A.I.U.T.O. fantasma!

di Black Poisoned Mirror
(/viewuser.php?uid=885820)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


La scrittrice entrò a passo svelto nell'atrio della 'Casa di riposo Jones'. Si avvicinò al banco della reception, dietro al quale era seduta una ragazza con i capelli biondi legati in una coda di cavallo, intenta a pitturarsi le unghie con uno smalto rosa acceso.
«Buon giorno, sono qui per incontrare...» la scrittrice controllò qualcosa su un foglietto che teneva in mano «la signora Astrid Stone.»
«Camera venti, primo piano.» rispose la ragazza senza nemmeno alzare lo sguardo.
«La ringrazio.»
La stanza numero venti era ampia e luminosa. Attaccati ad una parete c'erano una mensola piena di trofei, e la foto di una ragazza sorridente dai lunghi capelli castani che reggeva un attestato con su scritto: ''Vincitrice del concorso canoro di Londra''. Gli unici altri mobili presenti nella stanza erano una libreria, un letto dalla trapunta color pesca e un basso tavolino con due poltrone imbottite, una delle quali era occupata da una donna minuta e anziana intenta a parlare con un uomo alto dalla carnagione ambrata.
«Ehm, scusate... la signora Stone è qui?» chiese la scrittrice facendo un passo avanti.
L'anziana donna la guardò con degli occhi scuri brillanti ed attenti.
«Sono io.»
La scrittrice si avvicinò agli altri due.
«Salve! Mi chiamo Sylvia Moore, e sono qui per l'avviso che ha pubblicato recentemente sul Times...»
La signora Stone le strinse la mano con un sorriso, poi si rivolse all'uomo.
«Dottor Patel, sono molto mortificata, ma non potremmo rimandare queste... questioni ad un'altra volta?»
L'uomo sospirò, passandosi una mano tra i folti capelli neri.
«D'accoro, signora Stone, ma non creda di averla scampata! Adesso vi lascio. Arrivederci, signorina Moore.» rivolse un'ultimo sorriso a Sylvia e uscì dalla stanza.
«Bene, mia cara, si accomodi, prego.»
«Mi dispiace averla interrotta...»
«Oh, non si preoccupi, anzi, la ringrazio di cuore. Il dottor Patel è un bravissimo giovane, ma mi riprende sempre perché dice che non faccio abbastanza attenzione a quello che mangio!» disse la signora Stone con un'espressione divertita.
«Comunque, passando a questioni più importanti: ha detto di essere qui per ascoltare la mia storia... Posso chiederle che cosa vuole farne?»
«Mi piacerebbe ricavarne un libro. Naturalmente ci vedremo altre volte, e ci metteremo d'accordo sulla sua percentuale, e...» la signora Stone la bloccò con un gesto della mano.
«Non mi interessano i soldi, e se vorrà pubblicare ciò che le dirò, per me non ci saranno problemi. Non ho mai raccontato a nessuno quello che sto per raccontare a lei, ma ormai sono vecchia, e sento il bisogno di parlarne con qualcuno. Sarà meglio iniziare, è una storia piuttosto lunga.»
Sylvia estrasse un block notes, e la signora Stone chiuse gli occhi ed iniziò a raccontare...

«Mi ero sempre reputata una persona normale, senza nessuna particolare qualità. Si poteva dire che andavo bene a scuola, nonostante non fossi la prima della classe, e che ero brava negli sport, ma nemmeno lì brillavo per i miei risultati. Ero un puntino nero in un'infinita di puntini neri identici ad esso.
Era un uggioso pomeriggio di novembre, e mi trovavo a scuola. Mi fermavo spesso dopo le lezioni per studiare in biblioteca, ma quel pomeriggio, chissà perché, non riuscivo proprio a concentrarmi. Decisi che tanto valeva andare a casa, riordinai le mie cose e mi avviai lungo il corridoio. Fu allora che udii una melodia provenire dal piano superiore. Era una musica lenta e un po' malinconica, che m catturò immediatamente. Come se una strana forza mi stesse tirando, tornai sui miei passi e salii le scale. Il corridoio del secondo piano era deserto. Mi avvicinai in silenzio all'aula da cui proveniva la melodia. La porta era leggermente socchiusa. Mi accostai più silenziosamente che potei alla fessura e vidi nella sala un ragazzo intento a suonare al pianoforte, un sorriso appena accennato sul volto. Rimasi a fissarlo, incapace di distogliere lo sguardo.
Se io scomparivo nella massa, ero certa che lui riuscisse ad emergere in qualunque situazione. Indossava una maglietta nera e dei jeans neri scoloriti; il suo abbigliamento faceva risaltare ancora di più i capelli, bianchi. In quel momento, parve accorgersi della mia presenza, ed alzò lo sguardo verso di me. I suoi occhi erano dello stesso colore del cielo nei giorni di pioggia. Mi sentii arrossire, e mi ritrassi d'istinto.
Dalla stanza non provenne alcun rumore per cui, dopo qualche secondo, mi azzardai a guardare nuovamente dalla fessura.
Il ragazzo non c'era più.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Spalancai di colpo la porta e mi precipitai all’interno dell’aula. Era vuota. Le uniche due vie d’accesso erano la porta e le finestre in fondo all’aula e, poiché ero certa che lo strano ragazzo non fosse uscito dalla prima, poteva essersene andato solo dalle finestre. Mi avvicinai a queste ultime, ma erano tutte chiuse dall’interno. Sentii un brivido corrermi lungo la schiena, e mi affrettai ad andarmene.
Fuori l’aria era fredda, e spirava un vento leggero. Mi avviai attraverso il cortile della scuola, stringendomi nella giacca. E poi lo vidi. Era appoggiato ad una quercia quasi del tutto spoglia, le mani affondate nelle tasche, apparentemente incurante del freddo, e mi fissava con i suoi occhi grigi. Mi fermai, il fiato che creava delle nuvolette di condensa davanti al mio viso. Lui si staccò dall’albero e mi si avvicinò. Sorrise appena.
“Ciao.”
“C-ciao.” balbettai.
“Tu… Riesci a vedermi vero?”
Lo fissai perplessa.
“Certo… Perché non dovrei?”
Lui si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli. Sembrava contento per una qualche ragione a me ignota.
“Diciamo che è un po’ complicato da spiegare…” Cadde un silenzio imbarazzato.
“Non hai freddo?” mormorai indicando le sue braccia nude. Lui alzò le spalle.
“Non molto.” Sorrise di nuovo.
“In ogni caso, io sono Arthur.”
“Astrid.” Cadde di nuovo il silenzio, poi io sospirai. “Beh, Arthur, è stato un piacere, ora però dovrei proprio andare…”
“Sono un fantasma.”
Spalancai gli occhi, pensando di aver capito male.
“Come, prego?”
“Ho bisogno del tuo aiuto.”
“D-del mio aiuto? MI spiace, ma non ti seguo.”
“Ascolta… è una faccenda un po’ strana, e probabilmente non mi crederai, ma ti assicuro che è la verità: mi chiamo Arthur, e sono…” esitò, forse cercando la parola adatta.
“Pazzo?” suggerii io.
“Morto.”
“Oh. Immagino che il problema sia un po’ più grosso, allora. Comunque, avevi ragione.”
Arthur sembrò stupito.
“Davvero?”
“Sì: non ti credo. I fantasmi non esistono! Ora scusa, ma devo proprio andare.”
Feci per superarlo, ma lui mi afferrò per un braccio.
“Ferma, ferma! Posso dimostrarti che è tutto vero.” Detto questo, Arthur scomparve all’improvviso.
Rimasi immobile in mezzo al cortile, senza capire che cosa fosse successo.
“Ehi!” sentì qualcuno gridare, alzai lo sguardo e vidi una figura vestita di nero sul tetto della scuola.
“Sta a vedere!” Non capivo come fosse arrivato lassù, né che cosa avesse intenzione di fare, e quando lo realizzai, era troppo tardi.
“Fermo!” gridai, mentre Arthur si lanciava nel vuoto, cadendo verso il basso come un sasso lanciato da una fionda.
Atterrò con un tonfo sordo sul terreno, e rimase immobile. Mi avvicinai a piccoli passi. Il ragazzo giaceva supino sul cemento, gli occhi chiusi, ma non sembrava ferito.
“Ehm, pronto? Ci sei? Arthur?” chiamai, pur sentendomi un po’ ridicola. Nessuno poteva sopravvivere ad un volo del genere. Poi, di colpo, Arthur spalancò gli occhi e scattò a sedere.
Lanciai un urlo.
“Ma sei impazzito? Come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? Potevi…” mi bloccai.
Lui si rialzò e si spazzolò gli abiti con aria noncurante, poi mi guardò.
“Adesso mi credi?”
Sospirai. “Oddio, devo essere impazzita.”
E svenni.
 
 
 
Spelonca dell’autrice:
Salve! A chi sta leggendo questa storia, chiunque tu sia, grazie! Sto aggiornando un capitolo ogni era geologica, più o meno, causa scuola e impegni vari, ma mi impegnerò per aggiornare più spesso, quindi… Continua a seguire la storia, e recensisci!
Bye!    
B.P. Mirror

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Quando riaprii gli occhi, mi ritrovai nel mio letto, in camera mia. Balzai a sedere di scatto, e trovai Arthur comodamente spaparanzato sulla mia poltrona da lettura.
“Oh, finalmente sei sveglia!” esclamò lui tutto giulivo.
“Come cavolo hai fatto a portarmi qui?”
Mi sembrò che le guance pallide di Arthur assumessero un vago colorito roseo, ma credetti di essermelo immaginato.
“Ehm…” si passò una mano dietro la nuca “Diciamo che ho dovuto… Possederti.”
Gemetti. “Perché suona come una cosa per nulla piacevole? No, aspetta, non dirmelo, non voglio saperlo.” Scostai con decisione le coperte e mi alzai. Per un attimo mi girò la testa, e dovetti sedermi sul letto a riprendere fiato.
“Oh, tranquilla, è solo un effetto della possessione. Succede a tutti.”
“Parli come se possedessi la gente tutti i giorni.”
Di nuovo il fantasma assunse un’aria piuttosto imbarazzata.
“Beh, diciamo che mi è capitato di fare qualche prova con il bidello ciccione al secondo piano… Mangia sempre delle ciambelle dall’aria molto invitante.”
“E possedendolo ne senti anche tu il sapore?”
“Più o meno.”
“Beh, sappi che per quanto mi riguarda non sei affatto autorizzato a  prendere il controllo del mio corpo solo per assaggiare la pastasciutta che ho nel piatto!”
Finalmente la testa aveva smesso di girarmi, così scesi al piano di sotto.
Sul tavolo della cucina c’era un biglietto.
‘’Emergenza in ospedale. La cena è in frigo. Ti voglio bene, Mamma’’
Sospirai. Avere una madre che lavorava come infermiera poteva essere decisamente scomodo, a volte. Aprii il frigorifero ed individuai subito un piatto coperto dalla stagnola. Tolsi la copertura e misi il piato nel microonde, poi mi sedetti al tavolo della cucina. Arthur si sedette di fronte a me.
“Allora…” mi passai una mano sul viso “Prima, nel cortile della scuola, avevi detto che hai bisogno di aiuto. Di che cosa si tratta?”
“Beh, più che di aiuto, avrei bisogno di un A.I.U.T.O.”
“Come prego?”
“Accordo Infrangibile tra Umano e Trapassato Oltraggiato. In breve, A.I.U.T.O.”
“E questa da dove l’hai presa?” ero esterrefatta.
“Me la sono inventata io. Figo, eh? Comunque, ora non è il momento. Diciamo che ho semplicemente bisogno che tu stringa un patto con me.”
“Vale a dire?”
“Devi aiutarmi a realizzare l’ultimo desiderio che ho espresso prima di morire.”
“Ok… E di grazia, quale sarebbe questo ultimo desiderio?”
“Non me lo ricordo.”
Mi battei una mano sulla fronte.
“Stupendo! Dovrei aiutarti a portare a compimento qualcosa, senza che nemmeno tu sappia cosa sia! Lo sai che non sono un qualche strano tipo di veggente, vero?”
“Aspetta, non ho finito. Non mi ricordo quale fosse il desiderio, ma so che aveva a che fare con una certa Beatrice Ronchi. E’… Voglio dire era… La mia fidanzata.”
“Wow.” non sapevo cosa dire. Non mi ero nemmeno chiesta come fosse la vita di Arthur prima della sua morte.
“Arthur, posso… Posso chiederti come sei morto?”
Lui sorrise, ma era un sorriso privo di allegria.
“Incidente d’auto, credo. L’ultimo ricordo che ho di quando ero vivo sono i fari di una macchina, quindi… Poi quando mi sono svegliato, ero a scuola. Non so come io ci sia arrivato, né perché.”
Riflettei, poi fu come se una lampadina mi si fosse accesa in testa.
“E se la chiave per il tuo ultimo desiderio fosse proprio a scuola?”
Lui mi fissò sorpreso. “Può darsi, non mi ero mai soffermato a pensarci…”
“Allora cominceremo da lì. Ti ricordi l’aula in cui ti trovavi?”
“Quella con il pianoforte, dove ero questo pomeriggio.”
“Bene, allora partiremo da lì.”
Il forno a mircoonde suonò. Tirai fuori il piatto cercando di non bruciarmi. Polpette e spinaci, il mio piatto preferito. Infilzai una polpetta con la forchetta, e la puntai verso Arthur con aria di finta minaccia.
“Preparati! Domani ci aspetta una ricerca molto impegnativa!”
Lui sorrise speranzoso.
“Significa che mi aiuterai?”
“Significa che ci proverò, anche se non ti prometto nulla.”
“Grazie.”
Sorrisi a mia volta. Era strano come, dopo solo poche ore che lo conoscevo, iniziassi già a vedere Arthur come un buon amico. Mi piaceva parlare con lui.
“Non c’è di che.”
 
 
 
Spelonca dell’autrice: Buonsalve, gente! Bene, finalmente ho aggiornato!
*esplosioni di fuochi d’artificio e suono di tamburi in lontananza per celebrare il miracolo*
Sì, sì, lo so, sono melodrammatica… Comunque! Cosa ne pensate? Sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo. Vediamo quando riuscirò ad aggiornare, per ora vi saluto e aspetto le vostre recensioni. Ciao!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


“Accidenti, non è possibile! Deve essere qui da qualche parte…” esclamai scartabellando per l’ennesima volta tra le pile di spartiti ammassate all’interno dell’armadio. Io ed Arthur avevamo passato le tre ore precedenti ad esaminare ogni centimetro dell’aula di musica alla ricerca di un indizio che ci conducesse a Beatrice.
Il fantasma sospirò.
“A quanto pare ci siamo sbagliati.” disse, sedendosi sullo sgabello del pianoforte con aria afflitta.
“Uffa, non puoi arrenderti adesso! Ci manca tanto così, perché…” non feci in tempo a terminare la frase, che la porta dell’aula si aprì. Mi interruppi di colpo, e i miei occhi incrociarono quelli verdi di un ragazzo alto, dal viso ricoperto di efelidi e i capelli biondo cenere.
“Ehm, tutto bene? Ho sentito dei rumori e mi è sembrato strano, perché qui non viene mai nessuno.” disse.
“Oh, io stavo solo…” mi interruppi guardando con aria imbarazzata le pile di fogli impolverati sparsi ai miei piedi. Il ragazzo seguì il mio sguardo.
“Stavi cercando qualcosa?”
“Un documento.”
“Uno spartito?”
“Beh, non lo so proprio di preciso, ma credo di sì.”
Lo sconosciuto sorrise. Che bel sorriso, pensai, e mi sentii arrossire.
“Forse posso darti una mano. Ah, quasi dimenticavo, io sono Matthew, ma puoi chiamarmi Matt.”
“Piacere, Astrid.”
“Dunque, sai chi sia l’autore del documento?”
“Credo si chiamasse Arthur…” mi resi conto che non sapevo il suo cognome, ma Matt parve non accorgersene.
“Aspetta, potrebbe essere Arthur McGill? Ho preso un paio di spartiti da qui il mese scorso… Forse sono quelli che stai cercando.” Matthew frugò nello zaino che aveva con sé, e ne estrasse una cartellina piena di fogli sciolti. Erano spartiti per pianoforte.
“Suoni?” chiesi.
“Sì, la chitarra.”
“E allora come mai…” Lui ridacchiò. “Ho un amico che suona il piano. Quando ho trovato questi spartiti ho pensato potessero piacergli, così li ho presi… In prestito, diciamo. Ecco qua, dai pure un’occhiata.” Mi porse il plico di fogli. Il titolo del primo brano era “Notturno”. Lo presi in mano e lo sfogliai, osservando la distesa di piccole note nere che ricopriva la pagina. In fondo c’era la firma dell’autore, scritta nella stessa grafia disordinata del titolo: Arthur McGill.
“Ora ricordo! E’ questo! Ne sono sicuro!” esclamò Arthur guardandomi con la stessa faccia di un bambino il giorno di Natale.
“Credo che sia proprio questo quello che stavo cercando.” dissi a Matt, che mi sorrise.
“Beh, sei stata fortunata che sia passato di qui oggi. Volevo rimetterlo a posto dato che non mi serve più, ma immagino che nessuno si accorgerà se lo tieni tu per un altro po’. Posso chiederti perché lo cercavi? Suoni il piano?”
“No, è per… un amico.”
“Capisco.  Beh, ora devo andare. Vuoi una mano per rimettere a posto qui?”
“No, grazie, ce la faccio da sola, non ti preoccupare.”
“Allora ci vediamo in giro?” mi chiese lui.
“Immagino di sì.” sorrisi, mentre Matt raccoglieva le proprie cose e usciva.
Quando se ne fu andato, Arthur si girò verso di me e mi guardò con aria furbetta.
“Che c’è?” chiesi.
“Allora ci vediamo in giro?” disse, facendo il verso all’altro.
“E dai, smettila! E’ stato solo grazie a lui se abbiamo trovato lo spartito.”
“Hai ragione, si meriterebbe un bacio! Anzi, aspetta, vado a darglielo! O preferisci sostituirmi?” chiese e ridacchiò.
“Ti ho detto basta!” esclamai, e mi accorsi di essere arrossita di nuovo. Arthur smise di trattenersi e scoppiò a ridere, iniziando a riporre gli spartiti sugli scaffali. Lo imitai, fino a che…
“Beh, sei stata fortunata che sia passato di qui oggi!”
“Arthur, piantala! Quando ti impegni, sei davvero insopportabile, accidenti!”
 
 ***

Quella sera, dopo cena, io ed Arthur eravamo seduti sul letto in camera mia.
“Perché quello spartito è così importante?” chiesi con uno sbadiglio.
“E’ stato l’ultimo spartito che ho composto prima di morire.”
“Scrivevi musica?”
“Già. Quello lo avevo scritto per il compleanno di Beatrice. Non ho mai potuto farglielo sentire. Avrei tanto voluto vedere la sua faccia.”
“Oh. Dovevi tenere davvero molto a lei, per avere questo come ultimo desiderio.”
Lui annuì. Sembrava pensieroso.
“Arthur, a che pensi?”
“Solo… Adesso, che cosa devo fare? Voglio dire, non ho idea di dove si trovi, e anche se lo sapessi, non credo di poter semplicemente andare lì e mettermi a suonare su un pianoforte a caso, la spaventerei.”
“Magari riesce a vederti anche lei.”
“Magari… Ma resta il fatto che non ho idea di come trovarla.”
 “Veramente, sapendo nome e cognome, è abbastanza facile trovarla.” Mi avvicinai al computer sulla scrivania, e aprii una pagina di Internet. Entrai su Facebook.
“Che cos’è questa roba?” chiese Arthur con aria stupita.
“Come sarebbe a dire, non sai che cos’è Facebook?”
“Mai sentito prima.” Mi bloccai.
“Aspetta un attimo. Che anno è?” Arthur mi guardò come se fossi pazza.
“Facile, siamo nel duemila, no?”
Sospirai, e mi passai una mano sul volto.
“Arthur, siamo nel duemilasedici. Questo vuol dire che… sei morto da più o meno quindici anni.”
Lui mi guardò con aria sconvolta.
“Stai scherzando, vero?”
“No, per nulla. Quanti anni avevi, quando sei morto?”
“Diciassette.”
“Quindi Beatrice adesso dovrebbe avere trentadue anni. Beh, adesso capisco perché avevi un bisogno così disperato del mio aiuto! Forza, vediamo che fine ha fatto la tua bella, d’accordo?”
Arthur annuì piano. Sembrava ancora più pallido del solito, e aveva un’espressione preoccupata dipinta sul volto.
Digitai nome e cognome di Beatrice sulla barra di ricerca, e subito comparvero una decina di risultati. Il primo mi colpì immediatamente. Nella foto profilo era ritratta una donna con folti capelli rossi e ricci e magnetici occhi verdi, il viso ricoperto di lentiggini. Aveva un viso vagamente familiare.
“Eccola! E’ uguale a com’era da giovane.” Arthur assunse un’espressione intenerita.
Cliccai sul profilo della donna. Risultava residente a Londra, impiegata presso la Stapleton Library.
Scorsi la sua bacheca, e aprii il suo album di foto. La prima foto che comparve mi mozzò il fiato.
“N-non è possibile.” mormorai.
Nella foto, una Beatrice sorridente abbracciava un ragazzo che aveva in mano una chitarra elettrica. La didascalia recitava: “Primo live degli Storm! Forza ragazzi!”.
Il ragazzo con in mano la chitarra era Matthew.
 
 
Buonsalve gente! Grazie per aver letto questo capitolo! Finalmente ho aggiornato! Yeee! Spero che il nuovo capitolo vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me scriverlo. Cercherò di aggiornare più spesso, ora che la scuola è finita, quindi a presto! (almeno spero!)
Bye!
B.P.Mirror

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3268829