And even if it all goes bad, it was the best time we ever had

di Lorss
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** And if you pray, well, no one's gonna save you ***
Capitolo 2: *** All I wanna do is make you happy ***
Capitolo 3: *** Disappear and not return again ***
Capitolo 4: *** Only thing I know, you're the Origin of Love ***
Capitolo 5: *** I'm coming home ***
Capitolo 6: *** It was the drink, it was leading me by ***
Capitolo 7: *** Thank you for the time you’ve taken cleaning up the mess I’ve made ***
Capitolo 8: *** It is the best time I've ever had ***



Capitolo 1
*** And if you pray, well, no one's gonna save you ***


“Michael Penniman?”
Mika si rizzò sulla sedia al suono della voce dell’infermiera. “Sì, sono io”, rispose, alzandosi in piedi e schiarendosi la voce. Ormai, era pronto a tutto.
 “La situazione si è stabilizzata. Sua sorella non è più in pericolo di vita”.
Il ragazzo rimase senza fiato. Non rispose, si limitò ad annuire e tornò a sedersi senza neanche aspettare che l’infermiera andasse via; per quanto tempo aveva aspettato – o meglio, sperato – in quella notizia? Tuttavia, non riuscì a sentirsi sollevato. Si sentiva terribilmente solo, invece.
Passò qualche secondo prima che componesse il numero della madre, tornata a casa quella mattina dalla notte in ospedale. “Mika?”, rispose preoccupata al secondo squillo. “Mamma”, disse il figlio dopo aver preso fiato “Paloma sta bene”.
Rimase a fissare il pavimento, con la madre dall’altro capo del telefono che invece diventava un uragano di parole, la voce rotta dalle lacrime che gli rivolgeva domande senza neanche aspettare una risposta. Mika non la ascoltava, attese che si sfogasse e poi aggiunse soltanto “Raggiungimi in ospedale”, prima di riattaccare.
Mise il cellulare in tasca e si lasciò cadere sulla sedia, allungò le gambe, poi con le mani si strofinò gli occhi e si massaggiò le tempie. Sentiva un leggero formicolio alla testa. Da quando non chiudeva occhio? In realtà, era da un po’ che neanche riusciva a sentirsi umano. Aveva smesso di volere chiunque intorno, aveva deciso che quella notte, quando gli hanno portato via la sorella in ambulanza, la vita gli stava dicendo che di lui ne aveva abbastanza, lui ne aveva abbastanza. Aveva deciso che preferiva proteggersi , quella volta, piuttosto che soffrire di nuovo. Era stato l’unico a non piangere. Aveva asciugato le lacrime di suo fratello, delle sue sorelle, di sua madre. Aveva tranquillizzato suo padre che era bloccato a Dubai. Aveva rassicurato Andy di stare bene. E il resto delle sue forze le aveva impiegate per pregare; non aveva un bel rapporto con Dio, ma il “suo” Dio non era come gli altri, lo avrebbe capito e lo avrebbe aiutato, se davvero era come se lo era figurato. Era un Dio tollerante, il suo.
Riprese il cellulare dalla tasca e digitò il numero di Andy, alzandosi in piedi e cominciando a passeggiare per il corridoio mentre aspettava una risposta. “Pronto?” disse infine il compagno “Ho ricevuto il messaggio da tua madre. Cinque minuti e sono lì”. Non c’era stato neanche il bisogno di parlare, ormai lo conosceva bene e sapeva perfettamente quando aveva bisogno di lui e quando doveva sentirsi forte abbastanza da essere lasciato solo. Cominciò a vagare lentamente per quel corridoio lungo e bianco, fermandosi di tanto in tanto a guardare fuori da una delle finestre disposte in fila sul lato destro. Era una fredda giornata di sole, insolita per l’Inghilterra nel periodo invernale, ma che comunque non rendeva meno terribile il periodo che Mika stava affrontando.
Avrebbe fatto di tutto per tornare indietro a quella notte di appena due settimane prima, per fermare sua sorella dal sedersi sul davanzale della finestra del suo appartamento, un gesto così stupido che però aveva rischiato di non farle vedere mai più la luce del giorno seguente. In realtà, neanche a lui sembrava di aver mai più rivisto la luce del sole. O meglio, da quella notte, il sole non gli è mai più sembrato sufficientemente splendente.
Un vociore confuso lo distrasse dai suoi pensieri, dei passi celeri e rumorosi si avvicinavano; Yasmine e Zuleika, seguiti da Fortunè e sua madre Joannie, erano un tornado inarrestabile verso di lui.
Fu Yasmine la prima a raggiungerlo, aumentando il passo per coprire più velocemente la distanza tra loro. “L’infermiera è dentro”, si affrettò a dire Mika prima di dover affrontare la loro euforia “Chiedete a lei”. Yasmine si fermò di colpo mentre i suoi occhi azzurri gettavano saette verso il fratello “Vuoi dire che in tutto questo tempo non le hai chiesto niente? Sei pazzo o cosa?!”, disse avvicinandosi minacciosamente a Mika, perdendo il controllo della sua voce. “Andiamo, Yasmine” il tono pacato di Zuleika tranquillizzò la sorella, mentre si faceva avanti per prenderle la mano “Hai sentito cosa ha detto, lascialo in pace”. Come al solito, era Zuleika la più sensibile alle emozioni del fratello maggiore, mentre l’inarrestabile Yasmine faticava a tenere a bada la sua impulsività; dietro, intanto, il fratello teneva stretto il corpo abbondante e rotondo della madre ancora scossa da quella notizia, e, senza dire una parola, guidò tutti gli altri nella stanza di Paloma. Aveva assunto la stessa posa del fratello maggiore, lo sguardo alto di chi teneva tutto sotto controllo e le gambe sottili che avanzavano con passi lunghi e decisi; era lui a essere l’uomo di casa, in quel momento.
Mika decise di prendersi qualche secondo per rimanere da solo e metabolizzare tutto quello che era accaduto prima di raggiungere la sua famiglia. Poggiò la schiena al muro mentre sentì di nuovo una porta chiudersi in lontananza e dei passi avvicinarsi; tenne lo sguardo dritto al muro di fronte a sé mentre sentiva Andy aumentare il passo. Si precipitò di fronte a Mika e attese pazientemente che il suo sguardo arrivasse ai suoi occhi verdi, poi gli prese le mani e si avvicinò per dargli un bacio, senza essere respinto per la prima volta da dopo l’incidente. Gli baciò le labbra e poi lo cinse in un abbraccio, il corpo del libanese che però rimase distaccato ai movimenti del fidanzato. “Meeks” parlò a voce bassa e decisa “E’ tutto finito, adesso”. Disse le parole giuste, perché in quel momento Mika sembrò riprendere coscienza e, lentamente, ricambiò l’abbraccio. Annuì, poi portò indietro la testa per incontrare gli occhi di Andy e poggiò la fronte alla sua. Passò qualche secondo poi, finalmente, le lacrime riempirono gli occhi di Mika. Nessuno dei due si mosse quando le lacrime cominciarono a rigare il viso dai tratti arabi del primo e a scendere sempre più insistenti, ora che non erano più soppresse da nessuno. Quando il suo corpo sottile cominciò a tremare per la tensione di quel pianto e il respiro divenne pesante, il ragazzo dai capelli rossicci prese la testa di Mika e se la portò al petto, cercando di ammortizzare in qualche modo i singhiozzi e i fremiti del compagno. Lo strinse forte, lo lasciò piangere e poi urlare, le sue mani che gli stringevano la camicia e i muscoli delle braccia contratti allo scopo di sfogare tutta la tensione accumulata fino a quel momento, mentre Andy lo trascinava verso il giardino esterno dell’ospedale.
“E’ tutto uno schifo. Mi deve andare per forza tutto uno schifo”, disse Mika tra i singhiozzi, la testa appoggiata al petto di Andy mentre ancora gli torturava i vestiti. “Questo posto è una lurida merda!”, sbottò infine, il tono di voce sempre più nevrotico mentre continuava a imprecare.
Andy cercava di mantenere la calma mentre ascoltava il compagno sfogarsi. Sapeva bene cosa avesse sofferto in passato e avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma decise che la cosa più giusta sarebbe stata quella di non intervenire, sperando che le carezzesulla  sua schiena e i baci che gli lasciava sui capelli scuri servissero in qualche modo a tranquillizzarlo.
Ma quando gli insulti non accennarono a placarsi, e nemmeno il tono di voce si fece più tranquillo, Andy cominciò a preoccuparsi “Mika, basta.” Cercò di assumere un tono quanto più fermo e rassicurante possibile, “la tua voce..”
“A me non frega un cazzo della mia voce!”, urlò il compagno senza lasciargli completare la frase “A me non frega un cazzo di nessuno!!” aggiunse, guardandolo diritto in faccia, con gli occhi pieni di lacrime e il viso arrossato per lo sforzo. Si lasciò cadere sul prato; rimase con la testa fra le mani mentre cercava di riprendere fiato, mentre Andy rimase in piedi a osservarlo senza sapere cosa fare. “Io vado a vedere come sta Paloma”, disse infine, e scomparve dietro la porta d’ingresso.
Mika rimase accovacciato a terra, il respiro affannoso, mentre cercava di riprendersi da quel tripudio di emozioni che ancora lo torturavano per averle soffocate per tutto quel tempo. Non riusciva più a stare al passo con la sua vita, ormai. Non avrebbe sopportato una sola, ulteriore punizione che la vita aveva da offrigli. Aveva bisogno di scappare via e lasciarsi il mondo alle spalle. Volare via, da solo.
Quando riuscì a calmare il respiro, mettendo in ordine i pensieri delle ultime ore, si rialzò in piedi. Si avviò deciso verso la stanza di Paloma, sotto lo sguardo di tutti i suoi familiari meno sua madre, che doveva essere dentro con la sorella. Notò l’espressione di Andy tranquillizzarsi quando lo vide entrare, gli occhi che cercavano i suoi mentre studiavano la sua espressione; anche i suoi fratelli si tranquillizzarono vedendolo, cosa che gli fece pensare che dovevano averlo sentito nonostante gli sforzi del suo ragazzo; arrossì di imbarazzo, odiava rendersi così vulnerabile. Per tutta risposta, Yasmine si avvicinò ad abbracciarlo, gli occhi lucidi e l’espressione ancora scossa per le forti emozioni di quel pomeriggio, mentre Fortunè si limitò a dargli una pacca affettuosa sulla spalla rivolgendogli un sorriso timido. Zuleika rimase invece al suo posto, lo sguardo dolce rivolto al fratello tradito solo dalle lacrime che ancora le accarezzavano il viso. Ma Mika non era ancora pronto ad affrontare tutte quelle emozioni, così chiese semplicemente quando poteva entrare da Paloma, con Yasmine che ancora lo stringeva tra le braccia.
“Quando vuoi” rispose sua sorella minore. Senza aggiungere altro, Mika si sciolse dall’abbraccio ed entrò.
Non lasciò trasparire nessuna emozione quando vide sua madre che accarezzava, scossa, il corpo debole della sorella, ancora incosciente a causa dei farmaci antidolorifici. Aveva ripreso un po’ di colore, notò il fratello, ma ancora gli veniva la pelle d’oca quando si fermava ad osservarla.
Dopo che l’amica di sua sorella quella notte lo chiamò per dirgli cosa fosse successo, corse senza vestiti e senza scarpe fino all’appartamento di Paloma, dove dei poliziotti gli chiesero se fosse sicuro di voler assistere alla scena. “Sì”, disse, “Devo vedere”. Era peggio di quanto si aspettasse. Il corpo della sorella era a terra, poco distante dal cancello su cui era caduta dal terzo piano, e una barra di ferro era ancora conficcata nell’anca, troppo in profondità per essere rimossa a mani nude. Le gambe avevano preso un’angolazione innaturale e il viso era pallido per tutto il sangue che stava perdendo; quando la portarono via in ambulanza era troppo debole per urlare di dolore.
Non aveva mai visto niente del genere. Da quella notte, quell’immagine continuava a popolare i suoi incubi – le poche volte in cui il sonno aveva la meglio.
Mika si fece avanti e strinse la mano libera di sua madre, che, rassicurata dal tocco di suo figlio, poggiò la guancia all’altezza della sua spalla e si lasciò andare in un pianto liberatorio e commosso. “Oh, Meeks” disse tra i singhiozzi. “Va tutto bene, mamma. Stavolta è tutto finito” rispose sinceramente il figlio che però la superava di 30 centimetri buoni; si chinò per darle un bacio tra i capelli e rimasero per qualche secondo in silenzio, la guancia della madre poggiata al petto di Mika e quest’ultimo che le cingeva le braccia dall’alto dei suoi centimetri di troppo, mentre entrambi ascoltavano il respiro regolare di Paloma.
“Sarà meglio che vada, prima che vengano a prendermi le infermiere”, sorrise Joannie, asciugandosi le ultime lacrime dai suoi occhioni scuri. Mika annuì e le sorrise di rimando, rimettendosi diritto per lasciarla andare. “Ciao, mamma” le disse, un saluto che sarebbe stato l’ultimo prima di chissà quanto tempo. “Ciao, Mika” la madre si avvicinò alla figlia per darle un’ultima carezza prima di avviarsi verso la porta.
Il dolore che la donna aveva affrontato nel corso della sua vita e l’età che avanzava, le avevano fatto perdere parte della bellezza che sfoggiava durante la sua giovane età, ma nonostante il corpo rotondetto e le prime rughe della vecchiaia, Mika continuava ad essere affascinato da sua madre, dall’eleganza con cui ancora si muoveva e dalla galanteria con cui affrontava le persone; erano queste alcune delle cose in cui si sforzava di assomigliare sempre di più a lei, con suo fratello e le sue sorelle al seguito.
Rimasto solo, si avvicinò a Paloma e le diede un bacio leggero sulla fronte. “Ciao Paloma, io parto” ammise, per la prima volta ad alta voce, “Chiamami quando ti rimetterai in forze”.

Quando uscì, c’era solo Andy seduto ad aspettarlo. “Ciao,” gli disse timidamente Mika, “andiamo?”. Il ragazza gli annuì, rincuorato dalla tranquillità delle sue parole e si alzò prontamente. “Tutto bene?” gli disse, mentre si avviavano verso la macchina con cui era arrivato e la mattina stessa aveva lasciato il compagno. “Tutto bene. Per adesso”, rispose Mika; Andy sollevò gli occhi al cielo e si voltò per lascargli un forte bacio sulla bocca “Sei sempre il solito pessimista” disse, tornando al suo fianco e prendendogli la mano. Sorrise. Finalmente tornava a casa con il suo  Mika.

 

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Capitolo 2
*** All I wanna do is make you happy ***


Il sole tramontava quando raggiunsero la loro casa a tre isolati dall’ospedale. Avevano deciso di prenderla qualche mese prima dell’incidente, e Paloma ne aveva presa un’altra poco distante per essere vicina a Mika per quanto poteva. In realtà, nemmeno il fratello sapeva quanto gli fosse servito effettivamente prendere una casa, dato che il suo lavoro non gli permetteva di rimanere per più di tre settimane nello stesso posto, ma aveva bisogno di sapere che esistesse un posto che era solo il suo nel mondo, in cui non c’era bisogno di rispondere a delle domande né di stare attenti a ciò che si diceva. L’aveva presa senza dire a nessuno che aveva intenzione di chiedere ad Andy di trasferircisi - non tutta la sua famiglia sapeva della loro relazione - e ancora non se la sentiva di affrontare suo padre.
Aveva preso una casa spaziosa, comunque, con un giardino e un salone grande e accogliente in cui riponeva, poco alla volta, tutti i suoi disegni e le sue tele, delle esplosioni di colori sulle sue pareti dipinte di bianco, come sua madre tinteggiava sempre le pareti della loro casa da piccolo. Ad accoglierli in quel salone, trovarono la loro cagnolina Melachi, che scodinzolava felice mentre gli faceva le feste in attesa delle carezze che aspettava da quella mattina; Mika sorrise e si accovacciò a terra per mettersi ad accarezzarla, le diede un bacio sulla testa e prese a giocare con lei, dimenticando per un po’ tutti i pensieri che aveva per la testa. Anche Andy si lasciò coinvolgere dalla dolcezza di Melachi e si chinò anche lui a coccolarla. “E spostati un po’, non è solo tua!”, scherzò, spingendo Mika da parte. “Hey!” il compagno anglo libanese poggiò una mano a terra per non cadere e si girò verso il rossiccio con l’espressione un po’ divertita e un po’ meravigliata di chi era stato preso in contropiede; Andy notò che la malinconia era momentaneamente sparita dai suoi occhi ed era tornato l’enfant terrible di cui era innamorato, per cui ne approfittò per lanciargli uno scherzoso sguardo di sfida mentre continuava ad accarezzare la cagnolina, che finalmente poteva godersi le loro attenzioni. “Melachi, attacca!” le disse Mika, ad alta voce. La cagnolina sobbalzò e si volto euforica verso il padrone, gli occhi color mandorla che lo guardavano per capire cosa le era stato detto di fare; “Yalla, yalla!” la incitò il libanese in arabo, indicando Andy che intanto era di fronte a lei ad accarezzarla divertito. “No, Melachi!”, disse il compagno mentre questa gli saltava sulle ginocchia e abbaiava contenta per aver avuto il permesso di giocare. “Saresti una brutta persona se non la lasciassi lottare con te, sai?” sogghignò Mika che intanto si era alzato e assisteva alla scena dall’alto, mentre Andy tentava di tenere a bada la sfrenatezza della cagnolina con le carezze, prima di rendersi conto che ormai doveva solo arrendersi e lasciarsi torturare dalle sue zampette e dai suoi morsi, delicati ma troppo bagnati per i suoi gusti, tre le risate di entrambi i suoi padroni.
Quando Mel ne ebbe abbastanza da lasciarlo stare, Andy fece per alzarsi e Mika gli porse la mano; si avvicinò piano per cingergli il collo con le braccia e gli diede un bacio leggero, respirando l’odore dolce della pelle del compagno che sentì sorridere sotto le sue labbra. “Mangiamo?” disse innocentemente il rossiccio dopo qualche istante;. “Ma che bastardo”, Mika si finse offeso da quel cambiamento di atmosfera, ma era abituato alla spontaneità del fidanzato, una delle cose che aveva imparato ad amare con gli anni; “okay, io faccio mangiare Mel e tu fai mangiare noi” annunciò e subito gli diede un altro bacio prima che Andy potesse dire qualcosa, poi lo lasciò andare. Gli scorse alzare gli occhi al cielo e scuotere la testa mentre si avviava in cucina, ma sapeva che in realtà era divertito.
Finito di dar da mangiare a Melachi, Mika si sistemò sul divano mentre aspettava che il ragazzo finisse di prepare la cena; stava prendendo coscienza di quante cose fossero accadute nelle ultime settimane, di quanto le cose fossero cambiate in un battito di ciglia e quante altre cose potessero ancora cambiare.
Era per questo che era intenzionato a scappare, quella notte; era stato forte per troppo tempo ma era stato il peggiore ad affrontare la situazione, alla fine. Avvertiva addosso il peso di tutta la pressione, quella della famiglia, ma anche quella di tutte le persone sconosciute che, ancora una volta, gli facevano domande a cui lui non era pronto a rispondere; aveva deciso anche per questo motivo di cancellare tutti i suoi impegni di lavoro e rimanere a Londra. Era stato di nuovo risucchiato dal buco nero che lo aveva catturato anche da piccolo e che gli aveva fatto perdere la parola – oltre che degli anni di scuola - e da cui ne era uscito lottando da solo con le unghie e con i denti, grazie alle passeggiate al parco ma soprattutto alla musica. A proposito di quest’ultima, si era ripromesso di scrivere un nuovo album entro la fine di quell’anno, ma ormai non riusciva più a comporre, il foglio che rimaneva vuoto alla stessa maniera del suo cuore in quel periodo. “Ma allora, ci vuole molto?” domandò con falso tono stizzito al compagno nell’altra stanza, mentre rideva sotto i baffi. “Più di quanto immagini”, rispose prontamente Andy, che Mika sentiva armeggiare in cucina da un pezzo. Sorridendo tra sè, Mika si mise comodo e prese il cellulare per leggere i messaggi che aveva lasciato Yasmine. “Tutto okay? Siamo andati via senza salutarti. Ci hanno detto che le condizioni di Paloma migliorano e che tra qualche giorno tornerà a camminare, finally. Love you x”. Leggere quel messaggio fece sentire un po’ meglio Mika; sua sorella si era rivelata ancora una volta un’invincibile guerriera, e non poteva essere più orgoglioso di lei. Aveva sempre invidiato il suo spirito combattivo - molto più che il suo - e il suo modo di tenere testa a tutti gli imprevisti della vita; “rende possibile l’impossibile”, disse a suo riguardo ai giornalisti qualche anno prima. In effetti, era stato esattamente quello che aveva fatto nelle ultime settimane, smentendo i medici che avevano avvertito la famiglia che, in caso si fosse mai ripresa, avrebbe dovuto utilizzare la sedia a rotelle. Non potevano desiderare esito migliore, insomma, ma Mika sapeva che le cose erano ben lontane dal sistemarsi, e che sarebbe dovuto passare un bel po’ di tempo prima di riuscire a tornare a vivere in pace con sé stesso.
“Qui è pronto!” annunciò Andy dall’altra stanza, mentre Mika controllava per l’ultima volta i voli del mattino seguente per essere certo non ci fossero stati dei cambiamenti, “Arrivo!” esclamò mentre riposava il suo cellulare.
In cucina, il patriottismo greco era stato messo da parte per accontentare lo spirito arabo del fidanzato. Non era stata un’impresa facile e Andy non era ancora del tutto convinto di aver fatto un buon lavoro, ma tutto quello che voleva era far felice Mika. E in ogni caso, conoscendolo, avrebbe trovato comunque qualcosa su cui lamentarsi. Si lavò le mani accuratamente, prima che il ragazzo entrasse in cucina; aveva cucinato senza posate, come lo richiedeva la vera cucina libanese, e aveva aggiunto con cura tutte le spezie, nello stesso ordine con cui aveva visto farlo tante volte a Mika e a sua madre Joannie. Anche la tavola, fin troppo spaziosa per sole due persone, era stata sistemata con cura; dei petali chiari riempivano gli spazi vuoti della tovaglia e tutte le portate erano servite nei tradizionali piatti in terracotta. Amava quell’ambiente; i due non avevano badato a spese con l’acquisto di quell’immobile ed era sicuramente una delle case più lussuose in cui Andy fosse mai entrato, ma allo stesso tempo non ostentava presunzione. Erano stati il fidanzato insieme alla madre ad occuparsi dell’arredamento, e il loro animo cosmopolita ma allo stesso tempo così legato alle loro origini, così elegante ma allo stesso tempo così ironico, traspariva chiaramente nelle stanze della villa.
Mika entrò nella zona della cucina adibita a sala da pranzo in maniera silenziosa, mentre Andy si asciugava le mani dell’altro lato della penisola dove invece c’era il piano cottura. Rimase a guardare la tavola così elegantemente imbandita mentre il sorriso si allargava sul suo viso. Il ragazzo dall’altro lato poteva leggere l’emozione dal volto del compagno, mentre con gli occhi percorreva le portate in tavola; era sempre una gioia vedere la meraviglia nel suo volto, che comunque rimaneva l’emozione più facile da provocargli.
“Ma cosa hai fatto?!” sollevò lo sguardo, gli occhi che brillavano e il naso arricciato dal suo largo sorriso. Andy non riuscì a trattenere l’entusiasmo mentre si avvicinava anche lui alla tavola e sentiva il viso arrossarsi per l’emozione. “Che c’è, non ti piace?” sollevò le sopracciglia per simulare un finto dispiacere, smentito più dalla luce che emanavano i suoi occhi verdi che dal sorriso stesso. “Sì, ma tu non sei mai così elegante!” rispose spontaneamente Mika, esordendo poi in una delle sue risate da bambino emozionato mentre si sedeva a tavola. “Ma che stronzo”, ammise Andy mentre arrivava a sistemarsi anche lui “E intanto dove lo trovi uno così galante?”. L’altro assunse un’espressione ironica e fece spallucce, iniziando a servirsi la portata dell’hummus. Trascorsero una cena gradevole, entrambi continuarono a punzecchiarsi ma alla fine l’arabo fu costretto ad ammettere che il suo ragazzo greco aveva vinto la sfida interculturale.
“Sarei proprio da sposare, non è vero?” Andy gli sorrise ammiccante mentre, finito di lavare i piatti, riagganciava le padelle sopra il piano cottura. Il fidanzato trattenne una risata per una battuta così amara e gli spinse la testa in avanti con le mani ancora bagnate dall’acqua corrente, prima di tornare ad asciugarsele col panno.
Seguirono degli istanti di silenzio, in cui Mika rimase cupo ad osservare il fidanzato che controllava che tutto fosse stato sistemato prima di salire a letto. Era sempre stato affascinato dalla sua carnagione chiara a dispetto delle sue origini mediterranee, che, ironia della sorte, avevano finito ad essere in contrasto anche con la sua pelle scura e i suoi tratti tipicamente orientali. Aveva un bel viso nonostante il naso grande e la mascella un po’ troppo grossa, le labbra rosse spiccavano sul suo viso chiaro ed erano spesso incorniciate da una folta barba. Anche lui era molto alto, ma non altrettanto snello; aveva una corporatura più robusta e muscolosa, che per quanto si sforzasse, Mika non era mai riuscito ad imitare. Parlava un inglese corretto ma aveva un forte accento greco, che non cercava di correggere e che facevano sentire il suo ragazzo po’ più al sicuro quando erano lontani e un cittadino greco gli rivolgeva la parola in inglese. Erano ormai quattro anni che non desiderava una persona diversa da lui al suo fianco, eppure all’inizio non avrebbe puntato un solo pence sulla loro storia: due persone così diverse non avrebbero potuto affrontare la vita insieme, non quella vita. La notorietà col tempo gli aveva messo davanti migliaia di persone, da qualsiasi Paese, di qualsiasi stato sociale e di qualsiasi orientamento sessuale; non erano rare le volte in cui qualcuno gli faceva delle avances più o meno esplicite, a cui rifiutava con sempre maggior frequenza e decisione. Quante altre volte avrebbe detto di no, dopo il prossimo aereo?
“Mika, guarda che lo so che mi stai guardando il culo”, scherzò, mentre già si avviava verso la zona pranzo che dava sul salone; “Guardiamo un film?” aggiunse poi sorridendo, non avendo avuto nessuna reazione alla battuta da parte del ragazzo, che però si decise a raggiungerlo. Andy sorrise e si avvicinò per baciarlo, non prima di notare della luce ardere nei suoi occhi, dopodiché fu Mika a prenderlo per mano e a guidarlo, silenziosamente, verso le scale di marmo; il ragazzo non oppose resistenza durante il tragitto, nonostante fosse disorientato dal modo di fare dell’altro. Percorsero il corridoio superiore stando attenti a non svegliare la piccola Melachi, mentre gli occhi verdi del primo benedivano il giorno in cui avevano deciso di tinteggiare le pareti di bianco: così, almeno, era in grado di vedere dove stavano andando. Mika aprì e chiuse la porta scorrevole con la mano libera, facendo passare anche Andy, prima di voltarsi a baciarlo senza neanche preoccuparsi di accendere la luce. Fu un bacio lento, col quale si presero il tempo necessario per riprendere confidenza con il corpo dell’altro. Poco alla volta, entrambi cominciarono ad avvertire la familiarità di quella situazione e si lasciarono andare: le mani affusolate di Mika avvolsero il collo di Andy, mentre assaporava il sapore delle sue labbra e della sua lingua.
Era intenzionato a non sprecare quel momento, così, mentre continuava a dare dei baci sulla bocca del compagno, fece scivolare le mani dal collo alle spalle e da lì scese a sbottonare il primo bottone della sua camicia, mentre l’altro lo stringeva più forte a sé con le sue braccia e lo faceva indietreggiare fino al letto matrimoniale.
Le labbra di Mika avevano rincontrato le sue, prima che entrambi si lasciassero cadere sui cuscini colorati che riempivano tutta la lunghezza del materasso; il libanese si sfilò rapidamente la felpa e tornò a baciare con foga le labbra di Andy, le mani avventate a terminare il lavoro con la sua camicia. L’altro, invece, ancora non riusciva a interpretare l’insolita veemenza del compagno; gli accarezzò dolcemente la schiena nuda con le dita, percorrendo tutta la lunghezza della spina dorsale e poi risalendo sù. Il suo respiro divenne pesante quando Mika cominciò a percorrere con le labbra il suo torace continuando a scendere sempre più in basso, mentre gli sbottonava i jeans con le mani. Gli sfilò i pantaloni con delicatezza, il desiderio del ragazzo già evidente sotto i boxer, e si soffermò sulla zona dell’addome per qualche secondo prima di continuare. Riusciva quasi a sentire i battiti del suo cuore, mentre perdeva il controllo sul resto del suo corpo per effetto di quello che gli stava facendo Mika.
Seguirono dei secondi intensi, nei quali entrambi riscoprirono il desiderio che nutrivano per l’altro; avevano condiviso quel tipo di esperienze esclusivamente tra di loro, sapevano che nessuno dei due aveva provato le stesse sensazioni con nessun altro al mondo e tanto bastava per essere sicuri che in quella stanza fossero riusciti a ritagliarsi il loro angolo di paradiso.
Passarono parecchi minuti, prima che entrambi decisero di fermarsi. Andy continuava a dare dei baci delicati sulla mascella del fidanzato, i gomiti puntati sul materasso per permettergli di avere il torace sollevato da quello di Mika, disteso sotto di lui. Entrambi riprendevano fiato mentre aspettavano che il loro cuore riprendesse a battere normalmente, poi il rossiccio diede un ultimo bacio alle labbra dell’anglo-libanese e si lasciò cadere sul materasso di fianco a lui.
“Mi sei mancato”, ammise poco dopo Andy, mentre Mika guardava pensieroso il soffitto. Si limitò ad annuire cupamente: anche a lui era mancato, nel senso più fisico che quella parola potesse avere, e gli sarebbe tornato a mancare presto, ma sapeva che quella decisione era necessaria per la sua vita – pubblica e privata – ed era deciso a non tornare sui suoi passi.
“Ahia!”, esclamò, dopo che Andy gli morse indispettito la spalla. “Così impari”, si giustificò Andy mentre si sistemava le coperte e si metteva a dormire, “Buonanotte, bastardo”. Mika pensò al significato delle ultime parole del fidanzato mentre si massaggiava la spalla, “Buonanotte”, rispose accigliato.
Controllò l’orologio luminoso sul comodino. Gli restavano solo altre tre ore prima di sgusciare via, a cinque mila chilometri da quelle lenzuola.

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Capitolo 3
*** Disappear and not return again ***


“Non mi troverai al tuo risveglio, ho preso un aereo per Montrèal. Ne avevo maledettamente bisogno, ma non sono in grado di spiegarti nient’altro per adesso. Non mi aspetto che tu capisca, ma spero che un giorno riuscirai a perdonarmi. Ti amo, Mika”

Il volo di partenza fu posticipato a 50 minuti di ritardo. Mika fece un breve calcolo: avrebbe avuto l’imbarco alle 08.05. Rabbrividì: Andy sarebbe stato già sveglio per montare dei video per quell’ora, ma era quasi certo che quella mattina non si sarebbe messo al lavoro; non voleva neanche pensare a cosa sarebbe successo dopo che Andy si fosse accorto della sua assenza.
Prese il cellulare e lo mise in modalità aereo in modo da non poter essere rintracciato, non voleva avere più contatti con nessuno prima di mettere piede sull’altro lato dell’emisfero. Era sgattaiolato fuori di casa sua come se fosse un ladro, quella notte; aveva fatto una doccia mantenendo la pressione dell’acqua al minimo e aveva mangiato solo una brioche preconfezionata per colazione. Non ci aveva impiegato molto a preparare la valigia - una cosa che il suo lavoro gli aveva insegnato era quella di non disfarle mai del tutto quando si fermava da qualche parte -, prese semplicemente una manciata di maglie e di pantaloni e chiuse tutto, stando attento a non svegliare il compagno che ancora dormiva ignaro tra le lenzuola che li aveva accolti fino a qualche ora prima.
Si era ripromesso che non si sarebbe arrischiato a baciarlo per dargli un ultimo saluto - svegliarlo sarebbe stato troppo rischioso per la sua tabella di marcia -, così si accontentò di scrivergli una lettera che lasciò sulla tavola in cucina per non allarmarlo da appena sveglio.
La visione della piccola Melachi accoccolata ai piedi delle scale fu la cosa più struggente di quella notte. A stento riuscì a distinguerla nella flebile luce della stanza, ma la tenerezza del suo corpicino che dormiva rannicchiato fu un pugno allo stomaco per lui, che stava uscendo dalla porta senza sapere quando avrebbe potuto coccolarla di nuovo. Era sempre triste quando Mika partiva senza portarsela dietro, con Melachi che impazziva fiutando l’odore di una partenza e lui che cercava di tenerla a bada, commosso dalla grinta che ci metteva ogni volta per cercare di fermarlo.
Quando la prese, qualche mese prima, lo aveva fatto per capire se una persona impegnata come lui fosse stata in grado di educare un altro essere vivente nonostante una vita così irregolare. Ne era venuta fuori una cagnolina elegante e socievole, sempre pronta a ricevere carezze da tutti. Era fiero dei frutti del suo lavoro con lei, anche grazie all’aiuto di Andy: avevano finito per rendersi conto che sì, avevano allevato un cane, ma che sarebbero riusciti a fare lo stesso anche con un bambino qualora lo avessero voluto, e chi non condivideva tale opinione doveva essere uno stupido.
Mika ingoiò il nodo che si era formato alla gola mentre scavalcava con un’unica falcata la cucciola per dirigersi verso la porta d’ingresso; fece per prendere le sue chiavi di casa ma poi le lasciò lì, non gli sarebbero servite una volta in Canada. Si voltò per dare un’ultima occhiata a tutto quello che si stava lasciando alle spalle, prima di aprire, esitante, la porta blindata. “E’ troppo tardi ormai. Finisce tutto stanotte”, pensò, e se la chiuse alle spalle.

Erano passate tre ore e mezza su quell’aereo senza che Mika fosse riuscito a chiudere occhio nonostante la notte quasi del tutto insonne. Guardava fuori dal finestrino cercando di non pensare; più lo faceva, più tutto quello che stava vivendo gli appariva privo di senso. Era pervaso da un profondo senso di angoscia al pensiero che non avrebbe trovato nessuno ad aspettarlo a Montrèal, nessuna corsa ad un appuntamento importante a cui sarebbe arrivato, quasi sicuramente, in ritardo. L’unico impegno che era tenuto a rispettare era quello della musica; aveva avuto il buonsenso di avvisare la casa discografica -. con cui era vincolato da un contratto -della sua partenza, se non lo avesse fatto avrebbe rischiato di perdere anche la sicurezza del suo prossimo disco. Gli aveva mandato un messaggio la sera prima, dicendo che non lo avrebbero più trovato a Londra e che avrebbero dovuto cercarlo a Montrèal a partire dal giorno seguente; non fecero obiezioni, ma gli raccomandarono di usare quel tempo per cominciare a comporre delle canzoni per il nuovo album. Mika non si meravigliò del loro disinteresse, erano legati da un rapporto professionale e nient’altro; anche per questo non aveva esitato troppo a parlarne con loro: sapeva quanto poco gli interessasse la sua vita privata e quello che stava provando in quell’ultimo periodo.
Mika ricontrollò l’orologio alle 11.15. Immaginò che la sua famiglia si trovasse in ospedale da Paloma, in quel momento. Delle lacrime di rabbia gli scesero sulle guance mentre pensava che non aveva avuto la forza necessaria per essere lì con loro; se le asciugò prima che potessero bagnargli la camicia, lo sguardo rivolto al finestrino che però non lasciava trasparire emozioni. Il bruciore nel petto crebbe quando pensò a sua sorella, il suo corpo debole che tornava piano a muoversi grazie al sostegno di tutti – ma non il suo - e alle domande che avrebbe fatto nel momento in cui si sarebbe accorta che mancava all’appello. Era stato un codardo a pensare di risolvere la situazione in quella maniera; era partito per ritrovare sé stesso, ma aveva perso tutto il resto.
Di nuovo, la musica era l’unico mezzo a disposizione per cercare di salvarsi, ma doveva trovare qualcosa in grado di farla uscire fuori dalla sua anima e stavolta sarebbe stato completamente solo. Aveva allontanato le persone che amava al punto che, da lontano, non erano state in grado di comprendere; aveva scacciato anche Andy, nonostante tutti i suoi tentativi di stargli vicino. Era consapevole di quanto il suo atteggiamento lo stesse ferendo ma allo stesso tempo non riusciva più a controllare il suo spietato malumore; malgrado ciò, comunque, neanche una volta il fidanzato lo aveva lasciato solo.
Solo quella stessa notte aveva ritrovato il coraggio di amarlo, poco prima di lasciarlo – secondo la sua prospettiva – per sempre. Gli era apparsa come la prova definitiva che fuggire fosse davvero l’unico modo che avesse per tornare a vivere. Il suo piano era quello di scappare, oltre che dalla sua vita, anche da qualsiasi legame che questa comportasse; voleva vedere cosa si provasse ad essere libero dopo tanti anni, vivere un’esperienza forte e irreversibile.
Pensò che forse, scendendo da quell’aereo e cominciando una nuova vita, senza nessuno dei legami che avesse a Londra, avrebbe trovato quello che cercava.
Cercò di lasciarsi cullare da questo pensiero per sentirsi meno codardo e si poggiò al sediolino mentre guardava il cielo azzurro fuori dal finestrino; ordinò un pasto a bordo per non rimanere digiuno per troppo tempo e poi, finalmente, scivolò in un sonno lungo e profondo.

Si sentiva ancora intontito dal sonno quando impostò, suo malgrado, l’orologio alle 10.45. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era rivivere una giornata da capo ma doveva comunque arrendersi al fuso orario, considerò mentre si portava a ritirare la valigia, dopodiché si preoccupò di raggiungere l’esterno dell’aeroporto il prima possibile e a prenotare il taxi più vicino, stando ben attento a nascondersi per bene il viso: il freddo pungente canadese era solo una delle cose da cui voleva proteggersi.
Solo una volta sistematosi nel veicolo e chiesto all’autista di raggiungere un hotel disponibile nei paraggi, si decise a ripristinare la modalità normale sul cellulare.
I messaggi e le chiamate perse erano tante che lo schermo continuava ad illuminarsi e a vibrare per segnalare delle notifiche senza neanche dargli il tempo di visualizzarle; passarono una manciata di secondi, prima che il telefono si fermò.
Il verdetto finale furano 37 chiamate perse e 24 messaggi ricevuti.
Come aveva immaginato, sua sorella Yasmine aveva ottenuto il primato, seguita da Zuleika e suo fratello Fortunè; qualche messaggio era dalla sua casa discografica e un paio dalla sua compagnia telefonica che lo informava delle nuove tariffe dall’estero. Sua madre aveva provato a chiamarlo più spesso degli altri e evidentemente aveva sparso la voce ai suoi parenti all’estero per aiutarla a cercarlo, perché anche i loro nomi apparivano tra la lista delle persone che lo avevano cercato: la sua famiglia era abituata a saperlo lontano da casa, ma avrebbe dovuto immaginare che un allontanamento così repentino li avrebbe comunque spaventati.
Alla fine, trovò il nome della persona che temeva di più: Andy gli aveva lasciato sette chiamate e un solo messaggio. Era stato il primo ad averlo cercato e notò che la prima e l’ultima chiamata avevano uno stacco di un’ora e 26 minuti, mentre il messaggio era stato mandato più o meno 15 minuti dopo il suo ultimo tentativo di rintracciarlo.
Trattenne il fiato quando si decise a premere Visualizza sullo schermo del suo cellulare e leggeva il testo del messaggio. “Se lo avessi saputo, sarei rimasto in piedi con te per tutta la notte. “ , diceva.
Nel silenzio dello sfrecciare del taxi tra le strade principali di Montrèal, Mika si sentì la terra mancare sotto i piedi.
Quello che lo faceva sentire peggio era stata la semplicità di quel messaggio; non aveva usato parole di odio o di rabbia per averlo lasciato solo, per non essersi fidato di lui. Gli stava dicendo che lo amava tanto da lasciarlo libero di agire, ma allo stesso tempo che lui avrebbe fatto di tutto per aiutarlo per non farlo arrivare a quella soluzione estremamente distruttiva per entrambi. Gli stava gridando il suo amore nel modo più silenzioso possibile, come del resto aveva fatto in quegli ultimi mesi senza che Mika riuscisse nemmeno a rendersene conto. Era una rivelazione così bella da fargli male, dopo di quella non ce ne sarebbero state altre. "Now I know you’re amazing", disse, rivolgendosi direttamente allo schermo del cellulare.
Improvvisamente, si rese conto di aver trovato tutto quello che cercava, adesso sapeva perfettamente quale fosse lo scopo di quel viaggio a Montrèal. Decise che avrebbe preso il coraggio a due mani e avrebbe scritto dell’Amore, quello profondo e sincero, che non per forza doveva essere romantico e ricambiato, e stavolta senza tutti quei sotterfugi e stratagemmi che aveva sempre usato per non essere troppo vulnerabile.
Aveva capito che Andy sarebbe stata l’unica persona per cui avrebbe lottato con tutte le sue forze per riavere indietro, per una volta non si sarebbe assunto la responsabilità dei suoi errori e la sua musica lo avrebbe aiutato nella la sua conquista.
Atterrando in Canada, aveva realizzato di conoscere l’Amore e ne avrebbe cantato tutte le sfaccettature e i segreti; la fonte d’ispirazione sarebbe stata Andy, l’origine del suo Amore.

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Capitolo 4
*** Only thing I know, you're the Origin of Love ***


Accese la luce della sua camera d’albergo col telefono che ancora squillava a vuoto, in chiamata con Andy.
Non voleva credere che fosse davvero finita. Era la quarta volta che chiamava ma l’unica voce che avesse sentito era stata esclusivamente quella della segreteria telefonica; “Ti prego, rispondi…” sussurrò Mika tra sé mentre si toglieva le scarpe e si metteva seduto sul letto. Attese ancora qualche secondo, prima che la voce automatica gli desse l’ennesima delusione.
In realtà, neanche lui sapeva cosa avrebbe potuto dire una volta che gli avesse risposto. Come avrebbe mai potuto giustificare il suo comportamento, sperando di essere capito? Avrebbe voluto dirgli la verità, che aveva capito che il posto giusto in cui stare fosse lui solo una volta atterrato a Montrèal, ma sembrava patetico perfino alle sue orecchie.
Allo stesso tempo, lo bloccava anche il dubbio che Andy non stesse sentendo la sua mancanza quanto la stesse sentendo lui in quel momento; magari, con la sua partenza, aveva capito che la vita non era così diversa senza Mika al suo fianco e già aveva deciso di ricominciare da capo, forse con qualcuno di meno problematico del suo vecchio compagno.
Anche solo all’immaginare un’ipotesi del genere, Mika si sentì mancare il fiato: non avrebbe potuto sopportare una svolta simile. Si alzò in piedi e cominciò a camminare scalzo per la stanza, si avvicinò alla scrivania e prese la penna e il block notes dell’hotel.
“Your love is air, I breathe it in around me “, scrisse, semplicemente appuntando le sue sensazioni di quell’istante. “Don’t know it’s there, but without it I’m drowning “, aggiunse, ripensando a quanto fosse successo nelle ultime ore; non aveva capito quanto grande e indispensabile fosse il loro amore fino a quando non se ne era privato.
Rilesse i primi due versi di quella che, decise, sarebbe stata la prima canzone del suo nuovo album e aggiunse quello che aveva pensato dopo aver letto quell’unica, semplice frase del messaggio di Andy.
“You’re the origin of love, the Origin is you”. Si fermò di colpo.
Si rese conto di quanto stesse rischiando a mettere nero su bianco quelle parole, e si chiese fino a che punto fosse pronto a vivere le conseguenze di quella scelta. Non voleva far sapere la mondo della sua relazione, ma era sicuro di non aver paura di dire a tutti che era innamorato; sarebbe stato attento a non dare indizi su chi fosse la sua persona e sulla sua identità sessuale. Non voleva parlare apertamente del suo orientamento – che importava? – ma soprattutto voleva proteggere Andy da qualsiasi esposizione mediatica; gli avrebbe fatto capire che anche lui sapeva gridare il suo amore in maniera silenziosa e indiretta.
In più, avrebbe usato quella canzone per mandare un messaggio.
“From the God above to the one I love, only thing that’s true: the Origin is You”.
Avrebbe testimoniato l’amore vero e inarrestabile, avrebbe smascherato tutte le forze che volessero ostacolarlo al punto da farle apparire insulse e infondate. Era innamorato, ed era convinto dell’esistenza del suo sentimento più di quanto fosse convinto dell’esistenza di un Dio che lo stesse osservando, contrariato.
Rilesse un’ultima volta i versi della canzone che prendeva forma poco alla volta mentre il suo cellulare continuava a squillare a vuoto sul numero di Andy, prima di decidere di prendersi una pausa per farsi una doccia e mangiare qualcosa in un ristorante a Montrèal.
Solo quando notò che la vasca da bagno era dotata di idromassaggio e illuminazione interna, si rese conto di quanto in realtà fosse lussuoso quell’hotel, ma optò comunque per la doccia – non voleva perdere troppo tempo, e poi non era dell’umore adatto.
Lasciò che l’acqua calda lo rilassasse un po’ mentre lavava via la stanchezza del viaggio e faceva mente locale sulle varie strade di Montrèal che avrebbe potuto visitare e poi uscì, avvolgendosi nel morbido accappatoio che aveva trovato appeso alla parete riscaldata. Una volta in camera da letto, scelse con cura gli abiti da indossare; vestirsi bene era una delle cose che lo faceva stare meglio con sé stesso; gradiva piacersi e piacere agli altri, era curioso di vedere l'effetto che faceva alle persone. Lo faceva sorridere vedere quanto si riuscisse a conquistare con una buona postura e una buona educazione: sapeva che aveva fatto parecchie vittime nella sua vita – ma era stato incastrato anche lui, altrettanto spesso. Infine, scelse dei pantaloni rossi abbinati a una maglia a righe bianche e blu su cui mise una giacca nera; sapeva si trattasse di un accostamento inusuale, ma a lui piaceva così. Per completare scelse dei mocassini bassi e borchiate sul davanti, di colore blu elettrico. Quando fu pronto per uscire, chiuse con cura la porta della stanza e consegnò le chiavi alla reception; dopodiché l’aria pungente dell’inverno canadese e l’allegro viavai di persone avvolsero Mika sulla Strada Principale e riuscirono a scuoterlo dal suo torpore mentre cercava un posto caldo in cui pranzare.
Adorava il sentimento di emancipazione che si respirava in quella città; chiunque si impegnava ad essere sé stesso e aveva il permesso di essere eccentrico senza essere guardato con diffidenza, un valore che desiderava fosse tenuto in considerazione anche in tutto il resto del mondo.
Ci volle solo qualche minuto per trovare un ristorante adatto alle sue esigenze del momento: aveva le pareti in legno e quadri vintage, di tanto in tanto degli scaffali a vetro mettevano in mostra delle bottiglie di vino rosso. Si sedette e ordinò del pollo arrosto con patate al forno – meno di quanto avrebbe ordinato di solito - , e poi riprese il cellulare dalla tasca, stavolta per chiamare sua madre.
Dopo quelle prime chiamate, la sua famiglia non lo aveva cercato di nuovo, ma Mika sapeva che era perché si stavano dedicando completamente a sua sorella Paloma. Aveva paura ad affrontare le loro reazioni, ma aveva bisogno di avere notizie.
“Ciao mamma, come sta Paloma?” disse l’anglo libanese non appena sentì la madre agganciare dall’altro lato, saltando tutti i convenevoli.
“Cosa ti è saltato in mente, Mika?” il tono della voce con cui lei reagì era duro ma senza essere arrabbiato - come il figlio temeva che fosse stato - e riuscì a scorgere anche una nota di sollievo nelle sue parole. Dovevano essersi preoccupati parecchio, in quelle ore.
“Mamma, io sto bene. Lo sai che so badare a me stesso in queste situazioni”. Si rese conto dell’assurdità di quello che aveva appena detto. Sapeva badare a sé stesso quando scappava di casa e metteva a repentaglio la sua vita?
Joannie, comunque, decise di non mettere il dito nella piaga e continuò, rispondendo alla sua domanda. “Paloma sta meglio e sta riprendendo conoscenza. Ha smesso di prendere farmaci e tra qualche giorno riuscirà ad alzarsi, ma non è ancora del tutto in sé.”
“Si è accorta che non ci sono?” chiese subito il riccio, poggiando il braccio sul tavolo e premendo l’orecchio sul telefono per non perdere una parola della risposta di sua madre, che sorrise alla tenerezza di quella domanda.
“No, Mika, ancora non interagisce con noi. Ha assunto troppi tranquillizzanti e anestetici, ci vorrà un giorno o due prima che si riprenda davvero.”
Ancora non sapeva della sua fuga, dunque. Il cuore di Mika fece un balzo e lui si mise dritto sulla sedia mentre dava un ordine ai pensieri che si erano improvvisamente affacciati nella sua testa. Era ancora in tempo per non rovinare tutto. “Capisco”, disse infine, “E voi come state?”
“Le stiamo vicino quanto più è possibile. Zuleika continua a raccontarle storie, a ripeterle chi siamo noi e chi è lei: è convinta che sia un modo per farle riprendere conoscenza più facilmente. E le parla anche di te, le dice che ha un fratello che è stato il primo ad affrontare l’incidente e che presto tornerà a riabbracciarla. Ha un atteggiamento molto positivo nei tuoi confronti, ma sta sempre a discutere con Yasmine, in compenso; lei è di pessimo umore da questa mattina, non riesce a credere che tu sia partito senza neanche averla avvisata. Ti consiglio di chiamarla e darle l’esclusiva della chiamata, più tardi, si sentirà meglio.”
Mika sorrise, Yasmine era particolarmente gelosa di suo fratello minore; se avesse potuto, lo avrebbe tenuto per sempre al guinzaglio per non perderlo d’occhio. “Lo farò”, promise “più tardi” aggiunse, per non rendere troppo ufficiali quelle parole. Voleva fare ancora un po’ di cose, prima. “Sai che ho ripreso a scrivere, mamma?” disse d’un tratto.
“Davvero? Ma è fantastico!” la voce della madre si fece subito vivace: nonostante i migliaia di chilometri di distanza, Mika poteva vederla chiaramente con le mani sul viso e il suo sorriso entusiasta.
“Già”, il figlio si affrettò a chiudere il discorso prima che la madre potesse chiedergli dei dettagli. “E Fortunè?”, chiese, non avendo ancora accennato a lui nel discorso. Mancava ancora una persona all’appello, ma non ebbe il coraggio di accennare anche ad Andy, non con sua madre.
“Fortunè sta bene; è stato molto vicino a tua sorella, quando non era impegnato a seguire i corsi. E’ cresciuto molto, in questo periodo.”
Mika annuì: sapeva che suo fratello fosse molto più tenace di quello che la sua timidezza lasciasse immaginare. “Capisco. Da’ un bacio a tutti da parte mia.” “E tu come stai?”
Ovviamente. Doveva aspettarsi quella domanda, prima o poi nella conversazione. Si fece indietro con le braccia per fare spazio alla portata e sorrise al cameriere per ringraziarlo; “Meglio”, rispose, e si rese conto che non stava mentendo, se non fosse stato per lui.
“Ne sono certa, tesoro.” Tesoro? Mika fu piacevolmente sorpreso da quell’insolito appellativo. “Torna presto. Fallo per Paloma, ma soprattutto per te.”
Aveva ragione. Perdersi quei momenti così delicati per la sua famiglia non avrebbe fatto altro che scatenare ancora di più la guerra che stava combattendo nella sua testa, e ancora peggio sarebbe stato se avesse perso Andy. “Lo farò” disse, stavolta più convinto. “Adesso vado. Ciao, mamma, ti voglio bene”.
“Ciao, Mika. Abbi cura di te.”, lo salutò Joannie, mentre lui era già a studiare la temperatura del suo pollo arrosto; sperava non si fosse freddato troppo, ma a quanto pare erano stati al telefono il tempo necessario per renderlo della temperatura adatta.
Cercò di assaporare quanto più possibile il suo piatto preferito, anche se in realtà era con la testa da un’altra parte. Andy non aveva provato a rintracciarlo nemmeno una volta da quando era sceso dall’aereo e neanche aveva provato a rispondere a qualcuno dei suoi messaggi. Era crudele non dargli neanche una possibilità di rimediare; conosceva bene la sua determinazione nell’andare avanti a voltare pagina, ma non aveva mai pensato che avesse potuto essere tanto forte da lasciarsi dietro anche lui. Mika, come aveva del resto dimostrato, non ce l’avrebbe mai fatta. Non voleva farcela. Con ancora il piatto semivuoto, estrasse il cellulare dalla tasca e compose per l’ennesima volta il numero di Andy, questa volta per mandargli un messaggio. Di nuovo, la cosa giusta da dire gli si era presentata nella sua testa come un fulmine a ciel sereno.
“Cosa hai intenzione di fare? Io non ti ho ancora superato.”
Esattamente. Aveva sottovalutato i suoi sentimenti, e adesso che gli aveva dato il giusto valore non si sarebbe lasciato ostacolare dai suoi giochetti. Andy poteva anche vendicarsi, ma non avrebbe vinto – o perso? – il bottino.
Premette invio e si avviò velocemente a pagare il conto, non voleva perdere neanche un secondo. Non si preoccupò di sistemarsi per bene la giacca prima di uscire, e si fiondò nel primo taxi di servizio per farsi riaccompagnare in hotel.
Chiese carta e penna all’autista, su cui appuntò Fix your heart, don’t break it; gli sarebbe servito per la sua prossima canzone, quella che avrebbe cantato a squarciagola ad Andy non appena lo avrebbe rivisto. What is gonna hit you? I’m never gonna let you down.
Scese dal taxi con la testa che gli girava per tutte le cose che aveva bisogno di scrivere, per cui si affrettò a risalire in camera per non dimenticarle.
Prima di mettersi al lavoro però, si ricordò della promessa fatta alla madre; digitò il numero di Yasmine, e prima che potesse dire qualsiasi cosa la anticipò con l’unica cosa che davvero avrebbe potuto metterla a tacere. “Yasmine, domani torno”. Silenzio. Si era dimenticato di nuovo del fuso orario, sperava non fossero le due del mattino, a Londra. “E ho bisogno del tuo aiuto per trovare un aereo il più in fretta possibile.”, continuò, mentre attendeva una risposta dall’altro capo del telefono.
“Sei proprio un paraculo, Mika.”

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Capitolo 5
*** I'm coming home ***


Mika si sentiva stranamente apatico mentre ritirava le valigie per ritornare a casa. Non era stanco - a differenza del viaggio di andata era riuscito a dormire per tutto il volo -, ma con la mente era proiettato all’istante in cui avrebbe tagliato il traguardo finale che lo portava ad Andy. Non gli importava quanto tempo ci sarebbe voluto, stava tornando a casa.
Trascinò la sua valigia fuori dal tapis roulant cercando di non cadere all’indietro, mentre il cellulare tornava a riprendere campo. “Andrà tutto bene”, ripeteva nella testa ricordando quello che sua sorella Yasmine gli aveva detto al telefono il giorno prima; non ci aveva messo molto ad abbattere le difese e a chiederle aiuto.
“L’ho perso davvero, Yasmine?”, le chiese dal buio della sua stanza d’albergo, seduto a gambe incrociate sul materasso, con la schiena che poggiava sulla tastiera del letto. Si teneva la testa con una mano, mentre con l’altra si massaggiava la tempia, cercando di tenere a bada le sue emozioni per prepararsi al peggio.
“E’ innamorato, Mika. Forse più di quanto tu possa mai arrivare a comprendere. Mi ha chiamato non appena ha letto la tua lettera, e sono corsa da lui. Non riusciva a capire quello che stava succedendo, non capiva perché tu fossi stato così crudele con lui, non aveva senso. Era a pezzi.”
“A pezzi.” Era esattamente lo stato in cui si trovava Mika, con la differenza che nel suo caso ci si era messo lui stesso, e si odiava per questo. Quanto avrebbe potuto odiarlo, Andy?
Davanti a quel silenzio, Yasmine non seppe cosa aggiungere. “Torna a casa. Risolveremo tutto qui”. Si costrinse a crederle, una volta riagganciato e alzatosi dal letto per risistemare le poche cose che aveva cacciato dalla valigia. Infondo, aveva sempre saputo che sarebbe ritornato.
 
“Siamo fuori”, Yasmine lo chiamò non appena arrivarono all’aeroporto, ma il fratello era già nel parcheggio ad aspettare qualcuno che andasse a recuperarlo.
Lo sguardo di Zuleika si traformò in un sorriso radioso quando lo vide, e subito corse tra le braccia avvolgenti di Mika, che la strinse a sé mentre anche il suo cuore esplodeve di gioia. Era felice che la sorella minore non serbasse il minimo rancore per tutto quello che era accaduto; era semplicemente felice di riaverlo accanto a lei. Era fortunato ad avere qualcuno che vedesse solo quello che di bello c’era in lui, gli dava l’ispirazione a essere una persona migliore.
Anche Yasmine lo abbracciò, un abbraccio più rassicurante, più maturo, nonostante anche stavolta Mika dovette piegarsi di parecchio per poggiare la testa sulla sua spalla. Si scostò il tanto che bastava per scoccarle un forte bacio sulla guancia, con Yasmine che gli arruffava scherzosamente i capelli.
Quando si rimisero in macchina, il ragazzo si sentiva già meglio. Lasciarono che la musica alla radio scandisse il viaggio verso Londra, il paesaggio che sfrecciava fuori il finestrino.
Improvvisamente, Mika capì dov’è che stavano - o meglio, stava -, andando. Non disse nulla, comunque; sapeva che era arrivato il momento di affrontare le conseguenze di quello che aveva fatto, era ora o mai più.
“Lasciami qui”, disse, a un paio di isolati da casa sua. Yasmine gli lanciò un’occhiata allarmata dallo specchietto retrovisore. “Ho bisogno di stare un po’ da solo”, spiegò Mika. La sorella accostò senza chiedere altre spiegazioni mentre Zuleika si girò a sorridergli incoraggiante dal suo posto.
“Raggiungici quando vuoi, noi siamo da Paloma.”
“Va bene Yas, grazie. Vi voglio bene”
“Ciao, Meeks”, disse Zuleika mentre Mika chiudeva la portiera del veicolo.
Era fatta, dunque.
Mika si incamminò nel freddo novembre londinese, le luci delle ville a schiera che illuminavano l’asfalto insieme ai lampioni che incontrava di tanto in tanto; immaginò a cosa potessero pensare gli automobilisti: doveva essere uno spettacolo tetro, una figura alta e sottile dal passo lento e lo sguardo basso. Si strinse nel suo cappotto lungo color cachi che gli arrivava fino al ginocchio, mentre accelerava il passo per prendere un po’ di calore.
Sperava solo di non ammalarsi, sentiva già la gola pulsare e le ossa indolenzite… se non altro, Andy lo avrebbe fatto entrare per il freddo.
Non aveva idea di cosa potesse dirgli e si rese conto di avere le mani sudate nonostante il vento umido; per quanto ne sapesse, sarebbe potuto finire tutto quella notte stessa.
Si trovò davanti al viale d’ingresso prima che se ne potesse rendere conto. Le luci all’interno erano accese anche al piano di sopra nonostante fossero solo otto di sera, e il cancelletto era solo appannato. Si sentì il viso ribollire mentre cercava di scacciare via una scena raccapricciante dalla sua testa: non poteva essere. Avanzò più deciso verso le scale del pianerottolo, fino a dare un colpo secco al campanello. Nessuno aveva il permesso di avere Andy.
Sentì Melachi abbaiare e scendere veloce fino alla porta, i mugolii impazienti mentre tentava di aprire con le zampette e accogliere il nuovo arrivato. Chissà se faceva così con tutti, o negli ultimi giorni era stata in costante attesa del suo ritorno.
“Aspetta Melachi. Ferma con le zampe, dai!”. Andy cercò di imporsi sull’entusiasmo della cagnolina mentre scendeva anche lui dal piano superiore, ma per tutta risposta le zampate si fecero più insistenti.
Andy cercava di tenere la cagnolina lontana dall’uscio mentre girava il chiavistello, con Mika che dall’altro lato si impegnava a regolare il suo battito cardiaco.
“Ma che cazzo?” Andy sussultò e indietreggiò inconsapevolmente, non aspettandosi una persona già sul pianerottolo. Chiuse istintivamente la porta in faccia all’intruso, prima di capire che, effettivamente, era Mika.
Rimase paralizzato a osservare i suoi occhi verdastri che aspettavano una sua reazione, il viso pallido per il freddo fatta eccezione per il naso e le labbra, che avevano preso un paio di tonalità più rosee del solito. Si stava imponendo di sostenere il suo sguardo, le braccia che gli scendevano rigide lungo i fianchi e pugni chiusi, la condensa del suo respiro pesante che scandivano i secondi.
“Sei solo?” parlò con la voce tremante e leggermente affannata, come se quelle parole le avesse dette dopo un terribile sforzo.
Andy si riprese, ricordandosi quanta rabbia provasse nei suoi confronti. “Queste non sono cose che ti riguardano. Tu e io non stiamo più insieme, Mika.” Parlò con un tono moderato ma ogni parola fu un pugno alla bocca dello stomaco per il libanese, che invece non si mostrò ugualmente temperato.
“Fammi entrare, Andy.”, i suoi occhi mandavano saette. In quel momento non gli importava quanto avesse appena sentito, quanto fosse in torto e quanto il suo obbiettivo in realtà fosse un altro; doveva controllare chi c’era nella sua casa. Il rossiccio non si mosse dal suo posto, la porta aperta quel tanto che rendesse visibile la sua sagoma per non far scappare Melachi in giardino. “Ne ho il diritto. Questa, è anche casa mia”.
Con quest’affermazione, Mika sapeva di aver fatto centro. Non poteva lasciarlo fuori da casa sua, qualsiasi fossero i suoi sentimenti. Andy si fece da parte e fece entrare Mika con un’espressione sprezzante, che in un qualsiasi altro momento sarebbe bastata a convincere l’altro a sparire per sempre.
Il ragazzo entrò nel salone con Melachi che gli saltava addosso e gli leccava le dita per farsi coccolare, entusiasta di rivedere il suo padrone. Mika le diede un bacio sul capo e le accarezzò gli angoli della bocca con un sorriso; poi si voltò verso Andy cercando di decifrare la sua espressione e imboccò le scale di fianco alla porta.
Aveva il cuore in gola. Accelerò il passo, percorrendo il lungo corridoio dalle pareti bianche per poi ritrovarsi davanti alla porta scorrevole della loro stanza. La aprì di botto, tutto in colpo come volesse togliersi un cerotto… e trovò delle scatole.
Non gli ci volle molto per capire. Andy se ne stava andando.
Entrò lentamente nella stanza da letto, facendo attenzione a quanto fosse ancora fuori le valigie e quanto invece fosse già stato messo nelle scatole. Era davvero troppo tardi; non si era fatto trovare con un altro, ma il messaggio era arrivato lo stesso.
“No. Ti prego.” Non era rimasto quasi niente fuori. Ebbe la sensazione che se fosse tornato un solo giorno più tardi, avrebbe trovato la casa vuota. Era davvero capace di fare una cosa del genere?
Il libanese notò che una foto era rimasta al suo posto, di fianco al suo lato del letto. La prese: si trattava di un loro scatto ad Amsterdam, quasi due anni prima. Era il giorno dopo il suo concerto in quella città – il primo in Olanda -, in cui avevano deciso di fare un giro da turisti, da soli.
Cercò con tutto se stesso di non piangere, mentre raggiunse Andy che nel frattempo era andato in sala da pranzo. “Non farlo”, disse. Si fermò sulla porta, il greco che lo guardava da dietro la penisola sull’altro lato della stanza. Lo guardò con tutta l’intensità di cui era capace tanto che i suoi occhi sembrarono brillare. “Ti prego…”, sentì i suoi sentimenti prendere il sopravvento e la sua voce si interruppe.
“Lo hai voluto tu, Mika”, disse Andy con la voce leggermente instabile e il tono duro, poggiando entrambe le mani sulla penisola e facendosi in avanti col corpo.
“Tu non sai quello che ho passato nelle ultime settimane, quante volte ho dovuto essere forte per entrambi, mentre tu continuavi a respingermi”, la voce cominciò a tremargli e il viso si fece paonazzo per lo sforzo di trattenere le lacrime. “Vivevo nella costante paura di non essere in grado di accompagnarti a vivere quello che cazzo stava succedendo, di non resistere. Ma ce l’avevo fatta, capisci?” Le lacrime cominciarono a cadergli sul viso, ma Andy non distolse lo sguardo dagli occhi dell’altro. “Tua sorella ce l’aveva fatta, quell’incubo era finito, nella mia testa. E invece, è ripreso senza preavviso la mattina seguente”, le sue mani si chiusero in un pugno e riprese di fiato per parlare senza essere interrotto dai singhiozzi “Sei stato tu ad abbandonare me!” batté il pugno sulla penisola sull’ultima parola; Mika scattò all’indietro per lo spavento e poi si poggiò tremante sullo stipite della porta, le braccia conserte quasi a proteggersi dalla durezza di quel momento.
Andy ingoiò la rabbia e per qualche secondo cercò di regolare il suo respiro pesante prima di continuare a parlare. “Credevo fosse colpa mia, mi chiedevo dove avessi sbagliato, ma poi ho capito che sei tu il problema.” Completò la frase rimettendosi diritto in piedi. Mika, che ancora non osava avvicinarsi, voleva sprofondare. “Lo sono.”, disse, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Guardava a terra, cercando di mantenere il controllo sulla sua voce “Ti prego…”, incrociò il suo sguardo impassibile “perdonami.”
Words get broken.
 Si sentì il cuore pulsare in gola quando Andy scosse piano la testa.
Cut me open
“No, Mika. Non stiamo più insieme.”, la sua voce era ancora provata dall’emozione; neanche lui voleva che accadesse.
Love, confound me
“Te ne vai?”
“Sì. Per domattina questa casa sarà tua.”
Kill me, quickly
Rimasero qualche secondo a guardarsi, senza che nessuno dei due avesse il coraggio di fare qualcosa.
“Non mi interessa tra quanto potrò rivederti. Ti aspetterò qui fin quando non capirai.” Mika prese tutta l’energia che aveva per allontanarsi da quella stanza; avrebbe passato la serata con la sua famiglia e sarebbe tornato a casa sua quando se la sarebbe sentita. Diede un bacio a Melachi e prese le chiavi di casa. Non si stava arrendendo, non lo avrebbe fatto neanche se Andy lo avesse mandato fuori a cazzotti. Stava solo cercando la soluzione.
This is love not war, make it worth fighting for.
 
“Paloma!”.
Mika si fiondò verso il letto su cui Paloma era semi-seduta non appena entrò nella stanza. Lei sorrideva, lo stava già aspettando.
“Paloma”, ripetè, mettendosi alla sua altezza per poterla abbracciare. La prese delicatamente per le spalle e la avvicinò al petto. Paloma si allontanò dallo schienale del letto per abbracciarlo a sua volta. “Puoi stringermi un po’ più forte, Mika. Sono più debole del solito, ma non sono diventata di porcellana.”, sorrise, ma fece più pressione con le braccia attorno ai fianchi del fratello a dimostrazione della sua affermazione. Mika obbedì d’istinto e scoppiò in un pianto silenzioso, forte del fatto che la sorella non potesse vederlo dato che aveva la guancia poggiata sulla sua spalla. Pianse a occhi chiusi, la bocca stretta e il diaframma contratto per nascondere i singhiozzi. Era come se piangere fosse l’unica cosa che fosse in grado di fare in quel momento. Le lacrime calde cominciarono a macchiare la vestaglia di Paloma, che smise di far finta di nulla e prese a giocare coi suoi capelli e a formare dei cerchi immaginari coi polpastrelli sulla schiena del fratello, ricordando quanto si rilassasse in quel modo.
“Sdraiati un po’ accanto a me”, disse, quando Mika rilassò il diaframma e le lacrime cominciarono a essere meno insistenti. Il fratello si sistemò subito accanto a lei, lasciando i piedi fuori e poggiando la testa sulla spalla di Paloma, circondato dalle sue braccia.
“Ricordo quasi tutto, visto?” si girò verso Mika col suo solito sguardo fiero.
“Ricordi sicuramente più cose di me”, il secondo si asciugò le guance e si strofinò gli occhi con entrambi le mani. Paloma soffocò una risata e gli diede uno schiaffetto sulla spalla. Le arrivò una scia di profumo sul suo lato del letto, anche quell’odore dolciastro le era famigliare.
Un vociore frenetico dal corridoio interruppe la pace nella stanza, non ci misero molto a capire che si trattasse della loro famiglia. “Oh no, non adesso…” il ragazzo si coprì gli occhi con la mano, mentre la porta si aprì ed entrarono sua madre, suo padre e i suoi fratelli.
“Mika!” il volto della madre s’illuminò di gioia; il figlio si alzò in piedi, accettando di essere strapazzato per un po’. Anche Fortunè si dimostrò – stranamente – entusiasta del suo ritorno: doveva essersi stancato di essere il maschio alfa. Il padre esitò qualche istante prima di abbracciare forte suo figlio. Voleva un gran bene a Mika, nonostante tutto.
Zuleika fu l’unica che non ebbe bisogno di avvicinarsi, per abbracciarlo; non appena il padre lasciò andare Mika, questi si precipità dalla sorella per stringerla tra le braccia. “Aaah!” disse col suo tono ringhioso mentre quasi la sollevava da terra col suo abbraccio. Ruotarono su sé stessi, divertiti, poi Mika la rimise a terra e le scoccò un bacio sui capelli. Lei rise, poi gli diede un bacio sulla guancia a sua volta. “Che bella che sei!” si fece indietro per guardarla meglio, il naso arricciato dal suo sorriso. Aveva fatto i capelli mossi e le cadevano delicatamente sulla sua maglia bianca merlettata. “Grazie”, la sorellina sorrise, radiosa.
“Tu invece hai visto dei giorni migliori, Mika. Ma che ti sei messo?”. Yasmine, oltre ad essere l’unica a non averlo abbracciato, era l’unica in ascolto mentre tutti gli altri erano seduti attorno al letto di Paloma alle loro spalle. Mika fece spallucce; in realtà, a lui piaceva come era vestito, ma tentare di convincere Yasmine era guerra persa.
“Dovrai andare a cambiarti, per stasera.”, si avvicinò, per guardare in faccia Mika che le lanciò uno sguardo interrogativo.
“Stasera?”.
“Sì, stasera. Ti porto in un club.”
“Cosa…? no!” Mika la guardò, imbufalito. Come poteva aver pensato a una cosa del genere, proprio adesso?
Yasmine annuì candidamente, del tutto immune alla reazione dissenziente del fratello. “Partiamo quando sei pronto. Fidati”, aggiunse sommessamente.
Forse, Mika doveva aver capito le sue folle intenzioni. O forse no, ma in ogni caso credeva di avere una soluzione.
Andy avrebbe dovuto provare a Mika che davvero credeva che non si appartenevano più, che non gli importava se qualcuno avesse preso il suo posto – anche solo per una notte.
Non lo avrebbe tradito, se Andy avesse voluto ciò.
“Okay. Ma i neo-maggiorenni restano a casa”, disse rivolgendosi a Zuleika. Non avrebbe mai permesso che frequentasse quei luoghi, o almeno, non per i prossimi anni. La sorella annuì, obbediente; lui, sapeva cosa fare.
 
Undici in punto, Mika era pronto per uscire. Pantaloni neri e canotta bianca a mezze maniche. Converse basse rosse e collane colorate. Bombetta nera e abbondanti spruzzate di un profumo francese dal nome complicato.
Prese il cellulare e mandò un messaggio ad Andy, il primo della serata.
“Stanotte dormo con qualcun altro; significa che ti ho tradito?” 

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Capitolo 6
*** It was the drink, it was leading me by ***





 
Luci bianche intermittenti.
Musica elettronica.
Un altro sorso di vodka liscia.
La stanza girava insieme alle centinaia di persone che ballavano a tempo di musica sulla pista, qualche gradino più in basso.
La sua t-shirt bianca sporca del phard di una ragazza che gli si era avvicinata e la mascella macchiata dal suo rossetto, quando si era sollevata sulle punte per parlargli nonostante il volume della musica.
Si chiamava Amanda.
I suoi capelli bagnati dal sudore provocato dall’alcool e dalla bombetta che gli premeva sul capo.
La pista da ballo che aveva lasciato per riprendere fiato e il cellulare che era vibrato nella sua tasca.
Non dire cazzate”.
Andy.
Impostò il silenzioso.
Sorrise.
“Che ci fai con quel cellulare?”, una voce parlò affianco a lui.
Mika alzò lo sguardo, cercando di mettere a fuoco il suo interlocutore: non lo riconobbe, ma era quasi certo che si trattasse di un ragazzo. Mise via il cellulare.
Un altro sorso di vodka liscia.
Lo sguardo rivolto alla folla indistinta qualche metro più avanti, la schiena poggiata al bancone dietro di lui.
“Non doveva essere nulla di importante, per aver desistito così facilmente”. Si voltò a guardarlo, le sopracciglia aggrottate per lo sforzo di seguire una nuova conversazione.
La testa pesante, i suoni ovattati.
Il ragazzo, che arrivava quasi alla sua altezza, gli si avvicinò e gli porse la mano. Mika la strinse.
“Davis”, disse ad alta voce per farsi comprendere. Notò che aveva una stretta vigorosa.
“Michael”, rispose. Aveva la bocca impastata; diede un altro sorso di vodka liscia.
Le mani cominciarono a sudare freddo mentre il ragazzo ordinò da bere, facendosi posto accanto a lui.
Sentì la stanza girare più forte e le luci dargli sempre più fastidio; chiuse gli occhi, sperando che lui almeno stesse fermo.
“Non ti ho mai visto da queste parti”, si avvicinò all’orecchio di Mika, noncurante della sua poca reattività. Aveva un odore fresco e una voce profonda, sicura. Aprì gli occhi, senza però voltarsi verso il viso di Davis troppo vicino al suo. Il suo battito cardiaco accelerò, mentre cercò a una risposta da dargli.
“Io non… frequento questi posti. Normalmente”, immaginò di avere lo sguardo rigido e inespressivo, ostentando di avere una sicurezza che era ben lontana dall’essere sua, in quel momento. Il cuore prese a battergli all’impazzata; stava diventando tutto perfettamente sbagliato.
Davis annuì, mentre ritirò la bevanda che aveva ordinato – qualcosa dal colore verde fluo che Mika non riuscì a riconoscere.
“Non parli molto, vero?” si voltò anche lui nel suo stesso verso e si sporse un po’ in avanti per catturare il suo sguardo. Mika fu costretto a guardare dritto nei suoi occhi verde scuro, incorniciati da delle folte ciglia. Si immobilizzò per qualche secondo, insicuro sul da farsi. Cercò di respirare, principalmente.
“No. Di solito canto.”
Merda. Maledetto alcool. Maledetti occhi verdi.
Davis si aprì lentamente in un sorriso, mostrando i denti bianchi e diritti nascosti dietro le sue labbra piene. Doveva aver creduto che lo stesse prendendo in giro; si rimise al suo posto e annuì, ridendo “Capisco”. Diede un sorso dal suo bicchiere. “Bene, torno in pista… ci si vede giù, se vuoi”, e se ne andò.
Mika tornò a respirare, mentre poggiò la fronte sul bancone con gli occhi chiusi. Tirò un sospiro: e adesso?
Chiese la stessa bevanda di Davis; qualsiasi cosa fosse, sembrava essere forte abbastanza. Diede l’ultima sorsata a quello che rimaneva della sua vodka, nonostante il suo corpo gli stava supplicando di avere una tregua.
Prese il cellulare dalla tasca, aveva un nuovo messaggio e una chiamata persa.
Ho chiamato tua sorella, so dove sei.
Il suo cuore fece un salto.
Ad Andy interessava ciò che stava succedendo.
Ringraziò il barman e diede una lunga sorsata alla bevanda. Sentì l’alcool andargli subito in testa.
Rispose al messaggio di Andy, benedicendo il correttore automatico per il sostegno.
Che succede se non riesco a controllare tutto quello che faccio?”. Inviò. Quando sarebbe tornato in sé, avrebbe pagato caro per tutto ciò, in un modo o nell’altro.
Si sollevò sulle sue gambe e scese le scale verso la pista da ballo – nonché la fonte di tutte quelle luci a intermittenza – stando ben attento a non perdere l’equilibrio.
Cercava Davis, ma non impiegò molto a trovarlo; era alto e se ne stava un po’ più in disparte rispetto a tutti gli altri, accennava a qualche movimento col corpo senza ballare sul serio, privilegio che solo qualcuno così sicuro di sé poteva avere.
Mika fece un respiro profondo, sperando che il suo drink gli desse l’incoscienza adatta per affrontare ciò che stava per fare.
Gli si avvicinò con passi decisi, sperando di non imbattersi in nessuno tra la folla.
La testa gli girava sempre più forte.
“Davis”, urlò per farsi sentire. L’altro continuò a guardare altrove, la musica troppo alta perché potesse sentirlo. “Davis!”, stavolta si avvicinò al suo orecchio e gli posò una mano sulla spalla.
Riuscì a sentire i muscoli sotto la sua camicia di cotone, e il suo piacevole profumo raggiunse di nuovo il suo olfatto.
Davis sussultò e si girò di scatto.
Le luci intermittenti nascosero l’improvviso rossore sulle guance di Mika, che non si aspettava di ritrovarsi così vicino ai suoi occhi.
Si allontanò istintivamente. Portò la sua bevanda alla bocca per berne un altro sorso.
Davis sgranò gli occhi quando riconobbe Mika, le sue labbra si allargarono in un sorriso. Finì con un unico sorso quello che restava del suo cocktail e poggiò il bicchiere su una superficie là vicino. Tutti i suoi movimenti sembravano al rallentatore nella mente confusa di Mika, ma non gli dispiaceva osservarlo.
Gli sfilò il bicchiere dalle mani e mise via anche quest’ultimo. Mika non si oppose, ne aveva abbastanza per un mese. Si lasciò trascinare verso la pista da ballo.
La musica, l’alcool, le luci. La gente che si muoveva tutt’intorno a loro. Il cellulare in tasca.
La sfacciataggine di Davis, il suo profumo intenso.
Il cuore che prese a battergli forte, mentre annullava la distanza tra le loro labbra. Mika chiuse gli occhi, lasciandosi trasportare in quell’atmosfera così surreale. Davis fu delicato, baciando le labbra sottili del ragazzo un po’ alla volta, prima di posare la mano sulla base del collo e approfondire il bacio.
Mika lo assecondò; non voleva che si fermasse. Sentì il sapore di alcool sulle sue labbra, avvertì la fluidità con cui l’altro si muoveva sempre più sicuro. Davis allontanò le labbra solo per riprendere fiato, seppure non rinunciasse a strappargli un bacio di tanto in tanto.
Poggiò la fronte su quella di Mika, guardandolo negli occhi e sorridendogli dolcemente a labbra strette; una mano gli scivolò sul petto mentre si avvicinò a baciarlo ancora. Poteva sentire il suo cuore battere sotto i suoi polpastrelli. Non aveva mai baciato un ragazzo così timido e allo stesso tempo così sexy, ma qualcosa in lui lo incoraggiava ad andare avanti. Cominciò a sperare che non finisse tutto quella sera.
Le dita di Davis fecero rabbrividire Mika, mentre gli sfioravano i fianchi sottili sotto la stoffa della sua t-shirt. Quest’ultimo interruppe il bacio; aveva l’affanno. Davis si spostò sulla pelle del suo collo, scoperta fino alle clavicole.
La testa gli girava ancora. La musica era ancora forte. La gente continuava a ballare in piccoli gruppi senza dar conto a chi gli stava intorno.
Aveva la pelle d’oca, le labbra di Davis gli facevano il solletico, e le dita che giocavano delicatamente con la sua schiena lo fecero trasalire.
Sapeva qual era il passo successivo, ed era qualcosa che aveva condiviso solo con una persona. The origin of love.
Si concentrò con tutto sé stesso per non permettere all’alcool di prendere il sopravvento e gli prese la mano, facendola scivolare di nuovo sopra la sua t-shirt, poi posò le mani sul suo collo, all’altezza delle mascelle, e lo sospinse via cercando di essere il più delicato possibile. Davis alzò lo sguardo, interdetto. Mika lo guardò mortificato con i suoi occhi color nocciola che brillavano nel buio.
“Scusa…”. Davis riuscì a malapena a capire cosa avesse detto in tutto quel baccano, ma non gli chiese di ripetere. Rimase a guardare il suo viso, le labbra dischiuse per il dispiacere, gli occhi vitrei per l’alcool eppure profondamente espressivi. Non disse niente, mentre lo vide sparire tra la folla.
Gli ci vollero giusto una manciata di secondi per sparire dalla sua vista. Si diresse verso l’uscita del locale, recuperando il cappotto impermeabile che aveva lasciato nel guardaroba; accaldato com’era, avrebbe sicuramente preso la febbre, sudato com’era.
Si accertò di non aver dimenticato nulla, e uscì fuori.
La luce del suo cellulare gli diede fastidio alla vista. Lo schermo non gli appariva nitido, ma si rese conto ben presto che aveva problemi a focalizzare anche il paesaggio intorno.
Perlomeno, lo stomaco andava un po’ meglio; in tutto quel chaos, avrebbe potuto rigettare quei cocktail da un momento all’altro.
Si riconcentrò sul cellulare.
Andy non aveva risposto alla sua ultima provocazione, ma lo aveva cercato ancora.
“Dove sei?”. Ore undici e cinquantasette.
2 chiamate perse.
“Sono fuori”. Mezzanotte e tredici.
1 chiamata persa.
“Mika, esci. Prima che entri io”. Mezzanotte e ventuno.
3 chiamate perse.
Mika sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene. Cominciò a girare come un matto per il parcheggio, nel disperato tentavo di trovarvi ancora Andy.
Barcollava tra le macchine cercando di scorgere una figura famigliare anche nelle auto che non conosceva, correva da una parte all’altra ansimando, quando riconosceva il colore della vettura che stava cercando.
Quando cominciò a perdere le speranze, rallentò il passo. Le lacrime cominciarono a scendergli come se fosse un bambino.
Diede un calcio rabbioso all’asfalto e si lasciò cadere sul marciapiede lì vicino tenendosi la testa fra le mani, come per nascondere anche se stesso da quel pianto così infantile.
“Ti sei ridotto proprio male, devo dire”.
Riconobbe una voce profonda ma al tempo stesso glaciale parlare lì vicino.
Era stato lì per tutto il tempo. Aveva assistito a quell’imbarazzante teatrino di cui esci stesso si vergognava.
Non sollevò lo sguardo, ma cercò di attenuare il pianto.
“Piangi pure, almeno ti libererai dei litri di alcool in qualche modo”. Andy non si avvicinò, rimase a guardarlo dall’altro senza neanche reagire.
“Perché sei venuto qui?”, disse infine Mika. Aveva pensato a tutto quanto per potergli fare quella domanda.
Silenzio.
“Mi ami”. Non era una domanda. Era un’affermazione che non avrebbe fatto se l’alcool non fosse stato così in circolo.
“Sono venuto fin qui”, cominciò quindi Andy ad alta voce, quasi per fermare il flusso di pensieri dell’altro. “Perché sei ridotto così male da non essere in grado di tornare a casa da solo.”
Da solo.
“Sei venuto perché avevi paura che mi facessi accompagnare da un altro. Ma non è successo.”
“Alzati da terra.” Lo interruppe ancora una volta. “Ti riaccompagno a casa, se non vuoi rimanere qua fuori per tutta la notte”. Non avrebbe accettato che qualcun altro si fosse preso cura di lui, era vero. Ed era vero anche che lo amava ancora, ma era troppo arrabbiato per ammetterlo. “Ho detto alzati, Mika”. Il suo tono era duro, freddo.
Il libanese alzo lo sguardo e si limitò a guardarlo per la prima volta da quando era arrivato. Andy distolse subito gli occhi dai suoi, non prima di notare quanto fossero lucidi a causa dell’ebbrezza. Mika si alzò, facendo leva sulle mani e barcollando pericolosamente in avanti. Il rossiccio continuò a guardare dritto davanti a sé, verso il muro, un piede poggiato su marciapiede su cui era seduto il ragazzo libanese. Approfittò del fatto che le mani di Andy fossero nelle tasche del giubbino, e gli prese il viso, catturò i suoi occhi per un secondo e gli diede un bacio, premendo forte leloro labbra e chiudendo gli occhi fino a strizzarli. Il ragazzo si dimenò, liberando le mani dalle tasche e spingendolo via con un tocco deciso. “Non ti ho dato il permesso di toccarmi”. Lo guardò negli occhi mentre lo teneva ancora a distanza. Parlò con una voce carica di disprezzo. “E il tuo sapore mi fa schifo”. Lasciò il giubbotto di Mika e si avviò a passo veloce verso la sua auto, non aspettando che l’altro lo seguisse.
Il libanese dovette correre per raggiungerlo, superarlo e piazzarsi di nuovo di fronte a lui. Gli prese le spalle con le mani, cercando di tenerlo fermo, e non desistette quando Andy gliele tolse, arrabbiato. “Non devi toccarmi”, lo ammonì, guardandogli le mani che continuavano a cercare di tenerlo fermo.
“E tu ascoltami!”. Urlò Mika, esasperato.
Andy si fermò, non aspettandosi una simile reazione.
“Che succede se ciò che proviamo vale più di ciò che facciamo?”, gli disse col fiato corto.
Era questo, quello che avrebbe dovuto dirgli da subito, da quando aveva rimesso piede a Londra. Quello che sperava di fargli capire, insieme al fatto che lo amava ancora. “Sei venuto fin qui per fermarmi. Perché mi ami.” Non ricordava se lo avesse già detto oppure no – la testa continuava a girargli – ma era bene che il concetto gli entrasse bene in testa.
Vide Andy arrabbiato, che cercava di smentire quello che stava dicendo in qualche modo. Cercò di trovare una ragione per convincersi che non lo amava. Ripensò agli ultimi mesi… a tutte le volte che aveva provato a distoglierlo dai suoi oscuri pensieri durante i primi mesi, alla luce dei suoi occhi che era sembrata affievolirsi ogni giorno di più, senza che lui riuscisse a far nulla per fermarla. Alla paura che aveva avuto di perderlo. A quello che aveva provato la notte prima della partenza, e al dolore che aveva provato quando aveva deciso che, dopo, sarebbe stato lui a sparire.
Non meritava tutto il dolore che Mika gli aveva inflitto, ma neanche Mika meritava tutto il dolore che gli era stato inflitto. Era straordinario, non perfetto. Sapeva fin dall’inizio che stare con lui avrebbe significato dover convivere con tutte le sue complicazioni, ma aveva accettato.
Lo amava, anche se non avrebbe voluto toccarlo per un po’, né baciarlo, né dormirci insieme. Non voleva sapere cosa fosse successo in quella discoteca, cosa aveva bevuto o di chi fosse il rossetto sulla mascella. Adesso era Mika a doversi prendere cura di lui.
“From the God above” Mika intonò questo verso ad alta voce nell’aria gelida del parcheggio, facendo sobbalzare Andy. “To the one I love”, Mika continuò a cantare, ignorando il panico negli occhi del ragazzo, che lo guardava impietrito. Non stava badando a ciò che l’altro stava cantando; se qualcuno li avresse sentiti, sarebbe stata la fine. “Mika, sei impazzito!”, disse, dandogli uno strattone al braccio e guardandosi intorno con fare circospetto.
“Only thing that's true”, il riccio abbassò leggermente la voce, approfittando del fatto che Andy fosse più vicino. “The origin is you”, l’ultimo verso glielo disse negli occhi, quasi dimenticando il motivo del ritornello. Si perse nei suoi occhi chiari, di cui conosceva a memoria ogni sfumatura, mentre Andy tirava un sospiro di sollievo; l’avevano scampata anche stavolta. “Basta, sei troppo ubriaco stasera”, gli disse in tono serio, scuotendo la testa.
Mika non rispose subito, deluso per non aver ottenuto l’effetto che sperava. “Mi accompagni a casa?”


***
Saalve gente :)
Non avrei voluto scrivere nulla di personale fino all'ultimo capitolo, ma faccio un passo indietro per lasciare un paio di "comunicazioni di servizio":
1- perdonate il mega ritardo degli ultimi capitoli, ma sappiate che sono sempre attiva e che non lascerò la storia incompleta :P
2- ecco, appunto per questo... vi comunico che il prossimo capitolo sarà l'ultimo! (lo so, avete urlato di disperazione)
Mi farebbe troppo piacere sapere cosa ne pensate - su twitter ho sempre delle osservazioni interessanti, qui siete un pochino più silenziosi :( -, quindi se avete curiosità, avete notato incongruenze, volete sapere se ho qualche fonte e quali sono... lasciate una recensione :D almeno mi rendo conto che effettivamente qualcuno mi ha letto/sta leggendo haha
Grazie per l'attenzione, "a subito" 
Lorsx
 

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Capitolo 7
*** Thank you for the time you’ve taken cleaning up the mess I’ve made ***


Thank you for the time you’ve taken cleaning up the mess I’ve made
 
“Mika?”
Il ragazzo si girò dall’altro lato del letto, infastidito. Aveva ancora sonno, doveva aver dormito poco.
“Mika!”. La sorella non era della stessa opinione; gli diede uno strattone all’altezza delle spalle, coperte da un pesante piumone. “Ti sto chiamando al cellulare da questa mattina. Vuoi alzarti?” continuò a scuoterlo con maggior vigore.
Senza neanche aprire gli occhi, il ragazzo afferrò un cuscino alle sue spalle e se lo premette sulle orecchie. “Vattene”, disse con la voce infastidita e le sopracciglia aggrottate.
“Ma che fine hai fatto ieri sera?”, Yasmine smise di tormentarlo: era sveglio, finalmente.
Ieri sera? Mika aprì gli occhi di scatto, dando le spalle alla sorella. Sentiva un attacco di panico divampare nel suo petto, quando si rese conto di non ricordare nulla riguardo la sera precedente. Cos’è successo ieri sera?
“Ti ho lasciato al pub e poi sei sparito”. Pub, giusto. Cominciava a ricordare qualcosa, ma non fu rincuorato da quella parola. “Avresti dovuto chiamarmi, almeno per vietarmi di venire qui stamattina. Hai rischiato di brutto, sai?”. Yasmine continuava a parlare a ruota libera, rifiutando di cogliere i segnali di ammonizione impliciti. “E quindi è andato via stanotte?”
Mika sbuffò. Non riusciva a ricordare, tanto valeva darle retta. “Ma di chi parli, Yasmine?”
“Di quello che ti ha riaccompagnato a casa e ti ha aiutato a togliere i vestiti. E’ stato carino. Non avete fatto neanche danni.” Yasmine guardò l’ordine della stanza intorno a lei, compiaciuta. “Gli hai chiesto il numero di telefono?”, la sua voce si accese di entusiasmo e si sedette sul letto, alle spalle del fratello che ancora si ostinava a non guardarla in faccia. La luce del sole entrava dalla grande finestra posta dal lato del fratello, illuminandogli il viso e i capelli in disordine, il piumone bianco e i cuscini colorati che come al solito erano a terra.
“No. Ho già il numero di Andy”, rispose infine.
Yasmine si bloccò, non sapendo bene come reagire. Voleva che il fratello dimenticasse Andy, era per questo che lo aveva spinto ad andare in discoteca. O meglio, voleva che il fratello fosse felice, quindi non sapeva se quell’incontro fosse stato positivo oppure no.
La notte prima era stato Andy a riportarlo a casa, questo Mika poteva dirlo con certezza. Si era addormentato in macchina, durante il viaggio di ritorno, e Andy lo aveva risvegliato soltanto fuori il cancello di casa; lesse il sollievo nei suoi occhi quando infine riuscì a svegliarlo; non era mai positivo quando ci si addormentava così facilmente sotto l’effetto dell’alcool.
Gli aveva aperto la portiera e l’aveva aiutato a scendere, sorreggendolo per i fianchi. Mika era ancora mezzo addormentato, quando raggiunsero la camera da letto con Melachi al seguito, che non aveva osato abbaiare dopo il divieto di Andy o, più probabilmente, dopo aver capito che il padrone stava dormendo.
Andy lo adagiò sul letto, mentre lui, sempre a occhi chiusi, si lasciava svestire, troppo insonnolito per fare qualsiasi cosa. Scalciò via le scarpe e aiutò l’altro a farsi sfilare i pantaloni; con un gesto istintivo si diresse sotto le coperte per proteggersi dal freddo, prendendo le mani di Andy per portarlo con sé. Quest’ultimo non si mosse dal suo posto, accompagnando Mika al caldo e allontanandosi di nuovo; il riccio fece per ribellarsi, strascicando qualcosa e tirando di nuovo Andy per le mani verso le coperte. “No, Mika”, disse a bassa voce, “dormo a casa mia”. E, senza che potesse aggiungere niente, si liberò con delicatezza dalla sua presa. Lo lasciò da solo nel buio della sua stanza e se ne andò. Bastarono pochi secondi prima che Mika perdesse coscienza, cadendo in un sonno sordo e senza sogni, mentre le lacrime gli scendevano dal viso quasi senza che lui se ne rendesse conto. Questo era quanto, non ricordava altro.
Yasmine si alzò dal letto e si avviò verso la porta, destando Mika dai pensieri del giorno prima. “Ho portato qualcosa per la colazione”, annunciò “Spero che non sia roba gradita da Melachi, se no mi tocca andare a comprarla di nuovo”. Notò che il fratello stava finalmente stiracchiandosi tra le coperte, deciso ad alzarsi. “Muoviti, ho detto a Paloma che saremmo andati a trovarla”.
 
Solo dopo aver riempito e svuotato per due volte il piatto della sua colazione, Mika si rese conto di quanto fosse stato affamato. In effetti, era da tanto tempo che non mangiava un pasto completo.
I postumi della sera prima svanivano, mentre ricordava poco alla volta quanto era successo. Ricordò della ragazza che gli aveva chiesto di ballare, della vodka liscia che gli dava bruciore alla gola. Sentì le guance arrossire, quando ricordò Davis e del loro bacio. Della sua mente a soqquadro, quando aveva deciso improvvisamente di lasciarlo e scappare fuori. E Andy, che ancora una volta era andato lì a ripulire il disastro che aveva combinato prima che potesse fare altri danni ma che poi era semplicemente andato via, come se una cosa del genere l’avesse fatta giusto per un patto morale o chissà cosa.
Ma una parte di Mika sapeva che lo aveva fatto per fare in modo che nessun altro lo portasse a casa, e quel tanto bastava per infondergli un po’ di coraggio. Si sarebbe ripreso la sua vita un pezzo alla volta, proprio come aveva fatto Paloma.
“MIKA, ma ti muovi?!”
 Il ragazzo sbuffò, ma si decise a darsi una mossa: sapeva bene a cosa si andava incontro quando non si dava retta a Yasmine per troppo tempo.
Venti minuti dopo, erano già sulla strada che portava all’ospedale.
 
“Ancora un passo, Paloma, dai”.
La voce decisa di Joannie che dava istruzioni alla sorella fu la prima cosa che udirono una volta che le porte dell’ascensore si aprirono, quasi servisse a fargli capire dove si trovasse la stanza della sorella. Il libanese rise tra sè; la mamma doveva essersi imposta sui medici per avere voce in capitolo riguardo al piano di riabilitazione, e occuparsene in prima persona.
Poveri loro, pensò, deve essere stato tremendo contrattare con lei. Anche Yasmine roteò gli occhi, e accelerò il passo per raggiungere in fretta la sorellina.
“Mamma!”, entrò prima la ragazza, pronta a uno scontro frontale per convincerla a dare una tregua a Paloma.
“Ciao, ragazzi”, Joannie a malapena si voltò a guardarli, intenta com’era a sostenere la seconda figlia con le braccia, la quale a sua volta si manteneva a un deambulatore.
Mika invece subito si avvicinò a salutarle con un bacio sulla guancia, felice di vedere finalmente sua sorella in piedi. Paloma gli sorrise, doveva essere molto stanca, ma poi tornò subito a concentrarsi sui suoi movimenti.
“Coraggio, dai, l’ultimo e poi ci riposiamo”, la incitò la madre, guardando verso le sue gambe.
“Chissà quante volte glielo avrai detto da stamattina all’alba”, Yasmine era visibilmente contrariata. Paloma la guardò e annuì con uno sguardo carico di sarcasmo, cercando di non farsi notare dalla madre. Scoppiarono a ridere, tutti e tre, mentre Joannie ancora guardava in basso, in attesa di essere obbedita, “Non distrarti, dai!”.
Si era ristabilito l’equilibrio, notò Mika. La complicità delle sorelle, l’instancabilità della madre.
Paloma tornò seria e, dopo qualche secondo di esitazione, mosse un piccolo passo.
Gli occhi di Mika si illuminarono e Yasmine scattò in piedi ad abbracciare la sorella.
Era festa. Tutti applaudivano commossi, si abbracciavano, si complimentavano l’un l’altro.
“Posso sedermi, adesso?” chiese Paloma, speranzosa, gli occhi che tradivano però la sua sincera emozione.
“Dobbiamo chiamare vostro padre, forza!” la madre sbattè due volte le mani, dando via libera a sua sorella “E anche Zuleika e Fotunè! Per oggi abbiamo finito, bisogna festeggiare”.
Come un capitano che chiama all’ordine la sua ciurma, tutti e tre i figli si attivarono per rintracciare l’uno o l’altro, e circa mezz’ora dopo tutta la famiglia riuscì a ricongiungersi.
Mika accolse calorosamente suo padre e suo fratello, festeggiò i progressi di sua sorella, si lasciò punzecchiare da Yasmine e coccolò Zuleika, che ai suoi occhi sembrava sempre avere bisogno delle sue attenzioni e del suo affetto.
Era lì, a respirare quell’atmosfera piacevole insieme a tutti gli altri ma allo stesso tempo si chiedeva come sarebbe stato se anche qualcun altro fosse stato lì in quel momento.
“Dove hai lasciato Melachi?”. Paloma, seduta sul suo letto, notò che qualcosa non andava.
“E’ a casa”, rispose Mika, riprendendo vita dal davanzale della finestra contro cui era appoggiato. Notò che era quasi ora di farla mangiare. “Forse dovrei passare di casa…”
“Sì”, la sorella non gli lasciò completare la frase “vai”. Le lanciò uno sguardo perplesso, a cui lei rispose con un sorriso complice, indicandogli la porta con la testa. “Ci vediamo dopo”, insistette.
Esitante, Mika si fece lasciare le chiavi del veicolo e si avviò nel parcheggio. Erano le dodici e quarantacinque. Nessuna nuova notifica. Esitò ancora: desiderava chiamarlo, in fondo aveva il diritto di sapere degli sviluppi. Aveva partecipato a quello strazio proprio come tutti gli altri. Compose il numero di Andy mentre metteva in moto, ma al terzo tentativo partì la segreteria telefonica. L’urgenza di parlargli sembrò diventare insostenibile, e stavolta non era prettamente per un tornaconto personale: voleva fargli sapere che l’incubo che li aveva perseguitati per tutti quei mesi era finito.
I piani che aveva per l’immediato futuro cambiarono improvvisamente, mentre si diresse verso la casa del ragazzo. Era la prima volta che si dirigeva a casa di Andy di sua iniziativa, senza il suo consenso e – soprattutto – quello dei suoi genitori, che non sempre preferivano saperli insieme a casa loro. Volevano bene a Mika, ma il più delle volte cercavano di convincere loro stessi che si trattasse di un amico e basta per il figlio. Un po’ come suo padre lo sperava per Andy.
Raggiunse il viale d’ingresso senza neanche avere il tempo di rendersene conto, accostò e scese veloce dall’auto senza guardarsi indietro; il cancello del vialetto era aperto, così si fermò direttamente davanti alla porta d’ingresso. Fece un respiro profondo e bussò. Sperò che almeno non sarebbe stato suo padre ad aprire la porta.
“Chi è?”
Tirò un sospiro di sollievo: era Andy.
“Sono Mika. Apri?”
Ci fu un secondo di esitazione, ma infine la porta si aprì, rivelando il ragazzo con i suoi panni abituali – aveva una t-shirt bianca e una felpa blu scura, un paio di jeans e le solite converse bianche – e lo sguardo sprezzante che riservava a Mika da un mese a questa parte.
“Andy”, la freddezza di quella situazione rese Mika ancora più nervoso, “Paloma cammina”, disse quella frase in fretta, ma la luminosità nei suoi occhi sottolineò l’importanza di quelle parole. Affermarlo ad alta voce gli diede la conferma che era davvero successo, che stavolta non si trattava di speranze o preghiere. Paloma aveva vinto. Il suo sguardo si allargò in un grande sorriso, di quelli che gli facevano strizzare gli occhi e arricciare il naso, mentre anche il viso di Andy si distendeva pian piano. Vide l’evoluzione del suo sguardo che passava dall’incredulità, alla commozione, alla goia. Si portò le mani alla bocca e Mika gli gettò le braccia al collo, condividendo l’euforia insieme a lui. Entrambi risero, dimenticando tutto quanto stesse succedendo fino a poco prima, qualsiasi cosa apparve d’un tratto trascurabile.
“Mika!”, Andy riuscì solo a dire questo, rideva e piangeva allo stesso tempo, le emozioni che si confondevano senza lasciar spazio alla lucidità. “Oddio, Mika!”, ripetè, staccandosi dall’abbraccio quel tanto che serviva a guardare negli occhi lucidi dell’altro. Gli scoccò un bacio a piene labbra, gli sorrise, poi gliene diede un altro senza neanche dargli il tempo di reagire. Mika rimase senza fiato, immobile mentre un sorriso si faceva strada partendo dal centro del suo cuore.
Andy lo riabbracciò fortissimo, intrecciando le braccia alla base della sua schiena e poggiando la fronte sulla sua spalla, tratteneva il fiato dalla gioia, chiuse gli occhi. Sentiva il cuore di Mika pulsare sotto la sua camicia, mentre entrambi rimanevano fermi all’ingresso di casa senza badare a niente.
Mika tornò improvvisamente alla realtà; si guardò intorno, scostandosi istintivamente dal ragazzo, che a sua volta alzò la testa dalla sua spalla. “Forse dovremmo…” disse sottovoce, cercando di trovare le parole adatte per completare la frase senza rovinare l’atmosfera. “I tuoi… sono in casa?”
“No”, rispose Andy, “Sono andati in Grecia.” La fronte di Mika si rilassò percettibilmente, facendo sorridere l’altro che si avvicinò per dargli un altro bacio ma poi si fermò e lo portò dentro casa.
Tutto era tranquillo all’interno, forse troppo. Alcuni scatoloni si trovavano ancora ai piedi delle scale – giusto di fronte la porta – e il soggiorno era scarsamente illuminato dalla luce grigiastra filtrata dalle finestre del balcone.
Andy chiuse la porta alle sue spalle, concentrandosi infine sul viso di Mika. “Allora”, sospirò, avvicinandosi al compagno che si era fermato al centro della stanza. “Cosa mi sono perso?”, il sorriso che accompagnò quelle parole bastò a portare più sole in quella stanza di quanto il cielo londinese fosse mai stato in grado di fare.
“Non saprei da dove cominciare”, replicò sinceramente Mika, guardandosi intorno come per cercare suggerimenti in qualche elemento del salotto. “Però possiamo provare a raccontartelo insieme”, si voltò a guardare Andy negli occhi, il quale assunse un’espressione interrogativa, prima di capire dove l’altro volesse arrivare.
“Ti va se stiamo con tutta la mia famiglia per un po’?”
Tutta la mia famiglia, aveva detto. Era arrivato il momento delle presentazioni ufficiali, con madre e padre al seguito. “Tu vuoi che io ti odi”.
Mika rise, nonostante fosse del tutto convinto che il ragazzo non stesse scherzando. “Lo prendo per un sì”, disse, dirigendosi di nuovo verso la porta. Andy, riluttante, lo seguì.
 
 
 
********* 
Salve a tutti!
So che è passato troppo tempo e so che avevo detto che questo sarebbe stato l'ultimo capitolo, ma alla fine mi sono resa conto che era davvero troppo lungo e quindi ho preferito dividerlo (che sarebbe un altro modo per dire che non volevo ancora terminare la storia perché mi sono un sacco affezionata e quindi ho "diluito" un po' lol).
In ogni caso, NON mi farò aspettare come è successo in questi mesi, dato che il gran finale è ((((quasi)))) pronto e quindi sarà pubblicato tra giorni :)
Ne approfitto per dirvi grazie per aver pazientato così tanto, mi sono commossa per ogni vostro "ma continui?". Grazie grazie grazie, ma mi fermo qui che ho già parlato troppo, pardon.
Però voi mi dite che ne pensate, anche se sono una bugiarda e questo non è stato davvero l'ultimo capitolo? :P
"A subito"
Lors x

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Capitolo 8
*** It is the best time I've ever had ***


It is the best time I’ve ever had
 
 
 
Mika contò gli scatoloni che dovevano essere riportati a casa loro una seconda volta; ovunque si girasse, ne trovava uno nuovo che gli era sfuggito l’attimo precedente. “Non mi era mai accorto che avessi tutti questi vestiti”, fu il suo commento finale.
“E sono comunque un terzo rispetto a quelli che hai tu”, replicò prontamente Andy, che prendeva alcuni abiti dalla cassettiera di fianco al letto per ripiegarli in un contenitore.
“Sì, ma tu sei vestito sempre uguale”, fece spallucce l’altro, che invece non ci aveva pensato due volte ad approfittare del letto per distendersi un po’.
Il greco sospirò, arreso. “E’ stato un pomeriggio già abbastanza difficile, Mika”, si voltò a guardarlo, alzando un sopracciglio. “Dammi una tregua”. Fece un mezzo sorriso quando Mika distolse lo sguardo, fingendosi offeso, e poi tornò a lavorare sulle sue cose da sistemare.
Non aveva tutti i torti, in effetti.
Avevano passato quasi tutto il pomeriggio insieme alla sua famiglia ed erano tornati a dar da magiare a Melachi più tardi del previsto; non era stato facile all’inizio, quando aveva aperto la porta della stanza di Paloma ed era entrato anche Andy.
Gli sguardi di tutti scivolarono sulle loro mani intrecciate, suscitando reazioni diverse a ogni membro della famiglia. Yasmine, come al solito, fu la prima a rompere il silenzio, salutando i nuovi arrivati con entusiasmo per poi continuare la conversazione che aveva interrotto il secondo prima con la madre, per nulla turbata dall’espressione preoccupata di quest’ultima che pure aveva fatto un cenno di sorriso ai due al loro arrivo, ma allo stesso tempo non staccava gli occhi di dosso dal marito.
Michael Penniman sr, al contrario, non riusciva a mascherare il suo disagio. Guardò Mika con un’espressione di rimprovero, ma salutò lo stesso Andy che aveva già avuto modo di conoscere in situazioni più informali.
“Buonasera”, Andy salutò tutti con un sorriso nervoso, soffermandosi infine su Paloma.
“Ciao Andy”, gli disse lei, seduta sul letto accanto ai suoi due fratelli. “Non ti ricordavo così bello”, gli fece un occhiolino e tutti risero, le guance chiarissime di Andy che divennero d’un tratto scarlatte. L’approvazione della figlia rasserenò il padre che anche si lasciò andare a quel momento di ilarità, rendendo l’atmosfera più leggera.
Pian piano, ognuno trovava qualcosa da dire e i silenzi si riempirono in maniera sempre più spontanea; Andy chiacchierò a lungo con Paloma e Zuleika, poi passò a Joannie, che gli chiese dei suoi genitori; l’imminente partita del Manchester diede il via ad una lunga discussione tra il greco e Fortunè, e, inaspettatamente, anche con il padre di Mika, che non esitò a far sentire la sua opinione riguardo la sua squadra del cuore.
Il libanese, che in quel momento era poco distante da loro, notò Andy irrigidirsi con l’improvviso coinvolgimento del padre, così si avvicinò di sottecchi per dargli manforte, assistendo al dibattito in silenzio e facendo qualche domanda di tanto in tanto, fin quando il compagno non apparve più rilassato; forse non lo avrebbe accettato in qualità di fidanzato del figlio quel giorno stesso, ma perlomeno trovarono qualcosa che li appassionasse entrambi. E non era poco.
Decisero poi di andare a magiare qualcosa in un ristorante poco distante dall’ospedale, approfittando dell’occasione per far prendere un po’ d’aria fresca a Paloma. Andy si rivelò più a suo agio fuori da quelle opprimenti mura d’ospedale, e di tanto in tanto lanciava uno sguardo a Mika per fargli capire che era tutto okay. Non erano soliti rimanere vicini per troppo a lungo quando erano in pubblico, ma per la prima volta si sentirono liberi di farlo; quando infine accompagnarono la sorella nella sua stanza, non c’era più traccia di tensione tra di loro, e a vederli nessuno avrebbe immaginato dell’imbarazzo che invece si era creato qualche ora prima.
Michael salutò Andy con una pacca sulla spalla. “Io e Fortunè ci vediamo per la finale di campionato, questo sabato”, disse, dopo qualche istante di esitazione, la mano ancora poggiata sulla parte superiore del braccio. “Consideralo un invito”. Gli sorrise in modo burbero e Andy accettò, sorridente “Sarebbe un piacere”, rispose, porgendogli la mano. Anche Mika annuì, entusiasta; abbracciò il padre un po’ più forte del solito, poi insieme salutarono tutti gli altri e si avviarono alla macchina. Aspettarono un po’ prima di prendersi per mano.
“Ho finito”, annunciò Andy, lasciando l’ultima scatola davanti la porta. “Almeno a portarli in macchina mi darai una mano?”
“No”, rispose prontamente Mika, che intanto si era appisolato con la testa affondata tra i cuscini del letto.
“Come al solito”, lo punzecchiò il ragazzo, senza aggiungere altro. Il libanese sentì un tonfo sordo, poi un altro; Andy si lasciò cadere sul letto, schiacciandolo di proposito col suo peso, ma l’altro non oppose resistenza, continuando a sonnecchiare. Poggiò allora la sua testa su quella del compagno, annusando l’odore del suo shampoo. Il suo respiro sulla nuca fece rabbrividire Mika, che fece per svincolarsi e si girò di schiena.
Andy scivolò di lato mentre le braccia di Mika lo circondavano senza farlo allontanare; gli diede un bacio leggero sulle labbra e poi gli sfilò la t-shirt, che lasciò cadere sul pavimento, poi prese a carezzargli la schiena, baciandolo ancora una volta.
Il ragazzo dai capelli rossi si girò, poggiando la schiena al materasso, guidando Mika verso di sé per la camicia; si scostò dalle sue labbra per cercare la base del suo collo, mentre cominciava a sbottonargliela partendo dal colletto. Il riccio fece leva sui gomiti per aiutarlo a togliergli la camicia, senza però lasciare che i loro corpi si allontanassero; la mano di Andy scorse per tutta la lunghezza del suo busto, il suo respiro gli solleticava la pelle del collo. Delicatamente, Andy sganciò il bottone dei suoi pantaloni neri e li fece scivolare verso il basso; non riuscì a trattenere un rantolio quando infine le sue mani aderirono alla stoffa dei suoi boxer per poi disfarsene.
La fronte di Mika si poggiò su quella di Andy, rimasero a guardarsi per qualche istante mentre il respiro si faceva più pesante. Le mani di quest’ultimo si poggiarono sul collo dell’altro e gli avvicinò il viso fino a far toccare la punta dei loro nasi; non ebbero bisogno di parole, tutto ciò che volevano dirsi era nei loro occhi.
Mika abbassò lo sguardo solo per sfilargli via i pantaloni; Andy intrecciò le gambe intorno alla base della sua schiena per tirarsi su e l’altro gli mantenne i fianchi. Si morse il labbro, quando sentì le mani di Mika farsi largo tra i suoi slip; indugiò un po’ prima di tirar giù anche quell’ultimo indumento, che Andy fece cadere sul pavimento, quando riuscì a toglierli nonostante i loro corpi così intrecciati: chiuse gli occhi, Mika accarezzò la sua erezione e premette le labbra su quelle dischiuse dell’altro; poi, con delicatezza, si spostò leggermente indietro e lo penetrò.
Andy interruppe il bacio e piegò la testa all’indietro, trattenendo il respiro; il riccio si spostò sul suo collo, sfiorandogli con le labbra la mascella, poi sul suo orecchio, in attesa che l’altro si rilassasse: quando il respiro tornò a farsi regolare, cominciò a muoversi piano, provando piacere dalla lentezza di quel contatto. Una mano di Andy si spostò sulla base della sua schiena, facendo pressione come per incoraggiarlo ad andare avanti; quel tocco gli provocò un brivido e Mika divenne più impaziente. Riprese a sfiorare Andy con maggior vigore con la mano, e con l’altra avvicinò il viso al suo per baciarlo, poi accelerò il movimento dei suoi fianchi; il bacio si fece sempre più intenso, come se ogni singola cellula del corpo di uno si stesse sforzando per essere quanto più vicina possibile al corpo dell’altro.
Andy interruppe bruscamente il bacio per recuperare un po’ di fiato e l’altro prese a muoversi con maggior foga sopra di lui, senza allontanare la mano dal basso ventre.
“Fermo”, sospirò debolmente, sentendo di essere quasi arrivato al limite. Mika appoggiò la fronte contro la sua, il respiro pesante che scandiva le sue ancate. Sentiva il suo fiato sul viso, mentre cercava di distogliere l’attenzione dal suo sguardo, dal pensiero dei loro corpi che si sfioravano simultaneamente, ai muscoli dell’altro, contratti per l’effetto delle medesime sensazioni che stava provando lui… gemette, prima di perdere completamente il controllo, raggiungendo l’orgasmo senza riuscire a trattenersi.
Mika guardò Andy negli occhi per un istante e si lasciò scappare un sorriso, continuando a muoversi più velocemente, mentre la sua mano risaliva sul fianco dell’altro, che ancora ansimava; una scia di baci venne impressa alla base del suo collo. Passarono pochi secondi prima che desistette anche lui.
Cercò immediatamente le labbra di Andy, mentre entrambi si rilassavano, finalmente, godendo degli ultimi istanti di piacere; poi Mika si lasciò cadere da un lato, riprendendo fiato con gli occhi chiusi. Il vibrare dei loro respiri fu l’unica cosa che si potesse percepire nella stanza.
“Ho bisogno di una doccia”, annunciò infine il greco, l’accenno di un sorriso sul viso e lo sguardo rivolto al soffitto della stanza senza guardare nulla in particolare.
Mika si voltò a guardarlo, frenando una risata, e annuì. “Sì, sono d’accordo”, poi un sorriso si allargò, beffardo. ”Qualcuno ha fatto in fretta, stavolta”. Andy si girò verso il ragazzo, incredulo, e sentì il viso arrossire davanti a quell’osservazione; doveva aspettarselo da lui, in effetti.
“E allora?”, aggrottò le sopracciglia, sulla difensiva. Mika allora non riuscì più a frenarsi e scoppiò in una grossa risata, di quelle cristalline e forti che trascinavano chiunque le ascoltasse nella sua ilarità. “Niente”, disse, il viso illuminato dal suo ridere e il naso arricciato; si protese in avanti per dargli un bacio - che finì su un angolo della bocca dopo essere stato prontamente evitato dal compagno, ancora indispettito. “Se non altro hai la certezza che in tutto questo tempo ti ho aspettato”, ribatté infine quest’ultimo, alzandosi.
Mika rise ancora più forte, sprofondando tra le lenzuola mentre Andy lasciava la stanza da letto, recuperando i suoi vestiti dal pavimento; decise di non stuzzicarlo ulteriormente e di dargliela vinta, per una volta: adorava quando era lui a stuzzicarlo – si rendeva conto che fossero ben poche le cose per cui diventava suscettibile, paragonate alle sue – ma quegli ultimi momenti lo avevano reso così felice da non volersi arrischiare a rovinarli.
Attese che il compagno finisse, immerso nei suoi pensieri, lasciando che il suono dell’acqua della doccia scandisse i secondi, concedendosi qualche altro minuto nel suo paradiso prima di riprendere i contatti della realtà... ma in quell’istante realizzò che non c’era più nessuna realtà da cui evadere. Finalmente, era impaziente di uscire da quella stanza e affrontare la sua vita.
 
“Chi era?”, Andy cercò di far trapelare solo curiosità da quella domanda, ben attento a non alzare lo sguardo dalla pentola su cui stava arrostendo la carne per la cena.
Mika non potè evitare di sorridere; non aveva aspettato nemmeno che lo raggiungesse di nuovo nella zona cottura per chiederglielo.
“Al telefono?” chiese con aria ingenua, avvicinandosi. Lo circondò con le sue braccia da dietro, incapace di nascondere la gioia, e affondò la testa sulla sua spalla. Fece un respiro profondo. “La casa discografica”, annunciò e Andy capì che stava sorridendo nonostante non potesse vederlo. Si voltò a guardarlo, prendendogli la testa fra le mani per guardarlo negli occhi “Cosa?” bisbigliò, l’accenno di un sorriso incredulo sul viso.
La luce che emanavano gli occhi di Mika quasi lo stordì, poi la sua risata emozionata irradiò la stanza. “E per dirti cosa?”, stavolta il ragazzo dovette controllare la voce, le parole interrotte dal ridere: non seppe dire se fosse più emozionato dalla notizia del suo ritorno nel mondo della musica o dalla reazione del compagno stessa; in ogni caso, era lo spettacolo più bello che i suoi occhi potessero mai chiedere a conclusione di quella giornata. E la cosa che rendeva tutto più incredibile era che Mika fosse inconsapevole di quello che gli stava trasmettendo. In quel momento, lui non stava facendo altro che mostrargli la sua anima, era lui e basta a creare tutto ciò.
“Vieni”, nel giro di un attimo, il ragazzo gli prese le mani per trascinarlo in salone, ebbe giusto il tempo di spegnere i fornelli e seguirlo: avrebbe corso, se non ci fosse stato Andy a rallentarlo. Lo posizionò davanti al pianoforte, poi si allontanò per accendere le luci, le regolò in modo da illuminare solo lo strumento al centro della grande stanza; Melachi percepì che stava succedendo qualcosa di interessanta e abbaiò eccitata, accorrendo per prendere parte agli eventi. “Melachi, chute!” la ammonì Mika, prendendo posto e posizionando le dita sul pianoforte, cercando la tonalità adatta.
Andy aveva osato muoversi, assisteva all’enfant terrible all’opera senza interromperlo. Il libanese esitò, prima di cominciare.
“Domani sarà il primo giorno in sala prove”, lo guardò, Andy annuì senza interromperlo, intuendo che non era quello ciò che voleva dirgli. “E volevo farti ascoltare il brano principale. Non è l’unico che ho scritto, ma è quello che dà il titolo all’album, quindi mi sembrava importante”.
Il greco gli sorrise, incoraggiante; era quasi un rito quello di fargli ascoltare le canzoni prima di presentarle alla casa discografica, come se lui fosse l’anticamera del resto del mondo. Si fidava della sua opinione, quindi quel passaggio era sempre estremamente importante quanto emozionante.
“Il titolo è Origin Of Love”.
Silenzio. Andy non capì subito il significato intrinseco di quelle parole. Mika attese che vi arrivasse, studiando il suo sguardo prima di continuare. Avvertì quasi il cambiamento del suo battito cardiaco quando la sua espressione mutò.
“Te l’avrei già cantata, una volta, tre giorni fa”, l’espressione dell’altro era indecifrabile, “ma mi rendo conto che forse non è stato il momento adatto”, concluse, riferendosi a quanto era accaduto fuori la discoteca: non riusciva a credere che fosse passato così poco tempo. In realtà, stava facendo di tutto per rimuovere quell’avvenimento dalla sua memoria. Passò nervosamente le mani sui tasti in avorio prima di cominciare, ma Andy lo interruppe, come riprendendosi dallo stato di trance.
“Mi hai dato la dimostrazione più grande del tuo amore da ubriaco”, parlò con lo sguardo di chi aveva appena finito di risolvere mentalmente un’espressione algebrica, riportando la conclusione di un ragionamento che aveva avuto luogo in quella manciata di secondi nella sua testa.
Mika alzò lo sguardo, non sapendo bene come reagire. L’assurdità di quel momento fu tale che entrambi scoppiarono a ridere, alleggerendo l’atmosfera; poi Andy continuò, “Tu mi ami solo da ubriaco”, sentenziò con un finto tono accusatorio. L’altro si portò una mano sugli occhi, imbarazzato, ma non smise di ridere. “Potrei scriverci una canzone, la prossima volta che mi ubriaco”, disse infine, e Andy si mostrò subito entusiasta della decisione. Si sedette al suo fianco, in attesa che le risate si placassero, ricominciando ogni volta che i loro sguardi si incrociassero. Impulsivamente, Mika gli diede un bacio a piene labbra mentre ancora rideva; l’imprevedibilità di quel momento prese Andy in contropiede che ricambiò il bacio a sua volta, improvvisamente serio. Si presero qualche altro minuto per loro, Mika gli lanciò uno sguardo intenso, prima di rigirarsi verso il pianoforte.
Quando le dita diedero vita alla melodia, Andy si sentì improvvisamente vulnerabile. Il cuore riprese a pulsare forte come qualche minuto prima, mentre ascoltava finalmente le parole del brano.
Si alzò in piedi, sentendosi mancare l’aria al pensiero che ciò che sentiva era stato creato per lui. Senza che riuscisse ad accorgersene, le lacrime presero a scendergli sul viso mentre ascoltava il ritornello, ripeteva mentalmente le parole man mano che Mika le pronunciasse, in modo da metabolizzarle più in fretta. Gli sovvenne che solo poco prima credeva di aver avuto davanti ai suoi occhi lo spettacolo più bello della sua vita, ma rettificò quel pensiero: adesso quello spettacolo aveva un sonoro.
Melachi non resistette e alla fine si avvicinò ai ragazzi, saltando dove poco prima era seduto Andy.
Le lacrime si fecero più insistenti quando, al secondo ritornello, arrancava a sussurrare le parole insieme a Mika, senza badare al ritmo o alla tonalità. Le recitava come se fossero una poesia, la sua poesia. Probabilmente, sarebbe rimasta tale per tutta la vita.
You’re the origin of love.
 
 
 
 
 
 
 
***********************
Salve a tutti!
HO USCITO IL CAPITOLO nel caso non ve ne foste accorti
Cercherò di essere breve, ma questa parte qua ci tenevo a scriverla.
Innanzitutto chiarisco delle cose importanti
  1. ho scelto questa tematica perché mi ispirava, volevo capire cosa fosse scattato nella testa di Mika in quel periodo, dato che lui non ne ha mai parlato.. e questa è stata la mia visione delle cose, semplicemente. NON VOGLIO SPECULARE SUI FATTI DRAMMATICI DELLA SUA VITA come qualcuno mi ha fatto notare
  2. la scena lemon l’ho scritta in 3 giorni e spero vi sia piaciuta, che non sia stata volgare e roba del genere.. come prima volta non potevo fare di più!
  3. Le fonti sono “Vanity Fair”, “Sette” e l’intervista a “LeDivan”
     
 
[Da qui in poi divento molto logorroica ]
 
Diciamo che non posso che essere felice di essere arrivata a questo piccolo traguardo. Ho cominciato a scrivere questa storia un pomeriggio estivo senza aver mai provato nemmeno a scrivere una favola alle elementari, e quindi non mi aspettavo avrebbe avuto così tanto impatto, soprattutto non mi aspettavo che a qualcuno diverso dalla mia migliore amica (che tra l’altro THUMBS UP, è una delle scrittrici più promettenti della mia generazione) potesse apprezzare ciò che scrivevo.
Mi avete colta alla sprovvista e mi avete dato la carica per affrontare ogni singolo capitolo, pagina o rigo e quindi ve ne sono grata.
Ringrazio qualsiasi utente abbia speso anche solo un secondo per scrivermi una considerazione qui o anche qualsiasi utente Twitter che si sia interessato a contattarmi per avere notizie riguardo fonti o per sapere se fossi ancora viva nei mesi di pausa causa studio; in particolare ringrazio Prof. Nicoletta, di cui sono una fiera alunna e che ho conosciuto proprio dopo il primo capitolo insieme a Manuela, anche lei mi ha “tenuta per mano” dall’inizio grazie al suo entusiasmo. Sono felice di avervi trovate!
Poi ringrazio Asia, di cui parlavo prima. E’ grazie alla sua approvazione e alla stima che provo per il suo talento che ho deciso di iscrivermi su questo sito. (Brava Asia ora puoi piangere).
Infine, ringrazio Margherita, che tra poco mi ritrovo in camera se non mi muovo a caricare il capitolo, che è una fonte inesauribile di conoscenza e mi ha dato molte chicche su cui ispirarmi, merci x E Serena, per le sue recensioni chilometriche e esaustive, mi ha fatta sorridere ogni volta!
Non ringrazio Sofia perché è una persona inutile, e Anna, perché non crede alla mia visione delle cose L
Ci sono anche tante persone senza nome che hanno letto tutto questo in silenzio e che ringrazio lo stesso. Sappiate però che QUESTO E’ IL MOMENTO ADATTO PER PALESARVI (nessuna pressione).
Ecco, ho finito J
Lors x
 
A ma g.m., bisous
 
 

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