Restless Heart Syndrome

di Jude02
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A Wrong Beginning; ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***



Capitolo 1
*** A Wrong Beginning; ***


    NB:

  • Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi;
  • Questa FF è un Alternative Universe, dove i personaggi si trovano in un'epoca differente da quella in cui hanno vissuto realmente e il gruppo degli Oasis sarà composto dai componenti storici, quali Paul Arthurs, Paul McGuigan, Tony McCarroll e, ovviamente, Noel e Liam Gallagher;
  • In caso di altri cambiamenti dovuti a ragioni di copione, avvertitò nel corso della storia.
  • L'età di Liam, sarà perciò intorno ai 17/18 anni e quindi Noel ne avrà all'incirca 22/23.
-Buona lettura :)


A wrong beginning.





 
Sabato sera; un qualsiasi giorno di un ignoto anno di metà novembre.
Mi osservai allo specchio, iniziando a prepararmi per la serata.
Un'ora e mezza di tinta fatta in casa aveva dato i suoi frutti: finalmente i miei capelli erano diventati di uno stupendo colore castano ramato e i riflessi rossi erano ben evidenti. Ma per quanto potessi essere soddisfatta dei miei capelli, non potevo dire lo stesso del mio viso; spostai l'attenzione su..di me.
Sospirando incontrai il mio stesso sguardo e mi fissai negli occhi. Era dunque questo l'aspetto con cui mi presentavo al mondo esterno?
Alla luce gialla della lampadina, il mio viso appariva quasi mortalmente pallido e gli occhi erano perennemente segnati da orribili occhiaie.
Scrollai la testa, affrettandomi a cambiare ciò che stavo vedendo, facendo in modo di nasconderlo, almeno in parte, al resto del mondo.
Fondotinta, correttore sotto gli occhi, eye-liner nero, una quantità indefinita di mascara e rossetto rosso.
Un quarto d'ora dopo, tornando a fissare il riflesso di quegli occhi blu, notai che il velo di malinconia era scomparso e le labbra erano piegate in un sorriso.
Bastava quindi così poco per aumentare di mezzo grado la propria autostima?
Mi vestii in fretta, indossando un paio di pantaloncini di jeans chiari, una canottiera scura e, per ultimi, un paio di tronchetti dal tacco dieci che mi facevano arrivare al metro e ottanta.
Afferrata la giacca di pelle, anch'essa nera, uscii di casa, accompagnata da mia madre, che una volta ogni morte di papa acconsentiva a farmi da taxi personale, almeno finchè non avrei preso la patente.
Mi diede una rapida occhiata, non volendo mostrare che mi stava osservando per non palesare la disapprovazione sul mio abbigliamento, poi salimmo in macchina e accese la mia radio preferita.

Dopo mezz'ora, deviammo dalla strada principale, infilandoci in una strada buia, senza lampioni, costeggiata da alte siepi.
Mia madre schivò, scandalizzata, due individui sdraiati per quasi tutta la lunghezza della strada, che non dovevano dare troppo peso al rischio di venire investiti.
Poi accelerò nei pressi di un'altra distinta coppia che, sghignazzando e barcollando, ci chiese non troppo gentilmente se "c'avessimo d'accendere".
A quel punto scesi dalla macchina, riempiendola di rassicurazioni sul fatto che nessuno mi avrebbe violentata quella sera e promettendole di chiamarla, nel caso "fosse successo qualcosa".
Arrivai sotto casa alle 19:30 in punto, ma impiegai non meno di 20 minuti a trovare l'entrata del condominio.
Dietro alle macchine parcheggiate, vidi avvicinarsi i due loschi individui che prima erano sdraiati a pelle di lupo sull'asfalto; si infilarono tra i cespugli e sparirono nel nulla.
A piccoli passi mi avvicinai al luogo in cui erano scomparsi e scoprii uno stretto passaggio che si apriva tra i cespugli e conduceva al portone principale del palazzo.
Un po' titubante, mi ci innoltrai, sentendomi come Wendy Torrance, nel labirinto di Shining e convicendomi che fosse soltanto questione di secondi prima che mi balzasse addosso un maniaco con un'ascia in mano.
Per fortuna, arrivai in fondo al corridoio di siepi sana e salva e potei finalmentte suonare il campanello.
Non rispose nessuno.
Allora telefonai a Annabell;
segreteria telefonica.
Ma in che razza di situazione mi trovavo?! Non sapevo se mettermi a ridere da sola, istericamente, sperando in uno scherzo, oppure tornarmene a casa.
Suonai nuovamente il campanello e per miracolo mi rispose Step, il ragazzo di Annabell.
Dopo aver salito cinque piani a piedi, con il rumore dei tacchi che echeggiava nei pianerottoli vuoti e maledicendo ogni gradino, arrivai davanti all'appartamento, ansimante e leggermente scocciata,
Non feci in tempo a bussare che la porta si spalancò e mi ritrovai di fronte a quel piccolo elfo saltelleante di Annabell, con i capelli cortissimi e neri acconciati in una cresta.
Di fronte alla sua esuberante vitalità, non potei far altro che dimenticare le ragioni del mio malumore e scoppiare in una risata genuina. mentre si allungava per gettarmi al collo le braccia magrissime.
Poi si scostò per osservarmi con gli occhioni scuri spalancati, alla ricerca di qualcosa che non le tornava: -Ma...Veronica, sei altissima! -esordì, dal basso del suo metro e cinquanta.
Risi, oltrepassando l'uscio: -Hai visto? Con queste scarpe sono sicuramente quanto Step! A proposito, lui dov'è?
-Di sopra, sta ancora organizzando la tavolata. Tu raggiungilo, io intanto vado a prendere due miei amici.
Così, sotto il pigro sguardo del gatto nero sdraiato sul tappeto, mi preparai ad affrontare una pericolante e strettissima scala a chiocciola, cercando di non sfrombolare a terra, e ritardare così, il momento in cui avrei fatto la prima figura di merda della serata.
Sbucai in una mansarda dal tetto spiovente, non tanto grande, ma accogliente.
Salutai Step, con qualche battuta su quanto fosse imbucata casa sua, dopodichè feci per appoggiare la borsa su un tavolino nell'angolo, ma una voce mi fece trasalire: -Sposta quel cazzo di piede dalla mia giacca!
Abbassai gli occhi, notando sul pavimento, a un metro e ottanta di distanza, una giacca di pelle la cui manica finiva esattamente sotto il mio tacco.
Poi alzai lo sguardo e, spaparanzato su un divanetto, riconobbi uno dei due ragazzi che qualche momento prima si divertiva a rischiare la morte sull'asfalto;  aveva gli occhi sporgenti, la fronte bassa e una strana attaccatura di capelli.
- Veronica, lui è Guigsy. -annunciò Step, dall'altra parte della stanza, senza alzare lo sguardo dalle birre che stava mettendo in frigo. -Guigsy, Veronica.
Gli feci un cenno col capo, scansando la sua amata giacca, senza chinarmi a raccoglierla, -Piacere di conoscerti, Guigsy -mormorai sarcasticamente, prendendo posto in una sedia di legno a capotavola.
-Ah, invece l'altro coglione a fianco è Liam, Liam Gallagher.
Mi voltai nuovamente verso il divanetto, accorgendomi per la prima volta del secondo ragazzo, chinato ad arrotolare una cartina di indubbia provenienza.
Posai i miei occhi su di lui e su di lui essi rimasero:
A differenza del primo, Liam era a dir poco stupendo, tanto che mi maledii per non averlo notato prima e non essermi presentata fingendo almeno un minimo di cordialità.
Quasi incapace di distogliere lo sguardo, lo fissai per alcuni secondi, durante i quali sollevò il capo una volta soltanto, ma senza nemmeno un cenno di saluto, tornò alla sua occupazione principale.
Indispettita, sbattei le palpebre e mi strinsi nelle braccia, volgendo la testa da un'altra parte per nascondere il rossore che cominciava a pervadermi le guance.
Di sfuggita mi accorsi che Step aveva osservato tutta la scena; ma non feci in tempo a registrare quell'informazione che fui distratta dal ritorno di Annabell con due tizi già fatti, ancora prima di iniziare la serata.
-Veronica, loro sono Piz e Christian, i miei migliori amici.
Ah beh, iniziamo bene, pensai, stringendo la mano ad entrambi.
Silenziosamente tornai al mio posto, facendo scorrere lo sguardo tutto intorno: era decisamente un ambiente diverso da quelli che ero abituata a frequentare, ma dopotutto, non potevo rifiutare l'invito al compleanno di Annabell..
Mi appoggiai la testa tra le mani, inviando un messaggio alla mia migliore amica, senza farmi notare: Ti prego Cam, sbrigati a venire, o qua mi tocca fare l'asociale, sai come sono gli amici di Step e Anna..
Per la risposta non dovetti attendere nemmeno un minuto e, da come era iniziata la serata, capii che avrei dovuto prevederla: Vii, ti prego scusami, ieri mi sono proprio scordata di dirti che non riesco a venire!
Bidonata in pieno. 
Ero stata bidonata in pieno!


Cercai Annabell, ma sembrava essersi eclissata, così uscii nel terrazzino adiacente alla stanza.
Lo attraversai a grandi passi e mi appoggiai alla ringhiera. Dopo un profondo respiro, decisi che in qualche modo avrei affrontato anche quella serata, dopotutto un'ora era già trascorsa...
Tirai fuori il pacchetto di Marlboro e me ne portai una alla bocca; provai ad accenderla più volte, ma niente.
Anche l'accendino mi aveva abbandonato.
In un impeto di rabbia lo scagliai lontano: -Cazzo!
-Non avresti potuto colpire meglio nemmeno se mi avessi visto.-
trasalii, al suono di una voce secca, appena rauca, con uno spiccato accento inglese...


 
CONTINUA...


***

Ho finalmente terminato il primo capitolo di questa nuova FF!
In realtà non sapevo bene come cominciare;
infatti la parte iniziale del capitolo era nata più che altro come diario,
dal momento che sabato ero stata invitata al compleanno di una mia amica e diciamo che non è andato proprio bene...
Peerciò ecco qua una nuova Fan Fiction, spero davvero che vi piaccia :)
Un bacione,
Sofia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***



Capitolo 2.


Dal capitolo 1:
-Non avresti potuto colpire meglio nemmeno se mi avessi visto.- trasalii, al suono di una voce secca, appena rauca, con uno spiccato accento inglese... 



Mi voltai di scatto, incrociando lo sguardo divertito e appena beffardo di Liam Gallagher, seduto al buio dietro una colonna, nella mano destra il mio accendino blu.
-Io..pensavo di essere da sola. -balbettai la prima cosa che mi era passata per la mente. Feci un passo avanti, cercando di fare mente locale, cosa non facile sotto il peso di quegli occhi azzurri. 
Ero irritata dal fatto che qualcuno avesse assistito al mio sbotto di frustrazione; ma nel momento stesso in cui mi ero voltata a cercare il suo sguardo, mi ero sorpresa sollevata a scoprire che fosse lui e non un altro di quella marmaglia che girava all'interno dell'abitazione.
Perchè?  mi chiesi, osservandolo meglio, Perchè nel giro di qualche secondo, soltanto osservandolo, mi sentivo così mortalmente attratta da qualcuno che mi aveva rivolto si e no due parole nel giro della serata?
Non riuscii a trovare una risposta credibile.
Feci un respiro profondo, accorgendomi di averlo trattenuto fino a quel momento, senza motivo; sorrisi e mi avvicinai, accompagnata dal regolare battito dei tacchi sulle piastrelle di mattone.
-Non è che avresti..- non feci in tempo a terminare la frase che aveva già estratto dal giubbotto di pelle un accendino di metallo, in stile anni 90.
Finalmente riuscii ad accendermi una sigaretta; aspirai lentamente, assaporando il familiare e leggero bruciore alla gola, mentre i miei nervi cominciavano a distendersi; dopodichè gli porsi il pacchetto di Marlboro, ma Liam rifiutò.
-Fumo soltanto Benson. -affermò sorridendo, accendendosene una.
Lo guardai con un sopracciglio alzato: -Mai sentite, fammi fare un tiro.
Ma non appena ebbi aspirato, mi ritrassi tossendo: -Fanno *colpo di tosse* schifo!
Gallagher scoppiò a ridere: -Immaginavo. -rispose, osservando il segno del rossetto che avevo impresso sul filtro.
Presi una sedia e mi sedetti di fronte a lui, con lo sguardo rivolto oltre il parapetto del balcone. E' sempre stato un mio brutto difetto quello di non riuscire a sostenere un intero discorso guardando negli occhi il mio interlocutore.
Trascorremmo qualche minuto in silenzio: io ad osservare l'orizzonte, Liam ad osservare me.

Ero consapevole del suo sguardo, ma incapace di voltarmi; preferii spezzare il silenzio: -Allora, Liam Gallagher, cosa ci fai qui?
-Sono stato invitato. -rispose laconicamente, senza smettere di sorridere enigmaticamente (in quel modo che troppo presto avrei imparato a conoscere).
A questo punto mi voltai ad osservarlo: era così..inglese, così sensuale.. trasudava erotismo.
Scrollai la testa e mi alzai, dandogli le spalle; appoggiai i gomiti al parapetto e mi sporsi verso il basso, senza motivo.
-Voglio dire, cosa ci fa un ragazzo inglese, che sembra uscito dagli anni 90, in un paese come questo?
Ma la mia voce rimase sospesa nell'aria e la mia domanda non ebbe risposta.
Dopo pochi attimi, udii alle mie spalle un rumore familiare: all'inizio soltanto un incerto arpeggio di chitarra, poi una melodia prese forma, con un ritmo che ricordava quello di una ballata.
Chiusi gli occhi, perdendomi in quella melodia, quando al suono della chitarra si aggiunse una voce: quella voce sporca e decisa, appena forzata, ma tremendamente sensuale, pur nell'inflessione malinconica della canzone.

 
There's a song
It reminds me when we were young
looking back at all the things we're done
You've gotta keep on keepin'on
Out to sea, is the only place
I honestly can get myself some piece of mind ...
1

 
Così com'era iniziato, tutto si interruppe.
Riaprii gli occhi e mi affrettai a voltarmi, temendo irrazionalmente che anche Liam fosse scomparso; ma lui era ancora lì, con la chitarra tra le mani.
-E'...molto bella - affermai banalmente, non trovando altre parole per esprimermi, - L'hai scritta tu?
Liam annuì:  -Sì, beh, ma diciamo che non sono io il genio in famiglia - disse con una smorfia infastidita.
-Oh.. - non capii cosa intendesse, ma pensai che fosse meglio cambiare argomento; mi avvicinai alla chitarra, scorrendo le dita lungo la cassa in legno: -E' un modello costoso, non non ne ho mai visti così, dove l'hai presa?
-L'ho fregata a mio fratello -mi spiegò con espressione soddisfatta, come un bambino che raccontava orgoglioso la buona riuscita delle sue bravate: -Penso sia l'unica cosa di cui veramente gli importi in quella sua vita di merda. Eppure non si era accorto nemmeno che io e la sua fottuta chitarra eravamo scomparsi! - rise.
Capii che il mio tentativo di cambiare argomento aveva fatto fiasco, così mi trovai spiazzata da quella breve rivelazione, senza sapere cosa rispondere: dopotutto, non sapevo assolutamente nulla di lui, se non quello che mi aveva appena raccontato.
Notando il mio turbamento, fu Liam stesso a riprendere la parola: - Ma dopotutto, quello è solo un capitolo chiuso della mia vita, non penso che le nostre strade si rincontreranno tanto presto. - affermò, scuotendo la testa.

-Dai, fammi sentire qualcos'altro. -proposi, per allentare definitivamente la tensione.
-Cosa preferisci?
-Non importa, attacca con la prima cosa che ti viene in mente.

Dopo alcuni accordi a vuoto iniziò, lasciandomi stupita, con una canzone che riconobbi subito:

 
Words are flowing out
like endless rain into a paper cup
they slither wildly
as they slip away across the universe
pools of sorrow, waves of joy
are drifting through my open mind
possessing and caressing me
jai guru deva, om
nothing’s gonna change my world
nothing’s gonna change my world…

Poi si interruppe e mi guardò con la testa leggermente inclinata da un lato: -Scusa, forse preferivi qualcosa di un po' più...recente. -notai una sfumatura sarcastica nella sua voce.
Si era fatto davvero una così bassa opinione di me? Probabilmente si aspettava che gli chiedessi di cantarmi Justin Bieber3 o chissà cos'altro.
In un moto di orgoglio sollevai il mento, sostenendo il suo sguardo e riattaccai laddove lui si era interrotto:

 
Images of broken light
which dance before me like a million eyes
they call me on and on across the universe
thoughts meander like a restless wind
inside a letter box
they tumble blindly as they make their way
across the universe
jai guru deva, om
nothing’s gonna change my world
nothing’s gonna change my world…
2

 
Poi qualcosa nel suo sguardo cambiò: notai un guizzo di interesse, come se si fosse svegliato da un passivo torpore, socchiuse gli occhi, come prendendo una decisione che ancora non potevo cogliere.
Riprese a cantare, accompagnando la mia voce alla sua, senza distogliere lo sguardo dal mio.
Furono attimi intensi, di quelli che, una volta terminati, lasciavano nell'aria una sorta di imbarazzo.
-Non immaginavo che ascoltassi i Beatles. -affermò, con un sopracciglio alzato.
-Potrei dire la stessa cosa di te. -ribattei.
-Beh, per un inglese uscito dagli anni 90 niente di più normale, non trovi?
Naturalmente il suo ragionamento non faceva una piega!
-Allora, milord, che ne dite di insegnarmi qualche accordo? -domandai speranzosa: magari era la volta buona in cui avrei imparato almeno a tenere in mano una chitarra.
Con un luccichio negli occhi, Liam colse al volo l'occasione di provare ciò che stava meditando da un po'...


***

-Con piacere. -rispose, inclinando nuovamente la testa da un lato. -Avanti, vieni a sederti. -continuò con un sorriso marpione, scostando la chitarra e indicando le sue ginocchia.
Rimasi un attimo interdetta: per quanto mi tentasse con quello sguardo magnetico, non mi sembrava il caso di dargli corda, per quanto attraente potesse essere.
Sotto il suo sguardo mi avvicinai a lui e lo oltrepassai, sedendomi sulla sedia poco distante.
Liam sorrise, socchiudendo gli occhi, accettando quella tacita sfida: -Bene. -cominciò alzandosi in piedi e spostandosi alle mie spalle -Accavalla le gambe e imbraccia la chitarra; tieni la schiena dritta.. -così dicendo, fece scorrere una mano lungo la mia schiena e presa alla sprovvista non riuscii a trattenere un fremito. Ero girata di spalle, ma potevo ben immaginare quel sorriso marpione che aveva stampato in faccia e capii che in quel momento le uniche cose che Liam Gallagher aveva intenzione di insegnarmi avevano ben poco a che vedere col suonare la chitarra.
Si abbassò, fino a sfiorare con il mento l'incavo della mia spalla; potevo sentire il suo fiato caldo sul collo. Rimasi immobile per non cedere alla tentazione di voltarmi.
-Devi tenere la chitarra così...In questo modo.. -mi sussurrò all'orecchio, abbassando il tono di voce.
Potevo sentire i battiti del mio cuore accelerare, mentre mi sforzavo di mantenere la mente lucida e concentrarmi sullo strumento. Non potevo permettermi di cedere a quel modo e sembrare ridicola.
Ma quando Liam chiuse la mano destra sulla mia e fece scorrere la sinistra lungo il mio braccio, non riuscii a nascondere un secondo brivido. Lui se ne accorse e si scostò: -Hai freddo, stai tremando. - constatò e sperai senza troppa convinzione che pensasse davvero che i brividi fossero dovuti al freddo.
Avevo lasciato la felpa all'interno dell'appartamento, così lui si sfilò la giacca di pelle e me la porse; non appena la indossai venni avvolta dal suo profumo.
Inspirai lentamente e chiusi gli occhi, cercando di mantenere quel poco di lucidità mentale che mi stava abbandonando lentamente.
Cosa stavo facendo?
-Veronica... -lo sentii sussurrare.
Da quanto tempo avevo gli occhi chiusi?
Li riaprii e per poco non mi venne un colpo: il viso di Liam era a pochi centimetri dal mio e mi guardava con quegli occhi azzurri spalancati che mi ricordavano tanto quelli di un bambino...
Posò una mano sulla mia spalla e cominciò a scorrere le dita tra i miei capelli..  Colpita e affondata: era appena riuscito a scovare l'unica cosa a cui non ero in grado di resistere.
Ma dopotutto.. per quale motivo avrei dovuto resistere ancora? Nella confusione della mia mente ne cercai uno valido, ma non ne trovai.
Lui sembrava consapevole del mio disguido interiore, perciò continuava passare le dita tra le ciocche, a sfiorarmi il viso, attendendo come un predatore il momento in cui avrei ceduto: perchè era sicuro che non gli avrei resistito a lungo.
Aveva ragione.
Pensai confusamente che probabilmente non lo avrei più rivisto dopo quella sera e tutto ciò che fosse successo su quella terrazza, sarebbe rimasto lì, sospeso a cinque piani da terra, libero di essere dimenticato.
Con questi pensieri, fu la prima volta in cui cedetti al fascino di Liam Gallagher
Alzai il mento e lo guardai dritto negli occhi: sorrideva con soddisfazione, consapevole della mia decisione.
Gli sorrisi di rimando, intrecciando le mani dietro la sua nuca e disegnando con il pollice un movimento circolare.
Pensai che, dopotutto, non tutto il male veniva per nuocere: pareva che la dea bendata avesse trovato un modo per scusarsi di quell'inizio serata così poco allegro.

Ma la fortuna gira.. Ruota incessantemente in un turbine vizioso, pronta a ribaltare a suo piacimento le situazioni da lei stessa create.
Quante volte res secundae e res adversae4 potevano alternarsi nel corso di una stessa serata? Più di quante fossi disposta a sopportare.

 
Continua...

 
1 - Sicuramente lo sapete già, comunque la canzone citata è I'm outta time, scritta dallo stesso Liam.
- La canzone citata è Across the Universe, dei Beatles, che se non sbaglio dovrebbe essere appunto la preferita di Liam.

- In latino nel testo: buona sorte e cattiva sorte; fortuna e sfortuna.


 
***

Saalve
Ebbene, stavolta niente tamburello per Liam, ma una vera chitarra:
la chitarra del suo fottuto fratello, 
che spera di non rincontrare tanto presto...
Alla prossima!
Sofia.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3;

 

Dal capitolo 2:
La fortuna gira.. Ruota incessantemente in un turbine vizioso, pronta a ribaltare a suo piacimento le situazioni da lei stessa create...



Mi ero ormai lasciata alle spalle l'orgoglio che non mi avrebbe permesso di cedere al fascino di Liam.
Ma nel momento stesso in cui sfiorai le sue labbra, udimmo un rumore improvviso: la porta che dava sull'appartamento si spalancò, andando a sbattere contro il muro.
Mi ritrassi immediatamente, piena di imbarazzo, mentre guardavo Liam allontanarsi lentamente da me, scocciato.
Distolsi a fatica lo sguardo dal suo, solo allora mi voltai verso la porta e rimasi di stucco: Annabell appariva sull'uscio pallida e trafelata, con gli occhioni spalancati. Pensai che il suo aspetto fosse dovuto alla scena che si era trovata davanti agli occhi, ma non ci misi molto a ricredermi: controluce, accanto a lei, si stagliava un profilo scuro, una figura sbagliata..

-Luca -sussurrai, spalancando gli occhi. Lui non poteva trovarsi lì, non quella sera, non...in quel momento. 
Era tutto sbagliato.
Luca fece un passo avanti, con un ghigno stampato sul viso: -Vedo che ti ricordi ancora il mio nome, Veronica, per quanto tu ti affretti a dimenticarmi. -ghignò alludendo a Liam che, al mio fianco, mi teneva una mano sulla spalla.
-Tu..non dovresti essere qui -riuscii a dire a fatica, mentre il cuore mi martellava in petto.
-Dici? Eppure in qualità di tuo ragazzo mi sembra di avere il diritto di sapere quando fai la troia con gli altri.
Aprii la bocca, ma non riuscii ad emettere alcun suono, avvertendo la mano di Liam scivolare via dalla mia spalla.
Ero immobile: i miei occhi scorrevano da Annabell, che cercava di mimetizzarsi nell'ombra della colonna, a Liam, che non mi staccava gli occhi di dosso con un'espressione indecifrabile, e infine a Luca. Dal suo viso era scomparso il ghigno di poco prima e ora avanzava con il palmo della mano rivolto verso di me, fingendo un'espressione rassicurante.
-Stai tranquilla, amore mio -cominciò -sono intervenuto in tempo, prima che potessi commettere la sciocchezza di tradire la mia fiducia. Ma sono pronto a perdonarti, se ora verrai via con me.
Così dicendo mi afferrò un braccio; a quel contatto mi riscossi da quello stato di passività.
Basta, non ero più in grado di sopportare quella situazione, quei discorsi, quella voce.
Scattai in piedi, mentre Luca mi guardava stupito.
-Non mi toccare, sei un pazzo! Non siamo mai stati insieme, non hai mai avuto alcun diritto su di me! Smettila di cercarmi, smettila di chiamarmi, smettila di intrometterti nella mia vita! Devi lasciarmi stare! -sbottai, terminando la frase con la voce incrinata.
Avevo finalmente trovato la forza di ordinargli di stare alla larga da me, dopo giorni e giorni di persecuzioni indirette.
Ma lui aveva ascoltato la mia sfuriata con un'espressione di paziente assecondanza, come se si trovasse di fronte a una bambina capricciosa.
-Avanti, Veronica, non fare la sciocca, non c'è bisogno di fare questa scenata, non capisci che lo faccio per il tuo bene? Hai voluto provare qualcosa di nuovo -disse guardando Liam con disprezzo -ma sappiamo entrambi che il nostro amore ti avrebbe riportato comunque da me. Ho solo pensato di accelerare i tempi e questo è il momento giusto. Non fare la bambina, vieni via, subito.
Allungò nuovamente la mano verso di me, tentando di afferrarmi, ma venne bloccato da Liam che fino a quel momento era rimasto in silenzio ad osservare la scena.
Guardò Luca con gli occhi socchiusi: -Ti ha detto di stare lontano da lei. -sibilò in un sussurro.
Ma Luca non colse l'avvertimento; stupito dal modo sfrontato in cui quello sconosciuto osava rivolgergli la parola e intromettersi tra lui e l'oggetto del suo desiderio, gli rispose: -Non penso che siano affari che ti riguardano. Ora puoi toglierti di mezzo. - continuò ad avanzare nella mia direzione.
Liam mi prese dolcemente una mano e mi sussurrò all'orecchio: - Vieni con me, andiamo via.
Come in un sogno non esitai a seguirlo, aggrappata al suo braccio, ma Luca lo afferrò per una spalla, costringendolo a voltare la testa per poi colpirlo in pieno viso.
Fortunatamente, nonostante la vicinanza, Liam riuscì a schivarlo e venne colpito soltanto di striscio; si affrettò a restituire il colpo, stavolta senza sbagliare il bersaglio: il sangue partì a fiotti dal naso di Luca.
Quest'ultimo non si mosse, guardando Liam con un'espressione stupefatta: -Mi...mi hai rotto il naso! Mi hai rotto il naso, razza di drogato!
Alzò nuiovamente un braccio, ma Liam fu più veloce e glielo bloccò dietro la schiena, storcendogli il polso.
Luca non fece in tempo a spalancare la bocca che un'altra raffica di pugni lo raggiunse dritto nello stomaco, bloccandogli in gola il gemito di dolore e quando Liam lo lasciò andare, si accasciò al suolo senza emettere fiato.
A quel punto rientrammo nell'appartamento, ma quello che successe dopo mi sembrò confuso, come se non stessi vivendo quella situazione in prima persona, mi pareva di muovermi all'interno di un sogno.
Annabell uscì dall'ombra e alla luce elettrica apparve ancora più piccola e più pallida.
-Mi... mi dispiace, io non avevo l'intenzione di farlo entrare...
Non risposi. Mi guardai attorno: sui divanetti stavano collassati tutti gli amici di Step: se avessi dovuto contare sull'aiuto di quella gente avrei avuto un bel da aspettare.
Qualche secondo dopo riapparve Step, da qualche punto indefinito della casa, con delle birre in mano, ignaro di tutto ciò che era successo.
-Occupati tu di lui - gli ordinò Liam, che sembrava l'unica persona lucida nell'appartamento. E senza dare altre spiegazioni afferrò qualcosa dal tavolo e mi cinse la vita con una presa dolce, ma decisa. Mi accompagnò giù per la scala a chiocciola e infine fuori da quell'appartamento, fuori da quel palazzo.
Lo seguii senza pensare a nulla; non mi rendevo conto di niente all'infuori del contatto con la sua mano.

Ci allontanammo di qualche passo; Liam mi porse qualcosa da bere, probabilmente la bottiglia che aveva afferrato dal tavolo prima di uscire. Ne bevetti un sorso e subito mi sentii invadere da una sensazione di calore, mentre la nebbia si diradava pian piano dalla mia mente.
Continuammo ad avanzare lentamente nel buio; lui rimaneva in silenzio, lasciando il tempo all'aria fredda di schiarirmi le idee.
Poi mi fermai e mi voltai verso di lui: -Grazie.
Non sapevo cosa lo avesse spinto a prendere le mie difese senza esitare, ma gli ero riconoscente: probabilmente dopo quella serata Luca non si sarebbe più fatto vivo, più per l'umiliazione subita che per la perdita di interesse nei miei confronti, ma davvero non saprei immaginare cosa sarebbe accaduto se Luca mi avesse costretto a seguirlo per l'ennesima volta.
-Grazie. -ripetei e questa volta lo ringraziavo per essersi fidato di me, senza avere la conferma che Luca non fosse realmente il mio ragazzo.
Mi sentii in dovere di dargli delle spiegazioni: -Sai lui... -cominciai, senza sapere esattamente da dove partire, -lui sembrava un ragazzo a posto, all'inizio. Cominciò tutto qualche mese fa, in autobus. Ero arrivata in ritardo, stavo perdendo l'ultimo autobus della mattinata e non potevo permettermi di assentarmi da scuola. Così..correvo impotente, guardando le porte chiudersi a qualche metro da me, ma poi qualcuno le bloccò, mettendo un piede in mezzo. Salii, con il respiro affannato, pronta a ringraziare quel ragazzo che si teneva il piede con una smorfia dolorante. Fu la prima volta che lo incontrai. 
Da quella mattina cominciai a vederlo tutti i giorni; sembrava che scegliesse apposta la stessa linea che prendevo io, sia all'andata che al ritorno. Quando salivo in autobus lui era sempre lì, con un posto libero e un sorriso stampato in faccia. All'inizio ammetto che mi faceva piacere, dopotutto era sempre stato gentile, ma non ci misi molto a capire che le attenzioni che mi dedicava cominciavano ad essere a dir poco morbose. 
Mi capitava di incontrarlo ogni volta che uscivo: seduto a un tavolino del bar, sul marciapiede opposto, alla vetrina di un negozio. Ogni incontro sembrava fatto apposta per risultare puramente casuale, o come in seguito si ostinò a sostenere: "segno del destino".
Pur avendo compreso che qualcosa non andava, non me ne preoccupai più di tanto, finchè alcuni ragazzi con cui uscivo cominciarono a non farsi più sentire e scoprii che Luca andava in giro sostenendo di essere il mio ragazzo e minacciando chiunque si avvicinasse a me. Roba da pazzi! 
Sperai che fosse uno scherzo. Ogni giorno mi domandavo 
perchè fosse dovuto capitare proprio a me; mi svegliavo sperando che quella persecuzione finisse, ma ogni mattina mi si presentava inevitabilmente davanti. E il resto lo puoi immaginare.. Non voglio nemmeno immaginare come sia venuto a sapere che mi trovavo a casa di Step.. ma ormai non importa più. Spero che sia davvero tutto finito.

Liam, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, ascoltando quello che avevo da dire, mi guardò e poi sorrise, passandomi il dorso della mano su una guancia: -Non penso avrà il coraggio di farsi rivedere, si sarà ritirato in camera a piangersi addosso -sentenziò, alludendo al naso.
Risi sommessamente, mentre piano piano la tensione mi scivolava via di dosso.

Nel frattempo eravamo arrivati in un parcheggio buio in una zona che non conoscevo. Fui costretta a distogliere lo sguardo dal suo e a tornare alla realtà: -Forse è ora che io torni a casa... -dissi, mentre Liam trafficava cercando qualcosa nelle tasche.
-Sei mai stata in moto?
-No, ma.. -non capivo a cosa volesse arrivare.
Tirò fuori un mazzo di chiavi e le fece roteare con l'indice: -Bene, spero tu sia pronta, perchè questa sarà la tua prima volta
-annunciò, teatralmente.
Poi mi lanciò un casco, che afferrai al volo: -
 Avanti, salta su! 
Salì sulla moto e mi face accomodare dietro di lui, ma come fece per inserire le chiavi nel cruscotto,lo fermai posando una mano sulla sua.
-Liam...

-Sì?
-C'è un motivo per cui non sono mai andata in moto. Sono a dir poco terrorizzata!

Si girò verso di me, con un sopracciglio alzato. Poi mi prese il viso tra le mani e mi guardò con gli occhi socchiusi.
-Ti fidi di me?
-Sì. - non potei che rispondere. E in quel momento lo pensavo davvero.
Balzammo in avanti con una sgommata degna della Moto GP, che mi fece arrivare il cuore dritto in gola.
Liam scoppiò a ridere, mentre sfrecciavamo nel buio e la sua risata si perdeva nel vento.
Pensai a quanto mi piacesse il suono della sua risata e in quel momento smisi di avere paura di una morte prossima e mi strinsi meglio a lui, appoggiando la testa alla sua schiena.
In una notte, percorremmo così i colli bolognesi, con l'aria che mi sferzava il viso e il calore del suo corpo che riscaldava il mio.
Era ormai notte inoltrata quando mi riportò sotto casa, ma non mi sentivo stanca, probabilmente a causa dell'adrenalina che avevo in corpo.
Mi aiutò a scendere e per poco non gli cascai addosso: -Penso che mi si siano atrofizzate le gambe.
-Se vuoi posso mostrati un modo per sciogliere i muscoli..
Lo scansai ridendo: -Molto gentile, ma faccio da sola. -dissi, cominciando a saltellare.
-Liam, sarà la terza volta che te lo dico stasera, ma.. grazie ancora.
-Ma di cosa? -sorrise ammiccando.
-Per aver praticamente esaurito il pieno della tua moto in una sera e, beh, perchè, nonostante sia iniziata male..molto male, alla fine ho passato una bella nottata. 
-Niente più terrore delle moto?
-No, niente più terrore, ma soltanto se sarai tu a guidare.
-Ti posso portare dove vuoi... -
mormorò avvicinandosi.
-In questo momento vorrei soltanto andare a letto... -risposi, eludendo ciò che di implicito stava in quella domanda. Ero stanca, in una sera avevo provato troppe emozioni, non me la sentivo. 
Ma quando avvicinò sempre più il suo viso al mio non mi scostai. Ero come immobilizzata, un'improvvisa stanchezza si era impossessata delle mie membra, ero troppo stanca per fare qualsiasi cosa.
Chiusi gli occhi e con un sospiro aspettai.. Aspettai qualcosa che però non arrivò, o almeno, non come me l'aspettavo: sentii le mani di Liam avvolgermi i fianchi e le sue labbra mi posarono un leggero bacio sulla fronte, così castamente da farmi restare sorpresa, ma sollevata.
Riaprii gli occhi.
-Buonanotte. -sussurrò. Poi rimontò in moto, infilò la chiave nel cruscotto e fece per partire, mentre io lo osservavo appoggiata al portone del condominio.
Provò a partire una, due, tre volte, ma la moto non dava segni di vita.
-Porca puttana! E' seriamente finita la benzina!
Scoppiai a ridere: -E ora come fai?
Lui stava già componendo un numero di telefono, ma la linea squillò a vuoto: -Bassista del cazzo! Domani ti prendo a calci e poi vedremo se avrai ancora voglia di imbottirti tanto da collassare. -mormorò tra sè, infuriato.
-Non riesci a chiamare nessuno?
-Le uniche persone che potrebbero aiutarmi sono in coma sul divano di Step... Potrei chiamare Bonehead! Ma no, è vero, lui se n'è tornato a casa... Maledizione a me e al momento in cui ho deciso di cambiare stato portandomi dietro delle persone inutili!
-Perciò ora come fai? -continuai a cantilenare, cercando di non ridergli in faccia.
-Stai diventando irritante! Non faccio un bel niente, mi siedo qui e aspetto che quel coglione di Guigsy smaltisca la marijuana che ha in corpo.
-Potrebbe volerci l'intera notte. 
-Qualcuno qui è perspicace
 -mi canzonò; poi si sedette davanti al portone e appoggiò la testa indietro.
-In tal caso, ti terrò compagnia. -affermai, sedendomi al suo fianco.
Mi cinse le spalle con un braccio, continuando a guardarmi: -Dubito che riuscirai a tenere gli occhi aperti un minuto di più.
-Mh.. -biascicai sprofondando nel calore del suo corpo.
Fu così che mi addormentai, con la testa appoggiata alla sua spalla, avvolta dal suo profumo. L'ultimo ricordo di quella serata furono le sue mani che si insinuavano dolcemente tra i miei capelli e mi accarezzavano il viso.

***

Mi risvegliai nella stessa posizione la mattina dopo, alle prime luci dell'alba. Avevo dormito soltanto poche ore e la testa mi faceva malissimo, inoltre avevo tutte le membra intorpidite, sebbene non avessi freddo: sulle mie spalle era posata una seconda giacca di pelle, che non mi apparteneva.
Non era quella aggiunta a farmi restare stranita, ma ciò che mi turbava era la consapevolezza di un'assenza.
Mi alzai di scatto e mi guardai intorno: come un sogno, al mio risveglio Liam Gallagher era sparito.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4


Domenica mattina di due settimane dopo.

Caro diario,
Non credo che esista un giorno della settimana più odioso della domenica, con tutte le sue false aspettative di riposo e serenità.
Domenica, giornata di illusione e ipocrisia, un po' come le feste natalizie. Ma non pensare che io sia quel mostriciattolo verde pronto a rovinare le feste ai bambini, soltanto, non ho mai avuto esperienze positive dei giorni festivi trascorsi "in famiglia", per me da sempre caratterizzati dalla solitudine.
Solitudine e mal di testa al risveglio, solitudine e inerzia nel pomeriggio, solitudine ed ansia alla sera.
Ecco perchè, per quanto mi riguarda, non c'è giorno peggiore della suddetta domenica.


Finite le patetiche lamentele sul mio quaderno nero che fungeva da diario, poi riposto accuratamente sotto il materasso, mi sdraiai sul letto al contrario, come mi era solito fare quando mi assalivano troppi pensieri in una volta. Stesi le gambe contro il muro, incrociando lo sguardo  dei Beatles, appesi su ogni centimetro libero del muro. 
Chiusi gli occhi, cercando di scacciare i pensieri, prima che questi prendessero posto nella mia mente e decidessero di aver trovato il loro ambiente ideale. Ma loro furono più veloci e gettarono l'ancora, impedendomi per l'ennesima volta di controllarli. Riaprii gli occhi e mi sedetti sul letto a gambe incrociate, fissando John con aria sconsolata, mentre gli altri componenti mi sorridevano di rimando.
"Che sia stato soltanto un sogno? Un insolito ma bellissimo sogno?" domandai, più a me stessa che alle quattro figure bidimensionali.
Nelle ultime settimane non mi ero concessa il tempo di ripensare alla notte del compleanno di Annabell, volendo mantenere fede alle promessa che mi ero fatta: "Tutto ciò che succederà su questa terrazza, rimarrà su questa terrazza". Non ero mai stata una ragazza da "giorno dopo", ho sempre preferito evitare i secondi incontri tra persone conosciute in una sera. Troppo insicura e spaventata per concepire l'idea di un legame, seppur instabile o passeggero.
Ho sempre avuto paura che le persone mi conoscessero meglio e decidessero che non ero abbastanza per loro. Così, preferivo tenermi strette le mie poche, ma profonde amicizie, ed evitare di legarmi a persone che mi avrebbero inevitabilmente delusa o fatta sentire inadeguata.
So di avere una visione terribilmente pessimistica delle relazioni, ma non sono mai riuscita a controllare  quell'insopportabile fobia del rifiuto, né ho mai incontrato una persona che mi facesse sentire finalmente bene con me stessa e con gli altri.
Eppure, non riuscivo proprio a togliermi dalla testa quegli occhi penetranti, quel viso perfetto, quell'accento mancuniano...e il modo in cui mi avevano fatta sentire quegli istanti trascorsi assieme a lui.
Mi alzai, dirigendomi verso l'armadio a quattro ante della mia camera; ne spalancai una, scorrendo lentamente cappotti e giacche, fino ad arrivare all'ultima, seminascosta nell'angolo più buio. La sfilai dalla croce e la indossai, era decisamente troppo grande per essere di mia appartenenza; no, di certo non era stato soltanto un sogno.
"Sono ridicola" pensai, "Ed è ridicolo che io mi senta in questo modo per qualcuno che nemmeno conosco e che non si è più fatto vedere... Chissà quante altre ragazze, prima e dopo di me, si saranno sentite attratte a quel modo da quei magnetici occhi verde-azzurri, da quell'intrigante modo di fare..."
Scrollai il capo, per scacciarne il ricordo e decisi che era ora di smetterla di comportarsi da stupida: avrei portato la giacca ad Annabell perché la restituisse al legittimo proprietario e me ne sarei dimenticata una volta per tutte. 

***

Il pomeriggio stesso uscimmo e, dopo qualche chiacchiera a vuoto, cercai di tirar fuori l'argomento il più disinvoltamente possibile: -Senti, Ann, ti ricordi di quel ragazzo, al tuo compleanno...
Lei sfoderò un sorrido esultante- Sapevo che ti saresti decisa a parlarne prima o poi! Devi raccontarmi tutto quello che avete fatto quando ve ne siete andati, voglio sapere ogni dettaglio! -strillò, impaziente e maliziosa.
-Ann! Non è successo proprio niente, mi ha riaccompagnato a casa e basta.
-Vi, mi dispiace ma non ti credo, ho visto come ti guardava, come ti ha difesa da..sì insomma, lo sai. E poi Step mi ha raccontato del tuo sguardo appena vi ha presentati... 
Arrossii, imbarazzata. 
-E poi.. se una ragazza gli interessa, non è tipo da non combinare nulla lui.. - continuò, facendomi l'occhiolino.
-Allora evidentemente non gli interessavo. -ribattei, seccata dalla sua insistenza -In ogni caso non è per raccontarti cose che non sono successe che te ne sto parlando, ma soltanto per chiederti di restituirgli la sua giacca.
-Perché ce l'hai tu? -mi domandò, corrugando le sopracciglia, non ancora convinta della mia versione dei fatti.
-Perché nel riportarmi a casa ha finito la benzina, allora ci siamo seduti davanti al portone aspettando che il suo amico venisse a prenderlo e, nel frattempo, mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata avevo la sua giacca sulle spalle e lui non c'era più. Ora sei soddisfatta?
-In realtà no.. -mormorò, delusa. Ma i suoi occhi assunsero nuovamente lo scintillio di poco prima: -Se proprio vuoi che il bell'inglese misterioso riabbia la sua giacca, devi ridargliela tu!
-Bell'inglese misterioso? Ma per favore! - inarcai le sopracciglia.
-Beh, nessuno sa quasi nulla di lui, se non che prima cantava in una band. Ha una voce stupenda, sai? Come se qualcosa in lui non lo fosse.. credo proprio che se non fossi innamorata di Step ci avrei fatto un pensierino.
-Ann, stai divagando! -la riportai con i piedi per terra, interrompendo il flusso delle sue fantasie.
-Non preoccuparti Vi, non te lo rubo -ridacchiò, facendomi alzare gli occhi al cielo -Come ti stavo dicendo, aveva una band a Manchester, di cui però non ricordo il nome.. Qualcosa come "Pioggia", ma poi, non so per quale motivo, ha deciso di venire in Italia, assieme al suo compagno di scuola, quel ragazzetto nervoso che era con lui l'altra sera e un altro ragazzo che non hai ancora conosciuto, che tutti chiamano Bonehead.
-Mi aveva accennato qualcosa riguardo a un litigio con suo fratello, a cui aveva anche rubato la chitarra.. -mormorai sovrappensiero, cercando di ricordare la conversazione.
-Beh, è più di quanto abbia raccontato a me o a Step. Non parla mai del suo passato, ma dovresti vedere quanto sia ottimista riguardo al futuro suo e del gruppo, ripete in continuazione che diventeranno "le fottute rockstar più famose del mondo" - Annabell ridacchiò aggiungendo: -Beh, la voce ce l'ha, per non parlare del fascino...
Provai a immaginarmi Liam Gallagher su un palco illuminato, in piedi dietro a un microfono, con lo sguardo rivolto a una folla adorante e mi accorsi di riuscirci senza troppe difficoltà.
-Allora, Veronica, quando hai intenzione di riportargli la giacca? E' un'ottima scusa per rivederlo! -stavolta fu Annabell a riportarmi alla realtà.
-Non ci penso neanche! Se avesse voluto rivedermi, sarebbe venuto a riprendersela, dal momento che sa dove abito. Inoltre, l'hai detto tu stessa, non è tipo da non combinare nulla e probabilmente ne avrà già combinate abbastanza con ogni essere femminile presente sul pianeta. Non mi interessano i ragazzi così. 
-Se la metti in questo modo.. Vorrà dire che organizzerò un'altra festa a cui casualmente sarete invitati entrambi -annunciò, soddisfatta della sua idea.
-Ne ho abbastanza delle feste. Sabato mattina ci vediamo in centro, io ti porto quella dannata giacca e tu gliela ridai, o gliela fai ridare da Step. D'accordo?
Non le lasciai il tempo di ribattere, altrimenti avrebbe trovato sicuramente qualche altro sotterfugi. Annabell aveva la pessima abitudine di immedesimarsi in Cupido e cercare di far nascere coppie improbabili, non che io le dessi molta soddisfazione da questo punto di vista, anzi, ero decisa a tenerle testa per l'ennesima volta. Così l'abbracciai e mi avviai verso casa.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5;
 
Sabato mattina.
 
Mi svegliai di buon umore; nonostante l'inverno fosse ormai alle porte, un pallido sole faceva capolino tra le nuvole.
Mi alzai canticchiando spensierata, come non mi capitava spesso; fortunatamente la casa era vuota, completamente a mia disposizione.
Accesi lo stereo, alzando il volume al massimo e lasciando che le note invadessero le stanze vuote.
Dopo il primo caffè della mattina, mi gettai sotto la doccia e mi affrettai a prepararmi per non perdere l'autobus diretto in centro. 
Il piano della mattinata sarebbe stato: incontrare Annabell e liberarmi una volta per tutte della giacca di Liam e incontrare Cam, con la quale avrei dovuto distribuire più volantini possibile, per pubblicizzare l'imminente sfilata organizzata dal negozio di abbigliamento in cui lavoravo tre pomeriggi a settimana.
Erano settimane che Maura, la mia datrice di lavoro, era in fibrillazione in vista della sfilata: sarebbe stato il momento buono per lanciare la linea di vestiti disegnata da lei stessa. Aveva anche tentato di convincermi più volte a farle da modella, ma mi ero sempre opposta con fermezza: il pensiero di sfilare davanti a un pubblico, o di essere osservata da più persone facendo qualsiasi altra cosa, mi terrorizzava. Preferivo di gran lunga aiutarla con la parte pubblicitaria e restare dietro il palcoscenico a preparare le modelle. 
Così, infilai in borsa un centinaio di volantini, la giacca di Liam e mi diressi alla fermata dell'autobus.

Un'ora più tardi mi trovavo in centro, percorrevo a grandi passi la piazza dove il sabato si svolgeva il mercato, circondata da bancarelle che brulicavano di ragazze e signore di ogni età a caccia di capi di vestiario a basso prezzo.
Raggiunta la fine di quel labirinto, attraversai la strada per raggiungere quella che tutti chiamano la montagnola, uno spazio verde simile ad una collinetta, luogo di ritrovo di molti giovani, nonché mio e di Annabell. Qui vi si svolgeva un altro tipo di mercato, con un altro tipo di clientela: la strada in salita che dovevo percorrere per arrivare in cima era costeggiata da bancarelle che esponevano dilatatori per orecchie di ogni colore e misura, borchie da applicare ai vestiti, magliette di gruppi rock e metal, coloratissimi vestiti vintage, ma anche stoffe e incensi indiani. Camminavo controcorrente, mentre mi passavano a fianco ragazzi e ragazze di due tipologie, quelle che una volta sarebbero stati comunemente definiti come punk e hippy: gli uni con i capelli di tinte e creste impossibili, piercing al naso o al sopracciglio, ai piedi gli immancabili anfibi, sulle spalle la giacca di pelle; gli altri acconciati con rasta, fitte treccine o capelli lunghi e incolti, tirati indietro da una fascia, vestiti con magliette vintage, gonne lunghe a coprire i sandali, pantaloni larghi e colorati, con il cavallo così basso che li faceva assomigliare a gonne.  Nonostante alcuni di loro rischiassero di risultare perfino conformisti, nel loro anticonformismo, quel posto mi piaceva davvero: nessuno al tuo passaggio si soffermava squadrandoti, alla minuziosa ricerca di un difetto, come succedeva, invece, camminando per i corridoi di scuola.
Arrivata in cima, mi diressi verso il centro del parco, mi sedetti su una panchina in legno e accesi una sigaretta, in attesa dell'arrivo di Annabell.
I minuti passavano e le sigarette diventarono due, poi tre: era sempre in ritardo, ma quella volta stava esagerando! Telefonarle sarebbe stato inutile: avevo il telefono perennemente scarico o in silenzioso. Tirai fuori il cellulare, controllando per l'ennesima volta l'orario; insolitamente, sullo schermo era apparso un messaggio di Ann "Vi, scusami tanto, ma ho avuto un imprevisto! Puoi lasciare la giacca al ragazzo della seconda bancarella, quello che ci ha venduto la maglietta dei Beatles qualche settimana fa, io la passerò a prendere più tardi. Scusami ancora!"
Dovevo aspettarmelo. Ormai ero abituata alle buche dell'ultimo minuto. Stavo ancora espirando, quando il mio telefono vibrò nuovamente: "Dimenticavo, sistemati capelli e trucco e mi auguro che tu non sia vestita da stracciona!"
"Non posso credere che l'abbia fatto veramente..." pensai. Restai un attimo interdetta, ma ormai ero caduta dritta dritta nella trappola che mi aveva teso e c'era ben poco da fare; mi lasciai sfuggire un sorriso arrendevole. Non era proprio il tipo che si arrendeva lei. Mi restavano solo due cose da fare: potevo stare al suo gioco e darle per la prima volta una piccola soddisfazione, o potevo andarmene.
Finalmente mi decisi a dirigermi verso la bancarella indicatami, ma mi mossi molto lentamente, per avere il tempo di osservare ogni persona nei dintorni, alla ricerca di un viso.
Fu quando ormai ero prossima al banco che lo vidi. 
Si distingueva tra la folla grazie alla sua "particolare" camminata, al suo atteggiamento sfrontato e, dovevo ammetterlo, alla sua singolare bellezza.
Trattenni il fiato, stringendo più forte la sua giacca tra le mani, mentre il mio cuore accelerava i battiti. Era tanto inevitabile quanto involontario l'effetto che Liam Gallagher provocava su di me.
Cercai di darmi un contegno; pochi istanti dopo lui si voltò dalla mia parte.

Mi sarei aspettata ogni tipo di espressione di sorpresa nel suo sguardo, meno quella che assunse posando gli occhi nella mia direzione: lo vidi storcere la bocca in una smorfia, aggrottare le sopracciglia riducendo gli occhi a due fessure e stringere i pugni. Non era soltanto infastidito, pareva decisamente arrabbiato, come se avesse visto un fantasma, o uno scheletro che preferiva lasciare sepolto nel suo armadio.
Non ebbi nemmeno il tempo di formulare un pensiero in proposito che Liam si voltò di scatto e si allontanò a grandi passi.

Una reazione spropositata, tanto da farmi rimanere di pietra. Non potevo credere che il solo fatto di rivedermi gli potesse risultare a tal modo sgradito, eppure sembrava l'unica spiegazione a quell'insolito comportamento. 
Con un gesto spazientito, mi liberai della sua giacca, buttandola sul bancone e mi allontanai a mia volta, scuotendo la testa per non farmi assillare da pensieri negativi. Come al solito, non ci riuscii. Nella mia mente, continuavo a rivivere gli avvenimenti del compleanno di Annabell, in vista di quelli accaduti poco prima, chiedendomi se avessi fatto qualcosa di sbagliato. 

Se soltanto mi fossi voltata e fossi stata un po' meno egocentrica nella mia pessimistica insicurezza, mi sarei resa conto che il suo sguardo non si era fermato su di me, ma era rivolto oltre, in un punto alle mie spalle. 
Se soltanto mi fossi voltata verso quel punto, avrei scorto un ragazzo dagli occhi azzurri, in piedi accanto a una fontana. Indossava una camicia, anch'essa azzurra, un paio di jeans e scarpe da ginnastica. Con la mano sinistra portava regolarmente alla bocca una sigaretta, sul cui filtro era impresso il marchio "Benson&Hedges".

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

Ripercorsi lo stesso tragitto di un'ora prima, ma impiegandoci la metà del tempo. Come mi capita sempre quando sono stizzita e contrariata, camminavo a passo veloce, scansando a malapena le persone che mi si paravano davanti, come uno slalom o una corsa a ostacoli. 
Arrivata in fondo alla piazza, tirai un sospiro di sollievo scorgendo il volto familiare di Cam e la raggiunsi trafelata.
-Veronica, c'è qualcosa che non va?- mi chiese, scrutandomi. -Hai una faccia...
-Niente di che!- mi affrettai a rispondere.
Liam Gallagher non era niente di che; sconosciuto era e sconosciuto sarebbe rimasto, nonostante il turbinio di emozioni contrastanti e di domande che il solo pensiero di quegli occhi azzurri mi provocava. Scrollai la testa, reprimendo immediatamente quell'ultimo pensiero.
-Niente di che- ribattei fermamente, più a me stessa che a Cam, poi sfoderai un sorriso rassicurante: -Ho soltanto corso come una matta per arrivare qui, pensavo di essere in ritardo.
Eccomi in scena, Veronica Cellini, campionessa di bugie inutili, innocenti verità raggirate e modellate a proprio piacimento, per nascondere, reprimere, segregare i più banali sentimenti umani nell'angolo più remoto della mente.

"Perché sei così chiusa nei confronti di te stessa e del resto del mondo?" Mi sento domandare di tanto in tanto dalle persone che mi sono più vicine. E, di fronte alla mia alzata di spalle incurante, sento le stesse ripetermi il solito "utilissimo" consiglio: "Vi, ti ci vorrebbero anni dall'analista o una profonda conoscenza della psiche umana per risolvere i tuoi problemi".
Beh, della seconda sono attualmente sprovvista e, riguardo alla prima soluzione.. non ho intenzione di abbandonare i miei risparmi nelle mani di qualcuno che sta comodamente seduto su una poltrona e cerca di scavare nel mio passato alla ricerca di traumi infantili.
La mia filosofia è più pratica e relativamente semplice: Hai un problema? Individualo, riconoscilo, accettalo e poi cerca di risolverlo da solo, provando e riprovando strade diverse finché non riesci a notare un cambiamento. 
No, sono abbastanza scettica sul fatto che qualche sconosciuto con una laurea in psicologia possa risolvere i miei problemi.
Soltanto io posso agire sulla mia stessa mente. Beh, sempre che riesca a trovare il tempo per dedicarmi a una dilettantistica autoanalisi, cosa che al momento non potevo permettermi, constatai sentendo Cam che mi tirava per un braccio, incitandomi a seguirla.

Così, abbandonai le mie elucubrazioni e trascorsi le tre o quattro ore successive a camminare in lungo e in largo, sfoderando i sorrisi più convincenti per pubblicizzare l'imminente sfilata.
Nel primo pomeriggio, ci buttammo su una panchina con le gambe che ci dolevano; stavo per accendermi una sigaretta quando il mio sguardo si posò su un'insegna in legno recante la scritta "Disco d'oro", che indicava un negozio di vinili nella parte opposta della strada.
Scambiai uno sguardo di intesa con Cam e ci fiondammo all'interno, pronte a dare fondo agli ultimi spiccioli.
Il negozio non era grandissimo, ma così ben fornito da rendere quasi impossibile scovare una superficie che non fosse coperta da decine di dischi. Eravamo appena entrate in Paradiso.
Ci perdemmo in quel labirinto di scaffali e banconi, e il tempo sembrava essersi fermato.
Sfioravo indecisa gli album dei Guns n Roses, Aerosmith, Bon Jovi, Nirvana...alla ricerca di quei pochi che ancora mi mancavano. Feci per passare al reparto dove avrei trovato l'intera raccolta degli Who, quando vidi il commesso esporre sul bancone un'edizione limitata di un vinile dei Beatles, con tanto di cartello "Ultima copia rimasta". L'avevo appena puntato e già i miei occhi luccicavano.
Cominciai a fare lo slalom tra banchi e banchi di dischi, che sembravano non finire più; mi mancava solo qualche passo, ma un ragazzo dalla camicia azzurra mi aveva preceduto alla cassa.
Mi allungai in avanti per posare la mano sul disco, ma inciampai nei miei stessi piedi e capitombolai addosso a lui. 
-Ma si può sapere perché voi italiani non state mai attenti a dove diavolo mettete i piedi? Ma che cazzo...! -mi apostrofò costui. Poi si girò a squadrarmi e non terminò la frase.
Restai un attimo interdetta: parlava con un forte accento inglese. Di nuovo quel dannato accento inglese. Era mai possibile che tutti gli inglesi emigrati in Italia dovessero capitare sulla mia strada?
-Noto con piacere che invece voi inglesi siete il massimo dell'educazione -ribattei, affrettandomi a tirarmi indietro, mentre mi massaggiavo il naso.
In risposta, ricevetti un suono simile a un grugnito, e si voltò a pagare il vinile, che già veniva porto al suo acquirente.
-Aspetta! -mi piangeva il cuore a dover salutare il disco a quel modo.
Il ragazzo si voltò nuovamente verso di me: -Che diavolo vuoi?
Lo guardai meglio: non tanto alto, occhi azzurri, sopracciglia folte. Neanche a dirlo, mi affiorò alla mente il ricordo di...
-Allora ragazzina, hai intenzione di startene lì imbambolata o devi chiedermi qualcosa?
Mi riscossi. -Io..il disco! E' l'unico che mi manca, se fossi così gentile da...
Scrollò la testa -Pensavo fosse chiaro, la gentilezza non fa per me. E gli atti di carità nemmeno. Ora, se mi vuoi scusare..
Mi aggirò con un ghigno, ignorando il mio sguardo supplicante, nascose il vinile sotto la giacca e, con aria beffarda e soddisfatta uscì dal negozio.
-'Fanculo! -sbottai, in un moto di stizza.

Camilla mi raggiunse al bancone, ignara del battibecco che avevo appena avuto con Mr Cortesia. Si svuotò le tasche in cerca degli spiccioli per pagare un cd dei Muse e, così facendo, mi porse l'ultimo volantino della sfilata rimasto.
Uscimmo dal negozio a nostra volta: lei gongolando per il nuovo acquisto e io... insolitamente scocciata.
-Vi, te lo chiedo di nuovo, c'è qualcosa che non va?
-No. -risposi secca; poi mi strinsi nelle spalle e aggiunsi borbottando: -Non sopporto gli inglesi.
Cam mi scrutò con uno sguardo interrogativo, mentre mi accendevo l'ennesima sigaretta della giornata, poi scoppiò a ridere e mi mostrò i palmi, arrendevole: -Va bene, hai vinto tu; non ti chiederò nient'altro per oggi, non mi sembra la tua giornata.
Stavolta le rivolsi un sorriso sincero e la presi sottobraccio -No, davvero, non lo è. Non so come tu riesca a sopportarmi quando sono di malumore.
-Semplice: sei dannatamente buffa quando metti il broncio! -aggiunse, imitando le mie sopracciglia aggrottate.
Scoppiammo a ridere e mi interrogai mentalmente sul perché al mondo non potesse esserci più gente come lei: allegra, ottimista, paziente (tutti requisiti che avrei tanto voluto avere) ma soprattutto, degna della mia più cieca fiducia.
-Ora muoviamoci però, non vorrai perdere l'autobus! Si è fatto tardissimo.
Un'occhiata all'orologio mi confermò che avremmo dovuto sbrigarci; accelerammo il passo il più possibile, stavamo quasi correndo quando, svoltando di fretta un angolo, andai dritta dritta a sbattere contro qualcuno.
-Ma guarda chi si rivede...Hai sempre l'abitudine di saltare addosso alla gente o devo supporre che tu ci stia provando con me?
Feci un passo indietro e, neanche a dirlo, mi trovai di fronte al Mr-Zitella-Scorbutica del negozio di dischi.
Alzai gli occhi al cielo, infastidita da quel tono supponente: -E tu? Hai sempre l'abitudine di essere così cortese o stamattina ti è andato di traverso il tè?
Stranamente, questa volta non emise alcun grugnito, ma il suo volto si distese in un sorriso, mentre continuava ad osservarmi: -Allora, mi stavi seguendo? -domandò dopo alcuni attimi.
-Sì, per derubarti. -gli risposi sarcastica.
-Tentativo di borseggio miseramente fallito, meglio che me ne vada prima che ci riprovi. -così dicendo, fece per allontanarsi e tornare sui suoi passi.
-Aspetta!- lo richiamai indietro, senza pensare.
Si voltò alzando un sopracciglio -Vuoi darmi una lezione sul galateo, ragazzina? Cosa c'è ancora?
Già Veronica, cosa c'è? Non sapevo perché mi stessi prestando a quello scambio di battute da due soldi con quello scontroso individuo, ma i suoi occhi, il suo viso... mi parevano tremendamente familiari. Possibile...?
Senza sapere realmente cosa rispondere, abbassai lo sguardo e, tra le mie mani trovai la risposta.
-Domani sera al Blitz si terrà una sfilata organizzata dal negozio di abbigliamento per cui lavoro, The Yellow Submarine e..
-Frena, The Yellow Submarine? Hai chiamato un cazzo di negozio The Yellow Submarine? E' un'eresia! 
Avvampai, anche io ero inizialmente contraria al nome, ma Maura, la mia eccentrica datrice di lavoro, si era mostrata irremovibile in proposito. E, d'altronde, nessuno si era mai mostrato così esplicito nell'esprimere il proprio disappunto.
Mi schiarii la voce, che uscì comunque palesemente irritata: -Esattamente. Come stavo dicendo, The Yellow Submarine organizza una sfilata al Blitz domani sera e, presentando questo invito all'entrata -gli porsi il biglietto che avevo tra le mani - potrai accedere gratuitamente al buffet e partecipare alla serata. 
Lui sollevò nuovamente un sopracciglio e sorrise, ironico, rigirandosi il biglietto tra le mani: -Mi stai invitando formalmente ad uscire con te?
-Sto solo facendo il mio lavoro -risposi d'un fiato, arrossendo.
Poi gettai un altro sguardo all'orologio: ero dannatamente in ritardo! -Ora devo scappare.
E, senza attendere risposta, girai sui tacchi e mi allontanai seguita da Cam, che aveva assistito in silenzio a quello strano incontro.
Avevamo voltato l'angolo velocemente, ma non abbastanza per non fare in tempo a sentire un -Ci sarò, cazzo!

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