I'm burning up a sun just to say goodbye

di CallMeSana
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Tipologia di storia: Minilong

AU scelto: Doctor Who!AU -  Louis Tomlinson lavora come commesso da Toys R Us e si trova a dover affrontare un cyber uomo nascosto tra i robot della partita appena arrivata da Londra. Quando pensa di essere ormai spacciato, una cabina blu della polizia si materializza al centro del negozio e da lì esce uno strano tipo con un cappotto lungo fino a piedi e dei logori stivali marroni che dice di chiamarsi il Dottore (ma che lui può chiamarlo Harry Styles).

Punti extra, ovvero side-pairing o fan art realizzata: banner

Avvertimenti e note: Salve! Note iniziali doverose, quindi niente note finali, per ora.
Innanzitutto volevo ringraziare Sara e le sue compari per aver organizzato questo fest, ma anche per aver inserito questa AU nell'elenco. Chi segue il telefilm saprà perfettamente quanta sofferenza lasci addosso, quindi potrà immaginare quanto sia difficile scriverne. Ecco perché spero di aver fatto del mio meglio, sebbene sia impossibile, di non deludere le aspettative di chi leggerà conoscendo di cosa sto parlando e di non annoiare chi, invece, non ne ha la più pallida idea.
Per chi ne sa, mi scuso in anticipo per eventuali omissioni, aggiunte, salti temporali e mix tra i vari Dottori, ma era tutto necessario.
Questa è solo la prima parte, sto scrivendo la seconda che spero di pubblicare presto, magari prima di partire per Londra, chi può dirlo, intanto enjoy e non odiatemi troppo! ;)







Cardiff è sempre stata una cittadina tranquilla, forse mi ha trasmesso la sua quiete.
Infatti non è caotica, la popolazione è cordiale e, da quando lavoro da Toys R Us, essere riconosciuto da tutti per strada è diventato normale.
Il mio ragazzo, Aiden, non perde occasione per venirmi a prendere quando finisco il mio turno e portarmi in tutti quei posti della città che amo di più, come le grandi fontane o il parco cittadino.
Vivo solo con mia madre, da quando mio padre è morto, ma siamo felici, non abbiamo mai dato colpe al pirata della strada che lo aveva investito e ce lo aveva portato via.
Siamo felici, davvero, eppure da un po' di tempo sento come se mi mancasse qualcosa.
Ho già diciannove anni e la mia vita, fino a questo momento, non è stata affatto esaltante. 
Alle volte mi sembra come se non stessi effettivamente vivendo.




La sveglia suona, come ogni mattina, alle sette e mezza in punto, apro gli occhi lentamente e sento già mia madre blaterare dalla cucina sul fatto che dovrei cambiare occupazione. Io non le rispondo mai, faccio colazione di fretta e furia ed esco.
Aiden mi ha già inviato una decina di messaggi in cui mi prende in giro e mi dice che mi aspetta alla nostra fontana per mangiare insieme. E' da un po' di tempo che me lo chiedo, ma come sia finito con uno come lui proprio non riesco a capirlo. E' anche triste, lo ammetto.
E' una giornata come tutte le altre al negozio, a parte per il fatto che oggi è in arrivo una nuova partita di robot da Londra e spetterà a me catalogarli. Straordinari non pagati, perfetto.

"Tomlinson, pensa tu ad informare il portiere di quando andrai via, va bene?"
Annuisco e mi rassegno a passare ben tre ore come minimo da solo nel negozio. Devo ammettere che un po' di ansia addosso la sento, quando succede.

Scendo nel magazzino dove sono stati portati gli scatoloni e comincio a catalogarli per dimensioni, per smistarli nei vari reparti. Mi accorgo praticamente subito che ce n'è uno in più rispetto ai cinquanta previsti. Non cambiava niente, avrei comunque dovuto controllarli tutti, prima di archiviarli. Non era compito mio metterli, poi, in esposizione.

Passano quasi due ore, sento i rintocchi dell'orrendo orologio a pendolo che Wilson si ostina a tenere nel seminterrato e ho praticamente quasi finito, quando sento degli strani rumori.
"Wilson, sei tu?" provo a dire, sentendomi stupido, consapevole di essere completamente solo. Wilson, se c'è, è nel seminterrato, appunto, ma probabilmente sarà da qualche altra parte ad ubriacarsi perché questa mattina ha vinto al lotto.
Ovviamente non risponde nessuno e io mi sposto verso quello strano scatolone in più e mi sento afferrare alla gola da qualcosa. Non è nemmeno la forza con cui mi stringe, ma il fatto che provenga dalla scatola a spaventarmi.
"Sei difettoso, diventerai uno di noi" sento dire da questo essere metallico che, man mano, si fa strada dallo scatolone che lo bloccava e mi si avvicina sempre più.
"Quello difettoso sei tu, non mi sembri un giocattolo per bambini!" E infatti non lo è, ha vita propria e io continuo a pensare, forse per autoconvincermi, che sia solo un pessimo scherzo di Wilson, del resto non ha mai potuto sopportarmi.
"Cancellare, cancellare" ripete, e il fiato mi si fa corto. Mi solleva da terra e sento che sto per svenire quando un'improvvisa corrente invade la stanza e uno strano rumore quasi mi assorda. Forse è stato quello a farmi tenere ancora gli occhi aperti, o forse sono già morto perché non è possibile che una cabina telefonica si sia materializzata nel bel mezzo del negozio in cui lavoro.

"Corri" sento dire da un essere che non mi dà il tempo di farsi guardare che mi ha preso per mano e mi sta trascinando via. Riusciamo ad entrare in ascensore mentre lo vedo tirar fuori dalla tasca del suo lungo cappotto un aggeggio strano che emette uno lungo suono metallico. Resto un po' basito, e non sono certo di essermi ripreso dallo choc quando si volta verso di me e, sorridendo, mi dice "io sono il Dottore, posso sapere il tuo nome?"
"Louis Tomlinson" gli dico balbettando. Che diavolo avrà da sorridere tanto?
"Piacere di conoscerti, Louis Tomlinson, mettiti in salvo, vai a mangiare il tuo toast al formaggio." E come fa a saperlo?

Siamo ancora nell'ascensore, porte chiuse, mentre questo tizio strano, con quel lungo cappotto e gli stivali marroni è intento ad armeggiare verso i comandi.
"Che cos'era quello, è opera tua?" Gli chiedo, visibilmente agitato. Odio già questo suo atteggiamento supponente.
"Oh no, ho fatto tante cose di cui non vado fiero, ma non potrei mai essere così crudele!" E parla continuando a darmi le spalle. Irritante.
"E allora dimmi almeno cos'era, e che cosa vuole da me!" 
Finalmente si volta, e finalmente si lascia osservare. Sembra avere la mia età, forse un paio d'anni in più, e ha i capelli ricci e lunghi, occhi verdi e labbra carnose. Se non fosse che è vestito come un signore di quarant'anni minimo, avrei dubbi sul fatto che sia un ragazzo, esattamente come me.
"Da te niente, in particolare, ma da questo mondo... è troppo allettante per tutti. Vuole distruggerlo, sostituirsi insieme ai suoi simili alla razza umana e... perché quella faccia, non mi credi, vero?" In effetti avevo smesso di ascoltarlo dopo la prima frase.
"Beh, allora non ti dirò che quello era un cyber uomo" decide di continuare, "che prima era un essere umano come tutti voi e che adesso è solo una macchina priva di emozioni. Non te lo dirò perché tanto tu non mi crederai, dico bene?" Riprende fiato e mi guarda, perché stavolta l'ho ascoltato bene, molto bene.
"Che vuol dire come tutti voi? Cosa sei tu, un alieno?" provo a chiedere, noncurante, ormai, di essere bloccato in un ascensore con un probabile psicopatico. Ma lui non risponde, la porta si apre e non siamo più nel magazzino, siamo davanti all'entrata del negozio. La cabina telefonica che credevo di aver sognato proprio a pochi metri da noi.
"Il portiere deve essere scappato via. Mpff, umani, che dilettanti!" Mi guardo intorno ed in effetti la porta d'ingresso è socchiusa e io sento che sto perdendo la forza nelle gambe. 
"Dottore..." inizio.
"Chiamami Harry, ma non adesso, sto lavorando." Ma l'unica cosa che vedo io è di nuovo quello strano aggeggio che si illumina ed emette strani suoni.
"Non lo guardare in quel modo, è un cacciavite sonico sensibile!" mi dice, beccandomi a fissarlo come un ebete.
"Un... cosa?" E di nuovo apre le braccia scocciato.
"Un cacciavite sonico, la mia arma, la mia salvezza. Purtroppo, ahime, non può nulla solo contro il legno, cosa che oggi non ci riguarda."
Sono perplesso, troppe informazioni, o forse sono proprio morto e sto sognando.
"Dove sarà quel coso?" chiedo spaventato, perché che cavolo ci facciamo ancora qui?
"Corri, Louis, mettiti in salvo, ho detto!" Ma io... non volevo lasciarlo, mi sentivo in debito, in fondo mi aveva salvato la vita.
"Dove hai intenzione di andare?" domando, aggrappandomi al suo braccio. Lui che non reagisce e mi guarda quasi sorpreso, come se non lo toccasse nessuno da tanto, troppo tempo.
"A disattivare il suo nucleo prima che sia troppo tardi. Potrei morire nel tentativo, ma non preoccuparti per me." E' serio?
"Non voglio lasciarti!" 
E pensare che proprio questa mattina mi stavo lamentando della mia vita monotona ed insignificante!

Mi chiude fuori dal negozio e non riesco più a rientrare, deve averlo bloccato con quell'assurdo cacciavite. Lo vedo allontanarsi e voltarsi a sorridermi prima di sparire. Mi viene un groppo in gola e mi sento così impotente che mi scende una lacrima. La asciugo e comprendo che non posso fare altro che tornare a casa, prima che mia madre cominci a darmi per disperso.
E' in quel momento che lo vedo, un gran bagliore provenire dalle mie spalle, e poi l'esplosione.
Vengo sbalzato a terra ma riesco a fare in tempo a coprirmi il volto con le mani per evitare di spaccarmi la faccia e sbatto le palpebre più volte. Sto bene. Sto bene.
Il negozio in cui lavoro è saltato in aria e il Dottore... Harry... probabilmente è rimasto all'interno.
Adesso sì che non saprò mai se ho immaginato tutto.
Adesso sì che non saprò chi ringraziare per essere ancora vivo.




Mia madre mi tormenta da quando sono rientrato a casa quella sera. 
"Dovresti chiedere un risarcimento, ho un'amica che l'ha fatto, quando l'anno scorso è stata licenziata senza motivo. Tu hai perso il lavoro rischiando di morire, un risarcimento è il minimo che ti spetta!"
La verità è che a lei non importa molto di come io stia, le importa solo avere l'ennesima occasione per racimolare qualche spicciolo, perché non navighiamo nell'oro e, anche se non sembra, ci tiene a che io abbia tutto quello di cui ho bisogno. 
Per questo avevo cercato disperatamente un lavoro, non aveva importanza nemmeno dove o che mansione, l'importante era guadagnare abbastanza da non gravare troppo su di lei.
Ora, quindi, sono punto e a capo. Avrei dovuto cercarne un altro e avrei dovuto trovarlo in fretta, altrimenti non avrei resistito a lungo all'istinto di imbavagliarla.

"Stanno bussando, vai tu ad aprire?" mi dice all'improvviso, mentre sto seduto sul divano nel tentativo di contattare Aiden. Sbuffo e mi alzo perché continua a rispondermi la segreteria telefonica e non ho voglia di innervosirmi. Voglio dire, sono io quello scampato ad un incendio e che dovrebbe essere chiamato, non il contrario!
In realtà non mi ero nemmeno accorto che stessero bussando, ma mi dirigo comunque alla porta, titubante, perché non sento più nulla, finché non la spalanco e lo vedo.
"E tu che ci fai qui?" mi chiede, piazzandomi in faccia quell'assurdo aggeggio. Come l'aveva chiamato? Ha gli stessi abiti di quell'assurda sera, senza alcun tipo di bruciatura, e mi chiedo come sia possibile. O forse non c'è nulla di strano e ne possiede una collezione.
"Ci abito" gli rispondo, un po' sorpreso. Morivo dalla voglia di sfiorarlo per capire se era reale. Lui, di rimando, mi guarda perplesso e forse anche un po' deluso.
"Perché abiti qui?" insiste.
"Ma che stai dicendo?" Vorrei tanto capirlo.
"Non sei di metallo, è evidente, c'è qualche problema." E mi punta di nuovo contro quel... cacciavite sonico! L'ho ricordato!
Dopodiché entra in casa come se nulla fosse e ve lo dico col cuore: mai entrare in casa di una madre single, ancora nel fiore degli anni, soprattutto se è ancora in vestaglia!

Mia madre ha perso mio padre quando io ero ancora un neonato, non si è mai risposata, ma non ha mai perso interesse verso l'altro sesso, quindi quando ha incrociato... Harry sì, è questo il suo nome, ha subito iniziato a flirtare con lui. In maniera piuttosto imbarazzante, anche.
"Scusi, ma non ho tempo da perdere, signora" lo sento dirle, mentre io aspetto che si decida ad informarmi del motivo per cui è piombato a casa mia.
"Dottore!" lo richiamo, alterato.
"Harry" mi ricorda lui, abbassando leggermente il capo "non mi chiama più nessuno in quel modo, quindi per favore, almeno tu fallo. Per me, va bene?"
"Sì ok, Harry" sbuffo sbattendo le braccia "che cosa vuoi da me?"
"Oh io niente, è stato il TARDIS a guidarmi qui, ma devo aver inserito male le coordinate, non c'è traccia di alieni" mi dice, mentre continua a fissare tutto ciò che lo circonda, suppellettili compresi, puntando contro tutto quel rumorosissimo aggeggio.
"Cosa?" sto sicuramente sognando di nuovo, non è possibile tutto questo.
"Il TARDIS - Tempo E Relativa Dimensione Nello Spazio - la mia nave, la mia macchina del tempo. In pratica, la cabina telefonica che hai visto l'altra volta." E sorride come se nulla fosse, come se non mi avesse detto una serie di cose, per me, inaccettabili.
"E' con lei che viaggio" continua "è grazie a lei se siamo sopravvissuti a quell'incendio. Purtroppo non sono riuscito ad eliminare quel mostro che ci inseguiva e probabilmente adesso avrà radunato il suo esercito, ecco perché sono finito qui. Credevo di averli trovati, ma mi sbagliavo, quindi adesso sono confuso quanto te."
Continuo ad ascoltarlo cercando di dare un senso logico a tutto quello che mi ha vomitato addosso, ma non ne ho il tempo perché, proprio in quel momento, Aiden piomba in casa e corre ad abbracciarmi. Avevo dimenticato la porta aperta, evidentemente.

"Ehi, tesoro, scusa se non sono venuto prima, ma tua madre non ha voluto" mi dice, mentre quasi mi strozza e io non voglio altro che si stacchi. Come sarebbe non ha voluto?
"Sto bene" gli dico, ma mia madre si intromette, ancora una volta, con la storia del risarcimento. E' insopportabile, ma la adoro.
"Sei sicuro? Sei vivo per miracolo, che diavolo ci facevi lì a quell'ora?"
Mi riempie di domande mentre mi accarezza il viso, ma io noto subito un altro paio d'occhi puntati su di me.
"Tolgo il disturbo" mi annuncia il Dottore, sbucato da chissà quale angolo, mentre mia madre lo guarda, ancora indispettita per essere stata rifiutata, e Aiden si trasforma in un enorme punto interrogativo.
"E quello chi è?" chiede, mentre Harry si avvicina, gli punta il cacciavite addosso e poi passa oltre in cerca della porta per uscire.
Non rispondo alla domanda di Aiden, anche perché in fondo una vera risposta non ce l'ho, ma corro dietro a quell'individuo in cerca di maggiori informazioni.
Lo vedo che cammina fiero e a passo svelto verso la sua cabina blu, parcheggiata all'angolo della strada. Sembra assurdo come nessuno ci abbia fatto caso, siamo nel 2005, quelle cabine non si usano più da decenni. Lo vedo e aumento il passo per raggiungerlo, non gli permetterò di scivolare via così dalla mia vita. Non senza avermi detto tutto quello che merito di sapere.
Lui si accorge di me, si volta appena a guardarmi, sorride ma non ferma la sua marcia. Questo mi indispettisce.
"Chi altro sa questa storia?" gli chiedo, per attirare l'attenzione.
"Quale storia?" risponde lui, con un'altra domanda, ormai a due passi da quella cabina.
"Lo sai quale. Cyber uomini, invasioni aliene, chi altro lo sa?"
Lui fa spallucce, come se la risposta fosse ovvia e "nessuno" mi dice, facendomi bloccare sui miei passi. Chiaro, vero?
"Vuol dire che la affronti da solo?" continuo, sinceramente interessato. O preoccupato?
"Ovvio, voi siete troppo occupati a mangiare patatine e guardare la tv senza immaginare che c'è una guerra in corso!" E sogghigna, quasi infastidito. Da un lato posso capirlo, dall'altro... di che diavolo stiamo parlando?
"Ora scusami, ma devo andarmene di qui, cancellare ogni traccia del mio passaggio e..."
"Io non voglio dimenticare!"
L'ho interrotto. Così, senza pensarci. E lui adesso mi sta guardando e forse, per la prima volta, non sa davvero cosa fare o dire.
"Oh tu saresti stato comunque immune!" 
Cosa?
"Addio, Louis Tomlinson. O forse no." Agita una mano al cielo, poi ripone nella tasca del suo cappotto il cacciavite, apre le porte di quella cabina e sparisce via con essa lasciandomi solo di nuovo, col vento che mi scompiglia i capelli.




Sono ancora fermo nello stesso punto, forse ci sono rimasto per qualche minuto, prima di ricordarmi che ho lasciato Aiden in balia di mia madre e della sua isteria.
Torno a casa, dove lo trovo seduto sul divano con la faccia affranta mentre mia madre continua ad imbottirlo di chiacchiere. Da quel che le sento dire, sembra saperne molto più di me sul Dottore, ma è ovvio che non è così.
"Ero venuto a prenderti per uscire un po', ti farà bene stare all'aperto, e poi ero preoccupato da morire" comincia, appena mi vede spuntare dall'ingresso del salotto. Potrei giurare che sia quasi saltato in piedi.
"Ho detto che sto benissimo, e l'ultima cosa che mi va di fare è uscire. Io... vorrei mi lasciassi solo, Aiden." E lo vedo, oh lo noto subito il suo cambio di espressione. Inconsciamente sa, sa che è successo qualcosa che non riesco a condividere con lui, e io, a mia volta, so che non gli fa piacere. Ci siamo sempre confidati tutto, io e lui, la nostra storia è iniziata da un bel rapporto tra fratelli, un rapporto che è sempre stato molto profondo, e ora... ora non riesco a dirgli la verità.
Perché, alla fine, neanche io saprei come farlo.
Mia madre smette di parlare e ci lascia soli nel momento in cui mi sente pronunciare le mie ultime parole, e sbuffa un po'. Aiden mi guarda, mi accarezza piano il viso e, accennando un lieve "ok", mi dà un bacio e se ne va.
Non ho provato niente, se non gioia nel vederlo sparire, mentre finalmente posso fiondarmi al computer e fare qualche ricerca.
Non ho idea di come iniziare. Conosco il suo nome, ma potrebbe anche avermene dato uno falso, so che ha una macchina del tempo e che è un Dottore e... mi rendo conto che è improbabile che possa trovare informazioni.
Eppure, ad un certo punto, qualcosa appare su quel maledetto schermo. Immagini sfocate, risalenti a varie epoche storiche, ritraenti lo stesso uomo, lo stesso volto, un volto che conosco, con una unica dicitura: DOTTORE CHI?




"Mi spieghi cosa ci facciamo qui?"
Aiden è giustamente adirato, dal momento che l'ho tirato giù dal letto e, senza spiegargli il motivo, gli ho letteralmente ordinato di accompagnarmi a casa di un certo Clive.
"Devo parlare con una persona" gli rispondo, mantenendo la calma. In realtà sono agitatissimo, e se quel tizio fosse stato solo uno psicopatico?
"Ed era proprio necessario ti accompagnassi? Non potevi prendere il treno?" 
Adesso sono io quello adirato. Eppure un po' lo capisco.
"Ultimamente non hai fatto altro che lamentarti del fatto che fossi distratto, decido di passare più tempo possibile con te, e questo è il ringraziamento? Adesso stai calmo, aspettami qui, mentre entro a parlare con quel tizio."
Lui mi tira a sé per un braccio intimandomi di non andare, ma io gli dò un bacio distaccato e scendo dall'auto. 
Qualche secondo dopo sono davanti alla porta della casa di Clive. Molto ordinaria, non c'è che dire. Busso e, quasi subito, un ragazzino mi apre.
"Papà, c'è uno che ti cerca" urla improvvisamente e... come fa a saperlo?
"Louis, sei tu? Bene arrivato, non pensavo avresti davvero intrapreso un viaggio fin qui, accomodati pure! Sei solo?"
Clive è un uomo di non meno di cinquant'anni, un po' molto in carne ma perfettamente tranquillo, quando varco la soglia di casa mi imbatto persino in una donna che dice di essere sua moglie, quindi decido che forse no, non è un maniaco.
"No, il mio ragazzo mi sta aspettando in auto" gli dico, intanto che lui mi fa strada verso una specie di sottoscala dove tiene un vero e proprio archivio sul Dottore: foto, articoli di giornale, pezzi di metallo che lui asserisce appartengano a strane creature provenienti da altre dimensioni. Io mi lascio imbottire da una marea infinita di storie secondo le quali quel tipo col cappotto lungo avrebbe circa mille anni e non invecchierebbe mai. Non avrei dovuto scioccarmene troppo, considerando che l'ho visto coi miei occhi sparire insieme ad una cabina blu, invece non riesco a crederci e, profondamente deluso e arrabbiato, esco da quella casa.
Non so nemmeno il motivo, non è che sia andato fin lì per sentirmi dire qualcosa di diverso, eppure mi aveva dato fastidio lo stesso.

"Avevi proprio ragione, quel tipo era uno svitato, mi dispiace di aver fatto sprecare questa giornata anche a te" dico ad Aiden, una volta montato in auto. Lui non risponde, continua a fissare la strada, allora penso ce l'abbia ancora con me, quindi gli propongo una pizza al volo per farmi perdonare.
"Pizza... pizza... amo la pizza" mormora, e io lo trovo un po' strano, ma cerco di non farci caso, finché non arriviamo alla pizzeria più vicina e comincia a riempirmi di domande su Harry.
Non capisco questo suo eccessivo interessamento, tanto più che, ora che ho parlato con quel Clive, sono ancora più confuso di prima, eppure insiste, ed è strano, il suo sguardo è strano. 
Anche il suo volto è strano, tutto di lui è strano. Mi ritraggo, quando mi prende una mano, ma lui me la riafferra facendomi anche un po' male.
"Aiden, ma che cos'hai?" chiedo spaventato.
"Il Dottore... devi portarmi dal Dottore... solo Louis Tomlinson può farlo."
Ha una voce metallica, vorrei alzarmi e scappare via, perché quello non è Aiden e dio solo sa cosa possa essergli successo, ma non riesco, mi ha bloccato da entrambe le braccia.
"Champagne?" sento dire alle mie spalle e no, non è possibile. Sto sognando.
"Non vogliamo champagne... il Dottore... vogliamo il Dottore" dice Aiden o chi per lui, mentre mi volto e non posso fare a meno di sorridere.
"Mi hai trovato" dice Harry, puntando addosso a quell'essere il suo cacciavite sonico. 
Riesco a liberarmi da quelle mani mentre il Dottore mi afferra e, di nuovo, come la prima volta, mi dice di correre. Aiden (o chi per lui) resta svenuto a terra.

"Quello era il mio ragazzo" cerco di fargli notare, mentre finalmente ci fermiamo a qualche centinaio di metri di distanza dalla pizzeria.
"Il tuo ragazzo non è mai stato lì con te, è ancora di fronte a casa del povero Clive... a proposito, come ti è venuto in mente di andare lì?" 
Si sistema il cappotto, distoglie dagli occhi un ciuffo ribelle, si guarda intorno con sguardo indagatore, e io divento tutto rosso per la vergogna.
"Mi stavi spiando, per caso? Credevo fossi andato via per sempre!" Sbotto e non me ne importa nemmeno un po'. Come si permette di entrare così nella mia vita e sconvolgermela come se fosse quasi un obbligo, per lui?
"Il per sempre è molto relativo, per quelli come me." La sua espressione cambia radicalmente mentre lo dice, e io sento un nodo allo stomaco che mi opprime a guardarlo. Non so il motivo, ma sento anche che sono legato a questa persona, in qualche modo, e che non voglio rompere questo legame.
"Andiamo a prendere Aiden, allora" dico, per cambiare discorso, e lui accenna un sorriso quando, poco dopo, mi indica il mio ragazzo svenuto ad un angolo di strada deserto.
Mi precipito da lui e, cullandolo tra le mie braccia, riesco a farlo risvegliare. Lui mi guarda non capendo bene cosa sia successo e io gli chiedo scusa continuamente, mentre gli dò un paio di baci sulla fronte e sulle guance e gli dico che è meglio tornare a casa.
Ho dimenticato la presenza di Harry, in quegli attimi.
Harry che mi sta guardando, mentre aiuto Aiden a rialzarsi e lo accompagno alla sua auto.
"Va bene, allora io ti saluto, a meno che tu non voglia venire con me, che ne dici?" mi chiede, noncurante delle sue stesse parole. Come se mi avesse chiesto di andare a fare una tranquilla gita, magari in campagna.
"Non dargli retta, è un alieno come quella cosa che mi ha risucchiato l'anima prima" interviene Aiden, come c'era da aspettarsi.
"Tu non sei invitato" gli risponde, però, Harry, cambiando tono di voce. Prima era stato così dolce. 
"Allora, che ne dici?" continua, "Puoi restare qui a riempirti di lavoro, di cibo e di sonno, oppure puoi andare... ovunque. Ti ho mai detto che questa cabina viaggia anche nello spazio?"
E giuro che ci ho pensato, e sono anche certo che una persona normale avrebbe detto no terrorizzato, perché a me era bastato quel poco che avevo visto. Ma l'essere umano è curioso, tremendamente curioso, quindi "ci sono altre creature strane come quelle, là fuori?" gli chiedo, e lui annuisce, togliendomi ogni dubbio.
Guardo Aiden, cercando le parole adatte da dirgli, ma non le trovo, mi limito ad un ciao, ad un piccolo bacio a fior di labbra, per poi correre verso il TARDIS felice come non mai.




Probabilmente non sarò stato il primo a dirglielo, ecco perché quando ho esclamato "è più grande all'interno" lui non si sorprenderà minimamente.
Mi sono chiesto, in tutto quel tempo, come facesse a viaggiare in una cabina telefonica, ma ora che ne ho visto l'enorme sala di pilotaggio e tutti i corridoi che conducono alle svariate stanze, con tanto di armadi e scale e letti, ho capito tutto.
Anche che Clive non è poi così svitato come pensavo.

Mi sto ancora guardando intorno realizzando che non ce la farò mai a memorizzare ogni dettaglio di quel luogo, mentre lui è preso dall'azionare i comandi chiedendomi "allora, Louis Tomlinson, dimmi dove vuoi andare, indietro o avanti nel tempo? La scelta sta a te."
E confesso che solo questo pensiero mi ha dato un'adrenalina pazzesca.
"Stai solo cercando di stupirmi" gli dico, osservandolo così serio e concentrato su quel che sta facendo. Basta davvero premere qualche bottone per finire in un'altra epoca?
"Ma io sono stupefacente!"
E probabilmente sì, ha ragione, quando cadiamo entrambi a terra in un tonfo e iniziamo a ridere senza motivo. Il suono della sua risata è così particolare che mi fa tremare il petto per qualche secondo.
Non c'è niente da ridere, la mia testa me lo ripete continuamente, da quando è apparso questo tipo me ne sono successe di tutti i colori, eppure sento che essere qui non ha nulla di sbagliato.
Quindi mi sollevo piano, cercando di capire se abbiamo smesso di vorticare chissà dove, e "dove siamo finiti?" gli chiedo, non notando che lui ha già socchiuso la porta del Tardis e ha guardato fuori.
"Anno cinque miliardi nel futuro, ultimo giorno della Terra... benvenuto alla fine del mondo!"
Mi sembra un po' troppo, ma cerco di restare calmo perché, oh mio dio, è tutto vero?
Esco fuori e vedo solo uno stanzone buio pieno di cavi e scritte strane sulle pareti.
"Fine della vita sulla Terra prevista in trenta minuti" sento improvvisamente da una voce automatica proveniente da non riesco a capire dove.
"Dottore, forse dovremmo andar via" gli dico intimorito, ma lui sembra del tutto impassibile, inizia come suo solito ad osservare ogni cosa prima di aprire una delle porte che ci circondano e correre via.
"Ehi" gli grido dietro, realizzando che, forse, non è abituato ad avere compagnia. E di certo non posso restare lì, non da solo, quindi lo inseguo ma, ovviamente lo perdo. 
Fantastico, come inizio è davvero fantastico!

"E lei da dove viene?"
La gente deve smetterla di apparirmi davanti all'improvviso e spaventarmi! Soprattutto se non ha sembianze propriamente umane, come questo essere blu e dai tratti felini con degli attrezzi da idraulico in mano che mi sta guardando.
E adesso? Dottore, dove diavolo sei finito?
"Non lo so," gli rispondo, abbassando lo sguardo, "da molto lontano. Ho solo chiesto un passaggio ad uno strano tipo, senza pensarci troppo. Non so nemmeno chi sia, è un perfetto sconosciuto."
E in questa frase potrei riassumere tutto quel che lo riguarda lui, me... e il nostro legame di cui, era palese, non avevo ancora assaporato niente.
"Adesso devo trovarlo, altrimenti non riuscirò a scappare da qui" gli dico rattristandomi. Non saprei nemmeno tornare al TARDIS, in effetti.
"Perché vuole scappare, giovanotto?" mi chiede l'essere blu sorpreso.
"La Terra sta per morire" rispondo, come se non lo sapesse già.
"Certo, ma questa non è mica la Terra, non c'è più nessuno lì. I pochi umani rimasti hanno già preso residenza su altri pianeti vicini." E mi viene un groppo in gola, a pensare a mia madre, anche se sono avanti di cinque miliardi di anni e lei sarà già morta da un bel po'.
Devo trovare il Dottore, voglio andare via da questo posto!
"Fine della vita sulla Terra prevista in venti minuti" riprende quella fastidiosa voce.

Abbandonato l'essere blu che, alla fine, si è rivelato essere sul serio un idraulico (cosa dovesse aggiustare resta un mistero), mi accorgo, inoltrandomi in quello strano posto, che assomiglia sempre più ad una nave. C'è anche qualcosa di strano, che mi mette angoscia addosso: non incontrerò anima viva, almeno fino a che non aprirò la porta di un'enorme sala, piena di creature strane, nessuna delle quali sembra somigliare ad un essere umano. Eccetto per uno di loro: il Dottore, che sta parlando con una ragazza vestita da infermiera che... oh dio, non è una ragazza, è una gatta!
"Dottore!"
"Louis Tomlinson, non smetti mai di stupirmi!"
Si stupirebbe, se gli dessi uno schiaffo?
"Fine della vita sulla Terra prevista in dieci minuti."
"Perché siamo qui?" gli chiedo, preoccupato, e terrorizzato all'idea di dover assistere alla fine del mio pianeta.
 "Non lo so, non erano le coordinate che avevo richiesto al TARDIS, deve esserci stata una interferenza. E sì, dobbiamo andare via, non posso fare più niente per nessuno, qui."
E' incredibile il senso di empatia che sento nel momento esatto in cui finisce di parlare. Il suo sguardo serio, triste, mentre non ha il coraggio di guardarmi in faccia per dirmi che non sarà in grado di salvare queste persone, troppo nell'orbita di un pianeta che sta per esplodere.
Mi chiedo se la sua vita sia sempre stata così, se il TARDIS decida per lui dove andare perché ha un compito da svolgere in ogni singolo viaggio.
Mi chiedo se sia un salvatore.
Mi chiedo se stia salvando anche me.
E queste sono solo altre domande che si sommano a tutte le altre, a tutti gli altri dubbi su di lui, quindi non posso resistere oltre. Mi siedo su un piccolo muretto, nel momento in cui raggiungiamo la cabina ma lui non ne varca la soglia, come combattuto.
"Da dove vieni?" gli chiedo, cercando di apparire semplicemente incuriosito.
"Da tutti i posti" mi risponde lui senza alcuna titubanza. 
"Chi diavolo sei? Che alieno sei? Qual'è il tuo nome?" continuo, non accorgendomi della sottile agitazione che mi sta prendendo. O forse sì.
"Il mio nome te l'ho detto, o almeno quello che hanno sempre usato per me, fintanto che c'era qualcuno al mio fianco. Ma in generale sono solo il Dottore e quello che conta è solo il qui e l'ora, non il mio passato, non la mia vita, nient'altro."
Sbuffo, non posso accettare che continui ad essere così evasivo. Non se mi guarda con quegli occhi liquidi e le labbra piegate in un broncio.
"Sì ma anche io sono qui, perché mi ci hai portato tu, quindi dimmi chi sei" dico infine, esasperato, forse arrabbiato, non lo so, ma non posso più tacere.
Però forse avrei dovuto farlo perché, se c'è una cosa che non augurerei a nessuno, è vedere il volto sofferente del Dottore prima di dire qualcosa di scomodo.
Qualcosa di lacerante.
"Il mio pianeta è morto, è bruciato ed è esploso prima del suo tempo. Io sono un Signore del Tempo, l'ultimo Signore del Tempo. Sono costretto a viaggiare da solo perché non c'è nessun altro."
E quindi resto immobile ad osservarlo, mentre usa tutte le sue forze per trattenere le lacrime e si volta verso il TARDIS, convinto che non le abbia notate. 
Chissà quante ne avrà versate nella sua lunga vita.
Ho iniziato a sentirmi terribilmente piccolo, di fronte a lui.
Insignificante.
Avrei voluto sparire perché, in fondo, cosa avrebbe cambiato sapere chi era? Non avrei smesso di viaggiare con lui.
Mai. L'avevo appena deciso.
Gli prendo la mano e gliela accarezzo col pollice. Lui finalmente distoglie lo sguardo dal TARDIS per rivolgerlo a me, ma non un ombra di un sorriso, non un guizzo di allegria, quando muove finalmente un passo e, pian piano, mi porta nella cabina con lui.
"Andiamo, ho promesso a tua madre che ti avrei riportato a casa sano e salvo" dice, cominciando a spostare leve e a premere bottoni, mentre il TARDIS parte con quel suo tipico suono che preannuncia l'inizio di un viaggio.
Ma io non voglio tornare a casa, non voglio lasciarlo.
"Non preoccuparti, piccolo Louis, probabilmente saremo stati via solo qualche ora, non se ne sarà nemmeno accorta!"
Io provo a sorridere, ma mi muore tutto in gola quando atterriamo bruscamente e, uscendo fuori, la prima cosa che vedo è una mia foto appesa ad un palo, con sotto scritto 'scomparso'.
"Ehi, sei sicuro che siano passate poche ore? In che anno siamo? Dottore, mi stai ascoltando?"
In quel momento, vedo venirci incontro proprio Aiden, il quale inizia a correre visibilmente sconvolto. Non faccio in tempo a realizzare che è pronto a darmi un pugno che mi arriva dritto su uno zigomo.
"Hai deciso di far morire di crepacuore tua madre e di rovinarmi l'esistenza? Lo sai che la polizia mi interroga da mesi?" Mi dice, affannato, e arrossato in volto per la rabbia.
"Scusami, oh dio... scusami tanto, ma il Dottore mi ha detto che siamo stati via solo poche ore e..." cerco di giustificarmi, ma lui si scosta appena provo anche solo a sfiorarlo, scuotendo la testa e non guardando Harry nemmeno una volta.
"...il Dottore, sempre il Dottore! Quando la finirai con questa storia, Louis? Quando tornerai a casa da me, da noi?"
Avevo preso la mia decisione, ero sicuro di questo, non avrei mai potuto smetterla, avrei potuto provarci, certo, ma non potevo lasciare il Dottore da solo, ero in debito con lui.
"Ormai sono questo, Aiden, mi dispiace. Se solo avessi visto anche tu tutto quello che c'è là fuori, mi capiresti. Adesso andiamo da mia madre? Per favore..."
Lui sbuffa, fa un respiro profondo e, incontrando i miei occhi imploranti, decide di accontentarmi. Nello stesso momento vedrò il TARDIS sparire e con lui Harry.
Così, senza preavviso. Non riesco ad evitare di iniziare ad urlare al vuoto di non lasciarmi lì, ma ormai non può più sentirmi. Perdo l'equilibrio nelle gambe e cado ginocchia a terra, perché davvero ci speravo che non mi lasciasse lì, speravo sarebbe tornato a riprendermi. 
Speravo mi salutasse.
Sento le mani di Aiden poggiarsi sulle mie spalle per poi aiutarmi a tirarmi su. Dio, sono così patetico, e non merito le sue attenzioni.
"Andiamo, tua madre ti aspetta" mi dice, trascinandomi a casa.

Un quarto d'ora dopo circa, sono nella cucina della mia piccola casa a raccogliere i cocci della brocca piena di thé che mia madre ha fatto cadere a terra nel momento esatto in cui mi ha visto. Lei, ovviamente, mi sta urlando contro.
"Credevo fossi morto, Aiden è stato accusato di averti ucciso e non poteva nemmeno venire qui, ti rendi conto?" diceva, alzando di parola in parola il tono di voce.
"Mamma, stai calma, il Dottore non aveva calcolato bene i tempi e per me sono passate davvero poche ore, te lo giuro" provo a dirle, asciugando il pavimento.
"Dov'è andato? Voglio parlare anche con lui!" A questa domanda una fitta mi coglie al centro del petto. Come una sensazione di vuoto.
"Io... io non lo so, mamma."
Mi incupisco, per fortuna Aiden non è più lì a vedermi dargli conferma continua del fatto che, ormai, la mia vita dipende da quella di Harry.
"Gli avevo chiesto di prendersi cura di te, di non abbandonarti mai, se non lo avessi voluto tu. Sei talmente innamorato di lui che non voglio vederti soffrire."
Probabilmente avrei dovuto dare maggiore peso a quelle parole, ma sta squillando il cellulare e, considerando che nessuno sa che sono tornato, lo trovo molto strano. Rispondo titubante, guardando mia madre mettersi a braccia conserte, come ad aspettare che io confermi o neghi ciò che ha appena detto.
"Da quando hai un telefono?" chiedo, capendo immediatamente chi fosse il mio interlocutore.
"Vivo in una cabina telefonica, è ovvio che io abbia un telefono" risponde lui, con un accenno di sorriso che posso tranquillamente immaginare anche se non lo vedo.
Non dico nulla per qualche secondo, sento il rumore del TARDIS che si affievolisce e le parole di mia madre che mi rimbombano nella mente.
"Mia madre sta cucinando" poi dico, interrompendo quel silenzio imbarazzante.
"Perfetto, mettila a fuoco lento e lasciala rosolare" replica lui, indispettendomi per questa battuta pessima.
"Sta preparando la cena per noi" continuo. Ma che sto facendo?
"Non per me, io non ci vengo" mi annuncia, senza sorprendermi, me lo sarei dovuto aspettare. Eppure "ma è mia madre" continuo, perché sì, muoio dalla voglia di rivederlo.

'Sei talmente innamorato di lui...'
"Non è la mia però. Puoi restare lì, oppure... a te la scelta."
Di nuovo, di nuovo con certi ultimatum. La fa facile lui, l'uomo che, a quanto pare, non ha più radici, né un posto in cui tornare. Eppure... mi sta dando un'opportunità e... perché rifiutarla?
La mia non è mai stata una vita, e mi sono sempre lamentato della sua monotonia. Non capita tutti i giorni di poter viaggiare nello spazio e nel tempo. Ho visto quel che rimane dell'intero pianeta, creature in grado di parlare e muoversi come noi. Ho visto ragni meccanici a capo di intere basi spaziali, gatti parlanti e umanoidi. Ho visto cose uniche e potrei vederne altre. Che importa se non potrò raccontarlo a nessuno, l'importante è poterci essere, poterci essere con lui.
Non gli chiederò perché era andato via, l'importante è il qui e l'ora, giusto? L'ha detto lui stesso.

'Sei talmente innamorato di lui...'

Lancio il telefono sulla poltrona e scatto in piedi spaventando mia madre che è ancora lì ad osservarmi. Corro nella mia stanza e raduno tutte le mie cose in fretta e furia senza nemmeno un ordine logico.
"Quindi hai deciso di andartene di nuovo? E stavolta quanto tempo passerà?" Lo sento, il tono di voce depresso, so cosa sta pensando mentre mi guarda dal ciglio della porta: e se dovessero passare venti o trentanni e lei fosse già morta? Non l'avrei mai permesso, ma capisco tutta la sua preoccupazione.
"Cinque secondi, mamma, ti prometto che questa volta passeranno solo cinque secondi, non un anno intero."
Ma ovviamente di secondi ne sono passati a centinaia e mia madre probabilmente è ancora lì a contarli.

Quando rimetto piede nel TARDIS, mi viene spontaneo deglutire. Questo posto è davvero più grande all'interno, forse troppo, ma Harry è lì che mi guarda e sorride subito, indicandomi dove poter sistemare le mie cose. Quella diventerà la mia casa, a quanto pare e ora ho smesso di deglutire a vuoto, ora sento che sto per piangere, ma di gioia.
"Dove andiamo, adesso?" gli chiedo mentre mi avvicino a lui. Lui che sta girando attorno alla tavola di pilotaggio del TARDIS e sembra non avermi affatto sentito. Ha il volto corrucciato mentre conto il terzo giro che fa in totale silenzio, e sto iniziando a spazientirmi.
"Dottore!" esclamo, facendolo finalmente voltare a guardarmi. Non ha cambiato espressione.
"Sto parlando col TARDIS, lei... lei non vuole portarci dove le ho chiesto, ed è la prima volta che succede" mi dice, per poi riprendere ad ignorarmi. Sbuffo, perché mi aspettavo una reazione diversa al vedermi lì, e mi siedo in disparte.
Dopo altri due giri in totale silenzio, eccolo che inizia a saltare e blaterare parole senza alcun senso (per me) prima di annunciarmi che è meglio che mi tenga forte, perché stiamo per partire. Per dove, proprio non vuole dirmelo.

Qualche minuto dopo ci ritroviamo all'interno di un'enorme sala che sembra quella di un museo. Lui va avanti, mentre io sono ancora sulla porta della cabina, perplesso.
"Mi vuoi dire dove siamo?" chiedo di nuovo, sperando in una risposta.
"Non dove le avevo chiesto, come temevo, quindi non ne ho la più pallida idea, questa volta."
Non mi piace, non mi piace il tono in cui lo dice, né il modo in cui si guarda intorno. Il cacciavite sonico è ancora al sicuro nella tasca della sua giacca, quindi mi sento relativamente al sicuro anche io. Almeno fino a quando la mia attenzione non viene attirata dal contenuto di una teca di vetro esattamente davanti ai miei occhi: la testa di un Cyber uomo. Per un attimo ho creduto che fosse un segno, un cattivo segno.
"Dottore... Harry..." mormoro, quasi balbettando, "...siamo nel futuro, per caso?" chiedo, non riuscendo a togliere gli occhi di dosso a quella cosa.
"Perché dici questo?" mi chiede, inarcando un sopracciglio. Gli indico quel che ho di fronte, e di nuovo ha una reazione che non mi aspetto.
"Dobbiamo andarcene di qui, entra nel TARDIS" mi ordina con autorità, quasi spingendomi. Ma io non voglio entrare nel TARDIS, anche perché sono certo che lei si rifiuterà di ripartire. Il TARDIS non porta mai il Dottore in un posto a caso, ormai l'ho capito, c'è sempre una ragione.
"Ma... e tu?" provo a dire, sperando di rallentare l'operazione.
"Non preoccuparti per me, io ti seguirò, dopo."
E' pazzo se pensa che potrei mai lasciarlo da solo.
"Voglio venire con te" gli dico, fermo sulla mia decisione e i miei passi.
"Non posso pensare anche a te, se non ti vedo sto più tranquillo. Ti prego, fai come ti dico: resta qui." Un tuffo al cuore nel momento in cui glielo sento dire. Allora di me gli importa, un pochino?

'Sei talmente innamorato di lui...'

Scuoto la testa per impedire alle parole di mia madre di rimbombarci continuamente e penso anche di aver iniziato a piangere guardandolo allontanarsi, mentre sentiamo una voce provenire da una fonte non bene identificata. Lui si blocca sul posto, esattamente come me, e torna indietro, giusto per stringermi la mano.
"Bene bene, che cosa abbiamo qui, intrusi! Identificatevi!" 
La sua presa sulla mia mano ancora più forte.
"Io sono il Dottore e lui è Louis Tomlinson." 
Silenzio. Comincio ad essere seriamente spaventato. Poi la voce riprende.
"Cercavamo proprio lei, Dottore" dice, prima di teletrasportarci in una sala piena di persone che indossano tute e maschere antigas, al cospetto di un uomo che non conosciamo.
Sento la testa che gira e la mano di Harry poggiata piano sulla mia schiena come a sorreggermi, mentre mi volto piano a guardarlo. Sguardo serio, attento, il cappotto leggermente impolverato a coprire bene il suo completo marrone.
"Le chiedo scusa per i modi, Dottore, ma la questione ha una estrema urgenza, e avevamo perso le speranze di ricevere il suo aiuto. Come sapeva che la stavamo cercando?"
Sorrido, perché sono sicuro che, anche lui come me, ha capito che l'unica a saperlo fosse il TARDIS.
"Non lo sapevo, ma adesso lo so, quindi spiegatemi tutto." Non mi tiene più, troppo impegnato ad ascoltare quelle persone e cercare il suo cacciavite in tasca.
Quando lo portano di fronte a quel che sembra uno strano essere incatenato, per un attimo lo vedo sbiancare. E mi allontana. Tutta la gente che è lì se ne va trascinandomi di peso con sé. Perché non mi permettono di restare con lui?
"Lasciatemi" dico, cercando di divincolarmi, ma sono in tre e io sono soltanto uno, fallisco miseramente.

"Non è possibile. Voi siete morti, diecimila navi bruciate, la razza Dalek è estinta" dice, rivolgendosi a quella strana macchina. E' la prima volta che lo vedo arrabbiato ma, allo stesso tempo, spaventato, mentre lo osservo da uno stramaledetto monitor.
"E che ne è stato dei Signori del Tempo?" chiede l'essere. Ha una voce metallica più spaventosa di quella dei Cyber uomini che ho già incontrato. Harry si incupisce, è un argomento troppo doloroso per lui e vorrei tanto tapparmi le orecchie per non sentirlo mentre ne parla.
"Tutti morti" risponde, infatti, "nella Grande Guerra del Tempo hanno perso tutti." 
Perché non posso essere lì ad abbracciarlo?
"Ma il vigliacco è sopravvissuto" dice il... Dalek. E' evidente che vuole solo provocarlo. "Siamo rimasti soli, siamo uguali" continua, e io comincio a preoccuparmi sul serio. 
Ti prego, non fare sciocchezze e torna da me.
"Hai ragione, siamo uguali e ora farò quello che devo: sterminare!
NO. Urlo nella mia testa, talmente forte che mi sembra di averlo fatto davvero. Harry non può morire, il Dottore non muore, non prima di avermi portato via di qui.
"Ti prego, abbi pietà" sento, però, da quel mostro.
"Perché dovrei, tu non ne hai avuta!"
E no, dico. No, non trasformarti in un mostro anche tu, Dottore.
Harry!
No!
La base spaziale in cui ci dicono che siamo, inizia a tremare. il Dottore ha azionato qualcosa che, anziché distruggere il Dalek, lo ha liberato.
"Sei solo un soldato senza ordini, perché non distruggi te stesso?" lo sento, dopo minuti che sembravano eterni di silenzio in cui non avevo previsto niente di buono.
"I Dalek devono sopravvivere!"
"I Dalek sono estinti, unisciti alla tua specie, liberaci dal vostro fetore, torna all'inferno!"
Tutto trema, sento che mi manca il respiro, non posso stare qui, devo correre da lui. Ma non so come fare, non so dove si trovi esattamente, quindi resto lì a guardarlo mentre potrebbe persino sparire per sempre sotto i miei occhi.
"Tu saresti un ottimo Dalek, Dottore" dice il mostro, prima di disintegrarsi.
Dura un attimo la gioia.
Di Harry mentre assiste alla scena. Mia mentre lo guardo affannato ma ancora vivo. E di tutti gli altri lì presenti. Convinti di esserci liberati di questa minaccia.
Poi però mi sento afferrare da qualcosa e, in un battere di ciglia, mi ritrovo in una stanza isolata, tra due porte d'acciaio, il Dalek che mi blocca contro una parete.
E' finita.
"A che cosa servono le emozioni se al momento giusto non salvi la persona che ami, Dottore?" dice, fissando il soffitto, dove sembra esserci una telecamera. 
Non sento niente dall'altra parte, e adesso ho davvero il terrore che sia finita. 
Senza aver chiesto scusa ad Aiden, senza esser tornato da mia madre e averle detto di smettere di contare. 
Senza aver abbracciato Harry.

"Louis... Louis mi senti?" Sono tornato a respirare grazie a queste poche parole.
"Louis ascoltami, corri alle tue spalle, sta per richiudersi il passaggio, ma corri più forte che puoi e passalo, ti prego, hai capito?" 
La sua voce è quasi un sussurro, ma mi guida, mi dà forza, quindi annuisco, e inizio a correre. Sempre più veloce, col dolore alle gambe e ai piedi che aumenta e il passaggio ancora troppo lontano. Quando finalmente lo vedo, è troppo tardi, è chiuso, e il Dalek è esattamente dietro di me. 
Non sento più niente, non ho nemmeno il coraggio di dirgli che l'ho deluso, e spero che non se ne faccia una colpa.
"Sei passato?" sento, e io cerco di recuperare più fiato possibile prima di rispondere.
"Scusa, sono stato un po' lento. Non preoccuparti, non è stata colpa tua, ricordalo sempre. E sai una cosa? Non me lo sarei perso per niente al mondo." 
Poi il Dalek brucia tutto col suo raggio laser e mi si avvicina sempre più. Ogni speranza è morta, nel medesimo istante in cui lo sento ripetere come un mantra "sterminare, sterminare" e colpirmi.
Avrei voluto vedere il volto di Harry un'ultima volta. 
Avrei voluto sapere se voleva salvarmi per me, e non per se stesso.

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Capitolo 2
*** II ***






Quando riapro gli occhi, sento un calore per tutto il corpo e... un momento! Ho riaperto gli occhi? Allora non sono morto! 
Mi copro il viso con le braccia perché c'è una luce accecante e, quando finalmente riesco ad abituarmici, vedo il Dalek, o almeno quello che ne resta, quasi del tutto bruciato dal sole che è entrato dal soffitto. Il soffitto misteriosamente scoperto e che sta, a quanto pare, mantenendo aperto anche il passaggio. Devo muovermi.
Devo raggiungere il Dottore.
Deve sapere che sono ancora vivo e che non ha alcuna colpa.

Non so affatto come muovermi, non so come cercarlo quindi, quando mi rendo conto di essere passato per ben due volte dallo stesso corridoio, mi si accende una lampadina.
"Dottore" comincio "Dottore, dove sei?" Ma non ricevo risposta e mi dispero, perché non può essere troppo tardi, non può essere ripartito senza di me.
"Harry ti prego..." E ancora niente. 
Smetto di correre sentendomi pure cretino, mi inginocchio a terra e piango. Se non sono morto per mano di quel Dalek, morirò sicuramente di fame e sete, solo e abbandonato qui.
"Louis! Diamine Louis, sbrigati!" 
Dio mio.
"Harry, sei tu? Sei rimasto, sei..." sto singhiozzando come una femminuccia, ma non me l'aspettavo, per niente. E' così bello, e non sto parlando solo del fatto che sia lì di fronte a me.
"Non ti avrei mai lasciato, lo sai."
Lo so? Sì, ha ragione, devo smetterla di sottovalutarlo e sottovalutarmi. Non mi avrebbe mai lasciato, non dopo che mi aveva portato lì.
Mi tende la mano e io la afferro al volo. Mi sento al sicuro solo in quel momento, con lui vicino e dentro il TARDIS che ci trascina via da quell'incubo.
Ci sono un paio di scossoni che mi fanno perdere l'equilibrio e gli finisco addosso. 
Cadiamo all'indietro, l'uno sull'altro e, finalmente, riesco a guardare i suoi occhi verdi dalla distanza che meritano. Mi ci butterei dentro per vedere che si prova a fare un viaggio simile, sarebbe bello se il TARDIS avesse anche questo potere.
"Hai... hai intenzione di restare lì per molto?" mi chiede, corrugando la fronte e guardandomi fisso. Mi ha fatto sentire violato.
"No no, oh dio, scusa ma... sono così felice di vederti!" E lo abbraccio perché era passato troppo tempo e ancora non l'avevo mai fatto. Avrei dovuto abbracciarlo per almeno ogni volta che mi aveva salvato la vita e l'aveva resa degna di essere vissuta.
Gli sono praticamente seduto addosso e lui non sembra condividere molto l'idea degli abbracci, non lo ricambia, almeno non subito, e io mi sento a casa solo nel momento in cui le sue braccia mi avvolgono.
"Non mi piacciono gli abbracci, li ho sempre considerati come una scusa per nascondere la faccia" mi dice, stringendomi di più. Un po' contraddittorio come pensiero, ma cosa non c'è di contraddittorio o semplicemente strano nel Dottore?
Io non voglio staccarmi, ma alla fine è lui a farlo, puntando le mani sulle mie spalle per allontanarmi. 
"Stai bene?" mi chiede, e io annuisco leggermente. Sorride e... oh, fatelo sorridere per sempre.

'Sei talmente innamorato di lui...'

"Adesso basta!" urlo, non accorgendomi di averlo fatto ad alta voce.
"Con chi ce l'hai?" Appunto.
"No, niente... solo... posso farti una domanda?" Lui annuisce, di nuovo tutto preso dal controllare l'unico vero oggetto delle sue premure: il TARDIS.
"Se ti chiedessi di farmi vedere mio padre..." E finalmente ho tutta la sua attenzione, scusa, nave spaziale.
"...ti direi di no, che ci sarebbe troppo coinvolgimento emotivo, e potresti fare cose di cui ti pentiresti."
"Tipo salvargli la vita?"
"Tipo salvargli la vita."
"Harry, ma..." Niente, le parole mi muoiono in gola, ma in fondo che cosa gli ho chiesto? Avevo sei mesi quando mio padre è morto, praticamente non l'ho conosciuto, voglio solo vederlo, mi basteranno cinque minuti!
Ripartiamo, o almeno così sembra, non ci sono le solite ondulazioni, nessun oscillamento, solo un tonfo, breve, che ci annuncia che, in qualsiasi posto ci troviamo adesso, siamo arrivati.
Lui non dice una parola, non ha il suo solito entusiasmo da inizio di una nuova avventura, prende il suo cappotto lungo e se lo infila passandomi davanti, per andare a controllare.
"Dove siamo?" chiedo al vuoto, perché lui è già fuori. Esco anche io e la prima cosa che noto, a parte un cielo più limpido del normale, è che siamo a Cardiff.
"E' il 1992 e siamo a Cardiff, Louis."
Oh. Sento che sto per piangere un'altra volta.
"Perché?" riesco a dire, soltanto.
"Perché me l'hai chiesto tu" dice, guardandomi. Smettila di sorridere e guardarmi a quel modo!
Non so come reagire, non so come prenderla. Dunque si fida di me, è una cosa che trovo stupenda e non so il motivo.
"Che giorno...?" Non ho il coraggio di completare la frase, mentre mi guardo intorno alla ricerca della mia casa. Non l'abbiamo mai cambiata.
"E' il 24 giugno 1992" esclamo, notando un volantino pubblicitario su una panchina "... oh... è quel giorno. Come facevi a saperlo? Io non te l'ho mai detto."
"Non mi hai detto nemmeno che era stato investito da un'auto. Perché è così che è morto, vero?" 
E non ce l'ho fatta più. Sono sottobraccio a lui che sto portando a passo svelto nel mio quartiere, ma adesso... adesso sento fastidio anche solo a guardarlo. Quindi mi stacco e lo guardo come se fosse un alieno. Che è poi quello che è.
"Io non ti capisco. Appari dal nulla, mi salvi la vita, mi stai addosso per avere compagnia in questi assurdi viaggi da cui usciamo vivi per miracolo. Non mi dici niente di te se non te lo ordino, quasi, ti chiedo un solo favore e mi dici no. Poi invece me lo fai e ti permetti pure di intrufolarti nella mia testa? Perché? Che cosa vuoi da me? Perché proprio io?"
Il modo in cui Harry mi sta guardando mentre gli parlo fa solo aumentare la mia agitazione, infatti alzo il tono di voce di parola in parola, finché finisco e lo sento dire "non è colpa mia, è il TARDIS. Nonostante io inserisca delle coordinate, è lei che decide dove andare, ed è sempre lei a prendere nota di qualsiasi informazione mi possa essere utile. E' in grado di tradurre anche qualsiasi linguaggio esistente, ecco perché ti sembra sempre che tutti parlino la tua lingua. Non è così."
Non so cosa dire, troppe informazioni tutte insieme e non una utile. Non una risposta alle mie domande. Figuriamoci.
"Andiamo da mio padre" dico, accelerando il passo. A dire la verità ho solo bisogno di allontanarmi da lui un attimo. Non importa se il mio cuore, invece, mi sta dicendo di aggrapparmi al suo braccio e non mollarlo più.

Quando finalmente sono davanti la porta della mia casa, l'istinto di bussare ed entrare come se niente fosse mi uccide. So di non poterlo fare, mi prenderebbero per un ladro, e lo sa anche Harry, che mi tira leggermente all'indietro. 
"Che cosa stai facendo?" mi chiede, serio.
"Voglio solo vederli, io... non li ricordo insieme, non so niente di com'era."
Mia madre mi aveva raccontato un sacco di storie, su quanto il mio fosse il padre migliore del mondo, sul fatto che aveva dato tanto ad entrambi, su quanto fosse buono, e l'uomo migliore da amare. E io ci avevo creduto, perché ero ancora un bambino quando me lo raccontò. Ci credevo ancora adesso, almeno fino al momento in cui ho sentito qualcuno urlare e qualcosa, forse un piatto, frantumarsi a terra.
Automaticamente mi avvicino ad una finestra per sbirciare dentro.
"Non chiedo il divorzio solo perché Louis è ancora troppo piccolo e non voglio diventare lo zimbello di tutto il quartiere!" Questa è la voce inconfondibile di mia madre. Sempre isterica, è una cosa che si porta dietro da molto, a quanto pare.
"Sono stanca di vivere in questo modo, perché ho sposato un fallito" urla ancora, rompendo chissà che altro.  Un groppo mi sale in gola.
"Andiamo via, Lou..." quasi mi implora Harry e io cedo, perché sì, avevo sentito abbastanza.
"Ma io... lei mi aveva detto che si amavano, che erano felici, che... era devastata quando è morto. Invece erano tutte bugie, mi ha mentito. Mi ha sempre mentito!" Adesso sono io quello devastato.
"Perché mi hai fatto venire qui? Lo sapevi, vero? Sai sempre tutto, tu! Perché?"
Ma lui abbassa lo sguardo, fa sempre così quando si vergogna. Dio, perché me la sto prendendo con lui?
"Dovevi sapere. Vorrei capissi anche che non puoi assolutamente cambiare quello che accadrà oggi." Un velo di tristezza appare sul suo viso mentre parla. Come se di solito non si notasse.
Mio padre sta per morire. Di ritorno da un negozio di fiori, dove aveva comprato un regalo per mia madre, morirà investito da un pirata della strada, e io non posso fare niente per evitarlo.
"Perché? Magari se... se sopravvivesse, se... fosse ancora vivo oggi, la mamma cambierebbe idea su di lui, magari..." sto piangendo, di nuovo. Harry mi attira a sé.
"Vieni qui" mi dice, e io penso 'ma non aveva detto che non gli piacevano gli abbracci?' e mentre tiro su col naso mi accoccolo letteralmente sul suo petto, parte del suo cappotto che mi avvolge.
"Non puoi fare niente per lui, Lou... non devi fare niente. Se lo facessi, creeresti un paradosso, una nuova dimensione, parallela a quella che conosci, e completamente sbagliata."
Mi blocco.
"Come ti permetti? Io voglio solo avere il tempo di conoscerlo! Oggi c'è quel maledetto matrimonio a cui non arriverà mai, prova a fermarmi, se ti riesce."
Gli dò una gomitata e mi sento in colpa nell'esatto momento in cui lo faccio. Lo sento lamentarsi, mentre abbandona la presa su di me e sono libero di correre.
Mio padre sta uscendo di casa proprio in quel momento e io lo guardo raggiante. Diamine, quello è mio padre, non devo sprecare nemmeno un secondo.
"Ehi, attento a dove metti i piedi, ragazzo" mi dice, dopo che l'ho volutamente urtato.
"Mi scusi, signore, ma sono in ritardo per il matrimonio e..." che diavolo sto dicendo, non ho di certo una tenuta da matrimonio!
"Lo vedo, non vorrai mica presentarti in queste condizioni, spero!" Mi osservo e ha ragione: porto una camicia scura e dei jeans ancora più scuri addosso, entrambi leggermente sgualciti dal tempo. Non sembro affatto uno che sta andando ad un matrimonio, proprio come avevo pensato.
"E' appunto per questo che sono in ritardo, devo correre a casa a cambiarmi e..."
"Vieni con me, sto andando a comprare un regalo a mia moglie, se sei di strada ti accompagno io."
Nel momento in cui annuisco e lo seguo verso la macchina, vedo Harry in fondo alla strada: mi sta giudicando, lo capisco dal suo sguardo. Scuote il capo, prima di sparire dietro l'angolo e... non mi importa.

"Dove abiti, ragazzo?" mi chiede mio padre dopo esser partiti da nemmeno un minuto. E adesso cosa mi invento? Potrei indicargli la casa del mio amico Liam, del resto nel 1992 non era ancora nato! Sì, ok, gli dirò così.
"Allora? Hai dimenticato dove abiti?" Ha distolto lo sguardo dalla strada, ed è in quel momento che urtiamo qualcosa. 
Qualcosa che non avrei mai pensato di rivedere: un cyber uomo.
"Che diavolo è quella cosa?" esclama mio padre scendendo di volata dalla macchina. Io lo seguo come un razzo, perché lo so, è così che è successo, me lo sento, anche se non c'ero, lo so e basta.
Una macchina sta venendo verso di noi dalla corsia opposta, dio solo sa cosa avesse l'autista, ma invade la nostra parte e sta per centrare mio padre in pieno, quando lo spingo violentemente verso il marciapiede e vedo Harry afferrarmi alle spalle e trascinarmi lontano da lui.
Appare e scompare continuamente, non so come fa a conviverci.

"Riportami da lui, lasciami! Lasciami, ho detto!" Sto urlando eppure, quando ho visto quel mostro, il pensiero di Harry è stato il primo a sfiorarmi la mente.
"Ti avevo detto... ti avevo pregato di non interferire, Louis! Dovevi lasciarlo morire, non puoi fare come ti pare, non puoi cambiare i fatti!"
"E tu, invece? Tu non fai come ti pare?"
Perché sono bravo solo ad attaccarlo? Perché non ammetto che ha ragione e lo ringrazio per avermi portato qui?
Mi sta guardando male e lo so che è deluso da me, di nuovo, che con tutto quello che lo tormenta da chissà quanto tempo, almeno io non dovrei creargli problemi.
"Se facessi davvero come mi pare vi salverei tutti, ma non posso... non posso salvare tutti. Sono un Signore del Tempo, non un dio."
Già. Sbatte il pugno nel vuoto e la sento tutta la sua frustrazione. Vorrei stringerlo forte.
"Perché uno di quei mostri era qui? Sono io... è me che vogliono?" chiedo, ma lui scuote il capo, continuando a camminare senza una meta, apparentemente.
"Ti vuoi fermare ad ascoltarmi, per una volta? Non mi hai mai spiegato bene di loro. Che cosa sono? Sono uomini?"
"Lo erano, finché l'umanità non gli è stata portata via. E' un cervello vivente intrappolato in un corpo di metallo con un cuore d'acciaio. Ogni emozione è stata rimossa."
Il gusto nell'uccidere comincia ad acquistare senso, la tolleranza zero verso ogni cosa che sia diversa, anche.
"Perché niente emozioni?" chiedo, timoroso per la risposta.
"Perché fanno male" mi dice, rattristandosi.

'Sei talmente innamorato di lui...'
Alle volte vorrei sapere come ci si sente senza emozioni, non penso si possa stare peggio di come sto adesso.

"Riportami da lui" dico, cercando di non farmi distrarre troppo da certi pensieri. Ci provo, perché il desiderio di baciarlo, ormai, mi sta distruggendo l'anima.
"Quali altri danni vorresti creare? Allora non hai ascoltato niente di quello che ti ho detto!"
"Ci andrò da solo" dico, pur consapevole che la chiesa dove si celebrerà il matrimonio sia parecchio lontana.
"Louis Tomlinson, mi costringi a seguirti" mi annuncia, come se fosse una brutta notizia.
"E' il minimo che mi aspetto da te, Dottore" gli dico, accennando un sorriso.

Usando il teletrasporto del cacciavite sonico, ci ritroviamo di fronte alla chiesa in un battere di ciglia. Mi accorgo anche che indossiamo entrambi uno smoking e mi sento improvvisamente a disagio. Guardo Harry e lui, come se niente fosse, mi prende sotto braccio e, al grido di "hai bisogno di un accompagnatore", mi accompagna verso l'entrata.
Cambia idea talmente tanto spesso che sto cominciando a pensare sia davvero tutto merito mio.
Una volta dentro, però, l'atmosfera non è certo quella di un matrimonio, direi più un funerale.
Non si trova lo sposo nè i suoi testimoni da nessuna parte, le panche sono tutte storte e i fiori che le addobbavano distrutti. 
Gli invitati presenti sono svenuti (spero) qua e là e una strana luce proviene dalla sagrestia.
"Che sta succedendo?" chiedo agitato. Mi stringo più forte al braccio e al petto di Harry una volta assicuratomi che i miei genitori non si trovano qui, e intanto lui inizia ad analizzare tutto con la sua piccola e rumorosa arma.
"Sono qui" dice semplicemente, stringendo la presa sul mio braccio e trascinandomi fuori.
"No" urlo ancora, cercando di divincolarmi. In quel momento una macchina parcheggia e ne escono proprio i miei genitori, mia madre che tiene in mano una piccola culletta, dove un me leggermente più giovane sta dormendo.
Mai avrei pensato di poter vedere me stesso da fuori.
"Non devono entrare, non... fermiamoli, Dottore!" 
Ma ormai ho capito, anche se non vorrei. L'ho capito nel momento in cui lui si volta a guardarmi e mi dice "mi dispiace, mi dispiace tanto" mentre mi stringe di nuovo a sé, la testa sul suo petto. Io ho lo sguardo terrorizzato, e chiudo forte gli occhi quando una luce bianca fortissima illumina l'intera strada, spazzando via la chiesa e facendo materializzare al suo posto solo Cyber uomini, tanti Cyber uomini, troppi.
"Dottore, dimmi che non è vero" singhiozzo. Che cosa strana, non avevo nemmeno notato che stessi piangendo.
"Dimmi che non è diventato uno di loro."
"Doveva morire comunque, oggi" dice lui in un sussurro, "mi dispiace."
"Ma cosa centrava mia madre? Lei... lei non è morta, perché non hai salvato almeno lei?" Sto dicendo una marea di assurdità.
"Perché lei non è stata presa, è scappata... oh tua madre è una donna dalle mille risorse!" 
"Dici sul serio?" gli chiedo, finalmente incrociando il suo sguardo. Da così vicino sembra ancora più piccolo, eppure non è un ragazzino, lo so bene, ne ha solo l'aspetto.
Annuisce, e non mi importa se mi sta mentendo solo per farmi restare lì con lui, allora lo abbraccio, ricomincio a piangere e lo abbraccio, mentre mi sento sollevare da terra e, con la testa affondata nell'incavo del suo collo, mi porta verso il TARDIS.

"Non hai mai desiderato tornare sul tuo pianeta? Voglio dire... a quando ancora c'era?"
Non so bene perché questa domanda a bruciapelo, penso sia per pura curiosità, ma anche per ricambiare... il dolore, o chissà cosa.
"No" risponde lui. Mi sta di fronte ma, nel momento in cui pronuncia quel no, si volta e si allontana. Toglie il cappotto e lo lancia via. Cade rovinosamente vicino ai comandi, sui quali inizia a concentrarsi.
Sempre così quando vuole evitare un discorso, ma io non demordo.
"Com'era? Descrivimelo." Prima sbuffa, poi sospira, e infine, alza il volto in alto.
"Il cielo è arancio bruciato, con la cittadella racchiusa in una enorme cupola di vetro che splende sotto i soli gemelli. E ci sono catene montuose che si stendono all'infinito, con le pendici di erba rosso scuro e le cime di ghiaccio. E adesso non c'è pù nessuno.
La mia famiglia, i miei amici... persino quel cielo. Ah, se avessi visto quel vecchio pianeta! Il secondo sole splendeva al di là delle montagne e splendevano, le foglie sugli alberi erano d'argento, e quando si inondavano di luce la mattina sembravano una foresta in fiamme, mentre al tramonto, quando la brezza soffiava tra i rami, si creava un arcobaleno di colori che era uno spettacolo."
Lo ascolto emozionandomi leggermente, perché la sua voce è così diversa, adesso, così rilassata, così tranquilla, così... felice, che penso non mi ricapiterà mai un'occasione simile.
"Mi sarebbe piaciuto vederlo" gli dico. Lui mi guarda e sorride nello stesso momento in cui lo faccio io. Un brivido mi scorre per il braccio e, in una situazione normale, tra persone normali, ci starebbe stato bene un bacio, anche piccolo, innocente, magari con un bel sottofondo di violini che suonano una melodia romantica.
Ma noi non siamo persone normali, niente di tutto questo, quindi mi limito ad arrossire e lasciar perdere.

Il TARDIS ha azionato i motori, si muove e il Dottore è lì a guardare, come in attesa che si fermi e ci faccia capire che possiamo uscire fuori a vedere dove siamo finiti.
Io ormai non ci faccio più caso, è come vivere perennemente in aereo, con la pressione che ti devasta il corpo tra decollo e atterraggio. Ho mal di testa, infatti, quando tutto si blocca e si spengono persino le luci.
"Dove siamo?" domanda piuttosto frequente, ormai.
"Apri la porta" mi dice, semplicemente. E' ancora senza cappotto, il completo un po' impolverato che sta sbattendo con le mani e un ghigno fiero sul viso mentre incrocia le gambe appoggiato ad un palo.
"Ma... questa è casa di Aiden" asserisco con un po' di titubanza perché in che anno saremo? Sarà nato? Sarà grande abbastanza da riconoscermi? O, peggio, sarà già morto?
"Và da lui, Lou." E perché me lo sta dicendo? Forse perché sono già fuori dal TARDIS, sarà per questo.
"Ma..." ho davvero paura di bussare e scoprire che mi sta aspettando da anni.
"E' sempre il 2000, non preoccuparti, è il presente, sarà passato si e no un paio di mesi."
Un paio di mesi?
Busso subito alla porta e spero di trovarlo, anche solo per dirgli quanto mi dispiace, per tutto e... dopo appena due tentativi mi apre un ragazzo che non ho mai visto.
"Oh, tu devi essere Louis" mi dice "Aiden è sotto la doccia, vuoi aspettarlo dentro?"
Resto un attimo sbigottito, chi diavolo è questo tipo e cosa ci fa a casa del mio ragazzo?
"Scusami, è così imbarazzante, io sono Brian" mi informa, mentre allunga la mano sperando che gliela stringa. Io lo fisso, e anche un po' male.
"Tesoro, chi era alla port-oh, ciao Louis. Vedo che hai già conosciuto Brian."
Tutto questo è surreale, non sta succedendo veramente.
"Si può sapere che succede?" mi irrito mentre resto fermo all'ingresso, penso di averne tutto il diritto.
"Tu mi hai lasciato, Louis, pensavi ti avrei aspettato in eterno? Beh, ti sbagliavi, io... non ce la potevo fare, non mi piace essere preso in giro."
"Io non ti ho lasciato" dico tremando, una stupidaggine che non suona vera nemmeno alle mie orecchie.
"Sei andato via col Dottore... Harry, o come diamine si chiama lui, sei sparito prima per un anno e ora per tre mesi, cosa pensi che sia, un cretino?"
"Ma per me sono sempre passate solo poche ore, te l'ho spiegato mille volte. Il TARDIS..."
"Non voglio saperne niente di tutte queste sciocchezze. Anzi, dov'è lui? Sei tornato perché ti ha lasciato a piedi? Sono la tua seconda scelta, Louis?"
Non sto più capendo niente, lo giuro.
"Lui... no, è qui fuori. Mi sta aspettando, credo." E spero.
"E allora corri da lui, Louis, resta con lui, sperando che sia davvero per il tuo bene. E' l'unica cosa che voglio, che tu stia bene, ma ho bisogno di stare bene anche io, quindi... vattene, per favore."
Quel Brian è ancora lì che ha sentito tutto e io mi sto chiedendo cosa mi trattenga dal dargli un pugno.
"Mi stai lasciando?" mugugno, quasi.
"Non ho bisogno di farlo, ci hai pensato tu tanto tempo fa."
Con che diritto resto ancora qui? Ha ragione, ha pienamente ragione. Perché dovrebbe continuare a stare con me, se non provo più niente per lui?
Fa bene a lasciarmi, fa bene a punirmi.
"Ok... o-k" dico, con voce tremante. Neanche lo guardo mentre esco e chiudo la porta alle mie spalle. Il TARDIS sempre parcheggiato lì di fronte. Gli corro praticamente incontro, le porte si aprono automaticamente e Harry è lì, che allarga le braccia in cui mi rifugio per iniziare a piangere e urlare. Lui mi accarezza la testa e mi calmo dopo un paio di minuti.
"Lo sapevi?"
"Credi mi diverta vederti piangere?"
Non dico più niente, hanno tutti ragione tranne me.
"Ma non avevi detto che non ti piacevano gli abbracci?"
"Ti vedo il viso, quindi ogni tanto mi piacciono."
E di nuovo un tuffo al cuore, questa volta mi fa anche parecchio male.
"Non vuoi vedere tua madre?" mi chiede all'improvviso, allontanandomi dal suo petto. Scuoto la testa e lui quasi si agita.
"Perfetto, allora partiamo!" Gli chiedo per dove, ma non mi risponde.
"Dottore, dove stiamo andando?" Niente, quindi ci rinuncio e mi siedo, sperando che, questa volta, l'atterraggio sia morbido.
Ovviamente non lo è, anzi, vengo sbattuto contro una parete e forse mi è pure uscito un bernoccolo.
"Che cosa è stato?" chiedo, osservandomi attorno e rendendomi conto che no, questo non è il TARDIS.
"Harry!"
Ovviamente non può sentirmi se non è qui.
Ovviamente.
Eppure il TARDIS è impenetrabile senza di lui, una volta mi ha spiegato che si attiva una specie di scudo protettivo, quindi perché sono stato sbalzato fuori? 
Forse è fuori anche lui?
O forse no, forse è rimasto dentro, forse...
"Harry!"
Mi sento improvvisamente debole, qualcosa mi cade addosso e perdo i sensi.

Non so quanto tempo sia passato, spero che qui non scorra troppo velocemente come sulla Terra, ma non mi trovo più dov'ero prima.
Peggio. Sono bloccato.
"Chi c'è? Che cosa volete da me?"
"Tu sei amico del Dottore, il Dottore è il peggior nemico dei Dalek. Sarai sterminato!"
Non è possibile, ancora loro, ancora questi mostri, ma quanti ce ne sono sparsi per l'Universo?
"Lui non mi lascerà morire, ne sono sicuro!" Mi agito, mentre le catene che mi tengono bloccato mi graffiano le braccia. Vorrei tanto fosse vero, vorrei vedere il suo volto e rincuorarmi.
"Dottore... Dottore..." E' una litania, la loro, e non potermi tappare le orecchie è tremendamente doloroso. 
Come può esistere una macchina senza alcuna pietà come questa?
Alle volte penso che i Signori del Tempo abbiano due cuori per compensare al male delle altre specie esistenti. 
"Avevate perso la guerra, il Dottore aveva detto che eravate state distrutti" urlo mentre sento gli occhi lucidi per la paura.
"Il Dottore mente" mi dice uno di loro, fin troppo vicino per farmi respirare regolarmente.
"Il Dottore sa quel che deve fare" poi però sento. E il mio cuore, il mio unico cuore, mi salta quasi in gola.
"Louis stai bene?" chiede, e io non riesco a capire da dove provenga la sua voce, quindi guardo nel vuoto davanti a me e dico sì più volte. Oh come vorrei poterlo vedere!
"Consegnati a noi, Dottore, consegnati ai Dalek."
Lui dice no e basta e io mi agito, perché ho paura.
Non toccatelo, non usate me per arrivare a lui.
"Tu obbedirai, perché abbiamo il tuo compagno. Obbedirai o sarà sterminato."
"No, e sapete perché? Perché io verrò a salvarlo, salverò Louis Tomlinson dalla prigionia dei Dalek, dopodiché sarà la volta della Terra e poi, tanto per rifarmi la bocca, spazzerò via una volta per tutte ogni singolo Dalek dalla faccia dell'Universo!"
La sua voce è arrabbiata, decisa, e io adesso non ho più paura, che bella sensazione!
"Ma tu non hai nessuna arma, nessuna difesa, nessun piano."
"Sì, e questo rende tutto più divertente. Louis!"
"Sì, Dottore."
"Sto venendo a prenderti!"
Pochi secondi dopo, un'esplosione fa saltare in aria tutto, vedo metà dei Dalek che mi sorvegliano saltare in aria e l'altra metà spaccarsi in due. Harry appare tra il fumo puntando diretto verso di me. Aziona il cacciavite sonico e mi libera dalle catene.
Sembra quasi etereo.
"Harry..." sussurro. Mi aggrappo a lui, che mi prende in braccio e, correndo, mi porta via.
"Non so cosa sia successo, non ho idea di come sono finito lì, io... credevo fossero morti tutti."
"Sono sopravvissuti. Sopravvivono sempre mentre io... io ho perso tutto, dannazione!"
E' proprio vero, quando stai tutto il tempo davanti ad una persona e quella non ti vede neanche è uno schifo.
Un grandissimo schifo.
Mai così schifo come quando vieni sbattuto dentro il TARDIS e quando provi a riaprirlo non ci riesci.
"Che stai facendo? Dove stai andando?"
No.

"Questo è il programma di emergenza uno, ora ascoltami Louis, è importante. Se questo messaggio si è attivato, allora significa una cosa sola. Siamo tutti in pericolo e intendo letale. Sono morto o sto per morire da un momento all’altro, non ho via di scampo. Ma non importa, spero sia una buona morte. Ho promesso di badare a te ed è quello che sto facendo. Il TARDIS sta portandoti a casa. Scommetto che ti stai agitando e brontolando, è tipico. Ora ascolta quello che devo dirti: il TARDIS non potrà tornare a prendermi, il programma di emergenza uno significa che sto affrontando un nemico che non dovrà mettere le mani su questa macchina. Allora ecco cosa devi fare: lascia morire il TARDIS, fai accumulare la polvere su questa vecchia cabina. Nessuno potrà aprirla e nessuno la noterà. Lascia che diventi una cosa buffa dimenticata all’angolo di una strada. Nel corso degli anni il tuo mondo progredirà e la cabina verrà sepolta. Se vuoi farmi felice dovrai fare una cosa sola, solo una, un’unica cosa. Vivi la tua vita. Fallo per me, Louis. Io ti auguro una vita fantastica."

La voce viene da un ologramma che è apparso di fianco ai comandi del TARDIS. E io sì che ho brontolato, e tanto, come se lui fosse qui, come se potesse sentirmi.
"Perché mi stai facendo questo, Dottore? Non puoi abbandonarmi, avevi fatto una promessa, ma anche io ne avevo fatta una, torna qui, torna da me!"
L'ologramma è quasi svanito quando provo a sfiorarlo e, nel momento in cui svanisce del tutto, sento un tonfo e le porte della cabina si aprono. Mia madre appare sulla soglia e mi corre incontro pronta a stringermi. Io piango, perché non posso credere che sia finita così, non voglio.



Non ho idea di quanto tempo sia passato, ho fatto talmente tanta fatica a riabituarmi alle mie vecchie giornate ordinarie che a malapena ricordo come si sorride.
Mia madre non ha preso molto bene le mie lacrime non dovute al fatto di essere tornato a casa, e ci sta provando, ci sta davvero provando a farmi stare bene.
Persino Aiden, che ogni tanto ha il coraggio di ripresentarsi a casa mia (in veste di amico, dice lui) lo sta facendo.
Ma io non sto bene, non posso stare bene, non starò mai bene.

"Mi dici cosa faccio ogni giorno, mamma? Mi alzo, vado a lavorare. Prendo l'autobus, mangio patatine, e vado a letto" le dico un giorno, mentre siamo seduti in una caffetteria. Io con un cappuccino ormai freddo davanti, mentre lei e Aiden sorseggiano tranquilli un caffè.
"E' quello che fanno tutti" mi risponde lei sospirando.
"Beh, io non posso" dico, come se fosse ovvio.
"Perché sei migliore di noi?" si intromette Aiden che niente, proprio non ce la fa a capire.
"No, non volevo dire questo. Ma è stata... era una vita migliore. Non voglio dire tutti i viaggi e gli alieni e astronavi e le cose che ho visto. Il Dottore mi ha mostrato un modo migliore di vivere la vita, quindi non posso. Non posso non fare niente."
Ho il brutto vizio di alzarmi e scappare via da una stanza quando non riesco a sostenere una conversazione, e lo faccio anche questa volta. Mi precipito fuori e la prima cosa che noto è una enorme scritta sull'asfalto pochi passi più in là.
Lupo Cattivo, dice... e dove ho già sentito queste parole?

'Hai capito chi sono? Ora scordati di me.'
Come se fosse semplice.
"Devo tornare da lui, perché non mi è rimasto niente."
"Che hai detto?" sento alle mie spalle.
"Aiden, ho bisogno del tuo aiuto, la mamma è troppo debole e... so che mi aiuterai... mi vuoi ancora bene?" Lui annuisce e io accenno un sorriso.
"Dio, ma cosa ti ho fatto tanti anni fa?" esclamo, avvicinandomi.
"Forse sono solo stupido" dice sarcastico, mentre gli spiego cosa ho intenzione di fare.
"Sei l'uomo più coraggioso che conosco" gli dico, e lo penso davvero.
"E che mi dici del Dottore?"
"Ok, l'umano... l'umano più coraggioso che conosco."
Ridiamo entrambi.

"Ma... avevi detto che era morto, che non può funzionare senza il Dottore... come pensi di attivarlo?"
Non ne ho idea, anche se Harry me lo aveva spiegato, ma è l'unico modo che ho per trovarlo. Non ce la sto più facendo senza di lui, sento che se non lo rivedrò almeno un'ultima volta, potrei impazzire.
Mi avvicino ai comandi, ovviamente bloccati e, dopo averli esaminati tutti più volte mi viene una crisi isterica e mi abbandono sconfitto sulla sedia di Harry. Come si divertiva a trascinarla ovunque!
Ho voglia di urlare per la disperazione quando sento un clacson dalla strada. Lì trovo mia madre a bordo di un camion che tutta sorridente, lo parcheggia praticamente in faccia al TARDIS.
"Poi non dire che sono una cattiva madre!"
Mi viene la pelle d'oca mentre, con l'aiuto di Aiden, collego un lungo cavo ai comandi. Se non dovessero sbloccarsi nemmeno così mi rassegnerò, lo giuro.

Mia madre cede il posto ad Aiden a bordo del camion e scende a fare da tramite tra me e lui. Aziona i motori al massimo e inizia ad accellerare al massimo. 
Una volta.
Due.
Tre.
Niente, non succede esattamente niente. Comincio a picchiare sul ripiano in preda ad una crisi nervosa, poco importa se mi farò male, quando qualcosa sembra accendersi. E' una luce strana, giallognola oserei dire, che risale dal cuore dei comandi e mi ricopre il viso. Sento come una sensazione di violazione, dopodiché il nulla, quando comincio a sentirmi talmente pieno di forze da essere pronto a spaccare il mondo.

"Che cosa hai fatto? " E' davvero la sua voce quella che sto sentendo? Non sono in grado di ragionare, è come se qualcosa avesse preso padronanza del mio corpo e della mia mente e mi sento offeso, io ho fatto tutto questo solo per poterlo rivedere.
"Ho guardato nel cuore del TARDIS, e lui ha guardato dentro di me" affermo, ma non è la mia voce, questa, ne sono certo.
"Hai guardato nel vortice del tempo? Nessuno dovrebbe farlo!" Perché non riesco a vederti? Almeno fammi sapere se stai bene, che non sei ferito.
"Io voglio salvarti, mio Dottore." Non l'avrei mai chiamato così con tanta naturalezza.
"Smettila, se non ti fermi morirai." Se solo sapessi come si fa.
"Io vedo tutto, mio Dottore, il presente, il passato, il futuro..." e non mi piace affatto.
"E' quello che vedo anche io, tutto il tempo. E non ti fa impazzire?" Lo so che sei triste, fatti vedere.
"La mia testa mi sta uccidendo" confermo, mentre una lacrima mi scende sul viso. E' come avere riunite nella mia mente quelle di tutte le persone esistenti nell'universo, fa malissimo.
"Vieni qui, hai bisogno di un dottore" dice, quando finalmente lo vedo. E' in piedi davanti a me, leggermente affannato e sudato, ma sempre bellissimo. Con una mano mi accarezza una guancia e con l'altra mi asciuga la lacrima quando finalmente succede: mi bacia, è lui a prendere l'iniziativa, e io sento che, man mano che approfondisce, le voci nella mia testa diminuiscono. Quando gli rispondo svaniscono del tutto.
Perdo i sensi mentre ancora sono attaccato al suo corpo. E' strano come, in quella confusione, abbia sentito fin troppo bene il tocco delle sue labbra, avrei voluto poterlo baciare di nuovo, fargli sapere che lo aspettavo da sempre e che adesso sono felice di nuovo.
Avrei voluto fare tante cose ma, come ho già detto, non c'è niente di normale o facile in questa storia.



***
Note finali, questa volta! Ok, non ve ne importa nulla, lo so, ma dovevo scrivere qualcosa.
Mi è venuto mal di testa a scrivere questa parte, ci sto su da almeno cinque giorni e i tre a Londra non hanno aiutato, quindi chiedo perdono in anticipo per tante cose. Ancora una volta spero di non aver confuso nessuno e ripeto che i salti temporali e i mix di vicende, più le licenze poetiche che mi sono concessa, sono volute ai fini della storia che non potevo far durare in eterno.
Ringrazio ancora una volta le ideatrici di questo contest e vi auguro buona lettura (se ne avrete voglia) e buona serata! :)
xxx

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Capitolo 3
*** III ***






Mi sembra sia passato un secolo quando, lentamente, apro gli occhi e cerco di capire dove mi trovo. Mi passo le mani lungo il busto e poi sul viso per capire se ho riacquistato totale padronanza del mio corpo e della mia mente e giungo alla conclusione che sì, è tutto finito.
Ho solo un leggero fastidio alle ginocchia mentre provo a rimettermi in piedi, di traverso vicino alla porta chiusa del TARDIS. Gli occhi un po' mi bruciano, le labbra ancora mi tremano mentre le sfioro e, immediatamente, nella mia testa riaffiorano quelle immagini: ci siamo baciati, io e Harry ci siamo baciati, e ora non so di nuovo dov'è.
Mi rimetto in piedi, finalmente, notando i miei capelli arruffati e i vestiti leggermente strappati. Le luci sono fioche e mi sento solo, terribilmente solo in quel silenzio.
Poi lo vedo, inconfondibile nel suo completo e gli stivali marroni pieni di striscie fangose quasi color pece. E' disteso a terra e i comandi del TARDIS lo coprono per metà dalla mia visuale, quindi non posso impedirmi di correre da lui e assicurarmi che stia bene.
Ha il viso rivolto verso il pavimento e i capelli sparsi ovunque, mentre tiene le braccia piegate entrambe sulla testa. Sembra stia dormendo, ma è ovvio che non è così.
Mi chino su di lui col cuore a mille, mentre raduno tutte le mie forze per girarlo supino.
"Ti prego, non morire, ti prego..." e le parole mi muoiono per l'ennesima volta in gola quando lo guardo in viso. 
Chi è questo? Sembra il Dottore ma... è molto più giovane, lo noto dalla sua pelle, dal taglio pù piccolo degli occhi. Gli somiglia tantissimo ma non è lui.
Non è lui.
Più lo ripeto e più mi sento mancare. Non è possibile, adesso sembra un normale diciottenne appena uscito da scuola e vorrei tanto chiedergli cosa gli è successo, da quanto tempo è svenuto lì e, soprattutto, se è colpa mia se è cambiato.
Non ricordo molto di quel che è successo dopo che il TARDIS si è animato, ma ricordo perfettamente quando mi ha detto, disperato, che non avrei dovuto guardare nel cuore della cabina, che mi sarebbe stato letale. Eppure sono ancora qui, quindi ho il diritto di sapere cosa gli è successo.
Svegliati, Harry!

"Louis..." sento all'improvviso, ma purtroppo non è lui a parlare, è mia madre che sbuca piano dalla porta. Il TARDIS deve averci riportati dove eravamo.
"Io... io non so cosa è successo, io... sono disperato, mamma."
Lei mi guarda comprensiva, si incammina piano verso di me che non ho ancora lasciato il Dottore, anzi, gli sto ancora tenendo la mano tremendamente fredda. Si incammina e mi si siede vicino, per potermi tirare a sé e fare appoggiare la mia testa sul suo petto.
"Dov'è il Dottore?" mi chiede. Io le indico la persona svenuta di fronte a noi e anche lei, come me, non può crederci.
"E' così diverso, sei sicuro sia lui?" No, non ne sono sicuro per niente, ma non posso né voglio pensare diversamente.
"Beh, in ogni caso non può stare qui, prima o poi si riprenderà, portiamolo a casa." La guardo, mentre parla, chiedendomi cosa ho fatto per meritarmi una madre simile. Avrei voluto chiederle se ricordava il giorno assurdo in cui papà è morto, ma forse le avrei solo fatto altro male e di certo non ne aveva bisogno, come me.
Quindi annuisco e, facendoci aiutare anche da Aiden che era rimasto fuori, arriviamo nella mia stanza. Mentre mia madre lo sorregge, io gli tolgo la giacca e gli allento la cravatta fino a sfilargliela completamente. Mi sento mancare quando inizio a sbottonargli la camicia logora che, comunque, nascondeva ancora l'odore vanigliato della sua pelle. Inspiro un po' di quell'odore e mi fisso per chissà quanti secondi sul suo volto addormentato. E' bellissimo anche così, anche se è cambiato un po' per me sarà sempre il mio Dottore, il mio Harry.
"Togligli le scarpe" esclama mia madre riportandomi alla realtà e io, pian piano, sperando di non graffiargli i piedi, gli sfilo gli stivali e li poggio a terra, mentre lei gli toglie anche i pantaloni. No, questo è davvero troppo da sopportare, mi alzo e me ne vado, mentre la lascio a vestirlo di un pigiama più fresco e pulito.

Qualche minuto dopo, la vedo raggiungermi in salotto dove sto tentando di guardare la tv. Mi fissa mentre continuo ad ignorarla, finché non esplodo.
"Che c'è?" dico, fin troppo ad alta voce.
"Mi vuoi spiegare che diavolo è successo e chi è quello di là?" 
Sono esasperato, e non ho certo voglia di dirle del bacio quindi, sbuffando, cerco di trovare le parole adatte da dirle.
"Quello di là è il Dottore, il TARDIS deve avermi usato da tramite per salvarlo, e adesso... è cambiato. Anche se di poco, è cambiato, ma se lo osserverai bene noterai come me che è lui, è sempre lui, e quando riaprirà gli occhi riconosceremo entrambi il loro inconfondibile verde." 
A dire la verità mi sta venendo da piangere, perché sto pronunciando queste parole più per convincere me stesso che lei, ma intanto è più o meno quel che ricordo sia successo e tutto il resto... beh, per quello credo che dovrò solo aspettare.
"Come fai ad essere certo che sia proprio lui?" Io sorrido mentre me lo chiede, vado a prendere il nostro stetoscopio e la esorto a seguirmi nella mia stanza. 
Harry è ancora lì, addormentato, e io mi siedo da un lato del letto mentre dico a mia madre di mettere lo stetoscopio e controllare lei stessa. Dopo qualche secondo la vedo sussultare e "due cuori" dire, mentre mi esce un sorriso amaro. Mi accarezza una guancia e torna in salotto, io lo osservo ancora un po', prima di posargli un bacio sulla fronte e tornare da lei.

E' ormai arrivata sera, Aiden è a cena da noi, con la scusa di volersi informare sulle mie condizioni. Non ha mai chiesto di Harry, pur sapendo che è lì a pochi metri, e gliene sono grato, mi ha permesso di stare tranquillo, per un po'.
Lui è sempre stabile, non un movimento, non un cenno di miglioramento, e metterlo nella mia stanza, ora che è notte, non sembra più la migliore delle idee. 
Indosso il pigiama e non riesco a staccargli gli occhi di dosso: è così tenero mentre dorme che mi si stringe il cuore. Perché non si sveglia, però?
Rassegnato, mi sposto a dormire sul divano, dove crollo in un sonno profondo, interrotto solo a mattino inoltrato, quando mia madre verrà a scuotermi intimandomi di guardare in tv cosa sta succedendo.
"Il primo ministro non si trova e sembra stiano preparando una guerra" dice, addentando un croissant alla marmellata. Io devo ancora capire bene che giorno e anno è che lei già parla.
"Dovete andare lì, dovreste... sì, insomma... lui potrebbe..." sta balbettando, mia madre sta balbettando perché non riesce ad ammettere apertamente che l'aiuto del Dottore è fondamentale.
"Mamma..." esclamo piano guardandola intenerirsi, perché sa cosa sto per dire: lui è addormentato, non possiamo nemmeno farlo visitare perché come spiegheremmo i due cuori, e io da solo non posso fare molto.
"Sono sicura che se andrai lì lui se ne accorgerà, non può restare svenuto per sempre! Tu gli vuoi bene, vero? Lo ami, tesoro mio."
Non riesco nemmeno a guardarla mentre la vocina dentro di me urla sì, che lo amo così tanto che potrei spaccare il mondo per lui.
"Vai lì, Louis, fai qualcosa. Se esiste davvero questo legame tra voi di cui parli sempre, sono sicura che si sveglierà."
Non avrei dovuto ascoltarla, è una pazzia, ma qualcosa mi attira, qualcosa mi spinge ad andare ad indagare, a vedere quanto fosse grave la situazione, quindi esco, dopo averle dato un bacio veloce su una guancia e regalato uno dei miei migliori sorrisi.
"Sono solo, adesso, qualcuno dovrà pur fare il Dottore" mi dico, per infondermi coraggio. Non so nemmeno io cosa sto andando a fare, è altamente probabile che nemmeno mi faranno entrare al numero dieci di Downing Street, ma forse, se ho imparato qualcosa dai miei viaggi con Harry, troverò il modo.

"Ho bisogno di vedere il vice primo ministro" dico, usando lo stesso lasciapassare universale di Harry.
"Lei chi è?" mi chiede il poliziotto che mi sbarra il passaggio. Io prego che quel lasciapassare funzioni e mostri anche a lui quel che voglio che veda.
"Scotland Yard squadra speciale, mi lasci passare, sergente" insisto, cercando di sembrare ancora più serio. E funziona, l'uomo si mette da parte ed eccomi dentro. Mi sento talmente emozionato, ma devo controllarmi.
"Rapporto, agenti, che cosa abbiamo?" chiedo ai primi due uomini in divisa che incontro.
"Signore, il ministro è scomparso da ormai quattro ore e il vice primo ministro sta cercando di contrattare con... quegli esseri. Hanno appena comunicato che hanno loro il ministro e che non lo rilasceranno se prima non ci arrenderemo."
Il tipo che mi ha risposto è agitato e io provo a calmarlo perché ci mancavano giusto creature aliene a minacciare il governo.
"Stia calmo, sergente, e portatemi al luogo dell'incontro" ordino risoluto, e il tipo esegue, pur avendo il respiro affannato.
Gli intimo di lasciarmi solo e, dopo qualche respiro profondo, sfondo la porta. Quello che mi si para davanti è uno spettacolo inaspettato: il vice primo ministro è legato ad una sedia, mentre di fronte a lei si trovano tre creature alte almeno due metri con degli occhioni neri enormi, il collo lucertoloso e il corpo verde e flaccido. Non ho mai visto nulla di simile, prima.
Appena mi notano, distolgono l'attenzione dalla povera donna concentrandosi su di me, e iniziano a parlarmi. Non capisco una parola di quello che dicono e mi preoccupo, mi preoccupo molto.
'Il TARDIS traduce ogni linguaggio esistente' rimbomba nella mia mente, insieme al pensiero, adesso che, se questi parlano e io non li capisco, vuol dire che il TARDIS non sta traducendo, perché lui è morto e lei è diventata esattamente quello che lui voleva: una normale cabina telefonica.
Cosa ci sto facendo qui, quindi? Magari è morto mentre mi allontanavo da lui e... no, non voglio nemmeno pensarci!

"Scappa, ragazzo" mi urla contro la donna ancora legata, ma io non la ascolto e, con un taglierino che recupero dal tavolo, la slego.
"Non senza di lei, signor vice primo ministro" dico, trascinandola via da quella stanza, gli esseri che continuano a dire cose senza senso. Se solo stessero zitti potrei riacquistare un po' di speranza.

"Cosa sono quelli? Li ho visti cambiare davanti ai miei occhi, si... si sono tolti la pelle di dosso e sono diventati... quelli!"
"Oh, lei non sa quante cose ho visto cambiare io, signora!"
E sarebbe stato bello spiegarglielo, peccato che ci ritroviamo braccati perché, a quanto pare, Downing Street è pieno di quelle creature viscide. Sento di aver fatto un gravissimo errore.
"Se ne vada, vice primo ministro" intimo alla donna, che mi guarda corrugando la fronte in segno di disapprovazione.
"Ma... ti uccideranno se resti qui" mi risponde lei spaventata. Ha ragione, ma io non posso andarmene.
"Devo fare il Dottore e... questo non lo fermerebbe, nemmeno questo lo fermerebbe. Ora faccia come le ho detto, se ne vada!"
Una volta assicuratomi di essere rimasto effettivamente solo, mi volto verso quelle creature, che adesso sono quasi una decina e stanno iniziando a circondarmi.
"So che non potremo mai comunicare ma, per favore, ditemi chi siete e che cosa volete!"
Iniziano ad osservarmi sbattendo continuamente gli occhi, il mio respiro si fa sempre più affannato, ma poi iniziano a parlare e la voglia di piangere prende il sopravvento: non capisco niente di ciò che dicono.
"Sono proprio rimasto solo" dico afflitto, abbassando lo sguardo a terra, cercando di sdrammatizzare.
"...un pianeta da civilizzare."
"Cosa?" Non mi sento bene.
"Umani, voi siete così poco attenti, ecco perché vi schiavizzeremo. Abbiamo bisogno di un pianeta da civilizzare."
Ho il cuore in gola, che è appena successo?
"Ma io... oh dio, io ho capito tutto quello che avete detto, vi prego, parlate ancora!"
Ovviamente loro non capiscono il mio entusiasmo né la mia voglia di saltare e piangere di gioia quando sento l'inconfondibile rumore dei motori del TARDIS e lo vedo apparire di fronte a me, alle spalle di quei mostri che mi circondano.
Se ha ripreso a funzionare può voler dire solo una cosa.
Le porte si aprono, intravedo una mano aprirle meglio e poi eccolo, con ancora il pigiama addosso e i capelli tutti scompigliati. Ha le ciabatte ai piedi e un sorriso sornione stampato in viso. Gli occhi ancora più verdi di come li ricordavo quando lo sento dire "ti sono mancato?" e, tirando fuori il suo cacciavite sonico, neutralizza quelle creature e mi invita ad andare da lui.
Mi sta per scoppiare il cuore nel petto per la troppa gioia e non importa se inciampo più volte nelle carcasse di quegli esseri prima di raggiungerlo, io devo correre e non staccare mai i miei occhi dai suoi.
"Ti riporto a casa, Louis" mi dice, le nostre mani intrecciate e il mio sguardo perso in lui. E' il solito Harry, anche se ringiovanito è sempre lui. Ha tutte le sue fossette in evidenza mentre dirige il TARDIS e solo qualche ruga di espressione in meno, ma è lui, e non potrei esserne più felice.

Pochi istanti dopo ci ritroviamo nel cortile sul retro della mia casa. Ha iniziato a nevicare da poco, noto appena usciamo dal TARDIS, perché a terra ci sono ancora pochi fiocchi.
"Oh dio, è Natale, l'avevo completamente dimenticato!"
Ormai, da quando viaggio col Dottore, il tempo è diventato relativo. Per la mia famiglia sono in giro da anni, per me sono passati solo pochi giorni. Pochi giorni, eppure sono bastati a farmi innamorare di lui. 
Lui che non dice una parola, perché non ha intenzione di uscire dalla sua cabina, mentre io vorrei solo intrecciare ancora la mia mano alla sua, entrare in casa e dire a mia madre che resteremo insieme per sempre.
Ma lui, appunto, non ha intenzione di uscire di lì. Ha detto 'ti riporto a casa' e io sono stanco, stanco di dovergli ripetere che gli ho fatto una promessa, che non ho alcuna intenzione di lasciarlo.
"Cosa farai adesso?" gli chiedo, dandogli le spalle, la neve che mi cade sul naso.
"Ritorno al TARDIS, la solita vita" mi risponde, anche se non lo vedo lo immagino che alza le spalle.
"E vai da solo?" chiedo ancora, stavolta quasi in un sussurro.
"Perché, non vuoi venire?" Il suo tono è sorpreso, non deluso, ed è lì che mi volto di scatto a guardarlo. Il suo viso più giovane illuminato dalle iridi verdi.
"Mi piacerebbe molto" esclamo, come è ovvio.
"Pensavo che... visto che sono cambiato..." E dovreste vederlo, mentre tira fuori il broncio, che lo rende ancor più un bambino. E' bellissimo.
"Io pensavo che tu non mi volessi più, essendo cambiato" lo stuzzico. Improvvisamente sono colpito dal desiderio irrefrenabile di abbandonare la cena di Natale e scappare subito via con lui.
"Oh, mi piacerebbe che venissi" esclama, arricciando le labbra. Sono così carnose che non guardarle è davvero difficile.
"D'accordo" dico semplicemente e lui "Sì?" mi chiede, quasi come se fosse sorpreso, quasi come se fosse la prima volta che viaggiamo insieme.
"Sì, solo... mi aspetterai?" Lui capisce, annuisce e, rientrando nel TARDIS, chiude le porte alle sue spalle.
Per una sera, voglio essere una persona normale, solo io e mia madre a scambiarci dei banali regali di Natale.

Scoccata la mezzanotte, capisco che è giunto il momento.
Mia madre guarda gli strani regali che ho conservato per lei per mesi, collezione di souvenir dai mille posti assurdi che ho visitato col Dottore. Spiegarle cosa fossero è stato esilarante esattamente come guardare la sua espressione imbarazzata quando ho aperto la scatola contenente le vans che sognavo di comprare da mesi ma che non riuscivo a trovare da nessuna parte.
Probabilmente avrà pensato che il suo regalo fosse niente rispetto ai miei, invece l'ho abbracciata stretta a me proprio per farle capire il contrario e lei ha sorriso, l'ho sentita.
Ma purtroppo è giunto il momento e devo prepararmi.
Vado nella mia stanza ad assicurarmi di avere tutto quello che mi serve, è come se stessi traslocando mentre riempio il mio enorme zaino da campeggio e me lo infilo in spalla.
"C'è Aiden" mi informa mia madre, fissa all'ingresso della stanza, "vuoi salutarlo prima di andartene?" Faccio spallucce cercando di convincermi che è Natale e a Natale sono tutti più buoni, quindi posso anche fingere che la nostra discussione non ci sia mai stata.
Lei capisce, la sento che gli intima di salire da me mentre si allontana e finalmente lo vedo, con una piccolissima scatolina in mano, che mi guarda di sottecchi.
"Non sapevo se fosse ancora il caso di dartelo" mi dice "ma ormai l'ho comprato e... buon Natale, Louis."
Poggia la scatola sul comodino accanto al mio letto muovendo qualche passo, mentre io continuo ad essere concentrato sui bagagli.
"Che cos'è?" chiedo, fissando l'oggetto per qualche secondo.
"Niente di particolare, solo una spilla, per la tua collezione" risponde muovendo il peso del corpo da un piede ad un altro. Avevo dimenticato completamente la mia collezione di spille delle squadre di calcio di qualsiasi città del Regno Unito.
"Grazie" sussurro leggermente, mentre apro la scatola e scorgo la spilla del Doncaster Rovers. Azzardo anche un sorriso e lui, ovviamente, fraintende, perché mi guarda intensamente, come faceva una volta, e "ti amo" mi dice, mentre io ormai ho lo zaino pronto in spalla e riesco a dirgli solo "ciao, Aiden" prima di uscire di lì.

Al piano di sotto non trovo nessuno, la porta dell'ingresso è spalancata quindi ho già capito dove troverò mia madre. Non mi sbaglio.
E' davanti al TARDIS che sta parlando, anzi, da come gesticola direi che, più che parlando, sta discutendo con Harry, immagino già di cosa.
"Mamma" le dico rassegnato, e lei si volta ad osservarmi carico come se dovessi trasferirmi per sempre dall'altra parte del mondo, ma poi mi sorride mentre ci avviciniamo l'un l'altra e ci abbracciamo.
So che devo dirle qualcosa per tranquillizzarla.
"Mamma, ho vissuto con te per più di diciannove anni, ma poi ho conosciuto il Dottore e... tutte le cose che gli ho visto fare per me, per te, per tutti noi, per questo stupido pianeta e per tutti i pianeti là fuori... lui le ha fatte da solo, mamma, ma ora non più, perché lui ora ha me."
Lei sospira mentre mi osserva, capisce che sono risoluto, fermo sulla mia decisione e forse sì, guidato dal mio amore.
"Sì" mi dice "forse vale la pena farsi spezzare il cuore" conclude poi, lasciandomi confuso. Non voglio pensare, voglio solo andare da lui, è già troppo tempo che non lo vedo.
Il TARDIS alle sue spalle ha le porte aperte, la neve ha smesso da poco di cadere perché tra i suoi ricci c'è ancora qualche piccolo fiocco che pian piano si sta sciogliendo, e io mi sento riscaldato al pensiero di andare di nuovo con lui, questa volta senza sosta, senza fine.
Mi avvicino, e lo guardo bene in viso: i suoi occhi verdi che, alla luce della luna, brillano, il naso un po' appuntito che lo rende quasi serio, la linea della mascella che, quando sorride, lo rende quasi femminile, e poi le labbra, le fossette che si creano ogni volta che mi rivolge lo sguardo. Come in questo momento, che mi rendo conto di quanto sia più alto di me, mentre mi osserva di sbieco, come se fossi un bambino che aspetta la sua caramella. E' bellissimo, talmente bello da togliere il fiato, e chissà a quante persone, prima di me, avrà davvero spezzato il cuore, come ha detto mia madre.
"Sei pronto?" mi chiede, tendendomi la mano. Io la prendo e annuisco, mentre entro con lui nella cabina.
"Quanto resterai con me?" chiede ancora e, per la prima volta, mi sta guardando come in attesa di una grande verità. Ha un tono di voce diverso e io mi sciolgo in quello sguardo, perché la sa già la risposta.
"Per sempre" dico, regalandogli il miglior sorriso che riesca a fare.

"Da dove vorresti cominciare?" Lo guardo spaesato perché a me davvero... ormai non importa più dove andremo, mi basta restare lì con lui. Faccio spallucce e lui sorride, alza le sopracciglia e gli si arriccia tutta la faccia mentre aziona la solita leva che segnala l'inizio di un viaggio. Il TARDIS inizia a girare, i suoi circuiti a salire e scendere e io aspetto, aspetto il momento in cui tutto il rumore finirà e potremo esplorare un posto nuovo, l'ennesimo.
"Dottore..." sussurro. Lui ovviamente sembra non avermi nemmeno sentito. Lo fa sempre, quindi non mi sorprendo e continuo.
"Dottore che cosa è successo quando... sì insomma, che vuol dire che sei cambiato, tu... in che senso puoi cambiare?" E' meglio dirle sempre tutte d'un fiato le cose, altrimenti lui continuerebbe ad ignorarle e io invece voglio sapere, continuare a scavare nella sua anima, ora che pian piano sto riuscendo a farlo aprire un po' con me.
"Credevo di stare per morire e i Signori del Tempo non muoiono, o meglio, sono in grado di evitarlo, tramite la rigenerazione. Il corpo si restabilizza, le eventuali ferite svaniscono, ma tutto cambia. Nuova faccia, nuova personalità, ma sempre la stessa persona."
Lo guardo perplesso, e lui deve essersene accorto, perché aggrotta le sopracciglia, questa volta, si aggiusta dei riccioli ribelli dietro le orecchie e, riprendendo fiato, continua a parlare.
"Ho usato l'energia rigenerativa per guarire, non c'è stato bisogno che cambiassi. Non voglio cambiare, perché dovrei? Voglio dire... guardami" oh no, non puoi chiedermelo. Penso di aver deglutito, ma lui non sembra farci caso, chissà, magari nemmeno le capisce certe cose. "...perciò ho riversato quella che restava in un contenitore biocompatibile, cioè la mia mano, la mia mano di scorta. Sì, ho perso la mano in un duello, è successo... oh sì, il giorno di Natale! Quante cose succedono a Natale!"
Non mi sono nemmeno accorto di quanto mi si è fatto vicino mentre parlava, né tantomeno di avergli preso la mano destra, poggiata sui comandi.
"E' questa, come l'hai capito?" mi chiede, cambiando tono. E' imbarazzato?
"Io... non lo so." E' imbarazzato, ma lo sono anche io, perché quando lui decide di intrecciarla alla mia, non posso fare a meno di abbassare lo sguardo, se incrociassi i suoi occhi in questo momento potrei fare qualcosa di cui mi pentirei... o forse no.
"Siamo arrivati, sei pronto?" mi chiede, dopo qualche secondo, la mano sempre stretta nella mia. Annuisco e scendiamo da lì.
"1921! La nostra amata Inghilterra! E a breve, caro Louis, qui ci sarà un omicidio!"
"Che cosa?"

A vederci da fuori, verremmo scambiati senza problemi per i protagonisti di uno dei libri di Agatha Christie, ma la cosa divertente è che lei è proprio qui davanti a noi, in carne ed ossa! Se mia madre fosse qui impazzirebbe, sa a memoria ogni suo libro!
"Come fai a sapere che a breve ci sarà un omicidio?" provo a chiedere a Harry che mi ha presentato a tutti come suo assistente all'ufficio di polizia.
"Shhh" accenna lui, puntando un dito in alto, "tre... due... uno" e un urlo squarcia il silenzio.
"Hanno ucciso il barone" urla la governante, di palesi origini messicane "è in biblioteca, lo hanno ucciso!"
Ci precipitiamo tutti lì e il pover'uomo è riverso in una pozza di sangue ai piedi della scrivania che dà su una enorme finestra. Ha una ferita in testa e, a detta del Dottore, è morto da poco.
"Non sarai voluto venire per un banale omicidio, spero" lo stuzzico, ed in effetti lui è preoccupato.
"Non penso proprio sia solo un banale omicidio." Mi metto le mani in faccia perché non ci posso credere. "Se la linea temporale è quella giusta penso già di sapere chi è l'assassino, ma è troppo presto, troppo complesso per dirlo a tutti."
"A me lo dirai?" Sono ansioso, un po' perché voglio davvero sapere e un po' perché starei ore ad ascoltarlo parlare.
"Vieni, usciamo in giardino, così non ci sentirà nessuno" dice, mentre mi prende di nuovo per mano facendomi rabbrividire.
Una volta fuori e abituatomi alla brezza fresca del vento, lui tira fuori un libro. Sulla copertina troneggia il nome di Agatha Christie e la foto di un'ape gigante.
"Vorresti dirmi che l'assassino è quello? Le api sono aliene, adesso?"
"Oh, non essere sciocco, non tutte, e questa... questa credo stia solo rivendicando il suo nido." Strabuzzo gli occhi.
"Cosa?" Ma non fa in tempo a rispondermi perché sentiamo un forte ronzio e la vedo: una ape gigantesca che punta dritta verso di noi.
"No" sento gridare, mentre chiudo gli occhi con forza, perché diavolo è troppo veloce anche solo per provare a sfuggirle. Mi copro con le braccia come se servisse a qualcosa e, quando riapro gli occhi, Harry mi cade addosso, semi svenuto.
"No no no... che hai fatto? Harry, che hai fatto?" Non è molto pesante, ricordo che la prima volta che dovetti sorreggerlo dovetti farmi aiutare dalla mamma e da Aiden, ma ora sono solo e sento che posso farcela.
Lo faccio sdraiare piano a terra mentre si agita e tenta di dirmi qualcosa.
"Ti ha punto?" provo a chiedere, e lui fa cenno di no con una mano, quindi non capisco.
"Che è successo, allora? Che hai fatto?"
"Il veleno..." riesce a biascicare.
"Ma hai detto che non ti ha punto, cosa posso fare?" Sta avendo degli spasmi e... come diavolo si cura un Signore del Tempo con gli spasmi?
"Ho... ho bisogno di... un'emozione forte, fai qualcosa Lou... uno shock... ho bisogno di..." Mi sta mettendo agitazione e quindi faccio la prima cosa che mi è venuta in mente, lo bacio. Funzionerà come shock, no?
Mi chino su di lui, gli prendo il viso tra le mani e ho attaccato le mie labbra alle sue. L'ho baciato e stavolta mi ricordo tutto, dal momento in cui la distanza tra di noi si è annullata al momento in cui ho sentito la sua lingua entrarmi nella bocca e scontrarsi con la mia. E' un bacio disperato e io davvero, non vorrei staccarmi mai, ma devo farlo, purtroppo.
"Disintossicazione" dice, "devo farlo più spesso. Voglio dire... la disintossicazione."
Ho capito che con lui certi discorsi non si possono affrontare, e forse è meglio, non sarebbe bello sentirmi dire che l'esserci baciati due volte non abbia avuto alcun significato per lui. Perché la prima è stata per salvarmi la vita, la seconda per salvarla a lui. Non la vedrebbe mai al mio stesso modo, quindi mi limito ad "un grazie sarebbe gradito" prima di rientrare e attendere che la grande scrittrice arrivi da sola a risolvere il mistero dell'ape assassina, per noi è meglio restare in disparte.
"Vorrei andare via" comunico ad uno stupito Harry intento a pregustare la quarta portata dell'immenso buffet dei nostri ospiti. Oltre noi ci sono solo altre cinque persone, una di queste si è appena scoperto essere l'ape che, a quanto pare, è un mutante, ma c'è da mangiare per un esercito e Harry sembra avere tutta l'intenzione di non andarsene prima della fine.
"Ok, quando vuoi" sbuffo, ed è in quel momento che forse qualcosa si smuove, si alza da tavola, saluta tutti con gentilezza ed eleganza, e mi fa cenno di andare.

Il TARDIS è ben nascosto oltre i cancelli della villa ma, quando stiamo per entrare, uno strano essere si piazza tra me e il Dottore. Io sono già all'erta, pronto a combattere, qualunque cosa voglia. Però sembra pacifico, non degna Harry di uno sguardo, ha degli strani tentacoli che gli ricoprono metà viso e tiene in mano una sfera d'argento. Alle sue spalle, Harry resta fermo.
"Morirai in battaglia" dice soltanto, prima di svanire, come un ologramma.
"Louis!" Harry mi sta chiamando, mi tende la mano e ha lo sguardo teso, forse un po' triste.
"Cos'era quello? Un altro dei tuoi vecchi amici?" E ovviamente lui non mi risponde.
"Ha detto che morirò in battaglia!" Sbotto, perché deve smetterla di essere così, di tenersi tutto dentro, non quando è qualcosa che riguarda me.
"Potranno provarci in tutti i modi, ma non ci divideranno mai, Dottore" continuo, forse per suscitare in lui una qualche reazione.
"Queste battute non si dicono" mi dice semplicemente lui, guardandomi fisso negli occhi. E' serio, troppo serio. Non mi piace.
"Ma è così, non è vero?"
"Guarda, sta per scatenarsi un temporale, dovremmo muoverci." Ha cambiato discorso, ma non importa. Anche questa volta non importa.
"Ho fatto la mia scelta tanto tempo fa, io voglio stare con te per sempre" dico, perché è così, non mi importa di morire, se sarò al suo fianco. Peccato che lui non sembra prenderla bene.
"Tu vuoi passare il resto della tua vita con me, ma io non posso passare il resto della mia vita con te, devo continuare a vivere da solo. Non posso farti questo, perché io non invecchio, Louis, resterò così per anni, secoli, forse, fino a che non mi rigenerò e al massimo potrò cambiare faccia, ma sarò sempre uguale, mentre tu... tu invecchierai e poi morirai, e io resterò di nuovo solo. E' il destino dei Signori del Tempo e nemmeno io posso nulla contro di esso, quindi... lascia perdere."
Deglutisco. Lo amo così tanto che, se potessi, prenderei tutto il suo dolore e lo farei mio, lo cancellerei dai suoi due cuori, glielo farei dimenticare, perché non è colpa mia se ho un cuore solo, se ho una sola vita. Non è colpa mia se mi sono innamorato di lui e non voglio lasciarlo. Mi dispiace se sarò la causa di altro dolore, ma non posso lasciarlo, non riesco nemmeno a pensarci.
"Ho detto per sempre, Harry... e se deve essere il mio per sempre, beh... spero sia meraviglioso." Gli prendo la mano e lui me la stringe subito. Chissà, forse gli è anche uscita una lacrima, o forse no, i Signori del Tempo magari non piangono.

Si dice che il destino gioca sempre brutti scherzi, e quando fai certi discorsi quasi sempre ti si ritorcono contro. Beh, quando il TARDIS si è fermato nel bel mezzo di una collina con di fronte solo una serie tutta uguale di palazzi altissimi, avrei dovuto capire che il mio per sempre stava per finire.
"Non è possibile, perché siamo qui?" si agita lui. Io non capisco.
"Dottore... dove siamo?" Ma lui ancora una volta non mi degna di una risposta, è solo un susseguirsi di nononononono quando un enorme dirigibile, che si muove ad una velocità un po' innaturale per un mezzo del genere, si quasi schianta davanti a noi.
"Dobbiamo andarcene di qui" dice Harry, agitandosi come mai l'avevo visto fare e io penso che forse sia meglio ascoltarlo. Peccato che qualcosa proveniente da quel dirigibile colpisca il TARDIS riducendolo alle dimensioni di una pallina da tennis.
"NO!" grida lui, e NO grido anche io quando il dirigibile ci mostra i suoi occupanti: Cyber uomini. Decine, centinaia di Cyber uomini.
"Non dovremmo essere qui, perché siamo di nuovo qui?"
Quando il Dottore non riesce a capire qualcosa non è un buon segno, e io ci metto un po', invece, a capire cosa sta dicendo.
Questa è la Cardiff che, in una dimensione parallela, è caduta in mano ai Cyber uomini. E' la Cardiff dove mio padre è ancora vivo, ma ormai è diventato uno di loro.
E' la Cardiff che ho creato io. 
Tutto questo è colpa mia.

"Cosa facciamo adesso, senza il TARDIS, Dottore?" Ma che lo chiedo a fare, è ovvio che non possiamo fare niente, se non fingere di arrenderci e andare con quegli esseri.
E' in breve tempo che succede, quando si apre una breccia nel cielo, come un enorme buco nero, e un esercito infinito di Dalek piomba sulla terra.
"Dottore..." E' irritato, lo vedo dal suo sguardo. So che vorrebbe sputarmi contro tutta la sua rabbia, mi aveva avvertito che salvando la vita a mio padre avrei creato altre dimensioni, ma io non l'ho ascoltato e ora sta collassando tutto.
"Il cacciavite sonico può riportarlo alle sue reali dimensioni, ora stai zitto per favore."
Vorrei piagnucolare, chiedergli perdono per tutto, ma non ne ho la forza.
"Potremmo... potremmo usare quel buco nero, e far sì che risucchi tutti. Potremmo intrappolarli in una dimensione dove non darebbero più fastidio a nessuno, ma prima il TARDIS." 
Riusciamo ad individuarlo all'interno del dirigibile, Harry gli punta contro il cacciavite e, pian piano, riacquista le sue dimensioni originarie. Io quasi sorrido, anche se c'è poco di cui sorridere.
Gli andiamo incontro e lui subito inizia ad assicurarsi che sia tutto ancora funzionante. Non ho il coraggio di avvicinarmi a lui né di parlargli, mentre lo vedo armeggiare con strani aggeggi che non ho mai visto e puntare dei cavi tipo antenne all'esterno, verso il cielo.
"Dobbiamo invertire il vortice, quella leva farà al caso nostro. Solo che deve essere all'esterno, quindi... uno di noi dovrà stare lì e..."
"...andrò io" lo interrompo. Non gli avrei mai permesso di correre altri rischi per un casino creato da me.
"No, Louis, è troppo pericoloso, potresti finire chissà dove se non stai attento!"
"Starò attento" dico, per tranquillizzarlo. Lui capisce che c'è poco da fare per farmi cambiare idea, quindi mi spiega tutto.
"La leva, per la pressione, potrebbe cedere, tu legati stretto e fai in modo che non accada prima che tutti vengano risucchiati. Ti prego, Lou, non fare niente di azzardato, non devi toccarla!" Annuisco mentre mi accarezza piano il viso e io lo guardo deciso prima di andare fuori.
Il buco nero è sempre più largo, tutto attorno ad esso il cielo è ormai scuro per le troppe navi Dalek presenti. Faccio un paio di respiri profondi pensando alla mia famiglia e poi a Harry, quindi mi lego saldamente vicino a quella maledetta leva.
Quando sono pronto, intimo al Dottore di iniziare e la corrente è fortissima, mi investe subito. Alzo a fatica gli occhi verso l'alto per vedere le navi risucchiate e orde di Cyber uomini innalzarsi dal terreno per essere risucchiati anche essi. 
Non sono passati neanche due minuti e la leva sta già cedendo. Sta cedendo e non siamo nemmeno a metà del lavoro. Resisto, perché me lo ha detto lui, almeno fino a quando non la vedo quasi tornare alla sua posizione originaria, il buco ormai quasi chiuso e troppi nemici ancora presenti.
Perché mi sto preoccupando, questa non è nemmeno la mia città! Esiste solo perché l'ho creata io, non c'è umanità, qui. Perché sono stato così stupido? 
In fondo volevo solo fare un favore anche a lui, liberarlo dai suoi più grandi nemici, garantirgli un po' di pace, finalmente.
Mi avvicino alla leva e, combattendo contro la corrente, tento di girarla di nuovo ma, ovviamente, perdo la presa e, urlando disperato, finisco nel buco.
Qualcuno mi afferra per i fianchi e io resto scioccato: è mio padre, sta benissimo e mi dice semplicemente "ti stavamo aspettando" prima di mettermi giù e mostrarmi dove ci troviamo.
Quando il Dottore mi ha detto che mia madre era scappata da quella famosa strage, è qui che deve essersi rifugiata.
"Non è la prima volta che viaggiamo tra dimensioni" mi dice infatti lei, abbracciandomi. Sono confuso, non può essere la stessa persona, e lei mi spiega che non lo è, che il Dottore mi ha mentito, che quel giorno anche lei era diventata un Cyber uomo e che aveva visto, di nascosto, tutto quello che avevo fatto.
"Sono tua madre. Aiden e il Dottore... sì, insomma..."
Sono distrutto, non voglio nemmeno ascoltarli. Lui lo sapeva, sapeva da sempre che sarebbe andata così, e ora capisco tutti i suoi sguardi cupi, i suoi silenzi. 
Perché mi ha permesso di farlo? Perché mi ha permesso di lasciarlo?
Piango disperato tra le braccia dei miei genitori per un tempo che non saprei nemmeno quantificare.

Sono svariate notti che faccio lo stesso sogno, ormai: sento una voce che chiama il mio nome. Finalmente mi sono deciso a raccontarlo a mia madre, mio padre e a Aiden. Chiunque altro avrebbe pensato che ero pazzo, ma non loro tre, loro ci hanno creduto. Perché hanno conosciuto il Dottore e hanno ascoltato il sogno.
Quella notte abbiamo fatto i bagagli, li abbiamo caricati sulla vecchia jeep di papà e siamo partiti.
Come diceva il sogno, abbiamo seguito la voce, attraversato l'acqua e continuato a guidare, per centinaia e centinaia di miglia. 
Perché lui chiamava.
Arriviamo sulla baia dove sono quasi precipitato quel giorno maledetto. E' immensa e deserta, mentre inizio a camminare nella speranza di non essere del tutto impazzito e di vederlo apparire, prima o poi.
Così accade.
Non è passato moltissimo tempo da quando ci siamo lasciati, ma lui è rimasto lo stesso, persino i capelli non sono cresciuti di un millimetro.
"Dove sei?" gli chiedo.
"Nel TARDIS" risponde lui tranquillo. "C'è ancora una piccola crepa nell'Universo e sta per chiudersi. Ci vuole un mare di energia per questa proiezione. Sono vicino ad una supernova. Sto bruciando un sole solo per dirti addio."
Non so cosa mi trattenga dal piangere, forse il vento che mi scompiglia i capelli e me li fa andare sul viso, sta di fatto che ci sto provando a sdrammatizzare.
"Sembri un fantasma" dico, perché effettivamente è trasparente e la cosa rende la situazione ancor peggiore di quanto non sia già.
"Aspetta" sussurra, azionando il cacciavite, che lo rende finalmente più visibile. La tentazione di toccarlo è troppa.
"Io posso..." provo a dire, infatti, ma lui mi blocca, col braccio già teso verso di lui.
"Resta solo un'immagine, niente tatto."
"Non puoi passare di qua?" E sono quasi implorante mentre lo chiedo, ma lui risponde tranquillo, come sempre.
"No" dice, "infrangerei tutto, i due universi collasserebbero. Dove siamo, piuttosto? Dov'è rimasta la crepa?" chiede, cambiando palesemente discorso.
Perché non vuoi passare di qua?
"Siamo in Norvegia, a qualche centinaio di miglia da Bergen. Quanto tempo abbiamo?" Sento di star sprecando tutto.
"Circa due minuti." E tu perché sei sempre così tranquillo?
"Non riesco a pensare cosa dire" esclamo, cercando di tenere a freno i capelli che mi coprono gli occhi e volgendo lo sguardo altrove, come se guardarlo potesse trafiggermi.
"Hai ancora il tuo Aiden, comunque." Io annuisco.
"Siamo in cinque, adesso, mamma papà, Aiden e... il bambino. La mamma è incinta di tre mesi."
Lo vedo stupirsi, finalmente.
"E tu che fai?" mi chiede.
"Io ho ripreso a lavorare in un grande magazzino" rispondo.
"Sono contento."
"Non dire bugie" soprattutto se le dici con quell'espressione, "comunque non è vero. Dò una mano in giro... visto che so un po' di cose sugli alieni."
Sta sorridendo?
"Louis Tomlinson, difensore della Terra. Tu sei morto, intendo sull'altra Terra. E invece eccoti qui, che vivi la tua vita giorno dopo giorno. Un'avventura che io non potrò mai avere."
E lo sapevo che non ce l'avrei più fatta, quanto durano questi due minuti? Stanno diventando i peggiori della mia vita.
"Ci potremo rivedere qualche volta?" chiedo tra le lacrime, pur sapendo la risposta che non vorrei mai sentire.
"Purtroppo no."
Appunto.
"E tu che cosa farai?"
"Ho ancora il TARDIS, e sarò l'ultimo Signore del Tempo."
Cosa ovvia, per lui.
"Resterai da solo." Mi hai fatto infrangere la mia promessa, non te lo perdonerò mai.
Sono in preda alle lacrime più copiose quando lo vedo annuire. Come fa ad essere così, come?
"Io..." balbetto, "io ti amo."
"Grande notizia! Io suppongo che... sia l'ultima occasione per dirlo. Louis Tomlinson..."
Ma i due minuti sono finiti prima che concludesse quella frase, mentre le mie lacrime continuano a scendere, e quasi perdo il respiro cercando di restare in piedi, di trovare un senso a quello che è appena successo, all'ulteriore dolore che mi è stato inflitto.
Non che avessi mai smesso di pensarci, non che fosse diminuito, come il mio amore per lui, in questi mesi, ma adesso non riesco a farcela, vorrei solo sparire.

Quando corri con il Dottore, pensi che non debba finire mai ma, per quanto tu possa provarci, non puoi correre per sempre.
Tutti quanti sappiamo che dobbiamo morire, e nessuno lo sa meglio del Dottore, ma io sono sicuro che tutti i cieli di tutto l'Universo cadrebbero nell'oscurità se lui un giorno, anche solo per una volta, lo accettasse.
Tutti sappiamo che dobbiamo morire, ma non ogni giorno, non oggi.
Ci sono giorni speciali, giorni davvero molto fortunati. Ci sono giorni in cui non muore nessuno e, ogni tanto, anche se molto, molto raramente, diciamo un giorno su un milione, quando il vento soffia leggero e il Dottore risponde alla chiamata, tutti vivono.

Ricordate che lui vi ha salvato la vita così tante volte e voi non sapevate nemmeno che c'era.
Lui non smette mai, non si ferma mai, non chiede mai di essere ringraziato.
Io l'ho visto, però, io lo conosco bene. 
E lo amo.



***
*Va a nascondersi sperando che ci sia qualcuno che sia arrivato a leggere fino qui*
Dunque anche questa storiella è finita. Credetemi, nemmeno le mie os più lunghe e complesse mi hanno prosciugato l'anima quanto questa storia, ma sono comunque contenta di averla scritta.
Il conteggio finale arriva a 20254 parole e, se avessi dato il giusto spazio a tutti gli esseri strani che popolano l'universo del Dottore, sarebbero state anche il doppio, quindi amatemi che non vi ho ammorbate troppo!
Ancora una volta ringrazio le ideatrici del contest e spero di aver incuriosito qualcuno perché non si può vivere senza Doctor Who! :)
xxx

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