì, avete ragione
•    Excusez-moi, (…). Vous savez… l’anglais… c’est une langue terrible! – Scusatemi, (…) Sapete, l’inglese è una lingua terribile (i francesi usano la parola “terrible” con molti significati: può voler dire terribile, ma anche “orrendo”, “difficile”, “pestifero” etc etc)
•    Mais oui! Avevo un rendez-vous con monsieur Smith, mais je ne le vois pas! – Ma sì! Avevo un appuntamento con Mr. Smith, ma non lo vedo!
•    Qui est-ce ce monsieur Tal dei Tali? Je ne connais pas de ce nom là! – Chi è questo signor Tal dei Tali? Non conosco nessuno con questo nome!
•    Bien sûr. Monsieur Smith c’est… John Smith! – Certamente! Mr Smith è John Smith!

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