Unreal Ghoul

di Elsa Maria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Meraviglia ***
Capitolo 2: *** Destino ***
Capitolo 3: *** Problema ***
Capitolo 4: *** Sogno ***
Capitolo 5: *** Errore ***
Capitolo 6: *** Sangue ***
Capitolo 7: *** Trappola ***



Capitolo 1
*** Meraviglia ***


Capitolo 1

Meraviglia

 
Noi umani siamo abituati a vivere nel terrore. Solo sotto minaccia siamo in grado di lasciarci comandare, istruire, siamo persino disposti ad annullare noi stessi pur di avere delle certezze per superare qualunque ostacol; siamo disposti a mentire pur di vivere al sicuro in una verità falsa. 
L'uomo è il mostro più orrido sulla faccia della Terra. 
 
“Il giorno 28, lungo la via del Takada building, è stata ritrovata parte del cadavere di un uomo. Sul luogo è rimasta traccia di liquidi che farebbero pensare ai ghoul. Il comando investigativo ha avviato delle indagini nell’area, ritenendo possa trattarsi di un atto predatorio da parte di un ghoul...”
Sempre la stessa storia, sui telegiornali non si sentivano che quelle notizie simili fra loro, cambiava solo il numero delle vittime e la metodologia d'assassinio, tutti accomunati dallo smembramento.  
“Non ne posso più, ma cosa fanno gli ispettori? Dormono sugli allori? Non fanno che morire persone su persone, ‘sai’ neanche una settimana fa è toccato lo stesso destino ad un'infermiera del nostro reparto.”
“Davvero? È terribile, io non esco se non per lavoro. Tu non hai una figlia?” 
“Doverla costringere a stare in casa è un’ingiustizia, ma non posso altro, è veramente un problema... Se potessi li ucciderei tutti, che motivo hanno di esistere?” 
Sempre lo stesso odio. Se fosse stato un ghoul a parlare avrebbe imprecato alla stessa maniera contro gli umani, con la differenza sostanziale di poter attuare l’omicidio.
Infilzò delle foglie di insalata. 
“Midorima-san, lei cosa ne pensa?” Lo interpellò uno dei due, facendogli lasciare il boccone a mezz’aria. Il dottore sospirò alzando di poco lo sguardo per guardare il suo interlocutore da sopra gli occhiali. 
“Che non vorrei trovarmene uno di fronte, tutto qui.” Declassò la conversazione che lo interessava poco, tornando a mangiare. Cosa serviva parlarne, se tanto non cambiava nulla? 
Sovrappose il coperchio dell’insalata preconfezionata al contenitore vuoto, per poi allontanarsi velocemente dagli altri, fuggendo da qualunque altra domanda. Non era di per sé una persona granché socievole, se poi gli altri iniziavano a parlargli dei ghoul allora non aveva più alcun motivo per restare. Probabilmente su 13 milioni d’abitanti neanche il 20% era obiettivo su quella situazione problematica che coinvolgeva la maggior parte di Tokyo. Quanti erano i ghoul? Quanti gli umani? Quanti davano la colpa all'altra razza?, quanti invece riconoscevano la propria condizione? Il problema risiedeva in questo: nessuno riusciva ad andare oltre e pensare a come ci si potesse sentire ad essere un ghoul. Per secoli erano state combattute battaglie sul razzismo, ma in realtà non avevano portato a nulla. Pensare a questa condizione umana lo avviliva, ma allo stesso tempo lo spingeva a proseguire i suoi studi sull'uomo, a salvarlo e ad aiutarlo. La curiosità era ciò che l'aveva fatto diventare medico e, come un fuoco inestinguibile, lo spronava alla ricerca; ricerca che si era spinta troppo oltre creando un desiderio inappagato a causa del giudizio altrui.
Il suo obiettivo era quello di studiare i ghoul, ma non come un ricercatore che torturava per scoprire i segreti di quei corpi così uguali e così differenti da quelli umani. Per un motivo di contegno e compostezza preferiva evitare totalmente quell'argomento, per questo scappava prima di ricevere domande inopportune –anche se era abituato ad evitare in generale qualunque tipo di rapporto, indipendentemente da quale fosse il soggetto delle discussioni. 
“Dottor Midorima, il paziente nella stanza 113 mi ha mandato a chiamarla, non specificandomi il motivo dell'urgenza.” Spiegò una giovane infermiera, un po' svampita a giudicare da quell'aspetto semplice, tipico delle ragazzine acqua e sapone, dallo sguardo brillante come se avesse visto qualcosa che l’affascinava.
 
“Sei alto, con quei capelli strani,  persino i tuoi occhi... È ovvio che le donne ti guardino! Poi il camice ti dona.” Questo gli aveva spiegato una volta un collega, parole a cui non aveva dato peso. 
 
“D'accordo, vado subito.” E come suo solito tirò gli occhiali sulla radice del naso, provocando imbarazzo nella tirocinante che si affrettò ad abbassare il volto, arrossito. 
 
“E quando ti sistemi gli occhiali. Bam! Conquistate!” Aveva aggiunto, in conclusione del discorso, ricordando il fastidio per quella onomatopea totalmente fuori contesto. 
 
La sorpassò con un passo deciso, ma non affrettato. Quando chiedeva di lui il paziente della 113 voleva per lo più chiacchierare, era un vecchietto interessante che non gli rubava mai troppo tempo, raccontandogli ogni giorno una storia diversa riguardo i ghoul, essendo un ex-ispettore.
A volte si chiedeva se il suo interesse non fosse per il troppo parlare: tra le notizie giornaliere, i racconti vari, le critiche e commenti non chiesti, diventava difficile persino pensare ad altro. 
Entrato nella stanza chiuse la porta dietro di sé, sedendosi sulla sedia posta accanto il letto del malato, il quale, appena lo vide, gli sorrise felice, seguendolo con gli occhi celati dalle palpebre, giusto uno spiraglio fra queste gli permetteva di vedere. 
“Signor Takeda.”
“Midorima-san.” Lo chiamò con la voce rauca, ma comunque vivace, vivacità tipica di chi ormai aveva visto tutto e non si stupiva più della vita. 
“Deve finirmi di raccontare la storia.” Gli ricordò, sistemando le pieghe del pantalone dopo aver accavallato le gambe. “Il perché del suo trapianto.”
“Ah, sì… Quel ghoul, ancora ricordo i suoi occhi rossi, ancor più del sangue che gli sporcava la bocca, me li sento ancora addosso. Mi aveva analizzato prima di sorridermi, chiamandomi poi problema, così profondamente divertito dalla situazione, quasi fosse nient’altro che uno scherzo. La bellezza della sua kagune, quell’ala che spezzava l’aria muovendosi come una scarica elettrica, così cupa quanto luminosa, era in totale contrapposizione con lo scenario macabro che lo circondava. Non ho mai notato la bellezza macabra dei ghoul, è stato affascinante.”
“Ha avuto paura?”
“Sono morto dalla paura… Se non fosse stato per chissà quale miracolo ora sarei morto, avrebbe mangiato anche me oltre l’altro, invece sono stato fortunato, null’altro che una ferita per quanto profonda. Pensavo che di ghoul ne avessi visti tanti nella mia carriera, di averne eliminati moltissimi, ma non finiscono mai, spuntano come pulci. Non ho più la forza di un tempo, non avrei potuto nulla contro di lui, così giovane e forte… Proprio questo mi aveva fatto pensare alla mia fine certa, ed invece ha esitato. Mai un ghoul di fronte a me, nelle vesti di ispettore, si era fermato a riflettere prima di attaccarmi, mentre questo, forse impietosito, per un momento ha riflettuto. Mi ha portato a chiedermi se in fondo anche loro fossero umani.” 
Lo erano, lui ne era certo. Pensavano e agivano, male o bene, come gli umani, secondo una morale. 
“In anni di lavoro non mi sono mai chiesto se ucciderli fosse giusto o sbagliato, o meglio ero tanto convinto che fosse giusto che non dovevo pormi nessuna domanda, ma ora mi chiedo se fosse veramente corretto.” 
“Non capisco, però… Lei è stato attaccato da questo ghoul, allora perché?” Sembrava stranamente preso ed era raro accadesse. Quella maschera di compostezza e serietà di fronte quello che perfettamente corrispondeva con il suo pensiero si era scomposta. In quella stanza, parlando con quella persona, sentiva di poter affrontare discorsi che lo stimolavano e portavano fuori il meglio di lui, un meglio che nessuno conosceva. 
“Perché ho riconosciuto in lui un umano, è stata solo una sensazione probabilmente, ma non voglio dimenticarmene mai.” Guardava lontano, fuori la finestra, come se riuscisse a vedere quell’ombra rossa aggirarsi per i vicoli della circospezione. Poi abbassò lo sguardo, verso il dottore che era rimasto con il fiato sospeso. Gli sorrise. “Non sei soddisfatto?”
“È stato un piacere poterla ascoltare.” Si riprese improvvisamente, composto e freddo, ponendo nuovamente fra lui e il paziente quella distanza professionale che doveva esserci per assicurargli un buon lavoro. Si alzò con precisione, facendo un cenno con il capo in segno di saluto. “Per qualunque problema non esiti a chiamarmi.” E detto questo, senza ricevere risposta, tornò fuori, andando a compiere i suoi doveri di medico. 
Il sangue, la kagune e gli occhi di quel ghoul. Ne aveva percepito il sapore, percepito la forza e percepito la paura. Quella sensazione così reale che ancora sentiva sulla pelle gli sembrò un segno di presagio: a breve qualcosa sarebbe cambiato. 
Eppure si trattava pur sempre di una sensazione e a suo parere persino insignificante… Non poteva di certo immaginare quanto questa poi si sarebbe fatta viva.
 
Si poggiò con le spalle alla porta del suo piccolo monolocale, respirando di sollievo: finalmente a casa. Rimise nella tasca della giacca le chiavi, posò a terra la borsa da lavoro e si levò le scarpe che ordinate ripose nella scarpiera, seguirono poi la giacca e la sciarpa, appesi ad un gancio dell’appendiabiti. Respirò a fondo quell’odore di chiuso e pulito, tipico del proprio appartamento, che più di ogni altra cosa lo faceva tranquillizzare. Si stropicciò gli occhi, sistemandosi per bene gli occhiali sul volto, mentre si spostava all'angolo cottura per prepararsi una meritata tisana, come ogni sera. Nel frattempo che l'acqua si scaldava, si era andato a cambiare, indossando abiti più comodi e sportivi, come ogni sera.
La routine giornaliera non si spezzava mai, sempre uguale, azioni precise e ripetute in uno stesso arco di tempo che non variava. Una vita apparentemente noiosa, ma appagante per il medico che con tranquillità e serenità aveva scelto l'infuso. Si sedette sull'unica sedia dell'appartamento, contata solo per lui e non per ospiti. Tamburellò le dita sul tavolo di metallo, godendosi il silenzio che gli permetteva di pensare e continuare a percepire quel fastidioso formicolio lungo la schiena che ancora non lo abbandonava, ma era certo che non ne sarebbe rimasta traccia dopo una bella dormita. Continuò a muovere le dita sul tavolo. Poi si fermò. Improvvisamente uno scatto in avanti, gli occhi strabuzzati e il respiro mancato. Ecco cos'era quella sensazione! Come aveva potuto dimenticare una cosa tanto vitale? 
In pochi secondi fu fuori casa. Aveva spento solo il fuoco, neanche indossando la giacca, senza contare delle orride pantofole che aveva preferito alle scarpe, troppo complicate da mettere, ma un'emergenza era un'emergenza e non poteva proprio aspettare. Camminava veloce continuando ad incolparsi: dimenticare qualcosa di tanto importante non era da lui, ne andava della sua stessa sorte. 
Si infilò nel primo kombini che aveva trovato. Vuoto, con solo il commesso che masticando rumorosamente un chewing gum lo squadrava annoiato. Neanche un saluto. Lo trovò maleducato, ma non se ne interessò: c'erano priorità da portare a termine e la sua era...
“Gelatina verde.” Sospirò sollevato, vedendo l'alimento in barattolo su di una mensola. La sua fortuna era salva, aveva nuovamente il suo lucky item, che sbadatamente aveva dimenticato all'ospedale prima di uscire. Lo strinse fra le mani sentendo come, piacevolmente, il formicolio fosse scomparso; preoccupazioni svanite. Si sbrigò a pagare non volendo passare un secondo di più in quel negozio, il rumore del continuo masticare non aiutava affatto e il desiderio di tornare a casa era tanto intenso che neanche si scomodò a ringraziare.  
Nelle strade silenzio totale, nessun anima viva in giro, e le luci dei lampioni erano tanto basse che illuminavano unicamente il palo. Tenendo stretta la busta iniziò ad incamminarsi verso casa, questa volta con un passo più lento e leggero guardando fisso davanti a sé, intento ad evitarsi una qualunque distrazione.
Ancora silenzio, si sentiva appena il suo passo, neanche il vento o qualche gatto randagio che frugava nell’immondizia: niente, ed era strano. Si fermò un attimo, preoccupato, decidendosi ad osservarsi attorno, in cerca di un elemento che riportasse l’atmosfera da inquietante a serena.
D’ un tratto un rumore molesto, metallico, un colpo secco che lo fece sobbalzare e voltare verso un vicolo alla sua sinistra. Si avvicinò… E un gatto nero, miagolando, uscì alla luce sinuosamente, scappando dopo averlo esaminato con i suoi grandi occhi azzurri. Sbuffò infastidito, spaventarsi per un gatto, doveva essere proprio stanco!
Si voltò per riprendere il suo percorso, ma uno nuovo e strano rumore lo fece desistere. Assottigliò lo sguardo per poter vedere meglio nell’oscurità nella quale si addentrò con pochi passi. Non parlò, cercò solo di vedere e ascoltare fino a quando non distinse delle figure e si pietrificò.
Un cadavere senza vita e il suo divoratore.
Il rumore della carne divorata gli stava lentamente perforando il cervello, diventando più forte ad ogni boccone e lui, che immobile, non riusciva né a distogliere lo sguardo né a scappare, attendeva solo che l’assassino si accorgesse della sua presenza… E quando accadde tornò il silenzio.
Gli occhi intrisi di sangue erano puntati su di lui, intinti in un lago nero, privi di riflessi, pieni di ingordigia. Quello si pulì il sangue dalla bocca con il palmo della mano, senza sentimenti, con quel ghigno. 
Crudele. 
Affamato.
Disumano.
Intrigante come quello sguardo fisso che gli bloccava il respiro nella trachea, ipnotizzandolo con quella splendida ala di fuoco che squarciava lo spazio circostante. 
 
“Oh, un problema.”
 
Stava per morire: privo di paura, pieno di meraviglia. 
 
 
 

Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! Ho finalmente deciso di affrontare qualcosa di molto, forse troppo, serio, non solo per il tema che vorrei trattare in un certo modo, ma anche per il fatto che è una long! Purtroppo non posso assicurare una pubblicazione regolare, ad esempio ogni settimana: ma ci sarà un seguito e non tra un anno, questo lo assicuro.
Precisazioni per chi non conoscesse l’opera: i ghoul sono apparentemente degli umani che non posso mangiare altro che carne umana e possono vivere senza questa per almeno un mese. Le kagune sono delle protuberanze (chiamiamole così) che cambiano forma a seconda da dove fuori escono dalla schiena, possono essere, in ordine: spirali intorno ad un braccio, ali, tentacoli oppure code (scusate le parole molto spicciole, ma è la maniera più pratica per farmi capire) e queste sono le ‘armi’ che usano i ghoul contro vittime e altri come loro (discorso un po’ particolare che affronterò, per cui rimando). Il fatto degli occhi è che questi cambiano non appena il ghoul mostra questa sua seconda natura e diventano neri con l’iride rossa (sono particolari soprattutto nella storia originale… Cosa che non voglio specificare dato che sarebbe probabilmente spoiler e non me la sento proprio di farne). Per delle vere e proprie spiegazioni, nel caso non si fosse capito nel mio capitolo, consiglio una ricerca su Wikipedia o semplicemente su Google immagini! Io spero di essere stata nel mio piccolo chiara.

Ulteriori precisazioni: l’inizio del capitolo e parte di trama le ho riprese dal primo volume di Tokyo Ghoul (pubblicato in Italia dalla J-pop) con il puro intento di rendere la contemporaneità e l’unione alla trama, non per altro, idem per il titolo della fan fiction che riporta al titolo dell’opening della serie: Unravel.
La modifica del titolo poi avrà modo di essere spiegata in questa stessa fan fiction.

Chiedo perdono se sono stata tanto lunga e noiosa, ma mi sembrava giusto fare certe precisazioni.
Spero che leggiate e recensiate questa fan fiction che ritengo l’unico vero modo per rimettermi un po’ in questo fandom che ho sempre trovato accogliente (un modo strano trovare un fandom accogliente… probabilmente)

Grazie a tutti per l’attenzione, al prossimo capitolo!
Here we Go!
 

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Capitolo 2
*** Destino ***


Capitolo 2
Destino


Se esistesse qualcuno in grado di decidere la morte di un altro, che sia bianco, nero, asiatico, buono o cattivo, questo è l’uomo, non Dio. 
Dio non esiste, se esistesse, allora l’omicidio non avrebbe motivo di esserci. 

 
 
“Oh, un problema.” 
E che problema! Era mai possibile che dovesse sempre incontrare un uomo mentre tranquillamente cenava? Neanche a dire che mieteva così tante vittime: una a notte, quale tragedia poteva essere? Lui non ci vedeva nulla di male, era pur sempre la sua natura, eppure molte altre persone non erano dello stesso parere, proprio come quell'umano pietrificato di fronte a lui. Lentamente si alzò in piedi, lasciando cadere dalle mani il pezzo di carne di cui si stava cibando, procurando un suono molle che coprì lo strusciare della suola sull'asfalto. Si leccò le labbra, per poi tirare su con il naso e pulirsi la bocca con il palmo; azioni ben scandite, come in una sequenza di frame, con il preciso intento di catturare totalmente l'attenzione. 
“Ultime parole?” Gli venne spontaneo chiedere, volendo sciogliere quella situazione troppo tesa per i suoi standard. Inclinò il capo. “Che fai? Non rispondi?” Passò il cadavere, evitando di schiacciare ciò che era ancora un buon pasto, per avvicinarsi a quella che doveva essere la sua nuova vittima... Se fosse stato un qualunque ghoul. Quale senso aveva porsi una morale e un obiettivo se poi non si rispettavano? Come gli diceva il suo senpai: “Solo i rammolliti si fregano da soli.” o parole diverse con significato simile, fatto stava che era diventato come un motto in momenti simili, che lo costringeva a trattenersi. 
Ad illuminare il vicolo c'era solo la sua "ala" che immetteva quella luce dai colori caldi e risplendeva come perfetta cornice della sua figura, però preferì ritirarla ritenendo quell'uomo innocuo.
Comunque gli si avvicinò, con l'intento di capire meglio chi fosse la persona di fronte a sé. Poté percepire il respiro dell'intruso: vivo e vegeto, anche se aveva iniziato a dubitarne, essendo rimasto totalmente immobile. A guardarlo in quegli occhi, che gli sembravano di un bel verde, dava l'idea che lo stesse esaminando in tutto. Si chinò in avanti con il busto per poterlo osservare meglio, da una prospettiva diversa, posta in basso, puntando il dito contro lo sterno. 
“Mica ti mangio la lingua, non mi piace, è molle... Come una gelatina più consistente.” Fece quella battuta, assottigliando lo sguardo: vedeva un'espressione persa, spaventata, ma anche... Meravigliata. Possibile?
Indietreggiò di un passo, mettendosi in posizione di difesa. Che fosse un ispettore alle prime armi? Non lo convinceva. 
Tirò nuovamente fuori la kagune, sentendo che l'altro stava per agire. 
“Se non hai nulla da dire, allora...” Si leccò il labbro inferiore per poi mostrare i denti. “Ti divorerò!”
Ma ecco un evento inaspettato: la sua preda era scappata a gambe levate, lasciandolo sorpreso per quello scatto improvviso; tanto maleducato da andarsene mentre parlava, senza neanche salutare, gli umani non smettevano di sorprenderlo. 
Ma il peggio era stata la fuga, aveva veramente agito a quella maniera tanto pietosa? Sperava che a farlo muovere fosse stata la disperazione e non la furbizia, perché tutto era tranne che un azione intelligente. Sospirò piano prima di fare un salto in direzione del palazzo alla sua destra, usandolo come leva verso il palazzo opposto e arrivando infine sul tetto del palazzo da cui era partito; corse su questo spingendosi più verso l'esterno che affacciava sulla strada. Lo vide immediatamente: continuava a correre e anche velocemente per un umano. Gli venne naturale sorridere a quella considerazione, lanciandosi poi verso terra, in picchiata, roteando prima di atterrare con un tonfo. Toccata terra in un affondo, rimase in quella posizione fino a che l'altro non tornò a fissarlo attonito, questa volta ansimante per la corsa rendendo la scena ancor più succulenta e dinamica. La speranza umana la trovava una qualità eccezionale, qualcosa che ai ghoul mancava essendo sempre a contatto con la morte. Invidiabile.
“Ancora voglia di scappare?” Gli chiese mentre lentamente si alzava gustandosi quel momento in ogni suo attimo e dettaglio che lo rendeva unico. C'era un qualcosa nello sguardo dell'altro che lo stava facendo infiammare, spingendolo a prolungare l'attesa, la tortura con protagonista l'ansia e l'angoscia dell'imprevedibile. 
Fece un passo in avanti. 
Si stava alzando la nebbia. 
Un altro passo.  
Il silenzio inghiottiva tutto. 
Era pronto ad avventarsi quando una veloce camminata, precisa e felpata, lo mise in allerta: avrebbe saputo riconoscerli fra mille. Scattò in avanti verso l'altro per coprirgli la bocca e trascinarlo con sé, aggrappato con il braccio attorno il collo. “Se taci e te ne vai senza dire una parola del nostro incontro allora ti risparmierò la vita, affare fatto?” Gli sussurrò ad un orecchio a denti stretti, addentrandosi in uno dei numerosi vicoli che accoglievano un'oscurità a lui favorevole. “Basta annuire.” Aggiunse, aspettandosi che accettasse l'accordo; ma il problema era un altro. Infatti, si accorse solo in quel momento d'attesa di come l'altro si stesse piegando su di lui, contorcendo la schiena messa a dura prova, causa della notevole differenza d'altezza; la sua forza da ghoul gli era venuta utile in quella situazione. Lo lasciò andare più per pietà che per altro; inoltre non poteva permettersi di farlo morire d'infarto.
“Neanche un grazie?” Tentò ancora di farlo parlare pur cosciente dell'impossibilità dell'impresa, non distogliendo lo sguardo, tornato allo stato umano, dalla figura slanciata curva su se stessa intenta nel riprendere il respiro. Gli venne rivolta solo un'occhiata di sbieco, nulla di più, non riusciva a decifrare cosa fosse: paura, sollievo, odio? Non poteva rimanere per scoprirlo. 
“E va bene, questo rimarrà il nostro piccolo segreto, io non ho visto te, tu non hai visto me, affare fatto?” Propose allungando la mano per dargli una stretta, ma non gli venne concesso. Non poteva rimanerci male, però.
“Addio!” Esordì pronto ad andarsene quando l'altro catturò nuovamente la sua attenzione con un gesto della mano e strani suoni simili ad un mix fra parole e respiri veloci.
“Come ti chiami?”
Sorrise beffardo.
“Mi chiamano Occhio di falco, ti piace?” Gli chiese, aspettando una risposta anche se non interessato a riceverne una. Ci fu un veloce scambio di sguardi.
“Si addice ad un ghoul.” Una risposta piuttosto scettica che gli procurò una risata. 
“È questo l'unico commento?” 
“Cosa avrei dovuto dire?” 
“Potevi mostrare più entusiasmo con un: “veramente bello!” oppure spaventarti, dato che possedere un nome del genere significa essere ricercati.” Spiegò con quel tono allegro e ironico che era proprio. Sempre e in una qualunque situazione non si mostrava mai preoccupato o agitato, viveva la sua vita con spensieratezza ben conscio che prima o poi sarebbe arrivata la sua ora. Faceva parte della sua natura di ghoul, non poteva che accettarla. 
La sua non-vittima fece per parlare, ma un rumore di passi impercettibile, lo portò a tappare la bocca della nuova conoscenza. 
“È stato un piacere poterti risparmiare la vita, mi hai reso la serata interessante.” E gli fece un occhiolino malizioso prima di portar fuori la sua forza di ghoul e scappar via, lasciandolo solo, in quel vicolo buio e desolato. 


“Cosa hai fatto tu?!”
“Non c'è bisogno di alterarsi tanto, Miyaji-san.” 
“Oh no, io mi altero eccome! Hai lasciato a piede libero una...” Si trattenne, mordendosi la lingua mentre si guardava velocemente intorno. Si chinò su di lui. 
“Una vittima.” Concluse il discorso con un tono più moderato, non privandolo però di quell'accento irritato e rabbioso, perfetto riflesso del suo stato d'animo. 
“E con ciò?” 
“Potrebbe rivelare la tua sistemazione, hai lasciato la quindicesima per delle distrazioni o sbaglio?”
“Questa non è una distrazione, ho sbagliato coscientemente.”
“Il che è anche peggio.”
“Tanto gli ispettori sanno benissimo che mi sono spostato, non cambio il mio modo d'agire.” 
“Per questo ti beccano sempre.” Strinse la destra sul tavolo in un pugno, con tale forza da far diventare le nocche bianche. Respirò poi, rilassando i nervi e la mano che passò fra i capelli biondo grano. 
“In conclusione vuoi dirmi che fra un paio di giorni verrò a riprendere la tua carcassa priva di kagune in un qualche angolo sperduto?” Chiese guardandolo dritto negli occhi azzurri, l'opposto di quelli della sera precedente intrisi di nero e rosso. 
“No, voglio dire che non devi preoccuparti, so cavarmela da solo, tu rilassati e... Sta a vedere! Per ora pensa alla tua zona di caccia e bevi meno caffè.” Dicendo ciò gli allontanò la tazzina ormai vuota da davanti. “Secondo me ti rende nervoso.” Precisò, non distogliendo lo sguardo certo delle sue parole. 
“Piccolo insolent-”
“Altri due caffè per voi, offre la casa.” Si intromise d'un tratto un uomo più massiccio, ma basso del suo amico, che con aria pacifica e scherzosa aveva offerto loro le due bevande fumanti. 
“Kimura-san!” Esordì sollevato nel vederlo. Salvato all'ultimo secondo. Miyaji di contro sospirò, accettando di buon grado quell'offerta, fulminando il compagno con lo sguardo d'orato.
“Dovresti dirgli qualcosa anche tu.” 
“Ma sappiamo entrambi che poi farà come vuole.” E Takao annuì concorde a quell'attenta previsione che procurò un ulteriore sospiro nell'altro: si sentiva abbandonato alla propria opinione. 
“Inoltre Miyaji-san anche tu hai un caro amico umano, o sbaglio?” 
“Non sa cosa sono Takao, ed è amico, non vittima.” 
“Eppure sono certo che Otsubo-san non ti farebbe nulla se glielo dicessi.”
“È questo che mi preoccupa di te.” 
“Lo so, lo so, ma io accetto la mia vera natura e non me ne vergogno.” 
L'atmosfera si fece più pesante a quell'affermazione, i due si congelarono. 
Le parole di Takao erano vere, nessuno di loro se ne vergognava, ne andavano persino fieri, però...
“Tu sì, gli altri no.” Questa fu la risposta di Miyaji che fulminò, mettendo a tacere, Takao, il quale abbassò finalmente lo sguardo. Se l'argomento che più bruciava agli umani era sentire il numero di morti, quello che più colpiva i ghoul era il proprio stato di discriminati, l'essere costretti a nascondersi e mentire per essere accettati, per essere qualcosa che mai avrebbero voluto essere. 
Si alzò dal suo posto, bevve tutto d'un fiato il caffè, lasciando poi alcune monete sul tavolo. Girarono prima di ricadere sul piano, catturando l'attenzione di Miyaji che stava pensando ad altro, l'aveva capito dallo sguardo perso e gli occhi più assottigliati del solito: preoccupazione. 
“Io vado a lavoro, non mi sembra il caso di arrivare in ritardo.” Spezzò quella tensione con un sorriso rivolto ad entrambi gli amici. “Salutami Otsubo-san.” E detto questo, con un cenno della mano, se ne andò. 
Spesso, quando camminava fra la folla fingendosi un normale umano, si guardava attorno analizzando ogni possibile anomalia e nel momento in cui si rendeva conto che non ce ne erano, che tutto era così morbosamente normale, confinato in una perfetta routine, ringraziava di essere diverso. Agli umani, sotto sotto, i ghoul non dispiacevano, interrompevano con un taglio netto quella normalità, non era forse positivo? O era l’unico a pensarla a quel modo in un mondo dove, di fatto, il positivo non sarebbe dovuto esistere? Forse l’idea di fondo, di ghoul ottimista poteva essere una barzelletta: destinato a morire, senza una ragione di vivere, nascosto nel terreno come un verme; che senso aveva vedere le cose positivamente. Ma lui era così, pur sapendo che poteva morire in quel momento come fra anni, era ottimista. Sperava in un qualcosa di migliore: una giornata come la sua intera esistenza. Era quasi certo che il suo essere ghoul, in particolare un ricercato, lo rendeva capace di apprezzare anche una mattinata di sole; a lui piaceva, perché non apprezzarlo? Probabilmente era assurdo trovare del buono in qualcosa di tanto semplice, era assurdo pensarla tanto semplicemente, era assurdo ritenersi fortunati di essere un mostro.
Rallentò il passo, quando dal cielo limpido spostò lo sguardo sul lato opposto della strada: un uomo camminava veloce, scappando da un altro che dietro di lui lo seguiva con la testa bassa e le mani in tasca dell’impermeabile beige chiaro. Ispettori. E quello che scappava chi poteva essere se non un ghoul? Neanche lo conosceva il poveretto, sperava che avrebbe avuto la meglio, d'altro canto lui non poteva permettersi di intervenire per quanto fosse fastidioso e frustrante; era costretto a mettere prima se stesso.
Voltò lo sguardo, pronto a riprendere il ritmo del passo più affrettato, sentendosi improvvisamente congelare. Un brivido lungo la schiena lo scosse da cima a fondo. Trattenne il respiro come se qualcuno fosse dietro di lui, ma non c’era nessuno. Era stato tutto una percezione, uno sguardo che gli era stato lanciato poco prima che lui distogliesse il proprio. Con uno scattò tornò alla scena precedente. 
Capelli rossi mossi non dalla brezza, ma da un’aura terrificante che persino lui riusciva a percepire. Chi diamine era quell’ispettore, così spaventoso con una tale sente di sangue? 
In sé desiderò di non incontrarlo mai più e si sbrigò ad allontanarsi da tutto quello. 
 
“Sei in ritardo, Takao.” Ringhiò uno dei suoi colleghi che l’aveva beccato ancora con la giacca e non con la divisa verde che a quell’ora avrebbe dovuto avere indosso. 
“Yuuya sei più terrificante di tuo fratello quando fai così.” Ridacchiò ben poco convinto, non dando a vedere la paura che stava provando. Quel ragazzino poteva essere molto più spaventoso di Miyaji, se voleva… E voleva sempre. 
Si sbrigò a prepararsi, pronto ad iniziare quello che era il secondo giorno di lavoro nel nuovo ospedale in cui era stato trasferito. Prima di chiudere l’armadietto, in cui aveva appeso la giacca e lasciato gli effetti personali, si promise che avrebbe svuotato la mente, evitando di pensare a quella sensazione che ancora aveva sulla pelle e qualunque altro problema, come l’uomo della sera prima. 
“Eccomi!” Annunciò con slancio, avvicinandosi all’altro che iniziò ad elencargli ciò che avrebbero dovuto fare durante la giornata. 
“Oggi sarai affiancato ad un dottore che non lavora nella sezione pediatrica.”
“Va bene.”
“Si chiama Midorima Shintaro ed è… Il dottore laggiù.” E mentre si muovevano in direzione di questo, lo indicò.
Quell’altezza, il colore strano di capelli, avevano un che di familiare. 
“Dottor Midorima, Takao Kazunari, l’infermiere che l’aiuterà oggi.” Lo presentò Yuuya, come se lui fosse incapace di farlo. 
“Piacere di fare la vostra…” Raggelò. “Conoscenza.” Mormorò. 
Si guardarono. 
Rimasero immobili e scioccati. 
I loro volti sembravano indicarsi a vicenda, segnalando il colpevole di un crimine. 
“Tu.”
“Proprio io.” Sorrise, beffardo, come il destino che li aveva fatti incontrare. 









Angolo dell'autrice: 
Non ho molto da dire, se non: si è probabilmente capita la coppia portante dell'intera storia... O forse no? Non per mantenere il mistero, ma non ci sarebbe divertimento se rivelassi tutto e subito. 
A parte ciò, già il fatto che qualcuno stia leggendo questo capitolo è un gran traguardo, per cui vi ringrazio! Spero che la caratterizzazione dei personaggi non vi stia deludendo, ma non è affatto facile dare a Takao il suo essere Takao nei panni di un ghoul, tutto sommato, sadico; ma è probabilmente il personaggio che più preferisco. 
Non credo debba spiegare molto e vorrei rimandare ancora il discorso 'ispettori/colombe' per quanto, spero, la loro figura si capisca da sé. 
Per quanto riguarda il dettaglio del caffè, è l'unica cosa che i ghoul possono mangiare senza che gli faccia schifo e funge un po' come 'tappa stomaco' quando hanno non poca fame. 
Detto ciò credo non ci sia, veramente. altro da aggiungere.  GRAZIE PER AVER LETTO!

Here we Go! 

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Capitolo 3
*** Problema ***


Capitolo 3
Problema


Quel momento in cui la sveglia suona senza il bisogno di svegliarti, perché tanto eri agitato che hai passato una notte insonne, come dovresti reagire se non con rabbia e violenza nei confronti del povero oggetto che ha fatto solo ciò per cui è stato impostato? Fu questo che Midorima si chiese scaraventando la sveglia contro l’armadio. Non era cattiveria la sua, affatto, era solo rabbia. 
Si alzò con il busto, trascinando mollemente le braccia che non si mossero dal letto. Mai come quel giorno si sentiva tanto spossato, stanco, ancora sconvolto dagli eventi della sera precedente. Quel sorriso, quello sguardo divoratore e quella voce così allegra, aveva ancora tutto nella testa, non lo lasciavano stare, per l'intera notte aveva continuato a rielaborare gli eventi e a riviverli, tanto da non dormire. La paura provata l’aveva stupito, non credeva che potesse arrivare a un tale livello da immobilizzarlo, rendendolo totalmente inerme di fronte quella situazione di pericolo, il fatto che fosse vivo non era altro che il frutto di un qualche miracolo o di un destino che si era divertito solo a spaventarlo. Chiuse gli occhi, strofinandogli contro i palmi delle mani. L’importante era che tutto fosse finito, che il suo essere un problema (come quello strano ghoul l'aveva definito) non si fosse rivelato tale anche per lui; la scelta più saggia da fare era dimenticare, fingere che nulla fosse accaduto e vivere nella sua quotidianità. Si alzò notando che già si era fatto tardi per la propria tabella di marcia: si lavò velocemente, ma a fondo per pulirsi dal sudore che non rendeva la sua vicinanza gradevole, e con i capelli bagnati e gocciolanti decise di prepararsi per uscire, un amico ben poco paziente stava per arrivare, puntuale, al bar dove erano soliti fare colazione e farlo attendere poteva essere un errore fatale. Non poche volte si chiedeva se era più rilassante prendere un caffè con un ghoul o con lui, e persino con ciò che aveva passato non riusciva a darsi risposta. 
Così, distrutto, prese il treno per andare nella zona dove lavorava; vicino la stazione c’era il bar che gli avrebbe dato la giusta quiete per riprendersi. 
Si guardò un po’ attorno con sospetto, esaminando ogni singola persona in quel vagone: dalla bambina che cercava di attirare l’attenzione della madre tirandole il vestito, al ragazzo che seduto sonnecchiava mentre sentiva la sua musica preferita, che l’anziano accanto a lui però non sembrava gradire, finendo poi su un ragazzo abbastanza strano dalla capigliatura azzurra che se ne stava un po’ in disparte, lo sguardo perso sul paesaggio che scorreva davanti a loro. Ogni mattina cercava di ‘indovinare’, come passatempo, che tipo di persone lo circondassero e quasi sempre riusciva a indovinare genericamente che tipo di persona fossero, il suo amico definiva questa capacità una dote, utile per lavori come l’ispettore, ma per lui non era altro che un modo per difendersi dagli altri e vivere in pace. Quel giorno però era diverso: tutti i presenti gli davano l’idea di essere ghoul, temeva che da un momento all’altro avrebbero mostrato i loro maledettissimi occhi neri, i denti duri quanto il ferro e quegli arti di troppo, assalendolo uno dopo l’altro, in massa… Respirò profondamente, calmandosi. Quella dolce bambina dal viso paffuto non poteva di certo diventare improvvisamente un ghoul inquietante, non poteva essere così e doveva crederlo per non pensarci più. Per un attimo chiuse gli occhi volendo riordinare i pensieri inclusi quelli della sera passata, così che la paura sarebbe scomparsa. Era stato tutto troppo veloce, tornato a casa si era accorto che erano passati sì e no venti minuti e a causa dello shock iniziale non aveva pensato seriamente agli eventi, a cosa significasse essere vivo dopo essere stati puntati da un ghoul. 
Ma il vero problema dell’intera situazione (oltre aver perso durante la corsa il sacchetto con la gelatina), che l’aveva lasciato piuttosto turbato, era stata la sua reazione di fronte la scena… Ne era rimasto inevitabilmente affascinato. Uno scenario tanto macabro quanto stimolante che gli aveva fatto provare un brivido d’eccitazione, qualcosa di totalmente assurdo per lui, una reazione a dir poco inaccettabile, eppure. 
Strizzò gli occhi riaprendoli lentamente, mancava una fermata alla sua. Ora non poteva che dimenticare tutto, sensazioni ed evento, reprimere il solo desiderio di voler toccare quell’ala, esaminare quegli occhi… Di parlargli. Sussultò al solo pensiero e scosse il capo, follia, stava impazzendo! Era un ghoul, un maledettissimo ghoul che aveva ucciso per nutrirsi, come una belva, inumano, inaccettabile, altro che parlare, come avrebbe solo potuto creare un contatto con un essere come quello? 
“Mamma, ma quel signore sta bene?”
“Non far caso ai pazzi, tesoro.” Rispose con un sussurro la signora alla figlia, stringendola a sé per poi fissare male Midorima, che si sbrigò a scendere dal treno. 
Quella giornata stava andando sempre peggio. 
Uscì dalla stazione e svoltò a destra, il bar era a due passi verso quella direzione. Appena entrò quei pochi presenti si voltarono a guardarlo: il barista gli fece un cenno del capo, riconoscendolo, mentre il suo amico era seduto al solito posto del bancone sorseggiando il suo caffè in tutta tranquillità, intorno a lui c’era un’aura di quiete, ma di quelle che preannunciavano la tempesta. In religioso silenzio gli si sedette accanto, ordinando il solito tè più una brioche ripiena di cioccolato, la riteneva necessaria per il suo stato d’animo. 
“Non mangi mai qualcosa di così pesante.” Furono le prime parole che gli rivolse non appena il dolce gli fu poggiato di fronte. 
“Oggi non ho dormito bene, ne ho bisogno.” Commentò non intenzionato a dare altre spiegazioni. 
“Come mai?” Ma ovviamente non poteva evitare il discorso.
“Incubi, niente di che.” Ancora vaghezza, lo faceva solo per evitare di iniziare una discussione infinita con lui. Quale persona avrebbe parlato con un ispettore di un ghoul che l’aveva risparmiato?, o meglio chi avrebbe parlato con Akashi Seijuro, l’ispettore più spietato di tutto il dipartimento, di un ghoul? Solo un folle. Conosceva bene l’amico e lo sguardo che assumeva mentre parlava di quegli esseri inumani (li definiva così) non gli piaceva proprio, inoltre tentava di dimenticare l’accaduto, non voleva subire un quarto grado. Prese il suo tè che iniziò a sorseggiare. 
“Novità? A lavoro, intendo.” Gli chiese poi rivolgendogli appena un’occhiata, senza neanche voltare la testa. 
“Abbiamo catturato i soliti ghoul che speravano di salvarsi e continuare a divorare a loro piacimento.” Routine, sembrava questo. Uccidere al giorno minimo una persona era routine… Ma non poteva permettersi di pensarla a questo modo. 
“E pensare che alcuni miei colleghi si lamentano.” Sorrise beffardo, muovendo la tazza per osservarne la miscela che emanava un profumo dolce. 
“Fanno bene, non basta ciò che facciamo, sono troppi e non smettono di crescere…” Avvertì un accenno di rabbia in quelle parole, segno che quel giorno avrebbe fatto piazza pulita. Akashi era così: si spronava andando oltre l’immagina bile, probabilmente senza la sua presenza la minaccia ghoul sarebbe stata insostenibile. 
“C’è un ex ispettore in ospedale, ricordi te ne avevo parlato… Mi raccontava di un certo ghoul che l’ha attaccato…” 
“Takeda?” Chiese Akashi posando la tazzina da caffè sul piattino, volgendosi verso l’amico. 
“Sì.” Guardò un attimo l’amico che ci pensò per qualche secondo, ricordando.
“Occhio di falco, volevi sapere il nome del colpevole, no?” A quel nome raggelò… Era proprio lui, non si era sbagliato; era quasi comica come situazione, sentire parlare di un ghoul e venir poi attaccato da questo lo stesso giorno, veramente una fortuna. 
“Sì, sembra famoso.”
“Se lavorassi io al suo caso sicuramente l’avrei già catturato, ma a quanto pare preferiscono lasciare ad altri i lavori così specifici.”
“Sei più portato per i lavori di pulizia.”
Non rispose, ma sembrò confermare in silenzio. Akashi era un ottimo investigatore, ma aveva delle strane manie nell’attaccare e uccidere le vittime, le torturava, ma nessuno gli aveva mai detto nulla, erano ghoul d’altronde, ma credeva che in un qualche modo questo gravava anche sulla sua situazione in ufficio, era difficile, impossibile, trattare con lui: aveva sempre ragione, e purtroppo nessuno aveva mai potuto contraddirlo, non avendo, d’altronde, mai sbagliato. Questa forse era la sua condanna. 
Stava per dire qualcosa, ma si accorse subito di una sensazione di terrore causatagli dall’altro. Ecco la tempesta: le pupille più piccole, un ghigno appena accennato. 
“Ci vediamo domani, Shintaro, non tardare.” Si raccomandò alzandosi e pagando per entrambi, rimise l’impermeabile e recuperò la ventiquattrore, simbolo inconfondibile del suo mestiere, per uscire dal bar con un passo lento e pesante… La terra sembrava tremare sotto i suoi i piedi. Quell’aspetto non gli piaceva proprio, lo faceva preoccupare, ma lui non poteva fare nulla e quella era una triste realtà. Finì la sua brioche, cercando di svuotare la mente, mentre il gusto del cioccolato si impossessava delle sue papille gustative. Eccezionale, proprio ciò di cui aveva bisogno. Con un peso in meno sullo stomaco finalmente trovò l’umore per recarsi con calma a lavoro, pronto a sostenere una giornata intensa, piena di appuntamenti, visite e quant’altro, per non contare il nuovo infermiere che l’avrebbe dovuto assistere. I novellini erano difficili da gestire, ma bastava un po’ d’autorità e subito venivano messi in riga. Arrivato in ufficio si preparò: lasciò la borsa ed indossò il camice, afferrando infine la cartella clinica del primo paziente della giornata che il giorno precedente si era preparato. Mentre la sfogliava si fermò a discutere con un’infermiera riguardo un altro paziente. 
Alla fine i brutti pensieri sembrava proprio che l’avessero abbandonato e la solita professionalità si stava presentando agli altri che neanche lontanamente avevano avvertito un cambiamento. 
“Dottor Midorima,…” Lo chiamò un giovane infermiere. Accanto a lui c’era un ragazzo: capelli corvini, occhi azzurri… Troppo familiare. “Takao Kazunari, l’infermiere che l’aiuterà oggi.” Venne presentato. 
Ci fu un veloce scambio di sguardi da parte di entrambi e la sorpresa generale, che per quell’attimo li lasciò spiazzati. 
Non poteva essere vero.
Tu.” Esordì, incredulo.
Proprio io.” Non gli piacque affatto quel sorriso beffardo. Ora sì, che era un vero problema. 





Angolo dell'autrice:
Salve a tutti!
A causa di una distorsione al polso, ora guarita, ho deciso di rimandare la pubblicazione del capitolo, quindi mi scuso per quelle persone che seppur nel buio mi seguono e per le recensitrici che continuano a farmi sapere il loro parere, e vi ringrazio dal profondo del cuore! 
Spero che con questo capitolo sia più chiaro il punto di vista di Midorima e il perché abbia agito a quel modo la sera prima. Temo possa sembrare OOC, o magari non sembrare, ma essere... Abbiate pietà, non è affatto facile in una storia del genere gestire personaggi come Midorima o ad Akashi. 
E su questa figura sarebbe da aprire un enorme parentesi iniziando dal mio conflitto amodio per questo personaggio, molto più azzaccato per Tokyo Ghoul che per Kuroko no basket. Probabilmente non l'ho reso al massimo, almeno in questa sua prima apparizione, sembra solo un pazzo sadico, ma ci tenevo a riportare più l'impressione che Midorima ha di lui che è un po' quella del manga: riconosce il problema non interviene in prima persona per risolverlo, anzi tiene le distanze. La scelta del ruolo di ispettore/colomba direi che non ha bisogno di spiegazioni, solo per chi magari non conosce l'opera: gli ispettori sono gli agenti che si occuopano di catturare e uccidere i ghoul rubando loro le kagune per poterci costruire delle armi a prova di ghoul (notare bene che i ghoul non possono essere feriti da armi normali, come un coltello) e sono riconoscibili per un impermeabile beige e una valigetta in metallo ventiquattrore.
Spero che fino ad adesso intrighi il susseguirsi delle vicende seppur parecchio lento, ma prometto che la situazione evolverà presto. 
Grazie ancora a chi mi segue chi inizierà a farlo!
Here we Go!


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Capitolo 4
*** Sogno ***


Capitolo 4
Sogno
 
 
A lui piaceva la curiosità degli umani. Era una sensazione grandiosa, un’emozione che spingeva le persone a compiere grandi scoperte. A volte, sì, era nociva, non lo metteva in dubbio, ma per lui non era che un’altra qualità d’ammirare a quelle creature insopportabili; aggettivo, però, non casuale, dato il contesto in cui si era ritrovato ad analizzare data qualità. Per quale motivo si spingeva a definire gli umani insopportabili? Perché la maggior parte di loro, colpita dalla curiosità, tendeva a concentrarsi su un unico obiettivo e quando trovava il mezzo per ottenerlo diventava morbosa. Il suo esempio era proprio di fronte a sé: prima lo fissava attraverso le spesse lenti degli occhiali da vista, assottigliando lo sguardo, poi annotava ogni suo minimo e singolo cambiamento sul block notes, da cui ormai non si separava mai. Durante la pausa caffè, durante il pranzo, durante le visite dei pazienti, era arrivato persino a farglielo spudoratamente di fronte, scriveva ed annotava, correggeva e appuntava.
Era arrivato al limite, ma dopo tre giorni di lavoro, che non gli venissero a dire che fosse impaziente!
Riuniti tutti nella sala da pranzo, si stiracchiò un attimo la schiena, facendo uno sbadiglio… Di nuovo.
La sua mano si posò sulle pagine giallognole del taccuino.
“Se vuoi farmi innervosire questo è il modo giusto.” Gli disse senza peli sulla lingua. “Non ti ho fatto problemi a lavorare con me, mi sono anche presentato, ora che ne dici di un po’ di sano gioco di squadra e la smetti con questi appunti.” Tirò fuori tutto il suo charme e la sua calma, sorridendo persino al dottore con cui non era iniziata benissimo una relazione.
Per un momento lo guardò, sottraendo alla sua presa il quaderno che avvicinò al suo petto. Respirò affondo come se dovesse prendere un attimo di tempo prima di rispondere.
“Non che mi interessi particolarmente il gioco di squadra, posso benissimo lavorare da solo, approfittando dei tempi morti per portare avanti una ricerca privata.” Spiegò la situazione a quel modo, convincendolo ben poco; quell’aria seria e distaccata non gli piaceva affatto.
“Capisco.” Sospirò accarezzandosi la nuca, volendo assolutamente trovare una soluzione, quando ebbe un’idea.
“Che ne dici di fare questo patto: io ti lascio esaminarmi da vicino e tu non prendi più appunti facendoti passare per uno strano più di quanto già tu non lo sia.” Fu quella la sua proposta che espose con un sorriso sguaiato, poco formale e riverente.
Midorima ci  pensò un attimo, stranamente allettato da quella condizione, Takao glielo leggeva negli occhi.
“D’accordo.” Come prova mise persino il block notes in tasca.
“Dopo pranzo nella stanza 110.” Diede l’appuntamento al dottore, mettendosi poi in fila per ritirare il suo pranzo e andare dagli altri, continuando a legare con i nuovi colleghi.
 
Regola numero 1: Familiarizzare con gli umani
 
“Di che si parla?” Chiese.
“Delle solite cose, come la nuova dottoressa, l’hai vista? Quella che sta seguendo il caso di un bambino leucemico, che spettacolo di donna.” Disse un compagno informandolo delle chiacchiere da tavolo, addentando un panino.
 
Regola numero 2: Mangiare come gli umani
 
Aprì anche lui il suo sandwich al tonno e pomodoro, dandogli il primo morso.
“Che peccato, non l’ho vista.” Mandò giù quasi un boccone intero, per poi ridacchiare con gli altri.
 
Regola numero 3: …
 
“Sempre a parlare di cose frivole voi altri!” Esordì uno, stanco di quei discorsi. Si fece più vicino agli altri, chinato sul tavolo. “Non avete sentito? Ne hanno ucciso un altro!”
 
…Pensa come gli umani
 
“Per fortuna.” Intervenne con un sorriso appena accennato. “Finalmente questi schifosi ghoul iniziano a diminuire.” E mandò giù non un boccone, ma un conato di vomito… Quanto avrebbe desiderato ucciderli tutti. 
 
 
“Non la facevo così audace, signor dottore.”
“Audace?”
“Prendermi per il polso, sbattermi in una stanza e bloccarmi alla porta, non è per caso audacia?... O forse stupidità.” 
“Non ti ho preso per nessun polso, l’appuntamento era in questa stanza..”
“E allora perché mi stai bloccando?” 
“Per evitare che tu possa attaccarmi, ovviamente.”
“Ah... Quindi è proprio stupidità.” Ridacchiò, e quella risata riecheggiò nella stanza. 
La risposta fu uno sbuffo di stizza; lo lasciò andare. 
“Mi stai dicendo che mi divorerai?”
“Se ti ritrovo questa sera a vagabondare non prometto niente sulla tua incolumità.”
“Perché mi hai risparmiato?” 
“Sei solito fare due pasti, uno di seguito all'altro?” Gli chiese scostandosi leggermente dalla porta per avere più spazio. 
Finalmente si parlavano faccia a faccia in privato, come destino voleva eccoli insieme, lui e quello strambo umano che aveva incontrato quella notte. Una vera tragedia a ripensarci, sarebbe stato salvo fino a che Miyaji non ne sarebbe venuto a conoscenza. 
“E con questo che intendi?” 
Era sicuramente un po’ stupido, in gamba come dottore, ma mancava di intuizione. 
“Probabilmente non sarebbe dispiaciuto a nessuno se avessi banchettato con te.” Commentò, ignorando la domanda, con un sorrisetto che aveva l'unico scopo di irritarlo e stuzzicarlo, un degno passatempo.
In tutta la sua vita aveva potuto notare quanto gli umani, rispetto ai ghoul, fossero più permalosi, più altezzosi, presuntuosi, qualità che rare volte lui si poteva permettere con i suoi simili, soprattutto se voleva tornare a casa la sera. C’era però da considerare che di quell’uomo non si poteva pensare seguendo delle categorie standard di persone, che molto aveva studiato. Era diverso dalla norma e l’aveva capito bene.   
Uno sbuffo di stizza lo distolse dai suoi pensieri.
Midorima aveva iniziato a muoversi verso il letto di quella stanza, battendo poi su questo richiamando la sua attenzione.
“Siediti.” Si era rilassato. Aveva capito che il fine dell’appuntamento era quello stabilito, non l’avrebbe improvvisamente divorato (per quanto fosse ancora troppo presto per dirlo). L’aver capito che la sua vita era salva l’aveva messo in una posizione più tranquilla, stato d’animo che lui invece non aveva ancora raggiunto. Voleva veramente solo studiarlo? Era errato pensare che i ghoul non temessero gli umani che non fossero ispettori, rimanevano diversi, esseri totalmente lontani da loro, una specie che poteva permettersi il lusso di definire la loro natura mostruosa.
“Non vorrei sembrare inopportuno, ma posso chiedere il perché?”
“Non voglio farti del male.” Una risposta che sembrava data per accontentare e celare i veri intenti.
“Ma non mi dire.” Sospirò, ribattendo sarcastico. Alla fine quel modo di fare l’aveva piegato a fidarsi, d’altronde si era cacciato lui in quella situazione.  
Si andò a sedere sul letto, lo sguardo non si divideva dai suoi movimenti sempre più sospetti: sistemava con cura le tende che aveva chiuso; non voleva essere visto.
“È vero che potete nutrirvi solo di carne umana?”
Alzò un sopracciglio: “Sì.”
“E che potete sopravvivere per circa un mese con un unico pasto?”
“Dipende.” A quella sua risposta più tranquilla, accompagnata da una risata lieve, sembrò allarmarsi e gli lanciò un’occhiata che pretendeva una risposta. “Sì, ma dipende quanto si ha mangiato prima, se si ha o meno fame… Quando hai fame cosa fai?”
“Cosa c’entra?”
“Apri il frigo e ti prendi qualcosa da mangiare.” Si rispose da solo, accompagnando con un gesto della mano e uno sguardo diretto il suo discorso.  “Noi usciamo fuori  casa e attiriamo la vittima in un vicolo.” Disse con un ghigno per spaventarlo, riuscendoci perfettamente notando come le spalle sussultarono.
“Ma questo solo per i maniaci incoscienti, tra l’altro megalomani, che si sentono più forti quando uccidono spesso.” Concluse per rassicurarlo, ma non sembrò riuscire nell’intento.
Era veramente strano e mai avrebbe smesso di pensarlo.
Oltre quell’espressione seria non sembrava penetrare niente, era ghiaccio, un muro ben più alto di quei due metri d’altezza, in grado di ricoprirlo completamente: niente entrava, niente usciva. La prima impressione che dava era proprio questa, eppure… C’era sicuramente qualcosa di più dietro, qualcosa che si ostinava a nascondere.
Quindi non solo i ghoul indossano spesso e volentieri delle maschere, eh- sorrise a quel suo stesso pensiero, non smettendo di osservare l’altro. Lo attraeva a modo suo, per questo ancora non l’aveva contrastato, sperava solo che non lo deludesse.
“Finito con le domande?”
Era diventato improvvisamente taciturno, pensieroso, quasi avesse un numero limitato di domande. Poi alzò di nuovo il suo sguardo su di lui, lo travolse con quegli occhi verdi che la sera prima non erano stati tanto luminosi come in quel momento. Avrebbe potuto raccontare di aver visto il più bello sguardo umano nella sua vita.
“Ci sarebbe una richiesta.” Ammise, facendo un’altra pausa. “Ma prima vorrei la certezza che mantenessi il segreto.”
Interessante.
“Tu sai che sono un ghoul, mi sembra equo avere un segreto per un segreto, no? E poi questa sarà la tua unica occasione.” 
Il dottore annuì soltanto, avendo ottenuto conferma che la pensassero allo stesso modo. “Mostrami la tua kagune.” Una richiesta secca, diretta, avrebbe detto anche presuntuosa, pretendendo nient’altro che un sì. Lo lasciò completamente spiazzato.
“La mia…” Mormorò, per poi ridacchiare nuovamente. “Okay, okay, mi sembra così assurdo, ma perché dirti di no, abbiamo un patto.” E annuì.
Quando le palpebre si alzarono ecco mostrati gli occhi neri che quella notte si erano mischiati con l’oscurità, ora sembravano risaltare nella penombra e l’iride rossa sembrava avere una vita propria, quasi Takao e Takao ghoul fossero due entità distinte. Era affamato.
Dalla schiena le ali squarciarono lo spazio, rubandolo e diventando la maggior attrazione della stanza. Poteva nuovamente ammirare la meraviglia del dottore che lo stesso gli aveva mostrato durante il primo incontro.
“Soddisfatto?” Ma non ricevette risposta. Midorima si avvicinò a lui, gli girò intorno, il suo essere serio veniva tradito dal tremolio che notava negli occhi, brillavano. Scomparve dietro la sua schiena, lasciando la sua visuale vuota. Respirò piano, socchiudendo di nuovo gli occhi, sperando con tutto se stesso che Midorima non si rivelasse altro dal dottore che era… Una carezza all’altezza dell’attaccatura. Trattenne il fiato, mordendosi con forza le labbra.
“Ehi, non toccare…” Mormorò a mezza voce, con un sorrisetto, mascherando quella sensazione mista a piacere e solletico.
Ma imperterrito continuò, la mano risaliva fino alla punta dell’ala, scendendo poi… Non si stava creando assolutamente problemi ad esaminarlo, avrebbe giurato di sentire persino il suo respiro tanto era chino su di lui.
Si protese in avanti, come in preda ad uno spasmo, trattenendosi rigido e costringendo il suo corpo a non muoversi troppo; meglio non fargli scoprire un possibile punto debole. Girò la testa, cercandolo con lo sguardo, ma niente, neanche un ciuffo di quei capelli verdi.
Il dottore sembrava così assorto dalla sua arma, dalla sua grandezza e lucentezza, che continuava a toccarlo dimenticando cosa effettivamente accarezzasse e a chi appartenesse… Fino a quando Takao non scoppiò a ridere piegandosi totalmente in avanti per rotolare di lato e cadere a terra.
Inutile dire del chiasso che quella reazione provocò!
Midorima sembrava scosso e non sapeva bene cosa fosse accaduto, Takao si sentiva il suo sguardo attonito addosso.
“È abbastanza, non ce la faccio più!” Continuò a ridere, stringendosi con le braccia il ventre, mentre scalciava. Ci mise un po’ a calmarsi e quando finalmente si fermò, ansimando soltanto, un sospiro del dottore spezzò il momento.
“E dovresti essere un ricercato?” Takao sorrise avvertendo del cinismo in quelle parole.
“Teoricamente.” Ammise con un mezzo sorriso, rialzandosi un po’ a fatica. Barcollò, ritirando la kagune che ormai aveva fatto il suo lavoro. “Allora?”
“Cosa?”
“Ti piace.” Non era neanche una domanda, una secca affermazione. Lo puntava con il suo sguardo freddo che stonava parecchio con la personalità.
“Mi interessa.” Puntualizzò l’altro come se fosse un discorso d’onore, ricambiando lo sguardo… Per poi abbassarlo, imbarazzato, mentre si sistemava gli occhiali. Takao non poté far a meno di sorridere, non poteva trattenersi di fronte a lui.
“Oh, capisco, quindi è soltanto ricerca… Immagino.” Lo stuzzicava apertamente e Midorima abboccava puntualmente rendendolo il più contento al mondo.
“Esattamente.” Una risposta prevedibile.
“Per cui non vuoi più curiosare.” Precisò, ma sembrò destabilizzarlo un attimo. “… Oppure sì? Sai, basta chiedere, non mi tirerò indietro.” Si propose.
Finalmente un netto taglio alla sua routine, qualcosa di veramente sconvolgente, innaturale, tanto diverso e vicino a lui da scuoterlo dal profondo. “Accetti?” Sembrava parlare da solo; un dejà vu.
“Non serve.” Disse in fretta Midorimq, pronto a scappare verso alla porta e lasciarlo solo con quel caos nella stanza.
“Sicuro?”
“Sicuro.”
“Bene, quindi da adesso abbiamo finito.”
“Aspetta!...”
“Sì?”
Ci fu un momento di esitazione, lo sguardo solo per lui; si accorse quanto rappresentasse meglio l’anima e i pensieri di Midorima, rispetto le gestualità o l’espressioni che sembravano per lo più inesistenti.
“Vorrei nuovamente poterti studiare, più dettagliatamente.” Le ho dato solo un’occhiatina- questo credeva pensasse.
Accordò annuendo, non volendo altro; con un scatto gli fu addosso (seppur l’altezza non permettesse).
“Allora dammi il tuo numero di cellulare.”
“E perché mai?” Esordì, neanche l’avesse toccato senza chiedere. Gli sfuggì una risata.
“Non credi sarà più facile?” E di fatti non aveva torto, anche se per un attimo Midorima ci pensò. Tirò fuori il telefono, pronto a scambiarsi i numeri, quando questo iniziò a suonare. Fu un momento particolare, o almeno Takao lo identificò come tale: vide sul volto di Midorima un’espressione mista fra sorpresa e terrore come se chi lo stesse chiamando lo facesse rare volte e solo se strettamente necessario. Gli diede le spalle per rispondere in fretta; non voleva lo sentisse.
Ma quale momento migliore per infastidirlo?
Si avvicinò di soppiatto per poi lasciarsi andare contro la sua schiena, saltando per appendersi alle sue spalle.
Ampie- notò guardando poi la nuca appena coperta dalle punte dei capelli. Ghignò. La baciò, ma non era un gesto romantico, non se si conosceva la natura dell’assalitore. Midorima sentì un brivido, si mosse tutto e la voce si fece appena tremula.
“Tutto bene, Shintaro?” Questo disse chi era al telefono con un tono agghiacciante, avrebbe detto.
“Sì, ti sto ascoltando.” Rispose in fretta tentando di mostrarsi lo stesso di sempre.
“Quindi domani vorrei mi facessi questo favore, se non ti è di disturbo.” Chiese; favore che lui purtroppo non aveva potuto ascoltare… Peccato.
“Nessun disturbo, domani non inizio presto.”
“Lo so, per questo te l’ho chiesto.” Interessante, quindi questo tipo sembrava proprio conoscere bene il dottore.
Di contro Midorima sorrise e sospirò, come se aveva previsto quello scambio di battute. “Ora devo andare, mi aspetta un paziente.”
“Bene, allora a domani.” E attaccò.
Per un momento aveva avvertito un’atmosfera particolare, come un momento di completa sintonia fra i due: non servivano parole, bastavano espressioni che non potevano vedere, ma percepire; prima di quell’improvviso stacco.
“Hai amicizie particolari.”
“Si può sapere cosa volevi fare?!” Esordì d’un tratto spazientito, ma soprattutto imbarazzato.
“Uh, ci imbarazziamo, eh dottore? Anzi, anzi… Come ti ha chiamato?”
“Finiscila, era una conversazione privata.” Disse ancora con un tono più pacato, ma non meno irritato.
“Ah, sì: Shintaro.”
“E con questo?”
“Shin-chan, ovviamente.” Ed eccolo di nuovo arrossire.
“Come scusa?”
“Siamo abbastanza in intimità, tanto da porteci chiamare con nomignoli, no? Dai, ti dona particolarmente.”
“Assolutamente no, mi rifiuto.”
“Shin-chan.”
“Voi ghoul siete tutti così, per caso? Siete insopportabili.”
“Shin-chan.”
“Cosa credi di ottenere con quest’atteggiamento? È poco professionale.”
“Shin-chan.”
E si zittì. Ad ogni nome pronunciato, si era gradualmente avvicinato a lui, e dato che lontani non lo erano di partenza, era arrivato di fronte al suo volto… Finalmente poteva veramente ammirare quelle iridi che tanto lo affascinavano. Sorrise dopo quell’attimo di silenzio.
“Direi di tornare a lavorare, Shin-chan.” Sussurrò infine con lo stesso tono con cui amava dichiarare alle vittime la sua natura, l’attimo prima di cibarsene.
Alla fine quella enorme parentesi si concluse con la porta chiusa alle sue spalle e il lavoro che riprese pochi minuti dopo, come se nulla fosse accaduto.
 

“Quindi quale sarebbe il piano?, bloccare le altre organizzazioni? Non mi sembra una scelta saggia.” Ci tenne a puntualizzare, sedendosi sulla poltrona solcata e vecchia, che lo riempì solo di polvere non appena prese posto.
“Non c’è un vero piano.” Disse con la sua voce autoritaria, guardandolo dritto negli occhi, sfidandolo. Chi era di fronte a lui in tutta la sua autorità era il capo dell’organizzazione di ghoul di cui faceva parte: Nijimura Shuzo.
Per quanto, apparentemente, non sarebbe sembrato imponente, il carattere di Nijimura bastava e avanzava a far pentire chiunque lo sottovalutasse. A che fine aveva creato quel gruppo, composto in realtà da pochi ghoul? Per un intento che non molti sembravano conoscere: la pace. Puntavano ad avere dei diritti, pari a quelli degli umani, ad essere riconosciuti come persone e non mostri, non credendo la guerra il miglior modo per ottenere questo obiettivo. In realtà, nel contesto in cui si ritrovavano, il loro gruppo non faceva più che da cornice dell’intera, drammatica, situazione. Il loro contributo era come supporto o freno a seconda delle questioni, ma purtroppo in quel caso c’erano dei problemi: organizzazioni di ghoul ben più potenti stavano finalmente facendo le loro mosse e loro erano veramente pochi e deboli, in confronto, per poter farsi avanti, non avendo neanche l’appoggio di nessuno.
“Io direi d’aspettare.” A quella voce ebbe un sussulto.
“Kuroko-kun, immagino tu sia arrivato prima di me, vero?” Ridacchiò nervoso voltandosi verso l’amico che sedeva poco lontano da lui; era arrivato da poco, ma avrebbe giurato di non averlo visto; quel ragazzo dalla capigliatura azzurra altro che ghoul, era un fantasma.
“Purtroppo non conviene aspettare.”
“Come agire.” Intervenne una quarta voce… Un ghoul con cui non condivideva nient’altro che lo stesso gruppo, neanche sapeva il suo nome.
“Allora dovremmo stare seduti a guardarci negli occhi?” Ecco intervenire Tatsuya Himuro, amico del boss, altro con cui aveva legato ben poco.
Nijimura si era ritirato in un silenzio di riflessione, non li stava ascoltando.
“Potremmo sentire gli altri gruppi, no? Magari unendoci…”
“E a chi rivolgersi?!” Esordì, sovrapponendo la sua voce a quella di Takao, il ghoul incognito. “A Haizaki e la sua banda di delinquenti?”
Gli scappò una risata, mentre scuoteva il capo. In momenti come quelli la presenza di Miyaji poteva essere utile, metteva sempre a tacere i più agitati.
“Non c’è solo lui.”
“Takao-kun ha ragione.” Intervenne Kuroko, che gli diede l’idea di aver parlato più per ricordare la sua presenza che per altro. “Potremmo rivolgerci a…”
“Lei no.” Questa volta fu Nijimura a parlare. “Per oggi sciolgo l’assemblea, ho bisogno di pensare.”
“E io che ero appena arrivato.” Sospirò Takao, alzandosi e stringendosi fra le spalle. “Allora tanti saluti.” E fece per andarsene, ma una mano lo fermò sulla spalla.
“Stai attento Takao, troppi hanno gli occhi puntati su di te.” Gli sussurrò il capo, lasciandolo poi andare.
“Non preoccuparti, me la sono sempre cavata.” Gli rispose, sfuggendogli.
Uscito fuori da quello che era uno scantinato, alzò la testa al cielo, guardando le stelle… Gli piaceva la notte, quasi più del giorno. Era più calma, buia, li nascondeva bene, gli era amica come nessun altro su quella terra.
Alzò al cielo la mano. Un giorno sarebbe stato una stella, in grado di brillare anche sul cielo scuro, si sarebbe mostrato al mondo per quello che era e non un altro.
Ma, alla fine, non era che un sogno. Il sogno di un mostro.
 
 
 Angolo dell'autrice:
Salve a tutti, cari lettori, volevo scusarmi con voi per aver lasciato non aggiornata per molto la fan fiction, ma si sa che i capitoli più difficile sono quelli intermediari... Ma alla fine ce l'ho fatta e in lunghezza mi sono superata rispetto agli altri capitoli. 
Sono molte cose da mettere in un singolo capitolo, ma per bilanciare gli eventi ho preferito sistemarla a questo modo. 
Sulle organizzazioni non spenderei molte parole perché si aprono divergenti avvenimenti tra manga e anime che io vorrei evitare di toccare nello specifico, trasformando così la storia in un vero Crossover, alla fine. 
Che dire? Mi sta gettando in serio conflitto la caretterizzazione di Midorima e Takao che spero non siano OOC.
 Sono cosciente che non siano pienamente IC, ma dalle sfumature comportamentali che ho dato soprattutto a Takao, purtroppo, per un fatto di coerenza, credo che meglio di così non posso fare per far incontrare la mia visione AU con l'IC. Spero comunque che vi abbia soddisfatto e che la storia stia iniziando a prendervi.
Grazie a tutti per le recensioni e per aver anche solo letto, veramente! 

Here we Go! 

 

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Capitolo 5
*** Errore ***


CAPITOLO 5
Errore

 
Teneva stretto a sé il bicchiere spesso di carta fumante, mentre nascondeva metà volto in una sciarpa di lana che un suo amico gli aveva confezionato. Ormai l’autunno era passato e quello che era solo un vento freddo era diventato un clima gelido. Si guardava attorno con il solito fare sospetto, esaminando quella folla che ordinata procedeva in una stessa direzione. Si sentiva veramente stanco, non appena la sera prima aveva messo piede in casa tutto quello che era accaduto durante la giornata si era abbattuto sulle sue spalle, in un unico colpo. Persino lui non sapeva perché si fosse tanto scoperto con quel ghoul. Forse si era lasciato trascinare da quell’atteggiamento impertinente che l’aveva fatto esasperare, o forse aveva agito incoscientemente per paura non sapendo se volesse ancora mangiarlo, o forse per entrambe le ipotesi.
Sospirò, massaggiandosi una tempia con la mano libera; da quando il destino aveva deciso di farlo agire senza pensare? Gli sarebbe piaciuto essere stato coinvolto in una tale decisione, così che avrebbe smesso di porsi tante domande.
Alzò lo sguardo sull’imponente grattacielo che si mostrava di fronte a sé, con la facciata in vetro: la CCG. L’edificio che racchiudeva una parte degli ispettori che lavoravano in quel distretto.
Commission of Counter Ghoul.” Mormorò il significato di quella sigla, in rilievo sull’edificio, prima di entrare.
La hall era enorme, luminosa e bianca, chi l’avrebbe mai detto che assassini riempivano quegli uffici… Ma si morse subito il labbro, rimproverandosi di quel pensiero mentre si avvicinava alla reception. 
“Dovrei lasciare questo ad Akashi Seijuro.” Disse professionale guardando negli occhi la donna ben vestita che con un sorriso costretto rispose: “Motivo?”
“Consegna.” E mostrò il caffè. La donna fece una smorfia contrariata, rendendo evidente il desiderio di voler rifiutare quella richiesta, ma lo lasciò passare avendo ben presente chi fosse l’ispettore.
“Oh, Midorimacchi!” Esordì una voce squillante, iniziando ad agitare la mano con energia per spiccare fra quei pochi che occupavano il corridoio, quasi l’altezza e i capelli di un biondo acceso non bastassero.
“Sei venuto a portare il caffè a Akashicchi?” Gli era venuto incontro.
“Sì, puoi portarglielo tu dato che sei qui.”
“No, no, voleva vederti.” Disse, facendogli intuire che non fosse altro che il comitato di benvenuto.
Si lasciò accompagnare, ascoltando vagamente i discorsi dell’altro che variavano da: Akashi di buon umore, commenti su dei colleghi appena salutati; lo mise persino al corrente dei suoi recenti successi nel campo lavorativo. Kise Ryouta, braccio destro di Akashi nella caccia ai ghoul: un assistente che imparava in fretta, così l’aveva definito l’amico, e non era il solo… Ce ne era anche un altro che Akashi si teneva ben stretto.
“Uh, Kurokocchi non è qui…” Mormorò l’altro notando la sedia vuota, lanciando un’occhiata intorno a sé per controllare che di fatto non ci fosse; aveva la brutta abitudine di passare inosservato. Si mosse fra le scrivanie, arrivando ad Akashi. Come al solito non si girò: dargli attenzione non era un suo problema.
“Il caffè.” Disse solo prima che l’altro lo considerasse.
“Grazie.” Sorrise, grato, lanciando uno sguardo a Kise. “A breve usciamo.” Lo avvisò e subito il ragazzo scattò per andare a recuperare la valigetta.
Midorima osservò la scena, concentrando il suo campo visivo sui movimenti frenetici di Kise: l’amico non si tradiva mai, aveva un’autorità invidiabile e in certe situazioni sarebbe servita anche a lui, soprattutto per il periodo che stava vivendo. Lo sguardo tornò poi ad Akashi che lo stava esaminando. Si sentì gelare, come se quegli occhi lo minacciassero.
“Sei un po’ pallido.” Disse poi, come se non fosse sua la causa.
“Penso sia colpa del freddo, io sto bene.”
Ma entrambi sapevano quanto quella fosse una bugia.
“Credo di aver fatto quel che dovevo.”
“Non proprio tutto, credo.”
Si guardarono come facevano di solito: l’uno contro l’altro, parole che non potevano essere pronunciate.
“Buongiorno, Midorim-“
“Arrivederci.” Esordì invece lui, sovrapponendo la sua voce a quella dell’appena arrivato, girandosi per uscire con un passo preciso ed elegante, non dando risposta a quel tutto che Akashi aveva sottolineato nella frase.
“Cosa gli è successo?” Chiese.
Akashi alzò lo sguardo verso quelle iridi azzurre.
“A lavoro, Tetsuya.”
 
La sensazione d’angoscia che provava in quel momento era indescrivibile, la paura di essere scoperto come un traditore lo spaventava.
Era sempre stata una persona che stava sulle sue, tranquillo, mai si andava a incastrare in assurde situazioni… Per questo ora era totalmente disorientato. Comportarsi con naturalezza era difficile, se non impossibile, per quanto stesse tentando in tutti i modi di sfuggire ai suoi pensieri, a quegli altri che si erano intensificati. Era stato un errore avvicinarsi tanto a lui, un errore pensare di spezzare la propria routine. Un errore tutto.
Sospirò mentre si massaggiava le tempie (oramai era diventato un tic), tentando di sfuggire agli occhi di Akashi. Gli era entrato dentro come un proiettile che si rimarginava in una ferita: “Io so la verità.” questo era l’eco che gli aveva lasciato nella mente, penetrando fin dentro le ossa. Voleva uscisse dai suoi pensieri, che lo abbandonasse, ma non sarebbe cambiato molto: fuggire mentre veniva tenuto al guinzaglio; come poteva cambiare? 
D’un tratto due colpi, forti, lo fecero trasalire. Si voltò in fretta con il busto.
Dietro una vetrina che affacciava all’interno di una caffetteria stile occidentale… C’era lui.
“Takao.” Disse a denti stretti, fremendo nervoso.
L’aveva terrorizzato per cosa? Salutarlo!
No, ora faceva gesti con le mani. Aguzzò la vista indicandosi sorpreso: voleva entrasse? Proprio lui?
Takao annuì, indicando il posto vuoto di fronte a sé.
Ma quale fortuna- pensò, ricordando le parole di Oha-asa: “incontri inaspettati” e credere che Kuroko fosse stato il suo incontro si era rivelato un errore… L’ennesimo.
Alla fine, arrendevole, cedette ed entrò.
Aveva sentito che l’unico elemento non rifiutato dal corpo dei ghoul, oltre l’acqua, era il caffè, bevanda per loro essenziale per placare la fame e arrivare tranquillamente all’ora di cena, il momento più buio e tetro della giornata di un umano. Il fatto che Takao si trovasse in quel posto era forse una specie di allarme? Sospettava che fosse l’unico uomo in quella sala.
Alla sua entrata il tintinnio delle campanelle fece volgere tutta l’attenzione dei presenti su di lui; troppi occhi puntati, lo facevano agitare.
“Shin-chan, qui!” Esultò, procurando, dopo gli sguardi, un gran brusio.
Si avvicinò a Takao, fingendo di non accorgersene.
“Ti ho già chiesto di non…”
“…Chiamarti così, lo so, ma cosa importa?” Ridacchiò, poggiando il mento sulle nocche. “Allora, incontrato il tuo amichetto?”
Sembrava intendere altro con quel vezzeggiativo.
“Non credo ti riguardi.” Non che le sue risposte permettessero altra interpretazione.
“Ero presente durante la chiamata, perché non dovrebbe?”
Era veramente un impertinente. Poteva dire con certezza di non sopportarlo. 
“Gli ho portato un caffè.” Rispose seccato, scuotendo la testa infastidito. 
“Ah, quindi sei quello succube, capisco.” Prese la tazzina, bagnandosi le labbra con la bevanda scura. Rimase ad osservare quel gesto, incantandosi quel secondo di troppo che fece sorridere Takao. “Vuoi anche te un caffé o vorresti essere al posto del caffè.” E ci tenne particolarmente a marcare quell'ultima frecciatina. Sbuffò. 
“La prima." Guardò verso il cameriere, ma ad avvisare dell'ordinazione fu Takao che fece segno di uno con l'indice. 
“Ci vieni spesso?” 
“Ogni mattina.”
Allora il sospetto che tutti, o almeno la maggior parte, fossero ghoul non era errata. Guardò dietro le spalle di Takao e la sua attenzione si soffermò su dei morbidi capelli rosa che ricadevano ordinati sulla schiena di una ragazza. Anche lei beveva caffè, mentre consultava delle schede. Si soffermò per un secondo ad osservare come gli occhi rosa erano concentrati su ciò che consultavano, la gomma della matita finiva tra i denti appena scorgibili dalle labbra, sembravano morbide, proprio come i capelli ed anche il colore era simile… Sarebbe stato romantico e scontato paragonarla ad un fiore di pesco.
“Non osservarla troppo, potresti bruciarti.” Scherzò Takao per catturare nuovamente la sua attenzione. “Te lo si legge negli occhi.”
“Cosa?”
“Vorresti la conferma che qui sono tutti ghoul, non è vero?”
Rimase immobile. Era tanto evidente?
“Non posso rispondere alla tua domanda, suppongo rimarrai con il dubbio.”
Chiunque avrebbe creduto, ad una risposta come quella, che i propri dubbi erano stati confermati, ma il sorrisetto con cui Takao aveva concluso non aveva che mischiato di nuovo le carte.
Un uomo alto, rasato, dal viso gentile, gli portò il caffè.
“Grazie Kimura-san!” Esordì il ragazzo. “Il senpai?”
“Oggi so che è andato fuori… Non saprei nel dettaglio.”
“Fuori? Lui?” Ridacchiò. “Mi sta lasciando indietro, è crudele.”
“Se stai soffrendo tanto ti posso portare un altro caffè.”
“Sei troppo buono, Kimura-san.”
E il cameriere si allontanò per mantenere la parola.
“Non morderti il labbro, Shin-chan, tanto non te lo dico.” Ridacchiò, mentre lo guardava distruggersi il povero labbro inferiore a causa della curiosità.
Per un attimo la sua attenzione tornò alla donna: ora lo osservava, ora gli sorrideva.
“Oggi credo che non lavorerò con te, mi hanno affidato dei turni che non corrispondo ai tuoi.” Sbuffò Takao lamentoso. “E tu che ci tenevi tanto ad osservarmi.”
“Non la metterei proprio così.” Precisò, tornando con l’attenzione a lui, alle sue espressioni eccessive, al suo modo di essere immoderato… Un carattere che non era in grado di gestire. Prese il caffè che iniziò a sorseggiare, rimanendo stupito: era veramente eccezionale.
“Sono un cliente abituale e non lo sono per caso.” Questa volta fu l'altro a precisare con quella risposta alla sua espressione.
 In quel momento la donna si alzò. I capelli rosa seguirono i suoi movimenti eleganti: il posare i soldi sul tavolo, prendere la borsa e voltarsi, passare vicino al loro tavolo e... Fermarsi.
“Momoi.” Fu Takao il primo a parlare, fermandola prima che potesse farsi avanti.
“Takao.” Disse con un cenno. “Nessuna novità?” Il tono era allegro, non sembrava di certo una persona con cattive intenzioni.
“Non dovresti porre a me questa domanda, lo sai che sono un tipo che bazzica.”
Ci fu silenzio, tensione, e lui si sentiva completamente tirato fuori; ma subito vene accontentato.
“Tuo amico?”
“Più o meno.” Sbuffò, non sembrava contento che gli avesse dato attenzioni. “Midorima, Momoi Satsuki.”
“Segretaria.” Specificò il suo lavoro, porgendogli la mano che strinse.
“Dottore.”
“Molto piacere.” Non credeva possibile che si fosse veramente creata un’atmosfera pesante con quella persona.
“Stavi andando via?” Le chiese Takao.
“Sì.” Sorrise. “Ma avendo incontrato degli amici perché non rimanere un altro po’?”
“Midorima deve andare via, vero?” E lo guardò come a fulminarlo.
“Io… A breve ricomincia il mio turno.” Cedette a Takao, preferì fidarsi di quell’occhiata e portarsi ogni dubbio dentro di sé, continuando a tormentarsi come ormai aveva iniziato a fare da giorni, alla fine si stava abituando.
Quindi si alzò, prese i suoi effetti e si congedò in fretta, non potendo sentire Takao sbuffare: “Non ha pagato…”
Accelerò il passo, neanche dovesse allontanarsi da chissà quale minaccia, in direzione dell'ospedale con un senso di paura nel cuore: perché l’aveva fatto andar via in maniera tanto brusca? 
Era sempre più confuso, troppo. Doveva staccarsi da quel mondo, presto. 
 
Scoprì quella stessa sera quanto il lavoro fosse l’unico momento normale della sua vita, l’istante di estraniazione dalla realtà. Era paradossale, senza alcun dubbio, ma fintanto che con la mente non pensava ai ghoul, ai loro danni e ai danni degli ispettori, tutto trascorreva tranquillo.  
Si lasciò andare sul divano con ancora tutto addosso eccetto le scarpe, ma di mettere le pantofole non ne aveva avuto la forza. L’aria nell’appartamento non era tanto differente da quella esterna: secca e fredda. Sbottonò i primi due bottoni della giacca, chiudendo gli occhi e respirando piano. Pace, relax, silenzio.
Non c’erano ghoul, sorrisi ambigui, strane situazioni.
Non c’erano ispettori dagli sguardi penetranti, lingua pungente, modi di fare esibizionistici.
C’era lui, il divano e la notte, quella buona, consolatrice… Tutto poteva finalmente scivolare via dal suo corpo come acqua.
Doveva farlo più spesso: sedersi e abbandonarsi al morbido. Chiuse gli occhi entrando maggiormente in quella trance di totale libertà spirituale. Dopo tanto se la meritava veramente, sentiva che quel momento voleva ripagarlo di quei giorni, di quelle specie di torture psicologiche subite dal… Campanello. Qualcuno aveva appena suonato il maledettissimo campanello.
Ignorò, doveva farlo. Magari non era stato che un sogno… Ma quando il trillo divenne bussare, e persino con forza, capì che non era proprio un'illusione.
“Arrivo!” Esclamò infastidito come mai lo era stato, alzandosi con uno scatto per mutare il solito passo elegante in uno pesante.
Non poteva essere vero, chi a quell’ora era tanto folle da suonargli? Il vicino che voleva delle verdure? La vecchietta del piano di sotto che aveva sempre paura di leggere male le indicazioni dei medicinali?
“È tardi e ammetto che non abbia particolare voglia di ricevere visitatori.” Esordì aprendo la porta, per poi congelarsi.
“Oh no…”
Oh sì.” Takao rise, rimanendo a guardarlo con un fare suadente. “Allora… Non mi fai entrare?”
 
 
 
 
Angolo autrice:
PERDONATE IL RITARDO! Ma tra scuola e altri contest su questo fandom mi hanno un po’ allontanato dal capitolo… Eppure eccolo! No, non ho intenzione di abbandonare questa fan fiction e sì, ci metterò comunque tanto ad aggiornare, ma vi supplico continuate a seguirmi *^*/ ci tengo veramente a sapere cosa ne pensate e veder crescere il numero di “seguite” “ricordate” “preferite” mi riempie di gioia! Ci tengo sinceramente a questo progetto e desidero che venga portato al termine!
Parliamo del capitolo: ho riempito di nuove comparse… Mi rendo conto che Momoi vi sembrerà un po’ OOC, ma abbiate pazienza e fiducia, avrò modo di descriverla per bene. Ad essere sincera mi è difficile scrivere la parte di Midorima perché è quello dalla vita monotona, ma alla fine i suoi capitoli sono sempre quelli più agitati x’D povero caro…
Comunque non credo abbia molto da chiarire °^° nel caso: recensite anche solo con la questione da risolvere.
Mille grazie a tutti voi che continuate a seguire!

Here we Go!

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Capitolo 6
*** Sangue ***


Capitolo 6
Sangue
 
 
La situazione si poneva fra l'irreale e l'assurdo: quanto un appartamento poteva rispecchiare il padrone di casa? Si chinò in avanti, convinto che cambiando punto di vista avrebbe variato il modo di vedere lo spazio. Casa piccola, composta da quelle stanze indispensabili per vivere, regnata da un ordine maniacale e un profumo leggero di tè che sembrava essersi impregnato nei mobili.
“Non rimanere sull'uscio.” Il tono era palesemente scocciato e lo poté sentire borbottare: “se proprio devi entrare.” Chiuse la porta dietro di sé chinandosi verso la scarpiera. 
“L'ultima fila.” Si raccomandò Midorima che, levata finalmente la giacca, era scomparso in una stanza. 
Takao prese un paio di ciabatte e notò immediatamente che fossero nuove. Non era affatto stupito che con un carattere come quello non ricevesse spesso visite. 
“È carino qui.” Commentò non smettendo di perlustrare il luogo come qualunque buon ghoul avrebbe fatto. Accarezzò un mobiletto al ridosso di una parete, non c'era nulla su questo se non un piatto d'argento e una cornice vuota. La prese in mano. 
“Si può sapere per quale motivo sei qui?” Sbuffò tornando da lui dopo poco. 
“Come mai è vuota?” Sviò come al solito le sue domande girandosi verso di lui per mostrargli l'oggetto. 
“Non ho mai sentito il bisogno di riempirla.” Fu sincero, tanto era stanco che gli mancava la voglia di mentire o evitare ciò che l'altro chiedeva, glielo si poteva leggere negli occhi.
“Sei proprio triste, tu.” Rise rimettendo al suo posto la cornice per spostarsi e andare verso il divano... Due posti, coperto da un telo per non far rovinare la pelle. 
“Insomma, Takao...”
“Certo che è comodo!” Esordì sedendosi. Batté sui cuscini due volte per testarne la morbidezza. Midorima ringhiò basso, stava mettendo a dura prova  la pazienza di quell'uomo. 
“Perché-“
“Non mi offri niente?” Lo guardò e per un attimo non ci fu che quello scambio di sguardi. Non si era mai soffermato, più del necessario, ad ammirare quelle iridi verdi e fredde, intriganti, che poco alla volta assumevano sempre più spessore: c’era dell’altro oltre il freddo vetro posto in difesa.  Stava prendendo coscienza di non considerare più Midorima un umano, ma una persona... Per quanto fosse certo che ancora molto doveva scoprire prima di considerarsi qualcosa come "suo pari". 
“Tè o caffè?”
Takao alzò un sopracciglio.
“Giusto... Caffé.” Ricordò, facendo per voltarsi. Takao però non volle lasciargli il tempo di mandar giù tutta quella situazione che esordì con la risposta alla sua domanda.
“Mi stanno cercando.” 
“Cosa?!”
“Un vero pasticcio.” Sospirò, accarezzandosi la nuca, mentre svagava lo sguardo. 
“E perché staresti proprio qui?”
“Cambiare aria.”
“Ma proprio qui?”
“Ma a me piace la tua aria, Shin-chan.” E un'espressione mista fra lo scocciato e l'imbarazzato si dipinse sul viso del dottore.
“Vado a farti un caffè.” 
“Grazie.” Disse allegro, facendo ondeggiare la testa fino a quando non si allontanò dalla stanza. Un po' gli dispiaceva aver approfittato di lui, ma gli serviva un posto sicuro. Chi più di Midorima, fra le sue conoscenze, dava meno nell'occhio? Aveva fatto la scelta migliore, ne era certo. L'atmosfera di quella sera non gli era piaciuta, era pesante come se fosse esposto ad un qualche pericolo...
Ormai neanche la notte poteva essere un luogo di quiete. 
Tornò all’ambiente nuovo che lo circondava. Quella casa era veramente carina, lo pensava sinceramente, gli bastava voltare lo sguardo su un angolo che sentiva i problemi svanire, la mente svuotarsi, un annullamento. Non l'avrebbe definita accogliente, eppure lo rasserenava.
Non era finta, era vera, era Midorima e come poteva non piacergli?
Sospirò piano coprendosi gli occhi con una mano. Sarebbe stato bello poter dire di avere una casa. Quel monolocale in affitto sotto falso nome che doveva chiamare casa non lo era, nulla per lui era casa e non c'era nulla che potesse farlo sentire accettato... Se non questo posto.
Aprì l'occhio, nero e rosso, la sua natura, nessuno sforzo nel trattenerla, nel nasconderla. 
Midorima aveva un bell'effetto su di lui. 
“Ecco.” Disse il dottore, tornando da lui con due tazze fumanti. Aveva messo l'acqua a bollire quando era entrato, motivo per cui tutto ora era pronto. 
“Non è come quello del bar, ma meglio di niente.” Gli pose davanti il caffè, sedendosi accanto a lui. Aveva un'espressione stanca, tormentata da un fantasma che tutt'ora si ancorava alla sua schiena. 
“Mi accontenterò.” Rispose stringendosi fra le spalle, prendendo la tazza per sorseggiare la bevanda calda... Uno schifo.
“Takao.”
“Si?”
Lo guardò. 
“Se sei ricercato ti conviene veramente tenere quegli occhi tanto in vista?” L'aveva detto con una calma disarmante, tanto da farlo ridere. 
“Non ti piacciono? Sono il mio lato migliore.”
“Lo dico per te.” Gli disse dando un’idea di preoccupazione. “Non voglio trovarmi degli ispettori in casa.”
“Motivazione più che valida.” Cercò di deviare con quell'affermazione l'attenzione da sé, dal suo sguardo stupito, da quel fastidioso imbarazzo che si era fatto avanti. L'aveva veramente preso alla sprovvista: tutto si sarebbe aspettato meno che Midorima si preoccupasse per lui. 
Ci fu un attimo di silenzio in cui entrambi rimasero immobili, prendendo coscienza del momento di disagio in cui si erano messi... Fu poi Takao a riprendere l’attimo. Levò dalle mani di Midorima la tazza, cedendogli la sua di caffé. 
“Ma...!” Non fece in tempo a ribattere che con nonchalance il ghoul si stava gustando il tè come se non gli facesse niente berlo. 
Voltò la testa verso di lui notando tanto stupore. 
“Cosa c'è?”
“Hai...”
“Ovvio, no? Secondo te se non mangiassimo e bevessimo solo caffé non attireremo sospetti?” Sorrise. Ad essere sincero si aspettava che lo sapesse, o per lo meno che ci fosse arrivato, invece…
“Lo so, solo che non credevo fosse necessario di fronte a me.”
“Hai detto tu che vuoi studiarmi o sbaglio?” Aveva colto il momento giusto per scoprire qualcosa di più sulle sue vere intenzione. Si fidava di lui quanto in realtà non si fidava, ma era normale no? Una persona così distaccata come poteva ispirare fiducia?
“Ritengo che il modo migliore per studiare qualcuno sia dai suoi atteggiamenti naturali.” Disse diretto, alzando anche un po’ i toni; poi si sistemò gli occhiali e sbuffò.
Takao si lasciò andare contro il divano, stringendo la tazza in mano, esterrefatto, incredulo. Tutto quello che aveva pensato e imparato in anni di sopravvivenza, ora... Scosse il capo, non era possibile.
“Basta che non ti scaldi troppo Shin-chan.”
“Non mi sto scaldando.” Ecco un altro sbuffo.
“Se ne sei convinto.”
“Sei tu che mi fai irritare.”
“Oh, quindi sei solito dare la colpa agli altri, eh? Voi umani siete tutti così.” Lo guardò, un affronto diretto.
“Io invece spero che i ghoul non siano tutti come te.”
“Ne esistono di peggiori.”
“Ne dubito.”
“Quasi vorrei fartene conoscere qualcuno.” A quella proposta Midorima si tirò indietro con il corpo. Non sembrava affatto allettato dall’iniziativa, anzi se quell’espressione avesse potuto parlare avrebbe di certo detto: “Uno me ne basta e avanza.”
Finì d’un sorso la bevanda calda, poggiando poi la tazza sul tavolino basso di fronte a sé. “Fino a quanto posso restare?”
“Io ti chiederei di andartene ora…”
“Ma?”
Midorima, che si era alzato, gli rivolse lo sguardo capendo che non poteva perderlo per un secondo di vista, lui e quelle espressioni eccessive. “C’è un ma, giusto?”
“Ma puoi rimanere qui, mi sembra di capire che solo questo sia un posto sicuro, no?”
Sorrise, felice. “Siamo un team noi due.”
“Un team?”
“Sì, due partner, ci aiutiamo a vicenda: io sui tuoi studi sui ghoul come cavia e tu come protettore.” Il dottore ci pensò bene a quelle parole, lo si poteva capire dal fatto che lo fissasse. Alla fine, seppur molto rigido e distaccato, alcuni suoi modi di fare mettevano in perfetta luce ciò che gli passasse per la testa.
“Penso che andrò a prenderti le cose per la notte.”
“E questa sarebbe una risposta?”
“Dormirai sul divano, ovviamente.”
“Shin-chan, non ignorarmi.”
“Chissà dove ho messo le coperte…” E mormorando quest’ultima frase scomparve dalla sua vista, lasciandolo nuovamente solo. Trattenne una risata, scompigliandosi i capelli per sfogare l’incredulità del momento: era un soggetto tutto strano, ancor più di lui e non lo credeva possibile. Si avvicinò alla finestra che aprì, allungandosi fuori questa alla ricerca di un suono sospetto o uno strano movimento, ancora scosso nel profondo dell’animo da quella sensazione di irrequietezza…
Silenzio, pesante…
Una luce rotta che lampeggiava…
Una leggera nebbia che si teneva alta, coprendo i tetti degli edifici…
Alla fine tirò un sospiro di sollievo. Tutti i suoi dubbi si erano confermati vani e aveva provato un’inutile paura per quella notte, privandosi di una cena, ma per una volta si poteva anche fare. Si girò mentre si accarezzava la nuca, sciogliendo i nervi e allontanandosi dalla finestra… Scoprendo poi che troppo presto si era rilassato.
Eccolo. Un urlo mozzato, l’aria tesa, un brivido lungo la schiena.
Si morse un labbro.
Pericolo. Odore di sangue.
Un ghoul catturato durante la notte, il loro giorno.
“Gli umani devono proprio imparare a condividere.” Ed ecco che si lanciò, fuori dalla finestra.
Quando Midorima tornò nel salotto rimase con le coperte in mano a fissare le tende spostate dal vento e la finestra aperta.
“I ghoul devono assolutamente imparare un po’ d’educazione.” Digrignò i denti, sedendosi sul divano cercando ancora quella pace che non riuscì a ritrovare.
 
“Scappa!” Esordì indossando la maschera e facendogli da scudo. Il protetto scappò capendo che in quelle situazioni tutto si poteva meno che fare i ribelli, essendo nient’altro che un impiccio.
Una lama strideva contro l’asfalto, un’arma pesante, tagliente, intrisa di sangue, l’odore faceva trasalire chiunque fosse nelle vicinanze. “Voi ghoul siete senza speranze… Ci cascate sempre.” Ghignò, alzando la katana che venne puntata contro la donna. Il viso era coperto da una maschera bianca decorata da dei meravigliosi fiori di pesco.
Così delicata, troppo per appartenere ad un ghoul.
Poi lo scontro iniziò… E non poco sangue venne versato.
Takao seguì quell’odore forte, ferroso che non gli piaceva proprio. Il suo sangue in confronto a quello di un umano aveva un odore quasi acido, ferro puro, nulla di buono o lontanamente mangiabile, mentre quello umano aveva un profumo quasi prelibato, con le dovute eccezioni, ma in genere dolce; e non sentirne l’aroma lo stava facendo agitare.
Odiava quando le brutte sensazioni diventavano vere.
Odiava che la sua zona di caccia venisse violata.
Odiava dover recuperare i cadaveri per non permettere agli ispettori d’avere il loro bestiame.
Odiava il mondo in cui viveva.
L’odio era la vera essenza in cui i suoi occhi venivano intinti.
Il silenzio faceva da padrone all’intera scena, ormai i suoni e le presenze dell’attimo prima del suo arrivo erano scomparse; disorientato si avvicinò al cadavere abbandonato sul terreno. Squartato in due, un taglio netto, unico, crudeltà e freddezza, un marchio sull’asfalto. “Ecco cosa ti aspetta.” Era il messaggio lascito e si riferiva proprio a lui, non a tutti i ghoul, ma a lui che in quel momento aveva di fronte a sé una scena raccapricciante. Si coprì con una mano metà viso, trattenendo il respiro, non distogliendo l’espressione apatica da quello, un distacco necessario per mettere da parte ciò che ormai era un corpo inutile anche per degli studi.
Si chinò scoprendo dai capelli gli occhi spalancati, abbassando le palpebre per rispetto… Corpo a metà o meno era pur sempre…
“Una persona.” Ringhiò.
Continuò ad esaminarlo, era quasi certo di conoscerlo, sì, forse faceva parte del loro gruppo. Assottigliò lo sguardo… Ed ecco il ricordo di quel viso!
Si morse un labbro, alzandosi e dandogli di spalle, sentendo un improvviso senso di colpa abbattersi sul suo corpo, schiacciandolo a terra.
Non aveva fatto in tempo.
Era colpa sua.
Si girò lentamente, concentrandosi sul viso ormai pallido, quasi violaceo.
Il cadavere di cui si doveva occupare era quello di un suo amico, un amico a cui aveva promesso un aiuto per averlo salvato una volta… E invece. Strinse i pugni e lanciò un urlo di rabbia verso il cielo. Potente.
Non gli importava d’essere scoperto, che lo prendessero pure, avrebbe lottato per la loro causa ormai insostenibile. Era ora che i ghoul si ribellassero, ormai dovevano…
“Takao.” Una voce flebile, trascinata come la persona che l’aveva chiamato, cadde a terra privo di forze. Indossava la maschera, spaccata, che ancora celava la sua identità, ma lui sapeva bene chi fosse quella persona. Si sbrigò a raggiungerlo, non esitando a chiamare il suo nome sapendo per certo che nessuno fosse nelle vicinanze.
“Kuroko!” Quello alzò lo sguardo per poi cadere svenuto.
Lui arrivò subito, pronto a sorreggerlo, ma di sentire quella sensazione di viscido sulla mano fu una delle tante cose che quella notte non gli stavano piacendo.
Alla fine, pensandoci bene, lui non era proprio portato in nulla. Né a salvare i suoi simili, né a combattere per loro, tanto meno ad essere un vero ghoul… Non gli rimaneva che quello: pensare.
 
 
“Oh, no, non di nuovo!” Esordì una voce, sempre irritata. “Chi è?” E aprì la porta come se la volta precedente non gli fosse bastata come lezione.
“Indovina chi è?” Ridacchiò, innocente, come se la cosa che sosteneva non esistesse.
“Takao…”
“Shin-chan, non è che ti avanza un posto in più per la notte?” E con quella falsa espressione di allegria si sistemò meglio sulla spalla il corpo dell’amico che aveva lasciato completamente spiazzato il dottore.
Ormai non potevano più scappare.
Né lui da sé.
Né sé da lui.
 
 
 
 
Angolo dell’autrice
Come precedentemente fatto presente sono intenzionata a portare a termine questa long con tempi veramente veramente lunghi! Quasi sarebbe il caso di fare dei brevi riassunti per capitolo xD
A parte ciò grazie per il sostegno! Per chi recensisce in primo, per chi mi segue poi. Grazie tantissime! Mi date la forza di continuare >u<
Parlando del capitolo: finalmente la coppia inizia a sembrare una coppia! Per quanto, no, ovviamente non poteva finire bene, e anzi finalmente la storia inizia effettivamente a muoversi, sempre lentamente e un po’ a modo suo, ma vi assicuro che questo è l’inizio di tutto u.u
A parte ciò nulla da commentare, a parte la scelta dell’arma di Akashi. Volevo fosse qualcosa di elegante, piccolo, inerente ad Akashi, praticamente  e di certo non potevano essere delle forbici!
 
Comunque spero vi sia piaciuto anche questo capitolo!
Grazie di tutto!
Here we Go!

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Capitolo 7
*** Trappola ***


Capitolo 7
Trappola
 
 
Aveva sistemato il divano per ospitare Takao, il suo sesto senso gli diceva che sarebbe tornato da un momento all’altro.
Certo che era proprio assurdo, uscire all'improvviso senza neanche avvisare e per di più dalla finestra: che avesse avvistato qualcosa in particolare? O forse era stato scoperto? Veramente anormale, anzi impossibile, per questo si stava tormentando tanto sul perché (come se non ne avesse già tanti a cui rispondere).
Fino a quando qualcuno suonò il campanello e chi poteva essere se non Takao? 
‪Aprì la porta, dopo aver nuovamente imprecato su chi lo avesse disturbato (non era persona da dare per scontato anche ciò che fosse palese) scoprendo che, sì, era Takao... Ma non solo. 
“Indovina chi è?” Ridacchiò, innocente, come se la cosa che sosteneva non esistesse.
“Takao…”
“Shin-chan, non è che ti avanza un posto in più per la notte?” E sorrideva. ‪Come poteva sorridere con un ferito sulla sua spalla, fingersi allegro quando la situazione sembrava disperata. Quei capelli azzurri, inoltre, non gli erano nuovi. 
‪Digrignò i denti. 
‪“Presto, entra.” Lo incitò andando a prendere in fretta un telo su cui far stendere il corpo.
‪Lo sistemò alle spalle del divano, il punto più largo dove poter visitare un ferito, facendo cenno a Takao, che era rimasto all'ingresso, di portarlo sul tessuto. 
‪Il ghoul non se lo fece ripetere un'altra volta e, con attenzione, lasciò che il corpo si adagiasse a terra. 
‪La prima cosa che Midorima notò fu che la persona era svenuta a causa dell'ingente perdita di sangue, la seconda che aveva una ferita profonda, ma non grave, la terza che lo conosceva. 
‪“Kuroko?” Chiese guardando sconvolto Takao che ancor più di lui rimase sorpreso, non aspettandosi che lo conoscesse. Un sorriso beffardo seguì quegli occhi spalancati. 
‪“Questo potrebbe essere un problema.” Ridacchiò strappando senza troppi problemi la camicia lacerata che indossava il partner di Akashi. 
‪“Allora dottor Midorima, vuole intervenire?” Lo invitò mettendo in bella mostra il taglio e il sangue. Non c'era tempo per rimanere stupiti, di pensare a quanto tutto quello fosse assurdo e che ciò che dava per certo potesse rivelarsi altro; bisognava intervenire. 
‪“Per prima cosa direi di disinfettare la ferita, poi deciderò la maniera più giusta d'agire.” Pronunciò sicuro quelle parole, mentre si avvolgeva le maniche del maglione sulle braccia. 
‪Takao rimase per un attimo ad ammirarlo, e se ne accorse solo quando non ricevette risposta da lui. “Allora?”
‪“Sei fantastico, Shin-chan.” Mormorò alzandosi in piedi. 
‪“È tutto nel mobiletto sotto il lavandino.” Lo informò precedendo una possibile domanda. L'altro scattò. 
‪Midorima passò una mano sulla fronte di Kuroko, osservando la fronte corrucciata. Più che uno svenimento sembrava stesse dormendo, un'azione del corpo d’autodifesa dalla realtà. “Cosa nascondi...” Mormorò controllando se oltre quel taglio non ci fosse altro. Quella serata non voleva smettere di risparmiargli sorprese, era fastidioso. Sfiorò la ferita, notando di che tipo fosse: un'arma affilata, lama liscia... 
‪“Eccomi.” Esordì Takao lasciando il necessario accanto il dottore. 
‪“Kuroko è un ghoul?” Chiese serio. 
‪Esitò a quella domanda, si morse appena il labbro superiore. “Devo saperlo.” Insistette Midorima, guardandolo con il suo sguardo verde, vivo.
‪“Sì!” Rispose al tono alto, preoccupato e autoritario di Midorima, con uno altrettanto alto, ma profondamente pentito. 
‪Tornò a Kuroko con lo sguardo. 
‪“Fidati di me.”
‪Takao alzò la testa. 
‪“Se l'hai portato qui da me vuol dire che ti fidi, per cui non sentirti un traditore e aiutami.” E dicendo quelle parole spontanee procedette con l'operazione. 
‪Fu un momento delicato e Midorima diede fondo a tutte le sue conoscenze in un caso disperato, tentando di conciliare le conoscenze che aveva dei ghoul con quelle che aveva degli umani, cercando una sorta di punto d'incontro così che non sarebbe diventato artefice della morte di Kuroko, anziché salvatore.
‪Non sapeva come sentirsi in una situazione tanto disperata, quale sensazione prevalesse fra le altre, quale lo scaldasse, lo travolgesse e in quel momento lo spingesse a scoprirsi tanto. Stava salvando un ghoul. Non un umano, cosa lo assicurava che Kuroko non si riprendesse da un momento all'altro e si avventasse contro di lui? 
‪Eppure si sentiva euforico, vivo, ritrovando quella soddisfazione che in un certo senso neanche il lavoro gli dava più. 
‪Tra sangue e cuciture caserecce, tanti tamponi e disinfettante, Midorima riuscì a fare qualcosa, qualcosa che Takao definì con "miracoloso" mentre lui stesso l'aveva definito "abbastanza se non poco".
Ora dovevano aspettare.
‪Il ghoul era rimasto accanto Kuroko, il dottore invece si era seduto sul divano, nascosto al primo sguardo del ferito, non volevano spaventarlo e in quel caso era più rassicurante la presenza di Takao che la sua. 
‪Improvvisamente un respiro risucchiato fece sobbalzare Kuroko che iniziò a tossire, riprendendosi bruscamente dal sonno. Si guardò attorno spaventato, fino a che i suoi occhi azzurri, coperti da un velo di terrore, non incontrarono l'azzurro più cupo di Takao. Si fece addosso a lui, aggrappandosi disperatamente alla sua maglietta, tirandola. 
“Aiutala.” Uscì dalle labbra sottili con un sussurro. “Aiuta Momoi.” 
“Momoi?! Ma...”
“Era con me, forse è scappata e si è nascosta... Oppure...” Si morse un labbro, abbassando la testa. 
La mano di Takao si pose sulla spalla dell'altro che tremava, stringendo forte per irrigidirlo, quasi ad infondergli forza.
“Ci penso io, tu vedi di stare tranquillo e non spaventarti... Puoi fidarti di lui.” Fu enigmatico, non soffermandosi più del dovuto sullo sguardo interrogativo dell’amico, che non ebbe neanche la forza di chiedere. 
Midorima, che aveva assistito a tutto, aveva colto l'occhiata di Takao, era un segnale, poteva avvicinarsi. 
“Io vado a cercare Momoi.” Gli sussurrò in un orecchio, prendendo poi la rincorsa e uscire in fretta dalla casa.
Momoi? La ragazza che aveva incontrato quel pomeriggio? 
Ora Kuroko sedeva sul pavimento mentre curioso si controllava la ferita medicatagli... Ma da chi? 
La risposta non tardò a mostrarsi. 
“Midorima-kun?” Mormorò sorpreso e spaventato, rigido, immobile, fermo fra l'attaccare e lo scappare. Il dottore sospirò dopo averlo nuovamente esaminato con freddezza. 
“Già.” Gli andò vicino, chinandosi. “È il meglio che ho potuto fare, ma se fossi in te non continuerei ad agitarmi tanto.” Gli consigliò indicato i punti di fortuna che era riuscito a mettere su.
 “Senti, io...”
“Non lo dirò ad Akashi se è questo che temi, d'altronde sono rimasto coinvolto anch'io.”
Kuroko rimase per un momento in silenzio.
“Io veramente volevo scusarmi con te.” 
Midorima lo guardò sorpreso.
“Non ci siamo mai visti di buon occhio e mi dispiace averti dato questo peso, per cui scusami e ti ringrazio.”
“Non fa nulla.” Borbottò non aspettandosi quelle parole. Per il tipo di persona che era Kuroko non si aspettava il solito discorso, ma neanche quel tipo di scuse. Più entrava nei particolari e meno riusciva a vedere nei ghoul la crudeltà che tanto gli si attribuiva... Era per sopravvivere, no? Una guerra di sopravvivenza. “Piuttosto potrei chiederti di spiegarmi cosa è successo?” 
Kuroko abbassò lo sguardo. “Neanche io lo so precisamente, ma quello che so è che ci hanno teso una trappola.” Guardò il dottore. 
“Raccontami cosa è successo.” 
“D'accordo.” Accettò insicuro. “Ma permettimi di iniziare da prima.”
E Kuroko incominciò a raccontare. 
 
Salutato Akashi e messa in ordine la propria scrivania, Kuroko uscì dall'edificio, finendo ufficialmente la giornata lavorativa. Ad aspettarlo una bellissima ragazza che aveva colto lo sguardo di tutti. 
“Sei in ritardo, Tetsu-kun.” Disse con un tono appena lagnoso spostandosi dietro il ragazzo di cui afferrò le spalle per sorreggersi. Non pochi arrossirono sia per stizza che per imbarazzo nel vedere i grandi seni che si schiacciavano contro la schiena esile dell'ispettore. 
“Scusami Momoi.”
“Mi avevi promesso che saresti uscito presto oggi.” Kuroko sorrise a quella protesta.
“Ma sai com'è fatto Akashi-kun.” 
Ci fu un attimo in cui Momoi si incupì, tornando poi improvvisamente allegra.
“Certo che lo conosco, e molto bene anche.” C'era del malizioso in quelle parole. Afferrò la mano dell'amico e lo trascinò. “Allora andiamo?” 
“Dove?” 
“In giro, no?”
“Quando mi dici così mi preoccupo.” Ammise con una mezza risata, lasciandosi trascinare dall'esuberanza dell'altra. 
 
“Momoi è così.” Disse a Midorima con un sorriso impercettibile. “Seppur si mostra allegra non lo è. Non saprei spiegare in che modo, ma è una di quelle persone che tendono ad esternare falsi sentimenti, e lei si sforza di vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo, ma c'è un lato di lei che non vuole morire, quel lato represso che è la vera Momoi, il lato triste che cerca la libertà.” Spiegò con difficoltà, gesticolando persino così che potesse darsi un aiuto nell'esprimere quel concetto così complesso, soprattutto per chi non conosceva la ragazza. 
Poi riprese il racconto. 
 
Andavano in giro comportandosi come una normale coppia, quando invece era una bella recita, come anche i loro discorsi...
“Vedi qualcuno di interessante?” 
“Anche questa sera? Lo sai che non sono il tipo.”
Sospirò. “Lo so, e so anche che non metti nulla nello stomaco da quasi tre settimane... Sai che vuol dire?”
“Non attirare più del dovuto ispettori?”
“Che non potrai difenderti.” Prese una maglietta poggiandola contro il petto dell'altro. “Non mi piace.” E la rimise apposto. 
“Difendermi da cosa?” E abbassò la stampella del nuovo capo che gli stava provando. “Dagli ispettori? Dai ghoul?” Lei si fece più malinconica. 
“Non accetto il lavoro che il tuo gruppo ti lascia fare. È rischioso e tu non pensi neanche a te stesso.”
“C'è un perché mi comporto così.”
“E sarebbe?” Evitò la risposta cambiando reparto. “Questo ti starebbe bene.” Disse passandole un vestito. 
“Dici?” Lo prese e si guardò allo specchio. “Me lo provo.” E andò nei camerini. Lui la seguì, aspettando che uscisse in quel vestito leggero e svolazzante. 
“E con Dai-chan come va?” Chiese la ragazza di punto in bianco. 
 
“Aomine Daiki?” Chiese Midorima, sorpreso. Lo conosceva più per sentito dire che per vera conoscenza, Akashi lo ammirava molto per come svolgeva il suo lavoro, criticando però il fatto che il più delle volte fosse o irraggiungibile o svogliato. 
“Siamo amici, ci vediamo di tanto in tanto...” Spiegò vago, non sembrando però intenzionato ad aggiungere altro. 
“Non capisco perché mi stai dando tante informazioni.” 
“Voglio farti capire che non tutti i ghoul sono cattivi... Siamo persone, e come tali non tutte sono buonie, giusto?” Era un discorso mirato non solo al semplice fatto, ma a trasmettere una differente visione. 
“Comunque abbiamo chiacchierato un altro po', ci siamo trattenuti fino a sera tardi, ed è facile immaginare perché.”
 
“Ti porto nella mia zona di caccia così ti nutro un po', come una brava fidanzata.” Scherzava, gli aveva dato persino un colpetto con il gomito sul braccio. Ormai si era arresa da tempo nel provare a corteggiarlo, non erano stati nient'altro che amici. 
“Posso scegliere io la vittima?” Le chiese sapendo di non poterla dissuaderla: Momoi voleva che lui cacciasse per mantenersi in allenamento, non poteva usufruire delle riserve di carne di alcuni bar della circospezione. 
“Non ti fidi del mio gusto?” 
“Be'...” Ridacchiò. 
“Non sarò un asso in cucina, ma ho buon fiuto.” Rispose subito, portandosi l'attimo dopo qualche passo avanti a lui... In allerta. Aveva sentito un'aura nemica, posta in attacco: aveva reso l'atmosfera pesante, malsana. 
“Tetsu-kun che ne dici se ci dividiamo?” Propose. “Ci sentiamo più tardi.”
Kuroko la guardò stranito, lanciando un'occhiata dietro le sue spalle come se gli celasse qualcosa... Quando dall'ombra si mostrò un artiglio rosso, indirizzato contro Momoi. Subito dei tentacoli emersero per proteggerla.
“Penso che ti scorterò per un altro po'.” Le sorrise, mentre lei gli copriva il volto. “La maschera, Kuroko.” Si raccomandò, preparando la propria kagune: due splendide ali viola, fiamme che si innalzavano verso il cielo, sfumando in uno splendido azzurro, più delicate e maestose rispetto quelle di Takao, che celavano un potere ben più forte.  
Momoi si girò, facendo scivolare il piede destro indietro, in un elegante affondo: pronta al combattimento. 
“Ma quale onore uno scontro con Blooming flower, mi sono sempre chiesto se la tua fama fosse meritata o meno... D'altronde sei una donna.” Ridacchiò. Si muoveva senza precisione, era palese che non si rendesse conto di chi stesse sfidando, Kuroko era ormai abituato a quei ghoul sbruffoni. Questo che ora si era fatto contro lei non lo conosceva, né come ghoul, né come ispettore, probabilmente faceva parte di un'altra circospezione... Ma allora cosa lo spingeva tanto lontano? 
“E il tuo amichetto?” Fece per sporgersi, per poterne esaminare il volto, ma Momoi fu più veloce e la sua figura fu l'unica cosa che si ritrovò di fronte: aveva attaccato dall'alto e con un calcio lo scaraventò a terra.
Non distrarti, le donne sono più pericolose di quel che credi.” Ribatté, scattando di nuovo contro di lui. Il ghoul rotolò a terra, evitando il colpo dell'ala mirato a trafiggerlo, usando poi la propria kagune, una spirale intorno al braccio destro di un colore rosso sangue, come scudo e artiglio. Momoi si allontanò, tornando in posizione di difesa.
Kuroko stava assistendo alla scena, un battibecco particolarmente acceso che non sembrava avere una vera motivazione: quel ghoul aveva attaccato per il puro gusto d'attaccare... E proprio un altro ghoul? Folle.
Sempre se non esisteva una seconda motivazione.
Seguì attentamente con lo sguardo, nascosto oltre la maschera, ogni singola azione, comportamento, qualunque cosa potesse risultare sospetta, quando ad un certo punto percepì un'aura particolare, intensa... E si accorse troppo tardi di ciò che avrebbe cambiato lo stato di tranquilla serata.
Il ghoul si tirò improvvisamente indietro, non dando di spalle a lei, ma avvicinandosi a quell'oscurità.
“Ehi, amico, te l'ho trovata come richiest-“
Un tagliente silenzio seguito da un gocciolare continuo.
Sangue.
Entrambi trasalirono alla vista di quella lama che trapassava il corpo del nemico, spaventati da ciò che invece l'ombra celava. La spada scivolò poi, abbandonando all'asfalto il corpo del ghoul. Un ghigno. 
“Scappa!” Esordì Momoi indossando la maschera, facendo da scudo a Kuroko che disorientato decise di eseguire l'ordine.
Poi si fermò.
Una lama strideva contro l’asfalto, un’arma resa pesante dal sangue di cui era intrisa, l'odore era così forte che avrebbe fatto trasalire chiunque. “Voi ghoul siete senza speranze… Ci cascate sempre.” Pronunciò con quel suo ghigno, alzando la katana che venne puntata contro lei. Fortuna che la maschera copriva entrambi i loro volti e la sera li aiutava a nascondersi, poco faceva la luce dei lampioni.
Momoi si spostò lentamente tenendo lo sguardo fisso sulla figura dell’ispettore. A spaventarla non era tanto la spada, della quale percepiva la freddezza contro la propria pelle, ma gli occhi rossi che la stavano squadrando. Sapeva che con lui avrebbe affrontato una sorta di resa dei conti, ma non credeva così presto.
L’ispettore mosse l’arma, con un gesto lento, ipnotico… Poi scomparve. Momoi si immobilizzò tentando di percepirne la presenza.
Poi la spada venne alzata.
Un attimo. Un taglio.
“Ti avevo detto di andartene.” Mormorò lei, stringendo l’amico e sporcandosi le mani. Ancora e ancora sangue.
Con le ali protese quel corpo che stringeva contro il proprio, adagiandolo a terra, mentre l'uomo che li aveva colti di sorpresa puliva la lama, quasi concedendo quella pausa, sicuro comunque della sua vittoria.
“L’avrei parato!” Pronunciò a denti stretti Momoi, accarezzandogli il viso.
“Quell’attacco ti avrebbe uccisa.” Disse Kuroko a fatica, con il fiato corto, stringendo la mano sulla ferita. “Stai attenta, non si scherza con lui... Akashi non perdona nessun ghoul.”
 
Nella stanza era calato il silenzio e ormai Kuroko aveva smesso di raccontare, quasi l’esito fosse ovvio.
“Sono riuscito ad allontanarmi, poi il campo di battaglia si è spostato e io non li ho più seguiti... Sono tornato indietro, trovando Takao e poi finendo qui.” Tacque ancora e Midorima non disse altro.
Era sempre Akashi, alla fine, sempre lui e quella sua sete di vendetta, chissà poi di cosa... Per quanto lo conoscesse non sapeva se fosse più nero il suo passato o la sua anima.
A distrarli fu il bussare alla porta, che tanto avevano sperato di sentire entrambi. Midorima scattò e fermò Kuroko che voleva fare lo stesso, ma purtroppo la ferita non poteva essere ignorata.
Si avvicinò alla porta con un passo veloce. Un passo, un battito. Sempre più assordante. Più veloce.
Aprì velocemente la porta.
Rimase senza fiato, senza parole.
 
Sangue.
E ancora sangue.
 
 



Nota dell’autrice semi scomparsa:
No, non sono morta, ma questo capitolo mi ha reso la vita alquanto difficile, troppo difficile: perché? Non sapevo quanto Kuroko potesse risultare IC. Ho cercato di rendere a meglio la sua personalità in questo preciso contesto e non credo di esserci riuscita al meglio, ma per un giudizio più completo mi affido al vostro che il mio non vale poi molto.
Spenderei una parolina veloce veloce su Momoi: lei è stata impossibile, proprio per il ruolo che ho voluto darle, che ancora non è chiaro (e non preoccupatevi, verrà svelato), ma ha il suo perché e questo si rispecchia, per forza, nel modo in cui si comporta. Per cui non si può, almeno per me, dire se è o non è IC. L’ho scelta come figura forte, anche se per la maggior parte delle volte nell’opera originale non lo mostra, ma è comunque facilmente percepibile (e spero di non essere l’unica a pensarla così)
Ora parliamo di Midorima e Takao… Io spero che si capisca che la Love story è cominciata, o almeno per il caro Takao… Ma bisogna dare tempo al tempo, e non vi preoccupate, ci sarà tanto da fargli fare a questi due, eheh.
A parte ciò… Non ho specificato il nome delle due Kagune: quella del Ghoul X (che non e nessuno, non temete per la sua vita) è una Koukaku, mentre Kuroko ha una Rinkaku (quella di Kaneki) e Momoi la Ukaka, come quella di Takao (e Touka). Come già detto io cerco di dare una spiegazione capibile più che esteticamente bella, così che sia molto più facile da immaginare, ma se siete curiosi: googlate.
Con questo dovei aver detto tutto, qualunque curiosità scrivetemi o lasciate una recensione, io risponderò! Grazie a tutti per la pazienza e il supporto che date a questa fan fiction, che tratto veramente male!

Here we Go! 

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