I Trucchi del Mestiere

di teabox
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


Nota: per le persone che sono state così incredibilmente gentili da leggere una e l’altra (o una o l’altra) delle storie. Per chi è stato così incredibilmente gentile da lasciarmi una nota.

E’ colpa vostra. 

Mille, mille grazie :)

 

Ho spostato cose, tagliato altre, in generale fatto un sacco di casini - tutto in tre capitoli che, comunque, spero siano abbastanza comprensibili e vi divertano un po’.

Ci sono ancora due piccole parti (un post tutto questo, in - OMG - rosso e un pre tutto quanto, in verde) che spero di mettere online, eventualmente - anche solo per togliermi di testa le idee.

Nel frattempo, vi lascio con i disclaimers del caso per sottolineare l’ovvio - ovvero, che è tutto frutto di fantasia e di una discutibile definizione su cosa “usare il tuo tempo libero al meglio” significhi.

E come sempre, buona lettura (spero)!

 

 

 

 

 

 

 

Lauren O’Caffrey aveva visto di peggio.

Infatti, Lauren O’Caffrey aveva visto di molto peggio.

E tuttavia, quando Olive parlò, lo fece con una nota incerta nella voce. «Pensa che potrebbe andare bene?»

Lauren avrebbe voluto ridere, ma si trattenne. Non sarebbe stata una reazione professionale - o matura. Non riuscì, però, ad evitare un piccolo sorriso sardonico distogliendo gli occhi dalla foto di Tom Hiddleston che Olive le aveva passato. «Andrà benissimo

Olive sospirò, lasciando passare un attimo. «Chissà perché, me lo immaginavo», commentò poi con un tono quasi rassegnato. 

 

*

 

Tre mesi prima

(96 giorni al colpo)

 

«Il tuo Tom», aveva cominciato a dire M.

«Non c’è nessun mio Tom», l’aveva interrotta Olive.

M le aveva sorriso come una madre di fronte ad una bambina particolarmente ingenua. «Come vuoi tu, chérie. Quello che volevo dire è che Tom è un bravo ragazzo, che prima o poi sposerà una brava ragazza e avrà tanti bravi bambini.»

Olive considerò quelle parole osservando un angolo di Londra dalle finestre di un lussuoso appartamento d’epoca. «Stai forse dicendo che io non sono una brava ragazza?»

M prese un sorso di tè da una tazza di porcellana che si mormorava avesse fatto parte del servizio preferito dell’ultima zarina di Russia. «Au contraire, Olive. Ritengo che tu sia un’ottima ragazza, ma il lavoro che svolgi difficilmente ti classifica come “brava”.»

Olive si allontanò dalla finestra e si lasciò cadere sul divano.

«Maniere, Olive, maniere», la rimproverò M. «Inoltre, pensi che saresti capace di lasciare tutto questo?», agitò una mano in un gesto quasi regale, indicando l’appartamento, quello che l’appartamento conteneva e, forse, più in generale Olive e la sua vita. «Non sto dicendo che non si possa fare e non sto nemmeno dicendo che saresti la prima a farlo. Ma immagino che non ti siano sfuggiti i…cambiamenti che dovresti apportare al tuo stile di vita.»

 

Olive incrociò le braccia sul petto e sentì la linea della mascella irrigidirsi. Un dolore ovattato si diffuse lentamente dal livido che aveva sotto l’occhio destro, ricordandole il labbro spaccato, i segni sul collo e il polso fasciato che lo accompagnavano. Quando parlò, però, la voce uscì calma e controllata. «Non c’è niente di cui preoccuparsi, M. Non so quali voci ti siano giunte riguardo me e la mia presunta infatuazione, ma quello che posso dirti io è che non c’è nulla da dire. Tom è da mesi all’estero per lavoro e non ci siamo mai sentiti durante questo periodo.»

M appoggiò la tazza di porcellana, spostando quasi con cautela lo sguardo su Olive. «Ma ora è tornato. E’ a Londra da quasi una settimana.»

Qualcosa nel corpo di Olive si fermò. Forse era stato il cuore, per un istante, o forse era stata la mente. Fissò M con una punta di fastidio. «Ti ripeto, è tutto sotto controllo. Per l’amor del cielo, ci siamo incontrati solo un paio di volte. Non esattamente abbastanza tempo per…per invaghirsi o qualsiasi altra ridicola nozione-»

M alzò una mano per interrompere Olive. «Nessuno parla di amore. Ma nemmeno tu puoi essere così testarda - o così sciocca - da negare la possibilità di una certa infatuazione. E non avrei nessun problema se Tom non fosse chi è, se non fosse così esposto-»

Fu Olive ad intromettersi in quel momento, il tono asciutto ed irritato che - lo sapeva - l’avrebbe fatta suonare come un’adolescente in fase di ribellione. «Forse, M, mi voglio solo divertire. Forse voglio solo portarmelo a letto. Non è più una prerogativa maschile, se non lo sapessi.»

Avrebbe potuto usare parole ben più crude, ma sapeva che non ce n’era bisogno. Aveva già superato la linea. 

 

M rimase in silenzio per qualche istante, la mano aggiustò un’inesistente piega della gonna. Il viso era rimasto impassibile, ma si era alzata con un certa rigidità nei movimenti. «Grazie per il tè, era delizioso», le disse raggiungendo la porta. 

Olive la seguì, lasciando tuttavia qualche passo di distanza tra di loro. 

M sembrò esitare solo un instante sulla soglia, la mano sulla maniglia della porta. Si voltò a guardare Olive, un che di duro negli occhi. «Tieni a mente una cosa, Olive chérie. Puoi divertirti quanto preferisci, ma non dimenticare che l’altra persona potrebbe avere dei sentimenti per te. E sarebbe davvero imperdonabile non prenderli in considerazione, solo perché te lo vuoi “portare a letto”.»

Le lanciò poi un ultimo sguardo, prima di lasciare l’appartamento chiudendo la porta dietro di sé. 

Olive sospirò. Le mani corsero alla fronte, massaggiando le tempie lentamente, come se quel gesto potesse cancellare la confusione che le riempiva la testa. 

 

*

 

Un sole eccezionalmente brillante risplendeva su Londra la mattina in cui Tom si era imbattuto in M davanti al portone della palazzina di Olive. 

M non era sembrata tanto stupita dal vederlo, quanto perplessa. Aveva detto cose come “che inaspettata coincidenza” ed “Olive sarà terribilmente sorpresa”, ma il tutto con una  nota incerta e titubante nella voce che Tom aveva compreso solo quando aveva raggiunto l’appartamento ed Olive aveva aperto la porta.

Davanti ai lividi sul viso della ragazza, Tom aveva perso il sorriso e per un istante anche la capacità di dire qualcosa.

 

«Tom», offrì allora Olive con un che di meccanico. «Ciao.»

«Cosa ti è successo?», chiese lui dando la priorità alla preoccupazione piuttosto che hai convenevoli.

«Oh», replicò Olive spostandosi di qualche passo e guardando il suo riflesso in uno specchio del corridoio, osservando i lividi come se non li avesse notati fino a quel momento. «Immagino che tu ti riferisca a questi

«Sì, Olive, mi riferisco a quelli», disse Tom irritato, ma senza riuscire a puntare il dito ad un motivo solo - i lividi, il fatto che li trattasse con tanta leggerezza, il non averlo saputo prima, la preoccupazione. Entrò nell’appartamento e la raggiunse, osservandola senza toccarla. «Che accidenti hai fatto?»

«Se non ricordo male», rispose lei alzando appena le spalle, «le parole della ragazza che me li ha lasciati sono state “hai superato la linea, Livs”.»

«La ragazza?»

 

Olive accennò un sì, prima di incamminarsi verso il salotto. «Se ricordi, l’ultima volta che ci siamo visti ero inciampata in una vecchia conoscenza.»

Tom la seguì osservandola con attenzione e registrando gli altri segni - il polso fasciato, i lividi sul collo - che non aveva notato immediatamente. Strinse le mani a pugni, cercando di trattenere la frustrazione. 

«E’ saltato fuori che la vecchia conoscenza aveva un piano tutto suo che non riguardava solo un paio di quadri», continuò Olive lasciandosi cadere su di una poltrona. Una piccola smorfia di dolore le comparve sul viso. «E non è stata particolarmente contenta di scoprire che qualcuno aveva intenzione di intromettersi nel suo piano.»

Tom si sedette di fronte a lei. «Quindi l’hai…fermata?»

Olive scosse la testa. «No, non io. Io mi sono limitata a trovarla e trattenerla. A fermarla sono stati M e il suo collegamento all’Interpol.» Gli rivolse poi un sorriso che aveva qualcosa di un po’ troppo rigido. «Ma tu come stai? Cosa ti porta qui?»

 

Tom si schiarì la voce. Aveva due biglietti per una prima teatrale nella tasca interna della giacca, ma improvvisamente l’idea sembrava assolutamente ridicola. Ridicola e rischiosa. Le lanciò uno sguardo catturando di nuovo i lividi e il labbro spaccato, cercando di fermare i pensieri che gli inondarono la testa. I “non posso uscire con lei in questo stato”, i “ci saranno fotografi”, i “quali speculazioni i giornali potrebbero fare”, i “la mia carriera”.

 

«Va tutto bene?», domandò Olive davanti al suo silenzio.

Tom arrossì appena, vergognandosi nonostante tutto di quello che aveva pensato. «Ho…Avrei due inviti per Il Mercante di Venezia all’Almeida. Mi domandavo se volessi venire con me. Stasera.»

Lei rimase in silenzio. Spostò lo sguardo sul tavolino che occupava il centro del salotto e dopo qualche attimo lo riportò su di lui, un sorriso appena triste sul volto. «Grazie. Ma non così», rispose indicandosi il viso. «Non credo sarebbe il caso.»

Tom si vergognò di nuovo per il sollievo che sentì di fronte alla risposta di Olive. Si alzò dal divano, imbarazzato. «Forse allora un’altra volta?»

Olive lo imitò. «Forse», rispose con quel sorriso un po’ amaro ancora sulle labbra.

Probabilmente sapevano entrambi che si trattava di una bugia. 

 

Si salutarono, poi, con una leggerezza che aveva qualcosa di forzato e Tom non poté fare a meno di pensare che quel “ci sentiamo” che lei gli aveva rivolto prima di lasciarlo andare era suonato più come una frase di circostanza che una promessa.

 

*

 

Due mesi e mezzo prima

(78 giorni al colpo)

 

«C’è una linea sottile tra l’essere cauti e l’essere stupidi, Olive. E francamente, ora come ora, non so da quale parte di quella linea tu sia.»

Priya - che aveva pronunciato quelle parole - era un tecnico dei computer. O almeno quella era la dicitura sui suoi biglietti da visita, perché in realtà la ragazza era un mezzo genio informatico che M aveva scovato in un help-desk telefonico all’incirca nello stesso periodo in cui aveva affidato ad Olive il suo primo compito “fuori dell’ordinario”.

 

«Tom Hiddleston», continuò mostrandole una foto sul suo cellulare, «questo Tom Hiddleston ti chiede un appuntamento e tu osi rifiutare?»

«Il mio viso era pieno di lividi, Pri. Difficilmente un look elegante», le aveva fatto notare Olive staccando gli occhi da libro che stava leggendo.

Priya aveva sventolato una mano come a spazzare via l’obiezione. «E da allora non ti ha forse chiamato due volte e mandato quattro messaggi? A cui tu non hai mai risposto.»

«Il problema di Tom», aveva replicato Olive con una punta di esasperazione, «é che ha un tempismo pessimo. Ogni volta che mi ha contattata, ero nel mezzo di qualcosa di più delicato e che non potevo interrompere per un sms.»

«Quattro sms», ripeté Priya tornando a dedicarsi al computer di fronte a sé. «A cui tu non hai mai risposto

 

Olive alzò gli occhi al cielo, ma non replicò. In fondo sapeva che quello che Priya le stava dicendo era la verità e che le giustificazioni che si era raccontata erano giusto quello. Giustificazioni. 

Priya le passò un piccolo auricolare, che Olive osservò dubbiosa. 

«E’ calibrato alla perfezione», sottolineò la ragazza con una nota di stizza. «Ma possiamo fare un test comunque.»

Olive infilò l’auricolare e uscì dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Si schiarì la voce, il segnale che avevano deciso avrebbe dato il via alle informazioni che Priya le avrebbe dovuto passare, una volta che Olive fosse riuscita ad entrare nell’abitazione del bersaglio di quella sera. 

«Questa è la tua coscienza, Olive», la voce di Priya le riempì l’orecchio, «sei una stupida.»

Olive alzò gli occhi al cielo.

 

*

 

Forse avrebbe dovuto capirlo in quel momento. O se non in quel momento, nell’attimo in cui era uscita per strada, quella sera, e si era resa conto che aveva cominciato a piovere. 

Raramente tutto andava per il verso giusto quando pioveva. Meno che mai quando ti trovavi a dover uscire da una finestra al terzo piano di una palazzina storica, senza nemmeno l’aiuto di un giardino ad attutire la caduta. 

Olive non sapeva cosa esattamente fosse andato storto - il marciapiede era bagnato o la scarpa non aveva avuto abbastanza trazione - ma sapeva che aveva fatto male. Si era rimessa in piedi velocemente, senza però riuscire ad ignorare il dolore pulsante alla caviglia. 

Quando aveva raggiunto il punto d’incontro stabilito per lo scambio - documenti al cliente, trasferimento elettronico di fondi per M - l’uomo non aveva nemmeno ringraziato. Non l’aveva nemmeno, a dire il vero, degnata di uno sguardo. Il finestrino della Bentley scura si era abbassato, poi chiuso e la macchina era sparita nella notte londinese. 

Ed Olive si era trovata zoppicante e sotto la pioggia, in un angolo della città che - per quanto volesse ignorare il pensiero - sapeva bene di conoscere. Era a forse dieci minuti dall’appartamento di Tom.

 

E non era come se Olive in passato non avesse mai fatto qualcosa di totalmente stupido per un uomo. Saltare dalla finestra di un terzo piano, se non altro, dimostrava esattamente quello. Ma generalmente era per lavoro. 

Quella sera, invece, forse perché era stanca o forse perché era dolorante (o forse perché semplicemente voleva vederlo), Olive decise di fare qualcosa di totalmente stupido per un uomo e di farlo per se stessa. 

E s’incamminò come meglio poté verso l’appartamento di Tom.

 

*

 

C’era un modo tutto speciale con cui Londra riusciva ancora a sorprendere Tom. 

Albe particolarmente luminose, tramonti infuocati o - anche più semplicemente - l’arrivo della primavera, che abbracciava angoli della città in modo inaspettato.

Tuttavia, Tom non aveva mai creduto che Londra gli avrebbe fatto il favore di fargli trovare - girato l’angolo che imboccava la sua strada - una ragazza che sembrava impossibile da intercettare, a meno che non fosse lei a volerlo. 

 

Olive sembrava lo stesse aspettando appoggiata alla ringhiera che portava all’ingresso del suo appartamento, eppure quando Tom affrettò il passo per raggiungerla, lei lo guardò con un’espressione sorpresa.

I lividi erano scomparsi, eppure qualcosa sul volto di lei sembrava fuori posto. Forse era il fatto che fosse completamente bagnata e leggermente più pallida di quanto Tom ricordasse. 

 

«Tom», disse Olive anticipandolo, ma senza aggiungere altro. 

«Olive», replicò lui fermandosi a qualche passo di distanza. «Mi stavi aspettando? Ero fuori con degli amici. Mi avresti potuto mandare un messaggio, sarei tornato prima.»

Lei sembrò di un grado più sorpresa da quella affermazione. Abbassò per un attimo la testa, muovendosi con un che di rigido, nascondendo qualcosa nel volto. 

Tom la guardò perplesso. La sensazione che qualcosa fosse fuori posto tornò a farsi sentire, ma non riuscì di nuovo a dargli un nome. 

«Passavo di qui e ho pensato di fare un salto. Ero sul punto di andare, ma stavo aspettando che la pioggia si placasse un po’.»

Tom guardò Olive spostarsi di nuovo e finalmente capì quale fosse il problema. O, quanto meno, uno dei problemi. Stava appoggiando tutto il peso del corpo su di una gamba sola e l’altra era raccolta in modo che il piede non sostenesse alcuno sforzo. Se la sua esperienza di corridore non sbagliava, la caviglia di Olive aveva tutta l’aria di essere slogata. E lei lo stava nascondendo.

 

Una parte di Tom si preoccupò, l’altra si arrabbiò. Era arrivata fin lì, fin da lui, eppure preferiva far finta di nulla.

Tom cercò le chiavi di casa per nascondere per un attimo l’irritazione. «Vuoi salire?»

Olive si mosse di nuovo. «No, ma grazie. Non voglio disturbare, ero davvero solo…»

Lui trattenne a fatica il fastidio. Olive si stava comportando da sciocca, e tanto valeva allora ripagarla con la stessa moneta. Aprì il portone ed esitò solo un attimo sulla soglia. «Buona notte, allora. Scusa, ma sono stanco.»

Chiuse il portone senza aspettare una risposta e contò fino a dieci. Quando lo riaprì e vide Olive bloccarsi sul secondo gradino - la caviglia sospesa - non si trattenne oltre.

«Davvero, Olive? Davvero? Mi avresti lasciato andare via così», disse arrabbiato ed incredulo. «Sei arrivata sotto casa mia, ovviamente cercavi me e anche così, invece di chiedere aiuto, avresti preferito non dire nulla.» Lei aprì la bocca per replicare qualcosa, ma Tom non le lasciò spazio. «La tua caviglia, Olive. Non sono esattamente un cretino, e tu sei una ladra e non un’attrice. E’ ovvio che hai un problema.»

Olive gli regalò per un attimo una rara espressione imbarazzata. «Non volevo disturbare.»

«Lascia che sia io a decidere se disturbi o no», rispose Tom asciutto. Inspirò chiudendo gli occhi per un attimo ed espirò lentamente, più stanco che irritato. «Avanti, vieni.»

 

Aprì il portone un po’ di più per lei, ma non disse nulla quando la vide esitare ancora per un attimo. Poi, dopo un breve cenno della testa ed un “grazie” più sussurrato che detto, Olive gli passò accanto zoppicando.

 

Tom sospirò di nuovo.

 

*

 

«Non puoi continuare a fare questo.»

Olive, che stava testando quando peso potesse appoggiare sulla caviglia fasciata, si bloccò.

Tom giocherellò per un attimo con il resto della garza, prima di abbandonarla sul tavolino del salotto. «Ho provato a contattarti più di una volta, ma non mi hai mai risposto. Nemmeno una parola. Poi, invece, tutto d’un tratto sei di nuovo qui. Senza neanche avvisarmi. Non puoi entrare ed uscire dalla mia vita come preferisci, Olive. Non funziona così.»

 

Olive esitò un momento prima di sedersi accanto a lui sul divano. Non disse nulla, forse perché sapeva che Tom non aveva ancora finito.

«Sono più che contento di vederti, Olive. Ma la mia vita è già piena di incertezze ed instabilità, quindi almeno le mie…amicizie le vorrei più stabili. Meno indecise. Meno provvisorie.»

Si voltò a guardare la ragazza e, come la prima volta in cui si erano incontrati, riconobbe in lei quell’espressione pulita e priva di maschere che, di tanto in tanto, Olive lasciava apparire. La vide sospirare e in qualche modo sembrò farlo con tutto il corpo. 

«Hai ragione», disse infine lentamente. «Mi dispiace.»

 

Tom si appoggiò allo schienale della poltrona e da lì osservò la schiena della ragazza e la linea del collo e come alcuni ciuffi di capelli troppo corti o troppo ribelli erano scappati dalla coda che tratteneva tutti gli altri. Fu tentato per un attimo di appoggiare una mano tra le scapole di lei e lasciar scivolare una carezza lungo la schiena di Olive, ma non voleva vederla perdere quella postura un po’ curva e più rilassata del solito. 

«Dentro o fuori, allora?», domandò quindi, immaginandosi che lei avrebbe capito cosa le stava chiedendo. Ignorando come meglio poté quella nota di timore aspettando la risposta. Non che non sarebbe sopravvissuto se lei avesse deciso di uscire dalla sua vita, ma di sicuro le sarebbe mancata (come, innegabilmente, le era mancata un po’ in tutto quel tempo).

 

Olive si appoggiò allo schienale accanto a lui. Le loro braccia si sfioravano appena. «Dentro», disse dopo un attimo. 

Tom sorrise con un che di sollievo e soddisfazione. Allungò una mano. «Amici, allora?»

Olive lo guardò perplessa, prima di sbuffare una mezza risata e accettare la sua mano. «Amici.»

 

*


Due mesi prima

(63 giorni al colpo)

 

«Ma sono scemi?», domandò retoricamente Olive.

Passò il giornale a Priya e guardò M aspettando chiarimenti.

M agitò una mano come a cancellare un commento così superficiale. «Come ben sai, Olive, l’ingenuità di alcuni è la ricchezza d’altri. Nel caso specifico di possibili ladri di gioielli.»

Priya rise incredula e passò nuovamente il giornale ad Olive, che rilesse l’articolo con più calma. «Le riprese del film iniziano tra due settimane, ma Dublino ha già dato l’okay per usare la stella dell’Ordine di San Patrizio.» Alzò gli occhi dalla pagina e guardò M. «L’originale! Ma quanto vale? Oro, argento, diamanti, rubini e smeraldi…A Dublino sono usciti di testa?»

M agitò di nuovo la mano. «L’originale verrà utilizzato solo in una scena, mentre sarà una replica ad essere usata per il resto del film. La spilla arriverà sul set solo il giorno della ripresa e sarà strettamente sorvegliata per tutto il tempo. A Dublino sono quasi del tutto sicuri che non succederà nulla, ma è proprio per quel “quasi” che sono stata contattata. Vogliono il nostro aiuto.»

 

Olive trattenne il respiro per un momento.

«Immagino che potrebbe essere divertente», commentò Priya.

Lei la guardò scettica, prima di tornare ad M. «E’ che non vedo come si possa davvero essere utili.»

«Vogliono qualcuno che sia insospettabile, ma allo stesso tempo sicuro. Che sia capace di tenere un profilo basso e che sappia come muoversi e a cosa stare attenti. Qualcuno come te. Tutto quello che dovrai fare sarà guardarti attorno e prendere nota di persone o atteggiamenti sospetti. Ci saranno un paio di agenti dell’Interpol sul set il giorno in cui la spilla verrà usata, ma è su quello che potrebbe succedere prima che hanno poco controllo. Ed è qui che vogliono il nostro aiuto. Vogliono qualcuno che vigili sulla situazione da fuori - Priya, in questo caso - e qualcuno che la vigili da dentro. Tu.»

 

Priya ed Olive si scambiarono uno sguardo appena dubbioso. 

«Inoltre», aggiunse M lentamente prendendo il giornale, «forse è il caso che diate uno sguardo a questo.»

Spiegò il giornale, rivelando l’altra metà della pagina che era rimasta nascosta fino a quel momento. Due foto in bianco e nero accompagnavano l’articolo sul film e la stella dell’Ordine di San Patrizio. 

Una era di Tom - di certo non una sorpresa per Olive, dato che già da tempo era stato pubblicizzato che aveva accettato il ruolo di protagonista maschile in quella produzione. 

L’altra, invece, catturò immediatamente l’attenzione di entrambe le ragazze. 

 

«Ma questo non è-», cominciò Priya, piegandosi un po’ di più sulla foto.

«Sembrerebbe proprio», annuì Olive, prima di lanciare uno sguardo confuso ad M.

«Liam McAlister», confermò lei con un sorriso. «Apparentemente è stato appuntato dal Crown Estate. E’ il rappresentate responsabile dei Gioielli della Corona irlandese per questa particolare occasione.»

Olive tornò a guardare la foto. 

Un affascinante uomo di mezza età sorrideva alla macchina fotografica, mostrando compiaciuto la stella dell’Ordine di San Patrizio. Olive aggrottò appena la fronte cogliendo un dettaglio nello stesso istante in cui Priya picchiettò con un dito su di un punto della foto. 

M, precedendo la richiesta, passò ad Olive una lente d’ingrandimento. Lei la portò sul punto indicato da Priya e lì, appuntata al bavero della giacca di Liam McAlister, sgranata ma del tutto identificabile, fece la sua apparizione una spilla che Olive e Priya non vedevano da molto tempo. Una spilla che, per quanto ne sapevano loro, era sempre appartenuta ad M. 

Priya ed Olive alzarono lo sguardo sul loro capo. 

M sorrise divertita. «Mi piace pensare che si tratti di un invito a cercare di riprendermela.» 

 

*

 

Olive non aveva nemmeno provato a nascondere a Priya il fatto che avesse mandato un messaggio a Tom. 

Non che la cosa ultimamente fosse particolarmente strana - dall’ultima volta in cui si erano incontrati, lei e Tom non avevano avuto modo di rivedersi, ma si erano tenuti in contatto quasi giornaliero. 

L’aspetto particolare, caso mai, era il fatto che Olive avesse esplicitamente chiesto a Tom di incontrarsi. 

 

Priya si era lanciata in qualche commento divertito che si era concluso in una risata particolarmente salace, quando Olive aveva sottolineato che no, non era un appuntamento ma solo un incontro e che comunque erano solo amici.

Priya le aveva appoggiato una mano su una delle spalle e l’aveva guardata quasi con tenerezza.  

«Sei davvero senza speranze, tu», aveva poi annunciato.

Olive aveva alzato gli occhi al cielo. 

«Almeno gli hai spiegato perché sei scomparsa prima della vostra rappacificazione?», aveva poi chiesto Priya tornando al suo computer.

«Non c’è davvero nulla da spiegare.»

Priya le aveva lanciato un’occhiata scettica. 

«Siamo amici e tutto va bene ora, okay?», aveva risposto Olive con un che di vagamente seccato. «Non c’è bisogno di complicare la situazione con chiarimenti non necessari.»

Priya aveva riportato lo sguardo allo schermo del computer. «Tutto quello che voglio dire è c’è la possibilità che prima o poi Tom ti chieda delucidazioni. E spero che tu sia pronta per quell’eventualità.»

 

Olive non rispose. Guardò il messaggio - entusiastico, come al solito - di Tom con cui aveva accettato la proposta. Aveva suggerito un pub in centro che sapeva essere discreto e riservato, salvo l’occasionale addio al celibato che movimentava alcune serate.

C’era qualcosa nella sottile agitazione che provava sapendo che l’avrebbe visto quella sera che non la lasciava tranquilla. 

Erano amici. Andava tutto bene. 

Eppure le sembrava impossibile riuscire a mettere da parte quella particolare, ridicola emozione che provava ogni volta che riceveva un suo messaggio o ripensava a qualcosa che lui le aveva detto, o il sorriso di Tom quando sorrideva a lei.

Era piacevole e terrificante allo stesso tempo.

 

*

 

Quella sera, Tom raggiunse il pub ma non entrò immediatamente. 

Si fermò di fianco alla finestra del locale, che nella notte sembrava uno strano quadro animato da cui provenivano rumori e musica soffusi. La luce ritagliava un quadrato dorato sul marciapiede e le scarpe di Tom ne sfioravano un lato, tenendolo sicuro nel buio. 

Si affacciò appena, spiando dentro nel modo in cui si era recentemente abituato a spiare la vita. 

 

Vide Olive quasi immediatamente e scacciò l’istinto di tirarsi indietro. Rimase ad osservarla, invece. Provò a pensare a quante volte si erano trovati a scambiare qualche parola e qualche risata nell’ultimo mese. Non erano mai andati troppo sul personale, eppure anche così - guardandola da quel marciapiede freddo, attraverso una finestra illuminata - Tom si era trovato a pensare “la conosco”.

 

Quando Olive sparì dal suo campo visivo - lasciando il bancone del pub dove lo stava evidentemente aspettando - Tom si trovò a rientrare completamente nell’ombra. Perché, in fondo, se lei non era lì, non c’era molto di più interessante da osservare. Si appoggiò per un momento al muro e osservò il suo respiro condensarsi in morbide volute. La porta del pub si aprì, riversando nella notte gli accordi di una qualche canzone e il brusio delle persone all’interno del locale. 

La persona che uscì controllò qualcosa su di un cellulare e si guardò poi attorno, accorgendosi con un attimo di sorpresa di Tom.

«Ehi.»

«Olive», replicò Tom, «buonasera.»

«Vuoi…entrare?», domandò lei con un che di esitante, indicando la porta alla sue spalle. 

Lui le sorrise, abbandonando il muro a cui era appoggiato. «Certo.»

 

*

 

C’erano due birre tra di loro e conversazioni che li avvolgevano, e nonostante avessero passato i primi minuti a parlare senza problemi, era ovvio per Tom che Olive stava cercando le parole per dirgli qualcosa. 

Alzò una mano fermandola nel mezzo di una spiegazione su come disattivare un allarme di sicurezza con una forcina e una gomma da masticare e la guardò divertito. 

«Olive, perché non mi dici quello che mi vuoi davvero dire e poi torniamo a goderci la serata insieme?», le domandò con l’accenno di un sorriso. 

 

Olive spostò lo sguardo, le dita tamburellarono un ritmo complicato sul tavolo. «Sì. Dunque. Allora.»

Le dita tamburellarono un po’ più velocemente. Tom aspettò.

«M ha accettato un nuovo incarico. Non credo che ci vedremo davvero, o almeno non spesso, ma volevo farti sapere che lavorerò temporaneamente sul set del tuo nuovo film. E che sarebbe meglio se facessimo finta di non conoscerci.»

«Ah», commentò Tom incerto su come prendere la notizia. «Cosa…cosa farai?»

«Aiuto costumista? Titolo generico per tuttofare, immagino.»

Tom sorrise. «E posso chiederti il motivo?»

Olive arricciò appena il naso. «Teoricamente no, ma tecnicamente non mi è stato negato. Devo semplicemente tenere d’occhio la situazione sul set in merito alla sicurezza della stella dell’Ordine di San Patrizio.»

«Ah», commentò di nuovo Tom. Prese un sorso di birra e ne approfittò per osservare segretamente Olive per un momento. Sembrava genuinamente nervosa. Per quale ragione, non ne era sicuro. «Quindi saremo colleghi per qualche tempo?»

Lei si decise finalmente a guardarlo. «Colleghi», commentò vagamente sarcastica. «Più che altro io sarò una schiavetta. Da contratto non mi è nemmeno permesso di chiamarti per nome.»

Tom la guardò perplesso.

Olive si lasciò sfuggire una risata. «Scherzavo», disse. «Credo.»

 

*

 

Fuori dal pub dove avevano passato le ultime due ore, Tom guardò Olive guardare il cielo di quella notte londinese. Anche nel buio si potevano riconoscere alcune nuvole che forse annunciavano pioggia o forse no, nel classico modo in cui Londra dichiarava che non sapeva cosa farsene delle previsioni meteorologiche. 

«Tutto bene?», domandò riconquistando l’attenzione della ragazza.

«Tutto bene.»

 

Il silenzio si allungò un po’ fra loro due, ma non in maniera fastidiosa o imbarazzante. Entrambi sembravano contenti di assaporare per qualche attimo quel momento. Poi, Olive fece un passo indietro e affondò le mani nelle tasche della giacca che indossava. «Allora ti saluto e vado a casa. Grazie mille per aver trovato tempo per incontrarmi.»

Tom alzò un sopracciglio. «Quanta formalità. E davvero, Olive, se non sapessi cosa fai, mi troveresti davvero sorpreso in questo momento. Bevi poco, vai a casa ad orari sensibili, non fumi, dici “grazie” e “per favore”.» Le puntò un dito contro e sorrise. «Cosa fai di sbagliato, tu?»

 

Olive scosse la testa e rise piano. «Come sai, un sacco di altre cose.»

Tom sorrise. «Dai, ti accompagno a casa. Così magari mi racconti un paio delle tue cose sbagliate.»

«Non c’è bisogno», rispose immediatamente Olive. «Posso camminare o chiamare un taxi o prendere un autobus…»

Tom accennò una risata. «Certo, puoi fare tutto quello che hai detto. Ma mi farebbe piacere accompagnarti a casa.»

Olive arrossì. Si prese poi un attimo. Guardò verso la porta del pub e quindi tornò a guardare Tom. «Okay. Grazie.»

«Grazie a te», replicò lui sorridendo.

 

*

 

Tom guidava lentamente e con l’aria sicura e rilassata di chi è a suo agio nel sedile di guida di una macchina piccola e vecchia.

«E’ di un mio amico», si era quasi giustificato aprendo la portiera per Olive. «E’ decisamente più pratico girare per Londra con questa.»

Olive aveva sorriso divertita. «Non ci vedo niente di male in una Mini.»

Lui aveva riso. Imbarazzato, forse.

 

Olive all’inizio aveva lasciato scorrere lo sguardo lungo gli interni della macchina, ma l’attenzione era stata presto catturata dalla mano di Tom, che si era allungata per accendere la radio. 

Aveva delle dita assurdamente lunghe, aveva osservato Olive seguendo con gli occhi la mano che si era poi spostata sul cambio della macchina. Aveva forzatamente spostato lo sguardo, perché aveva quasi immediatamente avvertito la mente avvicinarsi a pensieri che era meglio non considerare. 

 

Fu Tom, comunque, a distrarla con efficacia. «Posso farti una domanda?»

Lei si girò a guardarlo. «Certo.»

«Non voglio sembrare scortese o altro, ma…», esitò un attimo, lanciandole una veloce occhiata. «Pensi che te la caverai bene sul set?»

Olive lo guardò sorpresa e vagamente tesa. «Cosa vuoi dire?»

Tom scosse la testa e si lasciò sfuggire una piccola risata. «Solo che non riesco ad immaginarti particolarmente a tuo agio con un gruppo caotico di persone. Per quel poco che ne so di te, non mi sembra la tua situazione ideale. Quindi mi domandavo cosa ti abbia spinto ad accettare l’incarico.»

Olive alzò appena le spalle. «Necessità.»

Che in fondo non era una bugia.

 

Tom sembrò aspettarsi una risposta più complessa, ma quando si rese conto che non sarebbe arrivata, tornò a parlare. «Non mi hai detto cosa hai fatto negli ultimi mesi.»

«Un po’ di questo, un po’ di quello.»

Tom scoppiò a ridere. «Dimmi che lo stai facendo apposta.»

Olive gli rivolse un’occhiata appena confusa. «Cosa starei facendo apposta?»

«Questo», rispose lui lanciandole l’ennesima occhiata veloce. «Le tue risposte a monosillabi e il non volerti aprire, nemmeno un po’.»

«Perché dovrei?», replicò lei forse più bruscamente di quanto avrebbe voluto. Lo vide nel viso di Tom, una fugace espressione ferita ed irritata. Olive sospirò. «Scusa. Credo di non essere brava a fare…questo.»

Tom rimase in silenzio per qualche istante. «Questo cosa?»

«Chiacchierare, immagino.»

 

I lineamenti del viso di Tom si rilassarono un po’ e gli sfuggì una piccola risata. «Posso insegnarti io, se vuoi. Chiedi pure in giro, tutti ti confermeranno che sono il re indiscusso della chiacchiera casuale.»

Di nuovo le parole uscirono dalla bocca di Olive prima che lei potesse fermarle, ma quella volta intrecciate ad un tono divertito. «Lo dici come se ci fosse da andarne fieri.»

Tom raddrizzò le spalle e le rispose con finta serietà. «Perché c’è da andarne fieri.»

Olive scosse la testa ridendo.

«Lo abbiamo già fatto in passato, ad ogni modo», fece poi presente lui.

«Cosa?»

«Chiacchierare. Su», le disse lanciandole un piccolo sorriso, «feriresti terribilmente il mio ego se mi dicessi che tutte le volte che abbiamo parlato era solo perché tu eri annoiata, ed ero solo io ad aver voglia di chiacchierare con te.»

 

Olive arrossì e voltò appena la testa verso il finestrino. «Ma quello è diverso. Non parliamo di niente di serio.»

Il sorriso sulle labbra di Tom era decisamente divertito, come se trovasse il sottile disagio di Olive buffo. «Sono incredibilmente bravo con i segreti, sai?»

Lei gli rivolse un’occhiata inquisitoria. 

«Li so mantenere, per esempio. Ma so anche quando qualcuno ne ha uno e generalmente sono bravo anche a scoprirli.»

«Davvero

«Davvero

«Temo che non sarà stasera, però», replicò Olive indicando un angolo di marciapiede. L’aveva sorpresa il fatto che Tom ricordasse come arrivare al suo appartamento, anche se non aveva vocalizzato lo stupore. 

Avvertì gli occhi di Tom su di lei e si voltò a guardarlo, sentendosi vagamente a disagio davanti a quello studio così indiscreto, così aperto. «Vado», disse nervosamente aprendo la portiera. 

Tom la prese per un polso prima che potesse scivolare fuori dalla macchina e le baciò una guancia. 

«Ah», si trovò a dire Olive imbarazzata. «Grazie.»

Tom rise. «Per…?»

«Per avermi accompagnata a casa», replicò lei, infastidita dalla confusione che sentiva. «Buona notte.»

«’notte, Olive. Ci vediamo a lavoro», le rispose Tom con un tono troppo divertito, data la situazione.


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Capitolo 2
*** II ***


Un mese e mezzo prima

(42 giorni al colpo)

 

Olive non aveva mai voluto diventare una ladra. M una volta le aveva giustamente fatto notare che nessuno voleva davvero diventare un ladro. Semplicemente capitava.

Olive non ne era del tutto sicura, ma aveva da tempo imparato che con M era meglio non discutere. 

E, in fondo, M sapeva meglio di lei quello di cui parlava, date che avere a che fare con ladri era parte del suo mestiere.

 

Per quella ragione - e per altre ben più complicate - Olive si trovava a camminare alle cinque di mattina di una gelida mattina londinese in una zona in cui altrimenti non avrebbe mai messo piede, indossando vestiti che generalmente non avrebbe mai indossato, con un paio di occhiali di cui non aveva assolutamente bisogno e i capelli almeno tre dita più corti del solito.

Ma non era davvero quello che rendeva Olive scontenta, quella mattina. Agli strani aspetti del suo lavoro si era ormai adattata e rassegnata.

Era la situazione stessa - il “progetto”, secondo la dicitura di M - a renderla nervosa. 

 

Olive si sentiva assolutamente impreparata. Sapeva che avrebbe dovuto considerare il caso come tutti gli altri casi di cui si era occupata fin a quel punto. In parte lavoro ufficiale, in parte lavoro ufficioso. 

Ma fino a quel punto non si era mai trovata nella compromettente situazione di lavorare per un tempo prolungato nelle vicinanze di un uomo per cui provava una innegabile - per quanto discutibile - attrazione. 

Senza prendere in considerazione, poi, che l’uomo in questione sembrava non solo ricambiare l’attrazione, ma aggiungere anche una buona dose di curiosità per il lavoro di Olive. Aspetto che, francamente, parlava da sé del questionabile buon senso di Tom.

 

«Sarà divertente», le aveva detto Priya la sera prima.

Olive era ancora in attesa di iniziare a ridere.

 

*

 

Quindi, quella gelida mattina, all’altezza dell’ingresso degli studi di registrazione - che altro non erano che un grosso cortile pieno di capannoni - Olive si era bruciata la lingua con un caffè troppo bollente, che ridicolmente le riscaldava a mala pena le mani, ma era apparentemente troppo caldo per la sua bocca. 

Aveva silenziosamente maledetto il Costa Café - che ne aveva di strada da fare per imparare la sottile arte di creare un caffè bevibile - e si era fermata per cercare di estrarre dalla giacca il badge che l’avrebbe fatta entrare nel capannone 2B.

 

«Buongiorno.»

Olive si girò e tra la visiera di un cappello scuro e una sciarpa che gli copriva metà del viso, riconobbe un paio di occhi che da tempo erano diventati molto famosi, insieme al resto della persona che li possedeva. «Buongiorno, Mr Hiddleston.»

Gli occhi di Tom diventarono due fessure divertite ed attutito dalla sciarpa, la raggiunse il suono della sua risata. «Davvero non puoi chiamarmi Tom?»

«Ho controllato», rispose Olive tornando ad armeggiare con il cappotto, il caffè e il badge. «E’ scritto sul contratto, è severamente vietato entrare in confidenza con gli attori.»

Tom estrasse il suo badge ed aprì la porta, facendo segno ad Olive di entrare. «Dotty mi chiama per nome.»

«Ah», replicò lei con un che di tragico, dopo averlo ringraziato, «ma Dotty - voglio dire, Mrs Cavendish - è la capo costumista. Lei può. Siamo noi altri, aiutanti e aiutanti di aiutanti, che non possiamo prenderci certe libertà.»

Tom si tolse il cappello ed allargò la sciarpa. «Mi stai prendendo in giro, vero?»

Olive lo guardò seria, ma durò solo qualche instante prima che le sfuggisse un sorriso. «Temo proprio di sì.»

 

Lui rise e lei, come sapeva che sarebbe successo, sentì lo stomaco annodarsi. Si diede immediatamente dell’idiota. «Devo andare», disse di fretta, accavallando le lettere in una sola improbabile parola, facendole suonare qualcosa come “devndare”.

Tom le sorrise, senza notare il suo nervosismo o facendo finta di non averlo notato. «Ci vediamo dopo, Olive.»

«Ah, a proposito di quello», lo fermò lei con una nota appena titubante nella voce. Riuscì ad estrarre il badge e lo mostrò a Tom.

«…Hollis Woods?», lesse lui con un che di incerto.

Olive gli sorrise ed allungò una mano. «Piacere di conoscerla, Mr Hiddleston.»

Tom scoppiò a ridere.

 

*

 

«Bene, ragazze, tenete a mente i vostri compiti e mettevi a lavoro», aveva concluso Dotty battendo le mani.

Ovviamente Dotty non era “Dotty” per tutti. Solo pochi eletti potevano chiamarla così. Per il resto del mondo Dotty era Mrs Dorothea Cavendish o Mrs Cavendish. “Lady Cavendish”, la chiamavano dietro le spalle le altre ragazze, per la sua innegabile tendenza a comportarsi da padrona del maniero.

 

«Hollis», la richiamò proprio in quel momento Mrs Cavendish, in una mano un panciotto di seta nero e nell’altra una cartelletta piena di appunti. «So che non hai esperienza come aiuto costumista, né tanto meno hai un background da sarta, ma visto che da oggi in poi lavorerai con me - e mi hanno detto che impari in fretta - voglio darti il consiglio che dò a tutte le mie ragazze il primo giorno di lavoro. Occhi aperti, bocca chiusa e fuori dai piedi se non sei necessaria. Intesi?»

«Intesi», replicò Olive senza battere ciglio.

 

Tom entrò in quel momento, i capelli ancora bagnati e niente dell’aria da principe reggente che avrebbe assunto nel momento in cui avrebbe cominciato a recitare. «Buongiorno a tutti», salutò sorridendo.

Mrs Cavendish sorrise di rimando e lo stesso fecero le altre due ragazze nel camerino.

Olive, per conto suo, si concertò sul paravento ancora chiuso nell’angolo della stanza. Andava aperto e posizionato in modo da dare un minimo di privacy a chi doveva cambiarsi. 

 

«Tom, tesoro», disse Mrs Cavendish in tono quasi materno, «vediamo di cambiarti velocemente negli abiti di scena, così non rischi di ammalarti con quei capelli bagnati.»

Batté le mani - gesto che diede ad Olive la sensazione di essere una cameriera in età vittoriana - e chiamò a raccolta le ragazze. 

«Poppy, calze e pantaloni. Susan, prendi la camicia bianca con i gemelli in avorio e la rendigote nera. Hollis, tu osserva.»

Tom si voltò verso Olive e la guardò dispiaciuto, come se ritenesse in qualche modo che la colpa fosse sua se lei veniva esclusa. Lei accennò un sorriso di circostanza, si mise in un angolo e fece esattamente quello che Mrs Cavendish le aveva ordinato. Osservò.

 

La routine prevedeva che gli abiti venissero consegnati all’attore o all’attrice e una volta indossati dietro il paravento, le assistenti costumiste provvedevano a fare gli aggiustamenti necessari, sotto lo sguardo attento di Mrs Cavendish.

Tom era - a quanto pare - generalmente veloce a vestirsi. Erano gli aggiustamenti, piuttosto, che richiedevano una variabile indefinita di tempo. 

Mrs Cavendish e le ragazze amavano assicurarsi che tutto fosse esattamente dove e come doveva essere, ed Olive - che non si limitava ad osservare, ma anche a registrare dettagli - non ci aveva messo molto tempo per stabilire che sì, lo facevano indubbiamente perché erano brave ed attente professioniste, ma che allo stesso tempo adoravano stare vicino a Tom ed avere una scusa per toccargli un braccio o sfiorargli il petto. 

Un sorriso divertito sgattaiolò sulle labbra di Olive, ma cercò di nasconderlo il più velocemente possibile per non crearsi problemi.

 

«Hollis», la chiamò Mrs Cavendish proprio nel mezzo di quel sorriso. «Vieni un attimo qui.»

Olive, bocca chiusa ed occhi aperti come da istruzioni, si avvicinò immediatamente.

«Vai dietro a Tom e assicurati che la rendigote non si muova. Appoggia le mani sulle sue spalle e tienile lì ben ferme, mentre noi aggiustiamo le lunghezze.»

Olive si spostò e sentì lo sguardo di Tom su di lei. Per qualche ragione avvertì un lieve imbarazzo, ma fece come le era stato chiesto. Era strano, si trovò a pensare, come potesse dire di conoscere - più o meno, per sommi capi - Tom, eppure si trovava continuamente a notare certi dettagli per la prima volta.

Quando più alto di lei fosse, per esempio. Certo, ovviamente aveva notato la differenza fra loro due, ma non si era mai davvero resa conto fino a quel momento - con le mani sulle spalle di lui - di quanta differenza si parlasse. 

E il collo, poi. La pelle sembrava così morbida e liscia. Sensibile. 

Involontariamente si umettò le labbra.

Spostò lo sguardo immediatamente, cercando di spostare anche i pensieri. Invece si trovò a fissare la schiena di Tom. Ampia, maschile, fatta per essere accarezzata e-

 

«Va bene così, ragazze», disse Mrs Cavendish mettendo fine a quell’attimo.

Olive staccò le mani dalle spalle di Tom come se bruciassero ed arretrò di qualche passo.

«Abbastanza regale?», domandò Tom scherzando, le braccia aperte per mostrarsi.

Olive ringraziò di essere ancora dietro di lui, perché non era sicura di volerlo vedere sorridere in quel momento. Andò invece dietro il paravento e raccolse i suoi vestiti che, da ragazzo beneducato quale sapeva essere, aveva ripiegato e appoggiato ordinatamente su di una sedia. 

Lo sentì ringraziare Mrs Cavendish e le ragazze per il loro “sempre impeccabile lavoro” e quindi ritenne sicuro uscire dal suo nascondiglio di emergenza. Ma affacciandosi da dietro il paravento, Olive invece trovò che Tom aveva esitato per qualche istante sulla soglia del camerino, lo sguardo in perlustrazione della stanza. Lo fermò su di lei, quando la vide, ed esitò solo un attimo prima di dire “grazie”.

Mrs Cavendish e le ragazze risposero, riempiendo Tom di “figuriamoci”, “non c’è di che” ed “è sempre un piacere”. 

Ma Olive sapeva.

Sapeva che Tom aveva già ringraziato le altre e che quel secondo grazie - che aveva pronunciato guardandola divertito - era stato solo per lei.

Per quale ragione, si disse Olive, non ne aveva la più pallida idea. 

Ma era arrossita lo stesso.

 

*

 

«Lo hanno assegnato al caso prima che potessi fare qualcosa in merito», aveva detto Lauren O’Caffrey al telefono con M. «Sono terribilmente dispiaciuta.»

M aveva allontanato le scuse di Lauren come se quel dettaglio, quel piccolo cambiamento nello schema non fosse una cosa davvero poi così rilevante.

Ma quando aveva chiuso la conversazione con la donna, M aveva esitato solo un istante prima di riprendere il telefono.

 

L’uomo che aveva risposto dalla parte della linea parlava con un forte accento irlandese pieno di vocali morbide e consonanti dure. Quando M gli aveva fatto presente chi fosse, l’uomo era rimasto per qualche momento in silenzio prima di lanciarsi in una grossa risata decisamente irritante.

«Mi è passato per la testa che mi avresti potuto contattare, ma non ci credevo davvero. Quale onore

M ignorò il sarcasmo e saltò qualsiasi formalismo educato, per andare direttamente al nocciolo della questione. «Immagino che l’Interpol ti abbia già dato i dettagli del caso.»

«Immagini bene.»

«Quindi non ti devo rammentare che-»

«Come si fa chiamare adesso?»

M si bloccò di fronte a quella maleducata interruzione. Inspirò cercando di ignorare l’irritazione. «Hai detto che hai i dettagli.»

«Non dico in questo caso, Madame M», replicò l’uomo con lo stesso sarcasmo di un attimo prima. «Dico al di fuori del caso.»

«Olive.»

«Ma che razza di nome è?»

«Il suo nome», replicò asciutta M.

«Quello vero?»

M alzò gli occhi al cielo. «Sì, quello vero. Che importanza ha, comunque? Quello che conta, invece, è che tu le lasci fare la sua parte del lavoro, senza rendere le cose difficili.»

L’uomo rise caustico. «Se posso permettermi, è davvero toccante la tua preoccupazione per la tua pecorella smarrita preferita.»

«Non credo che tu possa permetterti alcunché», replicò M irritata. «Ti dico solo di lasciarla in pace.»

«Vedi, M», rispose lui con un tono quasi con condiscendenza, «il tuo errore è credere che tu possa dirmi cosa fare o non fare. Se l’Interpol mi ha assegnato a questo caso è perché loro non si fidano della piccola Olive tanto quanto io non mi fido della piccola Olive. O di te, ad essere sinceri. Nessuno qui ha dimenticato il suo - o il tuo - interessante passato.» 

L’uomo fece una piccola pausa ed M sentì il rumore di un accendino e il respiro soddisfatto provocato - s’immaginò - dal tiro di una sigaretta. 

«Ma in questo caso specifico», continuò l’uomo lentamente, «dato che lavoriamo insieme, mi atterrò alle regole e farò in modo che la tua pecorella abbia il suo spazio d’azione. Non vuol dire, però, che non la terrò sott’occhio.»

«Quanta generosità», aveva replicato M asciutta, prima di chiudere la telefonata senza aspettare una risposta.

 

Aveva poi appoggiato il cellulare sul tavolino del salotto con meno grazia di quanto generalmente avrebbe fatto ed appuntò lo sguardo su alcuni allegati che Lauren O’Caffrey le aveva mandato solo qualche minuto prima. 

Una foto sgranata dell’uomo con cui aveva appena finito di parlare al telefono, accompagnata dai suoi dati anagrafici - Martin Hagarty, trentotto anni, agente dell’Interpol dal 2010 e via dicendo - ed una lista piuttosto fitta di annotazioni era raccolta sotto il sigillo ufficiale dell’organizzazione. 

M abbandonò gli allegati ufficiali e si dedicò, invece, ad un fascicolo che lei stessa aveva messo insieme e che, a parte una foto dello stesso uomo, raccoglieva informazioni ben più curiose su Martin Hagarty e collegamenti decisamente più interessanti di quelli lavorativi con l’Interpol.

 

Prese il telefono di nuovo, ma senza esitazioni quella volta. 

Era tempo di richiamare Lauren O’Caffrey ed intavolare una trattativa.

 

*

 

Anche in un mondo diverso e con una professione diversa, Olive avrebbe suscitato la sua curiosità.

Tom non sapeva esattamente perché quel pensiero fosse emerso aspettando l’arrivo di Elizabeth. Forse perché negli ultimi giorni gli era capitato di vedere Olive in una situazione normale, comportarsi come qualsiasi altra ragazza della sua età e Tom - che non era un ipocrita - non aveva problemi ad ammettere a se stesso che ogni volta che gli capitava di avere un’occasione, semplicemente non riusciva a fermarsi dall’osservarla. 

Sapeva che quella di Olive poteva semplicemente essere una maschera, un ruolo recitato a beneficio del compito che le era stato affidato.

Ma anche così, quando quella mattina l’aveva vista ridere con Susan riguardo a qualcosa che Poppy aveva detto, Tom si era costretto a fermarsi e trattenersi dal raggiungerle ed ascoltare quella risata da più vicino.

 

«Scusa per il ritardo», s’intrufolò la voce di Elizabeth nei suoi pensieri.

Tom alzò gli occhi e lasciò il suo posto al tavolo del ristorante per scostare la sedia per lei. «Sono arrivato solo ora anch’io», rispose cortesemente, anche se in verità la stava aspettando già da una quindicina di minuti.

Elizabeth gli sorrise con un calore a cui da qualche tempo Tom si era abituato. Qualcosa di pulito, semplice, non complicato - una franchezza che non era solo una qualità americana, ma sopratutto un dono personale della ragazza. 

Qualcosa che anche Olive possedeva - si trovò a pensare Tom - ma che non mostrava spesso. 

«Ordiniamo? Sto morendo di fame», disse Elizabeth studiando il menu. 

Tom le sorrise. «Cosa preferisci?»

 

(Sarebbero andati a casa di lui quella sera e avrebbero fatto l’amore. Come spesso, ultimamente, ad ogni modo. E anche nell’oscurità Tom avrebbe riconosciuto quello sguardo in Elizabeth, quell’espressione di trasparente attrazione che da tempo lei non faceva nulla per mascherare. E quella strano istinto che gli diceva che lei avrebbe voluto di più da lui, da quella loro strana relazione-non relazione, ma che comunque lei preferiva non mettere a parole, lasciando Tom libero di far finta di non sapere che fosse lì.)  

 

*

 

Il camerino era ancora vuoto quella mattina.

Olive era di nuovo arrivata ad un’ora assurda, accompagnata da un freddo indecente ed un cielo che non era più notturno ma non ancora mattutino. 

Quanto meno la sera prima le avevano finalmente consegnato la copia della stella dell’Ordine, e da quel momento in poi era fondamentale - “cruciale, Olive”, l’avrebbe corretta M - era quindi cruciale che da quel momento in poi la portasse sempre con sé. 

Per ragioni di sicurezza non era stato fatto ancora sapere a nessuno quando avrebbero filmato la scena che prevedeva l’utilizzo dell’originale e, di conseguenza, Olive doveva essere pronta a qualsiasi eventualità. Anche a sostituire l’originale con una copia, se necessario.

Perché se all’Interpol credevano di essere gli unici a nascondere particolari ed assi nelle maniche, allora non avevano proprio capito nulla di Olive o M.

 

Quando aveva portato una foto della replica usata nel film al suo uomo di fiducia per quel genere di lavori, lui si era messo a ridere. 

«E questa la chiamano una copia esatta?», aveva domandato sarcastico, lasciando cadere la foto su di un tavolo coperto di gemme, pinze, tronchesine e chissà cos’altro. «Dammi un po’ di tempo e gliela faccio vedere io una replica degna del nome. A lavoro finito nemmeno Giorgio V sarebbe capace di riconoscere quella vera da quella falsa.»

«Giorgio V è morto quasi un secolo fa», aveva fatto notare placidamente Olive prendendo dal tavolo quello che sembrava uno zaffiro della grandezza di un uovo di quaglia.

L’uomo di fiducia le aveva tolto la pietra di mano e le aveva lanciato un’occhiataccia. «Non hai niente di meglio da fare?»

Olive aveva sorriso quasi zuccherina. «A dire il vero sì. Devo chiederti un favore. Da parte di M.»

L’uomo di fiducia aveva alzato entrambe le sopracciglia guardandola incuriosito.

 

Ma battibecchi o meno, l’uomo di fiducia non aveva mentito. Quando Olive aveva estratto la stella dal pacchetto che le era stato consegnato, era rimasta in osservazione meravigliata per lunghi istanti. Era un pezzo stupendo. 

E quella mattina - dove era troppo presto, troppo freddo e troppo buio - esaminando invece la copia del gioiello della produzione, anche Olive nella sua relativa ignoranza non poteva negare che la differenza tra i due pezzi era tanta e notevole.

 

«Quis separabit

Olive sobbalzò. Sulla soglia del camerino Tom la osservava con l’accenno di un sorriso. 

«E’ scritto sullo scudo», continuò lui avvicinandosi di qualche passo. Prese la stella dalle mani di Olive e la voltò in favore della luce. «Vedi? Quis separabit. E’ un motto latino, “chi ci separerà”. La stavi osservando così attentamente che ho pensato stessi cercando di leggere l’incisione.»

Olive ripose la spilla nella scatola, quando Tom gliela riconsegnò. «Chi dovrebbe separare chi da cosa? O da chi?»

Tom infilò le mani nelle tasche dei pantaloni. «Chi ci separerà dunque dall’amore di Cristo? E’ una citazione dalla Bibbia.»

Olive si lasciò sfuggire una piccola risata. «E io che pensavo avesse qualcosa a che fare con ricchezze o soldi o qualcosa di più prosaico.»

Tom s’incuriosì. «E come mai?»

«Beh, alla fin fine è pur sempre l’Ordine di San Patrizio.»

«E quindi?»

«Uno si aspetta che quello da cui non vogliano essere separati sia il denaro, non l’amore.»

Tom non riuscì a trattenere una risata. 

Lei gli lanciò un’occhiata leggera, curiosa. «Sei terribilmente mattiniero per qualcuno che non ha nessuna necessità di esserlo.»

«Mi sono svegliato presto.»

Olive lo soppesò. Priya le aveva accennato qualcosa in merito a Tom ed un’attrice americana con cui recentemente era stato fotografato in giro per Londra. Olive aveva fatto finta di nulla. Non erano affari suoi, del resto. Nemmeno - o soprattutto - quando ci passava la notte insieme.

 

«Come sta andando con il lavoro?», le chiese Tom dal nulla. «Ti trovi bene, per così dire?»

«Tutto sotto controllo, per ora», replicò Olive con un tono allegro, capace di nascondere i dubbi, gli ultimi aggiornamenti di M, le complicazioni che si erano aggiunte e i generali cambiamenti di piano ed azioni. 

Ma Tom era diventato più bravo a leggere le persone od Olive non era più capace di mentirgli particolarmente bene, perché lui le lanciò un’occhiata scettica e si piegò un po’ su di lei.

«Spero che tu sappia che puoi sempre parlarmi di quello che vuoi, se ti va. O se ne hai bisogno.» Non aspettò però un risposta dalla ragazza, ma le aggiustò invece distrattamente un ciuffo di capelli e si diresse verso l’uscita del camerino. «A più tardi.»

Olive alzò una mano salutando di rimando. 

E un’idea - che era potenzialmente compromettente e sicuramente discutibile - prese forma nella sua testa. 

Ne avrebbe discusso con M.

 

*

 

Il generico “a più tardi” di Tom si era trasformato quella sera in qualcosa di più concreto, quando Mrs Cavendish aveva annunciato alla fine della giornata che il giorno seguente nessuno avrebbe lavorato, perché Tom era caduto da cavallo e si era infortunato. 

«Nulla di grave», aveva aggiunto Mrs Cavendish, «ma è stato comunque portato all’ospedale. Domani è riposo per tutti.»

 

Olive era rimasta in silenzio, ma le mani si erano strette così tanto attorno al vestito che stava riponendo sull’appendiabiti da sbiancare le nocche delle dita.

Si era costretta a non commentare o non fare nulla fino a quando non aveva salutato Poppy e Susan ed aveva lasciato gli studi di registrazione. Ma nell’instante in cui si era trovata da sola per strada, aveva digitato immediatamente un messaggio a Tom con un che di ansioso di cui si era pentita - aveva scritto “stai bene?”, in fondo, che era una domanda piuttosto stupida. Ovvio che non stava bene. Era caduto da cavallo. Era stato portato all’ospedale. 

 

Aspettò una sua risposta controllando inutilmente il cellulare ogni cinque minuti, ogni volta agitandosi una frazione di più.

Dopo due ore Tom le scrisse. 

“Tutto bene”, diceva il messaggio. “Finalmente lasciato libero dall’ospedale. Nulla di cui preoccuparsi”.

Ma era troppo tardi. Olive era già preoccupata. Lo era stata per tutta la serata.

Senza pensarci oltre, prese le chiavi di casa e si chiuse la porta dell’appartamento alle spalle, scendendo i gradini due alla volta, cercando di raggiungere Tom il più velocemente possibile.

 

*

 

«Nam tok mu», annunciò Tom soddisfatto appoggiando un piatto di fronte ad Olive ed uno di fronte a sé. «E’ una specie di insalata tailandese.»

Olive lo guardò con un accenno di perplessità. «Posso ripetere di nuovo che sono passata solo per vedere come stavi e non per essere invitata a cena? E comunque sei tu quello invalido, quindi ancora non capisco perché ti sia messo a cucinare. Avremmo potuto ordinare della pizza o cibo indiano o-»

«Olive, zitta e mangia», la fermò Tom.

Olive tacque. Prese la forchetta ed assaggiò il piatto che Tom aveva preparato per loro. Al primo boccone, sgranò appena gli occhi con stupore. «Wow.»

Tom sorrise contento. «Non c’è di che.»

 

Non era riuscito a non sorprendersi quando quasi un’ora prima aveva sentito il campanello dell’appartamento suonare ed aveva trovato Olive in attesa. Sulla soglia dell’ingresso l’aveva vista esitare un attimo, come a controllarlo, prima di chiedergli con una nota nervosa se stesse bene.

Tom aveva sorriso aprendo le braccia. «Ancora intero, come vedi. Nulla di serio, solo la spall-»

Il resto della frase era sparito nell’abbraccio in cui Olive lo aveva avvolto.

Un momento più tardi Tom aveva chiuso le braccia attorno a lei. «Sto bene.»

Olive non aveva detto nulla, ma la sua testa contro il petto di Tom aveva accennato un sì. 

«E sono anche affamato. Vuoi mangiare qualcosa con me?»

 

L’arrivo di un messaggio sul cellulare lo distrasse dal vago stupore che ancora sentiva nell’avere Olive lì, con lui, così.

Prese il telefono e lesse silenziosamente quello che Elizabeth gli aveva scritto.

“Ho sentito che ti sei fatto male. Stai bene? Hai bisogno di aiuto?”

Tom lanciò un’occhiata ad Olive, prima di rispondere.

“Niente di grave. Grazie. Ho tutto quello di cui ho bisogno per ora”.

 

*

 

Un mese prima

(34 giorni al colpo)

 

«Sarà uno spasso», proclamò Poppy che, come Olive aveva da poco scoperto, preferiva farsi chiamare Pops. E francamente Olive non riusciva ad immaginare perché una qualsiasi persona con un minimo di rispetto per se stessa volesse farsi chiamare “Pops”. Ma tant’è.

 

«Il quasi-fidanzato di Susan ha detto che ci sarà anche Tom», aveva continuato Poppy.

Olive le aveva lanciato uno sguardo confuso. «Il quasi-fidanzato?»

Poppy aveva teatralmente alzato gli occhi e le mani al cielo. «Secondo le regole di Susan è successo qualcosa, ma non abbastanza per definirlo fidanzato-fidanzato. Quindi al momento è solo un quasi-fidanzato.»

Olive era tornata a dedicarsi alla camicia che stava drappeggiando su di un manichino e che Poppy avrebbe modificato in un momento. «Non sono una grande bevitrice», fece notare debolmente.

«Allora vieni e bevi poco», replicò Poppy con cinque spilli in bocca - ed Olive ammirò la maestria con cui lo fece senza ingoiarne un paio per sbaglio. «Da quando abbiamo iniziato a lavorare è la prima volta che finalmente qualcuno organizza un’uscita per tutti. E’ un’occasione per conoscere meglio anche gli altri.»

«E con “altri” intendi?»

Poppy sorrise maliziosa. «Intendo “altri”. Se poi questi “altri” sono attori, cosa ci posso fare? Lavoriamo per un film, dopotutto.»

Olive, nonostante tutto, rise.

«Allora lo prendo come un sì?»

«Prendilo come un forse.»

Poppy batté le mani in una perfetta imitazione di Mrs Cavendish. «Eccellente. Devo ricordarmi di dirlo anche al nuovo tecnico del suono.»

Olive guardò la ragazza con rinnovato interesse. «Abbiamo un nuovo tecnico del suono?»

«Già», rispose Poppy iniziando a lavorare sulla camicia. «A quanto pare quello vecchio ha vinto una vacanza attraverso qualche tipo di lotto o sorteggio. E figurati che ha giurato che nemmeno si ricordava di aver giocato! Certe persone hanno proprio tutte le fortune.»

Olive fissò il vuoto per qualche instante, prima di riprendere lentamente a parlare. «Già, tutte le fortune.»

 

*

 

«Ma guarda chi fa il suo ingresso! Le nostre sartine preferite!»

«Sartina la chiami tua nonna», replicò secca Poppy al quasi-fidanzato di Susan, che rispondeva la nome di Carl e lavorava con il gruppo delle luci.

 

Olive, che contro il suo buon senso aveva deciso di unirsi al gruppo per quella serata, scrutò il resto del pub. Il sopralluogo, però, ebbe vita breve, dato che Susan la prese per un braccio e la trascinò in mezzo alla conversazione.

«Esatto. La nostra Hollis, per esempio», disse la ragazza allegramente, «è un modello di multi-tasking.»

«Quello che Susan vuole dire», corresse Olive, «è che faccio un po’ di tutto, ma niente veramente bene.»

«Beh, comunque sia», disse Carl con un sorriso rivolto a loro tre, ma in modo particolare a Susan, «siamo contenti che siate venute.»

 

Olive si rese conto che “siamo” era da prendersi in senso lato, dato che la maggior parte delle persone che affollavano il pub non si erano nemmeno accorte del loro arrivo. 

Poppy aggirò Susan e il quasi-fidanzato, e raggiunse Olive fermandosi accanto a lei.

«Troviamo un posto da cui si possa osservare bene cosa succede e chi c’è», disse guardandosi attorno.

Olive puntò ad un tavolo vuoto. «Quello. L’angolatura del tavolo permette di avere una chiara visuale dell’ingresso e del bancone del bar, mentre il riflesso dello specchio ti consente di tenere d’occhio l’ingresso ai bagni.»

Poppy la guardò ammutolita per un attimo, poi scoppiò a ridere. «Accidenti Hols, complimenti! Mi piace, fa tanto film di spionaggio.»

 

Olive arrossì, accennò una debole risata imbarazzata maledicendosi per la distrazione e si lasciò guidare tra i tavoli da Poppy, seguita da Susan e Carl. Si sedettero chiacchierando e cercando di decidere cosa ordinare, ma quasi subito una delle cameriere arrivò con un piccolo vassoio carico di birre. «Dai ragazzi laggiù», annunciò sorridendo, puntando ad un piccolo gruppo che occupava un angolo del bancone. 

Olive vide Tom e riconobbe un altro paio degli attori del cast. Lui accennò un saluto con la testa, al quale Poppy rispose entusiasticamente.

«Ma quant’è adorabile», commentò poi rivolgendosi ad Olive. «Non esattamente il mio tipo, ma è davvero un amore. Il nuovo tecnico del suono, invece, è decisamente il mio tipo.»

Olive si guardò attorno con cautela. «Dov’è?»

Poppy fece una smorfia. «Non c’è. Aveva altri impegni. Sospetto sia già occupato.»

 

La risata di Tom le raggiunse in quel momento ed Olive ne approfittò per non commentare. 

«Tom è sempre così educato e alla mano», continuò Poppy prendendo uno dei bicchieri. «Uno si domanda come possa essere ancora single. Voglio dire, nonostante le voci che girano ultimamente.»

«Non deve essere facile per lui», ragionò pacatamente Olive.

«Immaginò di no», concordò Poppy guardandosi attorno discretamente. «Ah. Tom e il resto del gruppo si stanno avvicinando.»

Olive fece per voltarsi a guardare, ma fu bloccata da Poppy. «No! Fa finta di niente, come se non li avessi visti.»

«Ma non li ho visti», fece notare Olive.

Poppy si lanciò allora in una risata un po’ troppo allegra nello stesso istante in cui i ragazzi raggiunsero il tavolo. «Sei sempre così divertente, Hols!»

Olive abbassò lo sguardo imbarazzata.

 

«C’è posto anche per noi?», domandò Tom guardando Poppy divertito.

La domanda era, ovviamente, da prendersi retoricamente, perché anche se lo spazio non ci fosse stato, probabilmente avrebbero trovato il modo di crearlo. Quindi, qualche “prendi un’altra sedia” e “ce la fai a spostarsi un po’ più in là” più tardi, tutti erano seduti con un bicchiere di birra od altro davanti a sé.

E tutti parlavano troppo, considerò Olive.

Non riusciva a seguire una conversazione dall’inizio alla fine, né tanto meno cominciarne una. Osservava, certo, ma c’era troppo da osservare. 

Fu quasi con disagio e una punta di invidia che si rese conto che le persone che la circondavano in quel momento - uno strano gruppo di attori, tecnici, aiutanti - più o meno si conoscevano di già tra di loro, avendo collaborato insieme in questa o quella produzione. 

E c’era un senso di cameratismo che era evidente e che Olive non aveva mai sperimentato nel suo campo di azione, perché generalmente quando si lavorava con un gruppo di ladri, se ti trovavi seduto attorno ad un tavolo non era per bere qualcosa, ma per definire un colpo. E il cameratismo, francamente, quando dovevi rubare qualcosa non era davvero molto utile.

 

Qualcuno batté un paio di volte un bicchiere sul tavolo ed Olive venne distratta dai suoi pensieri. Alzando gli occhi si rese conto che era stato Tom a farlo, attirando l’attenzione del resto del gruppo. Si schiarì la voce e si alzò in piedi.

«Seguendo l’antica e nobile tradizione che ci accompagna da quanto tutti noi abbiamo deciso di seguire l’effimera arte dell’intrattenimento», recitò con voce impostata alzando il bicchiere, «diamo il benvenuto al nuovo membro del gruppo, che nella sua ingenuità ancora non sa cosa l’aspetta.»

Olive sgranò gli occhi ed arrossì, sentendo gli occhi degli altri puntati su di lei. Aveva passato anni ad evitare situazioni del genere ed improvvisamente ci si trovava in mezzo.

«Ad Hollis!», esclamò Tom.

«Ad Hollis!», rispose in coro il resto del tavolo, alzando i bicchieri.

Poi, qualcosa di freddo e bagnato le scivolò lungo il collo e sulla schiena, ed un attimo più tardi - in mezzo alle risate del resto del gruppo - due bicchieri di acqua le furono rovesciati sulla testa. 

Dopo lo shock iniziale, incredibilmente Olive si trovò a ridere.

«Ecco», le disse Tom sorridendo, «ora fai ufficialmente parte del circo. Benvenuta.»

Olive ricambiò il sorriso, prese il suo bicchiere e lo alzò nella sua direzione. «Grazie.»

 

*

 

Olive non aveva la più pallida idea di quando o come la voce avesse iniziato a diffondersi, ma da quando era arrivata quella mattina agli studi di registrazione, aveva già incontrato cinque persone diverse che le avevano raccontato più o meno la stessa versione dei fatti.

 

Apparentemente qualcuno ai piani alti di Dublino aveva sentito voci di possibili piani per rubare la stella dell’Ordine di San Patrizio. Apparentemente avevano richiesto l’aiuto dell’Interpol. Apparentemente l’Interpol voleva - o aveva intenzione di, a seconda delle versioni della storia - mandare un agente in incognito. Giusto per tenere d’occhio la situazione, dicevano le voci.

Altre voci, invece, dicevano che la persona scelta dall’Interpol non era un agente vero e proprio. Si trattava, in realtà, di un ladro.

 

«Merda, merda, merda», aveva mormorato Olive quando era riuscita a ritagliarsi un attimo lontana da tutti. Aveva mantenuto un’aria neutrale, quasi divertita davanti alle voci e alle storia che aveva sentito, ma dentro il panico si era lentamente alzato.

Si era imposta calma, aveva inspirato profondamente ed era poi tornata sui suoi passi. Ed esattamente sedici passi più in là si era bloccata, gli occhi incollati sulla fantomatica figura del nuovo tecnico del suono. E lì aveva capito.

 

Il bastardo.

M l’aveva aggiornata sul fatto che l’agente Hagarty era stato affidato a quel caso particolare, ma non aveva immaginato di dover incrociare strada con lui così presto.

Sì, certo, non era davvero evidente ad occhi non allenati, ma a quelli di Olive l’uomo saltava davanti come una mela in un cestino di arance. Una mela avvelenata, per la precisione, alle dipendenze dell’Interpol e apparentemente - se M non si sbagliava - anche di qualcun altro.

Inclinò appena la testa, osservandolo con più attenzione e cercando di elaborare un piano. Olive non era certo una ragazza particolarmente forte, ma forse poteva contare sul fattore sorpresa. E il fattore sorpresa avrebbe-

 

«Buongiorno.»

Olive sussultò appena e Tom accanto a lei ridacchiò. «Scusa, non avevo intenzione di spaventarti.»

«Buongiorno», rispose lei cercando velocemente un tono calmo e un sorriso di circostanza.

«Allora, cosa osservavi con tanto interesse? O dovrei dire chi?»

Ad Olive non sfuggì la nota strana, stonata nel resto dell’intonazione divertita e leggera di Tom. «Stavo solo pensando», si trovò a rispondere, che non era davvero una menzogna.

Lui la osservò per un attimo, gli occhi stretti un poco, prima di spostare lo sguardo sui preparativi del set che erano da poco cominciati di fronte a loro. «Hai sentito l’ultima novità?»

Olive gli lanciò un’occhiata appena esasperata.

«Abbiamo una spia tra di noi», continuò lui con una mezza risata ed un tono melodrammatico. «Mi domando chi potrebbe essere.»

La ragazza scosse la testa, ignorando il sarcasmo di Tom. «Praticamente non ho sentito altro da questa mattina.»

«Io ho sentito dire che si tratta di una specie di James Bond che ha sventato un tentativo di furto della Gioconda al Louvre. Di fronte a decine di turisti.»

Olive fece per replicare ma non ne ebbe modo. La risata di Poppy, alle loro spalle, fu più veloce ad insinuarsi nella conversazione. 

«Ma per l’amor del cielo, non crederete mica ad una simile sciocchezza.» Salutò entrambi con una mano. «Era La Classe di Danza al Musée d’Orsay.»

Susan, immediatamente dietro a Poppy, scosse la testa. «Avete tutti la storia sbagliata. Tanto per cominciare non è una spia, ma un ex ladro. E non era lì per sventare un tentativo di furto, ma per rubare. E non si trattava della Gioconda o La Classe di Danza, ma della statua della Sirenetta a Copenaghen.»

 

Tom, Poppy ed Olive guardarono Susan con sorpresa.

Fu Olive la prima a parlare. «Quella statua pesa centosettantacinque chili ed è ancorata ad una roccia.»

Susan alzò le spalle. «E’ un ladro molto bravo.»

«Sai», disse Tom dando una leggera gomitata a Susan con un sorriso malizioso, «se non ti conoscessi da tempo, mi verrebbe il dubbio che potresti essere tu la fantomatica spia/ex ladro. Sei così informata.»

Susan ridacchiò e diede una piccola pacca al braccio di Tom. «Ma piantala.»

 

«Ecco dove siete finite tutte!»

L’esclamazione fece voltare il piccolo gruppo di persone, per farle trovare a fissare una Mrs Cavendish poco divertita. Tuttavia, appena vide Tom tra le ragazze, la donna addolcì immediatamente l’aria di rimprovero. «Tom, non puoi sempre distrarre le mie ragazze. Sono qui per lavorare.»

Tom s’inchinò appena verso Mrs Cavendish con un’espressione mortificata. «Hai assolutamente ragione, Dotty. Ma non colpa mia se le tue ragazze sono così carine. Sarà che imparano ad essere così affascinanti dalla loro mentore?»

Susan e Poppy trattennero a stento il divertimento, mentre Mrs Cavendish arrossì un po’, nascondendo l’imbarazzo dietro una breve risata quasi pudica.

Olive, dal canto suo, guardò Tom con un che di soddisfatto.

Tom Hiddleston sapeva come usare il fascino che aveva a suo vantaggio. E Tom Hiddleston non aveva problemi ad usarlo per tirare fuori dai casini le persone che reputava sue amiche. In altre parole, Tom Hiddleston aveva un dono.

Ed Olive aveva intenzione di sfruttarlo.

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Capitolo 3
*** III ***


Olive aspettava seduta su di un muretto, quasi del tutto nascosta da alcuni riflettori momentaneamente lasciati fuori da uno degli studi di registrazione.

Aveva chiesto a Priya se c’era modo di tenere sott’occhio i movimenti dell’agente Hagarty e lei qualche giorno più tardi le aveva mandato una email piena di annotazioni. Priya era riuscita a catalogare un numero sufficiente di informazioni perché Olive si facesse un’idea abbastanza precisa di cosa l’agente Hagarty facesse, dove e quando.

Il dato più utile era che quasi tutti i giorni spariva misteriosamente per una decina di minuti durante la pausa pranzo. Più precisamente, spariva tra i capannoni 11a e 11b.

Ed Olive, in quel momento, aspettava proprio nei pressi di quell’angolo, pronta a non dargli l’occasione di svanire nel nulla.

 

Lo vide arrivare da una certa distanza, l’attenzione concentrata sul cellulare che stava usando per mandare un messaggio. Appena svoltò l’angolo, Olive lo raggiunse silenziosamente, decisa a sfruttare l’elemento sorpresa.

Afferrò con una mano il polso dell’uomo, gli piegò il braccio dietro la schiena, lo spinse contro il muro e gli premette un braccio sulla gola. 

«Ehi, Marty, sempre un piacere rivederti.»

L’agente Hagarty tradì dello stupore solo per un momento. Cercò poi di scoppiare a ridere, ma il braccio di Olive sulla sua gola fece uscire un suono rauco e faticoso. «Ma tu guarda. La pecorella pensa di essere un leone.»

Olive gli piegò un po’ di più il braccio dietro la schiena. Sul viso dell’uomo comparve una smorfia di dolore. «Dimmi un po’, ancora incazzato dal fatto che l’Interpol ha chiesto l’aiuto di M di nuovo

«L’Interpol-»

«L’Interpol», lo interruppe Olive, «non ti ha detto di andare a spargere voci in giro.»

Martin Hagarty provò a ridere di nuovo. «Ho pensato che sarebbe stato più divertente così.»

Olive gli piegò nuovamente il braccio, ma dopo l’ennesima espressione di dolore l’agente - come se si fosse stancato del gioco - alzò il braccio che aveva ancora libero e spinse Olive contro il muro opposto. 

Lei, all’impatto della testa contro la parete, chiuse gli occhi per un istante e quando li riaprì, sentì la mano di Hagarty chiudersi sulla sua gola.

«Ora», disse lui con un tono calmo, passandosi la mano libera tra i capelli, «vediamo di chiarire una cosa o due. Se pensi di potermi minacciare, allora non hai proprio capito un cazzo, signorina.»

La mano dell’uomo si strinse un po’ di più attorno alla gola di Olive.

«E, soprattutto. vedi di stare al tuo posto e recitare la tua parte, perché - fattelo dire - non hai la più pallida idea su quello che-»

 

Hagarty non finì la frase.

Lasciò immediatamente la presa sulla gola di Olive e fece un passo indietro, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.

Un attimo più tardi una figura comparve all’angolo dei capannoni.

«Ol…Hollis?», domandò Tom con un che di appena strano nella voce. Aveva spostato lo sguardo da lei ad Hagarty, per poi tornare su di lei. Qualcosa gli aveva sfiorato per un attimo i lineamenti del volto, come se avesse avvertito la nota tesa nell’aria.

Olive cercò di sorride, ma prima di riuscire a dire qualsiasi cosa, l’agente la precedette.

«Abbiamo scoperto di essere conoscenze, questa signorina ed io», disse appoggiando una mano sulla spalla di Olive, stringendola appena un po’. «Piccolo il mondo a volte, no?»

 

Tom guardò l’uomo senza far trapelare nessuna emozione, ma doveva aver colto il modo in cui il corpo di Olive si era irrigidito al contatto di Hagarty. Allungò allora una mano verso di lei, perché la prendesse. 

«Dotty ha bisogno di te», disse chiudendo le dita su quelle di Olive nell’istante in cui lei appoggiò la mano nella sua. Fece un cenno con la testa in direzione dell’agente Hagarty senza dire di più.

Olive notò l’espressione beffarda sul volto dell’uomo, ma ingoiò la rabbia che sentiva in quel momento.

«Ci si vede in giro, signorina», cantilenò l’agente guardandoli allontanarsi.

Lei istintivamente strinse la mano di Tom un po’ di più, ma quando se ne rese conto, la lasciò andare come se scottasse. «Scusa», disse incapace di guardarlo - in parte per l’imbarazzo, in parte per la frustrazione che sentiva.

 

Tom non disse nulla per qualche istante. Si fermò prima di raggiungere il set e la scrutò in silenzio per la lunghezza di un momento. «Tutto bene?»

Olive accennò un sì. «Tutto bene.»

«E lo conosci davvero quel tipo?»

«Sì», rispose lei senza esitare.

«Perché se-»

Olive scosse la testa. «E’ tutto okay, Tom. Davvero.»

Lui trattenne gli occhi su di lei per un altro attimo, poi sospirò scuotendo la testa. «Okay.»

 

Ripresero a camminare silenziosamente, cercando di ignorare la strana tensione che sembrava aver trovato spazio fra loro due. Olive si trovava alla rincorsa di pensieri sfuggenti e piani d’azione e valutazioni su quel poco che Hagarty le aveva detto, mentre Tom sembrava essersi perso in chissà quali riflessioni.

Nei pressi del set si fermarono di nuovo ed Olive fece un mezzo passo indietro quando le dita di Tom si chiusero sul suo mento, spostandole il viso di lato. 

Si rese conto con un attimo di ritardo che quello che lui stava probabilmente osservando erano i primi segni che la mano dell’agente le aveva lasciato sul collo. 

Arrossì cercando una qualsiasi scusa da dare a Tom, ma lui la lasciò andare senza dire una parola.

 

E forse quello fu più umiliante che inventarsi una qualche giustificazione. Essere cosciente che Tom sapeva che lei - se non esattamente una bugia - non gli aveva comunque detto tutta la verità.

Aprì la bocca per dire qualcosa - non sapeva cosa - ma Tom alzò una mano in saluto e si allontanò senza dire nulla.

Ed Olive rimase un momento immobile, cercando di far tacere il rumore nella sua testa e nel suo cuore.

 

*

 

Quella stessa sera Tom l’aspettava appoggiato alla sua-non sua Mini.

Era così evidente che Olive non ritenne necessario trovare un’altra ragione che spiegasse il fatto che lui fosse lì, lungo la strada davanti agli studi di registrazione, a giocherellare con le chiavi della macchina, quando invece avrebbe dovuto essere a casa (o da qualsiasi altra parte) da già almeno mezz’ora.

 

«Sali, ti accompagno a casa», le disse appena la vide. 

Aveva usato un tono di voce che non ammetteva repliche, probabilmente perché in primis quello che aveva detto non era stata una domanda.

Olive rimase per un istante a tormentare la tracolla della sua borsa, prima di aprire la portiera ed infilarsi nella macchina. «Se è per quello che è successo prima-»

«Certo che è per quello che è successo prima», la interruppe Tom bruscamente. Le lanciò un’involontaria occhiata al collo, prima di mettere in moto la macchina. «Non sono affari miei, ma…»

Lasciò morire la frase per un attimo, perdendosi in qualche ragionamento. Olive poi sussultò quando Tom diede un improvviso colpo al volante.

«Sai cosa, invece? Sono affari miei. Non puoi semplicemente alzare le spalle e dire “è tutto okay” ed aspettarti che io accetti la cosa così. Spiegami.»

Olive sospirò. La radio trasmetteva una vecchia canzone che le era sempre piaciuta. Qualcosa nel testo che trovava uno spazio perfetto nella sua vita e in quella situazione - scelte, rinunce, innamorarsi o no.

Tamburellò le dita per un attimo sul ginocchio, prima di voltarsi verso Tom.

«Ti spiego quando arriviamo a casa.»

 

*

 

«Quest’uomo», gli stava dicendo Olive mostrandogli la foto in un ritaglio di giornale, «è Liam McAlister. Collezionista privato, curatore d’arte e temporaneamente rappresentante responsabile dei Gioielli della Corona irlandese.»

Tom prese un boccone del saag gosht che Olive aveva ordinato per entrambi ed osservò l’immagine sorridente dell’uomo con la stella dell’Ordine. 

«Accidentalmente si tratta anche di una persona che non ci pensa due volte a trovare metodi alternativi - per così dire - per aggiungere particolari pezzi alla sua collezione personale di objets d’art

Olive indicò un punto sulla giacca dell’uomo. «Questa spilla, per esempio, è di M.»

Tom la guardò stupito. 

«Ed M la vorrebbe indietro.»

Tom mise da parte per un attimo il cibo indiano. «Onestamente, mi sfuggono ancora dei collegamenti.»

 

Lei - quasi con esitazione - estrasse una seconda foto. Tom la osservò perplesso. «Ma questo non è il tecnico del suono?»

Olive accennò un sì. «Martin Hagarty. Agente dell’Interpol sotto copertura, gentilmente affidato alla produzione del film per fare esattamente quello che è stato chiesto a me di fare.» Sorrise divertita. «Verrebbe da pensare che all’Interpol non si fidino di me.»

Tom ricambiò il sorriso, prima che venisse cancellato dal ricordo di quello che l’uomo aveva presumibilmente fatto ad Olive quel pomeriggio. «Ed è protocollo dell’Interpol aggredire le persone?»

«L’agente Hagarty…», rispose lei vaga spostando lo sguardo di lato, «diciamo che l’agente Hagarty sente di avere qualche conto in sospeso con M. E con me. Ma la cosa davvero importante», continuò cambiando velocemente soggetto, «è quello che M ha scoperto di recente. Pare che l’agente Hagarty stia progettando un pensionamento anticipato, dato che ultimamente ha messo da parte un bel po’ di soldi - e in modi in cui l’Interpol probabilmente non approverebbe. Da quello che M ha scoperto, Martin è al momento ufficiosamente al servizio di Liam McAlister. Fornisce informazioni, contatti, a volte semplice forza bruta. M ha parlato con il suo contatto all’Interpol ed entrambi sospettano che la stella dell’Ordine possa essere a rischio. All’Interpol sanno che c’è una talpa e sanno che McAlister non è esattamente pulito, ma non hanno prove per incastrare nessuno dei due. M, d’altra parte, ha le prove, ma vuole qualcosa in cambio.»

 

Tom tornò a guardare la foto di Liam McAlister. «La sua spilla?»

«Esattamente.»

Riprese il piatto di saag gosht affondando la forchetta nel cibo. «E avete già un piano?»

Olive accennò un sì, gli occhi puntati su di lui, un’espressione vagamente divertita e soppesata negli occhi.

«Cosa?», domandò Tom.

«Avrei bisogno di un favore», rispose lei lentamente.

Tom aspettò.

L’alone di un sorriso comparve sulle labbra di Olive. «Avrei bisogno di te.»

 

*

 

Olive non si stupì del fatto che Tom sembrasse decisamente perplesso e restio. Gli aveva, dopotutto, proposto qualcosa che anche lei avrebbe avuto dubbi ad accettare, se si fosse trovata al suo posto. 

Ma il punto era che aveva davvero bisogno di Tom.

 

«Il problema», cercò di spiegargli, «è che McAlister sa esattamente cosa aspettarsi. O meglio, chi. Tu, invece, sei fuori dal suo radar. Sei insospettabile.»

«Olive», disse Tom con un tono calmo che, tuttavia, tradiva appena un certo nervosismo, «mi stai chiedendo di rubare.»

«Non esattamente. Ti sto chiedendo di aiutarmi a riprendere qualcosa che non appartiene a quell’uomo in primo luogo. Ascolta», alzò una mano fermando la replica di Tom, «siamo stati avvisati che tra poco più di un paio di settimane la stella arriverà a Londra. Vogliono organizzare un party per celebrare l’evento - una di quelle occasioni speciali a cui tu sei abituato.»

Tom scosse appena la testa, ma Olive lo ignorò e continuò.

«La stella sarà esposta e sarà a rischio. Gli occhi saranno tutti su di lei, lasciandomi campo libero per cercare di riprendere la spilla di M.»

«Come fai a sapere che McAlister la indosserà?», domandò Tom scettico.

«Perché», rispose lentamente Olive, «M lo conosce meglio di chiunque altro. Sa che la spilla sarà lì, al bavero della giacca di McAlister, perché McAlister vuole che M provi a riprendersela.»

Tom la guardò dubbioso. «Cos’è, una specie di sfida tra ladri?»

Olive inclinò appena la testa di lato, guardandolo esitante, allungando un “hm” per un istante. «Più che altro tra ex conoscenti.»

«Si…si conoscono?»

Olive guardò Tom quasi imbarazzata. «Beh, sì. Liam è il suo ex marito.» Rise debolmente. «Le coincidenze, eh?»

 

 

«Prima che tu ti rifiuti in maniera inequivocabile», continuò poi Olive senza dare spazio a Tom di commentare, «lascia almeno che ti spieghi l’idea.»

Tom inspirò. Chiuse gli occhi per un attimo ed espirò. Poi - lentamente e quasi sconfitto - fece cenno ad Olive di proseguire.

«La sera del party», cominciò lei senza perdere tempo, «tu ovviamente avrai molte occasioni per avvicinarti a McAlister - Tom Hiddleston, la star del film, l’uomo che indosserà la stella e via dicendo. Anch’io sarò lì e se McAlister non sospetta ancora nulla - e lo trovo difficile - di sicuro saprà che M ha organizzato qualcosa nell’attimo in cui vedrà me. Dettaglio che gioca solo a nostro vantaggio, dato che la sua attenzione sarà su di me e non su di te.»

 

Tom, nonostante i suoi migliori istinti che gli gridavano di fermare Olive e non farsi tirare in mezzo a quella follia, si piegò un po’ verso di lei incuriosito. 

 

«Verso la fine della serata, quando presumibilmente un po’ tutti saranno più rilassati e avranno in circolo almeno un bicchiere di qualche cosa, tu urterai accidentalmente McAlister facendogli cadere la spilla di M. Farai in modo di raccoglierla per primo e scambiarla con una copia che ti darò io. Ti scuserai terribilmente, poi, e ti allontanerai per incontrarti con me, a cui consegnerai la spilla. Io esco di scena, tu ritorni al party come se nulla fosse. Semplice.»

 

Tom si passò una mano sugli occhi, allungando il gesto fino alla fronte e lasciandola poi per un attimo tra i capelli con un che di rassegnato. «Il piano è interessante e, davvero, non dico che non possa funzionare, Olive. Ma come accidenti urti qualcuno per sbaglio in modo da fargli cadere una spilla?»

Olive gli sorrise divertita. «Ti posso insegnare io come.»

Tom la guardò titubante.

Lei sorrise un po’ di più.

Tom scosse appena la testa.

Lei allungò una mano.

 

E Tom - incredulo per primo - dopo un momento la prese.

 

*

 

Elizabeth gli aveva mandato un messaggio.

Non c’era bisogno che Tom glielo dicesse - cosa che comunque non aveva fatto - perché Olive aveva registrato già da qualche tempo quelle particolari micro espressioni che comparivano sul viso di lui ogni volta che Elizabeth lo contattava o quell’aria peculiare che lo accompagnava dopo aver speso una notte con lei.

 

Ma quella era una parte della vita di Tom in cui Olive non aveva diritto ad entrare né a commentare. Per quanto diventasse sempre un po’ più difficile ignorarla.

 

«Devo andare», le disse Tom semplicemente. E il fatto che ci fosse una nota quasi colpevole, quasi di rammarico non aiutava. «Ma se vuoi ci vediamo domani sera per la prima lezione?»

Olive gli sorrise. In testa e nella bocca le bruciavano le parole che avrebbe voluto pronunciare, le domande che avrebbe voluto chiedere. Rimani un altro po’. Non andare. Bacia bene? Ti piace lei più di me?

Chiuse tutto dietro l’ennesima espressione leggera e lo accompagnò alla porta dell’appartamento. 

Tom sembrò esitare solo un attimo, gli occhi di nuovo sul collo di lei. 

Olive - pronta con una frase sciocca, qualcosa per alleggerire l’aria improvvisamente tesa fra loro due - non trovò modo di dire nulla. Il cervello svuotato nell’attimo in cui, delicatamente e con attenzione, Tom aveva portato una mano al collo di Olive ed aveva accarezzato i segni rossi. Le aveva poi lasciato un bacio sulla fronte e salutata con un sorriso senza imbarazzo, senza significati nascosti.

«Riposa, okay?»

Olive aveva accennato un sì. 

Si era chiusa la porta alle spalle, quando lui era sparito dal corridoio del piano, ed era rimasta lì per qualche attimo, cercando di capire cosa farsene di tutto quello.

 

*

 

Un mese prima

(26 giorni al colpo)

 

«Posso sentire le tue dita sul collo», gli disse Olive.

Tom sospirò esausto. Quasi frustrato. Aveva passato l’ultima ora nel futile tentativo di sfilare una catenella dal collo di Olive. 

Lei si voltò e lo guardò pazientemente. «Ricorda cosa ti ho detto.»

«Distrazione», disse Tom.

«Esattamente.» Sorrise incoraggiante. «Distraimi.»

Tom rise. Fece un passo indietro e mosse i muscoli delle spalle e del collo, rilassandoli. 

Olive tornò a dargli le spalle e Tom si concentrò. 

Studia il soggetto, gli aveva detto lei. Trova come distrarlo ed usa la distrazione a tuo vantaggio.

Che era terribilmente facile a dirsi, ma decisamente meno facile a farsi.

Distrarre Olive, si disse Tom. Come?

Indossava un paio di jeans a vita bassa e una maglietta che lasciava appena scoperta una sottile linea di pelle.

Tom sorrise.

Si avvicinò silenziosamente e sfiorò con la punta delle dita quella piccola parte esposta. Olive s’irrigidì. La schiena, il collo, le spalle - ogni parte del suo corpo era improvvisamente in allerta. 

Tom s’impose pazienza. Attenzione. Se avesse provato a slacciare la collana in quel momento, Olive lo avrebbe sentito di sicuro. 

Distrarre Olive, si ripeté divertito.

Spostò la mano appena sotto la maglietta di lei, lasciando che le dita conquistassero centimetri della sua palle. Assaporandone il calore. Deliziandosi del modo in cui lo stomaco di lei si era contratto sotto il suo tocco.

Si piegò appena su di lei, accarezzandole la base del collo con le labbra, sfiorandole la pelle sensibile dietro l’orecchio.

Quasi con sorpresa avvertì Olive appoggiarsi a lui, trattenere un suono di piacere, catturare per un attimo un respiro.

Tom esitò solo un momento, assaporando Olive un istante di più. 

Poi, trattenendola con un braccio contro di lui, allungò l’altro e le fece dondolare davanti al viso la catenina. 

«Com’è andata questa volta?», domandò con una nota sardonica.

Olive prese la catenina ed abbassò appena la testa. «Meglio», replicò lentamente. «Ma dubito che tu possa fare la stessa cosa a McAlister.»

Tom rise.

 

*

 

Due settimane prima

(13 giorni al colpo)

 

Tom, fermo nel mezzo del salotto, l’aspettava con le braccia incrociate sul petto e un’aria di divertita sfida. Sul bavero della giacca, la replica della spilla di M aspettava di essere sottratta.

«Stupiscimi», le aveva detto lui.

 

Olive calcolò le possibilità. Si fermò su di una. La scartò, quindi, e si decise per un’altra.

Gli sorrise, prima di avvicinarsi lentamente, fermandosi a meno di un passo da lui. Vicina, ma non abbastanza da toccarlo. Distrazione numero uno.

Appoggiò una mano sull’avambraccio di Tom che era più vicino alla spilla. Lo sguardo di lui seguì il movimento, tenendola sotto controllo.

Olive sorrise di più. «Dimmi, Tom», chiese con un tono leggero, quasi dolce, «come sta Elizabeth?»

Tom portò immediatamente gli occhi su di lei. 

Distrazione numero due.

Olive si sforzò di non cambiare espressione, registrando comunque quella sorpresa e vagamente imbarazzata di lui. Mosse la mano velocemente, aprendo il gancio della spilla e riportando la mano sull’avambraccio di Tom.

«Ah, ecco-», iniziò a rispondere Tom, ma si fermò quasi subito, probabilmente riconoscendo quello che Olive stava cercando di fare e spostando lo sguardo di nuovo sulla spilla.

Troppo tardi, cantilenò divertita lei nella sua testa. 

Tom riportò gli occhi su Olive.

Olive starnutì. 

E con un movimento veloce, leggero, la mano raggiunse il bavero della giacca. 

Il clic-clac della spilla che, caduta sul pavimento, scivolò a qualche distanza da loro decretò il successo di Olive.

Lei alzò due dita in segno di vittoria.

Tom mormorò una parolaccia.

 

*

 

Lauren O’Caffrey, seduta in una poltrona di fronte ad M ed Olive, guardò una seconda volta la foto di Tom Hiddleston.

M le aveva spiegato il piano e Lauren per conto dell’Interpol aveva accettato i termini dello scambio. Termini che - comunque - per ragioni di discrezione non sarebbero mai stati rivelati.  

Una spilla e - per una sera - completa immunità, in cambio di due uomini e molte informazioni. 

Ma come M fosse stata capace di mettere in mezzo a tutto quello Tom Hiddleston era una domanda che probabilmente non avrebbe mai avuto una risposta inequivocabile.

E, in fondo, che importanza aveva.

 

*

 

Una settimana prima

(8 giorni al colpo)

 

La prima volta che era riuscito ad aprire la spilla e farla cadere per terra senza che Olive avesse avuto nulla da dire o da correggere, Tom si era sentito come se avesse vinto un Oscar. 

L’euforia gli aveva fatto lanciare in aria un pugno ed esclamare un “sì!” che aveva fatto ridere Olive. 

«Posso provarci di nuovo?», aveva poi chiesto elettrizzato, raccogliendo la spilla e appuntandola alla maglia della ragazza.

«Devi», rispose lei sorridendo soddisfatta. «Una volta non basta, devi essere sicuro di saperlo fare bene, senza esitazioni.»

Avevano passato quindi la buona parte di due ore a ripetere i movimenti - diverse angolazioni, diverse possibilità, diversi ostacoli - e Tom scoprì che una volta insegnato alle sue dita cosa cercare e come muoverle, non aveva nemmeno davvero più bisogno di controllare dove la spilla fosse. Semplicemente riusciva a trovarla. 

 

Quando avevano finalmente deciso di finire l’allenamento per quella serata, Olive si era lasciata cadere sul divano del salotto, la schiena appoggiata ad uno dei bracciali e le gambe distese lungo il resto del divano. Tom l’aveva imitata, riflettendo la sua posa nell’angolo opposto ed incastrando le gambe sotto quelle di Olive.

 

«Continua ad esercitarti in questi giorni, mi raccomando», gli aveva detto lei pacatamente. «Ma in generale, ad ogni modo, penso che tu sia pronto.»

Tom la guardò perplesso. «Non ci alleniamo insieme?»

Olive allungò le braccia sopra la testa cercando di rilassare i muscoli della schiena. «Purtroppo nei prossimi giorni sono altrimenti occupata.»

 

Nell’ultimo mese Tom aveva scoperto cose di Olive. 

Non che lei avesse mai offerto informazioni volontariamente, piuttosto sembrava che - senza pensarci o rendersene conto - Olive si lasciasse talvolta sfuggire dettagli e piccole parti di se stessa. E le serate passate insieme ad esercitarsi avevano anche dato modo a Tom di studiarla un po’ ed assorbire certe sfumature della ragazza.

Ma, inaspettatamente e piuttosto improvvisamente, qualcosa era cambiato.

Olive si mostrava rilassata e a suo agio come sempre, eppure Tom avvertiva che una parte di lei si stava ancora una volta tirando indietro. Alzando di nuovo alcuni muri. 

 

Le prese una caviglia e la tirò un po’, catturando la sua attenzione.

«Cosa?»

Tom le sorrise. «Altrimenti occupata in cosa?»

Olive arricciò il naso in un’espressione annoiata. «Minuzie. Dettagli. Accertamenti. Cose così.»

Tom, la mano ancora chiusa sulla caviglia di Olive, la studiò per qualche momento in silenzio.

Olive sembrò quasi imbarazzata. «Che c’è?»

Lui allungò un braccio verso di lei. «Vieni qui.»

«Sono qui.»

Tom alzò gli occhi al cielo. «Qui», disse muovendo le dita della mano accennandole ad avvicinarsi.

Olive sospirò drammaticamente. Spostò le gambe, comunque, e si mosse inginocchiandosi sul divano, all’altezza del fianco di Tom.

Lui la prese per un braccio e la trascinò su di se, intrappolandola sul suo petto e in un abbraccio morbido.

Ascoltò la risata di Olive riverberarsi sul suo corpo ed appoggiò il mento sulla testa di lei. «Non farlo.»

Olive rimase per un momento in silenzio. «Cosa?»

«Non scappare.»

Le mani della ragazza si chiusero un po’ di più su di lui. 

«Okay?»

La risposta arrivò appena soffocata. «Okay.»

 

*

 

Presente

(0 giorni al colpo)

 

Alva Randolph non credeva nei titoli nobiliari.

O, meglio, Alva Randolph non credeva nell’uso eccessivo dei titoli nobiliari.

Generalmente era solo in serate come quella - e in altre rare occasioni - che l’essere chiamata Lady Randolph non suscitava il vago fastidio che collegava alla necessità che alcune persone sembravano avere di ricordarle il suo albero genealogico.

 

Tuttavia quella sera Alva Randolph aveva aperto la sua casa - una graziosa palazzina storica nel centro di Londra - ad un variegato (se non interessante) gruppo di persone che, se non altro, rendeva sopportabile il venir indirizzata in continuazione come Lady Randolph. E, nel centro della sala da ballo, protetta in una custodia di vetro infrangibile, la stella dell’Ordine di San Patrizio brillava e incantava sotto le luci degli imponenti lampadari di cristallo del salone. 

 

Si guardò attorno, cogliendo per un attimo la figura sfuggente di una ragazza. 

Altrettanto sfuggente era l’idea di non sapere cosa quella serata potesse avere in serbo per lei. Ma non tanto perché non avrebbe potuto immaginare i possibili scenari, quanto piuttosto perché aveva scelto volutamente di non farlo. 

Del resto, M ed Olive erano coinvolte, rifletté Lady Randolph. Quindi tutto era possibile.

 

*

 

«Ama le entrate teatrali», sussurrò Olive a Tom nascondendo un sorriso dietro un bicchiere di champagne. «M dice che è sempre stato così. Vedrai che arriverà presto.»

Tom sorrise di rimando, evitando però di guardare Olive e cercando di tenere a bada il nervosismo.

 

Qualche ora prima, quando si era trovato nel mezzo dei preparativi per quella serata, aveva dovuto lottare con l’agitazione derivata dall’idea di quello che lo aspettava quella sera. Non aveva minimamente preso in considerazione la possibilità di sentirsi nervoso per altre ragioni.

Olive, per la precisione.

Che aveva trovato nel foyer della palazzina di Lady Randolph, fasciata in un abito che sembrava essere stato fatto per mettere in risalto ogni deliziosamente elegante curva del suo corpo e catturare l’attenzione di più di uno degli invitati.

«Se proprio devo farmi notare, almeno vorrei farlo con stile», si era giustificata lei con un’aria divertita. 

C’era stato un po’ di colore sulle sue guance, l’unico indizio che per quanto pretendesse di essere a suo agio, non lo era poi così del tutto. 

 

Tom aveva catturato il riflesso di loro due in un ampio specchio lungo il corridoio che portava verso la sala da ballo ed era stato lì che aveva capito. Che si era reso conto che Olive, quella sera, non era davvero poi così diversa dal solito. Semplicemente, era più evidente a tutti quello che lui vedeva in lei ogni volta che la guardava.

Un certo tipo di bellezza difficile da definire o circoscrivere. Anche nel riflesso di uno specchio.

 

*

 

«La sala da ballo in realtà è formata da due spazi», stava dicendo Olive ferma in un angolo del salone con Tom. «Quando tutto questo non è necessario, due porte scorrevoli ai lati delle stanze vengono chiuse e improvvisamente hai due sale di dimensioni normali. Se invece c’è bisogno di più spazio, le porte in fondo alla sala possono essere aperte su di un terzo spazio.»

Tom le lanciò uno sguardo veloce, un che di divertito negli occhi. «Sembri conoscere bene il posto.»

Olive fece per rispondere, ma non ne ebbe il tempo.

 

«Lo spero bene», s’intromise la voce di Lady Randolph. «Dato che è cresciuta qui.»

Olive e Tom si girarono verso la donna. Tom spostò lo sguardo stupito da lei ad Olive.

Olive sorrise, quasi rassegnata. «Buonasera, mamma.»

 

*

 

Dopo una breve e vagamente imbarazzata introduzione, Olive si era allontanata notando l’arrivo di McAlister, lasciando Tom al curioso studio di Lady Randolph.

«M mi dice che lei ed Olive siete…amici? Di sicuro Olive l’ha nominata piuttosto spesso, ultimamente. Che, onestamente, è un rinfrescante cambiamento rispetto a quello che generalmente mi racconta.»

Tom rise piano, nascondendo un leggero impaccio. «Posso immaginare.»

«Ed immagino invece che non le abbia detto molto di se stessa?»

«No. Non esattamente.»

Alva Randolph sospirò appena, lasciando scorrere lo sguardo sulla sala piena di invitati. «Non mi stupisce. Anche sua madre era-». S’interruppe allo sguardo confuso di Tom e sorrise dispiaciuta. «…ah, ma ovviamente. Lasci che le spieghi.» 

Prese a camminare lentamente, gli occhi alla ricerca di qualcosa forse, e Tom la seguì senza fare domande.

 

«Olive è la figlia di mia sorella minore, per quanto sono stata io a prendermi cura di lei fin da quando era piccola. Mia sorella…Minnie era luminosa. Bruciante. Piena di troppa energia e troppa sete per la vita. I più gentili la definivano ribelle, ma in realtà era una giovane donna sciocca che odiava qualsiasi regola. Quando rimase incinta di Olive, non fece mai sapere a nessuno chi fosse il padre. E un giorno - Olive avrà avuto quattro anni - lasciò l’Inghilterra ed Olive alle spalle, con niente di più di una nota che annunciava di essere diretta in Africa e che sarebbe eventualmente tornata per Olive. Non tornò. Scoprimmo solo in seguito che morì di malaria.»

Tom rimase in silenzio per un momento. «Sono terribilmente dispiaciuto.»

Lady Randolph gli sorrise scuotendo appena la testa. «E’ storia antica, oramai. Olive ha…Non ne è sempre stata a conoscenza. Sono sempre stata io sua madre, se si vuole. Ma quando ha saputo la verità, ha passato una fase…problematica, per così dire. Fu M a trovarla, in quel periodo, e riportarla indietro. C’è voluto tempo, ma la situazione eventualmente è migliorata.»

La donna si fermò ed appoggiò una mano sul braccio di Tom, incrociando lo sguardo con il suo. «Le dico tutto questo, Mr Hiddleston, perché voglio essere sicura che lei sappia che Olive - anche al di là della sua professione - probabilmente non sarà mai come una qualsiasi altra ragazza con cui potrebbe avere una relazione. Come una qualsiasi donna inglese od un’attrice americana, per esempio.»

Tom s’irrigidì appena a quel riferimento ad Elizabeth.

«Olive è sciocca e testarda come qualsiasi altra giovane donna della sua età, ed allo stesso modo è fragile. Ma è anche diversa. Complicata.»

Tom spostò lo sguardo sugli invitati. Trovò Olive, in mezzo a tutta quella gente, e il suo sorriso, e si trovò a sorriderle in risposta. 

Ritornò allora a posare gli occhi su Lady Randolph, l’alone del sorriso ancora sulle labbra. «Credo che mi piaccia così.»

Lady Randolph lo studiò per qualche attimo, prima di accennare un sì con aria compiaciuta. «Molto bene, allora.»

 

*

 

Quando la spilla era caduta per terra, era seguito un attimo in cui Tom aveva smesso di respirare. Ma nessun poliziotto era spuntato dal nulla ad accusarlo di tentato furto, né tanto meno gli era stata rivolta attenzione più di una normale sorpresa. 

Tom si era scusato profusamente con Liam McAlister e - come Olive gli aveva pazientemente insegnato - quando si era piegato a raccoglierla dal pavimento, aveva scambiato la spilla originale con la copia. 

Nessuno sembrava essersi accorto di nulla. McAlister lo aveva perfino ringraziato.

Tom si era sentito vagamente in colpa e decisamente a disagio, ma la voce di Olive nella sua testa che gli rammentava che quella spilla era di M riuscì a tenere a freno il resto.

 

Si allontanò discretamente, appena sembrò possibile farlo senza destare sospetti, e fece un giro della sala, come Olive lo aveva istruito. Si guardò attorno, poi, nei pressi dei un paio di porte chiuse nel fondo della salone. 

Olive catturò il suo sguardo da un altro angolo della stanza. Fece un discreto cenno ad una portafinestra che si affacciava su di un balcone e si mosse lentamente, senza fretta. 

La vide poi bloccarsi con un’aria che da sorpresa era diventata decisamente preoccupata. 

Tom capì perché un attimo più tardi. 

Martin Hagarty - con un sorriso che non prometteva nulla di buono - era a qualche passo da a lei.

 

*

 

Olive girò su se stessa.

Si infilò nel mezzo della piccola folla che occupava soprattutto il centro del salone e si fece spazio velocemente, muovendosi fluida, raggiungendo Tom senza perdere tempo. 

Non gli diede modo di dire nulla, ma lo afferrò per un polso, aprì una delle porte alle sue spalle ed lo spinse dentro.

«La spilla», gli disse velocemente. 

«Cosa hai intenzione di fare?», domandò lui cercando di tenere a bada l’agitazione e passandole l’oggetto. 

«Stai qui», rispose lei ignorando la sua domanda. Si avvicinò ad una finestra nella stanza e ne spalancò le imposte. 

«Cosa diavolo!?», esclamò Tom raggiungendola nel momento in cui lei si sedette sul bordo. 

«Devo andarmene prima che McAlister faccia qualcosa di stupido o che Hagarty faccia qualcosa di peggio», disse lei sfilandosi le scarpe e mettendosi in piedi sulla cornice della finestra. 

«Non vorrai mica saltare?»

Olive rise, nonostante la situazione. «Guarda», replicò lei indicando qualcosa fuori, sul muro esterno della palazzina. Una piccola scala di metallo era puntellata lungo l’altezza dell’edificio, dal primo piano all’ultimo.

 

«Buonasera, Olive», li raggiunse la voce di McAlister.

Lei e Tom guardarono verso il basso. L’uomo - sorridente e divertito - li aspettava all’inizio della scaletta. 

«Davvero, per essere una delle allieve preferite di M, sei deludente», continuò l’uomo.

Olive lanciò uno sguardo a Tom e fece scivolare una mano sul suo braccio. «Stai qui

Quindi afferrò uno dei pioli di metallo della scala e cominciò a salire il più velocemente possibile.

 

Quasi raggiunto il tetto della palazzina, Olive sentì la scaletta vibrare. Si voltò come poté e non credette ai suoi occhi. Tom era dietro di lei. 

Ingoiò una parolaccia, raggiunse il tetto e si sporse allungando un braccio per aiutare Tom. 

«Non ti avevo detto di stare nella stanza?»

Tom la guardò irritato. «Se McAlister ti aspetta da basso, chi pensi che potrebbe aspettarti qui su? Hanno capito le tue mosse, Olive.»

 

«Ascolta il tuo fidanzatino, Olive», s’intromise la voce di Hagarty. La figura dell’agente emerse da una delle ombre del tetto. «Non vogliamo che nessuno si faccia male. La spilla, signorina, e forse te la cavi senza lividi.»

Olive chiuse la mano attorno a quella di Tom e fece un passo indietro, trascinandolo con sé. «Tom, polveri asciutte», gli sussurrò.

Tom le lanciò un’occhiata confusa, cercando di tenere a bada il panico. Gli servì solo un attimo per capire cosa lei gli stesse dicendo. Era qualcosa a cui aveva accennato durante uno degli allenamenti. 

 

Come disse Cromwell, tieni asciutte le tue polveri. Sii preparato per qualsiasi eventualità. Che generalmente si riduce ad avere almeno una distrazione a portata di mano e a saper correre velocemente. 

 

«Polveri asciutte», le ripeté allora.

«Perfetto», replicò Olive sottovoce. Alzò quindi entrambe le mani e fece un passo verso Hagarty. «Okay. Ti dò la spilla e ci lasci andare.»

Hagarty rise. «Lascio andare il tuo fidanzatino, signorina. Su di te temo che Liam abbia altri progetti.»

Tom fece un passo verso di lei, ma Olive lo fermò. Lentamente spostò una mano e dal corsetto del vestito estrasse la spilla di M. «E’ tutta tua», disse lentamente. Hagarty si mosse per prenderla, ma Olive la lanciò oltre le spalle dell’uomo.

 

Nell’attimo di distrazione che seguì, Olive e Tom si girarono e cominciarono a correre sul tetto della palazzina. La bellezza di Londra, avrebbe poi detto in seguito Tom, era il fatto che un numero quasi infinito di tetti fossero collegati fra di loro.

Olive lo guidò attraverso i primi tre, per poi girare bruscamente e fermarsi sul cornicione del quarto. Si voltò verso Tom guardandolo vagamente preoccupata. 

«Pronto?»

Tom non rispose immediatamente. «Per cosa?»

Olive indicò un punto sotto di loro.

La piscina di un’abitazione privata di qualcuno con ovviamente troppi soldi (perché, davvero, cosa te ne facevi di una piscina a Londra) sembrava essere stata messa lì ad aspettarli. 

Tom deglutì. «E’ un buon momento per informarti che non sono particolarmente a mio agio con i salti nel vuoto?»

Olive gli prese la mano. 

Tom mormorò una parolaccia lanciando una seconda occhiata alla piscina. Tornò poi a guardare Olive. «Oh, beh. Pronto per come posso essere pronto.»

«Al tre?», domandò Olive.

Tom accennò un sì. 

E al tre saltarono. 

 

*

 

C’era qualcosa nel modo in cui, quando cadevi in una massa d’acqua ad una certa velocità, che era terrificante e che, allo stesso tempo - quando capivi che sì, eri ancora vivo e che sì, eri ancora intero - ti riempiva di adrenalina.

Tom riemerse vicino ad Olive ridendo come un pazzo.

Olive stava facendo lo stesso.

 

Qualcuno, poi, si schiarì la voce.

Tom si girò in direzione del suono e con una buona dose di meraviglia si trovò a fissare M, una mano su di un fianco ed un espressione vagamente divertita.

Accanto a lei un’altra donna che Tom non conosceva, ma che il tailleur nero e l’aria decisamente perplessa conferivano un che di ufficiale. 

 

Olive uscì dalla piscina e Tom la seguì immediatamente. 

M gli sorrise con una cordialità che aggiunse solo all’assurdità del momento. «Mr Hiddleston, sempre un piacere rivederla. Vedo che la necessità di fornirle un cambio d’abiti sta diventando un’abitudine», disse allungandogli una borsa che - ovviamente - conteneva dei vestiti per lui.

«Terribilmente dispiaciuto, M. Grazie mille», rispose vagamente imbarazzato.

Olive soppresse una risata. 

«Il tuo cambio, Olive», continuò M passando un’altra borsa alla ragazza. 

«Grazie, M.»

M fece un piccolo cenno con la testa, l’aria di chi non era davvero stupito da nulla di quello che stava osservando. «La spilla, Olive?»

Tom fece un passo avanti. «L’abbiamo dovuta dare all’agente dell’Interpol.»

M guardò Tom con aria perplessa. 

Olive si parò davanti a lui e con un sorriso divertito infilò una mano nella tasca della giacca di Tom, estraendone - come un trucco di magia - la spilla di M.

Tom la guardò stupito. «Ma come…quando?»

«Sul cornicione della finestra, prima che uscissi», spiegò Olive passando l’oggetto ad M, «quando ti ho detto di stare dove stavi.»

«Avresti potuto dirmelo», disse Tom vagamente risentito.

Olive lo guardò con un’aria di finta offesa. «Vuoi dirmi che se avessi saputo di avere la spilla di M nella tasca della giacca, non mi avresti seguito sul tetto per aiutarmi con Hagarty?»

«No, lo avrei fatto comunque, ma almeno sarei stato più attento o-»

Si fermò davanti alla risata di Olive e scosse la testa. Alzò le mani al cielo. «Sei impossibile», annunciò.

Ma con un tono troppo allegro per prenderlo davvero sul serio.

 

*

 

C’era stato uno scambio di documenti e strette di mano tra M e Lauren O’Caffrey, la donna nel tailleur nero che - come Olive aveva spiegato a Tom - era il contatto di M all’Interpol.

C’erano poi stati in distanza i suoni di alcune sirene e una chiamata sul cellulare di Lauren, al termine della quale aveva annunciato che Liam McAlister era stato preso in custodia e che erano sulle tracce di Martin Hagarty. 

 

Tom ed Olive si erano cambiati ed erano entrati in una macchina con autista che M aveva messo a disposizione per loro. I primi minuti del tragitto erano quindi passati tra le molte domande di Tom ed i vari chiarimenti di Olive.

«C’è una cosa che m’incuriosisce davvero», aveva detto poi Tom rilassandosi contro lo schienale del sedile posteriore della macchina.

«Cosa?»

«Pensavo che McAlister volesse la stella dell’Ordine. Come mai era così interessato a tenersi la spilla di M?»

Olive ci aveva riflettuto per un attimo. «Forse perché è quel genere di persona che non sa perdere. O forse perché gli ricordava M.» Fece una piccola pausa. «O forse perché la spilla vale intorno alle diciottomila sterline.»

Tom imprecò. «Mi stai seriamente dicendo che avevo diciottomila sterline nella tasca della giacca?»

«Temo proprio di sì», rispose lei con una piccola risata. 

Tom si unì a lei e tornò a rilassarsi contro lo schienale del sedile. Allungò una mano, trovando le dita di Olive e sfiorandole. «E cosa succede ora?»

Lei non rispose immediatamente. «Ognuno va a casa sua a riprendersi dagli eventi traumatici di questa sera. O…»

«O?»

«O puoi venire da me a brindare ad una serata fuori dall’ordinario.»

Tom sorrise. «Brindiamo.»

 

*

 

Olive, seduta su uno dei piani della cucina, un bicchiere di vino in mano, osserva Tom preparare qualcosa da mangiare per entrambi.

E non le sfuggì la completa assurdità della situazione.

 

Aveva sempre deciso lei. Chi, come, quando. Regole. Limiti. Struttura.

Ed era - in qualche misura - terrificante rendersi conto che non era più così. Che Tom entrava nella vita di Olive accompagnato da compromessi e che - anche più destabilizzante - Olive era pronta ad accettarli.

Perché le piaceva Tom ed era ovvio probabilmente a tutti. 

 

«Sei silenziosa», la raggiunse la voce di lui.

Olive lo osservò. «Ho notato che hai parlato con mia madre stasera.»

Tom esitò solo un momento. «Sì.»

«E immagino ti abbia detto che non è davvero mia madre.»

Altra esitazione. «Sì.»

Lei prese un sorso di vino. «E qualcos’altro?»

«Niente di particolare», rispose Tom lentamente. «Solo che hai avuto qualche problema lungo la strada, ma che le cose vanno bene ora. Sei diventata un luminoso esempio di grazia ed intelligenza.»

«Per favore. Mia madre non direbbe mai una cosa del genere su di me. O su chiunque altro», replicò Olive ridendo.

 

Tom si unì alla risata, abbandonò per un attimo quello che stava cucinando e la raggiunse, fermandosi di fronte a lei. «Hai ragione, mi hai scoperto. In verità ti ha definito sciocca e testarda, ma in un modo che è suonato come un complimento.» 

Olive abbassò gli occhi a quelle parole e al sorriso con cui Tom le aveva pronunciate. Quindi sentì più che vedere le mani di lui appoggiarsi ai lati dei suoi fianchi, bloccandola con le braccia e il corpo. 

«Ha anche detto che sei fragile», continuò poi piano, pronunciando con attenzione le parole e con un che di delicato. «E che sei diversa. Complicata.»

Olive alzò il viso, trovando quello di Tom pericolosamente vicino al suo. E il suo cuore prese a battere troppo velocemente e la testa le si riempì di troppi pensieri. «E tu cosa le hai detto?»

Tom le sorrise. «La verità.»

 

Olive aspettò. 

Aspettò che lui dicesse altro, di più, qualsiasi cosa. 

Ma Tom, invece, si allontanò da lei e tornò a cucinare. Lasciando Olive, seduta sul piano della cucina, sola con il suo imbarazzo.

Non era brava a fare questo. Era, ad essere sinceri, un vero disastro. Era come se stesse cercando di imparare una danza di cui non riusciva a sentirne il ritmo, a capirne i passi.

Se Tom fosse stato una cassa forte o un sistema d’allarme, un quadro od un gioiello, Olive avrebbe saputo cosa fare. Ma Tom era Tom, un uomo che si era incastrato nella sua testa e che- 

 

Olive si fermò su di un pensiero. Lo valutò, rigirandoselo nella mente come se fosse tratto di un oggetto tra le mani.

Guardò Tom, stringendo un po’ di più le mani sul piano della cucina, cercando di rallentare il cuore, rilassare il respiro. 

«Sai cosa qualcuno mi ha detto tempo fa?», si trovò poi a dire ad alta voce.

Tom si girò appena, lanciandole un’occhiata curiosa da sopra una spalla. «Cosa?»

«Che se non riesci a toglierti qualcuno dalla testa, forse vuol dire che il suo posto è esattamente quello.»

 

Vide Tom fermare per un attimo quello che stava facendo. Non si voltò, però. «E chi c’è nella tua testa?»

Olive abbassò lo sguardo. «Tu.» 

Sorrise, poi, divertita da un altro pensiero. «Anche se, a dire il vero, ultimamente non sei solo nella mia testa, ma sembri essere dappertutto nella mia vita.»

 

Forse fu perché era distratta o forse perché lui si era mosso così velocemente, ma Olive sussultò appena quando si trovò improvvisamente Tom di fronte. Ancora una volta vicino e ancora una volta con le sue braccia ai lati del corpo di Olive. 

Non disse nulla per qualche momento e si limitò, invece, a fissarla - studiandola quasi, soppesandola. L’ombra di un piccolo sorriso, poi, gli comparve sulle labbra. «E cosa intendi fare a proposito?»

 

Olive permise ad un attimo di passare, muovendosi lentamente, fermandosi ad un respiro dalla bocca di Tom. Lui rimase immobile, lasciando che fosse lei a decidere. Olive accennò un sorriso che si perse, poi, sulle labbra di Tom nell’attimo in cui le sfiorò. 

Si spostò di un soffio, ma la bocca di Tom la lasciò libera solo per un istante. E anche se il suo bacio non aveva nulla di sfiorato, fu altrettanto delicato. 

Olive chiuse le mani attorno al collo di Tom e lo tirò un po’ di più a se, baciandolo come se avesse sete, baciandolo come se ogni bacio fosse un “finalmente, finalmente, finalmente”. 

 

Olive non aprì gli occhi immediatamente, quando Tom la lasciò libera di tornare davvero a respirare. Ma anche così, era come se si stessero baciando ancora - i loro respiri intrecciati, le labbra che si sfioravano, le mani di Olive ferme sul collo di Tom.

Aprì gli occhi piano, poi, non riuscendo a guardarlo per un momento. 

Tom - le mani chiuse sui fianchi di Olive - tamburellò le dita sulla schiena di lei. «Ehi.»

Olive alzò lo sguardo, fermandosi su quello divertito di Tom. «Ehi.»

Lui strinse un po’ di più la presa su di lei ed Olive si trovò a ridere.

«Cosa c’è di tanto divertente?»

Lei scosse la testa. «Hai una strana tendenza a fare questo.»

«Cosa?»

Olive indicò le mani di Tom. «Intrappolarmi.»

Tom le sorrise. «Perché tu hai una strana tendenza a scivolare via.»

«Non questa volta», promise lei.

Tom la soppesò con un’aria quasi esitante che si sciolse, poi, in un sorriso. Le baciò la fronte, poi, prima di lasciarla libera. «Non questa volta.»

 

Olive lo osservò tornare a quello che stava cucinando. 

C’era un sorriso cristallino e senza complicazioni sulle sue labbra.

Perché, si era detta, anche nel groviglio strano delle loro vite, quello che loro due avevano trovato era, tutto sommato, davvero semplice.

Si erano trovati a vicenda.

 

Nessun bisogno di scappare da quello.

 

 

Fin

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