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di domjnjk
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00 - Denti ***
Capitolo 2: *** 01 - Cambio di dettagli ***
Capitolo 3: *** 02 - Sensitive ***



Capitolo 1
*** 00 - Denti ***


Mi colpirono quel bagliore scarlatto, e quel fastidioso e continuo ronzio che martellava le mie orecchie sin da quando ero crollato in quel profondo, meritato e disturbato sonno.
Stessa visione delle volte precedenti, stessa sensazione di freddo pungente che attanagliava tutto il mio corpo come una trappola per orsi, e quella inquietante sensazione di star crollando nel più profondo e oscuro degli abissi.
Puntavo il mio sguardo verso quel paio di iridi color sangue, restando sospeso in aria, senza alcun peso.
E come se la mia mente stesse prepotentemente cercando di uscire dal mio cranio, un acuto e persistente dolore stava colpendo le mie tempie, mentre il paesaggio attorno a me mutava e il ronzio andava sparendo, così come quei pochi ma intensi attimi di agonia.
Ora stavo camminando, camminavo verso un qualcosa del medesimo colore, come una luce appesa ad un filo appena visibile color avorio.
Il mio corpo non reagiva, i miei movimenti non erano controllati, nonostante fossi completamente consapevole del fatto che quello era solo uno dei miei soliti strani sogni.
Seguivo quella luce, la seguivo adesso correndo come un pesce insegue un'esca, ma non la raggiungevo, era sempre più lontana.
Poi nel buio lei si fermò, e rallentai la mia corsa fino ad arrestarla a pochi metri da lei, indeciso sul da farsi ma impossibilitato dal muovere un muscolo.
Lentamente, avvicinai le mie dita alla luce, che si muoveva come sospesa, sempre di più, fin quasi a toccarla.. quando quei sanguigni occhi ruppero il velo di oscurità proprio sotto di essa, e prima che fossi capace di comprendere una fila di denti affilati e canini affondò nella mia carne, in profondità, destandomi da quell'incubo con un sussulto.
La fronte grondante e i pugni serrati sul lenzuolo, potevo sentire il mio respiro irregolare e il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.
Era la quinta volta quella settimana, stessa identica creatura, che andava a svelare sempre più caratteristiche in ogni incubo. Stavolta, mi aveva rivelato di avere un'antenna munita di luce come un pesce abissale.

«Forse dovrei smetterla di disegnare fino a notte fonda

Sul letto, sparsi ovunque, vi erano matite di ogni genere e fogli scarabocchiati e accartocciati.
Scoccai un veloce sguardo alla sveglia luminosa sul comodino, sospirando pesantemente alla vista di un numero che si era presentato tante, troppe volte.
Erano le 03:56.
Sentendo riecheggiare già le urla di mia madre della mattina dopo, approfittai di quell'istante per afferrare un foglio e trasferirmi sulla scrivania accanto al letto, altrettanto in disordine, e accesi la debole luce mia fedele compagna.

«Antenna luminosa, occhi felini, denti affilati

La mia mano si muoveva veloce sul foglio già pasticciato da un lato, quasi a seguire gli ordini che io stesso dettavo a bassa voce.

«Artigli rossi, pelliccia...»

Sotto i miei occhi si stava creando una figura dal corpo animale non definito, con una testa canina priva di orecchie. Nessuna coda, solo un ammasso di peli scuri come la pece, sembrava un incrocio tra un gatto, un lupoide e qualcosa di indefinito.
La creatura iniziava a prendere una forma, e per un attimo l'idea di reincontrarla in un altro sogno balenò nella mia mente, disegnando un piccolo sorriso indeciso sul mio volto.
Fortunatamente, ci ripensai. Insomma, non ero così masochista.

«Prima o poi scoprirò cosa sei

Rivolsi un secondo sorriso a ciò che avevo disegnato, prima di mollare carta e matita e alzarmi barcollante e distrutto dal sonno.
Le ore che passavo dormendo erano addirittura meno delle ore che passavo a studiare, e la cosa era abbastanza preoccupante, dato che stavo ripetendo per la seconda volta il quinto superiore.
Ero capitato in una classe completamente estranea all'arte, al disegno, e non erano rare le volte che avevano strappato un mio disegno o mandato nel cestino un nuovo personaggio.
Avendoci fatto l'abitudine, non me la prendevo ormai più di tanto, anche se non capivo cosa esattamente mi fermava dal non prendere a craniate quei loro nasi che ficcavano ovunque.
Pervaso momentaneamente dalla rabbia di quei ricordi, che spesso e volentieri cercavo di seppellire, afferrai il mio cuscino e lo lasciai per terra, per poi sistemarmi sul pavimento, lasciandomi avvolgere da quel piacevole fresco dopo il caldo e asfissiante tempo estivo.
Velocemente, quasi impercettibilmente, venni accolto nuovamente dal buio.

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Capitolo 2
*** 01 - Cambio di dettagli ***


Venni bruscamente svegliato da una voce acuta e femminile, più simile ad uno strillo.
E nonostante provenisse dal piano di sotto, risuonava nelle mie orecchie come se avesse direttamente colpito i miei già sensibili timpani.
Alzando, con molta fatica, la testa dal morbido e candido cuscino che voleva a tutti i costi riavere la mia testa, ebbi l'occasione di risentire ancora una volta il mio nome richiamato con prepotenza.

«Arrivo!!»

Urlai a mia volta, ricorrendo a tutte le mie forze per lasciare il pavimento che quella notte mi aveva volentieri fatto da letto.
Riportando lo sguardo su di esso, raccolsi da terra il cuscino e lo osservai con aria nostalgica, mentre gli parlavo come fosse una cara compagna.

«Tornerò da te al più presto, non temere

E scosso da un ennesimo richiamo, sbuffai pesantemente e lasciai la mia stanza sbattendo la porta come ogni singola mattina.
La routine era sempre quella, ed iniziava ogni volta con le urla di mia madre dalla cucina, ed io che rispondevo al suo strillare, appunto, strillando.
Ero l'unico in famiglia ad aver ereditato la voce alta e acuta di mia madre, nonostante avessi due fratelli minori.
Sia Andrew (5 anni) e sia Jeremy (11 anni) avevano già una voce più profonda della mia, Ethan, 19 anni.
Non erano rare le volte che i due si coalizzavano per farmi sentire a disagio al riguardo, esibendosi in ridicoli imitazioni della mia "voce da ragazzina", ma era il mio aspetto a far subito passare loro la voglia di canzonare.
Sia mia madre che i due fratelli avevano gli occhi scuri e i capelli color castagna, che sotto il sole estivo prendevano delle sfumature rossicce o color rame, mentre solo io avevo avuto la fortuna di avere i capelli neri come il carbone e uno degli occhi glaciali di mio padre.
Perchè solo uno? Eterocromia. Il mio occhio destro è castano, rispetto al sinistro azzurro.
Nonostante i miei fratelli ammirino questa mia caratteristica, spesso manifestando anche una profonda e irritante invidia, non considero la mia persona nulla di speciale, solo un caso raro.
Dunque, come ogni mattina, scesi la ripida rampa di scale appena fuori la mia porta, che portava al piano terra dove era radunato tutto il resto della banda, cane compreso.
Segnalai la mia presenza battendo il pugno contro il muro mentre mi dirigevo verso il bagno, passando dalla cucina, e ricevetti in risposta un paio di sbadigli, un latrato e ''Muoviti, è tardi!" da mia madre.

«Buongiorno anche a te

Dopo aver chiuso a chiave la porta del bagno mi sistemai davanti al lavello di marmo davanti lo specchio, senza voler in alcun modo alzare la testa, consapevole del mio non piacevole aspetto.
Difatti, quando alzai il capo per guardarmi, non seppi cosa mi trattenne dallo sferrare un destro contro il mio riflesso che sembrava appena uscito da un film dell'orrore o da una creepypasta.
Ero simile in tutto e per tutto a Jeff The Killer, e per quanto la cosa mi lusingasse non potevo permettermi di andare a scuola in quelle condizioni, o meglio, mia madre non me lo avrebbe mai permesso.
Il colorito della mia pelle, affetto dalla perdita di importanti ore di sonno, aveva assunto un colorito pallido latteo, e sotto i miei occhi trionfavano occhiaie degne del peggior zombie.
Quelli che qualcun altro avrebbe faticato a definire ''capelli'', erano talmente spettinati che il solo pensiero di doverci smanettare per metterli a posto mi faceva rivoltare lo stomaco come si rivolta un cappello.
E come se non bastasse, la mia vista era offuscata sia dal sonno che dalla mia fastidiosissima miopia, e reggermi in piedi senza crollare dormiente sul marmo mi era molto difficile.
Feci ciò che mi pareva più "normale". Girai completamente la manopola dell'acqua verso destra, e in pochi secondi tra le mie dita scorreva acqua tremendamente gelida.
No, non volevo farlo, ma era l'unico modo per destarmi da quella dormita ancora in corso.
Lasciai che il lavello si riempisse, prima di chiudere l'acqua ed emettere un profondo sospiro che sembrava più un incoraggiamento verso me stesso.
Feci un veloce conto alla rovescia da 5 a 0, con tanto di quarti e mezzi, per poi affondare la testa in quel liquido così freddo che mi sembrava di aver inghiottito un chilo di gelato in un sol colpo.
Riuscii a resistere per altri lunghissimi e affatto piacevoli cinque secondi, e quando ne uscii il battito dei miei denti era coordinato con il mio battito cardiaco impazzito, ma almeno ero riuscito ad aprire (più che altro a spalancare) gli occhi e a recuperare quella poca lucidità che mi bastava per circa 18 ore.

La visione di un cane che effettuava l'autopsia ad una rana, morta probabilmente per pietà, non era il genere di spettacolo che preferivo durante la colazione.
Eppure, c'era chi se lo godeva con la sedia direttamente voltata verso la finestra, mangiando come se niente fosse.

«Andy, devi proprio ammirarlo mentre sgranocchia una rana?» sul mio volto era presente un'espressione di puro e profondo disgusto, che andò ad intensificarsi quando al tutto si aggiunse lo scricchiolio di ossa dell'animale.

«Se ti fa schifo, smetti di guardarlo

La voce apatica di mio padre da dietro il giornale strappato, a volte, era più che seccante.
Mi limitai a tacere e a puntare lo sguardo verso mia madre alle prese con i fornelli, la quale stranamente non aveva ancora emesso parola da quando mi ero seduto a tavola, ma ci mise una frazione di secondo a rimediare.

«Ethan, sei ancora rimasto sveglio fino a tardi con quei disegni?»
«No.» mentii prontamente con voce cupa «Ho solo fatto un incubo
«Vorrai dire, un ennesimo incubo?» mi fece notare una voce proprio accanto a me.
«Taci, Jeremy...»
«Mamma, Ethan ha qualcosa che non va. Disegna animali senza testa tutti denti e privi di zampe
«Taci, Jeremy
«E da loro nomi assurdi, e ci parla anche! Dice che vuol
«Stai zitto

Scattai in piedi, i pugni serrati sul tavolo, i denti digrignati.
Fu allora che sentii la grande mano di mio padre colpirmi dietro la testa, completamente alla sprovvista, non facendo altro che aumentare la voglia di sgozzare quel ficcanaso.

«Non osare alzare la voce con tuo fratello in mia presenza. Fila a scuola

Fissando un ultimo, penetrante, omicida sguardo verso il ragazzino, spostai la sedia senza troppa grazia e nuovamente tornai in camera. Con lo stomaco che ribolliva di rabbia, sprofondai nel mio armadio.

La musica era sempre stata una mia fedele e amata compagna, e nei viaggi scuola-casa e casa-scuola non potevo in alcun modo farne a meno.
Non potevo fare a meno neanche del mio block notes e di una qualunque matita ad essere sincero, a stento sopravvivevo a quei tragitti senza dare di matto.
Il posto di cui ero il legittimo proprietario da 6 anni era un posto in ultima fila, privo di finestrino e incredibilmente caldo, e nessuno si faceva problemi a cedermelo.
Certo, i fastidiosi ragazzini di primo che ogni anno, puntualmente, cercavano di fregarmelo non mancavano mai. Ma chi si metterebbe contro chi ha l'aspetto di un non morto?
Giovedì, 23 Luglio.
La nostra scuola terminava il 30 di Luglio, in piena estate, ma in compenso non iniziava prima di Novembre.
Fortuna, sfiga? Io facevo parte di quelli che "stai zitto zitto e buono buono", ma non ero particolarmente d'accordo, se volete sapere la mia.
In quella mezz'ora, tra buche e deviazioni, abbozzai dei personaggi basati su chi avevo davanti, a volte delle caricature.
Disegnai una ragazza del secondo anno che per sua sfortuna si era ritrovata accanto a me, e che mi offriva uno spettacolo esilarante ogni volta che la guardavo, con quel suo sguardo terrorizzato.
Disegnai lei, ma decisi di apportare alcune necessarie modifiche. Le accorciai e raddrizzai il naso e resi i suoi occhi più grandi, in un tipico stile manga. I capelli biondi che le arrivavano fino alle spalle divennero sotto il mio tocco di un blu intenso (nella mia testa, dato che utilizzavo una matita). I vestiti li presi dalla ragazza due sedili più in là, sportiva.
Non ebbi però il tempo di finirla, e dovetti farmi quell'ultimo tratto a piedi.
Eravamo un gregge umano, un po' meno puzzolente di quello composto da pecore (certi elementi non mostravano differenza).
Ero a pochissimi metri dall'ingresso di vernice scrostata, e per un attimo sperai di farcela, ma fui costretto a fermarmi quando il disegno sparì dalla mia mano.

«Ridammelo, Shawn.» puntai uno sguardo che non ammetteva repliche su uno dei miei compagni di classe, tozzo e rasato, il classico tutto muscoli e niente cervello.
«Korall ha trovato la ragazza? Ma tu guarda, le ha fatto anche un ritratto!»

Sì rivolgeva al suo amico grosso e grasso, anche lui della mia stessa classe, il quale ridacchiava e grugniva come un porco da fattoria.

«Mi chiamo Kendall, e quella non è la mia ragazza. Ridammi il disegno, Shawn! »

Ruggii deciso, ma con quelle due teste teste di marmo avevo esaurito qualunque tentativo.
Il bello? Altre 17 persone più o meno uguali mi attendevano in 4 mura, o in tre muri e mezzo, essendo uno in parte sfondato da quando Mark ci finí addosso l'anno prima.
Ignorato il mio comando, continuando a dispensare commenti sprezzanti sul mio personaggio, entrarono nell'edificio lasciandomi lì con la mano tesa.
Ancora una volta, mi sentii ribollire dalla rabbia ancora in corso dell'accaduto a tavola, e mi sentivo letteralmente esplodere.
Quando serrai i pugni e feci per raggiungerli, un paio di mani mi bloccò da entrambe le spalle.

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Capitolo 3
*** 02 - Sensitive ***


Scattai nervosissimo contro la figura dietro di me, voltandomi velocemente per liberarmi da quella fastidiosa, snervante presa.
Detestavo essere toccato, e non mi facevo alcun problema a dimostrarlo apertamente, tanto che quasi tutto l'istituto ne era (non volutamente) a conoscenza.

«E lasciami in pace!» ringhiai spingendo via il ragazzo, che fu costretto a indietreggiare date le mie maniere davvero poco cordiali.

Fu quando riconobbi quel biondo cenere e quegli occhi verdastri che dovetti calmarmi, svuotando i miei polmoni dall'aria tesa e velenosa che i due bestioni avevano portato con loro pochi istanti prima, sbiancando leggermente dalla vergogna delle risatine generali.


«Scusami

Ricevetti in risposta una pacca decisamente troppo forte sulla schiena, che quasi caddi in avanti sotto l'aggiuntivo peso di quello che doveva essere uno zaino, ma che io definivo macigno. E fortuna che doveva essere una pacca amichevole...

«Dovresti provare a calmarti, Ethan.» cercò di rassicurarmi con la sua voce simile alla mia, completamente naturale e non una stupida imitazione. Forse furono proprio le nostre voci a farci diventare migliori amici.
«Lo so, Stefan, sei la ventordicesima persona che me lo ripete questo mese! Ma diamine, li hai visti? Come deve fare uno a non sbottare

Riassunta una postura più o meno decente, con lo zaino saldo sulle spalle per evitare ulteriori situazioni imbarazzanti, riuscimmo a farci un varco tra la folla accalcata sulle scale ed entrare nell'inferno dei mortali, continuando quel monologo aggressivo ed incredibilmente esplicito con tanto di nomi e cognomi verso la fine del corridoio.

«Sono tre anni, tre anni che me li ritrovo in classe, vengono tutti puntualmente bocciati con me! E perchè questo? Solo perchè faccio schifo in matematica, scienze, storia? Oppure è un capriccio di quei dementi chiamati professori?» e qui assunsi un falso timbro di voce più profondo, anziano, spostando gli occhiali verso la punta del naso a mo di vecchietto «Mettiamo la classe contro Kendall e continuiamo a bocciare, tanto sono il più anziano dei docenti e posso farlo! Mettiamo alla prova i nervi di quel ragazzo, vediamo quanto ci mette a sclerare!!»

Silenzio.
Piombò cupo come una pesante incudine sulle nostre teste, tante dozzine di occhi sbarrati puntati su di me, e in un attimo mi sentii letteralmente sprofondare nell'imbarazzo senza fondo.
La mia voce tuonava ancora per le mura, tanto era stata forte e incontrollata, e ad ogni eco la mia fossa si faceva sempre più profonda, sempre più fredda.
Diventata la mia pelle del colore del latte, nonostante fossi già terribilmente pallido di mio, abbassai il capo, approfittando della folta tenda che mi ritrovavo in testa per sparire dalla vista di chiunque nel raggio di metri, chilometri, anni luce.
Stefan mi seguiva a ruota, cercando di star dietro al mio passo accelerato, senza però osar proferire parola, almeno fin quando non raggiunsi quell'aula colma d'odio, rancore, assoluto disgusto.
Non lo salutai nemmeno, tant'ero accecato dalla vergogna.

La classe in cui mi ritrovavo era sporca, sudicia così come ogni singolo componente lì dentro.
Dal mio banco in fondo all'aula ammiravo Shawn e Tyler giocare goffamente a palla con quello che era chiaramente il mio disegno accartocciato, pronunciando ogni lettera del mio nome ad ogni passaggio.

«Koronall, farai anche schifo a disegnare ma a creare palle te la cavi!»
 «Kendall. Ridammi il disegno, non te lo chiederò una quarta volta.» alzandomi, deciso come non mai, mi piazzai a poca distanza da lui fissando i suoi occhi bui, piccoli, sfidandoli.

Si sentii un rumore di carta stropicciata, che ora si stringeva nelle mani della botte davanti a me.
Avanzò verso di me, fino a finirmi addosso con il petto contro il mio, troppo vicino, troppo fastidioso.
Serrai i pugni senza spostarmi di un millimetro, guardandolo dall'alto, silenziosamente beffandomi della sua altezza.

«Mi stai dando degli ordini, Ethan? Dimmi un po', mi stai dando degli ordini?» il resto della classe si era piazzata in cerchio attorno a noi, chi commentando ad alta voce, chi ridacchiando, chi tifando, ovviamente, per Shawn.
«Ti sto dando degli ordini, capra. Vuoi ridarmi il disegno o devo toglierti altri dieci centimetri?» meccanicamente, un ghigno mordace prese possesso del mio volto scaldando la situazione, già colma di una tensione quasi palpabile.
«Razza di...» il viso quadrato del ragazzo si infiammò di collera e imbarazzo.

La sua mano si serrò sul mio polso con una forza tale da farmi male, spingendomi verso il muro con gli occhi iniettati di odio più di quanto già lo fossero di loro. I miei occhiali incontrarono il pavimento.
Non mi mossi. La differenza di stazza che vi era fra di noi non mi offriva alcuna possibilità di vantaggio in uno scontro corpo a corpo.
Ma chi aveva bisogno di forza fisica (animalesca, in questo caso) per combattere?
Anche una volpe può fronteggiare un orso.

«Andiamo, sarai alto un metro e un chiodo. Cosa vorresti fare se non arrivi nemmeno agli scaffali? Oh, ma a giudicare dalla tua stazza arrivi benissimo alle mensole con il cibo.» con la voce completamente inespressiva, ma con una nota di orgoglio e arroganza, spiazzai tutti gli altri mentre Shawn si limitava a grugnire pensando ad un possibile modo per controbattere.

Compiaciuto, con quel ghigno ancora più apro, continuai.

«Non sforzare la nocciolina che ti ritrovi lì dentro. Ammesso che non sia marcita, ovvio

Fu il colmo per lui. Battendo il piede sul pavimento come un bambino capriccioso, lasciò andare il mio dolorante polso solo per alzare il pugno, in direzione del mio viso.

«Seduti, tutti quanti.» l'intera classe si voltò vero una voce sconosciuta, me compreso, e ciò che vidi mi fece inarcare automaticamente un sopracciglio, colto da sorpresa, curiosità, confusione, tutto insieme.

La donna che avevo davanti era di sicuro un'insegnate, ma... aveva un'aria così bizzarra che facevo fatica ad autoconvincermi di ciò.
Recuperai le lenti crepate da terra e tornai al banco, osservando meglio la stravagante figura che, visibilmente spaesata e poco decisa, aveva messo piede per la prima volta nell'aula.
Portava dei capelli lunghi fino alle spalle, riccissimi ma spettinati, di un colore che oscillava tra il rame e il carota. Indossava abiti da veggente, un lungo scialle di velo le avvolgeva le spalle, e un secondo più lungo dello stesso colore era legato attorno al suo braccio destro.
Gli occhi furono l'ultima cosa che catturò la mia attenzione, nonostante fossero così visibili e grandi.
Nascosti dietro delle lenti spessissime che li rendevano esageratamente enormi e rotondi, erano di un colore scuro, che non riuscii a definire data la mia poca visibilità.
Alta, decisamente magra, aveva un'aria così inquietante che tutti si ritraevano al suo passaggio.
Come se non bastasse, poi, iniziò a parlare in modo strano con voce e tono da sensitiva, muovendo le mani come se avesse in mano una sfera di cristallo.

«Vedo tensione in questa classe, una tensione sviluppata negli anni, non è vero? Tu, pelato, le dita non sono state inventate solo per quello, via.» e guardando avanti a sè fece un chiaro riferimento a chi, dietro di lei, era intento ad esplorare il proprio naso. Ci fu un attimo di fiato sospeso.

Passò tra i banchi, fissando chiunque con gli occhi da gufo, silenziosa, poi si fermò davanti a me ed indicandomi con un dito tremante riprese a parlare.

«Tu! Oh, tu, povera anima in pena. Vedo un'anima distrutta e un cuore sotto pressione. Ti trattano male in questo postaccio non è vero?» raggiungendomi dall'altra parte del banco, mi prese il capo con le mani accarezzandomi la testa e parlandomi con voce materna (che situazione imbarazzante....) «Non devi preoccuparti, Nathan...»
«Ethan...»
«... Qualcosa accadrà, e tu sarai felice, trionferai, le tue domande troveranno risposta!»

Alzò la voce, come a volersi convincere, più che convincere noi.
Ma poi, si chinò avvicinandosi al mio orecchio e abbassando la voce con tono drammatico.

«Ma caro mio, brutte conseguenze potresti incontrare da queste scelte, sei proprio sicuro di volerlo fare
«Fare cos
«Shh shh shh tranquillo, non agitarti, non voglio essere responsabile di uno svenimento in classe, non alla prima lezione» e lasciandomi delle piccole pacche sulla testa, arruffando la mia massa di capelli già problematica di suo, si allontanò tornando alla cattedra e puntando lo sguardo su ognuno di noi, uno ad uno.

«Io sono Amarantha Midima, vostra nuova professoressa

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