Anestesia

di Black Mariah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24-25 ***
Capitolo 25: *** 26 ***
Capitolo 26: *** 27 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


1
 
 
29 Settembre 2013
 
Michael era davanti allo specchio della sua cabina armadio e si stava facendo il nodo alla cravatta. Scrutava silenzioso la sua immagine allo specchio. Quella mattina non aveva avuto il tempo per dedicarsi alle giornaliere operazioni di toeletta, e sul suo viso, di solito liscio e glabro, c’era una parvenza di barba incolta. Sicuramente quel dettaglio non sarebbe sfuggito a sua madre, a cui la barba, portata in quella maniera un po’ disordinata, non piaceva per nulla.
Sua madre entrò prepotentemente nella stanza, iniziando a impartire ordini per la giornata, non curandosi delle sue maniere poco opportune e del tutto invasive. 
-Michael, allora ho chiamato il fioraio. Devi passare da lui alle sei meno venti in punto, dopo di che devi passare a prendere tuo padre dalla banca- fece la signora Trisher, avvicinandosi al figlio e scorgendo la sua immagine riflessa nello specchio. Intravide dei raggi di sole colpire i suoi capelli freschi di messa in piega, i quali assumevano delle ambite sfumature dorate ottenute con un complicatissimo trattamento fatto dal suo parrucchiere di fiducia, e si portò una ciocca dietro l’orecchio.
-Perché quel musone, tesoro?- chiese qualche secondo più tardi, focalizzando la sua attenzione su suo figlio.
Aggiustò con molta poca delicatezza l’abito del ragazzo. Odiava con tutta se stessa le grinze che si creavano in corrispondenza del punto vita.
Michael sospirò, infastidito da quella mossa.  
–Andiamo, è un’occasione per riunire la famiglia…- aggiunse la donna di fronte allo sguardo scocciato di Michael, come fosse quasi una giustificazione a tutte le faccende che gli aveva appena ordinato di fare.
-Sì, certo…- mugolò Michael a bassa voce  –Mamma, so farmi un nodo alla cravatta non c’è bisogno che mi stai addosso- aggiunse con un tono decisamente infastidito. Odiava quel genere di serate che molto spesso la sua famiglia organizzava: le giudicava frivole e alquanto ipocrite, come se il cenare tutti insieme potesse tenere uniti i pezzi di quella famiglia che si stava distruggendo pian piano, a causa della troppa voglia di apparire della madre e delle sue manie di controllo, dell’ossessivo attaccamento al lavoro di suo padre e della frivolezza di sua sorella, che non faceva altro che spendere i soldi del suo fondo bancario, comportandosi come se tutto le fosse dovuto.
La madre lo guardò negli occhi con un filo di tristezza, ormai era abituata ad essere trattata male dal figlio e da qualsiasi membro di quella famiglia.
-Se dopo aver fatto le commissioni esci…sii puntuale. Alle otto si mangia- commentò solo, allontanandosi.
Michael sentì la porta chiudersi alle sue spalle e tirò quasi un respiro di sollievo. Sua madre lo innervosiva, così come facevano suo padre e sua sorella.
Quando era piccolo la vita gli sembra decisamente migliore, non aveva preoccupazioni, non doveva preoccuparsi del suo futuro, e soprattutto, ai suoi occhi di bambino, la sua famiglia risultava essere quasi perfetta.
Prese il soprabito poggiato sul letto e lo infilò. Aprì la porta che sua madre aveva appena chiuso e percorse il lungo corridoio con il pavimento di parquet.
C’era un odore di pulito nell’aria: molto probabilmente mentre lui stava ascoltando la musica steso sul letto, i domestici avevano ripulito la casa.
Prese le chiavi della macchina e si avviò, nel tentativo di sbrigare le commissioni che sua madre gli aveva dato da svolgere.
Tra tutte le cose che doveva fare l’andare a prendere suo padre da lavoro era quella che lo entusiasmava di meno:  durante il tragitto in macchina con suo padre, probabilmente il signor Trisher avrebbe di nuovo aperto il discorso sulle sue responsabilità, sul suo prossimo lavoro nella banca di famiglia e sulla sua carriera, che avrebbe dovuto essere impeccabile. Tutte cose che a Michael non andava di risentire per la milionesima volta, soprattutto perché gli causavano nervosismo e infelicità.
Scese le scale del grande portone e ancora non riusciva a capire il perché avrebbe dovuto fare il pony express delle faccende di sua madre, e perché suo padre non poteva prendere un semplice taxi per tornare a casa.
Dopo essere uscito dal fioraio, spuntò mentalmente l’opzione “orchidee per la mamma” e risalì alla guida della sua macchina  per dirigersi verso la Trisher Bank. Era la banca di famiglia, la banca in cui lavoravano tutti i maschi della sua generazione, fondata dal suo bisnonno e tutte quelle stronzate di repertorio.
Fin da quando era bambino, i suoi parenti gli avevano riempito la testa di parole, spiegandogli perché anche lui, come tutti loro, avrebbe dovuto lavorare in quella banca, non permettendo a nessun’altra passione di prendere il sopravvento.
Il punto era che a lui l’economia non era mai piaciuta, né tanto meno avrebbe voluto passare una vita davanti ad un computer o seduto dietro una scrivania a tenere sotto controllo quotazioni o movimenti di marketing, e avrebbe voluto far tutto, tranne che la carriera di suo padre e dei suoi zii, consumati e logorati dalla loro stessa ricchezza e fortuna.
La verità era che contrariamente a quanto gli avevano insegnato, lui aveva imparato ad apprezzare le cose semplici della vita, ma soprattutto ad andare oltre la perfetta apparenza del mondo in cui viveva, in cui anche la mela più bella, era una mela marcia.
Assorto tra questi pensieri, alzò lo sguardo e vide il semaforo dell’incrocio che stava attraversando passare improvvisamente da verde ad arancione.
Pressò maggiormente l’acceleratore per cercare di passare l’incrocio e tra tutte le cose che aveva attorno, mise attenzione a solo due di esse: una canzone alla radio, interrotta fastidiosamente da dei continui clacson, e una strana fitta alla testa.
Al resto non fece più caso.
 
 
 
16 Ottobre 2013
 
Sarah timbrò il suo tesserino e si diresse verso la fine del lungo corridoio bianco. Pigiò il pulsante dell’ascensore e attese che le porte di metallo si aprissero.
Un altro giorno era iniziato e tutto quello che le restava da fare era prenderlo alla leggera, o meglio, vivere anche quest’altra settimana nell’attesa che finisse il più presto possibile. Quando le porte dell’ascensore si aprirono aspettò qualche secondo prima di entrare: un dottore con un camice bianco e con un carrellino stava uscendo.
Lo  salutò timidamente per educazione e veloce entrò nell’abitacolo e premette il pulsante che l’avrebbe portata a meno uno.
L’ascensore presentava un lucente rivestimento metallico, lucido a tal punto da potersi riflettere, e Sarah guardò annoiata la sua immagine riflessa e leggermente deformata. Quella era una mattinata  piuttosto fredda e aveva pensato bene di indossare una delle sue tante felpe larghe con cappuccio, acquistata da un grande magazzino del centro. Si legò la cascata di capelli ricci e neri con un elastico e poi avvicinò il viso alla superficie metallica, scrutando ipotetiche imperfezioni della pelle. Mentre era ancora intenta ad analizzare il suo viso, tondo e ben definito, le porte dell’ascensore si aprirono e la catapultarono nel reparto di terapia intensiva.
Sarah  era una normalissima ragazza di ventitré anni, diplomata, con diverse passioni che spaziavano dalla musica all’arte, molto sensibile e introversa, certe volte anche troppo, a cui piaceva fare volontariato all’ospedale.
La sua vita non era un gran che,  ma si accontentava. Non era andata al college come i suoi amici, ma era rimasta a New York, a dividersi tra il turno all’ospedale e il lavoro in un piccolo super market sotto casa, che le permetteva di racimolare qualche soldo per poter coltivare il suo sogno: la fotografia e la pittura.
Fare il volontariato all’ospedale la rilassava, ma soprattutto la faceva sentire un po’ più viva e un po’ più utile alla società. Regalare un sorriso ad un bambino malato o stringere la mano ad una persona anziana, che aveva solo bisogno di affetto, la faceva sentire un po’ meno sola e un po’ più fortunata rispetto a quelle persone, che non avevano la fortuna di aver avuto una salute forte come la sua.
Il reparto in cui era stata chiamata a prestare il suo servizio, era molto buio e presentava poche aperture alle pareti che non permettevano ad una quantità di luce decente di entrare nel salone.
Davanti a lei c’era l’accettazione e dietro una grande scrivania, sommerso da una letterale montagna di cartelle cliniche e scartoffie varie, si nascondeva un infermiere dall’aspetto molto mite, baffuto e con gli occhiali.  
Solitamente non prestava mai aiuto in quel reparto: le competenze richieste per stare lì andavano oltre le sue conoscenze base di pronto soccorso apprese durante qualche progetto al liceo, ma quella mattina Sally le aveva mandato un messaggio sul telefono, e le aveva chiesto aiuto a causa di mancanza di personale e lei non aveva saputo rifiutare.  
-Buongiorno- esordì timidamente la ragazza, avvicinandosi al bancone dietro cui sedeva il signore panciuto.
-Salve- fece lui con fare distratto, soffermandosi per qualche secondo a guardare la ragazza: non l’aveva mai vista prima di allora. -Posso aiutarla?-
-La signora Moore mi ha detto di venire qui stamattina per il servizio di volontariato, in cosa posso essere utile?- replicò Sarah.
-Ah, certo- esclamò l’uomo come se si fosse appena ricordato di una cosa –Alla punta del corridoio c’e’ Tina che ti sta aspettando-
La mora ringraziò e salutò il signore e dopo aver lasciato le sue cose in uno stanzino apposito, raggiunse Tina.
Con passo svelto arrivò alla punta del corridoio ed  intravide Tina all’interno di una stanza  che si accingeva a pulire un tavolo di metallo.
Entrò silenziosamente e salutò la donna con il camice bianco: era un’infermiera sulla cinquantina, molto curata nell’aspetto, con lucenti capelli rossi e cotonati.
Tina ricambiò con un sorriso e dopo aver finito di asciugare il tavolo, si rivolse a Sarah, spiegandole il perché le aveva chiesto di andare in quel reparto e soprattutto pregandole di aiutarla a sistemare quella stanza.
-So che non è compito tuo pulire le stanze dei pazienti, ma questa mattina l’impresa di pulizie ha avuto problemi ad arrivare a Manhattan, e c’è un mare di lavoro da fare. I genitori di questo paziente dovrebbero arrivare tra qualche ora, e ho bisogno che questa stanza sia pulita e in ordine- iniziò a dire l’infermiera.
Sarah mise attenzione a tutte le indicazioni che la donna le diede, soprattutto riguardo i prodotti da usare e su come regolare il climatizzatore della stanza per far cambiare aria, e appena se ne andò iniziò a mettersi all’opera.
La ragazza rimase sola nella stanza e per qualche attimo immobile: quello non era proprio il genere di faccende che sbrigava all’ospedale, ma volontariato significava fare anche quello e perciò lo accettò comunque.
Quando sentì la porta alle sue spalle chiudersi, iniziò a rassettare e a spolverare la camera. Inizialmente non fece molta attenzione al paziente steso sul letto, lo vide solo di sfuggita e ordinò le carte sul tavolo. Spolverò le tende e i frangi sole sui vetri, spazzò a terra e poi passò l’aspirapolvere.
Si avvicinò al letto per poter tirare, per quanto possibile, le lenzuola e nel farlo, menò un’occhiata al corpo addormentato.
Rimase molto sorpresa nel vedere disteso un ragazzo, che avrebbe potuto avere dai vent’anni in su. Il giovane respirava piano, quasi in maniera impercettibile,  e l’unico segnale che testimoniava il fatto che fosse vivo, era solo il rumore metallico dell’elettrocardiogramma collegato al suo petto che procedeva al ritmo del suo cuore.
Nel momento in cui scorse il viso del ragazzo, la ragazza percepì quasi un brivido dietro la schiena: quel ragazzo per quanto ne sapeva poteva avere la sua età, eppure si trovava in quella situazione, bloccato in quel letto d’ospedale, per chissà quale ragione.
Si fece maggiormente vicina per poter tirare le coperte e potergliele rimboccare, e durante il movimento, si fermò un attimo ad osservare i suoi lineamenti.
I suoi tratti somatici erano dolci, molto belli e delicati per un ragazzo. Aveva i capelli castano chiaro tendente al biondo e il mento ricoperto da  una leggera barba dello stesso colore. Il suo viso in svariati punti era segnato da escoriazioni, mentre le braccia nude, presentavano fasciature, lividi e tagli.
Se non si fosse trovata in quella situazione, e se non ci fossero stati quegli evidenti segnali di incedente, avrebbe scommesso che il ragazzo stesse dormendo beatamente.
Gli coprì le braccia con un lenzuolino, temendo che essendo scoperte, potesse avere freddo. In realtà non sapeva se una persona in quello stato potesse provare certe cose, ma lo fece comunque: non vedere i suoi lividi, le dava una sensazione migliore, aumentando l’impressione che quel ragazzo stesse semplicemente dormendo.
Rimase qualche secondo ancora a scrutare i suoi lineamenti: le sue labbra erano di un leggero colore rosato e sembravano molto carnose e ben delineate; il mento era pronunciato, ma non imponente, e  benché lui fosse intubato e benché avesse due tubicini infilati su per il naso, il suo aspetto sembrava non risentirne affatto.
Improvvisamente continuando a fissarlo, a Sarah  venne una voglia immensa di sapere chi fosse e di sapere cosa gli fosse capitato, ma allo stesso tempo avrebbe voluto quasi confortarlo in qualche modo.
Fece una cosa abbastanza azzardata, che una volontaria professionale, ma soprattutto una sconosciuta, non avrebbe dovuto fare: allungò una mano e la protese verso di lui, sfiorandoli con delicatezza prima la mano e poi risalendo verso il suo viso.
Facendo molta attenzione a non spostare i tubi e a non toccargli le escoriazioni, gli accarezzò delicatamente una guancia, cercando di trovare disperatamente dei segni di vita e di interazione.
Il tocco con la sua pelle fu quasi elettrico. La leggera barba sul viso del ragazzo le solleticava i polpastrelli, ma allo stesso modo le causò quasi un brivido dietro la schiena.
Quasi come se fosse sotto un effetto ipnotico, non sentì Tina aprire la porta e irrompere con prepotenza nella stanza, rovinando quella atmosfera quasi surreale che si era creata.
-Hai finito? Sono arrivati i genitori. Dobbiamo uscire…- disse con voce bassa la donna, che non si accorse che Sarah era molto vicina al letto del ragazzo e che addirittura lo stava toccando.
Sarah si girò di scatto, interrompendo immediatamente il delicato gesto con la mano che le stava facendo accarezzare il viso del giovane, e si tirò indietro allontanandosi. Prese velocemente le cose utilizzate per pulire la stanza, e dopo aver mandato un’ultima occhiata al ragazzo, si incamminò con Tina verso un’altra stanza.
Benchè fosse ancora scossa dall’inverosimile accadimento, la ragazza mise attenzione a cosa stesse accadendo nel corridoio e scorse abbastanza movimento: c’erano numerose persone dalla presenza importante che parlavano con il signore panciuto dell’accettazione, e tra  queste vi era anche una donna biondo castano che indossava una vistosa  pelliccia marrone, affiancata da una ragazza, bionda e longilinea, con un cappotto avano. Le due avrebbero dovuto essere madre e figlia  poiché presentavano numerosi tratti in comune: erano entrambe slanciate e con una forma fisica invidiabile ai più, con lunghi e setosi capelli che ricadevano sulle spalle, e due grandi occhi celesti.
Tina si accorse che Sarah stava guardando quelle donne, e sotto voce le disse –Quelle sono le donne della famiglia Trisher, i  proprietari della Trisher Bank. La madre è venuta a far visita al figlio- indicando poi con gli occhi la stanza da cui erano appena uscite.
-Quel ragazzo nella stanza?- chiese Sarah, quasi ammaliata dalle movenze eleganti della signora che si stava accingendo ad aprire la porta della camera.
 -Sì. E’ qui da poco più di due settimane. Questa sarà la quinta volta che vengono a fargli visita…- continuò Tina con un velo di stizza nella voce, ma volenterosa di raccontare a qualcuno quella storia.
-Solo?- fece sorpresa Sarah. Era quasi sconvolta.
-Già.  Se io avessi un figlio in coma da due settimane, passerei qui notte e giorno…-continuò a dire la donna, esternando i suoi pensieri -Pensano solo ai soldi e all’immagine che danno della loro famiglia, per come la penso io- aggiunse camminando svelta e guardandosi attorno alla ricerca di orecchie indiscrete.
Sarah seguì Tina veloce, ed insieme entrarono in un’altra stanza, questa volta priva di pazienti, sembrava più lo studio di un medico.
-Cosa gli è capitato?- chiese poi, mentre puliva la superficie di un tavolo.
-Incidente d’auto. Il rosso era appena scattato e non si è fermato- rispose Tina intenta a sbattere le candide tendine di cotone e ad aprirle, facendo entrare finalmente un po’ di luce.
-Ha subito un brutto trauma cranico e i medici stanno aspettando che l’ematoma interno si riassorba prima di poterlo risvegliare. Lo tengono costantemente sotto anestesia- continuò.
-Non hai sentito niente al telegiornale?- chiese quasi sorpresa.
-Mmm…no…- rispose dubbiosa Sarah, sentendosi quasi in difetto per non aver saputo nulla di quella storia.
Quando finirono uscirono fuori e fecero la stessa cosa per ogni stanza.
Ogni volta che Sarah percorreva il corridoio per passare da una camera all’altra, guardava sempre in corrispondenza della stanza di quel ragazzo, quasi sperando che ricevesse altre visite oltre a quelle dei suoi parenti. Per come la vedeva lei, non era affatto normale e giusto che un ragazzo, forse della sua stessa età, si trovasse in quelle critiche condizioni, ma soprattutto che fosse quasi abbandonato, solo come un cane, in quella fredda e asettica stanza d’ospedale.
Non sapeva bene il perché, ma credeva che lui andasse trattato meglio di così. Chiunque andava trattato meglio di così.
Dopo aver passato il resto del suo tempo all’ospedale a mettere a posto i prodotti di pulizia e ad ordinare qualche scaffale dell’accettazione della terapia intensiva, si diresse a casa. Mangiò uno snack velocemente e poi scappò a lavoro come sempre.
Quando le porte del supermercato si aprirono e le sue colleghe la salutarono, pregò che anche quel giorno passasse in fretta. Non vedeva l’ora di guardare la televisione buttata sul suo divanetto di seconda mano o di sentirsi via webcam con sua sorella.
Quasi inconsciamente si sedette al suo posto, indossando il grembiulino arancione che secondo il datore di lavoro attirava più gente e quasi come fosse un robot, iniziò a battere alla cassa i cibi e gli oggetti che i clienti le porgevano.
La giornata passò normalmente anche se ad intervalli alterni, non riusciva a non pensare a quel ragazzo nella terapia intensiva e alle cose che Tina le aveva detto.
Alle otto con grande gioia terminò le sue ore lavorative giornaliere e ritornò a casa.
La sensazione di sollievo che provò alla schiena nel momento in cui si lasciò scivolare sul divano era indescrivibile e quasi le servì da tocca sana.
Svegliarsi il mattino dopo fu molto semplice e la giornata ricominciò come sempre: la sua tazza di caffè con latte, i cereali al miele mangiati nella metropolitana sotto gli occhi di tutti, la corsa alla fermata del pullman e poi la fila davanti l’ascensore dell’ospedale.
Quella mattina aveva fatto tutto come al solito, però con un piccolo cambiamento: si era fermata, durante il tragitto tra la fermata del pullman e l’ospedale, ad un chiosco di fiori ambulante.
-Io le consiglio le orchidee- le aveva detto il venditore –Sono molto belle e hanno bisogno di poca acqua. Altrimenti ci sono le piantine grasse. Pungono ma sono simpatiche in una stanza!-
Sarah rise di fronte al tono gioviale dell’uomo e fece la sua scelta.
-Le orchidee vanno bene!- disse, porgendo una banconota da dieci dollari e prendendosi il vaso con il fiore –Buona giornata e buon lavoro!- aggiunse allontanandosi.
L’attesa nell’ascensore per scendere nel reparto di terapia intensiva non fu delle migliori, infatti si trovava in un angolo, in una posizione scomodissima, accompagnata nell’abitacolo da altre quattro persone.
Quando le portelle scorrevoli si aprirono e l’aria fredda le riempì i polmoni, si precipitò fuori dall’ascensore, diretta verso l’accettazione.
-Ciao Nell! Ciao Tuck!- fece la giovane, riconoscendo quella mattina gli uomini dietro il bancone. Solitamente i due si trovavano all’accettazione di pediatria, ma per qualche strana ragione sconosciuta alla ragazza, quella mattina erano lì.
Gli uomini ricambiarono sorridenti e furono molto incuriositi di vedere la mora dirigersi verso il corridoio con in mano un vaso con un fiore.
Prima di entrare nella stanza sei, Sarah intravide dagli oscuri metallici se dentro ci fosse qualcuno, e scorgendo solo il letto con il ragazzo, aprì la porta e si sistemò all’interno.
Non sapeva con esattezza perché lo stava facendo, a dire il vero non sapeva nemmeno con esattezza se quella mattina avrebbe dovuto passare nuovamente il suo tempo in quel reparto, ma per una volta non se ne curò.
-Ciao- fece debolmente entrando, conscia del fatto che il giovane steso sul letto e ancora intubato non avrebbe potuto sentirla.
Un odore metallico di alcool e sterilizzanti le riempì le narici e per un attimo le fece distogliere l’attenzione dal letto bianco al centro della stanza.  Andò ad aprire le tende della finestra a nastro, e dopo aver lasciato l’orchidea sul tavolino, iniziò ad armeggiare con il climatizzatore per far cambiare aria.
Dopo aver regolarizzato la temperatura, si diresse verso il tavolino e prese il vaso con il fiore. Si guardò attorno e cercò un posto ottimale per poterla sistemare.
-Dove ti metto?- disse tra sé rivolta alla pianta, quasi aspettandosi una risposta. Il comodino accanto al ragazzo sembrava il posto migliore, ma aveva paura che eventuali tracce di polline potessero in qualche modo dare fastidio, così decise di posizionarla su una mensola vicino la porta d’uscita. Dopo averla poggiata, guardò soddisfatta il suo regalino, contenta dell’aspetto immediatamente più accogliente che quella stanza aveva assunto. Un po’ di colore e di vita le sembravano la cosa migliore.
-Ecco fatto- esclamò, questa volta rivolta proprio al ragazzo –Insomma, non è un gran che…però è carina. Spero tu apprezzi- concluse, immaginandosi quasi una risposta.
Si girò verso di lui e con immensa tristezza, notò che non aveva cambiato posizione dal giorno precedente. Si diede quasi della sciocca per quel pensiero, sapeva bene che non avrebbe potuto muoversi durante la notte, ma una parte di lei sperava con tutta se stessa che ci fosse stato un minimo movimento durante il tempo trascorso dalla sua ultima visita.
Prima di dedicarsi a lui, Sarah sbrigò le stesse faccende che Tina aveva fatto il giorno prima: pulì i tavoli, il bagno e aggiustò le lenzuola. L’infermiera ci teneva particolarmente che quella stanza brillasse e secondo lei la ragione di tanta premura nei confronti della pulizia, era dovuta al fatto che se fosse andato qualcosa storto, almeno la famiglia Trisher non avrebbe avuto nulla da ridire sulle condizioni dell’ospedale.
Finì velocemente il da farsi e poi scrutò silenziosa il ragazzo. Non conosceva niente di lui, nemmeno il nome, eppure provava un’immensa empatia nei suoi confronti. Probabilmente lui non era il tipo di ragazzo che lei si immaginava, ma non le importava, voleva solo fargli compagnia e non lasciarlo perennemente solo in quella stanza. Ancora una volta pensò alle parole di Tina riguardo la sua famiglia: non riusciva a capacitarsi del fatto che nessuno fosse con lui per tutto il giorno e cercò di non pensarci.
Il sole illuminava debolmente la stanza mettendo in risalto i colori del ragazzo. Naturalmente ogni suo respiro era accompagnato dal ticchettio dell’elettrocardiogramma  e il suo petto si alzava e si abbassava piano, a ritmo del suono.
Era un bellissimo ragazzo, ed era quella la cosa che a Sarah sconvolgeva maggiormente. Non credeva sicuramente che qualcuno di meno bello si dovesse trovare in quelle condizioni al posto suo, ma il fatto che il giovane fosse di aspetto piacevole e di buona famiglia, le fece risultare ancora più tragica la sua sorte.
Vide la cartella clinica del paziente sul comodino accanto al letto, e curiosa di sapere il nome del ragazzo la aprì, iniziandola a leggere.
-Allora…- iniziò a dire cercando le generalità. –Tu sei…- aggiunse leggendo tra le righe
–Trisher…Michael Trisher-
Sorrise dopo aver letto il suo nome: finalmente poteva identificarlo.
-Sesso: maschile- continuò –Nato a New York il 9 marzo del 1988-
Fece velocemente due calcoli e arrivò alla conclusione che il ragazzo aveva venticinque anni e rimase sorpresa da quel dettaglio, sembrava più piccolo.
Il resto della cartella clinica dava informazioni riguardo il trauma alla testa, lo stato comatoso in cui si trovava e tante altre cose che Sarah non volle leggere: era estremamente sensibile riguardo le sue condizioni, e non voleva indagare maggiormente.
-Allora…- fece poi, adagiando il plico sul comodino, e sedendosi sulla poltroncina vicino il letto.
Era imbarazzata per quello che stava facendo, ma allo stesso tempo era convinta di fare una cosa carina e buona. Aveva visto o letto da qualche parte che molte volte il suono della voce umana poteva essere rilassante e benefico così come la musica, e così decise di rendere meno apatica quella visita.
-Ciao Michael- disse sorridendo.
Sicuramente avere di fronte un ragazzo steso, immobile e intubato , che non interagiva per niente, non era molto rassicurante, ma provò lo stesso a non farlo risultare tale.
–Io sono Sarah, Sarah Lewis- continuò, ritenendo opportuno presentarsi. –Anche io sono nata qui a New York, il 6 maggio del 1990-
 Continuare a non avere una risposta e sentire solo il rumore dell’elettrocardiogramma la faceva sentire strana, probabilmente stava facendo una cosa stupida, soprattutto date le condizioni di Michael, ma le sembrava l’unica cosa da fare per poter interagire con lui.
-Mi spiace che tu sia qui…- aggiunse con voce triste, seguendo con gli occhi il profilo del ragazzo e cercando di immaginarselo da sveglio.
Michael probabilmente era uno di quei tipi di ragazzi che non avrebbe mai guardato una come Sarah: lei era di ceto sociale medio basso, non andava al College ed aveva una vita mediamente normale; Michael non l’avrebbe mai notata anche a causa del suo modo imbarazzato di porsi nelle situazioni e soprattutto per il suo aspetto fisico.
Uno come lui, palesemente bello anche in quelle condizioni, ambiva sicuramente a qualcosa di meglio: Sarah non era una brutta ragazza, anzi, aveva un viso bello, armonico e con dei lineamenti delicati e quasi esotici; era di carnagione scura, quasi ambrata, soprattutto se prendeva un po’ di sole; aveva dei lunghissimi capelli ricci e neri che sotto la luce assumevano delle sfumature rossastre e moganate, ma purtroppo, secondo lei non aveva una buona forma fisica. Non era magra, ma leggermente in carne, e la continua attività agonistica che praticava quando era più piccola, aveva contribuito a renderla tonica e atletica, rendendo comunque piacevoli quei chili in più che aveva.
Benchè lei non avesse nulla da invidiare alle altre ragazze o alle sue amiche, quello era sempre stato un problema, soprattutto con i ragazzi, che avevano sempre scelto qualcun'altra al posto suo, e benché questo problema la rendesse particolarmente amareggiata e sensibile,  in presenza di altri aveva imparato a mascherare bene il suo insensato disagio.
Il ragazzo che aveva di fronte dunque, per come la vedeva lei, avrebbe sicuramente messo più facilmente gli occhi su qualche bionda slanciata e magra, ovviamente straricca, e magari con il futuro spianato.
Allontanò quei pensieri e si concentrò solo su di lui: in fondo non lo conosceva, e almeno fino a quando era in quello stato, lei poteva immaginarselo come voleva, magari, oltre che bello, anche bravo e premuroso.
Guardò ancora il viso di Michael, cercando di immaginarsi il colore dei suoi occhi: sicuramente aveva gli occhi blu, proprio come quelli delle donne della sua famiglia.
Sarah era una ragazza abituata ad ascoltare sempre i problemi degli altri, tutti i suoi amici la prendevano come la loro confidente  personale, e in fondo le stava bene. Non era una di molte parole e a cui piaceva esternare le proprie emozioni e i propri sentimenti, e solitamente si sfogava ascoltando musica o dipingendo.
Era sola in quella stanza, con un ragazzo in coma che non poteva sentirla e aveva un’immensa voglia di entrare nella sua vita, anche in quelle circostanze.
Da quanto tempo non parlava davvero con una persona? Da quanto tempo non parlava e basta senza stare ad ascoltare le paranoie e i problemi degli altri?
-Ieri ho visto tua madre e tua sorella quando sono venute a trovarti- fece -Sono molto belle, come te- commentò ripensando alle due bionde e permettendosi di essere sincera.
-Probabilmente stare su quel letto e avere quelle cose perennemente in gola, non deve essere molto bello– continuò, riferendosi ai tubicini di plastica nelle narici di Michael –Ma non devi arrenderti- disse con tutta la forza che aveva e che poteva trasmettergli attraverso la voce –Sono sicura del fatto che tu sia un ragazzo forte e coraggioso, e ti riprenderai. Non importa quanto tempo servirà-
Le sue labbra si incurvarono in un leggero sorriso e senza pensarci molto, protese una mano e sfiorò delicatamente quella di Michael.

***
Ecco a voi il primo capitolo della mia prima storia originale.
Mi sono gettata a capofitto in questa nuova avventura e la foga di dare un volto e una storia a questi personaggi è stata così forte, che ho già scritto i primi sei capitoli.
Spero che questa prima parte vi abbia incuriosito e vi sproni per la lettura del secondo capitolo, che sarà pubblicato Venerdì.
Ho cercato di caratterizzare in parte i protagonisti già da queste prime righe: Sarah cerca disperatamente di diventare un'artista o comunque di fare della sua passione un lavoro; mentre Michael purtroppo vive in una realtà che gli sta un po' stretta.
Il personaggio di Michael sarà centrale e verrà trattato in maniera diversa dal solito date le condizioni in cui si trova, ma avremo modo di interagire con lui soprattutto nella prima parte della storia e a partire dal prossimo capitolo scoprirete perchè.
Questa storia mi sta particolarmente a cuore, soprattutto perchè fino ad ora ho sempre scritto in fandom di telefilm e artisti musicali. Ci tengo particolarmente nella sua riuscita e soprattutto tengo particolarmente a sapere cosa ne pensiate a riguardo, quindi fatemi sapere subito che ne pensate, giusto per non partire scoraggiata fin dall'inizio xD

Questo primo capitolo è presente anche su WattPad a questo link:

https://www.wattpad.com/story/50810788-anestesia
Se qualcuno di voi è iscritto possiamo Followarci (?) è la prima volta che lo uso e non so bene come si faccia xD

Se volete, potete anche seguire tutti gli aggiornamenti o piccole anteprime dalla mia pagina Facebook:
https://www.facebook.com/Black-Mariah-Efp-105133312907556/timeline/
In cui pubblico foto, i giorni degli aggiornamenti oppure piccole parti di capitoli.
Grazie per la lettura,
correte a lasciare una recensione!
Un bacio!
Mariah

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


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Le strade di New York quella mattina erano affollate come sempre: piene di gente che attraversava con centinaia di taxi fermati vicino ai marciapiedi, e con tanti altri passanti che procedevano con valigette in mano, caffè e brioche o documenti per il lavoro.
Michael quella mattina stava facendo il suo solito percorso.  Era uscito di casa alle sei e mezzo per fare jogging: era un’abitudine ormai a cui  non riusciva più a rinunciare, non solo per tenersi in forma, ma anche perché gli allontanava un po’ di pensieri dalla testa. Adorava il profumo dell’alba, e adorava vedere New York illuminata dai flebili raggi del primo sole mattutino. I profumi delle panetterie impregnavano l’aria e la sua città, anche se solo per qualche ora, sembrava quasi calma e rilassata.
Dopo aver corso e aver attraversato il suo solito tragitto, era tornato a casa, si era fatto una doccia e poi era uscito di nuovo. Nella tarda mattinata era stato invitato da un suo amico di College ad un aperitivo, a cui aveva deciso di prendere parte volentieri. Non vedeva Sam da più di sei mesi e gli avrebbe fatto piacere incontrarlo e intrattenersi con lui.
Erano appena le otto e mezza del mattino, ma il suo stomaco, reduce dalla fatica per la corsa, aveva già iniziato a brontolare, e perciò decise di dirigersi al suo solito bar di fiducia. Era un piccolo caffè letterario che era solito frequentare fin dai tempi del liceo, gestito da una coppia molto simpatica e dal loro figlio più grande, Jonathan.
Quando era uno studente Michael passava molto tempo lì, immerso dai libri e dal buonissimo aroma di caffè e circondato da gente semplice e garbata. Ci andava con i suoi amici tra la pausa tra una lezione e l’altra, oppure ci andava da solo semplicemente per rilassarsi e per passare qualche attimo di serenità, lontano dal ritmo frenetico della sua vita.
Il locale era arredato in maniera molto semplice, con dei piccoli tavolini tondi proprio sotto i grandi finestroni che davano sulla strada principale e con le pareti piene di librerie e di quadri. Tutto sembrava appartenere quasi ad un’altra epoca e il ragazzo adorava passare del tempo lì dentro.
Spinse con forza la porta d’ingresso ed entrò salutando e rivolgendo un grande sorriso alla mamma di Jonathan.
-Salve signora Gale!- esclamò, accompagnando il saluto con un gesto della mano.
La piccola signora dietro la cassa salutò il ragazzo affettuosamente e poi ritornò ai suoi conti.
Michael si diresse verso il bancone dove trovò un indaffarato Jonathan, accompagnato da altri due camerieri che stavano provvedendo a soddisfare i golosi desideri dei clienti.
Sul bancone erano esposti i più buoni e coloratissimi dolci di New York e qualsiasi persona che entrasse lì la prima volta, aveva davvero l’imbarazzo della scelta, e forse anche una grandissima indecisione su cosa mangiare per colazione.
-Jonathan, io vorrei un cappuccino con tanta schiuma- iniziò a dire rivolto al ragazzo.
-Poi- aggiunse titubante, sporgendosi sul bancone dei dolci e iniziando a spulciare con la vista tutti i deliziosi pasticcini esposti –Mmm… un cornetto con la crema al limone. Un cornetto molto grande con la crema al limone…-ripetè soddisfatto della sua scelta.
-Cacao sulla schiuma?- gli chiese Jonathan, ricordandosi le abitudini del ragazzo. 
-Cacao sulla schiuma…- annuì Michael sorridendo, sempre sorpreso del fatto che quel ragazzo riuscisse a ricordarsi certi dettagli. Jonathan serviva più di centinaia di persone ogni mattina, doveva essere difficile riuscire a tenere tutto a mente.  
-Beh, non è difficile dimenticarlo dato che lo prendi quasi ogni mattina!- esclamò il ragazzo con la divisa bordò, interpretando lo sguardo curioso del giovane di fronte.
Michael fece una risata–Hai ragione!- disse –Ah, per favore- aggiunse –Il cornetto me lo puoi riscaldare?-
Il cameriere gli sorrise e gli annuì con la testa.
-Se vuoi puoi metterti ad uno di quei tavolini- gli fece anche, indicando i tavoli con le poltroncine sotto la finestra –Arrivo subito-
Michael lo ringraziò e stava per andarsi a sedere, quando una voce accanto a lui lo distrasse.
-Jonathan, per favore mi fai un caffè con il latte?- chiese una ragazza al suo fianco, poggiando la borsa sul bancone e mettendosi a sedere su di uno sgabello.
-Certo tesoro…- rispose il ragazzo, intento a preparare le ordinazioni di Michael. 
-Sei passata presto stamattina…- le fece Jonathan guardando l’orologio sul polso. Solitamente la ragazza passava sempre per le nove, nove e mezza.
-Già, sono piena di impegni. Devo passare da una galleria d’arte a far vedere alcune mie fotografie, e poi devo andare all’ospedale per il volontariato- rispose la ragazza.
Michael fu incuriosito dalla sua voce e mentre aspettava la sua ordinazione, anche se Jonathan gli aveva detto di poter prendere già posto, rimase lì a sentire.
Aveva un voce molto bella e limpida, con un timbro molto chiaro e caldo. Era una di quelle voci rassicuranti, quelle adatte per raccontare le storie ai bambini.
Con molta discrezione, dopo essere stato incuriosito dalla sua voce, si girò  lentamente a guardarla e sorrise leggermente, incuriosito dal suo discorso.
Aveva i capelli scuri, lunghi, castano scuro e ondulati. Sembravano una cascata di seta scura con riflessi rossi. 
Il giovane rimase a scrutarla per qualche momento. Aveva un nasino alla francese che sembrava disegnato, delicato, con la punta tonda e leggermente all’insù. Le sue labbra erano carnose e rosee, gli zigomi alti e tondi.
Jonathan però poi gli fece cenno con il vassoio e lui si alzò, dirigendosi verso un tavolino.
Durante il breve tragitto, Michael notò qualcosa di nuovo nel locale: un’intera parete era stata ricoperta di quadri mai visti prima, ricchi di colore e realizzati con tante tecniche diverse.
-Belli quei quadri, sono nuovi?- chiese.
-Sì, sì. Gli ha fatti tutti quella ragazza lì al bancone- rispose Jonathan indicando la ragazza che aveva attirato la sua attenzione.
Michael le rivolse un’occhiata e vide che la giovane in questione stava prendendo posto proprio ad un tavolino accanto a lui.
Si sedette accanto alla finestra, rivolto verso di lei. Trovava estremamente curiosa quella situazione, ma anche quella ragazza.
Iniziò ad assaporare con soddisfazione il suo cornetto e la sensazione acidula della crema calda al limone sulla sua lingua, lo fece quasi sospirare. Adorava il limone nei dolci e adorava i cornetti: avrebbe potuto mangiarne a quintali senza mai sentirsi sazio.
Diede un sorso al suo cappuccino con il cacao e nel frattempo guardava quella ragazza di fronte. Aveva preso solo un cappuccino, senza nulla da mangiare, e in quel preciso momento stava sfogliando un quotidiano, segnandosi le pagine di interresse.
Guardandola, al ragazzo venne un’idea: era sempre stato bravo a flirtare e il suo bell’aspetto, di cui era consapevole, l’aveva sicuramente aiutato. 
Dopo aver finito con molto rammarico il suo cornetto, assaporato fino all’ultimo morso, prese la tazza ancora con il cappuccino e si diresse alla cassa.
Pagò alla signora Gale, lasciando anche un po’ di mancia e poi si diresse verso i quadri.
Visti da vicino erano molto belli, soprattutto perché si riuscivano a percepire e a scorgere i vari elementi usati. Michael riusciva a vedere la mescolanza dei colori che davano poi la sfumatura netta, riusciva a vedere i punti in cui i colori erano più granulosi e gli altri in cui erano maggiormente diluiti.
Tra tutto quell’arcobaleno di colori e di immagini astratte, un quadro su tutti attirò la sua attenzione. Era più piccolo degli altri, ma sembrava avere un impatto emotivo e artistico molto più forte.
Era stato realizzato con una tecnica strana, il colore sembrava essere stato steso un po’ con il pennello e un po’ con una spugna, in modo tale da ottenere un disegno irregolare e astratto. Il colore principale utilizzato era il nero, ma quel quadro era stato reso luminoso dall’utilizzo di sprazzi dorati, che sembravano quasi dei raggi di sole che penetravano nelle tenebre.
-Se proprio ti piace, potresti comprarlo-
Una voce alle sue spalle lo distrasse, ma lo fece anche sorridere. Il suo piano aveva funzionato.
Diede un sorso al suo cappuccino e deglutì.
-Chi dice che mi piace? Sto solo guardando- rispose sorridendo, girandosi lentamente di lato, riconoscendo il profilo della ragazza.
L’espressione della mora accanto a sé cambiò del tutto nel momento in cui lui si fermò a guardarla, sembrava sorpresa di parlare con un ragazzo come quello e sembrava essere molto attratta dai suoi occhi.
Michael sapeva che faceva quell’effetto alle ragazze e divertito continuò la conversazione.
-Beh, stai guardando questi quadri sorseggiando il tuo cappuccino in piedi…O ti piacciono,  o sei un critico d’arte che sta raccogliendo le sue idee sulla brutale recensione che farà questo mese sull’Art Press- replicò la mora, riprendendosi da quell’iniziale momento di sbandamento che Michael le aveva provocato.
Il giovane fece una risata, apprezzando il fatto che la ragazza gli aveva risposto a modo.
-Mmm…può essere- replicò Michael facendole l’occhiolino.
-Allora...- disse poi la ragazza, questa volta con fare meno sicuro e un po’ più imbarazzato.
Michael terminò di bere il suo cappuccino, appoggiò la tazza su un mobiletto di fronte e curioso di sapere cosa aveva da dirgli, si girò verso di lei.
-Critiche d’arte a parte. Credo tu abbia fatto un errore, mi hai pagato il caffè- concluse imbarazzata, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio e iniziando a frugare nella borsa alla ricerca del  portafogli.
-Nessun errore- fece Michael sorridendole.
Protese una mano e con delicatezza le bloccò un polso. Non voleva assolutamente farsi ripagare, anzi, l’aveva fatto di proposito.
Nel momento in cui le loro mani si sfiorarono, il ragazzo sentì quasi una scossa partirgli da dietro la schiena e si bloccò improvvisamente. Per un attimo fu come prendere una scossa, ma una scossa piacevole, non dolorosa.
C’era qualcosa in quella ragazza che lo incuriosiva e che lo faceva sentire a suo agio, ma non volle sbilanciarsi troppo. Solitamente l’idea preliminare che si faceva sulle persone appena conosciute era giusta, ma cercò di non farsi influenzare troppo.
La mora rimase ferma, piuttosto imbarazzata da quel contatto inaspettato, e benché le sue guance avevano preso fuoco, cercò di mascherare le sue emozioni.
Michael la scrutò più attentamente: i suoi occhi erano luminosi e grandi, il suo viso tondo ed era di altezza media.
-Non ti basterà offrirmi solo un caffè se vuoi quel quadro- fece la ragazza accennando un sorriso, cercando di mascherare agli occhi esperti di Michael il suo disagio.
Il ragazzo rise e colse la palla al balzo.
-Posso offrirtene quanti ne vuoi ogni mattina. Se ti va bene, anche qualche pranzo- disse facendole l’occhiolino.
La giovane rimase perplessa non capendo perché quel bellissimo ragazzo le avesse rivolto certe attenzioni. In fondo non aveva fatto nulla per potersi far notare e gli aveva rivolto appena due parole.
Michael la guardò per qualche secondo: quella doveva essere una ragazza molto vergognosa secondo lui, ma non se ne curò, anzi, gli era sempre piaciuto fare la parte del ragazzo sicuro di sé, soprattutto se chi gli stava di fronte non si imponeva su di lui con prepotenza.
-Allora, che tecnica hai usato?- chiese poi per rompere quell’atmosfera di imbarazzo che si era creata.
La giovane scosse un po’ la testa, quasi risvegliandosi dal torpore che gli occhi blu di Michael le avevano causato.
-Ti intendi di Arte?- replicò lei, cercando di capire se avrebbe potuto spiegargli in maniera professionale la tecnica usata.
-Mmm…qualcosa del genere- rispose Michael sorridendo e continuandola a guardare
–Mi piace principalmente la Storia…ma anche la Storia dell’Arte- rispose curioso.
-Non l’avrei mai detto- fece la ragazza abbozzando un sorriso e girandosi a guardare la sua opera.
-E perché?- fece Michael curioso.
-Beh- iniziò a dire lei, cercando di far risultare le sue parole il meno equivoche possibile
–Sembri più un modello…che uno studioso- concluse imbarazzata.
A Michael scappò una risata –E chi ti dice che non posso essere entrambi? Mi stai sottovalutando!-
Le guance della mora diventarono rosse, non era stata una bella uscita.
Per cercare di non dare a vedere il suo continuo e palese imbarazzo, protese una mano e con le dita iniziò a seguire i segni della pittura sulla tela.
-Questi gli ho fatti con dei pennelli piatti- iniziò a dire con voce quasi tremante –Mentre questi gli ho ottenuti tamponando la tela con una spugna di corallo- continuò indicando le parti nere –Le parti dorate invece sono fatte con la foglia d’oro applicata sulla tela con un collante naturale- e poi si girò, rivolgendo un sorriso a Michael.
-E’ bellissimo- fece lui –C’è qualcosa di angosciante ma anche qualcosa di terribilmente speranzoso in questo disegno. E’ come se ci fosse la luce in fondo al tunnel, non so come spiegarlo- disse con profonda ammirazione.
-Già- commentò la ragazza –qualcosa del genere-
Michael si girò a guardarla nuovamente e le sorrise debolmente. Sicuramente dietro quella ragazza gentile e di aspetto così grazioso ci doveva essere qualcosa in più.
-Quindi sei anche una fotografa?- gli chiese poi, per cambiare argomento.
-Oddio, in realtà sono una misera cassiera di un supermarket sotto casa- gli rispose la ragazza un po’ imbarazzata per quel suo umile impiego –La fotografia e la pittura sono solo degli hobby a tempo perso-
-Non sono molto d’accordo- commentò Michael sincero –Questi quadri sono molto belli, e scommetto che anche le tue fotografie non sono da meno- aggiunse –E poi qualsiasi sia il tuo  tipo di lavoro, non devi mai sminuirlo: il lavoro nobilita l’uomo- concluse sincero e anche con una nota di rimprovero. Se una persona era onesta e svolgeva bene i propri doveri, non aveva proprio nulla di cui vergognarsi e lui lo sapeva bene, soprattutto perché la sua famiglia non sembrava ragionare in questo modo.
La ragazza lo guardò per qualche secondo, cercando di interpretare l’espressione assunta dal suo volto: era la prima volta che qualcuno gli diceva quelle cose e soprattutto, era la prima volta che un ragazzo, che sembrava essere uscito da Abercrombie, sia per l’aspetto che per gli abiti, le rivolgeva determinate parole.
Seguì qualche secondo di silenzio e improvvisamente la ragazza parlò.
-Grazie per la colazione…E anche per la chiacchierata- disse, mettendosi la borsa a tracolla e iniziando ad indossare il soprabito.
-Figurati- le fece Michael con una nota di tristezza sia nella voce che nello sguardo.
-Sarei rimasta maggiormente, ma purtroppo devo andare- fece la ragazza scusandosi sinceramente. Non le dispiaceva stare lì con quel ragazzo, in fondo era stato gentile e soprattutto non era stato per nulla inopportuno.
-Non preoccuparti- replicò il ragazzo sorridendo –Mi trovi qui ogni mattina!- aggiunse sornione, giusto per farle capire che gli avrebbe fatto piacere rincontrala.
La ragazza gli sorrise e lui quasi rimase di stucco. Solitamente le ragazze non gli facevano mai un grande effetto, forse perché era abituato a frequentarne di molto appariscenti, sicure del proprio aspetto e che non si perdevano in molti complimenti né in tanti convenevoli, ma la mora di fronte a lui era timida, molto gentile e dolce e aveva uno dei sorrisi più belli che avesse mai visto.
-Ehi aspetta!- fece lui dimenticandosi il dettaglio più importante.
Di nuovo per fermarla le prese un polso, ma questa volta con meno imbarazzo. Fu un gesto deciso e netto, voluto fino in fondo.
Il nuovo contatto con la pelle della ragazza lo fece sussultare, ma cercò di controllare l’aumento del batticuore con respiri lunghi e profondi.
-Non mi hai detto ancora come ti chiami!- esclamò sorridendole. –Io sono Michael Trisher-
La ragazza gli sorrise timidamente e con lo sguardo si fermò qualche secondo sulla mano del ragazzo ancora attorcigliata al suo polso.
Michael lasciò la presa e portò la mano in avanti, presentandosi alla vecchia maniera.
-Sarah- rispose lei, protendendo la sua e stringendogliela con sicurezza –Sarah Lewis-
 
 
 
17 ottobre 2013
 
Sarah rimase a guardare Michael disteso sul letto ancora per qualche minuto. Quella situazione le risultava frustrante da sopportare e soffriva nel vedere quel ragazzo in quelle condizioni. Quella stanza d’ospedale diventava minuto per minuto sempre più fredda, priva di emozioni e di qualsiasi momento felice.
Aveva fatto una cosa strana: aveva parlato per più di mezz’ora con un ragazzo in coma, raccontandogli della sua vita, del suo lavoro al supermarket, delle sue passioni e dei suoi hobby. Gli aveva raccontato del concorso fotografico a cui aveva preso parte e di cui stava aspettando quasi senza speranza i risultati, e gli aveva parlato del favore che un suo amico le aveva fatto, esponendo alcuni dei suoi quadri nel suo bar, cercando di dargli maggiore visibilità.
Dopo quel monologo si sentiva strana, si sentiva come se avesse scritto i suoi pensieri sulla pagine di un diario che però non si poteva leggere.
Michael sicuramente non aveva sentito una sola parola di tutto ciò che Sarah gli aveva detto, ma a lei piaceva pensare che non era così. Si chiedeva se lui si potesse accorgere delle persone che c’erano in quella stanza, se potesse sentire le voci dei suoi visitatori o il tocco sulla sua pelle.
Il petto di Michael si alzava e si abbassava dolcemente, quasi come se fosse un bambino dormiente che non voleva essere svegliato per nessuna ragione al mondo.
La ragazza si alzò, avvicinandosi maggiormente al letto e protendendosi a guardare il viso di Michael. Avrebbe tanto voluto vedere di che colore avesse gli occhi e quanta vitalità avrebbero potuto trasmettere.
Trovando il giovane immobile di fronte  a sé, con gli occhi chiusi e con due tubicini infilati nel naso  però, quasi quei pensieri positivi svanirono e fecero spazio a tristezza e rassegnazione.
-Ci vediamo Michael- disse a bassa voce Sarah –Cercherò di passare il prima possibile- aggiunse, girandosi e uscendo da quella stanza.
 
Sam uscì da lavoro alle cinque in punto e dopo aver mangiato uno snack veloce preso dal distributore degli uffici assicurativi, salì in macchina.
Il tragitto dal palazzo della compagnia in cui lavorava al New York General fu come sempre molto lungo e caotico, pieno di traffico e di auto che uscivano da tutte le parti.
Con il suo Suv scese nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale e lasciò lì la vettura, dirigendosi poi a piedi all’ingresso principale della struttura.
Benché l’orario di visite iniziasse alle diciotto, decise di arrivare lì con qualche minuto di anticipo salvo qualche impedimento, e nel momento in cui le porte scorrevoli dell’ospedale si aprirono, catapultandolo nella grande e confusionaria hall, si trovò davanti un via vai di gente continuo e frenetico.
Si diresse verso l’ufficio informazioni e chiese aiuto a qualche inserviente per poter trovare il reparto di terapia intensiva. Una signora molto indaffarata e anche poco gentile nei modi, lo accompagnò controvoglia ai grandi ascensori che permettevano il raggiungimento di ogni piano e reparto di quell’ospedale.
-Spinga “meno uno”- gli fece l’inserviente prima di sparire tra la gente.
Sam la ringraziò con una faccia di disappunto, ma alla fine decise di non curarsi delle maniere indisponenti della donna, in fondo non era andato lì per farsi trattare bene da lei, e senza pensarci ulteriormente pigiò il bottone e scese nella terapia intensiva.
Quel reparto era meno confusionario del precedente, e senza perdere troppo tempo si diresse verso l’accettazione e chiese della stanza in cui si trovava il suo amico.
-Sono qui per Michael Trisher- disse il ragazzo al signore panciuto dietro la scrivania.
-E’ nella stanza sei, in fondo a destra- disse l’uomo, indicando il lungo corridoio di fronte.
Sam lo ringraziò e si diresse a grandi passi verso la stanza.
Era contento ma allo stesso tempo spaventato di andare a trovare il suo vecchio amico. Era da parecchio che non si vedevano a causa dei suoi impegni lavorativi a Seattle e la notizia dell’incidente di Michael l’aveva sconvolto non poco.
Ai tempi dell’università erano inseparabili, quasi come due fratelli,  e avevano imparato entrambi ad essere amici e confidenti, ma anche sinceri se qualche comportamento non era ritenuto molto nobile.
La cosa che gli aveva fatto legare maggiormente era stata sicuramente aver avuto due famiglie molto simili, con simili problemi.
Entrambi erano laureati in Economia a Princeton, nello stesso corso e nello stesso anno, ma entrambi i ragazzi avrebbero scelto qualcos’altro per il loro futuro.
Nel momento in cui Sam aprì la porta della stanza e si trovò di fronte Michael in uno stato che non si sarebbe mai immaginato, quasi si sentì male. Una morsa allo stomaco così forte lo colpì, che quasi si stava piegando in due dal dolore.
Aveva immaginato parecchie volte l’amico in quel periodo, e si era immaginato anche lo stato in cui l’avrebbe potuto trovare, ma l’immaginare e il vederlo davvero erano due cose diverse.
Sam chiuse per un attimo gli occhi, cercando di esorcizzare la vista del suo amico in quelle condizioni. Per qualche secondo sperò quasi che nel momento in cui le sue palpebre si fossero riaperte, avrebbe potuto trovare Michael seduto sul letto, sorridente, con magari in mano uno dei suoi soliti saggi storici che non piacevano mai a nessuno.
La realtà però era molto lontana dal suo desiderio e dalla sua fantasia: Michael era di fronte a lui, immobile e intubato, con l’elettrocardiogramma accanto al letto che scandiva sonoramente i battiti del suo cuore.
Si diresse lentamente verso di lui, cercando di ritrovare in quel corpo, dei tratti che potessero ricordargli il bel viso dell’amico.
Anche lui ebbe l’impressione che il ragazzo stesse dormendo, e forse, proprio questa parvenza, lo rasserenò un pochino.
-Mi hai fatto prendere un bello spavento- disse guardando l’amico e appoggiandosi ai guanciali metallici laterali del letto –Saresti dovuto stare più attento, che diavolo avevi per la testa?- chiese retoricamente, cercando di dare una spiegazione a quell’incidente.
-Sicuramente qualche bella ragazza come di tuo solito- aggiunse sorridendo, cercando di sdrammatizzare più per se stesso che per Michael, che inerme giaceva di fronte.
-Mi immagino già tua madre mentre ti urla addosso! “Michael che cos’è questo camice da quattro soldi? L’hai comprato a Brooklyn per caso?”- esclamò il ragazzo, imitando la voce squillante della signora Trisher e trattenendo un’amara risata. Era orribile vedere il suo amico in quelle condizioni, soprattutto sapendo com’era in realtà: attivo e pieno di vita.
Si girò e si sedette sulla poltroncina di fronte a lui e iniziò a guardarsi attorno, analizzando quella stanza.
Notò su una mensola accanto alla porta un vaso con un’orchidea, e sorrise, pensando che quel fiore donasse un po’ di vita e di colore a quella camera bianca. Sicuramente era stata una volontà di Amanda Trisher portare quel vaso lì: si ricordava bene della passione per le orchidee che la madre del suo amico aveva, perciò fu quasi certo che fosse stata una sua richiesta.
 
 
Michael vide arrivare da lontano il suo amico: indossava un completo nero, abbinato ad una camicia bianca e a dei mocassini di pelle lucida, con in mano una ventiquattrore, regalo della sua laurea.
Sam gli sorrise e aumentando il passò, arrivò di fronte il ragazzo e l’abbracciò. Era da tanto tempo che non si vedevano, quasi da quando l’università  era finita. Il lavoro di Sam e i viaggi di Michael gli avevano tenuti divisi per tutto quel tempo, ma i due non avevano mai interrotto i rapporti, fortunatamente infatti erano circondati da strumenti super tecnologici e costosissimi che permettevano loro di chiamarsi anche sulla Luna.
-Ehi, ti trovo bene…e abbronzato!- esclamò Michael dando una pacca sulla spalla all’amico e facendolo sedere ad uno dei tavolini del Dorian, uno dei ristoranti più esclusivi dell’East Side.
Sam si fece una risata –In Europa sono andato al mare! Avresti dovuto esserci! C’erano tante fighe da paura!-
Anche Michael si sedette e rise. Su quel punto di vista non erano mai andati molto d’accordo: Sam era un bravo ragazzo, ma aveva il vizio di divertirsi un po’ troppo, in tutti i sensi, sia con lo svago che con le ragazze.
-E tu invece? Che mi racconti?- chiese poi l’amico.
-Mah, niente di che…Solita vita. Sto cercando ancora di far capire ai miei genitori che non voglio lavorare in banca come tutti i componenti della mia famiglia- rispose sarcastico Michael, iniziando a guardare il Menù portatogli da una cameriera.
Sam sembrò essere attratto prima dalle movenze della ragazza e poi da ciò che aveva detto l’amico, ma lo guardò comunque comprensivo.
Conosceva bene la situazione, e soprattutto sapeva bene quanto potesse essere frustante fare qualcosa per cui non si provava interesse: era stato così per la facoltà a Princeton, e lo era anche per il lavoro.
A differenza di Michael però, che sembrava essere troppo bonaccione ed educato per parlare chiaro e tondo con la sua famiglia, Sam aveva la faccia tosta di non pensarci e di continuare a spassarsela, ripagando i suoi genitori con la stessa moneta.
Michael guardò Sam passarsi una mano tra i capelli, in attesa di formulare una risposta. Scrutò i suoi lineamenti marcati, il profilo del naso leggermente pronunciato, i suoi occhi verdi e il mento, colorato da una barba appena accennata.
-Sai, certe volte mi chiedo che cosa abbiamo fatto di male…-iniziò a dire Sam –Visti dall’esterno siamo i ragazzi più fortunati del mondo. Siamo belli, siamo ricchi, possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo. Siamo invidiabili- continuò guardando Michael.
-Ma è solo un’illusione- terminò invece l’amico, condividendo a pieno quelle parole.
-La gente pensa che solo perché siamo ricchi, tutto ci è dovuto, ma non è così. Avrei preferito essere povero, vivere giorno per giorno, guadagnandomi con fatica da vivere, piuttosto che fare le cose perché le devo fare e non perché voglio- concluse poi Sam con una nota di amarezza e rassegnazione nella voce.
Il loro discorso però fu interrotto dall’arrivo della cameriera che procedette decisa verso il loro tavolino, intenta a prendere le ordinazioni.
Michael scrutò la ragazza per qualche secondo, viaggiando veloce con gli occhi su di lei: aveva gambe lunghe e magre, indossava tacchi alti e slanciati che, data la sua professione, avrebbero dovuto essere molto scomodi; indossava una minigonna nera con una camicia bianca e i capelli neri e lisci erano raccolti in una coda.
-Cosa posso portarvi?- esordì la cameriera, rimanendo piacevolmente sorpresa da quei due bei ragazzi che aveva di fronte.
Sam rise sornione, sfoderando le tattiche di ammaliamento che aveva imparato ad affinare in quegli anni.
-Tu cosa ci consigli?- domandò sensuale, con una vena di malizia nella voce.
Michael sorrise, aveva visto quelle scene migliaia di volte, ed ogni volta il suo amico sembrava crederci davvero ed essere palesemente serio, nel tentativo di apparire il più sexy possibile.
-Dipende dai vostri gusti…- rispose la ragazza guardando entrambi i giovani e rivolgendo un grande sorriso sghembo a Michael, che fu contento di ricambiare.
-Dolce o salato?- aggiunse sempre la cameriera, inarcando leggermente un lato delle labbra.
-Entrambi- rispose Sam –Ti lascio carta bianca, sorprendici- disse, accompagnando quest’ultima frase da un gesto con le mani.
La ragazza segnò qualcosa sul suo taccuino e si diresse veloce verso il bancone, lasciando i due ragazzi seduti su quelle poltroncine in pelle bianca.
Michael e Sam la seguirono con gli occhi, e appena si fu allontanata, si guardarono complici, scoppiando entrambi in una risata.
-Non cambi mai!- esclamò Michael, ricordandosi della vivacità dell’amico.
-Scommetto che mi lascerà il suo numero dietro la ricevuta del conto!- commentò Sam, sedendosi in maniera più comoda e rilassata.
-Può essere- rispose divertito Michael.
-Ehi, se ti interessa, possiamo proporle una cosa a tre. Io non mi vergogno a farmi vedere nudo da te!-  disse Sam, accendendosi una sigaretta.
Michael rise –Non avevo dubbi! E poi l’immagine di te nudo con altre due ragazze nella doccia della nostra camera di Princeton è indelebile nella mia mente!-
-Devi ammettere però che erano due grandi belle ragazze! Se la doccia non fosse stata così piccola, ti avrei invitato- replicò Sam.
Michael scosse leggermente la testa, ripensando a come entrambi se la fossero spassata in New Jersey.
-E a te con le ragazze? Che mi racconti?- chiese Sam improvvisamente, curioso della vita sentimentale dell’amico.
-Tutto piatto- commentò sereno Michael. Non aveva molta voglia di una relazione, o meglio, non aveva ancora conosciuto ragazze con cui valeva la pena provare ad averne una.
-Ah sì?- commentò scettico Sam –Quindi mi stai dicendo che non hai una vita sessuale attiva?-
-Ti ho detto che non ho una ragazza…- iniziò a dire l’amico, mettendo subito le cose in chiaro –Non che non faccio sesso- concluse sorridendo, passandosi una mano tra i capelli.
-Evvai, finalmente hai capito come funziona!- esclamò Sam –E tua madre si accorge delle tue scappatelle notturne?-
-Non sia mai- replicò Michael –Entrano ed escono tutte dall’uscita del personale!- continuò scherzando.
Sam scoppiò a ridere, pensando a quanto dispotica e maniaca del controllo potesse essere Amanda e quasi si immaginò Michael che accompagnava le ragazze nel bel mezzo della notte di soppiatto, cercando di fare il meno rumore possibile.
Cacciò via l’immagine dell’amico dalla testa e tornò a riparlare con Michael.
-Per quanto tempo ancora rimarrai qui?- chiese Sam, fattosi serio tutt’una volta.
Il ragazzo di fronte sembrò capire al volo cosa intendesse l’amico. Era una situazione strana anche per lui, non capiva bene cosa gli stesse succedendo. Sembrava bloccato in una realtà parallela, in un sogno da cui non riusciva a svegliarsi.
-Non lo so. Certi giorni mi sembra di stare bene, altri un po’ meno. Mi sento confuso-
Confessò Michael, provato da quella giornata appena trascorsa.
Sam sospirò, visibilmente dispiaciuto. Michael era come un fratello per lui e avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarlo.
La cameriera tornò, iniziando ad appoggiare le ordinazioni dei ragazzi sul grazioso tavolino di cristallo, e i due, quando la giovane si piegò, si scambiarono uno sguardo di intesa.
La situazione era ritornata meno tesa e i ragazzi ripresero a scherzare, come se non fosse successo nulla.
Sam si sporse sul tavolino e prese tra le mani la ricevuta del conto. Sorrise sornione e soddisfatto,  sventolò il foglietto davanti agli occhi di Michael.
Inizialmente il ragazzo non notò nulla di strano, ma poi prese il foglietto dalle mani dell’amico e lo guardò con più attenzione.
-Te l’avevo detto! Ci avrei scommesso il capitale di mio padre!- fece Sam, riprendendosi la ricevuta.
Michael rise di gusto davanti all’evidenza delle efferate tattiche da seduttore dell’amico e ridiede il foglietto a Sam, il quale continuò a rigirarsi lo scontrino con su scritto il numero della cameriera per tutto il resto del tempo.
La mattinata con Sam passò molto velocemente tra una chiacchiera e l’altra, e a Michael fece davvero molto piacere poter stare un po’ di tempo con lui. Sam era una boccata di aria pura, ed avere accanto qualcuno come lui, con le sue stesse pressioni e costrizioni, era un po’ più confortante, e quando lo vide ripartire nel suo grande Suv, dopo averlo lasciato sotto il portone di casa sua, ritornò a sentirsi di nuovo un po’ più solo.
 
 
-E’ fatto tardi ora- riprese a dire Sam, guardando l’orologio e scrutando Michael sul letto.
 –Devo partecipare ad una cena di lavoro con mio padre, e sai quanto lui ci tenga alla puntualità in queste situazioni- aggiunse, alzandosi e infilandosi il cappotto.
-Riprenditi in fretta, amico mio- disse il giovane, sporgendosi e appoggiando una mano sul braccio di Michael.
-In questo periodo sono fuori città, ma ci rivedremo al Ringraziamento, in qualsiasi condizione tu ti trova- promise, sperando con tutto se stesso che per quella data Michael si sarebbe risvegliato.
 
***
Ecco il secondo capitolo, pubblicato oggi come promesso.
Per prima cosa devo ringraziare apertamente tutti coloro che hanno inserito la storia tra le seguite, le preferite e tutte coloro che hanno lasciato una recensione facendomi sapere cosa ne pensavano. Mi si è riempito il cuore di gioia nel leggerle <3
Passando alla storia, avevo promesso a tutte che il personaggio di Michael sarebbe stato trattato in maniera diversa e spero che da questo capitolo, abbiate capito come intendo trattarlo fino a quando non si sveglia.
La parte scritta in corsivo non è un flash back e nemmeno cose accadute realmente, sono i pensieri di Michael, immagini che lui elabora nel momento in cui qualcuno gli parla.
Per spiegarmi meglio, lui è tenuto costantemente sotto sedativi, ma per qualche strana ragione, riesce a sentire le voci di coloro che vanno a fargli visita e ogni volta immagina di parlare e di interagire realmente con i suoi interlocutori.
Ogni volta che ci saranno queste digressioni, ovviamente il principale punto di vista sarà quello di Michael che ci farà scoprire capitolo dopo capitolo com'è realmente fatto.
Spero che questo capitolo vi abbia sorpreso e vi sia piaciuto, soprattutto perchè nutro molto affetto per questa storia, soprattutto per come ho deciso di strutturarla e per i personaggi che ho deciso di utilizzare.
Fatemi sapere cosa ne pensate di questa trovata e se vi aspettavate qualcosa del genere!
Ovviamente, se volete seguire passo dopo passo gli aggiornamenti, potete cliccare sulla mia pagina Fb:
https://www.facebook.com/Black-Mariah-Efp-105133312907556/timeline/
oppure potete seguire anche gli aggiornamenti da WattPad, con cui devo ancora un po' familiarizzare
https://www.wattpad.com/myworks/50810788/write/172033561
E su cui mi piacerebbe se esprimeste un voto.
Ringrazio davvero tutti quanti di nuovo.
Ci vediamo martedì con il prossimo aggiornamento!

 

 
 

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Capitolo 3
*** 3 ***


3

22 ottobre 2013

Amanda Trisher era appena scesa dal grande Suv nero, e si stava accingendo con molta grazia a varcare le porte mobili del New York General Hospital.
Ogni passo che faceva, suscitava la curiosità di ogni individuo presente nella grande sala di smistamento dell’ospedale e probabilmente anche l’invidia di tutte le donne e inservienti che in quel momento stavano lavorando.
Che la moglie di uno dei più grandi bancari d’America fosse bellissima e di gran classe era risaputo ormai, e Amanda aveva quasi così fatto l’abitudine a tutte quelle occhiate di ammirazione e anche di sdegno, che non ci faceva più caso.
Frettolosa scese le scale della hall e si ritrovò di fronte la sala degli ascensori. Spinse il pulsante che la portava nella terapia intensiva e si mise silenziosa ad aspettare. Le porte dell’ascensore si aprirono e la donna si ritrovò davanti il bancone della sala di accettazione e due inservienti che stavano svolgendo il loro lavoro. Senza battere ciglio, Amanda andò spedita verso la stanza di suo figlio, lasciando dietro di sé solo una forte scia di profumo.
Più si avvicinava alla camera, più si sentiva spaventata, vuota, ferita.
Quelle settimane avevano messo a dura prova la sua tempra in qualità di madre, e tra tutti i pensieri che le offuscavano la mente, uno su tutti si faceva spazio soffocando gli altri e aumentando il suo senso di colpa.
Abbassò lentamente la maniglia della porta, quasi come volesse fare il minimo rumore possibile per non svegliare suo figlio, ma sapeva che era inutile.
La prima cosa che percepì fu l’acre odore dei disinfettanti e il suono metallico dell’elettrocardiogramma attaccato al cuore di Michael.
Procedette lentamente e lasciò il cappotto marrone assieme alla borsa in pelle avana su una poltroncina e si avvicinò al letto del figlio.
Il rumore dei tacchi rimbombava nella stanza bianca e asettica del ragazzo e contribuiva ad aumentare quella sensazione di profonda angoscia che Amanda stava provando in quel momento. Si sedette composta, così come le avevano da sempre insegnato, con la schiena dritta e le gambe accavallate sulla scomoda poltroncina posta di fronte al letto, e con molta grazia, avvolse le mani attorno al ginocchio.
Alzò lentamente lo sguardo e finalmente incontrò il profilo di Michael: una sensazione di malessere le pervase lo stomaco, creandole addirittura fatica nel respirare.
Era insopportabile da guardare: suo figlio, il suo ragazzo, costretto lì in quel letto, immobile, inerme, attaccato a tutti quei tubicini, fili e flebo varie che quasi lo rendevano irriconoscibile.
Il petto di Michael si alzava e si abbassava lentamente, andando a ritmo dell’elettrocardiogramma, le braccia erano distese e correvano lungo i fianchi, mentre le gambe erano coperte da una coperta più spessa avana, che prendeva quasi mezza superfice del letto.
Amanda chiuse gli occhi lentamente, permettendo ad un’unica sola lacrima di scendere e di rigarle il viso.
Da quando Michael era in coma sembrava che tutto si fosse fermato, catapultandola in una realtà che scorreva immobile attorno a lei.
Ripensava continuamente a quel momento funesto, alla telefonata che i paramedici fecero a casa per avvisare i Trisher dell’incidente, a come lei aveva delegato la sua donna delle pulizie a rispondere perché non le andava di lasciare la sua scrivania, e di come la donna l’avesse avvisata.
Fece un sospiro distogliendo lo sguardo dal corpo inerme del ragazzo. Anche in quella tragica e assurda circostanza non riusciva a lasciarsi andare, non riusciva a prendere la mano di Michael e ad accarezzargliela come tutte le mamme fanno con i loro figli in difficoltà, come tutte le mamme fanno quando si trovano al cospetto del figlio in un letto di ospedale.
Aveva imparato a reprimere così bene tutto l’affetto che provava per i suoi figli, che alla fine aveva iniziato anche a smettere di provarlo. Non che non volesse bene a lui e a Martha, ma dal giorno esatto in cui li aveva messi alla luce, era consapevole del fatto che non le sarebbero mai appartenuti del tutto.
La situazione con Martha era stata più gestibile: era vero, lei era la figlia primogenita, la prima donna Trisher della quarta nuova generazione della tanto brillante famiglia, ma, se così si può definire, aveva avuto la fortuna di nascere donna.
La ragazza fin dalla nascita era sempre stata oggetto di attenzioni e pressioni: attenzioni per trasmetterle un’educazione consona al cognome che portava e pressioni per ogni cosa, per il futuro, per l’università, per l’impiego da scegliere e per chi frequentare.
L’infanzia e l’adolescenza di Martha erano state difficili, ma erano nulla rapportati a ciò che Michael era stato costretto a sopportare.
Lui era l’erede maschio, benché secondogenito, del più grande dei fratelli Trisher: il primo figlio diretto del secondo Michael Trisher dell’albero genealogico. Il destino del piccolo Michael era segnato già da prima che lui nascesse, dal momento esatto in cui in quella stanza di una clinica medica privata di New York, Amanda e Miles seppero il sesso del bambino.
Ricordava ancora la sensazione di felicità che provò quando il medico comunicò a lei e a suo marito che il bambino era in ottima salute, che cresceva bene, e che la gravidanza non sarebbe stata a rischio, ma ricordava anche lo stato di angoscia in cui precipitò quando il primario disse –Abbiamo un altro erede Trisher. E’ un maschietto-
Miles era felicissimo, un altro Trisher in famiglia da plasmare ad immagine e somiglianza di tutti gli altri, mentre ad Amanda venne quasi un mancamento.
All’epoca era una ragazza giovane, ancora speranzosa sulla vita e sulla sua carriera, piena di aspettative e felicità, e non era entrata del tutto nel diabolico mondo dell’alta borghesia di New York.
-Sai che lo chiameremo Michael- le disse Miles nel viaggio di ritorno.
Questa frase le sembrò più un ordine che una gentile richiesta. Amanda guardò sconsolata fuori dal finestrino: aveva già accettato di chiamare sua figlia grande come la nonna paterna e aveva sempre sperato nel suo piccolo, di poter chiamare il secondogenito, maschio o femmina che fosse, come uno dei suoi genitori. Avrebbe voluto chiamare il piccolo come il suo di padre, perso per sempre qualche anno prima, prima delle nozze organizzate in fretta e furia dalla famiglia di Miles a causa del suo stato “interessante”.
-Sì- fu tutto quello che riuscì a dire continuando a guardare fuori dal finestrino.
Da quel momento in poi iniziò a relazionarsi con il bambino in maniera diversa: capì che non sarebbe stato mai suo, non sarebbe stato mai libero come gli altri ragazzi, e semplicemente, per non soffrire, per non deludere le aspettative, iniziò a comportarsi come tutti i membri della famiglia Trisher.
Era quello lo sbaglio più grande che aveva fatto e che l’angosciava come non mai: abbandonare Michael al suo destino già scritto, già prescelto da una famiglia che non le sarebbe mai appartenuta.
Se ne rendeva conto solo allora e malediceva se stessa per quel mancato tempismo. Era per quel motivo che in tutti quegli anni non era riuscita mai ad abbracciare suo figlio il giorno del suo compleanno, a dargli il bacio della buona notte prima di rimboccargli le coperte e a dargli consigli sulle ragazze, sulla scuola o sul suo futuro quando Michael era diventato ormai un piccolo uomo.
La donna alzò nuovamente lo sguardo e si soffermò nuovamente sulla sagoma del ragazzo. Le escoriazioni sul viso si erano quasi rimarginate, qualche altro giorno e sarebbero svanite, lasciando spazio ai bellissimi lineamenti del ragazzo. Si alzò e si sporse di più contro di lui.
Guardandolo sperò con tutta se stessa che il ragazzo aprisse gli occhi, o che facesse qualche movimento con la mano prima di risvegliarsi, ma i minuti passavano e Michael era sempre lì, immobile e con gli occhi chiusi e tutto ciò che riusciva a fare era alzare e abbassare il petto.
Nello stesso attimo in cui Amanda prese coscienza di ciò, le lacrime ritornarono a solcarle il viso e lei repentina cercò di asciugarsele per evitare che le sbavassero il trucco.
Improvvisamente l’aria nella stanza le risultò pesante e sentì il bisogno di andarsene, di scappare da quella stanza in cui le sembrava che i ricordi e il senso di colpa la stessero schiacciando.
Guardò Michael un’altra volta e quasi con timore, allungò una mano portandola sopra quella del ragazzo.
Da quando non gli stringeva la mano?
-Mi dispiace- riuscì a dire in maniera soffocata, prendendo in fretta e furia le sue cose e uscendo dalla stanza.

**

23 ottobre 2013


Sarah appese l’uniforme arancione con le scritte blu elettrico nel suo armadietto, prese il borsone con dentro le sue cose, e chiuse a chiave l’anta dello stipetto. Aveva appena finito il turno giornaliero al supermarket vicino casa e aveva solo intenzione di tornare nel suo appartamentino all’angolo della strada e farsi una bella doccia calda per rilassarsi.
Uscì salutando il proprietario e le altre ragazze e prese la traversa a destra. Guardò lo schermo del cellulare e controllò l’orario per organizzare il da farsi del pomeriggio. Erano le quattro in punto: quel giorno aveva fatto il turno continuato dalla mattina perché un’altra ragazza si era ammalata, e dalle otto quando aveva iniziato, aveva finito solo allora, senza nemmeno una pausa pranzo.
Fece mente locale su dove si trovava e quanto tempo aveva nel pomeriggio per ultimare alcuni servizi e decise di passare a ritirare le tele che aveva ordinato per i suoi quadri la settimana prima.
Arrivò alla punta della strada e poi proseguendo per una decina di minuti, si ritrovò di fronte il piccolo negozio da cui era solita rifornirsi. Fortunatamente le tele erano arrivate e già che si trovava, colse l’occasione per comprare dei nuovi colori ad olio caratterizzati da sfumature perlate visti qualche tempo prima sul sito del rivenditore. Pagò soddisfatta e salutando allegramente tornò a casa a lasciare il bottino della giornata.
Aprì la porta del suo appartamento e vi sgattaiolò, chiudendosela subito alle spalle. Lasciò a terra le tele e ripose sul ripiano delle tempere e degli acrilici i colori ad olio, si guardò attorno e notò quanto disordine ci fosse in quella stanza.
Quello non era un vero e proprio appartamento, era più un bilocale con bagno compreso. Se n’era innamorata dal primo momento in cui il proprietario gliel’aveva mostrato e da allora aveva fatto di tutto per cercare di poterselo mantenere, in attesa del suo tanto sperato posto di lavoro in qualche galleria d’arte, o in qualche studio di fotografia.
Il letto, ricavato all’interno dell’insenatura del muro su cui si trovava la grande finestra principale, era disfatto dalla mattina, sul divano al centro della stanza, di fronte la piccola televisione appoggiata su un’altra parete, vi erano vestiti, libri e cuscini accatastati, la cucina era piena di pentole e piatti usati nei giorni precedenti, e l’angolo che lei riservava ai suoi disegni e alle due fotografie era un totale disastro, pieno di quadri lasciati ad asciugare, fotografie appese nell’attesa di essere incorniciate, e qualche pennello gettato qua e là sul telo bianco usato per coprire il pavimento per evitare che si macchiasse.
-Mmm…bel casino- disse fra sé e sé quando diede un’occhiata generale alla situazione.
In quel momento le andava di fare tutto fuorché aggiustare il suo appartamento, perciò decise di ammazzare il tempo diversamente, uscendo e stando all’aria aperta.
Si sciacquò velocemente, dandosi solo una sistemata ai capelli, prese una mela dal frigorifero, unico pasto della giornata tralasciando la colazione, e si chinò sul divano a prendere la borsa.
Mentre si piegava notò, appoggiato sulla libreria, un quadro molto piccolo che fece tempo addietro in un pomeriggio libero. Lo prese e lo infilò in borsa: l’avrebbe portato a Michael e l’avrebbe appeso accanto all’orchidea.
Si era detta che non c’era nulla di male in fondo ad andarlo a trovare sistematicamente, e nemmeno a portargli un pensierino quando capitava: per come la vedeva lei quel ragazzo era già abbastanza solo, quindi dal momento che lei aveva la possibilità di andare a fargli visita, non ci trovava nulla di male, almeno fino a quando nessuno si sarebbe lamentato.
Contenta infilò il giubbotto, prese le chiavi e scese in strada, diretta all’ospedale.
Era passata una settimana dal loro primo incontro, e Sarah era andata almeno quattro volte a trovarlo nella sua stanza d’ospedale.
Tina le aveva detto che un pomeriggio gli aveva fatto visita anche un amico, ma che poi nessuno si era più accostato alla sua stanza: né famigliari né amici. Tutta quella situazione le sembrava alquanto strana. Si chiedeva in continuazione come facesse un’intera famiglia ad ignorare un suo componente in quelle condizioni, e la cosa che la sconvolgeva maggiormente era proprio il comportamento della madre e del padre che a stento andavano a trovarlo.
Era particolarmente turbata da quella cosa, sia perché credeva che Michael, per quanto giovane e ingenuo potesse essere nella vita reale, non avrebbe potuto essere una cattiva persona, e sia perché era inimmaginabile che un ragazzo di quel calibro non avesse amicizie o non fosse amato dai suoi parenti. Se quella situazione la turbava in generale, tutta quella faccenda stava diventando deleterea per lei stessa. Non faceva altro che pensare a lui, a come potesse essere davvero, a come potesse essere da sveglio. Non pensava altro alle cose che avrebbe preferito fare o alle cose lasciate in sospeso prima dell’incidente.
Il tragitto in metro da casa sua al New York General Hospital passò subito e in men che non si dica si ritrovò catapultata nella terapia intensiva.
Le porte dell’ascensore si aprirono e lei iniziò a percorrere il lungo corridoio di fronte. Passò dall’accettazione e salutò Tuck, che quel giorno faceva evidentemente il turno del pomeriggio, e dopo aver chiesto se Michael avesse ricevuto visite in quel momento, si diresse verso la sua stanza.
Si sentiva emozionata e felice di rivederlo anche quel giorno e benchè lui non potesse interagire con lei in nessun modo, Sarah si sforzava di essere il più naturale possibile e di trattarlo come un ragazzo vero, come un ragazzo vivo.
-Ciao Michael- esordì non appena entrò in stanza e si chiuse la porta alle spalle.
Percepì improvvisamente del freddo e immediatamente si diresse verso di lui a rimboccargli le coperte.
-Fa freddissimo, come diavolo fai a stare qua dentro- gli fece guardandolo.
Nel momento in cui i suoi occhi incontrarono il corpo del ragazzo, quella familiare sensazione di angoscia che ormai la assaliva ogni volta che pensava a lui, la colpì di nuovo.
“Si rimetterà” pensò, scrutando la sua figura immobile sul lettino e facendo un sospiro, più di rassegnazione che di speranza. “Si rimetterà” penso di nuovo, quasi come se il fatto che lei continuasse a pensarlo, lo potesse far accadere davvero.
Si guardò un attimo attorno per cercare il telecomando del condizionatore della stanza e quando lo ebbe trovato, lo indirizzò verso il bocchettone dell’aria.
-Chi è quel genio che ha portato l’aria a venticinque gradi?- pensò ad alta voce, scoprendo che qualcuno prima di lei aveva regolato la temperatura dell’aria.
Tina le aveva detto più volte che la temperatura ottimale doveva essere tra i ventisei e i ventisette gradi e perciò fece di conseguenza. Nel frattempo che l’aria si riscaldava pensò bene di coprire meglio Michael con la coperta sul letto e premurosamente la distese e gliel’adagiò sopra, quel tanto che bastava per coprirgli le braccia nude e per non farlo sudare.
Con piacere notò che le fasciature attorno le braccia erano state tolte, lasciando scoperte le ferite, che si erano quasi rimarginate.
-Beh, hai visto, queste ferite sono quasi guarite, e i lividi si stanno riassorbendo. Stai andando alla grande- disse con voce tremante, prendendo di nuovo a guardare Michael con fare speranzoso ma malinconico.
Ogni volta che incontrava il suo viso aveva un sussulto e si sentiva quasi una brutta persona a pensare che quel ragazzo le risultasse bellissimo anche in quella circostanza: intubato e attaccato all’elettrocardiogramma.
Quando pensava razionalmente a quella situazione, davvero stentava a crederci. Stava andando a trovare in ospedale, quasi ogni giorno, uno sconosciuto, un ragazzo ricco e bello, che non aveva mai incontrato prima di allora e che probabilmente nelle circostanze reali non l’avrebbe mai notata, solo perché non riusciva a capacitarsi del fatto che fosse solo, abbandonato a se stesso e al suo stato comatoso.
Ogni tanto le piaceva pensare che Michael fosse davvero come se lo immaginava lei, e questo, secondo Sarah, era molto improbabile: se lo immaginava gentile, buono, ambizioso, altruista e perché no, magari anche bravo con le ragazze.
Probabilmente il vero Michael era invece l’opposto di quello, e non per sua volontà, ma a causa del contesto in cui era stato costretto a vivere per tutti quegli anni e probabilmente avrebbe trattato le ragazze come fanno tutti i bellocci come lui. Sospirò e si sedette comoda sulla poltroncina vicino il suo letto.
Come ormai faceva da qualche giorno, iniziò a parlargli descrivendogli la sua giornata, raccontandogli della telefonata ricevuta nel bel mezzo del turno dagli organizzatori del concorso fotografico a cui aveva partecipato e gli disse di come loro l’avessero gentilmente scartata.
-Chissà, magari verrò presa a qualcosa di più grosso- disse, rivolgendosi al ragazzo.
-In fondo non era nulla di che. Il tema erano i paesaggi urbani e forse non sono riuscita a trasmettere quello che volevo- continuò, quasi cercando di giustificare i selezionatori stessi.
-Ho presentato un catalogo di foto che ritraevano alcuni punti di New York a me cari. Le foto erano a colori, e ho scattato tre foto per ogni posto scelto, tutte dalla stessa angolazione, ma in parti della giornata diverse, in modo tale da evidenziare il contrasto e la differenza di luci ed ombre che si ha durante il giorno- terminò.
Aveva spiegato il suo lavoro come se lo stesse descrivendo ad un intenditore, esattamente come la settimana prima, quando gli aveva descritto una tecnica usata per alcuni suoi quadri.
-Anzi, giacché sono stata buttata fuori dal concorso e posso pubblicare le fotografie, se vuoi un giorno posso fartele vedere- disse quasi convinta. Solo qualche istante dopo si accorse dell’assurdità di quella frase.
Chiuse lentamente gli occhi, quasi a maledirsi per quello che aveva appena detto, e colpita da una nuova ondata di tristezza, guardò il ragazzo. Michael ovviamente era immobile e il suo unico movimento, impercettibile quasi, era il sollevarsi e l’abbassarsi del suo petto.
Sarah si fece più vicina e si protese verso di lui iniziando a scrutarlo meglio. Percorse con gli occhi il suo profilo, così delicato e continuo, le sue labbra, carnose e rosee perfettamente chiuse.
Anche le escoriazioni sul volto erano quasi guarite, e quando Sarah lo notò, incurvò le labbra in un leggero sorriso.
Sperava con tutta se stessa che Michael si riprendesse: avrebbe voluto sentire la sua voce e avrebbe voluto vedere di che colore avesse gli occhi. Probabilmente doveva avere gli occhi come quelli di sua madre e sua sorella, quindi di quel bellissimo azzurro che era riuscita a notare la prima e l’ultima volta che le ebbe viste.
Sospirò di nuovo. La verità era che lei non avrebbe mai visto davvero il colore degli occhi di Michael, né tantomeno avrebbe sentito la sua voce. Lei era una sconosciuta, e non faceva parte della vita di Michael e non ne avrebbe fatto parte nemmeno in un ipotetico futuro.
Se solo si fosse svegliato come avrebbe giustificato quella cosa? Come avrebbe giustificato le visite, i regali, le ore di discorsi che lei gli faceva, parlando della sua vita privata, dei suoi pensieri, delle sue aspirazioni? E se davvero gli avesse parlato, come si sarebbe presentata?
“Ciao io sono Sarah, la sconosciuta che è venuta a farti visita ogni giorno, così, solo per il piacere di farti compagnia e di farsi ascoltare da qualcuno” pensò.
Alzò gli occhi al cielo. Quello non era il momento di avere quei pensieri. Avrebbe pensato a quella cosa solo quando Michael si sarebbe svegliato e avrebbe dovuto motivare quei comportamenti, se mai ce ne sarebbe stato bisogno.


 
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Ecco il terzo capitolo! Per prima cosa mi scuso se l'aggiornamento non è arrivato puntuale come avevo promesso la scorsa settimana,
ma purtroppo sto avendo dei problemi con l'html che non mi fa più inserire il testo di word nel server, quindi ho dovuto riuscire a trovare un escamotage per pubblicare e mi ha portato via del tempo.
Ringrazio tutte le ragazze che hanno recensito, è stato molto importante per me avere un vostro parere, soprattutto perchè avete apprezzato il modo in cui ho deciso di gestire il personaggio di Michael fino a quando non si sveglia.
Secondo me  è abbastanza originale e ci dà la possibilità di conoscerlo e di farci un'idea su di lui fin da subito, quindi ringrazio davvero tutti!
Ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le preferite e le seguite! Siete davvero tantissimi! Anche se non vi nascondo che mi piacerebbe davvero sapere cosa ne pensiate a riguardo!
Ritornando al capitolo: come si può vedere è un capitolo un po' lento ed introspettivo che ha come principali protagonisti Sarah e la terribile (:P) Amanda.
E' un capitolo di passaggio che mi serve per introdurre tutta l'ambientazione del prossimo capitolo, che è il mio preferito fino ad ora perchè vede Michael come protagonista indiscusso della situazione.
Mi sono voluta soffermare sul rapporto complicato che Michael ed Amanda hanno tra di loro (che era stato già in parte accennato nel primo capitolo) e spero che dopo aver letto la sua storia -che si può immaginare anche senza andare nel dettaglio- le motivazioni del suo comportamento siano un po' più chiare.
Sarah invece è combattuta se portare avanti questa cosa delle visite e dei monologhi e tenta di cercare una motivazione logica e sensata al suo comportamento e all'attaccamento che sta iniziando a provare nei confronti di Michael!
Scusatemi il sermone finale, ma volevo dirvelo xD
Poichè giovedì prossimo ho un esame e le lezioni all'università sono ricominciate, Anestesia ritorna martedì, sempre più meno allo stesso orario. D'ora in avanti potrò pubblicare solo una volta a settimana, anche perchè vorrei riprendere altre storie che ho lasciato in sospeso.

xoxo
M.

 

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Capitolo 4
*** 4 ***


4
 
-Davvero?! Il Green Wood Cemetery?- ripetè Michael stranito, osservando con meraviglia e stupore il grande ingresso trionfale del cimitero, realizzato in stile neogotico con blocchi di pietra rosata finemente intagliati.
-Già- gli fece Sarah, facendogli un sorriso. Il ragazzo si girò un attimo a guardarla per poter capire meglio. Non gli era ancora ben chiaro come fossero finiti lì, ai confini di Brooklyn, ma Sarah gli stava raccontando del concorso di fotografia a cui aveva partecipato e improvvisamente si erano trovati di fronte a quell’immenso portale a due ingressi trionfali, sormontati da guglie altissime che ricalcavano il negativo degli archi ogivali dei portali.
-Ci credo che ti hanno scartata! Tu hai presentato delle foto di un cimitero!- esclamò ancora perplesso su quella scelta, ma con un filo di ironia nella voce.
Sarah arricciò il naso e gli fece una smorfia. -E’ molto più di un cimitero. E’ un museo a cielo aperto!- disse leggermente risentita per quell’affermazione.
Sapeva che presentare quelle fotografie sarebbe stato un rischio, ma dal momento che lei percepiva in quel luogo una poeticità che non riusciva a trovare da nessun’altra parte, decise di andare fino in fondo.
-Stavo scherzando!- fece Michael sorridendo per la risposta della ragazza. –E poi se pensi questo, ti credo. Mi fido di te- aggiunse continuando a guardare davanti a sé, indeciso sul da farsi.
Sarah arrossì leggermente. Era bello avere l’approvazione di quel ragazzo, la faceva sentire bene.
-Allora, vuoi farmi da Cicerone per questo giro panoramico tra le tombe di Brooklyn?!- domandò il ragazzo ironico, iniziando a percorrere la strada che lo portava all’ingresso. Sarah rise di gusto.
-Ovvio. Non sia mai che un ragazzo dell’Upper East Side venga scippato da qualche defunto lavoratore di ceto medio- rispose ironica la ragazza, facendo l’occhiolino a Michael.
Lui di risposta sorrise silenziosamente e scosse un po’ la testa. Quel piccolo dettaglio sulla sua provenienza sembrava starle particolarmente a cuore, e ci scherzava sopra ogni volta che poteva. In effetti allora che ci pensava anche lui era solito farlo sempre, più per farle capire però che era un ragazzo normalissimo, benché appartenesse all’alta borghesia della metropoli.
-Allora, fammi capire bene…- riprese il discorso lui, cercando di collegare quel luogo al concorso fotografico. –Il tema di questo concorso è il paesaggio urbano, e tu hai fotografato tre posti di New York che ti stanno particolarmente a cuore- continuò, ripetendo le parole usate dalla ragazza qualche minuto prima.
-Già- fece Sarah confermando.
-E uno di questi tre posti è il Green Wood Cemetery…-aggiunse Michael. –Cioè, un cimitero. Non il ponte di Brooklyn, non la statua della Libertà, ma un cimitero- continuò, sempre meno convinto delle sue parole.
Come si poteva trovare bello un cimitero?
-Che c’è di male?- chiese stranita Sarah. Non le sembrava una cosa così poi tanto strana.
-Già, che c’è di male?!- ripetè ironico lui, abbozzando un sorriso. –Non è che sei una serial killer e mi stai frequentando solo per sedurmi, uccidermi e appropriarti di tutto il mio patrimonio, vero?-
A quella frase Sarah sorrise di gusto e sonoramente, tanto che una coppia si girò, forse per il troppo schiamazzo in quel luogo sacro e silenzioso. Non appena se ne accorse si portò una mano alla bocca e Michael sorrise. Quei suoi piccoli gesti spontanei e timidi gli causavano sempre una bella e strana sensazione. Quella ragazza era spontanea, gentile e timida quanto bastava da farla risultare intrigante e affascinante nel suo complesso.
-No, sarebbe un piano fin troppo scontato. E poi non voglio averti sulla coscienza, al massimo potrei solo derubarti dopo averti dato una botta in testa- replicò ironica. –E comunque, io trovo che i cimiteri siano i luoghi più affascinanti di una città. Sono pieni di Storia, sono pieni di storie di tanti individui che hanno vissuto nei modi più diversi, amando, odiando, vivendo alla giornata o vivendo in attesa della grande occasione della loro vita. Sono luoghi malinconici e nostalgici. Sono pieni di vita- continuò per cercare di spiegare al ragazzo perché quel posto le piacesse così tanto. –E poi questo in particolar modo è pieno di statue meravigliose che esprimono a pieno quello che provo venendo qui. Inoltre le statue sono perfette da fotografare. Ci sono delle luci fantastiche- concluse.
-Statue?- ripetè Michael, quasi affascinato dalla voce della giovane e totalmente preso dal suo discorso. -Ora vedrai- gli fece Sarah girandosi a guardarlo e facendogli un sorriso.
Michael guardò prima la ragazza, poi i grandi portali davanti a sé. Stavano percorrendo il viale principale e in pochi passi sarebbero entrati nel vero e proprio cimitero.
-Quindi, per ritornare alle fotografie- riprese a parlare lui, volenteroso di capire perché lei avesse scelto proprio quel luogo. –Cosa hai fotografato? Le lapidi? Gli alberi? I fiori sulle tombe?- chiese con curiosità.
-Aspetta e vedrai- gli fece Sarah, contenta per tutto l’interesse del ragazzo a riguardo. Non aveva mai portato mai nessuno lì con sé allora che ci pensava. Varcarono i cancelli di ingresso e lo spettacolo che si presentò davanti ai loro occhi andava ben oltre l’immaginazione di Michael.
Sarah aveva ragione: quello era un museo a cielo aperto. Di fronte a sé aveva una vastissima distesa verde, curatissima nei minimi dettagli, attraversata da un grande e lunghissimo viale brecciato. Il prato era cosparso di lastre di marmo, di obelischi e di lapidi che sembravano delle vere e proprie sculture.
-Oh- fu tutto ciò che Michael riuscì a dire di fronte a quel luogo.
Sembrava un parco. Sarah lo guardò e sorrise debolmente. Riuscì a percepire nel dolce sguardo del ragazzo dello stupore, ma anche della comprensione nei confronti di quello che lei aveva cercato di spiegargli poco prima.
-Perché vieni qui?- chiese improvvisamente Michael. Aveva paura nel sentire la risposta a quella domanda, temeva che la ragazza andasse lì per far visita a qualche caro o amico, e sapere che avrebbe potuto provare un dolore del genere lo rattristava non poco.
Sarah guardò Michael: il suo tono di voce era cambiato, si era fatto più cupo. I loro sguardi si incontrarono e lei riuscì a capire che cosa il ragazzo volesse intendere con quella domanda.
-Non vengo a trovare nessuno qui. L’ho scoperto per caso, leggendo un articolo sui posti nascosti di New York- rispose, leggermente imbarazzata per la premura che qualche volta Michael aveva nei suoi confronti.
Il ragazzo sospirò, sentendosi immediatamente più leggero. Annuì leggermente con la testa e poi riprese a guardarsi intorno.
-Vuoi vedere il punto da dove ho scattato le fotografie?- chiese Sarah qualche attimo dopo, iniziando a camminare sul prato e dirigendosi verso un punto indefinito del manto verde.
-Certo- acconsentì Michael, seguendola. Lungo il sentiero che portava al posto prescelto, Michael poté vedere cose di cui ignorava l’esistenza. C’erano lapidi di tutte le forme: dai piccoli templi, ai piccoli obelischi, da delle vere e proprie steli a dei cippi di famiglia, ma la cosa più bella che lo colpì, e che evidentemente aveva colpito Sarah molto prima di lui, era che lungo il percorso si trovavano sparse statue di magnifici angeli.
Erano di tutti i tipi e di tutte le dimensioni: avevano ali spiegate, enormi, pronte al volo, avevano volti piangenti, angosciati dalla perdita di qualcuno, erano chini sulle lapidi, o in piedi a guardia di qualche tomba. Erano macabramente bellissimi.
-Ecco- fece Sarah dopo qualche minuto di silenziosa passeggiata –Questo è il soggetto della foto incriminata- aggiunse scherzando e guardando curiosa Michael, quasi a voler percepire i suoi pensieri dal solo suo sguardo.
Michael guardò silenzioso quella statua, quell’angelo di fronte ai suoi occhi. -E’ bellissimo- riuscì solo a dire, trovando improvvisamente assurda quella situazione.
-Te l’avevo detto- disse solo Sarah, girando attorno al suo angelo. Era una statua in marmo bianco, segnata dal tempo e dall’usura in più punti, tanto che presentava delle macchie nere nelle insenature o negli incavi, e raffigurava un angelo, inginocchiato e con la testa appoggiata su un lastrone quadrato, con le ali spiegate all’indietro e le vesti lunghe ricadenti e panneggiate. Era un angelo piangente, chino su di sé a soffrire in silenzio, mentre si nascondeva il volto tra le mani e le braccia.
-All’alba qui c’è una luce fantastica. L’atmosfera che si crea è surreale. La luce mette in risalto i chiaroscuri, i panneggi delle vesti. Sembra quasi vivo- continuò la ragazza. -C’è qualcosa in questa statua che mi attrae. Potrei rimanere qui a fissarla per ore, senza mai stancarmi- aggiunse.
Michael spostava il suo sguardo dall’angelo di fronte a sé a quella ragazza. Ogni volta che lei gli spiegava qualcosa si sentiva quasi perso nella sua voce, come se lei stesse cantando una dolce melodia, piuttosto che articolando un discorso. Inoltre ogni volta che la ragazza gli diceva qualcosa, lui la percepiva più come una confessione piuttosto che una semplice affermazione. Gli sembrava quasi che quelle cose fossero una confidenza. Come se quelle cose fossero segreti che la ragazza custodiva gelosamente, per poi mostrarle solo a lui in quelle strane occasioni in cui si incontravano.
-C’è qualcosa di terribilmente nostalgico e romantico in quest’angelo che non mi so spiegare- fece Sarah a voce bassa.
Michael la stava scrutando, totalmente rapito dalla sua maniera di fare, di parlare, di essere così sincera.
-Romantico nel senso di Ottocentesco, intendo- continuò poi la ragazza tenendoci a precisare quel dettaglio. Michael rimase senza parole e la giovane se ne accorse. Colta da un leggero imbarazzo per quel silenzio, iniziò a torturarsi le mani come faceva ogni volta quando provava dell’imbarazzo, e iniziò a toccarsi le lunghe ciocche di capelli che le ricadevano sul petto. Il ragazzo sorrise e si avvicinò di più a lei, riducendo la loro distanza a qualche passo.
Allungò una mano e poggiandola delicatamente su quelle di Sarah, si fermò a guardare la sua reazione. La giovane alzò leggermente lo sguardo e quasi fu catturata dalla potenza magnetica degli occhi di Michael: erano due perle che brillavano, illuminate dalla luce del tramonto.
-E’ splendida. E’ tutto splendido, qui- fece il ragazzo a bassa voce, deglutendo in seguito al contatto quasi elettrico con la mano della ragazza. Sarah rincuorata gli sorrise e per un attimo, quando Michael tolse la mano dalla sua, si sentì persa.
-Vieni- disse solo lei, dopo che lui l’ebbe guardata, e procedendo silenziosa lo condusse in un luogo quasi ameno, idilliaco, perfetto per fare da sfondo a quei quadri con paesaggi bucolici di fine Seicento.
Michael si ritrovò disteso sul prato, colpito dalla flebile luce del tramonto e dalla leggera brezza autunnale di quel periodo. Accanto a lui c’era Sarah, seduta con le gambe a cavalcioni e schienata sulle braccia, intenta a scrutare il piccolo stagno artificiale davanti a sé.
-Di solito ci sono i cigni- fece lei, interrompendo quello strano silenzio che si era creato tra loro. Michael non sopportava il silenzio, soprattutto quando lei era con lui. Voleva parlare, voleva ascoltarla, voleva conoscere dettagli della sua vita. Lo percepiva come un vero e proprio bisogno vitale per non essere schiacciato da quella strana sensazione che provava ogni volta. La voce della ragazza era una dolce melodia ritmata e a lui piaceva molto ascoltarla: Sarah sapeva cogliere le piccole cose in ogni momento, in ogni dettaglio, e il fatto che le sue spiegazioni erano così filosofiche, così impregnate di arte e di passione, gli davano speranza. Gli davano una speranza per lui e per il suo futuro. Inoltre aveva notato nei giorni passati che quando lei era con lui, quel fastidioso e sottile dolore che provava alla testa, sembrava quasi acquietarsi.
Assorto nei suoi pensieri si girò su un lato e prese a guardare la ragazza silenzioso, indeciso se chiederle una cosa o meno.
Sarah si accorse di quella sua strana posizione, e si accorse anche del fatto che lui la stesse letteralmente scrutando dalla testa ai piedi. Sentì un po’ di rossore diffondersi sul viso, ma decise di nasconderlo semplicemente distogliendo lo sguardo da quel bellissimo ragazzo, e guardando altrove.
-Perché sei qui?- chiese improvvisamente Michael con voce secca.
-Mmm…te l’ho detto, mi piace questo posto- rispose Sarah, ancora più imbarazzata. Michael notò un pizzico di disagio nella sua voce, ma non ci fece caso.
-Dico sul serio- aggiunse, cercando le parole adatte per riformulare il suo pensiero. -Perché sei qui con me? Perchè vieni a farmi visita?- chiese, sperando in una risposta sincera.
Sarah sospirò e si lasciò cadere sull’erba. Era leggermente umida, ma il contatto con la sua pelle la rinfrescava. Si prese qualche secondo per rispondere, in fondo non lo sapeva nemmeno lei.
-Ti crea fastidio che io venga a trovarti?- domandò di risposta la giovane, osservando le bellissime sfumature rossastre che il cielo aveva assunto a quell’ora del giorno.
-Rispondi alla mia domanda- la incitò calmo Michael. Non aveva mai pensato una cosa del genere.
La ragazza, spostandosi i capelli dalla fronte, sospirò di nuovo. Davvero non sapeva come spiegarsi.
-Non lo so. Dal primo momento in cui ti ho visto, ho sentito il bisogno di farlo. Ho sentito il bisogno di non lasciarti solo- rispose allora sincera, sperando che Michael non la prendesse per pazza.
Michael incurvò leggermente le labbra in un sorriso impercettibile. Mai nessuno prima di allora si era preoccupato di lui, se si sentisse solo o meno. Solo Sam l’aveva fatto, e il loro incontro di qualche tempo prima l’aveva reso un po’ più felice.
-Sai, sono giorni che mi sembra di passare del tempo solo con te- disse lui, portando il mento sul palmo della mano –Mi sembra come se il resto del tempo sia tutto tempo perso o inutile, o forse è solo tempo in cui non succede nulla di bello- concluse, leggermente imbarazzato nel confessare quelle cose.
-Mi fa piacere il fatto che reputi una passeggiata insensata in un cimitero del tempo ben trascorso- commentò Sarah ironica e accennando un sorriso, cercando di spezzare quella strana tensione che si era creata tra loro. –E poi la serial killer tra i due sono io, certo- aggiunse. Michael scoppiò a ridere e improvvisamente si sentì bene. Si lasciò cadere sull’erba anche lui, distendendosi comodo vicino alla ragazza e avvicinandosi di più a lei.
Girò di lato la testa, quel tanto che bastava per poterla guardare in viso e poter seguire con gli occhi i suoi lineamenti morbidi e particolari.
I lunghi capelli corvini, le ricadevano sulle spalle e sull’erba, e colpiti dalla luce assumevano le consuete sfumature rossastre che Michael aveva imparato a cogliere nei momenti in cui le stava più vicino.
-Non smetterai di venirmi a trovare, vero?- le chiese il ragazzo, cercando i suoi occhi. Sarah rimase un po’ spiazzata da quella richiesta, ma soprattutto un po’ intontita dall’effetto che quello sguardo le aveva causato.
Quando le brillanti iridi di Michael incontrarono le sue, si sentì quasi mancare, e il cuore fece un sussulto nel petto, perdendo un battito. Arrossì leggermente, ma con voce bassa e calma gli rispose.
-Se ti piace passare del tempo con me, verrò a trovarti ogni volta che potrò e fin quando tu vorrai- disse con apprensione e delicatezza. Michael le sorrise e reclinò di più la testa, quel tanto che bastava per poterla appoggiare su quella della ragazza. Riusciva a sentire il profumo dei suoi capelli, cogliendone con lo sguardo la lucentezza e con il tatto la morbidezza.
Gli parve come se Sarah avesse appena fatto un sussulto, forse per quel gesto inaspettato, ma non ci badò molto. Volenteroso di farlo dal primo momento in cui si erano visti quel giorno, bramoso di toccare la sua pelle, distese un braccio, appoggiando delicatamente la sua mano su quella della ragazza.
Le loro mani furono attraversate da una scossa elettrica, tanto che Sarah quasi ritrasse d’istinto la mano, ma Michael gliela riprese e la strinse leggermente.
Ogni volta il contatto tra di loro era quasi una scarica di adrenalina.
Michael si sentiva vivo, si sentiva umano e non si sentiva come se fosse perennemente sotto anestesia, perché finalmente riusciva a percepire qualcosa, riusciva a sentire qualcosa. Quando si toccavano, riusciva a sentire il sangue scorrergli tra le vene.
Prese delicatamente la mano di Sarah e iniziò ad accarezzargliela lentamente e dolcemente, come se volesse quasi farla addormentare per tenersela con sé un altro po’.
Era conscio del fatto che di lì a breve lei se ne sarebbe andata e lui sarebbe rimasto solo ancora una volta per chissà quanto tempo, perciò cercò di rendere il più intensi possibili quei pochi minuti che gli rimasero. Si avvicinò di più a Sarah cercando di sentire il contatto con il suo fianco. Inspirò il suo leggero e dolce profumo, e poi intrecciò le dita tra le sue, vincendo l’iniziale imbarazzo della ragazza.
Sarah girò il palmo della mano, e senza guardare Michael negli occhi, con la punta dell’indice, iniziò a disegnare tanti cerchi e cose astratte, facendo scorrere delicatamente il dito lungo tutto il dorso della mano del ragazzo, fino a risalire sull’avambraccio.
Michael sospirò, totalmente preso da quel movimento, totalmente incantato da come Sarah stesse disegnando immaginariamente sul suo braccio cose che solo lei poteva conoscere.
-Vorrei vederti dipingere- sussurrò lui, sporgendosi sull’erba e avvicinandosi all’orecchio della ragazza.
Sarah fu scossa da un brivido che le risalì da dietro la schiena. Michael le aveva appena parlato con voce bassa e quasi sensuale. Si riprese solo qualche secondo dopo, quando scosse leggermente la testa per distrarsi dal suo sguardo caldo e magnetico.
-Oh…- commentò sorpresa, non riuscendo a capire come Michael avesse pensato a quella cosa. –Di solito dipingo sempre da sola, ma con te potrei fare un’eccezione- aggiunse ironica, rivolgendo un sorriso a Michael.
Di rimando il ragazzo non la stava guardando, sembrava quasi incantato dal movimento delle sue dita, che ancora scorrevano lentamente sul braccio di Michael, fino a poggiarsi di nuovo sul dorso della sua mano. Quel contatto stava rilassando entrambi e Sarah si fece un po’ più coraggiosa, risalendo per tutto il suo braccio, per proseguire lungo la clavicola e portarsi sul viso del ragazzo. Era di una bellezza disarmante. I suoi lineamenti erano così perfetti, che sembravano essere stati disegnati da un’artista, da un visionario che aveva saputo dare un volto alla bellezza più pura, a quella tanto ricercata perfezione.
Michael deglutì, sentendo Sarah accarezzare lentamente con il pollice la sua guancia. Il morbido dei suoi polpastrelli faceva quasi contrasto con la sua barba, cresciuta un po’ in quelle settimane.
Allora che ci pensava era da parecchio che non si radeva, e avrebbe dovuto anche provvedere subito a quella cosa se non voleva sentire le urla di sua madre. A detta sua, la barba portata in quella maniera era da gente sciatta. Michael ovviamente non condivideva quel pensiero, ma pur di non sentire Amanda fargli la predica, l’avrebbe fatto.
-Ti ho portato una cosa- disse improvvisamente Sarah, guardandolo molto intensamente, ma continuando ad accarezzargli il viso.
-Cosa?- chiese curioso lui, assumendo uno sguardo tra lo stupito e il felice per quel pensiero.
Il contatto con le dita di Sarah gli stava causando uno strano formicolio, che risaliva dal fondo schiena fino ad arrivare sotto il collo, ma se avesse potuto, non l’avrebbe mai fermata e l’avrebbe lasciata fare fino a quando non si sarebbe stancata.
-Devo prenderlo dalla borsa sul tavolino- rispose la ragazza, ignorando del tutto la domanda di Michael.
Il biondo la guardò confuso, aggrottando un po’ la fronte e aguzzando la vista, non capendo a che tavolino si stesse riferendo.




-Devo prenderlo dalla borsa sul tavolino- disse Sarah, seduta sulla poltroncina della stanza, chinata un po’ verso il letto metallico.
Ci era cascata di nuovo, ogni volta che andava a trovare Michael si riprometteva sempre di non varcare quel sottile confine che si era imposta da sola, ovvero di non confondere quello che lei stava facendo per quel ragazzo, con ciò di cui lei aveva bisogno in quel momento, ma fu più forte di lei. Si era ritrovata di nuovo a guardarlo addormentato su quel letto, e ad accarezzargli la mano, a sfiorargli il viso e a sperare che lui desse un cenno di vita.
Guardò triste quel volto, quasi angosciata dal fatto che fosse così bello, ma così freddo, così apatico e così privo di emozioni. Quasi con fatica si staccò da lui. Il contatto con la sua barba in ricrescita era strano sotto le dita, non l’aveva mai fatto con nessuno, o meglio, non si era mai ritrovata ad accarezzare con quella diligenza il viso di nessun altro ragazzo.
Si diresse verso il tavolino e aprì la borsa, uscendo il piccolo quadretto che aveva preso dal suo appartamento.
-Ecco, qui- disse, allungando un po’ le braccia per vedere meglio quel disegno. Era una tela di dimensioni medio-piccole che rappresentava le luci di New York viste dal suo appartamento.
Non aveva un valore particolare quel quadro per lei, ma l’aveva scelto per i colori accesi e brillanti che aveva usato per dipingere le luci: avrebbero dato un tocco di colore a quella stanza bianca e asettica.
Si guardò attorno, indecisa su dove posizionarlo e alla fine optò per metterlo accanto all’orchidea che aveva comprato la settimana prima.
Se avesse continuato di quel passo, alla fine avrebbe riempito quella mensola di cianfrusaglie e le inservienti o il primario le avrebbero buttato tutto, o peggio, al suo risveglio, Michael avrebbe trovato tutta quella roba e avrebbe sicuramente pensato di essere stato vittima di stalking nel frattempo, stile fan sfegatate che lasciano vicino le case delle proprie star preferite peluche e lettere d’amore.
Dopo aver sistemato il quadro, appoggiandolo sul muro e posizionandolo leggermente inclinato, si girò a guardare Michael, quasi si aspettasse un suo giudizio o un suo parere su quel regalo.
-Spero ti piaccia- disse amaramente, tornando a fissare il ragazzo e ripercorrendo con gli occhi quei suoi perfetti lineamenti, ma Michael ovviamente non rispose, rimanendo inerme nel letto.
Sarah sospirò, sollevando lo sguardo verso l’orologio appeso vicino la porta: erano quasi le otto.
-Ora, devo andare- aggiunse amareggiata, con quel familiare senso di inadeguatezza, misto a tristezza che la colpiva sempre quando abbandonava quella stanza.
Sarebbe ritornata l’indomani, si disse, magari portando un bel libro da leggere così da condividerlo con Michael.
Sì, sarebbe stata una buona idea.
Si infilò il giubbotto, mise a tracolla la borsa e si fermò vicino al letto, per salutare il ragazzo. Si portò una mano sulle labbra ed impresse un leggero bacio, per poi allungare la stessa e toccare con la punta delle dita la guancia di Michael.
-Ci vediamo domani, Michael- gli disse la ragazza, scossa quasi da elettricità quando ritoccò la pelle del ragazzo, apprezzando di nuovo il leggero solletichio che la sua barba le causava sotto i polpastrelli.
Veloce si ritrasse, quasi a voler troncare quel momento per paura di non riuscire ad allontanarsi. Si girò e uscì fuori da quella stanza, pensando già all’indomani.


Michael rimase steso sull’erba.
Il sole era quasi calato e stava avvertendo freddo.
Girò la testa verso Sarah, ma non la trovò più.
Ormai era quasi abituato a quelle uscite di scena. La ragazza prima c’era e poi spariva.
Non aveva ancora ben capito come funzionasse quel meccanismo, ma sapeva solo che ogni volta che lei se ne andava, una profonda sensazione di sconforto lo assaliva, congelando quasi il tempo e la realtà in cui viveva.
Era vero, sarebbe tornata l’indomani, e in fondo ventiquattro ore non erano molte, soprattutto se si aveva qualcosa da fare, ma il problema era che lui non aveva qualcosa da fare e questa cosa lo gettava in un totale stato di insofferenza.
Non riusciva a capire perché si sentiva così, non riusciva a capire perché il tempo sembrava scorrere a rilento, o peggio, non scorrere affatto. L’unico spiraglio di luce era lei, la sua voce, quello che percepiva quando lo sfiorava e le emozioni che provava quando Sarah gli raccontava i suoi pensieri, le sue storie e gli descriveva i suoi quadri.
Chiuse gli occhi, conscio del fatto di stare per risprofondare in quello stato confusionario e quasi adimensionale come di consueto.
Con poca sorpresa notò anche che quel fastidioso dolore alla testa era ritornato.

***
Eccomi ritornata con l'aggiornamento settimanale!
Vi avevo promesso un capitolo in cui c'erano solo Michael e Sarah ed ecco a voi, spero vi sia piaciuto quanto mi è piaciuto a me scriverlo.
E' un'ambientazione un po' ottocentesca e bucolica ma considerando i soggetti, credo sia più che azzeccata.

Il Green Wood Cemetery è un cimitero monumentale che esiste veramente a NY e malgrado i pareri comuni, io lo trovo bellissimo e pieno di arte esattamente come Sarah e per questo ho deciso di ambientare questo capitolo proprio lì!
Ringrazio tutti quelli che continuano a mettere la storia tra le seguite e le preferite!
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo!

P.s. il prossimo aggiornamento dovrebbe ritornare martedì prossimo, ma se sono in vena di fare festa, dato che domani ho un esame, potrei anche aggiornare prima!

P.s. 2 Ma anche voi state avendo problemi con la pubblicazione attraverso il programma Html di Efp?

xoxo
M.


 

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Capitolo 5
*** 5 ***


5
 
 
Sarah si svegliò di soprassalto. Il rumore della sveglia del telefono la confuse, stava dormendo profondamente e il battito del suo cuore subì una leggera accelerazione per lo spavento.
Stordita dal sonno, sporse la mano e guardando lo schermo del cellulare la spense, già irritata da quel suono metallico che l’aveva riportata nel mondo reale.
Si alzò controvoglia con un leggero dolore alla schiena e strisciò in bagno a darsi una sciacquata.
Mentre cercava di rassettare un po’ la stanza dalla catasta di robe sparse un po’ ovunque, mise a fare il caffè e attese con pazienza.
Quel giorno avrebbe lavorato solo la mattina al supermercato e avrebbe avuto l’intero pomeriggio libero, pranzo compreso. Una strana sensazione di contentezza l’assalì, pensando alle ore libere che l’attendevano da poter impegnare come meglio credeva, e lei aveva già un’idea.
Aveva promesso a Michael che lo sarebbe andata a trovare anche quel pomeriggio e aveva pensato di portare con sé un bel libro da leggere per passare il tempo. Si vestì con la divisa arancione e blu del minimarket, e pose le sue robe in un borsone. Aveva in programma di mangiare una cosa al volo e passare subito dall’ospedale. Allora che ci pensava in quelle settimane aveva trascurato anche un po’ l’opera di volontariato che portava avanti da qualche anno. Bill e Tuck la vedevano quasi ogni giorno, era vero, ma non le avevano mai chiesto che diavolo facesse quasi per tutti i pomeriggi in camera di Michael. Era vero anche che Tina era da qualche giorno che non la chiamava, perciò aveva approfittato della situazione per passare un po’ di tempo assieme al ragazzo.
Sospirò tristemente, come ogni volta che pensava a lui, ma non si fece scoraggiare d’animo.
Si avvicinò alla sua libreria personale e prese un libro di racconti, infilandolo nella borsa. Si chiese se Michael avesse letto mai qualche libro. Solitamente i ragazzi di bell’aspetto come lui non erano molto propensi a leggere, nemmeno a studiare, però cercò di non preoccuparsi più di tanto. In fondo il ragazzo non le avrebbe certamente potuto rispondere “No, non voglio leggere nessun libro”.
Si maledisse quasi per la crudezza di quel pensiero, carico di verità purtroppo, ma si riprese subito, distratta da un altro pensiero.
“Chissà che voce ha Michael” pensò.
Quella domanda quasi la stravolse.
Lei aveva una malsana ossessione per le voci, o meglio, era una delle prime cose che la colpiva di una persona, e ritrovarsi a pensare come potesse essere quella di Michael la scosse. Uno strano senso di ansia la colpì, causandole una leggera tachicardia. Era strano ritrovarsi a pensare a quei dettagli, al fatto che dietro il corpo immobile e freddo di quel ragazzo ci potesse essere effettivamente un ragazzo vivo, in carne ed ossa, con passioni e interessi comuni. Erano domande che si poneva ogni giorno, ogni volta che era con lui nella stanza d’ospedale.
Di che colore erano i suoi occhi? Che voce aveva? Aveva una fidanzata? Che college aveva frequentato? E perché era sempre maledettamente solo?
Allora che ci pensava avrebbe dovuto chiedere a Tina o a qualche medico se le sue condizioni durante quei giorni fossero migliorate. Le escoriazioni si erano visibilmente quasi rimarginate, ma riguardo il riassorbimento dell’ematoma interno non sapeva nulla. 
Ecco che provava di nuovo quella strana sensazione allo stomaco mista ad una leggera tachicardia. Possibile che quel ragazzo le causava certe sensazioni benché le fosse praticamente sconosciuto? Ma soprattutto, come era possibile che la costringeva a fare cose che lei avrebbe probabilmente additato da pazzi?
Costringeva, si ripetè. Lui non la costringeva a fare nulla, anzi, era in coma in un letto di ospedale, non c’entrava proprio nulla in tutta quella storia.
L’artefice di tutto era stata solo lei: la verità era che aveva bisogno di qualcuno e quello era sicuramente un modo molto bizzarro per avvicinarsi ad una persona.
Cacciò a forza quei pensieri dalla sua testa e decise di uscire, quasi ansiosa di iniziare a lavorare per non pensare momentaneamente a lui.
Mentre era per strada e cercava di scansare i passanti che sembravano avere dei paraocchi al posto degli occhiali da sole, il telefono nella tasca del giubbotto le vibrò con sorpresa.
Di solito sua madre la chiamava sempre o all’ora di pranzo, mentre lei stava impazzendo tra i fornelli per prepararsi qualcosa da mangiare, oppure prima di andare a letto la sera, perciò sentendo squillare il cellulare pensò che fosse successo qualcosa.
Con sorpresa vide che sullo schermo del cellulare non c’era il numero di sua madre, ma quello di qualcuno che non sentiva da tempo.
-Pronto?- rispose con curiosità, convinta del fatto che l’interlocutore avesse sbagliato numero.
-Ciao Sarah!- fece una voce squillante e attiva dietro il ricevitore.
La ragazza fu costretta ad allontanare un po’ il telefono dall’orecchio.
-Ciao Karen, come va? E’ successo qualcosa?- chiese Sarah, interdetta da quella chiamata inaspettata. Non sentiva Karen da almeno un anno e mezzo e non riusciva davvero ad immaginare il motivo di quella chiamata.
-No, Sarah, non è successo nulla!- Esclamò Karen un po’ risentita. Non c’era per forza bisogno che fosse successo qualcosa per sentire una sua amica. –Come stai? Sei ancora a New York, vero?- aggiunse la ragazza.
-Oh, ehm, bene. Grazie- fece Sarah, leggermente imbarazzata per aver dato per scontato che quella fosse una chiamata di comodo. –Comunque sì, sono ancora in città. Se vuoi ci possiamo vedere uno di questi giorni- continuò.
-Se ci vedessimo oggi?- chiese a bruciapelo l’amica, impaziente di una risposta positiva.
-Oggi?- ripetè poco convinta e un po’ scocciata Sarah, cercando di pensare ad una scusa più che convincente per rimandare quell’incontro.
-Dai! Oggi ci siamo tutti. Tu, io, Cecily, Jordan, Trevor, Bryce e Liam!- esclamò entusiasta Karen.
Sarah chiuse un attimo gli occhi per fare mente locale su quei nomi: erano i suoi amici di liceo che non vedeva da una vita, anzi, da quando il liceo era finito, quindi esattamente da più di tre anni.
Riaprì improvvisamente gli occhi, giusto in tempo per scansare un signore con il cane a spasso e potergli mimare con le labbra un “mi scusi”.
-Allora? Non accetto un “no” come risposta. Già l’anno scorso ci hai fatto il bidone non presentandoti all’appuntamento, quindi quest’anno devi per forza esserci. Sono tutti impazienti di rivederti!- sindacò Karen.
Sarah sospirò, conscia del fatto che tutti i suoi piani per il pomeriggio sarebbero andati in fumo e che probabilmente non avrebbe fatto a tempo ad andare in ospedale.
-Va bene- rispose con poco entusiasmo, andando già in crisi su cosa avrebbe dovuto indossare.
-Perfetto- esclamò Karen, soddisfatta della risposta positiva di Sarah. –Ti mando in mattinata un messaggio con l’ora e il posto-
Le due ragazze riattaccarono e Sarah riprese la sua camminata verso il supermercato. Quella giornata sembrava essere partita per il verso sbagliato: non solo aveva iniziato a pensare e ripensare a cosa fosse successo in quegli ultimi giorni già da prima mattina, ma ci si stava mettendo anche la rimpatriata di classe.
Non era molto contenta di quella cosa, ma nemmeno tanto triste. Vedere persone all’infuori delle sue colleghe al supermercato, degli inservienti dell’ospedale e di Michael, probabilmente le avrebbe fatto bene. In quel periodo si era lasciata un po’ sopraffare dalla malinconia e dalla solitudine, se l’era quasi imposto: nessuna distrazione. Era così intenta a cercare di creare qualcosa di buono tra i dipinti e le fotografie, ed era sempre così perennemente alla ricerca dell’ispirazione che le sarebbe valsa l’occasione della vita, che aveva trascurato tutto e tutti, dimenticandosi quasi di vivere.
Pensò ai ragazzi che avrebbero preso parte a quell’incontro, cercando di focalizzarne i visi e le storie. Era davvero tanto tempo che non li vedeva. Probabilmente tutti loro si erano iscritti al college prendendo la facoltà che più gli piaceva, e avrebbero raccontato cose grandiose riguardo la vita da studenti tra le confraternite, le feste e chissà cos’altro. E lei invece che avrebbe raccontato? Che lavorava in un supermarket per pagarsi l’affitto e i materiali per i suoi quadri che sembravano non essere notati da nessuno? O che parte dell’affitto serviva per far sviluppare le centinaia di foto che scattava e che inviava ovunque, pur di avere un briciolo di speranza nell’essere notata?
Forse accettare quella rimpatriata era stato un errore. Ci cascava sempre, come ogni volta che aveva a che fare con il passato: un senso di angoscia ed inquietudine la attanagliava ogni volta che pensava a cosa gli altri avrebbero potuto pensare delle sue scelte, e come se non bastasse si sentiva sempre inferiore a tutti quei ragazzi che andavano al college. Si sarebbe sentita inferiore anche quel pomeriggio, circondata dai suoi vecchi amici di classe che probabilmente l’avrebbero sbranata con le loro domande sulla sua vita privata e sul suo impiego, ed era quasi tentata dal disdire inventandosi una scusa all’ultimo secondo, ma la parte più razionale di lei la costrinse a scacciare quei pensieri depressi dalla sua mente, e di cercare di godersi un po’ la vita, andando a salutare quei ragazzi.
Ci vediamo al caffè francese alle quattro” le aveva scritto Karen a metà mattinata, mentre lei stava passando in cassa in maniera meccanica alcuni prodotti che la signora di fronte aveva acquistato.
Sarah salutò garbatamente la signora e poi prese il cellulare per rispondere. Non fece in tempo ad andare alla sezione messaggi che Karen gliene aveva già inviato un altro.
Se mi dici dove abiti, passo a prenderti e possiamo andarci insieme
La ragazza alzò un po’ gli occhi al cielo, quel genere di situazioni la mettevano sempre alle strette e non voleva costringere Karen a raggiungerla sotto casa sua, ma pensò anche che se la ragazza gliel’aveva chiesto, probabilmente non ci vedeva nulla di male.
Sarah le scrisse l’indirizzo e si accordò con Karen per il pomeriggio.
Ritornò subito a lavoro perché si stava avvicinando l’orario di punta nel supermercato, e molte clienti avevano già iniziato a fare la fila per pagare i prodotti.
Tolse via il cellulare per evitare di essere ripresa e si immerse in quella lunghissima e meccanica attività.
Arrivò subito l’orario di staccare, e appena l’altra collega la raggiunse per darle il cambio, lasciò la cassa e si diresse sul retro del magazzino, per prendere le sue cose e andare a casa.
Nel tragitto verso gli spogliatoi incontrò il dirigente del reparto che la informò che il giorno successivo avrebbe dovuto fare di nuovo il turno prolungato a causa della malattia di un’altra collega.
Sarah annuì senza ribattere, spronata dal fatto che almeno quel mese le avrebbero pagato gli straordinari.
Ritornò nel suo appartamento e rimase a fissare per un tempo indefinito il suo armadio. Che avrebbe dovuto indossare? Non voleva andare in felpa e jeans, era pur sempre un posto abbastanza carino, ma non avrebbe nemmeno voluto mettersi una gonna o qualcosa di simile dato che non era nemmeno un evento formale.
-Prima o poi dovrò andare a fare un po’ di shopping- ripeté tra sé, cercando con gli occhi e le braccia conserte qualcosa che potesse andare bene per l’occasione.
Rimase per qualche minuto a guardare i capi e alla fine decise per qualcosa di comodo e di poco sofisticato.
Indossò un jeans scuro e aderente da indossare con un paio di stivali neri in pelle e una maglia larga, molto comoda, avana, con inserti in pelle sugli avambracci e scollatura asimmetrica che lasciava scoperta una spalla.
Si truccò leggermente come era solita fare quando usciva con gli amici, e aggiustò i capelli in una lunga treccia laterale a spina di pesce che le arrivava fin sotto al seno. I suoi capelli neri, colpiti dalla luce, assumevano quegli strani riflessi rossi che le piacevano particolarmente.
Si diede un’occhiata veloce allo specchio, e considerandosi più o meno accettabile, preparò la borsa.
Decise comunque di portare con sé il libro da portare a Michael, sperava di poter fare presto e passare almeno una mezz’ora da lui quel giorno, conscia del fatto che l’indomani probabilmente le sarebbe stato difficile passare, dal momento che avrebbe lavorato fino a tardi.
Guardò la copertina di “Gente di Dublino” di James Joyce e ripose il libro nella borsa. Prese il cellulare e il portafoglio e li buttò dentro, assieme alle chiavi di casa e alla sua agendina, dove annotava tutto ciò che la ispirava camminando per strada, o guardando i grattacieli della trafficata Grande Mela.
L’indomani, appena tornata a casa dal supermercato, avrebbe dovuto assolutamente spulciare in rete qualche nuovo concorso, oppure avrebbe dovuto lasciare un recapito a qualche studio d’arte o fotografia, giusto per non perdere l’abitudine all’ansia e alla frenesia che c’era dietro a quel lavoro.
Il cellulare le vibrò nella borsa e prendendo atto che Karen era giù che l’aspettava, prese tutto in fretta e furia e scese per non farla aspettare troppo.
In realtà se non fossero dovute andare al Caffè, avrebbe anche invitato la ragazza a salire sopra, ma l’occasione non lo permetteva.
-Ciao Karen!- la salutò facendole un grande sorriso che riservava a pochi.
Non vedeva quell’amica da più di un anno, e trovarla sempre uguale, malgrado i mesi passati, le fece molto piacere.
Karen si sporse verso Sarah e corse ad abbracciarla, era sempre stata molto espansiva con tutti e lo era ancora di più se i sentimenti che provava erano veri.
-Ciao Sarah!- esclamò, gettandosi al collo della ragazza e stringendola forte a sé. –Come stai? Ti trovo benissimo! Quanto tempo è passato? Non ci vediamo da secoli!-
-Ehi! Ehi! Aspetta!- le disse Sarah ricambiando all’abbraccio e bloccando l’amica che la stava sommergendo di domande da nemmeno un minuto che l’aveva vista. Il suo entusiasmo la coinvolse e involontariamente si ritrovò a fissare con un gran sorriso la ragazza in volto.
Karen era minuta, sul metro e sessanta, con capelli ondulati e tendente al biondo, occhi chiari, quasi verde acqua e un grande sorriso caldo e rassicurante. Non c’era da meravigliarsi se più di metà classe le andasse dietro al liceo o se fosse sempre tra i protagonisti degli spettacoli teatrali o musical organizzati dall’istituto.
-Hai ragione, scusami!- fece di risposta Karen, lasciandola andare –Ma è da troppo che non ti vedevo! Che fine hai fatto? Perché non mi hai mai chiamato?- continuò a chiedere lei, ignorando del tutto il fatto che stava nuovamente tartassando Sarah di altre domande.
-Lo so, sono sparita- le rispose Sarah sincera e comprensiva. –E’ che in questi anni la mia vita è stata frenetica, non mi sono fermata un attimo- fece, cercando di trovare una scusa plausibile al suo comportamento.
Karen la guardò di sottecchi, non ritenendo possibile che quella scusa fosse plausibile per quegli anni di silenzio, ma decise di passare oltre, in fondo erano tutti cambiati, Sarah era cambiata, lei stessa era cambiata, perciò capì che forse la ragazza non voleva semplicemente essere trovata.
-Comunque, riserverai queste scuse a tutti gli altri quando li incontreremo!- commentò ironica, facendo l’occhiolino e iniziando a camminare di nuovo.
-Dici che non va bene come scusa?- chiese Sarah, stando al gioco dell’amica.
-Beh, sarebbe potuta andare bene se non ti fossi fatta sentire per due mesi, non per due anni- commentò sincera Karen, che era sempre stata una con pochi peli sulla lingua.
Sarah attribuiva la sua sincerità a quel suo aspetto tenero e dolce: nessuno si sarebbe mai permesso di dare addosso ad una ragazza così carina e fine.
-E poi Bryce sarà proprio curioso di sapere dove sei stata tutto questo tempo- aggiunse maliziosa.
A sentire quelle parole Sarah arrossì, alzando gli occhi al cielo. Era da tempo che non pensava a lui e quasi aveva rimosso i trascorsi.
-Mah, non credo. Sicuramente sarà stato indaffarato con qualche cheerleader del suo college- commentò, cercando di sviare il discorso nuovamente.
Quella era la ragione per cui non voleva vedere nessuno appartenente al suo passato: tutto ciò che lei si era sforzata di rimuovere e superare in quei quattro anni, doveva sempre essere ripreso e riaffrontato a causa della spicciola curiosità altrui.
-Comunque, davvero. So che il mio comportamento non è stato dei migliori, ma non mi sono allontanata per una ragione specifica. Purtroppo in questi anni ho imparato a badare a me stessa, a cavarmela con le mie sole forze, e sono stata così motivata dal cercare una ragione a tutti i sacrifici e agli sforzi che stavo facendo, che ho lasciato tutti fuori dalla mia vita- aggiunse, questa volta seria e meno infastidita.
Sapeva che con Karen poteva confidarsi, era pur sempre stata una delle sue migliori amiche al liceo. L’atleta e la cheerleader, era quello il loro appellativo quando passavano per i corridoi dell’istituto.
–Sto cercando da anni così insistentemente di farmi notare da qualsiasi studio o galleria d’arte, che ho perso di vista quello che è davvero il senso della vita. E l’unica ragione per cui lo sto facendo è perché vorrei autoconvincermi che la scelta di non continuare il college sia stata la migliore. Ed ho una terribile paura di aver fatto la scelta peggiore- disse improvvisamente, confessando quelle cose che non aveva detto mai a nessuno proprio a Karen, che non vedeva da tantissimo.
Sentiva il bisogno di chiarire, di dare una motivazione a quel suo comportamento così insensato e voleva far in parte capire a Karen che era stata quasi costretta a fare quelle scelte, più per vergogna che per convinzione.
La ragazza bionda si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e rimase qualche secondo in silenzio per raccogliere le idee. Non aveva mai pensato che il comportamento di Sarah di quegli anni fosse dovuto a quella cosa e si stava quasi sentendo in colpa di averla accusata di essere sparita.
-Non sei l’unica che ha scelto di non andare al college e di provare a fare ciò che più ti piace fin da subito- rispose seria a quelle parole –Anzi, per come la vedo io, cercare di affermarsi con le proprie forze, lavorando e guadagnandosi da vivere, è molto più da apprezzare rispetto a tanti altri che perdono solo tempo, o che sono mantenuti dai loro genitori solo perché gli fa comodo- concluse, mostrando una maturità che Sarah stentava a riconoscere in lei.
La mora sospirò, portandosi dietro l’orecchio un ciuffo di capelli che le ricadeva sul viso. Era bello sentirsi dire certe cose. L’unico che l’aveva fatto fino a quel momento era stato Jonathan, il proprietario di un bellissimo caffè in cui andava spesso.
Fece un sorriso sincero alla sua amica e poi istintivamente, con uno slancio di affetto che fino a quel momento aveva riservato a ben pochi, l’abbracciò, provocando quasi un mini incedente tra pedoni sul marciapiede.
-Oggi sono banditi discorsi seri e tristi, ti avverto!- fece Karen qualche minuto dopo.
–Dobbiamo solo divertirci e passare un bel pomeriggio insieme!- l’ammonì, strappando un lieve sorriso alla mora.
Dopo aver preso un taxi, le due ragazze arrivarono al luogo dell’appuntamento con qualche minuto di anticipo e sfruttarono quel tempo per raccontarsi gli eventi degli ultimi anni. Sarah scoprì piacevolmente che fino a quel momento le era davvero mancato avere un’amica, le era mancato parlare con qualcuno che l’ascoltasse e che sembrasse davvero interessato alle cose che pensava, e si scoprì piacevolmente di buon umore, malgrado il suo iniziale rifiuto ad andare a quell’appuntamento. Non era mai stata logorroica, era sempre stata una ragazza di poche parole, nei commenti e soprattutto nelle confidenze. Tendeva a tenere tutto dentro di sé e quella situazione era stata rafforzata dal fatto che viveva da sola e che durante il giorno parlava solo con le sue colleghe di lavoro, con gli inservienti dell’ospedale quando faceva volontariato, con Jonathan o con gli organizzatori di eventi fotografici o d’arte. Aveva fatto l’abitudine a passare gran parte del tempo da sola, o a condividerlo con persone con cui poteva dire di avere solo un rapporto lavorativo e professionale e non confidenziale, e ritrovarsi lì a parlare con Karen dei divertenti aneddoti passati del liceo o di ciò che aveva fatto in quel periodo, la fece sentire quasi più leggera e più sicura di sé, soprattutto perché ogni volta che accennava alla sua partecipazione a mostre, conferenze e altre riunioni del genere, Karen strizzava gli occhi quasi incantata e incredula.
-E quando partecipi a questi eventi, ti costringono a vestirti bene?- chiese improvvisamente la bionda, già immaginando quanti vestiti potesse avere Sarah nell’armadio per poter partecipare a tutti quegli eventi.
-Diciamo che sarebbe auspicabile- rispose divertita Sarah, sorridendo davanti all’espressione completamente attonita che Karen aveva assunto davanti a lei. –Ma sai che se potessi, passerei la mia esistenza in tuta, felpa e scarpe da ginnastica- aggiunse, sottolineando il fatto che in fondo era sempre la stessa ragazza del liceo, solo un po’ più intraprendente dal punto di vista lavorativo. Purtroppo le ansie, le paure e i complessi erano sempre lì invece, fissi, e pronti all’agguato.
-Quando organizzerai una mostra con i tuoi quadri, invitami, voglio proprio vedere come cammini sui tacchi!- commentò Karen, che ancora stentava a credere a quella cosa. Ricordava ancora la fatica immensa che fecero per trovare un vestito per il ballo della scuola che soddisfasse i gusti della mora, ma soprattutto l’immensa fatica che fecero nel trovare un paio di scarpe che a Sarah risultasse comodo.
-Mmm, dove andate con i tacchi?- fece una voce maschile alle loro spalle. Le ragazze si girarono insieme e trovarono il resto dei loro amici intenti a raggiungerle.
-Ehi, non si origliano le conversazioni!- esclamò Karen a gran voce, correndo verso i ragazzi e salutandoli calorosamente.
Il ragazzo che aveva parlato era Jordan, asso imbattibile in matematica, che studiava ingegneria informatica ad Harvard. Era la cosa più vicina ad un migliore amico che Sarah avesse mai avuto durante gli anni del liceo.
Karen abbracciò prima lui e poi tutti gli altri, mentre Sarah avanzò timidamente, totalmente ignara di come i suoi amici potessero reagire alla sua presenza. Avrebbe voluto salutare anche lei Jordan così calorosamente, dirgli che le era mancato e che era orgogliosa di come stesse andando la sua carriera universitaria, ma quasi come fosse stata colpita da un blocco, da una sorta di ansia da palcoscenico, rimase in disparte, in attesa che quei ragazzi la notassero.
All’appello mancava solo Trevor, che da quanto gli altri stavano spiegando a Karen, aveva dovuto disdire all’ultimo minuto per problemi di famiglia.
-Chi non muore si rivede- disse improvvisamente una persona avvicinandosi a Sarah. La ragazza aveva già capito chi fosse, e nel sentire il suo timbro basso e così vibrante, percepì quasi un brivido dietro la schiena.
-Bryce- lo salutò lei, leggermente in ansia per la sua vicinanza a quella del ragazzo con il quale non interagiva da tempo.
-Non mi dai nemmeno un bacio?- chiese il ragazzo, guardandola con occhi vispi e assumendo una strana espressione. Sarah rimase qualche secondo in silenzio, aveva notato come Bryce la stava guardando, come la stava squadrando letteralmente dalla testa ai piedi, e conoscendo il soggetto, avrebbe potuto anche sapere cosa stesse pensando in quel momento.
-Andiamo Bryce, stai già importunando Sarah?- disse un altro ragazzo avvicinandosi ai due.
Con immensa gioia Sarah riconobbe Jordan e lo abbracciò senza timore.
-Perché diavolo non mi hai più chiamato?- disse il ragazzo, dopo che l’ebbe stretta a sé e le ebbe dato un tenero bacio d’amicizia sulla guancia.
Bryce guardò tutta la scena in silenzio, un po’ geloso della confidenza che Sarah riservava a Jordan e non a lui.
-Ah, vedo che almeno è una condizione comune- commentò il ragazzo con un pizzico di stizza, allungando un braccio e sporgendosi verso Sarah, per rubarle anche lui un bacio sulla guancia.
Sarah sentì il braccio di Bryce cingerle la vita e si sporse per assecondarlo. Gli baciò dolcemente la guancia e poi si ricompose, scorgendo velocemente la sua figura.
Bryce l’aveva sempre intrigata in qualche modo e benchè non fosse davvero il suo tipo, aveva sempre avuto un grande ascendente su di lei sia perché, al contrario di altri, aveva capito come interagire con lei e come assecondarla,  e sia perché, oggettivamente, era un gran bel ragazzo. I suoi capelli scuri e mossi, il suo fisico da nuotatore e i suoi occhi cervone, che erano in grado di sciogliere qualsiasi ragazza con un leggero sguardo, avevano fatto capitolare parecchie studentesse nel loro liceo.
Sarah distolse lo sguardo da quello del ragazzo, il quale era rimasto a guardarla con uno strano sorrisetto stampato in volto, e salutò il resto del gruppo.
-Bene, direi che possiamo andare!- esordì in fine Karen, prendendo Cecily sotto braccio e trascinando il resto del gruppo nel locale.
 
-Quindi, fatemi ricapitolare- stava dicendo Jordan, che era sempre stato un bravo intrattenitore. –Siamo tutti qui riuniti perché siamo a New York senza nulla da fare- continuò, soffocando una risatina.
-Voi due studiate alla Columbia, quindi è ovvio che non abbiate nulla da fare!- esclamò Cecily divertita rivolgendosi a Liam e a Karen, portandosi con foga una ciocca di capelli rosso fuoco dietro la spalla, che quasi colpirono Bryce, seduto di fianco a lei.
-Ehi! Non è vero!- rispose piccata Karen, dando un colpetto nello stomaco a Liam che invece di difendere la loro università, se la stava ridendo di gusto.
-Ehi, Ehi! Tra tutti qui, l’unico che si fa il culo è il sottoscritto!- ribattè Jordan, seduto vicino Sarah.
-Mmm, e a fare cosa? Ad inventare una nuova applicazione per il cellulare?- lo punzecchiò Bryce. Il rapporto tra i due era sempre stato di quel tipo. Amavano infastidirsi a vicenda ed entrare in competizione per tutto, ragazze comprese.
Jordan lo guardò di sottecchi, pronto a sfoderare la sua solita battutina.
-Guarda che quello che si è guadagnato un posto a Boston solo perché fa un po’ di sport, sei tu, non io- fece il ragazzo, sfoderando un sorrisetto che quasi sembrava un ghigno. Sarah guardò divertita tutta la scena, era seduta di fianco a Jordan, mentre Bryce le era di fronte, e avrebbe scommesso che Bryce, se si fossero trovati in un altro contesto, avrebbe preso a parolacce Jordan, per quella battuta. Ma il moro rimase in silenzio, commentando in maniera molto pacata quelle parole.
-Allora, Sarah. Quando ci inviterai alla tua mostra d’arte?- esordì Cecily improvvisamente, che si sporse verso di lei sorseggiando il suo caffè nero.
-Eh, non appena riuscirò a convincere qualcuno a concedermi uno spazio, sarete i primi a cui lo dirò- rispose un po’ nervosa e imbarazzata la ragazza. Ecco, proprio di quello di cui non voleva parlare.
Abbassò un po’ lo sguardo e improvvisamente si senti gli occhi di tutti i presenti puntati addosso.
-Ma ti occupi anche di fotografia di moda?- continuò a chiederle Cecily, che era sempre stata una fanatica di quegli argomenti.
-Qualche volta. Dipende da quali sono le richieste- rispose Sarah, cercando di sfoderare la sicurezza che la caratterizzava quando spiegava a terzi di cosa si stava occupando.
-Oh, ma allora ti sommergeranno di vestiti per i servizi fotografici!- esclamò Karen, che apparve molto entusiasta di quella cosa.
-Sì, peccato che sono costretta a ridargli in dietro la maggior parte delle volte, oppure se decidono di lasciarmeli sono di una taglia microscopica!- rispose la ragazza, iniziando a toccarsi nervosamente la punta della treccia che le ricadeva sul petto.
-Mmm, e lavori anche con i modelli?-
La domanda di Bryce la spiazzò, soprattutto perché era stata posta con un tono strano, quasi allusivo e malizioso.
-Non sempre, ma mi è capitato- rispose Sarah, girandosi a guardarlo e trovandolo con le braccia conserte, mentre la scrutava attento.
-In realtà mi piace più fotografare i paesaggi, o i monumenti: la fotografia di moda non mi attira molto- aggiunse deglutendo, dopo che lo sguardo del ragazzo la stava letteralmente sciogliendo.
-Beh, però deve essere comunque stimolante- fece Jordan al suo fianco, il quale aveva intuito l’imbarazzo di Sarah e l’insistenza nello sguardo di Bryce.
Jordan era a conoscenza di tutti i  trascorsi che c’erano stati tra i due, e sapeva anche quanto Bryce potesse essere persuasivo in determinate situazioni, e quanto invece Sarah fosse acconsenziente: un binomio pericolosissimo.
-Beh, sì. E’ comunque un ambiente molto stimolante dal punto di vista creativo. Poi è sempre una grande soddisfazione vedere le proprie foto o le proprie opere pubblicate su qualche sito di moda o su qualche rivista online- rispose Sarah, rivolgendo un sorriso al suo amico.
Il pomeriggio passò in fretta tra i racconti delle esperienze vissute da ognuno di loro, e qualche divertente battuta.
Sarah iniziò a sentirsi piacevolmente a suo agio tra quei ragazzi, ritornando a vivere quasi l’atmosfera di spensieratezza e leggerezza che percepiva al liceo e ignorando quel senso di inadeguatezza che aveva provato per tutto il giorno. In fondo non aveva davvero nulla di meno di quel gruppo di studenti i quali, tra l’altro, non avevano fatto altro che ripeterle durante tutto il pomeriggio quanto apprezzassero il suo lavoro.
Fu colpita da un’ondata di tristezza quando dovettero tutti salutarsi e mettersi d’accordo per il prossimo incontro.
-Sarah, la prossima volta dovrai esserci. Per forza!- sentenziarono Karen e Cecily dopo averla abbracciata.
-Quando volete!- commentò sincera Sarah, che non avrebbe inventato più scuse per saltare la prossima rimpatriata.
-Beh, noi rimaniamo in città per qualche altro giorno- disse Jordan –Una di queste sere possiamo anche uscire tutti insieme di nuovo!-
-Ci sto!- esclamò Liam, che non vedeva l’ora di rincontrare di nuovo Cecily.
-Allora è andata- fece Karen, salutando poi tutti con un bacio.
Sarah si sporse per salutare Jordan e poi Bryce. Il ragazzo la guardò velocemente e poi si chinò verso di lei, per dirle una cosa nell’orecchio.
-Ti accompagno a casa, ti va?- chiese lui con la sua voce profonda e sorridendole leggermente. Sarah incontrò i suoi occhi magnetici e penetranti e arrossì leggermente per quella proposta.
-Ok- commentò la ragazza, stringendo un po’ di più tra le mani la tracolla della borsa.
-Noi andiamo di là- esclamò Bryce rivolto al gruppo pronto a congedarsi. –Allora, ci sentiamo per la prossima uscita!- aggiunse, iniziando a camminare e prendendo Sarah sotto braccio.
Sarah rivolse un ultimo sguardo a Karen, che le lanciò un sorrisetto malizioso, e poi a Jordan, che invece le fece l’occhiolino e le mimò con una mano un telefono, intendendo che avrebbero dovuto sentirsi nei prossimi giorni.
Mentre stavano procedendo a piedi lungo il marciapiede, Sarah percepiva insistente lo sguardo di Bryce su di lei, e non riusciva a capire perché il ragazzo stesse mostrando tutto quell’interesse, visto che lei l’aveva ignorato per quasi due anni.
-Allora- esordì lui, sciogliendo il braccio da quello della mora. –Come va? E sul serio intendo- chiese, girandosi a guardarla.
Sarah deglutì e si sentì leggermente nervosa. Era da tanto, tantissimo tempo che quel ragazzo non le mostrava interesse e si sentiva davvero come se fosse tornata al liceo, quando il moro la importunava per cercare di attirare la sua attenzione.
Rispose in maniera sincera, senza trapelare nessuna emozione, e Bryce l’ascoltava in silenzio, cercando di raccogliere le idee per le sue prossime domande.
-Sto cercando di tenermi impegnata e di cercare di sfruttare al meglio tutte le opportunità che mi capitano- commentò, iniziando a torturarsi la punta della treccia tra le dita.
-Hai un ragazzo?- le chiese a bruciapelo Bryce, senza nemmeno farla finire di parlare.
Sarah si fermò in mezzo alla strada e si girò a guardarlo confusa. Il moro si passò una mano tra i capelli mossi e folti e la guardò facendole un sorriso d’intesa.
-Perché mi fai questa domanda?- ribattè lei, cercando di sviare il discorso e cercando di non farsi vedere agitata.
-Curiosità- rispose lui facendo spallucce e lanciandole un altro sguardo dei suoi. –Allora?-
Chiese di nuovo.
-No, non ce l’ho- rispose messa alle strette Sarah, alzando gli occhi al cielo. –E tu, invece? Ce l’hai una ragazza?- concluse canzonandolo, ponendogli la domanda con lo stesso tono di voce che aveva fatto lui.
Bryce scoppiò a ridere, ci avrebbe scommesso che gli avrebbe risposto così. Gli anni passavano ma lei era sempre la stessa, anche se fisicamente era molto migliorata.
-Qualche volta- rispose esaustivo, e rivolgendole un ghigno malizioso.
Sarah sorrise e scosse la testa, nemmeno per lui il tempo sembrava essere passato.
-Non avevo dubbi- commentò lei ironica.
-Figuriamoci!- commentò lui –E poi in questo modo nessuno soffre! Io sono single, loro anche!- aggiunse, giustificando il comportamento da sciupafemmine che l’aveva sempre caratterizzato.
-Grazie per questa magnanimità!- esclamò Sarah –Sono certa che mezza Boston ti è grata per questo!- terminò di dire sorridendo.
-Non mi posso lamentare!- commentò lui, riprendendo a fare domande inopportune con totale tranquillità.
-E ti sei vista con qualcuno in questi anni?- chiese, tornando a guardare fisso di fronte a sé.
Sarah si girò un attimo a guardarlo: si sbagliava o era leggermente imbarazzato?
-Bryce perché mi stai facendo tutte queste domande?- chiese sincera lei, confusa sul comportamento del ragazzo.
-Sei sparita per due anni interi, letteralmente, e per i precedenti tre ti avrò vista sì e no quattro volte- rispose con sincerità il ragazzo, assumendo un tono quasi serio.
-Lo so, mi dispiace- disse solo la mora, che ormai aveva imparato a dire solo quello per giustificarsi di tutti quegli anni di lontananza. –E’ stato un periodo difficile-
-Beh, avresti potuto farti aiutare. Ti ho chiamato decine di volte senza ricevere mai risposta-  ribattè lui fermandosi a guardare la sua reazione.
Sarah abbassò lo sguardo, non avrebbe voluto uscire di nuovo l’argomento.
-Devo dire che il tuo tempismo viaggia un po’ in ritardo- disse lei per sdrammatizzare e cercare di sviare il discorso.
-In che senso?- chiese lui confuso, passandosi di nuovo una mano tra i capelli.
-Beh, diciamo che avresti dovuto mostrare tutta questa premura e interesse nei miei confronti qualche anno fa- rispose Sarah.
-Sarah, sai benissimo anche tu che ho cercato di farlo, ho cercato di avvicinarmi a te ma non me ne hai mai dato la possibilità. Non hai mai nutrito molta fiducia nei miei confronti- fece Bryce, leggermente risentito da quelle parole. Sarah aveva sempre avuto un guscio, una muraglia invalicabile che mai nessuno era riuscito ad abbattere, lui compreso, e non perché non ci avesse provato, ma perché la ragazza sembrava non volesse far entrare mai nessuno dentro di lei, letteralmente e non.
-Se ti può consolare non nutro fiducia nelle persone in generale…- disse lei, colpita dallo sguardo affranto del ragazzo.
Bryce scosse la testa e guardò in alto, era incorreggibile, ma le piaceva anche per quello.
 –E comunque no. Non ho mai frequentato nessuno seriamente in questi anni. Non è una priorità al momento- commentò un po’ stizzosa.
-Non è questione di priorità e non- rispose Bryce prendendola per un polso e posizionando la ragazza di fronte a sé.
Sarah deglutì, quasi spaventata dallo sguardo profondo e magnetico del ragazzo in quel momento, ma cercò di non darlo a vedere.
-E poi, oggettivamente, tu sei a Boston, io qui a New York, è stato meglio così per tutti e due- fece lei, cercando di giustificare il rifiuto di qualche anno prima e capendo dove il ragazzo volesse arrivare con quelle domande. Non credeva che lui avesse ancora voglia di parlare della loro breve storia del liceo, e rimase particolarmente colpita di ciò.
Lei e Bryce erano sempre stati in sintonia, lui la affascinava e l’attraeva benchè non fosse il suo tipo di ragazzo, e durante l’ultimo anno di scuola si erano anche frequentati per qualche mese, per poi lasciarsi alle spalle ogni cosa all’inizio delle lezioni al college.
-Solo perché non ti fidavi di me e avevi paura che ti tradissi con qualcun’altra- commentò lui.
Colpita e affondata.
-Puoi biasimarmi?- chiese calma Sarah, cercando comprensione e cercando di far capire a Bryce il suo punto di vista. –Non sto dicendo che mi avresti sicuramente tradita, ma che, insomma, è il college, si sanno come vanno queste cose…- disse veloce.
-Non ti ha mai sfiorato l’idea che tu mi potessi piacere davvero, non è così?- domandò lui, secco e diretto.
Sarah si fermò un attimo. Bryce in tutti quegli anni era stato l’unico a mostrarle un relativo interesse e lei non aveva fatto altro che allontanarlo per paura di essere rifiutata e per la poca stima che nutriva per se stessa.
-E’ che…Bryce- disse lei, scandendo il suo nome –Lo sai come la penso. Esistono ragazze cento volte meglio di me, e semplicemente non volevo soffrire per un’altra ragione. La fine del liceo ha segnato un periodo difficile per me. Non essermi iscritta al college come voi è stata una decisione che mi ha logorato per tutto questo tempo, e non volevo aggiungere altri problemi a quelli che già io mi ero creata- disse sincera.
-Guarda che solo perché non frequenti un’università non significa che hai qualcosa da nascondere o che vali meno degli altri. E poi anche se fosse vero il fatto che esistono ragazze migliori di te, a me non sarebbe interessato. Volevo te- fece lui, passandosi una mano tra i capelli.
Sarah si sentì avvampare. Non stava davvero succedendo, non in quel momento.
La ragazza rimase in silenzio per raccogliere le idee e iniziò a torturarsi di nuovo i capelli per l’imbarazzo e per il nervosismo.
Lei era fatta così, sicura e decisa nelle cose che adorava fare e di cui aveva una totale padronanza, ma totalmente ignara di come gestire un rapporto personale con qualcun altro.
Bryce aspettò in silenzio che Sarah gli facesse un cenno, o che dicesse qualcosa, ma conoscendola, e notando che in quegli anni non era poi così cambiata molto, capì che la ragazza non le avrebbe risposto. Sapeva di piacergli e questa era l’unica ragione che lo invogliava a non demordere, o quanto meno ad instaurare una specie di relazione con lei.
-Comunque- riprese a parlare lui, dopo essere arrivati di fronte la sua macchina. –Io torno a Boston lunedì, rimarrò qui per tutto il fine settimana- continuò, aprendo la portiera della macchina a Sarah.
La ragazza entrò in macchina e si mise la cintura, cercò per tutto il tragitto di non incontrare lo sguardo di Bryce. Stava cercando di raccogliere le idee, ma soprattutto si sentiva strana e stava provando una strana e fastidiosa sensazione allo stomaco.
Non sapeva se essere sconvolta di più dal fatto che Bryce le avesse confessato di volerla ancora o dal fatto che lei era rimasta impassibile a quella cosa. Aveva sempre temuto di aver perso la sua capacità di amare o di provare interesse in quel modo per qualcuno in quegli anni, ma scoprirlo in quella maniera, soprattutto quando per Bryce, qualche anno prima, avrebbe letteralmente sbavato, le lasciò l’amaro in bocca.
Sospirò amareggiata, guardando fuori dal finestrino. Avrebbe dovuto dire qualcosa prima o poi, altrimenti Bryce avrebbe iniziato a sospettare che fosse bipolare.
-Se vuoi, possiamo vederci uno di questi giorni- disse lei, continuando a guardare la strada.
Bryce fece un sorriso, interpretando quella frase come uno strano tentativo di approccio.
-Mi farebbe molto piacere- disse lui, con la sua voce profonda e quasi sensuale. –Domani puoi?-
-Domani lavoro fino a tardi- fece Sarah, declinando l’offerta –Ma se vuoi possiamo vederci Venerdì sera, magari chiamiamo anche gli altri- aggiunse, giusto per far intendere al ragazzo che non era un appuntamento a due.
Il moro sorrise e scosse leggermente la testa –Vada per Venerdì- commentò calmo, lanciandole uno sguardo dei suoi. Quegli anni le avevano fatto davvero bene: era abituato a vedere Sarah in tuta e scarpe da ginnastica, e vederla invece quella sera, elegante in quel suo trench scuro, stivali e lunga treccia che le ricadeva sul petto, gli fece ripensare a ciò che le aveva appena detto. Si era trasformata quasi in una donna.
-Io sono arrivata- fece Sarah qualche minuto dopo, indicando il portone del suo palazzo.
Bryce si girò a guardarla, titubante sul da farsi.
-Allora, ci sentiamo in questi giorni- fece lei un po’ nervosa. Conosceva Bryce e sapeva anche che in quel momento stava cercando un modo per uscire di scena in maniera plateale.
-Sì, ci sentiamo in questi giorni- ripeté calmo lui, assumendo un’espressione con stampato un sorrisetto sghembo.
Sarah deglutì, si sporse verso di lui per salutarlo e cercò di muoversi in maniera cauta, per riuscire a studiare le sue reazioni.
Bryce dal canto suo si sporse e cercò immediatamente la guancia della ragazza. La baciò lentamente, quasi a voler prolungare di qualche secondo quella cosa e cercare di trasformarla in qualcosa di più. Guardò Sarah con il suo solito sguardo, sorridendo sornione e malizioso. La ragazza si fece baciare con lentezza ed era consapevole del fatto che Bryce fosse un maestro a far capitolare le donne ai suoi piedi.
Dopo che si staccarono, si guardarono qualche secondo negli occhi. Sarah notò le pagliuzze verdi negli occhi castani del ragazzo e per qualche attimo rimase stregata da quello sguardo. Bryce cercò di avvicinarsi di più a lei e si inumidì le labbra con la punta della lingua. Erano davvero molto vicini.
-Devo andare- disse Sarah a bassa voce, quando il ragazzo la stava quasi per baciare.
Bryce sospirò, allontanandosi da lei e sorridendole. Era una strana e dolce agonia in fondo, e a lui piaceva non avere tutto subito.
La ragazza scese dalla macchina e stando attenta a non girarsi mai verso Bryce, tirò dritto verso il portone cercando le chiavi nella borsa.
Il ragazzo la seguì con lo sguardo fino a quando non la vide entrare nel palazzo, poi ripartì.
La mora entrò nel portone, sospirando rumorosamente, quasi come se avesse bisogno di prendere fiato. Quella giornata l’aveva particolarmente segnata.
Scosse la testa, ripensando a quello che era appena successo e salì di corsa le scale: aveva decisamente bisogno di una tisana calda o qualcosa di simile.
Frugando nella borsa per cercare le chiavi della porta di casa, si scontrò con qualcosa di duro, e toccandolo con i polpastrelli, fu colpita quasi da un lampo.
Lo estrasse dalla borsa e lo guardò sospirando: era il libro che quel pomeriggio avrebbe dovuto leggere a Michael. 

 
***
Ecco questo quinto capitolo, un po' lunghetto, ma l'ho usato per inserire alcuni personaggi che saranno presenti nei prossimi aggiornamenti. Primo fra tutti Bryce, che per favore non odiate, perchè mella mia testolina è un gran figo, ma adesso mi serve per mettere Sarah in condizioni quasi di scelta e non tra lui e Michael (perchè Sarah sceglierebbe Michael a prescindere), ma metterla di fronte alla possibilità di avere una relazione seria e una invece che potrebbe avere un futuro solo nei suoi pensieri!
La mancanza di Michael si fa sentire in questo capitolo, ma lo ritroveremo ovviamente nel prossimo aggiornamento che ritorna puntuale martedì prossimo come sempre. Con questo capitolo inizia ufficialmente il count down al risveglio di Michael che stiamo aspettando un po' tutte! 
Ringrazio Sara e Roiem per il loro costante supporto e soprattutto per la pazienza che trovano ogni volta nel recensire i capitoli! Siete le numero uno! 
Ci vediamo la settimana prossima per un altro incontro con Michael! 
xoxo 

M.

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Capitolo 6
*** 6 ***


6

 
 
Sarah salì di corsa le scale e in men che non si dica si ritrovò la porta del suo appartamento chiusa alle spalle.
Aveva davvero bisogno di riprendere fiato e di pensare a ciò che era appena successo con cognizione di causa e lucidità.
Bryce.
L’aveva rivisto, aveva rivisto tutti i suoi amici più cari del liceo e le era piaciuto. Era stata contenta di quell’incontro, della leggerezza che aveva caratterizzato tutto quel pomeriggio, ma poi Bryce si era offerto di accompagnarla a casa, riaprendo capitoli della loro vita che erano stati chiusi in precedenza e si era scoperto ancora interessata a lei, con la stessa foga quasi e prepotenza con cui la rivendicava al liceo quando si frequentavano.
Chiuse lentamente gli occhi e dopo essersi spogliata del soprabito, si lasciò cadere sul divano.
Lui la stava quasi per baciare e lei per qualche strana ragione l’aveva interrotto, facendo sparire del tutto quella strana alchimia che si era creata tra loro.
Non era sconvolta tanto dal fatto che Bryce avesse tentato di riconquistarla con le sue domande strane o con i suoi modi da perfetto seduttore, ma tanto dal fatto che lei era sembrata del tutto impassibile alle sue richieste.
Ghiaccio.
Pietra dura.
La totale assenza di emozioni.
Lui le piaceva, e probabilmente in un altro momento della sua breve vita l’avrebbe accolto, dandogli una possibilità, ma non allora, quando sembrava non esserci posto per un’altra persona nella sua vita.
Mise a preparare una tisana al melograno per rilassare i nervi e per pensare a mente fresca. Non sapeva davvero come comportarsi di fronte a quella situazione, ma soprattutto non sapeva davvero come comportarsi di fronte a quella sorta di imperturbabilità emotiva che la caratterizzava da qualche tempo.
Era giovane, e in tutti quegli anni le era sempre pesato il fatto che non avesse mai avuto una relazione romantica, fino al punto da farle dubitare di se stessa, delle sue doti e del suo aspetto fisico. Aveva imparato però a celare questa sua inquietudine riguardo questa sua condizione, ripetendosi che non era il momento e che non avrebbe saputo gestire una relazione in quel dato periodo, presa com’era da impegni lavorativi e attività di volontariato.
Prese il portatile per scacciare i pensieri e distrarsi un po’.
Prima avrebbe controllato le email, poi avrebbe dato un’occhiata sul sito dell’Art Press per sbirciare nuove uscite e segnalazioni e poi avrebbe deciso come impiegare quella serata. 
In fondo erano solo le otto di sera, era presto per cenare e anche volendo, non avrebbe combinato niente nemmeno mettendosi a dipingere.
Accese il computer e visualizzò la pagina iniziale di Google. Preso atto che la sua posta era priva di nuovi messaggi, decise di rispettare la piccola tabella di marcia che si era prefissata.
Nell’attesa che la pagina caricasse, si guardò attorno annoiata. Avrebbe dovuto dare una svolta positiva alla sua vita. Forse avrebbe dovuto mostrarsi più intraprendente, meno insicura verso gli altri e più menefreghista di fronte ai rifiuti, non facendone ogni volta una situazione personale.
Nel momento esatto in cui la pagina dell’Art press si aprì, i suoi occhi si poggiarono sulla sua borsa, scorgendo parte della copertina del libro che si trovava dentro.
Rimase a fissarlo per qualche secondo, poi spostò lentamente gli occhi sullo schermo del computer.
Stava per fare una cosa strana, del tutto da pazzi secondo lei, ma ripetendosi che tanto era da sola nel suo appartamento e nessuno avrebbe potuto vederla, con mani leggermente tremanti, aprì il suo profilo Facebook e scrisse un nome nella barra del cerca persone.
Michael Trisher.
Aspettò qualche secondo e poi premette il tasto di invio.
Rimase del tutto immobile di fronte lo schermo, attendendo impazientemente i risultati.
Si sentiva una stalker, una malata  ossessionata, ecco cosa. Ma soprattutto si sentiva strana, perché malgrado tutto ciò che pensava sulla sua condizione di ragazza incapace di provare emozioni, l’unico verso cui riusciva a provare una strana empatia era proprio quel ragazzo.
Sulla pagina del cerca persone del social network le uscirono diversi risultati: a quanto pareva vi erano parecchi ragazzi con lo stesso nome, ma Sarah ne individuò subito due, molto somiglianti. Cliccò sul profilo del primo risultato che le era apparso, ma capì subito che quello non era il Michael che stava cercando. Non era il suo Michael.
Chiuse velocemente quel profilo, e travolta da una leggera ansia, cliccò sul secondo risultato.
Alla vista della sua foto profilo, trasalì, totalmente sopraffatta dall’aspetto reale del ragazzo. L’emozione di vederlo così, ritratto in quella foto, sorridente, naturale e pieno di vita, la investì come un treno. Fu così intenso vederlo nelle sue fattezze reali, nelle sue fattezze quotidiane, che le si riempirono gli occhi di lacrime per l’emozione.
Si era sempre chiesta come lui fosse davvero da sveglio, si era sempre chiesta come lui fosse davvero da vivo, e ritrovarselo lì davanti agli occhi, anche solo in una stupida fotografia, le strinse il cuore.
Michael appariva sorridente, con un sorriso così perfetto da togliere il fiato, e indossava un cappellino blu e rosso degli Yankees. La faccia era liscia e totalmente priva di barba, e alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte, coprendo in parte quel suo sguardo così felice e rilassato.
Sarah si morse le labbra, assaporando il sapore delle lacrime che le stavano lentamente rigando il volto e si soffermò a guardare per più di una ventina di secondi i suoi occhi.
Aveva sempre saputo che Michael avrebbe probabilmente avuto gli stessi occhi di sua sorella e sua madre, ma in quel momento, quando vide le sue perle color ghiaccio, così penetranti da quasi ipnotizzarla, si sentì smarrita, come se quelli non fossero degli occhi azzurri, ma un oceano enorme di un blu luminoso e acceso.
Sospirò, pensando al fatto che si stava cacciando in una situazione da cui probabilmente non ne sarebbe mai uscita, o se mai l’avesse fatto, sicuramente l’avrebbe fatto da perdente.
Cliccando sul mouse fece scorrere delle altre sue foto, e più andava avanti, più si sentiva male e strana, quasi spossata da tutte quelle emozioni che stava provando.
Non era vero che non sapeva provare emozioni, quelle che la stavano travolgendo in quel momento erano così forti, che quasi le impedivano di respirare.
Michael era lì, davanti ai suoi occhi: raggiante, felice, con gli amici, in innumerevoli posti di New York. Era sorridente, era allegro, era un ragazzo normale.
Michael l’aveva incuriosita dal primo istante in cui l’ebbe visto. Aveva notato fin da subito quanto perfetti fossero i suoi lineamenti, quanto simmetrico fosse il suo viso e quanto fosse armonico il suo profilo, e proprio il fatto che il ragazzo si trovasse in ospedale, pieno di escoriazioni e in uno stato di coma farmacologico, avvaloravano la tesi secondo cui  avrebbe dovuto essere uno dei ragazzi più belli mai visti da Sarah.
Presa da questi pensieri, chiedendosi in continuazione perché a quel ragazzo fosse toccata una sorte tanto crudele e meschina, scorse altre foto, fino a quando non arrivò ad una che le tolse letteralmente il fiato.
Michael era in piedi, probabilmente aveva partecipato a qualche evento mondano, vestito di tutto punto, con una giacca scura gessata, pantaloni intonati, scarpe di pelle e una camicia nera e guardava fisso di fronte l’obiettivo, accennando un sorriso leggero, quasi impercettibile.
I suoi occhi erano più blu che mai colpiti dalla luce del flash, alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte e presentavano sfumature chiare, quasi bionde, il viso era segnato da un leggerissimo accenno di barba che sembrava essere quasi un alone, e le sue labbra rosee e carnose sembravano quasi disegnate da un artista. 
Sarah scrutò la foto per qualche secondo, colta da una leggera tachicardia quando notò che la camicia che il ragazzo indossava, presentava i primi bottoni sganciati giusto quel tanto da far intravedere la parte superiore del suo petto.
La ragazza deglutì e cercò di allontanare gli strani pensieri che le stavano riempiendo la testa, maledicendo la propria inopportunità a riguardo.
-E’ in coma, Dio santissimo- disse ad alta voce, cercando di scacciare l’immagine di Michael che la fissava e le sorrideva sornione.
Quanto avrebbe voluto sentire la sua voce, sentire il suo profumo, parlargli per davvero o ricevere una risposta quando lei dava adito ai suoi pensieri ad alta voce.
Anche se allora che ci pensava, probabilmente Michael non l’avrebbe mai nemmeno guardata, e sicuramente doveva essere totalmente diverso dal ragazzo che lei aveva immaginato che fosse. Era qualcosa che continuava a ripetersi dall’inizio, fin dalla sua prima visita in ospedale, sia per non farsi illusioni, sia per cercare di non affezionarsi troppo a quel ragazzo che nella condizione in cui si trovava era quasi un fantasma.
Quando Michael si sarebbe svegliato, cosa avrebbe fatto? Aveva pensato centinaia di volte a quella cosa, ma si era rifiutata di trovare una reale risposta.
Continuò a scorgere la sua bacheca, piena di messaggi di augurio e di incoraggiamento di amici lontani, probabilmente del college, e colse l’occasione per scoprire qualcosa in più sul ragazzo.
-Mmm, Princeton- disse la ragazza sorridendo, non appena lesse le informazioni personali di Michael riguardo la sua istruzione su un’altra inserzione che le offriva la pagina.
–Abbiamo un piccolo secchioncello- aggiunse sdrammatizzando, quasi a voler giustificare le scelte del ragazzo. -Oppure solo un altro erede Trisher costretto a frequentare l’università degli avi- concluse, sperando di sbagliarsi.
Con titubanza, scorse il resto delle informazioni, cercandone una che sicuramente avrebbe dovuto esserci.
Single. Lesse tra le righe, quando tra le varie diciture, uscì lo stato sentimentale del ragazzo. Per qualche strana ragione si sentì immediatamente più leggera e forse anche più autorizzata ad andarlo a trovare in continuazione.
In realtà aveva inteso che probabilmente Michael non avesse una fidanzata dal momento che le uniche persone che lo andavano a trovare erano lei e qualche volta, quando si ricordavano, i genitori, però prenderne atto, la tranquillizzò. Non era costretta a condividere Michael con nessuno, quello era il suo segreto, il suo passatempo preferito e probabilmente da allora in avanti, anche la sua nuova ossessione.
Era una situazione strana all’inverosimile, però tutto ciò che avrebbe dovuto fare, era prenderne atto e accettare quello che lei stava facendo. In fondo non stava facendo nulla di male, e soprattutto non stava arrecando danni a nessuno, anzi, per come la vedeva lei, stava tenendo solo un po’ di compagnia a quel ragazzo, per quanto le era possibile.
Passò tutta la serata a spulciare la bacheca del ragazzo, leggendo tutti i commenti, gli stati, le foto che postava o i link che condivideva. Voleva farsi un’idea di come Michael fosse davvero, capire ciò che gli piaceva, i posti che frequentava, la musica che amava ascoltare.
Improvvisamente le balenò un’idea e con il mouse cliccò sull’icona della musica che Michael era solito ascoltare. Ascoltava vari generi musicali, abbastanza compositi, dal pop al rock, e dal momento che non riuscì a capire chi fosse il suo artista o il suo gruppo preferito, decise di fare di testa sua. Un giorno di quelli gli avrebbe portato un cd e gliel’avrebbe fatto ascoltare. Aveva letto molti articoli riguardo la musicoterapia e sugli effetti benefici che da essa derivavano e lì per lì non le sembrò un’idea malvagia.
Senza che se ne fosse accorta il tempo era passato velocemente, e quando il suo sguardo ricadde sull’orologio appeso alla parete, quasi si meravigliò strabuzzando gli occhi. Era mezzanotte meno venti e lei aveva passato tutte quelle ore a guardare il profilo Facebook di Michael, a cercare di conoscerlo meglio e di capire come fosse fatta la sua vita, ad immaginarselo accanto a lei che gentile e dolce le sorrideva, raccontandole gli aneddoti della sua vita.
Spense a malincuore il computer: l’indomani si sarebbe dovuta alzare presto e la giornata che si prospettava era abbastanza pesante.
Si infilò il pigiama e si raggomitolò sotto le calde coperte, cercando qualcosa che la distraesse dalle ultime ore di quella giornata.
Le sembrava di vivere in una strana dimensione parallela: da una parte c’era Bryce, vero ed in carne ed ossa e che conosceva da più di sei anni, dall’altra c’era Michael, il ragazzo impossibile da avvicinare sia perché impossibilitato dalle sue condizioni mediche, e sia perché probabilmente apparteneva ad un mondo di cui Sarah non avrebbe mai fatto parte.
Perché era Bryce ad essere interessato a lei e non poteva esserlo Michael? Era da tutta la sera che se lo stava domandando. Perché Michael era costretto lì, in un letto d’ospedale, senza darle la possibilità di poter far parte della sua vita?
In realtà il paragone tra i due ragazzi non stava né in cielo né in terra perché l’unico rapporto che Sarah era riuscita a costruire con Michael, era solo dovuto al fatto che lui fosse in coma e che lei lo andasse a trovare quotidianamente in ospedale. Per il resto non avrebbero probabilmente diviso niente di più. Sarah avrebbe voluto con tutta se stessa far parte della vita di Michael, anche semplicemente come amica, ma oggettivamente era una cosa impossibile in quel momento.
Chiuse gli occhi cercando di addormentarsi, ma la sua mente era piena di immagini, di pensieri e non faceva altro che immaginarsi Michael, con gli occhi aperti, che le parlava o che semplicemente le era vicino. Sospirò, rassegnata del fatto che probabilmente non avrebbe preso sonno subito e aspettò, fino a quando divenne troppo stanca per pensare.
 
 
-Ieri non sei venuta- fece Michael con voce un po’ cupa, non appena la figura di Sarah gli apparve davanti.
-Lo so, mi dispiace- rispose sincera la ragazza, incontrando lo sguardo triste del ragazzo di fronte a sé. –Ho avuto un contrattempo- continuò, cercando di giustificare la sua assenza –Ma adesso sono qui- aggiunse più convinta, accennando un sorriso e aspettando una reazione positiva da parte di Michael.
Il ragazzo però sembrava non essere molto convinto di quella risposta e per di più era più taciturno del solito.
-Michael, stai bene?- gli chiese Sarah, cercando di guardarlo negli occhi.
Il biondo stava fissando un punto indefinito della caffetteria di Jonathan e sembrava non badare molto alla presenza della ragazza.
-Non diversamente dagli altri giorni- commentò solo, incontrando per sbaglio gli occhi della mora.
-Sei arrabbiato? E’ successo qualcosa?- chiese Sarah preoccupata, non riuscendo a capire la causa di quel malumore.
-Ecco i vostri caffè!- esclamò Jonathan all’improvviso, ponendosi tra i due ragazzi e servendo le ordinazioni.
-Michael, mi dispiace- aggiunse il ragazzo –I biscotti con il ripieno al limone sono finiti. Domani mia madre te ne mette da parte qualcuno così si fa perdonare!-
-Figurati, Jonathan, non devi preoccuparti- ribattè educato il ragazzo. –Non c’è bisogno di scomodare tua madre, davvero-
-Sai che mia madre quasi ti adora e soprattutto che adora preparare i biscotti al limone, quindi domani se non hai impegni passa da qui, che fai rifornimento!- esclamò il proprietario del locale allegro e spensierato, poggiando le tazze sul tavolo e salutando i due ragazzi.
Sarah rimase sorpresa dal repentino cambiamento di tono di Micheal, così pensò che probabilmente il suo malumore fosse dovuto alla sua presenza.
-E’ per colpa mia?- chiese titubante, cercando di attirare nuovamente l’attenzione di Michael, che in quel momento era attratto dalle ondicelle che il suo caffè stava facendo nella tazza.
Il ragazzo alzò di scatto la testa e incontrò lo sguardo sinceramente dispiaciuto di Sarah. No, non ce l’aveva con lei, non avrebbe potuto mai avercela con lei, ma i due giorni che aveva vissuto erano stati più duri del solito.
-No, non è colpa tua- rispose il ragazzo abbassando lo sguardo.
-E allora cos’ hai?- gli chiese Sarah allungando una mano e poggiandogliela sulla sua.
Michael spostò lentamente gli occhi sulle mani di lei, e al contatto caldo con la sua pelle deglutì. Quella ragazza gli faceva uno strano effetto.
-Nulla- fece lui –E’ che stamattina ho parlato con mia madre e poi…- continuò a dire titubante e abbassando lo sguardo –Il dolore alla testa è stato più fastidioso del solito in questi due giorni- ammise sconsolato. C’erano giorni in cui si sentiva bene e altri giorni in cui quello strano fastidio alla testa lo infastidiva a tal punto, da renderlo nervoso e spossato per tutta la giornata.
Sarah non era a conoscenza di quegli strani dolori alla testa del ragazzo,  e sentendo quelle parole si preoccupò.
Michael lesse la sua preoccupazione nei suoi occhi e le sorrise debolmente, sinceramente colpito dalla sua reazione.
-Ora sto bene. Adesso è passato- fece sincero, incontrando gli occhi di Sarah e cercando di convincerla impressionandolo con uno dei suoi soliti sguardi.
Sarah diede un sorso al suo caffè e poi parlò.
-Ti piace la letteratura inglese?- chiese, cercando di sviare la brutta piega che il discorso di Michael le stava facendo aveva preso.
Il ragazzo la guardò un po’ confuso, spostandosi una ciocca di capelli davanti agli occhi e sorseggiando il caffè.
-Perché?- chiese curioso, non riuscendo a capire lo scopo di quella domanda.
-Ti ho portato un libro- fece la ragazza iniziando a frugare nella borsa.
Dopo qualche secondo, Sarah appoggiò sul tavolino un libro di medio spessore, con una copertina di pelle rilegata in oro.
-Wow- esclamò Michael guardando il libro da lontano. Gli ricordava molto la miriade di libri antichi e non che avevano nella biblioteca di famiglia, e per un attimo sperò che quello che avesse davanti non fosse un libro di economia o qualcosa di simile.
-James Joyce, Gente di Dublino- fece Sarah, porgendo il libro verso il ragazzo. –Lo hai mai letto?- chiese anche.
-Solo qualche pagina al liceo- rispose Michael, rigirandosi il libro tra le mani. –Perché lo hai portato?-
-Beh, ho pensato che avremmo potuto impiegare il tempo in vari modi- iniziò Sarah.
A quelle parole Michael alzò divertito lo sguardo e la fissò malizioso.
-Sì…- fece lui, incitandola a continuare. La ragazza non colse il doppio senso e la malizia di quelle parole e andò avanti senza interruzioni.
-Quindi magari potremmo leggere qualche capitolo insieme, oppure se vuoi puoi tenerlo e leggerlo da solo, se ti va- gli disse concludendo. Lì per lì portare un libro a quella specie di quotidiano appuntamento le era sembrata un’idea carina, ma allora che aveva reso Michael partecipe della cosa, divenne molto titubante a riguardo.
-Mmm- mugolò Michael cercando di leggere il riassunto del libro sull’ultima pagina –Può essere un’idea. Meglio della passeggiata nel cimitero- fece ironico lui, schioccando la lingua e facendo l’occhiolino alla ragazza.
Sarah alzò gli occhi al cielo, probabilmente gliel’avrebbe rinfacciato a vita.
-Non mi sembra tu sia stato tanto male- ribatté lei, cercando di non imbarazzarsi e di tenere testa al ragazzo.
-Touchè!- rispose il ragazzo sorridendo in un modo strano, quasi seducente. Aveva intuito di avere un ascendente sulla ragazza e adorava il modo in cui lei cercava di nascondere quell’evidenza, soprattutto perché appariva ancora più innocente e timida di come già non lo fosse.
Sarah distolse lo sguardo e iniziò a scrutare i suoi quadri appesi sulla parete di fondo del locale, vicino la libreria. Ne avrebbe dovuto portare degli altri.
-Dunque- riprese Michael il discorso –è un libro di racconti?-
-Già- rispose Sarah, tornando a guardare Michael di fronte a sé. Il ragazzo la destabilizzava, soprattutto quando si trovava così vicino e soprattutto quando le parlava e la guardava con quegli occhi profondi come l’oceano.
-Sono quindici racconti di persone comuni che abitano a Dublino e vivono il dramma della loro epoca- continuò a dire, ritornando sicura e decisa.
-Sempre molto allegra tu, eh?- ironizzò Michael, sfogliando qualche pagina e leggendo qualche frase sparsa qua e là.
Sarah sorrise. Dopotutto aveva ragione.
-E’ che mi piacciono le cose profonde- commentò Sarah, cercando di non darla vinta a Michael. –Dietro ogni storia c’è una critica ad un comportamento o alla società. Dietro ogni descrizione c’è la volontà di dare un’immagine della città in quel dato periodo storico-
-E qual è il tuo racconto preferito?- chiese Michael leggendo i vari titoli nella pagina dell’indice.
-Mmm, credo sia “Cenere”- rispose la ragazza.
-Di che parla?- chiese Michael, sinceramente incuriosito.
-E’ la storia di una lavandaia che non riesce a trovare marito- sintetizzò la ragazza, non scendendo troppo nel dettaglio. In realtà la storia di Maria era molto più profonda di come lei l’aveva riassunta, ma non volle soffermarsi per evitare domande strane.
-Ah sì?!- esclamò Michael curioso e divertito da quella cosa. -E perché ti piace proprio quel racconto?- continuò a chiedere, suscitando un leggero imbarazzo in Sarah.
La stava guardando con occhi spalancati e quasi sorridenti. Potevano due occhi definirsi sorridenti? Sì, quelli di Michael, sì.
-Beh, mi piace il contesto, come è descritta tutta la faccenda…- rispose vaga Sarah, tralasciando il fatto che invece provava molta empatia nei confronti della protagonista, affetta da un destino avverso e per nulla incoraggiante.
Michael si accorse del leggero tremolio nella voce della ragazza e si accorse anche che le sue guance stavano cambiando colore, diventando rossicce. La guardò divertito, pronto a punzecchiarla come solo lui sapeva fare.
-Non è che stai cercando marito, vero?- chiese lui, guardandola divertito e rivolgendole un sorriso sornione dei suoi.
Sarah alzò gli occhi al cielo.
-No, che non voglio trovare marito- rispose lei, continuando a sorseggiare il caffè. Certe volte Michael la irritava con quelle sue battutine e frasette da belloccio.
-E perché non vuoi? Alla tua età mia madre era già sposata e con due figli!- commentò scherzando Michael, cercando di estorcere qualche informazione sulla vita personale della ragazza, di cui non sapeva praticamente nulla.
Al sentire quelle parole a Sarah venne l’ansia. Era la stessa cosa che le ripeteva sua madre.
-Beh potrei dire la stessa cosa di te!- fece la ragazza, cercando di spostare l’attenzione su qualcos’altro. Non avrebbe davvero voluto parlare di quelle cose, le sembravano distanti anni luce dalla sua realtà.
-Può essere- commentò calmo lui, rigirandosi la tazza tra le mani.
-Può essere?- ripetè confusa Sarah, stranita dalla repentina impassibilità che aveva colpito Michael.
-Beh, probabilmente dovrei mettere anche io la testa a posto e darmi una svegliata. La verità è che non ho ancora incontrato nessuna che mi abbia dato da pensare a questa cosa- rispose sincero Michael, spostando delicatamente lo sguardo dalla tazza agli occhi di Sarah.
La ragazza lo stava guardando curiosa e sinceramente confusa. Qualche volta non coglieva il senso delle domande o delle frasi di Michael, soprattutto quando la guardava con quegli occhi così profondi e penetranti.
-Io credo che ci voglia tempo e…fiducia- commentò Sarah, cercando di seguire il discorso del ragazzo. –Per instaurare un rapporto duraturo con qualcuno fino al punto da volerlo con te tutta la vita- disse abbassando gli occhi.
-E tu hai mai dato fiducia a qualcuno?- chiese Michael serio, curioso di sentire la risposta.
Sarah sospirò, tornando a scrutare da lontano i suoi quadri e soffermandosi su quello che aveva colpito Michael durante il loro primo incontro.
-No- rispose a bassa voce, girandosi lentamente a guardare Michael. Il ragazzo aveva assunto un’espressione pensierosa, titubante su cosa dirle e su cosa chiederle.
-Perché?- le domandò serio.
Sarah deglutì, visibilmente in imbarazzo. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Che era restia nel provare qualsiasi emozione o sentimento che significasse amore o amicizia?
-Diciamo che non ho mai incontrato nessuno fino ad ora che si sia mostrato meritevole della mia fiducia- rispose la ragazza, usando le stesse parole usate da Michael qualche minuto prima.
Il ragazzo la scrutò silenzioso e abbozzò un leggero sorriso.
 -Lo immaginavo- commentò sincero Michael aspettandosi una qualche strana reazione dalla ragazza, che non tardò ad arrivare.  -Per riuscire a stare al tuo passo…- continuò a dire subito dopo –C’è bisogno di qualcuno di davvero in gamba- terminò, ritornando a guardare Sarah con le sue perle color oceano.
La mora si sentì avvampare. Era un complimento quello?
Sarah guardò Michael negli occhi e quasi si perse nella magneticità del suo sguardo. I suoi occhi erano più azzurri che mai e il contatto con quelle iridi le fece perdere un battito cardiaco.
Abbassò lo sguardo di nuovo, non riuscendo a tener testa a quello sguardo fisso e intenso, e respirò profondamente per calmarsi.
Michael la scrutò silenzioso, cercando di studiare la sua reazione. C’era qualcosa di lei che l’attraeva: la sua gentilezza, la sua voce calda e rassicurante, il fatto che aveva sempre un pensiero per tutto e per tutti, e poi amava il modo in cui lei lo sfiorava, gli teneva la mano o semplicemente gli accarezzasse il viso.
Aveva la sensazione che anche quella ragazza avesse un debole per lui, però non riusciva ad interpretare i suoi comportamenti, come in quella situazione. Le aveva appena fatto un complimento e non era il solito commento che elargiva alle ragazze che voleva portarsi a letto, ma un vero complimento, sulla sua persona, sul suo modo di essere e lei non rispondeva, non faceva nulla, se non arrossire e abbassare lo sguardo.
-E tu invece?- chiese titubante lei, azzardandosi a chiedere cose che l’avevano sempre assillata, ma che non aveva avuto mai il coraggio di dire.
-Cosa?- chiese lui guardandola con innocenza.
-A quante persone hai dato fiducia?- domandò Sarah, usando le sue stesse parole. In realtà l’aveva fatto in maniera studiata: aveva usato il plurale perché sicuramente Michael aveva avuto più di una fidanzata e aveva messo tutto sul piano della “fiducia” per evitare di chiedere direttamente con quante ragazze fosse andato al letto.
A quella domanda Michael fece un risolino, aspettandosi una richiesta del genere. Si rigirò la tazza tra le mani, e con sguardo basso, ma con un leggero sorriso sornione stampato in volto, disse–Un po’-
Alzò lentamente lo sguardo e incontrò il viso di Sarah, cercando di interpretare la sua espressione.
Sarah dal canto suo stava sorridendo in maniera strana, consapevole di aver fatto una domanda stupida che aveva una risposta altrettanto ovvia. Era umanamente impossibile che un ragazzo così bello come Michael avesse avuto poche storie d’amore, se così si potevano chiamare.
-Lo immaginavo- rispose calma, sorridendo leggermente al ragazzo.
-Ho la faccia da sciupafemmine?- chiese allora Michael, cercando di sdrammatizzare i toni di quella conversazione.
Sarah scoppiò a ridere per la spontaneità con cui Michael aveva pronunciato quella frase.
-No, proprio no- ribatté lei –Anzi…-
-Proprio no, cosa?- chiese lui stando al gioco. Sapeva cosa Sarah intendesse con quelle parole, ma voleva costringerla ad ammetterlo, o quanto meno a dirlo ad alta voce.
–Allora?- chiese ancora, per invogliarla a parlare.
-Ah, quante ne vuoi sapere!- fece lei sorridendo nervosamente. –Penso che tu lo sappia già, no?- ammise con ovvietà. Era oggettivamente un bel ragazzo e sicuramente lui era consapevole di ciò.
-No, non lo so già. Cosa stai cercando di dirmi?- continuò a punzecchiarla lui. Sarah era visibilmente in imbarazzo, era diventata rosso fuoco e Michael se la stava ridendo di gusto.
-Uffa, credo che tu sappia di essere palesemente un bel ragazzo, quindi è ovvio che le donne ti vengano dietro- ammise con un po’ di difficoltà.
 Non era solita fare complimenti gratuiti a nessuno, e credeva davvero che Michael fosse la persona con i lineamenti più vicini alla perfezione che avesse mai visto, ma dirlo ad alta voce, era sempre un po’ difficile.
Michael le sorrise, soddisfatto e anche divertito da quella risposta. Sarah sembrava essersi calmata e il rossore dalle guance era sparito, lasciando un leggero alone roseo dovuto forse alla temperatura del locale.
-“Palesemente un bel ragazzo”- ripeté malizioso Michael, guardando Sarah negli occhi.
Sarah alzò gli occhi al cielo, cogliendo il senso delle parole del biondo di fronte.
-Già, non lo dire troppo in giro- disse lei con fatica, cercando di riprendersi da quell’attimo di debolezza che l’aveva fatta aprire un po’ di più con il ragazzo.
Michael rise di gusto, quasi spensierato e felice. Aveva colto nel segno e aveva appena avuto la conferma che quella ragazza non gli era impassibile come voleva fargli credere.
-Cercherò di far finta di non saperlo, la prossima volta che avrò un incontro con la mia artista di fiducia- commentò Michael, facendo l’occhiolino alla ragazza.
Sarah gli sorrise, scuotendo un po’ la testa e guardandolo con un sorrisino eloquente.
-Torni domani, vero?- le chiese improvvisamente il biondo dopo qualche minuto, incatenando i suoi occhi a quelli della ragazza.
-Sì, torno domani- ripeté con apprensione Sarah, sorridendogli e stringendogli leggermente la mano.
 
 
 ***
Ecco qui il sesto capitolo, Michael è il protagonista indiscusso questa volta e gli unici personaggi presenti, a differenza di quello scorso sono solo Sarah e Michael, quindi mi sono concentrata solo su di loro. 
Spero abbiate apprezzato la curiosità di Sarah e il fatto che abbia cercato Michael su Facebook, credo che sia un comportamento abbastanza normale soprattutto per una storia ambientata ai giorni nostri xD 
Insomma Michael è un figone, spero lo immaginiate anche voi come lo immagino io e Sarah viene travolta completamente da delle emozioni che aveva dimenticato di saper provare e vedere Michael, anche solo in foto, la sconvolge del tutto, insinuando dentro di lei il dubbio che in realtà inizi a provare qualcosa per lui. 
Il settimo capitolo sarà galeotto sia per la storia in generale, ma anche per le decisioni future di Sarah. 
Piccolo spoiler, giusto per rendervi un po' più felici, mancano due capitoli al risveglio di Michael (per chi mi segue su Facebook, avrà già potuto leggere che l'ottavo capitolo è il mio preferito fino ad ora -è pieno di colpi scena e ho adorato scriverlo, perchè Sarah da' di matto e boom, il bell'addormentato si sveglia (?) xD- ma vi assicuro che è tutto studiato in modo da far risultare tutto naturale e non forzato, e tutti i tasselli e gli indizi sparsi per i capitoli pubblicati fino ad ora saranno chiariti pian piano.
Dopo aver fatto un sermone vero e proprio vi saluto e vi do' appuntamento a martedì prossimo, e posso dirvi che proprio per non tenervi sulle spine per due settimane, l'ottavo capitolo verrà pubblicato venerdì prossimo :) 
Grazie mille a tutte! 
Grazie a Roiem, Sara e a BluBolleBlu che si è unita al club! Senza le vostre costanti recensioni non saprei come fare, davvero! 
Un bacione!
M.

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Capitolo 7
*** 7 ***


7
 

29 ottobre 2013
 
-Allora signorina Lewis, mi può ripetere il suo percorso di studi?- chiese l’occhialuto signore di fronte a Sarah, sorseggiando una tazza di caffè.
Sarah deglutì, scrutando l’uomo seduto al tavolo che Jonathan aveva riservato loro.
-Ho frequentato il liceo ad Hoboken- iniziò a dire la ragazza –Poi a diciotto anni mi sono trasferita a New York e ho frequentato diversi corsi di pittura e di fotografia di durata trimestrale o semestrale…- continuò con voce leggermente tremante.
-Quindi non ha fatto una scuola d’arte?- domandò sorpreso il signor Shutter, abbassando un po’ gli occhiali sul naso per poter scrutare meglio la ragazza.
Sarah si trovava nel caffè letterario di Jonathan e stava parlando con Wesley Shutter, un influente curatore di una galleria d’arte a Brooklyn che, incuriosito dal materiale che la ragazza gli aveva spedito per email, aveva deciso di combinare un incontro.
All’uomo avevano affidato l’organizzazione di una mostra d’arte che si sarebbe tenuta a Dicembre, e tra le varie sezioni doveva essercene anche una riservata ai talenti emergenti e quello era il motivo del loro incontro.
Shutter era profondamente colpito dalle opere di Sarah e l’avrebbe fatto presente al resto dei curatori della mostra.
-Mmm, no- rispose timida Sarah, maledicendo se stessa per non aver insistito con i suoi genitori ad iscriversi alla School of Visual Arts di New York. –Però ho lavorato per diversi studi, partecipando a diversi shoot fotografici o piccole mostre d’arte-
-Come mai non ha fatto richiesta di iscriversi alla Visual Arts? Non ha superato l’ammissione?- chiese con curiosità Shutter.
A Sarah sembrò quasi che l’uomo stesse provando una leggera sensazione di soddisfazione nel chiederle quella cosa.
-In realtà no- rispose diretta la ragazza, cercando di non far trapelare il nervosismo che quella domanda le aveva suscitato. –Non ho semplicemente mai cercato di entrarci- continuò calma, cercando gli occhi di Shutter da dietro i suoi occhialetti con la montatura in osso.
-E’ stato un vero peccato- commentò l’uomo a denti stretti, rigirandosi le foto di Sarah tra le mani e continuando ad osservarle. –C’è del potenziale in questo materiale- aggiunse eloquente e iniziando a guardare insistentemente lo schermo del proprio smartphone.
-Ah- commentò solo la mora, togliendosi una ciocca di capelli davanti agli occhi.
-Già, però può sempre provarci ora, è ancora in tempo- le suggerì l’uomo con tutte le buone intenzioni. Era davvero un peccato che tutto quel lavoro non fosse accompagnato da un brillante corso di studi con tanto di riconoscimento e laurea.
Sarah lo guardò inebetita per qualche secondo. Si diede della stupida e della maligna per aver colto un’inesistente traccia di soddisfazione nella voce dell’uomo qualche attimo prima, e fece fatica a focalizzarsi su quello che invece le aveva appena detto.
-La ringrazio- iniziò a dire sincera –Dovrò informarmi a riguardo. Purtroppo ho un lavoro fisso con turni che mi tengono occupata tutto il giorno e sarebbe difficile gestire entrambe le situazioni- concluse, più rivolta a se stessa che all’uomo. Ammesso che lei provasse ad entrare nell’accademia, come avrebbe fatto a pagare la retta e i materiali per tutti i corsi se non avesse avuto un lavoro con cui mantenersi?
-Io gliel’ho detto- commentò solo Shutter, iniziando a raccogliere le sue cose da sopra il tavolo e ritornando ad assumere quell’aria fin troppo professionale che aveva avuto durante tutto l’incontro.
L’uomo si alzò, prese la sua valigetta e si sporse verso Sarah, allungandole una mano e salutandola.
-Mi ha fatto molto piacere conoscerla signorina Lewis- disse sincero. –Rigirerò l’email agli altri organizzatori e le faremo sapere il più presto possibile-
Sarah dal canto suo gli sorrise e gli strinse gentilmente la mano. Era stato molto rispettoso e gentile dopo tutto.
-E’ stato un piacere anche per me- commentò lei –Grazie per la disponibilità e l’opportunità-
Shutter la salutò con un sorriso e si diresse verso l’uscita del locale salutando la signora Gale dietro la cassa e chiudendosi la porta dietro le spalle.
Sarah vide l’uomo sparire tra il via vai di gente sul marciapiede e fece un sospiro. Era stata tesa per tutta la durata dell’incontro e sembrò rilassarsi solo in quel momento.
-Allora, com’è andata?- chiese improvvisamente Jonathan, apparendo dietro le spalle della ragazza.
-Eh, mi ha proposto di iscrivermi alla Visual Arts e mi ha detto di essere rimasto colpito. Credo bene tutto sommato- commentò speranzosa, desiderando davvero che quello non fosse il preludio dell’ennesimo rifiuto.
-Alla grande allora- esclamò Jonathan contento, dando un pizzicotto sulla guancia a Sarah
-Dobbiamo festeggiare. Ho appena sfornato i cupcakes alla Red Velvet!- aggiunse il ragazzo, facendo l’occhiolino a Sarah.
-Oh sei un tesoro, Jonny- iniziò a dire Sarah sinceramente contenta del trattamento che Jonathan e la sua famiglia le riservavano ogni volta. –Ma devo andare!- aggiunse veloce, scorgendo un alone di tristezza nello sguardo del ragazzo.
-Vorrà dire che te li metterò in uno scatolo- disse deciso lui.
-Ma non importa, non c’è n’è bisogno!- esclamò lei, sentendo le guance infiammarsi.
-Non voglio sentire scuse. Arrivo subito- ribatté lui, scomparendo dietro il bancone.
Sarah scosse leggermente la testa, sinceramente colpita da quel comportamento. Vide Jonathan aggirarsi dietro il banco dei deliziosi dolcetti e prendere quattro cupcakes alla Red Velvet, pieni di crema bianca alla vaniglia che lei adorava, e riporli delicatamente in una scatolina.
-Ecco!- le disse, porgendole delicatamente la scatola.
-Grazie mille- disse solo Sarah, sorridendo sincera a Jonathan e abbracciandolo teneramente.
-Di nulla. E’ sempre un piacere- fece il ragazzo –E poi da quando abbiamo appeso i tuoi quadri, questo posto è diventato fighissimo. Me ne devi portare degli altri!- aggiunse contento.
Sarah arrossì e sorrise timidamente, voleva davvero bene a Jonathan, si era sempre mostrato gentile e garbato, sempre disponibile, e soprattutto non le aveva mai fatto nulla per un qualche tornaconto personale.
-Devi andare a lavoro?- chiese poi il ragazzo, prima di salutarla. –Non è un po’ tardi?- aggiunse, rivolgendo uno sguardo verso il grande orologio appeso alla parete.
-Ehm, no, ho un impegno- rispose Sarah. La sua voce divenne improvvisamente un po’ più stridula del solito.
-Ah, sì. Un impegno?- chiese curioso e malizioso il ragazzo, guardandola negli occhi.
-Già- commentò Sarah, cercando di essere un po’ più decisa di prima.
-Non ti starai vedendo con un ragazzo, vero?- la punzecchiò Jonathan, notando che le guance della ragazza erano fatte rosse.
Al sentire quella domanda a Sarah venne il mal di stomaco.
No, non si stava vedendo con un ragazzo, o per lo meno, non nel modo tradizionale. E poi se voleva proprio essere pignola, era lei che stava vedendo lui, quasi ogni giorno, facendo finta che quelle visite fossero la normalità più totale.
-No, Jonathan, davvero. Nella mia vita al momento non c’è posto per l’amore- replicò sincera in parte. In realtà un posticino poteva anche esserci, ma lei sapeva bene che non avrebbe permesso a nessuno di occuparlo, o quanto meno, a nessuno che non fosse stato Michael.
Il ragazzo la scrutò attento per qualche secondo, non avrebbe replicato ulteriormente, ma qualcosa nella risposta di Sarah non lo convinceva.
-Faccio finta di crederti- disse solo lui, sorridendole malizioso.
Sarah ringraziò mentalmente la discrezione di Jonathan e il suo non voler indagare ulteriormente, e salutatolo nuovamente, lasciò il locale.
Uscì in strada e si sporse sul bordo del marciapiede per fermare un taxi.
Aveva bisogno di raccontare a qualcuno quello che era appena successo. Finalmente qualcuno sembrava averla notata e sembrava averle offerto un’opportunità, in quel momento fu davvero felice di non essersi abbattuta alla prima difficoltà o di aver continuato con tenacia a spulciare tutti i concorsi, tutte le mostre e tutti gli indirizzi di studi d’arte di New York.
Era davvero contenta come non lo era da tempo e voleva condividere tutto quel suo entusiasmo con qualcuno di speciale.
Voleva condividere tutte quelle emozioni con Michael.
Dopo aver pagato l’autista del taxi, scese veloce dalla macchina e si diresse verso la grande entrata del NY General Hospital e come quasi ogni giorno, varcò la grande entrata scorrevole e si diresse verso gli ascensori, per far sì che la portassero nella terapia intensiva.
Quella mattina Sally l’aveva chiamata sul telefono e le aveva chiesto di poter andare il giorno seguente a prestare servizio di volontariato nel reparto di pediatria e lei aveva accettato con piacere, quindi quando la donna la incontrò nell’ascensore, fu molto sorpresa di trovarla lì.
-Ciao Sally- esclamò la ragazza, incuriosita dal fatto che la donna stesse scendendo a meno uno.
-Ehi, Sarah- fece la donna, rivolgendole un sorriso. –Ti hanno messo qualche altro turno?- chiese poi, guardandola con più attenzione.
-No, no- rispose subito Sarah, cercando una buona scusa per motivare la sua presenza in quel reparto. –Sono venuta a trovare una persona- aggiunse vaga, sperando che Sally non indagasse ulteriormente.
Avrebbe dovuto smetterla di reagire sempre in quella maniera ogni volta che qualcuno la incontrava in ospedale, oppure che le chiedeva cosa ci facesse lì,  in fondo non stava facendo male a nessuno e avrebbe potuto semplicemente rispondere che stava andando a fare visita ad un conoscente o ad un amico.
Sally sembrò essere abbastanza soddisfatta di quella semplice risposta e le raccomandò solo di cercare di essere puntuale il giorno seguente.
Sarah la salutò veloce e notando che in quel momento all’accettazione non ci fosse nessuno, andò spedita verso la stanza sei.
Era eccitata e contenta come non lo era da tempo, ed era davvero volenterosa di condividere quella cosa con Michael, anche se significava solo parlargli passivamente come faceva quasi ogni giorno.
La voglia di vederlo e di entrare nella sua stanza fu tanta, che non si accorse effettivamente se dentro di essa ci fosse già qualcuno.
In realtà era così abituata al fatto che Michael fosse solo la maggior parte del tempo, che quando entrò con un po’ troppa foga e trovò nella stanza una ragazza alta e bionda, rimase di stucco.
-Ciao Michael- stava per dire la ragazza, quando aprì veloce la porta e la varcò per entrare, prima di rimanere completamente immobile e di sasso di fronte alla vista di Martha Trisher.
Senza il minimo preavviso, Sarah si ritrovò davanti la sorella di Michael, incontrata una volta sola di sfuggita, il primo giorno che lei lo ebbe conosciuto.
Martha distolse lo sguardo dal corpo del fratello e guardò confusa quella sconosciuta aprire la porta. Era stato tutto molto veloce e non si era resa conto molto bene di quello che fosse appena successo. Una ragazza mai vista prima di allora, aveva appena aperto la porta della stanza d’ospedale di suo fratello e stava per entrarci dentro.
La scrutò per qualche secondo, cercando di capire se quella fosse un’amica di Michael che lei non conosceva o un inserviente dell’ospedale.
-Oh mio Dio, scusami- fece di getto Sarah, rendendosi conto solo in quel momento dell’effettiva situazione.
Martha la guardò e si alzò in piedi, andando verso di lei.
-Non credevo ci fosse qualcuno, scusami davvero- iniziò a dire imbarazzata Sarah, cercando di trovare una scusa più che plausibile che giustificasse il suo ingresso in scena.
Era sua sorella quella, e maledizione, avrebbe dovuto controllare che non ci fosse nessuno nella stanza come ogni santissimo giorno.
-No, tranquilla- fece la bionda, portandosi i lunghi capelli dorati dietro una spalla e cercando di studiare la ragazza di fronte a lei. Non ricordava di averla vista da nessuna parte.
Era di media altezza, capelli lunghi, ondulati, neri, con le punte un po’ più chiare e rossastre, viso con mento pronunciato, naso alla francese, labbra carnose e rosee, formosa ma ben proporzionata: decisamente non l’aveva mai incontrata, e poi aveva in mano uno scatolo bordò, probabilmente di una pasticceria.
-Chi sei?- chiese con un pizzico di nervosismo, continuandola a scrutare da cima a fondo. Era vestita in maniera piuttosto formale ed elegante, ed era stata attratta particolarmente dalla sciarpa rossa e dorata che la ragazza stava indossando.
Sarah notò il suo sguardo inquisitorio e ringraziò il cielo che quel pomeriggio aveva deciso di vestirsi decentemente per l’incontro con Shutter. Gli occhi di Martha continuavano a scrutarla, captando ogni dettaglio del suo abbigliamento, delle sue scarpe o di qualsiasi altra cosa lei stesse guardando.
Martha era alta, fisico quasi da top model, aveva capelli biondi lunghi e ondulati, lineamenti marcati, naso un po’ pronunciato e due grandi occhi celesti.
A quanto pareva quella famiglia doveva possedere il gene della bellezza.
-Ehm, sono Sarah Lewis- ammise la mora con un po’ di titubanza e imbarazzo. Avrebbe dovuto dire la verità?  
–Faccio volontariato qui all’ospedale e mi occupo della pulizia di questa stanza. Sono venuta a controllare che non ci fosse nulla da fare e che la temperatura del condizionatore fosse quella giusta- inventò giù di lì con voce stridula e tremante. Sperò con tutta se stessa che Martha se la fosse bevuta e che non si fosse accorta del suo nervosismo.
In realtà la sua presentazione era corretta, solo che in quella determinata circostanza, non era tenuta a portare avanti i suoi obblighi di volontariato.
-Ah- fece solo Martha, rilassandosi un po’. I suoi occhi celesti erano ancora inquisitori e non riuscivano a staccarsi da quelli di Sarah.
La ragazza si sentì andare letteralmente a fuoco. Gli occhi della giovane Trisher erano uguali a quelli di Michael, lo stesso azzurro brillante e profondo, e per poco il cuore non le esplose nel petto. Erano molto somiglianti lei e il fratello, anche se la ragazza che aveva di fronte era decisamente più bionda e più simile alla madre, ma Sarah si sentì quasi male, come se di fronte non avesse lei, ma davvero il ragazzo.
Martha dal canto suo stava cercando di pensare con razionalità a ciò che la ragazza le aveva appena detto. Per qualche strana ragione c’era qualcosa che non la convinceva.
Sarah deglutì, cercando di spostare lo sguardo da lei a qualcos’altro presente nella stanza. Solo in quel momento si ricordò del quadretto e dell’orchidea presenti sulla mensola e sperò con tutta se stessa che Martha non gli avesse visti, né facesse domande a riguardo.
Ritrovarsi con la sorella del ragazzo a cui sembrava tenere più di qualsiasi altra cosa al mondo in quel periodo fu strano e stressante. Ritrovarsi una parte della sua famiglia in quella stanza, in quel tempietto che sembrava essere una sorta di rifugio dalla realtà, un luogo segreto che Sarah condivideva solo con Michael, era un segnale del fatto che lui fosse reale davvero e che la situazione non stava come se l’era immaginata lei. Michael aveva una vita al di fuori di quella stanza e prima o poi lei avrebbe dovuto farci i conti.
Sarah mandò un’occhiata veloce al ragazzo steso sul letto.
Perché aveva deciso di mettersi in quella dannatissima situazione?
-Mi dispiace, non avrei dovuto aprire così di scatto. Non avevo visto che dentro ci fosse qualcuno, vado via subito- aggiunse la ragazza, rossa per l’imbarazzo e per il turbinio di emozioni che stava provando.
-No, stai tranquilla- fece quasi non curante la bionda, appurato che quella ragazza non le ricordasse nessuno –Fai quello che devi- disse solo, guardandola in maniera strana.
Sarah impallidì davanti a quelle parole, non era pronta per quella risposta.
-No, davvero. Passo in un altro momento. Tu sei qui a fargli visita e non voglio interromperti. Aspetterò- cercò di dire con calma, provando a risultare impassibile e il meno emotivamente coinvolta possibile.
Martha la guardò per qualche secondo silenziosa a braccia conserte. Non aveva intenzione di presentarsi, né tanto meno di uscire dalla stanza solo perché qualcuno avrebbe dovuto regolare la temperatura.
Facendo un cenno alla mora, tornò a sedersi sulla poltroncina accanto al letto e Sarah uscì all’istante dalla camera.
Nel momento in cui si chiuse la porta alle spalle, si appoggiò al muro, tirando un respiro di sollievo: aveva combinato un casino bello e buono. D’ora in poi sarebbe stata più attenta.
Il cuore le batteva all’impazzata nel petto, e tutta la contentezza e l’allegria che stava provando fino a cinque minuti prima erano svanite del tutto.
Chiuse un attimo gli occhi, cercando di calmare il respiro: Martha era lì, nella stanza di Michael. Non l’aveva mai conosciuta in maniera diretta, ma aveva visto dal profilo Facebook del ragazzo tutti i suoi familiari e conoscenti, e fortunatamente l’aveva riconosciuta subito.
In altre condizioni, se i due non si fossero assomigliati quel minimo da definirli fratelli, avrebbe sicuramente pensato che quella avrebbe dovuto essere qualche spasimante di Michael, e sarebbe scappata ancora più veloce di come aveva fatto, probabilmente in lacrime.
-Ok, calmati- disse tra sé, cercando di ritornare in uno stato decente. Aveva bisogno di pensare lucidamente e tutta quell’ansia non contribuiva affatto a farlo.
Non era successo nulla di irreparabile e dopotutto la scusa che aveva inventato era passabile e credibile, quindi non avrebbe dovuto agitarsi ulteriormente.
Aprì gli occhi e senza farsi vedere, nascosta dietro gli oscuri delle finestre di vetro che davano sulla stanza, menò un’occhiata veloce a Michael e sua sorella e a passi svelti si diresse verso il bancone dell’accettazione. Non poteva rimanere lì davvero ad aspettare, soprattutto perché sapeva che l’orario di visite sarebbe finito di lì a breve e se qualcuno l’avesse vista, l’avrebbe sicuramente cacciata.
“Andiamo, devi essere contenta che qualcuno della sua famiglia lo sia venuto a trovare” continuava a ripetersi tra sé, ogni qual volta saliva un gradino della grande scala che portava al piano terra. L’ascensore era pieno e aveva deciso di non aspettare salendo a piedi.
Proprio quando stava per impazzire, costretta a districarsi tra le centinaia di pensieri che aveva in mente, il cellulare vibrò nella borsa e fu costretta a rispondere.
-Karen?- rispose con un po’ troppa foga.
-Ehi- fece la ragazza non appena sentì il tono un po’ duro di Sarah –Chiamo in un brutto momento?-
-Ehm, no- ammise sospirando Sarah, sentendosi in colpa del tono brusco appena usato per rispondere. –Scusami, è che sono in ospedale. Dimmi tutto- cercò di continuare calma.
-In ospedale? E’ successo qualcosa?- domandò allarmata la ragazza.
-No, no. Tranquilla. Ho appena finito il turno di volontariato- mentì la mora, salutando con un cenno di capo una ragazza che conosceva e varcando le grandi porte scorrevoli del General Hospital.
-Ah, meno male. Pensavo al peggio!- tornò ad esclamare come sempre la ragazza –Stasera andiamo al Dorian a prendere qualcosa da bere con gli altri, sei dei nostri?-
Sarah ci rifletté un attimo, in realtà non era davvero dell’umore giusto per sorbirsi i suoi ex amici di classe, ma Karen fu più veloce di lei e poi aveva del tutto dimenticato di aver promesso a Bryce e agli altri un’altra uscita di gruppo prima della loro partenza.
-Sei dei nostri, ho deciso io- sentenziò la bionda. –Passiamo a prenderti alle nove e mezza- aggiunse con foga ed entusiasmo, riattaccando immediatamente in modo tale da non dare possibilità alla mora di ribattere.
Sarah sentì la chiamata chiudersi immediatamente e alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Avrebbe dovuto farsi una camomilla prima di uscire.
Dopo essere tornata a casa, passò la successiva mezz’ora a fissare il suo armadio per cercare qualcosa di decente da mettersi. In realtà il suo umore era dei più altalenanti in quel momento: un attimo era triste e malinconica, l’attimo dopo sbatteva tutto ciò che trovava davanti imprecando e desiderando che quel giorno finisse al più presto.
Martha l’aveva sconvolta, sia perché l’aveva beccata in flagrante e sia perché era di una palese somiglianza con il fratello.
Se aveva reagito così solo nel vedere una ragazza che assomigliava lontanamente a lui, figuriamoci come avrebbe reagito se mai l’avesse incontrato davvero.
Gettò nell’armadio l’ennesimo paio di calze sfilate e decise di darsi una calmata, in fondo Karen e gli altri non centravano nulla con il suo malumore.
-Fantastico…- mugolò tra sé una mezzoretta dopo, quando raggiungendo i suoi amici in macchina, aveva notato che tra loro ci fosse anche Bryce. La serata non poteva che peggiorare. Dal loro ultimo incontro l’aveva praticamente ignorato benchè di tanto in tanto il ragazzo le mandava qualche messaggio ricordandole costantemente che avevano un appuntamento in sospeso.
-Ciao a tutti- esclamò entrando in macchina e sedendosi dietro con Karen e Cecily. Le tre ragazze si salutarono e poi Sarah si sporse a salutare Jordan sui sedili anteriori e poi Bryce.
Diede ad entrambi un bacio sulla guancia cercando di sporsi un po’ verso di loro e quando Bryce ricambiò, sporgendosi a sua volta verso di lei, provò una strana sensazione.
-Allora, si parte!- esclamò Karen facendo segno a Jordan di partire.
Il tragitto in macchina non fu dei peggiori, Jordan si era improvvisato dj e contemporaneamente alla guida decideva che canzoni mettere e il loro rispettivo volume.
Karen e Cecily, come se fossero ancora al liceo, iniziarono a ballare sui sedili posteriori, cercando di trascinare in quelle mosse sceme e prive di coordinazione anche Sarah, la quale era da sempre stata negata per qualsiasi cosa che comprendesse la coordinazione di musica e movimento.
La mora le assecondò per qualche secondo ma poi si richiuse in se stessa e non disse una parola fino a quando Jordan non parcheggiò ad un isolato di distanza dal Dorian.
-Allora, come hai passato questa settimana?- le chiese l’amico prendendola a braccetto e trascinandola lontano da Bryce e dalle altre due ragazze.
-Il solito- rispose sincera Sarah, cercando di scacciare dalla mente l’immagine di Martha Trisher e della sua figuraccia.
-Mmm, andiamo. Lo so quando menti. Chi ti ha fatto arrabbiare?- chiese il ragazzo con una naturalezza e con una confidenza che sorpresero Sarah. Adorava quel ragazzo, era stato il suo migliore amico durante tutto il periodo del liceo, e le piaceva il fatto che lui non aveva perso la sua solita esuberanza e voglia di preoccuparsi per lei.
Sarah d’altro canto a quella domanda tentennò un po’. Già, chi l’aveva fatta arrabbiare?
-Eh- iniziò a dire sospirando. Non avrebbe mai raccontato a Jordan di Michael, ma in qualche modo avrebbe voluto accennargli la cosa attraverso una metafora per poter ricevere un consiglio.
Jordan notò il colorito roseo delle guance della ragazza e sorrise leggermente.
-E’ stato un ragazzo?- chiese lui sorridendo malizioso. Non sapeva perché i suoi pensieri andarono a Bryce. Sapeva che Sarah e il suo amico erano piuttosto in sintonia al liceo e aveva notato come nel loro ultimo incontro lui si fosse mostrato particolarmente interessato alla mora, e cercò di indagare.
-Non proprio- rispose vaga Sarah, cercando le parole giuste per descrivere gli avvenimenti del pomeriggio appena trascorso.
-Mmm, allora fammi indovinare…- fece il ragazzo sorridendole –Ti ha fatto arrabbiare una ragazza che gironzola attorno ad un ragazzo con il quale ti stai vedendo…- sparò lui lì per lì. Era la prima cosa plausibile che gli fosse venuta in mente.
Sarah scoppiò a ridere sia perché l’aveva sinceramente divertita il tono usato da Jordan e sia perché per sommi capi il ragazzo ci aveva azzeccato. In realtà Martha in una realtà oggettiva dei fatti non aveva colpe, ma nello stato onirico in sui Sarah viveva da qualche settimana a quella parte, sì.
Appena iniziò a rispondere a Jordan, fu interrotta dalle sue amiche e da Bryce, che non curandosi che magari i due si stessero dicendo qualcosa di importante, li raggiunsero e si unirono a loro.
-Dunque, cosa vi state dicendo di tanto importante dal tenerci all’oscuro?- chiese Cecily con un finto tono arrabbiato, portandosi una ciocca di capelli rossi dietro l’orecchio.
-Già, cosa vi state dicendo?- le diede man forte Bryce, leggermente risentito dalla totale indifferenza di Sarah nei suoi confronti.
-Oh, ma che ficcanaso che siete! Stavamo decidendo cosa prendere da bere!- esclamò Jordan rivolto prima a Cecily e poi a Bryce, che sembrava più concentrato su Sarah che sul ragazzo.
I cinque entrarono nel Dorian e nel momento esatto in cui misero piede nel locale, capirono che la serata non sarebbe stata delle più tranquille. 
Il locale era strapieno di gente e fu davvero un’impresa raggiungere il tavolo che Karen aveva prenotato. Mentre stavano procedendo quasi a tentoni tra la gente, cercando di farsi spazio tra la folla con delle piccole spinte, Sarah sentì Bryce dietro di lei prenderla per i fianchi e avvolgerla con il proprio profumo.
-Farò finta che tu non mi abbia evitato per tutti questi giorni- le disse il ragazzo, appoggiando le sue labbra al suo orecchio e tenendola ancora vicino a sé.
Bryce poteva sentire la schiena di Sarah contro il suo petto e l’odore dei suoi capelli penetrargli le narici. La ragazza avvertì una leggera scossa sentendo le labbra umide di Bryce bagnarle leggermente l’orecchio e cercò di non fare caso alla tachicardia che le aveva causato.
Sarah sentendo quelle parole, si girò un attimo a guardarlo: non aveva capito se il ragazzo fosse arrabbiato con lei o stesse semplicemente scherzando. Il volto di Bryce fu illuminato un attimo da una luce e mostrò il suo solito sorrisetto impertinente e malizioso, e Sarah capì che la stava punzecchiando come sempre.
Di risposta la ragazza gli sorrise alzando gli occhi al cielo e scuotendo la testa. Perché doveva essere sempre così dannatamente travolgente?
Arrivarono al tavolo prenotato e lasciarono le loro cose su dei divanetti in pelle bianca, Sarah stava per ordinare il suo cocktail quando Bryce la prese per mano e non curandosi molto della sua reazione, iniziò a farsi strada tra la gente, portandola lontano dagli altri ragazzi.
Karen guardò confusa prima il moro e poi la ragazza che le fece spallucce e sospirando, seguì il ragazzo riccio davanti a lei.
-Dove stiamo andando?- gli chiese qualche secondo dopo, quando la gente in piedi era diminuita e riuscì a parlare con Bryce senza urlare per la musica troppo alta. La mora si guardò attorno e notò con sorpresa che erano finiti in una specie di corridoio e quelli in fondo dovevano essere i bagni.
Guardò stranita il ragazzo che si era fermato a fissarla di fronte e notò solo allora com’era vestito: indossava una giacca di pelle nera, una camicia color melanzana, jeans neri aderenti e stivali in pelle scura. I capelli nero corvino erano leggermente tirati all’indietro e facevano risaltare i lineamenti marcati del ragazzo che con un sorrisino soddisfatto, stava scrutando la mora.
-Allora?- chiese di nuovo Sarah.
Bryce la stava facendo innervosire. Continuava a fissarla stando di fronte a lei con quell’espressione strana stampata sul volto con chissà quali pensieri per la testa, e per di più l’aveva anche trascinata in quella specie di cunicolo allontanandola dagli altri.
Bryce si soffermò a guardarla. Si soffermò a guardare come i suoi capelli lunghi e mossi le ricadevano sul petto arrivando fino al seno, come la gonna a palloncino rossa e grigia le avvolgeva la vita evidenziando la sua figura e le sue forme, e di come gli stivaletti con il tacco la slanciavano e le permettevano quasi di arrivare all’altezza del suo sguardo.
Fece un passo verso di lei e appoggiò una mano al muro. Era praticamente tra le sue braccia e questa volta non avrebbe potuto dileguarsi o rifiutarlo come tutte le altre volte.
Sarah deglutì sentendosi avvolta dalla figura di Bryce e dal suo profumo. Avrebbe dovuto ammettere che quei capelli non gli stavano niente male e che le piaceva molto come fosse vestito, ma come ogni volta che era con lui, si sentiva sempre bloccata, sempre titubante e probabilmente aveva capito anche perché.
-Tu mi piaci- disse improvvisamente Bryce con voce bassa, chinando leggermente la testa e studiando la sua reazione –Mi sei sempre piaciuta e lo sai, e so anche che io piaccio a te, quindi non riesco a capire quale sia il problema tra di noi- aggiunse sincero, con un tono calmo ma che celava un pizzico di sfida.
Sarah si sentì quasi mancare, sia perché Bryce si era pericolosamente avvicinato al suo viso, e sia perché sapeva che il ragazzo aveva ragione. Per quanto lui si discostasse dal suo prototipo di ragazzo ideale, lui le piaceva, ma non riusciva a lasciarsi andare. Inoltre per lei era una situazione molto strana: era la prima volta che un ragazzo le diceva quelle cose in una maniera così sincera e non sapeva bene come comportarsi e come reagire. Negli ultimi anni non aveva mai approfondito nessun rapporto se non a livello di amicizia ed era un po’ estranea a tutta quella faccenda.
-Non deve esserci per forza un problema- disse sincera Sarah deglutendo, cercando di scacciare quello stato di leggera ansia in cui era entrata.
Bryce fece un passo verso di lei e si avvicinò ancora di più, inspirò il profumo della ragazza e le sfiorò leggermente i capelli con la punta del naso.
-E allora perché mi respingi? E non uscire di nuovo il discorso della distanza e della fiducia, perché non me la bevo- rispose un po’ piccato Bryce. Davvero non capiva perché la ragazza gli era tanto ostile. Era l’unica che non aveva ceduto immediatamente alle sue avances e che sembrava tenergli testa e questa cosa lo infastidiva e gli piaceva allo stesso tempo.
La mora cercò di distogliere lo sguardo dagli occhi profondi e penetranti del ragazzo e guardò di lato. Bryce le era davvero vicino, sentiva il suo odore, sentiva il suo petto sfiorare leggermente il suo corpo e stava rabbrividendo al suo tocco.
Deglutì di nuovo, in realtà non sapeva cosa dire. Non avrebbe saputo dare una risposta sincera a Bryce e il ragazzo aveva ragione, lui le piaceva, quindi poteva anche evitare di cercare di dare la colpa alla distanza o al fatto che il moro fosse un po’ troppo libertino per i suoi gusti.
-Rispondimi- aggiunse Bryce di fronte all’imperturbabilità della ragazza. Le alzò il viso con una mano e la costrinse a guardarlo negli occhi.
Il cuore di Sarah fece un sussulto. Bryce era il tipo perfetto da definire “bello e tenebroso” con una voce profonda e gutturale, molto sensuale in certe situazioni ma molto efficacie in altre.
-E’…è complicato- cercò di rispondere Sarah in preda all’ansia. Bryce le era praticamente attaccato. Sentiva il muro freddo dietro la sua schiena e allo stesso tempo sentiva il corpo caldo e muscoloso del ragazzo, inoltre lui le stava respirando sul collo e tutta quella situazione la stava davvero distraendo.
Al sentire quelle parole Bryce alzò un sopracciglio e la guardo storto.
-Non è per nulla complicato- commentò lui con ovvietà e con una voce molto calda e roca. Avrebbe voluto stringerla più a sé e sentire le sue curve morbide sotto le mani, ma si limitò solo a torturarla un po’, giusto per il piacere di farlo.
Chinò la testa e le sfiorò il collo con la punta del naso, seguì l’incavo del mento e risalì sulla guancia, fermandosi con il viso di fronte a lei e la guardò negli occhi.
Sarah respirò a fatica. Gli occhi verdi di Bryce erano fissi dentro i suoi e si stava letteralmente sciogliendo sotto di lui, una strana sensazione le partì dal basso ventre fino ad arrivare fin sotto la nuca e cercò di non darlo molto a vedere.
-Allora? Mi dici qual è il problema?- domandò ancora lui, con voce bassa e sensuale. Le punte dei loro nasi si stavano quasi sfiorando.
-Bryce- iniziò a dire a fatica Sarah –Te l’ho detto- aggiunse cercando di essere un po’ più risoluta.
-No, Sarah. Non mi hai detto niente- commentò lui, passando un pollice sulle labbra della ragazza e seguendone il loro profilo.
-C’è un altro ragazzo? E’ per questo che mi respingi?- chiese qualche secondo dopo il moro. Doveva essere l’unica spiegazione a quel comportamento. Non aveva mai fatto nulla per ferirla e a meno che lei non si stesse vedendo con qualcun altro, non vedeva perché Sarah la faceva così complicata.
A quelle parole la mora ebbe un sussulto e Bryce se ne accorse. Tecnicamente non c’era nessun ragazzo ma per Sarah era come se ci fosse, o quanto meno, le piaceva pensarla a quel modo. In quelle settimane aveva avuto pensieri solo per Michael, per i suoi capelli biondo scuro e per i suoi occhi azzurri come il cielo.
-Chi è?- chiese quasi con prepotenza il ragazzo, maledicendo il fatto che aveva avuto un’intuizione corretta.
-Non c’è nessun altro ragazzo- cercò di sviare Sarah, ma il tentativo non andò a buon fine.
-Deve esserci per forza qualche altro ragazzo, altrimenti non riesco davvero a capire il tuo comportamento- iniziò a dire Bryce. Si era allontanato di un passo da lei e a Sarah sembrò di poter tornare a respirare ancora.
-Non ti ha mai sfiorato l’idea che forse non voglio e basta? E che non c’è nessuna logica spiegazione in merito?- chiese la ragazza, finalmente ripresasi dal breve trance in cui il tocco di Bryce l’aveva fatta finire qualche minuto prima.
-No- ripose risoluto lui. Sapeva con chi aveva a che fare e sapeva anche che non le era indifferente –E comunque c’è un altro ragazzo- aggiunse geloso.
-E anche se ci fosse? Che cosa faresti?- chiese Sarah, leggermente infastidita da tutta quella sicurezza mostratale dal moro.
-Andate a letto insieme?- chiese Bryce, sfacciato e senza troppi giri di parole fermandosi a guardare Sarah con uno sguardo tra il divertito e l’infastidito. Qualche giorno fa gli aveva detto di non avere un ragazzo e oggi scopriva che invece si stava vedendo con qualcuno. E poi quello di cui non ci si poteva fidare era lui, certo.
-Cosa?!- esclamò in totale imbarazzo Sarah, stravolta da quella domanda impertinente e del tutto insensata in quel momento –No!- esclamò isterica pensando a ciò che Bryce le aveva appena chiesto.
La sua mente si immaginò Michael davanti a lei, immaginò i loro incontri casti e del tutto privi di malizia che avevano in ospedale e pensò anche alla sua reazione nel vedere su Facebook per la prima volta il ragazzo.
Come si permetteva Bryce a chiederle quelle cose? A voler sapere di Michael? Non c’era nulla da dire, non c’era nient’altro da fare. Lei provava una forte empatia per Michael e questo le bastava a non permettere a nessun altro di entrare nella sua vita in quel momento, malgrado tra di loro non ci fosse niente di fisico, malgrado tra di loro non ci fosse nulla in generale.
-L’altro giorno mi hai detto che non ti vedi con nessuno e oggi c’è un altro ragazzo?- Chiese allora Bryce, cercando di comprendere la reazione isterica di Sarah.
Ne aveva avuto appena la conferma, c’era sicuramente un altro ragazzo.
-Sai che ti dico?!- iniziò a dire allora Sarah, davvero infastidita da quelle assurde domande sulla sua vita privata.
Davvero non concepiva la sfacciataggine di Bryce in quell’occasione e soprattutto non sopportava il fatto che avrebbe dovuto dargli spiegazioni su Michael.
-Io non sono tenuta a dirti proprio niente, né tanto meno a giustificare i miei comportamenti!- continuò alzando la voce e iniziando a camminare. Non avrebbe speso un minuto di più per quella conversazione.
La prepotenza del ragazzo era del tutto fuori luogo soprattutto considerando il fatto che in quegli anni avevano perso del tutto i rapporti.
Bryce sentì Sarah spingergli il petto e allontanarsi e lui d’istinto la prese per un polso, volenteroso di guardarla in faccia  e costringerla a parlare.
Non avrebbe voluto che quella serata prendesse quella piega, ma la mora si era rivelata più ostica del previsto, e poi le dava tremendamente fastidio il suo atteggiamento. Lui voleva solo vederci chiaro e avere un rifiuto secco cosicché avrebbe messo definitivamente una pietra sopra sulla loro storia. Il fatto che Sarah non gli dicesse chiaramente qual era il problema tra di loro, lo faceva sentire perennemente sul filo del rasoio, ma soprattutto lo faceva sentire perennemente in dubbio su come agire con lei.
Sarah sentì la mano del ragazzo trattenerla per il braccio e con un gesto molto energico e veloce se lo scrollò di dosso. Davvero non capiva tutto quell’interesse da parte sua verso di lei, ma soprattutto si era innervosita per tutte quelle domande personali.
-Sarah, aspetta. Mi dispiace!- fece poi Bryce, sinceramente colpito dallo sguardo rabbioso della mora, forse aveva davvero esagerato questa volta.
-Non mi toccare!- disse ad alta voce la ragazza, riprendendo a camminare e ritraendo le braccia. Per quanto ne sapeva lei, quella serata si era appena conclusa.
-Andiamo, ti prego. Scusami, sono un’idiota!- iniziò a dire lui con un tono sinceramente pentito. –Sarah!- chiamò a voce alta cercando di fermare la ragazza.
-Che diavolo vuoi Bryce?!- esplose lei a quell’ennesimo richiamo. –Vuoi sapere se mi sto vedendo con qualcuno? Sì, lo sto facendo, e probabilmente ti farà anche piacere sapere che è una storia impossibile e che non ho nessuna possibilità con lui. Quindi sì, mi piace un altro ragazzo e allo stesso tempo non riesco a provare niente per nessuno, perché sono sempre la solita paranoica e complessata che ero al liceo e perché ho paura di essere rifiutata o ferita da qualcuno a cui do un po’ di fiducia e a cui permetto di conoscermi meglio. Ti va bene questa come spiegazione?!-
-Sarah, io davvero non volevo farti agitare…- disse Bryce, leggermente sconvolto dalle parole della ragazza. A lui davvero piaceva e l’ultima cosa che avrebbe voluto era litigare con lei.
A quelle parole Sarah si calmò leggermente, pensando che forse aveva avuto una reazione un po’ esagerata e che Bryce in fondo non c’entrava niente con la sua frustrazione nei confronti di Michael. Abbassò lo sguardo, totalmente in imbarazzo per le cose appena dette e che adesso il moro di fronte a lei conosceva e scosse la testa, cercando di riprendere a respirare con meno velocità.
-Scusami. Ho esagerato- disse solo la ragazza riprendendo a camminare. Voleva letteralmente sparire e porre fine a quella infinita giornata.
Le emozioni erano state decisamente troppe.
-No, non è vero. Sono io il coglione. Mi dispiace davvero, anche per quello che ho costretto a farti dire. Io non credevo…- iniziò a dire seriamente dispiaciuto Bryce.
Voleva raccogliere i cocci di quel vaso in frantumi e riaggiustarli, magari con un po’ di colla, giusto per cercare di salvare il rapporto di pseudo amicizia con la ragazza.
-Non fa niente- commentò solo Sarah, sinceramente spossata da tutta quella situazione. Voleva solo andare a casa e avvolgersi sotto le coperte.
-Dove stai andando?- le chiese Bryce quasi con disperazione. Non voleva lasciarla sola e non voleva che il loro ultimo incontro prima della sua ripartenza per il college fosse quello. Nemmeno uno come lui l’avrebbe sopportato.
-Torno a casa. Non mi va di stare qui- rispose sincera la ragazza la quale sentì il naso pizzicarle e gli occhi arrossarsi. Non voleva fare la figura della scema scoppiando a piangere davanti a tutti, né tanto meno davanti a Bryce, ma ogni volta che si innervosiva o si arrabbiava o pensava alla sua condizione in quel momento, le lacrime le scendevano inevitabilmente.
-Dai, non andare- la trattenne Bryce questa volta con modi molto più delicati di quelli di prima. Si sentiva piuttosto in colpa per quello che aveva fatto.
-Non sono dell’umore adatto per trascorrere la serata con altre persone- rispose risoluta lei.
-Almeno ti posso accompagnare a casa? Per favore, fammi rimediare- chiese il moro, passandosi una mano tra i capelli e sospirando.
-Chiamerò un taxi- fece lei, cercando di apparire calma ma autoritaria.
-Ti prego, questo non può essere il nostro ultimo incontro. Domani parto. Per favore, permettimi di farmi perdonare- disse sincero lui, quasi in un ultimo disperato tentativo di convincere la ragazza a non andare.
-Non fa niente, Bryce. E’ capitato. Ci vediamo al Ringraziamento- fece allora Sarah, che già aveva iniziato a incontrare altri clienti del club.
-Di’ agli altri che non mi sono sentita bene. Salutali da parte mia e digli che ci rivedremo presto-
Furono queste le ultime parole che Sarah pronunciò, prima di incamminarsi tra la folla e di lasciare Bryce immobile al centro del corridoio.
 
***
Ciao stelline! Ed ecco concluso il settimo capitolo! Lo so, è un po' lunghetto, ma dovevo accorpare un po' di scene in modo che mi trovassi con i numeri dei capitoli mancanti al risveglio di Michael!
Allora per prima cosa ringrazio tutti coloro che leggono, che hanno inserito la storia tra i preferiti/ricordate/seguite, e ancora di più coloro che recensiscono assiduamente questa storia! 
Grazie alle nuovissime reclute! Mi ha fatto davvero piacere leggere le vostre opinioni e spero di leggerne anche tante altre, soprattutto in vista del risveglio del principino :P
Passando al capitolo, questa per Sarah è stata decisamente una giornataccia e probabilmente è anche la prima volta che si arrabbia sul serio con qualcuno. Siamo stati abituati a vedere Sarah sempre molto calma e dolce, ma per lei la giornata è stata lunga e l'incontro con Martha ha davvero scombussolato i suoi sentimenti! 
Tutti questi avvenimenti, assiema a quelli che ci saranno nel capitolo successivo, servono principalmente a far rendere conto a Sarah che lei inizia a provare qualcosa di molto più profondo nei confronti del biondo, e che non è più sempplice "empatia" ma inizia ad essere qualcosa di molto più travolgente! 
Bryce diciamo che poi ci mette del suo a fare innervosire Sarah, con tutte quelle domande e con quel suo comportamento un po' prepotente, ma è da capire anche lui poveretto. Lui vuole vederci chiaro, soprattutto perchè non vuole aspettare Sarah in eterno, e secondo me è un atteggiamento abbastanza giusto, almeno per capire come deve comportarsi!
Come sapete il tanto atteso capitolo arriverà venerdì, e spero davvero che vi piaccia quanto è piaciuto a me, perchè dentro ci sono mille emozioni e soprattutto una scena molto tenera :P 
Mi raccomando fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo se no venerdì vi faccio il bidone!  xD 
Un bacio!
M.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


8
 
5 novembre 2013
 
-Questo è il salone di casa tua?- esclamò Sarah, colta totalmente alla sprovvista quando Michael aprì una grande porta di legno massello  scuro a due ante e mostrò alla ragazza il contenuto della stanza.
-Mmm, no- fece lui divertito e con una punta di imbarazzo per quello che stava per dire. In realtà il salone di casa sua era decisamente più grande di quella stanza.
Sarah lo guardò confusa, cercando di capire come ci potesse essere una camera ancora più grande di quella.
-In realtà questa è la biblioteca- continuò, girandosi a guardare la ragazza negli occhi e notò lo stupore nell’espressione della mora.
-La biblioteca?!- esclamò Sarah –Tu hai una biblioteca in casa?!- ripeté, ancora più incredula varcando la soglia dell’ingresso ed entrando a grandi passi nella stanza.
Rimase completamente senza parole.
 La stanza era enorme, con delle finestre grandissime che partivano da terra e arrivavano fino al soffitto voltato. Ogni singolo muro di quella camera era ricoperto da legno e da scaffali e sopra di essi c’erano migliaia e migliaia di libri rilegati, in pelle, con le copertine colorate, o con decorazioni in filigrana.
Sarah si girò a guardare Michael che era rimasto immobile sulla soglia della porta. Lo trovò con le braccia conserte, appoggiato lungo un fianco sullo stipite e con un grande sorriso sulla faccia. Sembrava davvero contento e soddisfatto per l’idea di averla portata lì a casa sua.
La ragazza ebbe un leggero sussulto non appena incontrò il suo sguardo penetrante e profondo. Gli occhi blu di Michael stavano scrutando lentamente la figura della giovane e lui sembrava starsene lì, in attesa di chissà che cosa.
Solo incontrando quelle perle blu, Sarah si accorse di sostare quasi al centro della stanza e probabilmente di avere un’espressione inebetita in faccia, simile a quella che hanno i bambini quando entrano in un negozio di caramelle.
Michael rise, accorgendosi del turbinio di emozioni che Sarah stava provando e decise di raggiungerla.
-Allora, ti piace?- chiese il ragazzo con un’espressione sorniona in viso, aspettando divertito la risposta di Sarah.
-Se mi piace?!- ripeté lei basita –E’ bellissima! Non mi hai mai detto di avere tutti questi libri!- si girò lei entusiasta, guardando il ragazzo procedere verso di lei.
-Beh, non me l’hai mai chiesto! E poi non sono miei, sono volumi accumulati per anni da tutta la mia famiglia- rispose il ragazzo, portandosi le mani ai fianchi e guardandosi attorno titubante sul da farsi.
-Wow! Siete dei grandi accumulatori seriali voi Trisher! Sai che fanno dei programmi televisivi a riguardo?- disse Sarah scherzando.
Michael scoppiò a ridere e si diresse verso uno scaffale. Sarah lo guardò dubbiosa, temendo di aver detto qualcosa di sbagliato. Conosceva pochissimo riguardo la famiglia di Michael e ogni volta che lei e il ragazzo avevano toccato involontariamente l’argomento, il biondo aveva cercato sempre di cambiare discorso.
Michael da parte sua non se l’era affatto presa per quella cosa, anzi, ancora più divertito si diresse verso la grande libreria principale di fronte a lui.
Sarah lo guardò in silenzio, cercando di capire cosa il ragazzo stesse facendo: sembrava intento a cercare un libro in particolare.
Michael lesse velocemente tutti i titoli dei libri scritti lateralmente alla copertina e poi finalmente trovò quello che stava cercando. Con non troppa delicatezza lo sfilò dallo scaffale e si girò, cercando Sarah e notando che non era poi così distante da lui.
Sollevò il libro e lo sventolò in aria guardandola con un’espressione divertita e procedendo verso di lei.
Sarah lo guardò curiosa, del tutto ignara su che libro fosse, dato che non avevano mai affrontato un argomento del genere prima.
-Ricordavo di averlo da qualche parte- fece lui, porgendole delicatamente il libro leggermente impolverato.
La ragazza guardò curiosa prima lui e poi il libro e fece un sorriso.
-Gente di Dublino? Sul serio?!- chiese, girandosi tra le mani la copia del libro che lei gli aveva portato qualche giorno prima.
-E’ la prima edizione integrale edita nel 1914- iniziò a dire il ragazzo, guardando Sarah rigirarsi il libro tra le mani. –Visto che tu mi hai dato la tua, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere avere questa copia. Dovrebbe valere molto adesso. E’ un’edizione vecchiotta, dopotutto- concluse, rivolgendole un sorriso che avrebbe fatto sciogliere anche i ghiacciai dell’Antartide.
Sarah deglutì, persa per un attimo nelle sue iridi azzurre, e dopo qualche secondo si riprese iniziando a parlare di nuovo.
-Michael, è bellissimo, davvero, ma non posso accettarlo. Insomma, è una cosa che appartiene alla tua famiglia…- iniziò a dire la ragazza leggermente agitata, studiando contemporaneamente la copertina originale del libro: ritraeva James Joyce in persona.
-Ehi, ehi, calmati- fece il ragazzo davanti a tutta quell’ansia di Sarah –Guarda quanti libri ci sono qua dentro, secondo te ai miei genitori interessa davvero se regalo un libro a qualcuno?- chiese lui, cercando di spezzare quell’atmosfera piuttosto tesa che era calata tra di loro.
La ragazza fece un sospiro e si portò i capelli dietro le spalle.
Non era per il libro in sé per sé, ma era tutta la faccenda che c’era dietro ad innervosirla e Michael non c’entrava niente in tutto ciò che le stava capitando, ed era stato uno sbaglio accettare di andare a casa sua dopo quello che era successo con Bryce.
Il ragazzo la guardò meglio e si accorse che qualcosa non andava. Di solito Sarah era sempre quella che lo teneva di buon umore, ma in quella situazione era il contrario. Non sembrava molto entusiasta di quell’incontro, o almeno, aveva apprezzato molto la biblioteca di famiglia, ma la sentiva piuttosto strana e distante.
-Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?-  chiese lui titubante, preoccupato per il cambio di umore della ragazza.
La mora sospirò di nuovo e porse il libro a Michael: quello non era decisamente il momento per farsi assalire dalla frustrazione che provava ogni volta che le succedeva qualcosa che scuoteva la sua monotona vita, e poi sicuramente sarebbe stato da egoisti coinvolgere Michael in tutto quello, soprattutto considerando le sue condizioni.
Michael prese il libro e lo appoggiò sul pianoforte posto vicino la libreria principale e poi fece un passo verso Sarah, aspettando pazientemente che lei parlasse.
Scrutò la figura della ragazza per una decina di secondi, poi davanti al suo silenzio, avanzò lentamente verso di lei e le alzò il viso, cercando i suoi occhi con lo sguardo.
-Che succede?- chiese con dolcezza, avvicinandosi di più a lei fino quasi a sentire il calore del suo corpo.
Sarah rimase per qualche secondo immobile: era la prima volta che Michael le era così vicino e iniziò a sentire il cuore martellarle nel petto.
-Niente- cercò di dire con la voce ridotta quasi ad un sussurro, abbassando lo sguardo e slegando i suoi occhi dalle perle blu di Michael che quasi la ipnotizzavano.
-A me puoi dire tutto, lo sai- le fece il ragazzo, facendo scorrere le sue mani lungo le braccia della ragazza per cercare di metterla a proprio agio.
Scese giù fino ad arrivare ai polsi e poi alle mani e alle dita, che intrecciò lentamente tra le sue e rimase qualche secondo fisso a guardarle.
Sarah guardò silenziosamente le loro mani, e poi alzò di nuovo lo sguardo, scrutando i lineamenti del ragazzo di fronte.
-Sono stato io?- chiese Michael con voce bassa, quasi terrorizzato dall’idea che avrebbe potuto farle del male in qualche modo.
-No!- esclamò di getto Sarah dopo aver sentito quelle parole. Come avrebbe potuto farle qualcosa di male? Soprattutto lui che era così gentile e così educato ogni volta.
-E chi è stato, allora?- domandò di rimando il ragazzo, sollevato dall’idea che Sarah non ce l’avesse con lui.
La ragazza sospirò e lasciò le mani di Michael. Lui la scrutò per qualche secondo, poi si allontanò da lei, dirigendosi verso la punta della grande stanza. Aveva appena avuto un’idea.
-Arrivo subito- disse, procedendo a grandi passi verso un angolo interamente vestito in legno.
Sarah si sporse leggermente per cercare di capire dove si stesse dirigendo il ragazzo e solo quando sentì una leggera musica, capì che cosa il biondo avesse fatto.
Michael aveva inserito un cd nello stereo montato sul grande scaffale e stava tornando a passi svelti verso di lei, notando con un po’ di divertimento che la ragazza lo stava guardando tra lo stupito, l’imbambolato e l’imbarazzato.
-Ti piace Beethoven?- le chiese sorridendole leggermente, avanzando e prendendola tra le sue braccia, non curandosi dell’avventatezza del gesto.
Sarah sentendo le mani di Michael cingerle un fianco e scorrere lungo un suo braccio, si irrigidì, totalmente ignara sul da farsi e su cosa il ragazzo avesse in mente di fare.
La soave musica che Michael aveva fatto partire, invase la stanza, amplificata dall’eco che la volta a crociera sopra di loro produceva, portando i due ragazzi in una dimensione quasi onirica e surreale.
-Non ho mai ascoltato la musica classica- rispose sincera Sarah, i cui battiti del cuore avevano iniziato ad accelerarle prepotentemente nel petto ogni volta che Michael la sfiorava.
Deglutì, cercando di nascondere l’imbarazzo che l’estrema vicinanza di Michael le stava causando. Il ragazzo l’aveva avvicinata a sé e le aveva preso una mano. L’altra mano era dietro la sua schiena e i suoi occhi blu erano puntati in quelli della mora.
-Beh, c’è sempre una prima volta- commentò lui, cercando di interpretare l’espressione confusa di Sarah.
-Signorina Lewis, vuole concedermi questo ballo?- chiese gentile dopo qualche secondo, chinando leggermente il capo di lato e accennando un veloce sorriso malizioso alla ragazza.
Sarah dischiuse leggermente le labbra, stava cercando di dire qualcosa, ma non ci riusciva. Michael era di fronte a lei a pochissima distanza, ed era tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Se ne stava lì ad aspettare una sua risposta, colpito dalla leggera luce arancione che entrava nella finestra. I suoi capelli biondo scuro avevano assunto una strana sfumatura dorata e rossastra e i suoi occhi blu sembravano quasi del colore dell’abisso.
-Ehm…- iniziò a dire lei, in evidente imbarazzo e disagio –In verità non so ballare- aggiunse veloce, quasi a voler mascherare quella sua mancanza.
Michael sorrise e la strinse a sé, rabbrividendo leggermente dietro la schiena. Sarah fu investita dal suo profumo: era la prima volta che ci faceva caso. Non era molto forte, ma era abbastanza speziato, con un leggero retrogusto di frutta.
-Nemmeno io- le rispose sorridendo, sussurrandoglielo nell’orecchio.
Sarah si avvicinò per quanto poté maggiormente al corpo del ragazzo, e sentì i loro petti scontrarsi. Michael emanava calore e riusciva a sentire ogni centimetro del suo corpo toccare quello del ragazzo. Era una cosa strana, perché sembrava che il ragazzo fosse davvero lì con lei.
Portò lentamente una mano dietro la sua nuca, e totalmente ignara dei passi e dei movimenti da fare, decise di farsi trasportare dal ragazzo, che sembrava avere molto più spirito di iniziativa di lei.
Sfiorò delicatamente con la punta delle dita il retro del collo del ragazzo, e cercando di risultare il meno goffa possibile, si aggrappò a lui, facendosi trasportare dai suoi passi.
Michael aveva preso a muoversi facendo di tanto in tanto un passo. In realtà non stava sentendo affatto la soave e dolce musica che rimbombava nella stanza, ma stava procedendo a tentoni, totalmente ignaro di come si portasse avanti un ballo di coppia.
-Ora mi dici che succede?- chiese Michael a bassa voce, girando di lato la testa e ritrovandosi a pochi centimetri dal naso della ragazza. Non le era mai stato così vicino.
Sarah deglutì. Per pochi minuti aveva dimenticato quale fosse l’argomento di quella conversazione e allora che Michael l’ebbe ritirato fuori, non riuscì a mentirgli, complice il fatto che era praticamente attaccata a lui tanto da sentirne il respiro sulla pelle.
-Qualche giorno fa ho incontrato un mio amico- iniziò a dire la ragazza, evitando volontariamente di incrociare lo sguardo di Michael –Non lo vedevo da tanto tempo, e per me la cosa era morta e sepolta…- continuò a dire lei.
-Cosa era morta e sepolta?- chiese confuso il biondo, sperando che quell’ “amico” fosse davvero solamente tale.
Sarah affondò il suo viso tra l’incavo del collo di Michael e la sua clavicola. Davvero gli stava raccontando di Bryce? E del fatto che avessero litigato a causa dei sentimenti che lei provava per lui?
-Diciamo che…al liceo- aggiunse cercando meglio le parole da usare –Noi siamo usciti qualche volta insieme. Poi la scuola è finita, lui è andato a studiare a Boston, io sono rimasta qui a New York e io ho reciso tutti i rapporti che avevo con i miei vecchi amici, se non saltuariamente durante delle rimpatriate di classe-
-E quindi ora che l’hai rivisto ti sei accorta di continuare a provare qualcosa per lui?- chiese Michael, nascondendo un pizzico di gelosia nella voce. Stavano continuando a muoversi lentamente ed era appena partita l’Orchestra per pianoforte n°5.
-E’ più complicato di così- fece Sarah lasciando la mano di Michael e portandogliela dietro la nuca. Si trovava totalmente tra le sue braccia.
Michael deglutì e portò la mano libera dietro la schiena della ragazza: le stava cingendo i fianchi.
-Beh, no se due persone si piacciono- disse lui guardandola negli occhi. Quella conversazione stava decisamente prendendo una piega strana.
Sarah sospirò.
Già, non c’era nulla di complicato.
L’unica cosa complicata era lei, la situazione in cui si era andata a cacciare coinvolgendo Michael in tutta quella storia e il fatto che non riusciva a sforzarsi di provare alcun tipo di sentimento positivo per nessun altro all’infuori di lui.
Forse avrebbe dovuto dirglielo.
-Bryce mi piace, davvero- iniziò a dire lei, appoggiando leggermente la testa al lato del suo viso.
-Ma?- continuò per lei Michael, sperando con tutto se stesso che la ragazza aggiungesse qualcos’altro.
Sarah si scostò e rimase qualche secondo a guardarlo negli occhi. I suoi occhioni blu erano la cosa più bella che lei avesse mai visto da così vicino.
-Ma non è quello che voglio- ammise, abbassando un po’ lo sguardo imbarazzata.
Era la prima volta che stava facendo una cosa del genere, non aveva mai confessato a nessun ragazzo cosa provava per lui e tutta quella situazione le sembrava davvero assurda, soprattutto perché era consapevole che stava per finire da un momento all’altro.
Al sentire quelle parole Michael la strinse di più a sé, aumentando leggermente la pressione sui suoi fianchi. Il suo cuore aveva iniziato a battere più velocemente ed era la prima volta che si sentiva in imbarazzo con una ragazza.
-E cosa vuoi?- le chiese allora lui di rimando, in attesa della risposta.
Sarah lo guardò di nuovo negli occhi e cercò di prendere tempo. Il suo sguardo corse lentamente dalle iridi del ragazzo alle sue labbra, seguendo il profilo del naso.
Michael era davvero secondo lei la cosa più vicina all’ideale di perfezione: aveva i lineamenti di un angelo.
Il ragazzo seguì tutti i movimenti degli occhi della mora e quando lei si soffermò sulle sue labbra, dischiudendo un po’ la bocca e iniziando a respirare veloce, decise di agire in maniera un po’ affrettata.
Le note dell’ “Imperatore” di Beethoven aleggiavano nell’aria e Sarah stava seguendo tutti i movimenti corporei di Michael, cercando di mimare un balletto decente, e contemporaneamente fermandosi a cogliere tutti i magnifici dettagli che il viso del ragazzo le riservava ogni volta che lo guardava.
Il biondo, vedendo Sarah immobile di fronte a lui, chinò leggermente la testa, cercando di annullare la distanza che intercorreva tra le loro labbra, e dopo aver incontrato gli occhi della ragazza, poggiò delicatamente le labbra sulle sue, aspettando una qualche reazione da parte della giovane.
Sarah sentì le labbra umide di Michael sulle sue ed ebbe quasi un sussulto.
Il ragazzo dischiuse le sue labbra e cercò di far rilassare la mora, che sembrava essere una statua di marmo, facendo risalire le sue mani lungo tutta la sua schiena e poi prendendole il viso.
Il cuore di Sarah stava battendo all’impazzata nel petto, e ad ogni tocco, ad ogni movimento delle labbra del ragazzo, la giovane sembrava sciogliersi sempre di più con il passare dei secondi.
Sentendo Sarah più rilassata, Michael si fece più spazio tra le sue labbra e cercò di intrecciare la sua lingua con quella di lei, muovendola delicatamente e lentamente dentro la sua bocca.
Le labbra umide di Michael stavano indugiando su quelle di Sarah che timidamente prese Michael dai fianchi e lo avvicinò di più a sé, cercando di avvicinarsi a lui ancora di più di come già non lo fosse.
Sarah sentiva Michael insinuarsi sempre di più nella sua bocca, fino a quando il casto bacio che il ragazzo le aveva dato non si trasformò in qualcosa di molto più passionale. Il contatto tra di loro divenne così intenso, che l’istinto costrinse Sarah ad aprire gli occhi e cercare di fermare tutte quelle sensazioni.
Quando Sarah aprì di nuovo gli occhi, fu colpita dalla luce del sole nel bel mezzo del suo letto.
Stava respirando veloce e solo dopo qualche secondo si accorse che era stato tutto un sogno.
Aprì sconvolta le coperte, cercando di darsi una calmata e di riprendersi da tutte quelle emozioni appena provate.
“E’ stato tutto un sogno” pensò tra sé, passandosi una mano sulla faccia per cercare di svegliarsi meglio.
“Solo un sogno” continuò a ripetersi.
Ripensò alle immagini appena vissute: la biblioteca, la musica, il ballo, il bacio.
Era solo un sogno.
Uno stupidissimo e bellissimo sogno.
Era stato tutto così vero, dal primo all’ultimo momento. Tutte le sensazioni che aveva immaginato di provare, le mani di Michael che correvano lungo la sua schiena e poi le prendevano il viso, le sue labbra umide e la sua lingua calda e morbida, erano tutte un sogno, eppure erano state tutte così reali, da sembrare vere.
Si lasciò cadere sul letto, avvolta dall’improvviso freddo che era appena calato nella stanza e chiuse un attimo gli occhi: non era possibile, non poteva essere.
Lei non aveva sognato davvero di essere baciata da Michael.
Si portò una mano sulle labbra, quelle stesse labbra che fino a qualche attimo prima erano unite a quelle del ragazzo.
Non si era mai sentita così, non aveva mai provato nulla del genere prima di allora. La sensazione di totale smarrimento, di totale dedizione nei confronti di Michael era ancora vivida dentro di lei.
Non poteva farlo. Non poteva davvero innamorarsi di lui. Non poteva davvero innamorarsi di uno sconosciuto che, come se non bastasse, era anche tenuto in coma farmacologico da poco più di un mese.
Eppure Michael sembrava perfetto: era bello, era colto, aveva studiato in una delle migliori università di tutta l’America ed era di buona famiglia, e lei aveva decisamente alterato la realtà con tutte quelle visite e con tutti quei racconti sulla sua vita, fino a al punto tale di idealizzarlo, fino al punto tale da sentirlo così vicino a sé, da iniziare a provare qualcosa per lui.
I suoi sentimenti erano dei più puri, non era attrazione fisica, anche se sicuramente il bell’aspetto del ragazzo aiutava, ma era una sorta di affetto, una specie di profonda empatia, che la costringevano a pensare a lui durante ogni ora del giorno, ad interrogarsi su ogni cosa riguardasse il ragazzo, a domandarsi quale fosse il suo cibo preferito, che genere di musica ascoltasse, chi fosse il suo scrittore preferito e cosa preferiva fare nel tempo libero.
Allontanò la mano dalle sue labbra e sbuffò: alla fine l’aveva ammesso, si stava lentamente innamorando di lui, stava iniziando a provare qualcosa di molto più forte della semplice empatia che continuava a dire di provare nei suoi confronti per negare a se stessa l’evidenza.
Tutta quella situazione era davvero ai limiti dell’assurdo e lei non riusciva a smettere di pensare agli occhi blu di Michael e al suo splendido e perfetto sorriso.
Come poteva provare dei sentimenti per una persona che non aveva nemmeno conosciuto? Ma soprattutto, come poteva provare dei sentimenti per una persona che probabilmente lei aveva idealizzato?
Non conosceva Michael, non conosceva nulla di lui se non gli anni, l’università e qualche generalità, e soprattutto non avrebbe fatto mai parte della sua vita, quindi perché doveva struggersi per l’emblema dell’amore impossibile?
Respirò profondamente, aveva bisogno disperatamente di incanalare tutte quelle emozioni in qualcosa di diverso, che non fossero pensieri o ricordi del sogno appena passato.
Si alzò dal letto e mise a fare il caffè, guardò fuori dalla finestra e vide che era piuttosto presto. Cercò il quadrante dell’orologio appeso al muro e con sua sorpresa lesse l’orario: erano le cinque di mattina.
-Fantastico- mugolò prima di strusciare in bagno a sciacquarsi la faccia. Non aveva intenzione di rimettersi a dormire, le emozioni appena provate l’avevano sconvolta non poco, e sicuramente non avrebbe più ripreso sonno.
Uscì dal bagno, preparò il suo caffè latte e si diresse verso il cavalletto. Quello era il momento perfetto per dipingere e per realizzare un quadro astratto ispirato dai suoi sentimenti.
Senza nemmeno mettersi una cosa vecchia addosso, con ancora il pigiama e la tazza di caffè latte in mano, montò la tela sul cavalletto e si sedette sullo sgabello. Prese la tavolozza dei colori ad olio e iniziò a bagnarvici il pennello, concentrandosi particolarmente sui colori dell’azzurro e del blu.
 
 
7 novembre 2013
 
Sarah stava scrutando il profilo di Michael di fronte a lei e lentamente seguiva con gli occhi il movimento del suo petto ogni volta che inspirava ed espirava l’aria.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Sarah non aveva nulla da dirgli, era rimasta solo lì, seduta di fronte a lui, immobile, con la testa appoggiata sul palmo della mano e le gambe accavallate.
Perché era addormentato?
Perché aveva deciso di andarlo a trovare ogni giorno, di vedere le sue foto, di cercare di scoprire qualcosa sulla sua vita?
Perché era sempre quella che si preoccupava degli altri e mai nessuno si preoccupava per lei?
Michael era stato una boccata d’aria nella sua monotona vita, le aveva dato una ragione per alzarsi ogni mattina, una ragione per apprezzare le piccole cose che aveva quotidianamente: le aveva dato un pretesto per cercare di realizzare il suo sogno, le aveva dato una speranza, la speranza di non essere più imperturbabile e completamente impassibile alle emozioni umane.
Michael le aveva fatto capire che avrebbe voluto qualcuno assieme a lei, le aveva fatto capire che avrebbe voluto amare qualcuno, prendersi cura di qualcuno in maniera diversa, non con semplice fare amichevole o fraterno, ma con una premura e con un sentimento diverso.
Da quando lui era entrato nella sua vita, non si era sentita più sola, benché la triste verità era che invece, proprio in quel momento era più sola che mai ed era proprio quello il motivo che le avevano fatto prendere quella decisione.
-Sai, la prima volta che ti ho visto- iniziò a dire Sarah, rivolta verso il ragazzo –ho pensato che non era giusto che un ragazzo così giovane si trovasse nelle tue condizioni, poi ho scoperto che eri sempre solo, e ho pensato che non fosse giusto che una persona dovesse essere trattata in quella maniera, soprattutto dai suoi familiari- aggiunse facendo una pausa.
Era doloroso, davvero doloroso confessare quelle cose ad alta voce, soprattutto considerando quello che stava per dire.
-Allora, nell’esatto momento in cui ti ho visto, ho deciso che ogni volta che ne avessi avuto la possibilità, ti sarei venuta a trovare, e così ho fatto. Ho cercato di ritagliare sempre un minuto da dedicare a te, ho cercato sempre di essere qui, almeno per un’ora al giorno, per cercare di non farti sentire troppo solo. Più venivo qui a trovarti, più sentivo di donarti una parte di me ogni volta che ti rendevo partecipe della mia vita, delle mie emozioni o delle mie paure- continuò facendo una pausa.
Sospirò.
-Sai, forse sei l’unica persona a cui ho raccontato ogni dettaglio della mia vita, sei l’unica persona a cui ho dato fiducia fino ad ora, ed è buffo pensare che tu non abbia sentito una sola parola di quello che io ti abbia detto fino ad ora, ma forse è proprio per questo motivo che ti ho parlato, perché inconsciamente sapevo che non le avresti mai ascoltate e che in qualche modo non avresti mai potuto tradirmi. Ogni volta che venivo qui a farti visita ero consapevole di stare commettendo un errore. Sapevo che più tempo passavo con te e più mi ci affezionavo, ma mi stava bene, perché era da tanto tempo che non tenevo a nessuno. Era da tanto tempo che non pensavo ad un ragazzo in quel modo. Sono venuta a farti visita per non farti sentire solo, ma la realtà era che venivo a farti visita perché ero io a non voler essere sola. Ero io a voler provare qualcosa. Ed è stato uno sbaglio fin dal principio, perché la situazione mi è iniziata a sfuggire di mano nel momento stesso in cui, appena sveglia la mattina, avevo bisogno di vederti- disse, guardando malinconica Michael di fronte a lei.
Il suo profilo era bellissimo, perfetto, era una linea unica che tracciava dei lineamenti disegnati da un’artista.
Gli occhi di Sarah si riempirono di lacrime.
Non poteva più continuare in quel modo, quella strana e malsana relazione che si era creata non poteva più andare avanti.
I giorni trascorrevano lenti e le notti erano insonni, o quando non lo erano, Sarah non faceva altro che sognare Michael, non faceva altro che sognare il ragazzo con gli occhi aperti, sorridente, che le parlava e che le diceva le cose che voleva sentirsi dire.
-Ed è per questo che ho deciso che oggi sarà l’ultima volta che verrò qui- disse, con le lacrime che l’annebbiavano la vista.
Il suo cuore batteva lento e il suo stomaco invece era in totale subbuglio. Quasi non riusciva a respirare.
Poteva quel pensiero farle così male fisicamente? Poteva la sola immagine di Michael crearle quelle emozioni sconvolgenti?
-E non lo faccio perché voglio abbandonarti- proseguì –Questo pensiero mi sta uccidendo- ammise singhiozzando.
-Lo devo fare, per me. Perché io ne ho bisogno, perché è giusto che io viva come tutti gli altri ragazzi della mia età. Perché non posso aspettare un fantasma. Non posso aspettare qualcuno che non sa nemmeno della mia esistenza- fece, asciugandosi le lacrime.
-Quando tu ti sveglierai, di me non ti rimarrà niente. Non saprai nemmeno mai che io sono stata qui ogni giorno, nessuno lo saprà. Ed è per questo che me ne devo andare. Non posso amare qualcuno che non sa nemmeno che io esista- ammise razionalmente.
-E poi siamo troppo diversi- continuò, tirando su con il naso e asciugandoselo con un fazzoletto –Probabilmente se non ti avessero ricoverato in questo ospedale non ci saremmo mai incontrati- aggiunse.
-E continuo a parlare al plurale coinvolgendoti in ogni cosa quando è evidente che questa situazione l’ho creata solo io, e che tu non hai nessuna colpa a riguardo, perché, insomma sei qui, in coma- continuò con ovvietà.
Le emozioni stavano davvero prendendo il sopravvento su di lei. Respirare era diventato ancora più difficile e lo stomaco continuava a farle male, ma era un male non puramente fisico, avvertiva un certo senso di inettitudine e totale tristezza riguardo tutto quello che stava vivendo.
Pochi minuti e sarebbe ritornato tutto come prima, sarebbe ritornato tutto come quando Michael non faceva parte della sua vita.
-So che ti sveglierai, ci potrei scommettere, e quando lo farai so che vivrai la tua vita, ritornerai nel tuo mondo ed è giusto così. Perché è così che deve essere- aggiunse sospirando.
-Io non sono più la stessa da quando ti ho conosciuto, e ti ringrazio per questo, perché grazie a te mi sono sentita viva, ho iniziato a provare di nuovo qualcosa, ma non può andare avanti per sempre così. Io non posso continuare ad andare avanti per sempre così. Bryce mi ha chiamato in questi giorni, e si è scusato più volte di quello che è successo la scorsa settimana e io l’ho perdonato, l’ho perdonato perché sento il bisogno di iniziare avere una relazione con qualcuno che non sia solo di amicizia, e avrei preferito mille volte te a lui, ma…- continuò, maledicendosi per quello che stava per dire.
-Tu sei qui, e lui è…- disse facendo una pausa, si sentiva un mostro, in quel momento si sentiva uguale a tutte le persone che nel corso della vita l’avevano fatta soffrire –vivo- ammise, vergognandosene.
-Lui è vero, e mi conosce, e sa come sono fatta e con lui, sarebbe tutto più facile- fece.
Non aveva intenzione di mettersi con Bryce, almeno per il momento, anche perché una relazione a distanza in quel momento era l’ultima cosa che le serviva, ma l’insistenza del ragazzo, con i messaggi e le telefonate di tutti quei giorni, le avevano dato da riflettere.
Bryce con lei si era sempre dimostrato corretto, aveva cercato di non ferirla e, per un certo senso, era un porto sicuro, sapeva che da lui non sarebbe stata rifiutata, almeno fino ad allora.
-Mi dispiace- concluse quel suo monologo, alzandosi in piedi e continuando a fissare Michael.
Era bellissimo, anche in quel momento, anche intubato e privo di sensi.
Il rumore dell’elettrocardiogramma rimbombava dentro la stanza, accompagnato dai saltuari singhiozzi della ragazza, che qualche volta non riusciva a fermare le lacrime e le emozioni.
-Mi dispiace davvero- aggiunse, protendendo una mano e poggiandola su quella di Michael.
Per la prima volta gliela strinse, intrecciando le sue dita a quelle del ragazzo, stando attenta a non toccargli la farfallina della flebo e fargli male.
Per un attimo immaginò che anche Michael stringesse la sua mano così come stava facendo lei.
Respirò a fondo, cercando di controllare i battiti accelerati del cuore e di contenere nuovamente le lacrime.
Guardò Michael per l’ultima volta, soffermandosi sul viso, sulle labbra, sui capelli biondo scuro, sulla barba che ormai gli era cresciuta in viso.
Fissò davanti a sé la sua immagine, sperando di non dimenticarla mai più.
Lasciò di scatto la mano del ragazzo e dopo essersi asciugata le lacrime, uscì dalla stanza.
Non l’avrebbe mai più rivisto.
 
 
 
 
 
8 novembre 2013
 
 
-Pronto?- 
Amanda Trisher aveva risposto al telefono dalla sua scrivania con celerità non appena lesse il numero in sovraimpressione allo schermo del telefono.
-Signora Trisher, sono il dottor Crambell- disse il primario, sentendo la voce metallica della donna all’altro capo della cornetta.
-C’è qualche problema?- chiese in panico Amanda, allarmata da quella telefonata.
-Dovreste venire in ospedale. Dobbiamo parlare- fece con voce risoluta il dottore, che stava guardando delle lastre al pannello di neon di fronte a sé –Ed è meglio se viene con suo marito- aggiunse.
Amanda per qualche secondo si sentì morire: sperava con tutta se stessa che non fosse successo nulla di grave a Michael.
Chiuse il telefono e cercando di fare il più presto possibile chiamò Miles, avvisandolo dell’urgenza medica.
Dopo quasi una mezz’ora Amanda e Miles entrarono nell’ufficio del primario Crambell e trovarono il dottore in piedi, di fronte ad una parete bianca illuminata, con delle radiografie accese.
-Oh, signori Trisher, finalmente- disse, accogliendo i due coniugi.
-E’ successo qualcosa di grave?- chiese Miles, cercando di risultare impassibile e cercando di non far trapelare la sua preoccupazione, né a sua moglie, né al dottore.
-Credo che ci sia qualcosa che dobbiate sapere- iniziò a dire criptico il dottore.
Amanda seguì con gli occhi la sua figura e si soffermò sulla parete di fronte.
La stanza era buia e l’unica luce proveniva dalla parete a neon di fronte. Amanda scorse le lastre nere e, benchè non avesse una preparazione medica, capì immediatamente che erano delle scansioni radiologiche della testa di Michael.
Il suo respiro iniziò a farsi più veloce nel momento esatto in cui prese coscienza di ciò e Miles la sentì al suo fianco respirare affannosamente. La testa le girava e stava iniziando a sentirsi male.
-Allora, queste sono le lastre di Michael il giorno in cui lo abbiamo ricoverato- iniziò a parlare il dottore, prendendo una bacchetta metallica e indicando le prime due radiografie appese. –Come si può ben vedere, tutta questa zona qui, quella più scura per capirci, rappresenta il trauma cranico e l’emorragia interna dovuta al colpo ricevuto- continuò a spiegare, cercando di essere il più elementare possibile per farsi capire dai due signori.
-Queste due lastre invece…- continuò a dire, spostandosi di un passo verso altre due radiografie –…sono i risultati della Tac di stamattina-
Il dottore fece una pausa, cercando di cogliere le emozioni dei due Trisher di fronte a lui che sembravano due ghiaccioli.
Faceva il medico da più di vent’anni e solitamente, in casi come quello, quando un ragazzo stava male, i genitori risultavano sempre molto uniti, fisicamente provati, cercavano conforto l’uno nell’altra, ma in quella circostanza i due coniugi sembravano impassibili, immobili, del tutto estranei uno all’altro.
-Come si può ben vedere, la parte più scura è sparita- disse risoluto, accennando un sorriso, cercando di far capire ad Amanda e Miles la bella notizia.
Forse però era stato poco chiaro, perché i due sembrarono non afferrare.
Amanda deglutì, non comprendendo le parole del dottore e non riuscendo ad interpretare il leggero sorriso che Crambell aveva assunto.
-Questo significa che il trauma cranico è sparito e che l’ematoma si è completamente riassorbito da solo- aggiunse, esplicando meglio i propri pensieri.
Miles tirò un sospiro di sollievo e Amanda fu attraversata da una scossa.
Michael era guarito, stava bene.
-Quindi non c’è più bisogno di operarlo?- chiese Miles, ricomponendosi e cercando di riacquistare l’autorità che l’aveva sempre caratterizzato.
Il dottore guardò i due genitori e sorrise ampiamente.
-Non solo non c’è bisogno di operarlo…- disse facendo una pausa.
Guardò prima Miles e poi Amanda. Amava il suo lavoro, soprattutto quando riusciva a dare notizie come quelle.
-Lo possiamo risvegliare- 

***
Bene, bene, bene (?) o per lo meno, spero bene :P 
Mi scuso per il ritardo ma sono appena tornata dall'università e mi sono messa ad aggiornare non appena mi sono sistemata.
Come avevo anticipato già nel capitolo precedente, in questo Sarah ha preso una decisione un po' drastica. 
La ragazza si inizia ad accorgere che inizia a provare qualcosa di più per Micheal e ne ha la conferma con il sogno che la sconvolge del tutto.
Proprio quando decide di abbandonare tutto, il dottore chiama i Trisher per potergli avvisare che Michael potrà essere risvegliato. 
So che forse vi aspettavate un risveglio vero e proprio e forse già un'interazione fra i due, ma credevo fosse una cosa un po' forzata, quindi bisognerà aspettare un altro po'.
Non tantissimo ovviamente, l'incontro vero e proprio sarà nell'undicesimo capitolo, ma fino ad allora Michael cercherà di trovare disperatamente Sarah con qualsiasi mezzo. 
Il nuovo capitolo arriva ovviamente Martedì ma ciò non toglie che, analogamente a questa settimana, ci possano essere due aggiornamenti, purtroppo sono molto condizionata dall'università, dalle lezioni, consegne e dagli esami di Dicembre, quindi scusatemi se non riesco ad aggiornare molte volte a settimana.
Se vi può consolare sto scrivendo già l'undicesimo capitolo così da portarmi avanti nella scrittura e di garantire aggiornamenti settimanali.
Vi ringrazio dalla prima all'ultima e spero che questo capitolo vi sia piaciuto! 
Fatemi sapere cosa ne pensate! 
Un bacio! 
M. 

 

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Capitolo 9
*** 9 ***


9
 
13 novembre 2013
 
Uno strano ticchettio proveniva da qualcosa alla sua sinistra. Era un rumore strano, ritmato e con un suono metallico e non riusciva a capire che cosa fosse. Era un rumore con una cadenza precisa e lenta e sembrava scandire il tempo nel  luogo in cui si trovava.
A proposito, dov’è che si trovava?
L’ultima volta, allora che ci pensava, era stato in un caffè letterario, ma non gli sembrava un vero e proprio ricordo, forse era stato un sogno. Poi ricordava anche di aver passato del tempo in una specie di parco con un laghetto artificiale, ma anche quello era uno strano ricordo annebbiato, senza nessun apparente legame con la realtà.
Benché provasse una gran confusione e le immagini scorrevano lente davanti ai suoi occhi, e benché ricordasse alcune cose in maniera molto dettagliata, non riusciva a capire se quelle cose erano successe davvero o se se l’era solamente immaginate.
Era tutto confuso, era tutto evanescente, come fumo che si dissolve nell’aria.
Si sentiva le palpebre pesanti e attorno a sé c’era solo buio, forse perché non aveva ancora aperto gli occhi.
Non ricordava con esattezza dove fosse e cosa fosse realmente successo. Ricordava solo di aver conosciuto qualcuno ma non sapeva davvero se l’aveva conosciuto o se se l’era solamente  immaginato.
Ricordava di aver passato del tempo con una ragazza, di aver parlato con lei, di aver visitato posti che gli erano stati sconosciuti fino a quel momento ma non riusciva a ricordare nulla di più.
Non si ricordava come fosse fatta, non ricordava il suo nome, ricordava solo le cose che le aveva detto. C’entrava sicuramente l’arte, o qualche cosa di inerente ad essa, forse anche un libro, ma non riusciva a ricordare nulla di più.
L’unica cosa chiara che aveva in mente, era il suono della sua voce, il suo timbro, il suo modo di parlare lento e quasi cadenzato, come se stesse leggendo una fiaba o stesse leggendo una poesia.
Era strano, perché non aveva mai fatto attenzione alle voci, eppure in quel momento, quella era l’unica cosa certa. Era l’unica cosa che durante tutto quel tempo gli era sembrata reale.
In quel momento che aveva ripreso a pensare, che aveva ripreso a sentirsi vivo, era come se in tutto quel buio ci fosse solo quella voce, ci fosse solo quella sua voce.
Era una voce che non aveva mai sentito ed era sicuramente di una sconosciuta sia perché non riusciva a ricordarsi nient’altro, nemmeno il nome, e sia perché non riusciva ad associarle un volto.
Più i minuti passavano, più riusciva ad acquistare padronanza di sé, della sua mente e del suo corpo. Allora che ci pensava aveva freddo, come se ci fosse una finestra aperta nel posto in cui si trovava e sentiva freddo soprattutto alle mani, che a quanto riusciva a percepire erano scoperte.
Fu molto difficile muovere le dita della mano sinistra, sia perché gli sembravano indolenzite, sia perché avvertiva uno strano dolore al centro del dorso della mano, come se ci fosse qualcosa che lo pungeva.
Improvvisamente, mentre riuscì a muovere leggermente la mano, un’immagine vivida, quasi fosse un film, gli scorse davanti agli occhi.
Era in macchina e stava andando da qualche parte a fare qualcosa. L’incrocio di fronte a sé era sgombro e libero dalle macchine, così quando vide che il semaforo era passato dal verde all’arancione, pressò di più sull’acceleratore. Vide una macchina girare ad alta velocità davanti a lui, tagliandogli la strada, si ricordò del boato che si sentì dopo che le carrozzerie delle macchine si scontrarono e ricordò del dolore al petto quando gli airbag della vettura si aprirono, evitando che infrangesse il vetro del parabrezza  con il suo stesso corpo a causa dell’urto con l’altra macchina.
Il ricordo di quel momento, il ricordo del dolore che aveva provato alla testa fu così vivido, fu così reale, che Michael aprì gli occhi, colpito da una forte tachicardia.
Attorno a sé era tutto bianco.
Ed era solo.
Sbattè più volte le palpebre per abituarsi alla luce, e dopo diversi tentativi di messa a fuoco, ci riuscì cercando di capire dove si trovasse.
Il suono metallico che aveva continuato a sentire per tutto il tempo proveniva da un macchinario collegato al suo cuore, e solo allora, girando un po’ la testa, in maniera quasi impercettibile, si accorse di essere collegato ad un elettrocardiogramma.
I battiti del suo cuore avevano ripreso l’ordinaria frequenza e dopo essersi dato un’altra occhiata intorno, capì di essere nella stanza di un ospedale.
Respirò piano, la luce bianca gli dava molto fastidio agli occhi.
Da quanto tempo non li teneva aperti?
Deglutì piano, accorgendosi solo allora dell’arsura della sua gola e fu molto doloroso, la trachea quasi gli bruciava, tant’è che cercò di toccarsi il petto e poi la gola, che gli sembrava andare in fiamme.
Era in una stanza di ospedale, visibilmente ricoverato, ed era solo.
Quanto tempo era passato dall’incidente?
E dov’era la sua famiglia?
Si guardò di nuovo attorno, cercando di studiare maggiormente quel piccolo ambiente: era una stanza tutta bianca, con un piccolo tavolo di fianco al letto, e una poltroncina sul fianco sinistro del letto. Sulla parete di fronte ad essa c’era una mensola e sopra vi vide un vaso con un’orchidea e poi un quadretto colorato.
Sua madre era fissata con le orchidee, quindi inizialmente pensò che fosse stata lei a portargliela, ma poi guardò il quadro colorato. Non sapeva bene come, ma aveva l’impressione di aver già visto quel dipinto, di aver già visto o forse immaginato quel panorama di New York.
Fu come un flash, e poi ricordò un piccolo dettaglio, un piccolo momento che non sapeva bene se aveva vissuto davvero o se se lo fosse solamente immaginato.
“Devo prenderlo dalla borsa sul tavolino” gli aveva detto quella voce e fu quasi sicuro di aver sentito davvero quella frase.
Guardò meglio il disegno e i suoi colori, probabilmente gliel’aveva portato qualcuno per rallegrare quella stanza, doveva essere l’unica spiegazione, e probabilmente tutti quei pensieri, tutti quei ricordi strani ed evanescenti, erano dovuti alla botta alla testa.
-Oh mio Dio- disse improvvisamente una ragazza di fronte a lui, appena entrata nella stanza.
-Oh mio Dio, sei sveglio!- disse, ancora più forte, con un acuto che quasi stordì Michael, causandogli un leggero fastidio alle tempie.
Martha vide suo fratello di fronte a sé con gli occhi aperti. Finalmente, dopo più di un mese, quasi un mese e mezzo, il ragazzo si era svegliato.
Michael rimase un po’ attonito da quella frase, la voce di Martha era molto squillante e lui non era più abituato a sentire certi suoni così alti.
Dopo pochi secondi a Martha si aggiunse un’altra figura: Amanda apparve correndo dal corridoio e spostando la figlia con poca delicatezza, corse verso il letto di Michael, incredula di rivedere di nuovo suo figlio con gli occhi aperti.
-Tesoro mio- iniziò a piangere la donna, ponendosi vicino il ragazzo. Gli prese una mano e la strinse a sé baciandola, in uno slancio di affetto che poche volte aveva riservato al suo ragazzo.
-Ti sei svegliato, ti sei svegliato- continuava a ripetere la donna, guardando Michael sul letto, che con sguardo confuso guardava sua madre.
-Come stai? Riesci a sentirmi? Puoi parlare?- iniziò a chiedere Amanda, presa dalla felicità di rivedere di nuovo Michael.
-Mamma, si è svegliato ora dopo un mese e mezzo, non fargli tutte queste domande- fece Martha, pensando razionalmente. Posò una mano sulla spalla della mamma e si pose dietro di lei, ad aspettare in piedi che il ragazzo dicesse o facesse qualcosa.
Michael guardò lentamente prima sua madre e poi sua sorella. Quella era la prima volta che poteva dire di aver visto sua madre sorridere e allo stesso tempo piangere, e lei non se ne stava rendendo conto, ma gli stringeva la mano molto forte e la farfallina della flebo gli stava facendo molto male al polso.
Spostò lentamente gli occhi da lei alla sua mano sinistra, quella che Amanda stava stringendo e probabilmente assunse un’espressione di dolore in viso, perché sua madre allentò immediatamente la presa, cercando di scusarsi.
Michael sbattè di nuovo le palpebre  per poter mettere a fuoco le due donne di fronte a sé. Era bello rivederle dopo tutto, anche se per lui non sembrava essere passato molto tempo.
-Il dottore ha detto che avrebbe avuto qualche difficoltà a parlare- disse Amanda con voce più bassa, rivolta a Martha, come a non voler far sentire quelle cose a Michael, il quale però era di fronte a loro.
-Beh, deve ancora riprendersi, poverino- rispose sua sorella Martha a quelle parole.
Perché continuavano a parlare tra di loro come se lui non ci fosse? Era perfettamente in grado di pensare e di sentire e forse anche di parlare.
Fece un respiro profondo, pronto ad uscire fuori la voce e a parlare con i suoi familiari.
-Cosa…è…successo…- chiese il ragazzo con un filo di voce, con la gola che gli bruciava.
Non sembrava di aver chiesto una cosa molto difficile e non credeva di meritarsi quelle occhiate sconvolte e confuse da sua madre e sua sorella.
Temette di non essere stato sentito, così cercò di chiedere di nuovo la stessa cosa, sforzandosi di più.
-Cosa è successo- ripetè più convinto, facendo uno sforzo immenso.
Da quanto non parlava? La bocca era totalmente arsa e la mascella gli faceva male come fosse atrofizzata.
-Oh, riesci a parlare grazie al cielo!- esclamò sua madre, sedendosi meglio sulla sedia e riprendendo la mano di Michael.
-Non ti ricordi niente?- chiese sua madre, guardando dopo un tempo che era sembrato un’infinità, nei suoi occhi blu.
Azzurro nell’azzurro, così erano i loro sguardi.
Michael scosse la testa, riconoscendo solo allora lo sguardo preoccupato di sua madre. Doveva essere successo qualcosa di abbastanza grave se sua madre si era scomposta per lui di quella maniera.
-Hai avuto un incedente d’auto e hai riportato un trauma cranico con emorragia interna- iniziò a dire Amanda, cercando di scandire bene le parole. Temeva che Michael potesse non capirla.
-E i medici hanno ritenuto opportuno tenerti in coma farmacologico fino a quando l’ematoma non si fosse riassorbito del tutto- aggiunse, cercando di cogliere qualsiasi emozione nel viso del ragazzo.
Michael chiuse di nuovo gli occhi e poi li riaprì lentamente.
Coma farmacologico.
Quello voleva dire che per tutto quel tempo era stato addormentato?
Allora tutte quelle immagini non erano ricordi, ma sogni?
-Oh finalmente!- disse improvvisamente una voce, entrando nella stanza.
Michael spostò lo sguardo e si ritrovò di fronte un uomo, il dottor Crambell, che quasi con felicità prese la sua cartella clinica dal tavolo e iniziò a compilarla.
-Aspettavamo tutti te- aggiunse l’uomo, avvicinandosi a Michael.
Il ragazzo lo guardò confuso, i suoi movimenti erano veloci e a lui davano leggermente alla testa.
-Da quanto è sveglio?- chiese il dottore ad Amanda.
-Non lo so, Martha l’ha trovato già sveglio quando è entrata- rispose la donna, cercando il supporto di sua figlia con lo sguardo.
-Mmm, va bene- commentò solo il dottore, spuntando una sezione sulla cartella clinica del ragazzo.
-Riesce a parlare- aggiunse Amanda improvvisamente, rivolgendo un sorriso prima al dottore e poi a suo figlio.
-Perfetto- commentò risoluto l’uomo –Questo significa che fortunatamente il trauma non ha intaccato la parte del cervello relativa al linguaggio. Sapevo che eri un ragazzo forte- aggiunse il dottore, rivolgendosi a Michael e dandogli una pacca sulla gamba.
-Da…- iniziò a dire Michael con fatica, facendo un profondo respiro –Da quanto tempo sono qui?- chiese il ragazzo, volenteroso di capire.
-Da un po’, ma vedrai che la guarigione non sarà un problema, e potremo iniziare la fisioterapia e la riabilitazione già tra qualche giorno. Scommetto che a fine settimana riuscirai già a camminare di nuovo- fece il dottore speranzoso. -Sei giovane, sei in salute e sei forte. Ti rimetterai presto-
-Che giorno è oggi?- chiese ancora il ragazzo, guardando prima il dottore e poi sua madre.
Il dottor Crambell fece un sospiro e guardò di lato Amanda. Anche Martha la stava guardando.
-Tredici Novembre- disse Amanda amareggiata, cercando di capire quello che doveva essere in quel momento lo stato d’animo di Michael.
Michael la guardò confuso. Non ricordava la data dell’incidente.
-Sei qui dal ventinove Settembre- disse il primario anticipando la donna –Purtroppo abbiamo dovuto tenerti in coma farmacologico per tutto questo tempo per permettere all’ematoma di assorbirsi, ma ora è del tutto scomparso, stai bene- aggiunse l’uomo.
Improvvisamente un telefono suonò nella stanza e distrasse tutti, Michael compreso.
-E’ Jackson, scusate- fece Martha, uscendo fuori dalla stanza e lasciandosi alle spalle i tre.
Michael la seguì con gli occhi fino a quando la ragazza non si chiuse la porta dietro le spalle, poi guardò sua madre.
-Dov’è papà?- chiese con voce bassa e roca, cercando di non pensare al fatto che era stato un mese e mezzo in coma.
Amanda sospirò. Sperava che Michael non le avrebbe fatto quella domanda.
-E’ al lavoro- disse la donna, abbassando lo sguardo. –Non appena finisce il turno, ci raggiunge- aggiunse, quasi vergognandosi dello sguardo strano che il primario le aveva rivolto.
Michael la guardò, almeno certe cose non erano cambiate, positive o negative che fossero.
Per interrompere quell’imbarazzante silenzio, caduto improvvisamente nella stanza, il dottor Cambell prese una sorta di penna dalla tasca e si avvicinò al letto di Michael.
-Ok, ora ti farò qualche domanda, giusto per vedere se ci sono danni alla memoria- iniziò a dire –Come ti chiami e dove sei nato?-
Il ragazzo lo guardò perplesso, aspettandosi delle domande un po’ più difficili.
-Michael Trisher e sono nato a New York il nove marzo del 1988- rispose con voce ancora un po’ roca.
-Perfetto- commentò il dottore –E dove hai studiato?-
-A Princeton, alla facoltà di Economia- rispose Michael.
Dopo qualche secondo il dottore spinse un bottoncino sull’estremità della penna e questa si trasformò in una piccola torcia.
Improvvisamente Micheal fu abbagliato dalla piccola luce gialla, prima all’occhio sinistro, poi all’occhio destro.
-La reattività della pupilla c’è ad entrambi gli occhi- fece Crambell –Vuol dire che è tutto a posto- aggiunse –C’è qualcosa che vuoi chiedermi? O qualche fastidio e dolore che provi?-
Michael indugiò per alcuni secondi, era ancora molto confuso e la velocità con cui tutti i presenti nella stanza sembravano muoversi, lo destabilizzava, aumentando il suo stato confusionario.
In quello stesso momento anche il telefono di Amanda squillò e facendo cenno a Michael che stava uscendo, sua madre uscì dalla stanza, lasciando il ragazzo e il dottore da soli.
Michael la guardò dirigersi fuori dalla stanza, poi si rivolse al primario, che aspettava di fronte a lui.
-Ehm…- iniziò a dire con grande fatica –Mi fa molto male la gola, come se bruciasse- ammise, non capendone il perché.
-E’ normale- gli rispose comprensivo il dottore, che stava continuando a scrivere sulla sua cartella clinica –Hai tenuto per molto tempo i tubi per la respirazione e la trachea è infiammata, tra qualche momento passeranno le infermiere a cambiarti e a darti dei medicinali per alleviare il dolore. La testa come va? Ti fa male?-
-Per ora no- rispose Michael, sconvolto dall’idea di aver passato un mese e mezzo con un tubo in gola.
-Benissimo, probabilmente per un po’ di tempo continuerai ad avere un po’ di mal di testa ed ogni tanto avrai qualche fitta. Ti prescriverò degli antidolorifici anche per quello, ma non devi preoccuparti. I parametri sono tutti stabili e hanno dato degli ottimi risultati. Ti sei ripreso molto bene- ammise il dottore, contento dello stato attuale del ragazzo. –Vuoi chiedermi qualcos’altro?- aggiunse, continuando a scrivere.
-Ehm…sì- rispose Michael –Quando uscirò di qui?- chiese. Benchè fosse sveglio da poco tempo stava avvertendo già una forte stanchezza e sentiva le palpebre pesanti e gli occhi un po’ secchi.
-Spero al più presto. Tra qualche giorno inizieremo la riabilitazione motoria. Hai delle ragadi dietro i polpacci e sul dorso della schiena dovute al fatto che sei stato immobile per tanto tempo, ma vedrai, ce la faremo- disse il dottore, accennando un sorriso. Quel ragazzo gli causava una strana tenerezza, forse dovuta al fatto che poteva essere suo figlio oppure perché aveva avuto modo di appurare che, in quel tempo, il ragazzo era stato completamente solo.
Michael lo guardò con fare strano, non sapeva se era una cosa buona o meno, ma cercò di accennargli un sorriso, per quanto poteva.
-Dottore?- chiese lentamente, con voce roca e ridotta ad un sussurro.
-Dimmi- rispose Crambell.
-E’ normale che mi senta…confuso?- domandò Michael, guardandolo intensamente.
Il primario fece un cenno con la testa e parlò.
-Considerando il fatto che ti sei appena risvegliato, direi proprio di sì- rispose con apprensione e un pizzico di compassione nei suoi confronti.
-Ed è possibile che…- iniziò a parlare il ragazzo, cercando di formulare per quanto gli fosse possibile, una domanda di senso compiuto che individuasse il suo problema in quel momento -…io abbia sognato, in questo periodo?- chiese, sperando di non essere preso per pazzo.
Il dottore lo guardò confuso aggrottando la fronte. Smise di scrivere sulla cartella e guardò meglio il ragazzo, cercando di capire cosa intendesse.
-In che senso?- chiese.
-Non so bene come spiegarlo- fece il ragazzo, quasi vergognandosi di quello che stava dicendo –Ma mi sembra come di ricordare dei momenti che non credo di aver mai vissuto- concluse, rendendosi conto dell’assurdità di quella frase.
Crambell lo guardò stranito, non comprendendo a pieno cosa il ragazzo volesse dire.
-E’ normale sentirsi un po’ spaesati all’inizio, vedrai che migliorerà- disse solo il dottore apprensivo.
Michael sospirò  e si lasciò cadere maggiormente sul cuscino. Guardò di nuovo la stanza e involontariamente la sua attenzione cadde di nuovo sul quadro sulla mensola.
Devo prenderlo dalla borsa sul tavolino
Sentì di nuovo quella voce e questa volta era molto nitida e netta nella sua testa.
No, non era un sogno e ne era certo.
Era qualcosa di reale ed era accaduto davvero, avrebbe dovuto solo capire come.
 
 
25 novembre 2013
 
 
-Gli hanno appena firmato le dimissioni- disse Amanda al telefono, parlando nel corridoio dell’ospedale -Tra un po’ andiamo a casa- disse, rasserenata dalla notizia del dottore.
Michael nel frattempo era nella sua stanza sei, nella stanza in cui aveva quasi passato due mesi. Sospirò, stando seduto sul letto e guardandosi attorno. Era sollevato, era felice di abbandonare quel posto ma allo stesso tempo era spaventato di ritornare alla normalità. Fisicamente non si era ancora ripreso del tutto, il dottore aveva avuto ragione: ogni tanto provava dei fastidi alla testa e molte volte si isolava un po’ dal mondo, assorto tra i suoi pensieri, ma tutto sommato poteva ritenersi fortunato per come gli erano andate le cose. Avrebbe potuto riportare danni molto più gravi di quelli avuti.
Si alzò lentamente e si diresse verso il tavolino  su cui c’era uno scatolone in cui le infermiere e sua madre avevano messo tutte le sue cose. In realtà le cose dentro non erano molte, più che altro erano i vestiti e i vari accessori che indossava il giorno dell’incidente, ma fu contento di rivedere il suo orologio, benchè il vetro fosse leggermente scheggiato.
Guardò fisso di fronte a sé e notò il vaso di fiori e il quadro. Si avvicinò e prese prima il vaso, poggiandolo sul tavolo e poi il quadro.
Non era molto grande, forse aveva più o meno le dimensioni di un foglio bianco per scrivere, ma era molto colorato, con colori molto accesi e vividi.
Se lo rigirò tra le mani, cercando di capire chi gliel’avesse potuto portare: in quei giorni si era informato e né l’orchidea né il quadro erano stati un regalo dei suoi familiari.
Aveva chiesto qualche volta agli inservienti chi fosse andato a fargli visita in quel periodo, ma nessuno gli aveva saputo rispondere, così aveva pensato di chiedere direttamente all’accettazione non appena fosse uscito da quella stanza.
Continuò a guardare il dipinto e a rigirarselo tra le mani e notò in basso a destra una piccola scritta. Se lo avvicinò per vedere meglio, la firma era coperta da macchie di colore, ma non fu difficile leggerlo.
“Sarah Lewis” lesse tra sé, continuando a pensare a chi mai avesse potuto darglielo.
-Sarah- lesse di nuovo ad alta voce, avendo la sensazione di aver già conosciuto qualcuna con quel nome.
Mentre era intento a pensare e mentre la sua mente si affollava di nuovo di quegli strani ricordi assimilabili ad immagini, sua madre irruppe nella stanza e lo risvegliò da quello strano stato catatonico in cui era caduto.
-Andiamo- fece risoluta, sorpresa di aver trovato Michael in piedi.
Il ragazzo fece cenno di sì e poi ripose il quadro nello scatolo e lo chiuse.
-Dunque non hai idea di chi mi abbia portato l’orchidea?- chiese Michael qualche secondo dopo, vedendo sua madre armeggiare con il fiore.
-No- rispose Amanda dubbiosa. Non riusciva a capire perché suo figlio avesse insistito tanto a tenere quella pianta. A lei le orchidee piacevano, ma non aveva idea di chi gliel’avesse potuta portare, soprattutto considerando il fatto che quella stanza aveva visto pochissimi visitatori.
-Magari l’avrà messa qualche infermiera- commentò la donna, leggermente infastidita da quella cosa, allora che ci pensava avrebbe dovuto buttarla subito, non appena si fosse accorta della sua presenza.
-Beh, però è stato un pensiero gentile- commentò Michael, che aveva già capito i pensieri della madre.
L’immagine della donna che si comportava come mamma modello era durata una decina di giorni secondo lui, giusto il tempo necessario ad accertarsi che lui stesse bene. Amanda era ritornata di ghiaccio e maniaca del controllo come sempre.
-Finalmente hai fatto la barba- disse la donna, prendendo con una mano il viso del figlio e passandogli un pollice sulla guancia –Stai benissimo così- aggiunse.
Michael le sorrise leggermente. Sapeva che sua madre odiava la barba lunga e sapeva anche che fino a quel momento non gli aveva detto niente a riguardo solo perché era in procinto di riprendersi, così per non sentire le sue solite lamentele, aveva deciso di anticiparla e perciò di lasciarla, almeno per quel poco, soddisfatta.
-Forza, andiamo- disse di nuovo la donna, aiutando il ragazzo a mettersi il cappotto.
-Metti la sciarpa- disse anche, avvolgendo la stoffa attorno al collo di Michael –Fuori fa freddo-
Il ragazzo sospirò e annuì, facendosi più giri con la sciarpa. Sua madre uscì dalla stanza e lo aspettò nel corridoio, intenta a parlare con un’inserviente.
Michael prese lo scatolone e si diresse fuori da quella stanza e quando varcò la porta si sentì leggermente sollevato di porre fine a quella triste pagina della sua vita.
Guardò qualche secondo la porta di quella che era stata la sua stanza chiudersi e lesse il numero inciso sulla targhetta al centro della porta: sei.
Io sono Sarah, Sarah Lewis. Anche io sono nata qui a New York, il 6 maggio del 1990”
Fu come un flash, un fulmine a ciel sereno.
Quelle parole gli rimbombarono improvvisamente nella testa e il suo cuore perse un battito.
Sarah Lewis? La stessa ragazza che aveva firmato il dipinto?
Era lei la ragazza che credeva di aver conosciuto o sognato durante il coma?
-Michael, possiamo andare- lo chiamò sua madre, prendendo dalle sue mani lo scatolo e iniziando a camminare per il corridoio.
Michael guardò prima sua madre e poi la porta chiusa di fronte a sé, fece un sospiro e si incamminò  verso il grande ascensore.
-Domani tuo padre ha organizzato un grande pranzo di famiglia per il ringraziamento- iniziò a dire Amanda, guardando la sua figura riflessa nella parete metallica dell’ascensore. –E’ l’occasione perfetta per poter festeggiare anche il tuo ritorno- continuò, guardando Michael quasi teneramente.
Il ragazzo annuì, capendo che era ritornato decisamente alla sua vita normale.
-C’è una sorpresa però- aggiunse la madre, guardando Michael. –Verrà anche Sam, abbiamo appena parlato al telefono-
Il ragazzo piegò leggermente il capo, guardando sua madre di lato.
Improvvisamente si sentì pieno di gioia nel poter rivedere il suo migliore amico e sapeva anche che il ragazzo sarebbe stato il solo a potergli dare una mano e poter fare luce sulla misteriosa ragazza che ricordava di aver conosciuto.
 
 ***
Ecco qui il nono capitolo! Come promesso Michael è sveglio, ma di Sarah nemmeno l'ombra, però come avete avuto modo di leggere, il ragazzo non è rimasto totalmente impassibile ai monologhi di Sarah, tanto che ogni tanto ha degli sprazzi di ricordi misti ad allucinazioni.
Spero che questo risveglio vi sia piaciuto, ho cercato di immedesimarmi al massimo nella condizione che sta vivendo Michael perciò spero che le descrizioni e le sensazioni che lui prova al risveglio siano state efficaci o quanto meno veritiere!
Nel prossimo capitolo ritroveremo Sam, il migliore amico di Michael conosciuto già nel secondo capitolo, che sarà di grande aiuto per la ricerca di Sarah che inizierà fin da subito. 
Dato che so quanto aspettate che i due si incontrino e apprezzo la vostra immensa pazienza, ho deciso di darvi un pizzico di Sarahel (Va bene come nome della ship xD ?) già dal capitolo dieci, infatti i due avranno un fugace incontro a sorpresa che rischierà quasi di creare un attacco di cuore alla povera ragazza xD
Vi ringrazio per il supporto e ringrazio tutti i recensori e i lettori, siete il mio piccolo orgoglio <3 
Ci rivediamo Martedì con il capitolo 10! 
Un bacio! 
xoxo 
Mariah 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 10
*** 10 ***


10
 
 
-Allora, come ti senti?- gli chiese Sarah, porgendogli un bicchiere di limonata e guardando il panorama di fronte.
Si trovavano di nuovo nei pressi di quel laghetto artificiale di qualche tempo prima e stavano facendo un picnic all’aria aperta, seduti su una tovaglia a quadri e con il sole che colpiva loro la faccia.
Michael guardò la ragazza facendo un sospiro, ma decise di essere sincero. In fondo era quello che avevano fatto negli ultimi mesi: confidarsi le emozioni e le cose che provavano quando qualcosa sconvolgeva la loro vita.
-Non lo so- rispose Michael, guardando l’erba verde vicino a sé –Voglio dire, casa non è cambiata molto da quando me ne sono andato e ritornare in quel posto, con la mia famiglia, con i loro stessi comportamenti di sempre è difficile. Insomma, per me questi due mesi sono passati in fretta, quindi è come se non ci sia stato un vero e proprio allontanamento, però non lo so, quando ho capito di essere stato in coma per sei settimane, ho sperato che qualcosa potesse essere cambiata tra loro- disse, aspettando un consiglio dalla ragazza a fianco.
-In realtà intendevo se ti faceva male qualcosa, ma grazie per avermi detto cosa ti passa per la mente- ammise sincera Sarah, piegando di lato la testa e iniziando a scrutare il ragazzo, che aveva assunto un’espressione strana.
-Ah, scusami- commentò solo Michael che sembrava davvero amareggiato da quella situazione.
-Che dici, non devi scusarti, sai che puoi dirmi tutto- fece lei, sorseggiando la propria limonata.
-Mi piace il limone- disse Michael, sollevando leggermente il bicchiere per indicarlo e Sarah gli sorrise.
-Lo so, credo tu me l’abbia detto in qualche chiacchierata- fece Sarah, apprezzando un po’ meno rispetto al ragazzo il sapore acre dell’agrume spremuto.
Il biondo le sorrise versandosi un altro po’ di succo nel bicchiere.
-Sai, Jonathan ha appeso degli altri mei quadri nel caffè letterario, un giorno devo farteli vedere- disse improvvisamente Sarah, ricordandosi della nuova piccola esposizione che aveva allestito dal suo amico.
-Non vedo l’ora- commentò sincero Michael –Sono anche curioso di vedere le fotografie- aggiunse, guardando con occhi vispi la ragazza e poi stendendosi sull’erba fresca.
-Quand’è stata l’ultima volta che siamo venuti qui?- chiese rivolto a lei.
-Mmm, non ricordo di preciso, forse quando mi è arrivata l’email in cui mi scartavano dal concorso dei paesaggi urbani- rispose la ragazza pensierosa imitando Michael e mettendosi stesa sul prato. La leggera brezza e umidità dell’aria le causarono un brivido dietro la schiena che la scossero ampiamente.
-Anche io ho freddo- ammise Michael guardandola e rivolgendole un sorriso che Sarah ricambiò.
-Puoi sempre rannicchiarti sotto le coperte- gli disse la ragazza, avvicinandosi a lui e sfiorandogli con un dito la punta del naso.
Michael la guardò stranito, ma poi seguì il suo consiglio e si rannicchiò tra sé, cercando il pesante piumone in piume d’oca per stare più al caldo.
La sensazione del liscio lenzuolo di seta a contatto con la sua pelle era quanto più di piacevole e fastidioso allo stesso tempo avesse mai provato. Inoltre molte parti sotto le coperte erano praticamente congelate, tanto che si svegliò a causa di forti brividi lungo tutto il corpo. 
Aprì gli occhi e si ritrovò nella sua camera da letto, rannicchiato sotto le coperte blu e come faceva da ormai qualche mattina, rimase qualche minuto immobile a scrutare la sua stanza.
La luce entrava ampiamente dalla finestra e concentrandosi con la vista, Michael poteva vedere il fascio di luce entrare nella stanza e sottili granelli di polvere svolazzare per aria, creando uno strano effetto luminoso.
Sospirò passandosi una mano sulla faccia per stropicciarsi gli occhi e poi si soffermò a guardare il soffitto.
Aveva sognato di nuovo, aveva sognato di nuovo quella ragazza che in quei giorni lo stava letteralmente ossessionando. A quel punto ne era quasi certo, in qualche modo lui l’aveva conosciuta.
Non riusciva a ricordare bene il suo viso, anche perché probabilmente non l’aveva mai visto, ma ricordava dei dettagli della sua vita, ricordava la sua voce, ricordava alcuni momenti passati con lei, ricordava la sua data di nascita, sapeva che era una specie di artista emergente e che adorava i cup cake alla Red Velvet. Sapeva che aveva fatto nuoto al liceo e che aveva vinto una borsa di studio che però aveva rifiutato per poter rimanere a New York.
Sapeva tantissime cose su di lei e non sapeva come fosse possibile. Alcune volte credeva che tutte quelle informazioni, così come questa misteriosa ragazza, fossero solo frutto della sua immaginazione, ma poi succedeva qualcosa, coglieva un dettaglio in ciò che gli stava attorno, che gli facevano pensare a lei e che facevano riaffiorare tutte queste informazioni come se fossero dei ricordi.
Sarah, Sarah Lewis.
Era quello il suo nome ed era anche la ragazza che gli aveva regalato il dipinto, gelosamente custodito e appeso con cura accanto alla sua scrivania.
Forse doveva parlarne con qualcuno o quanto meno cercare di capire cosa fosse successo in quelle scorse settimane. Aveva avuto anche una mezza idea di ritornare in ospedale e di chiedere a qualcuno una sorta di elenco visite se mai ne fosse esistito uno, e di capire perché continuava a pensare a quella ragazza se non l’aveva mai nemmeno vista.
Michael era intento ancora a fissare il soffitto, assorto tra i suoi pensieri, ma improvvisamente fu scosso dal rumore di qualcuno che bussava alla sua porta.
Probabilmente era sua madre o qualcun altro a portargli la colazione.
-Ehilà! Sveglia dormiglione!- fece un ragazzo, aprendo la porta senza aspettare una risposta e invadendo la camera di Michael.
Il biondo si sporse leggermente sul letto e si mise a sedere, un po’ stordito da tutta quella esuberanza.
-Sam!- esclamò il ragazzo, vedendo il suo migliore amico entrare nella stanza con un vassoio in mano e poggiarlo sul letto.
Sam si fermò un attimo a scrutare il suo amico: l’ultima volta che l’ebbe visto era steso in un letto di ospedale, in una stanza fredda e bianca e allora se lo ritrovava lì di fronte, sveglio, totalmente guarito e con un’espressione buffa in volto.
-Ehi…campione- disse a più bassa voce il ragazzo, avvicinandosi al letto. Sentiva il naso pizzicargli e gli occhi arrossarsi.
Michael era come un fratello per lui e non poterlo vedere per tutte quelle settimane, sapendo le condizioni in cui si trovava era stata una vera tortura per lui.
Michael si alzò e gli andò incontro ed entrambi si scontrarono in un abbraccio energico e affettuoso.
-Ma si può sapere cosa avevi per la testa?!- chiese Sam, dopo essersi sciolto dall’abbraccio con l’amico –Come stai ora?- aggiunse senza nemmeno farlo parlare, alludendo all’incidente.
Era sollievo e felicità quello che stava provando in quel momento e i suoi occhi lucidi erano lo specchio del turbinio di emozioni che gli affollavano l’animo in quel momento.
Anche Michael si sciolse dal suo abbraccio e poi gli diede una pacca sulla spalla, rassicurandolo riguardo le sue condizioni.
Era da tanto che non vedeva Sam, o per lo meno, era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che si erano visti prima dell’incidente e il suo amico appariva più sgargiante e in forma del solito.
-Ora sto bene- rispose Michael, cercando di sviare riguardo l’incidente e del suo tempo passato in ospedale, non gli andava ancora di parlare di quella cosa con qualcuno. Benchè la riabilitazione fosse stata molto veloce, non era stato per nulla facile riacquistare lentamente le capacita cognitive e motorie del proprio corpo.
Sam percepì il breve disagio di Michael a riguardo e decise di andare avanti. Era pieno di gioia nel vedere il suo amico di nuovo in piedi e sorridente e non voleva farsi scappare nessun bel momento con lui di lì ai prossimi sessant’anni.
-Tua madre mi ha fatto terrorismo psicologico appena arrivato, dicendomi che devo restare a pranzo per il Ringraziamento- iniziò a dire ridendo Sam, buttandosi con poca grazia sul lettone matrimoniale di Michael, facendo tremare un po’ le varie tazze e bottiglie che erano appoggiate sul vassoio della colazione.
Nel sentire quel tremolio entrambi i ragazzi guardarono con occhi sbarrati le caraffe di succo di frutta e caffè appoggiateci sopra, temendo che cadessero e sporcassero tutto il piumone.
-Sai che se quella spremuta fosse caduta sul letto, mia madre ti avrebbe linciato, vero?- chiese Michael con il terrore negli occhi al pensiero delle urla di Amanda se fosse successa una cosa del genere.
Sam spostò lo sguardo lentamente prima dal vassoio della colazione pieno di brioche e bevande e poi a Michael, che era rimasto in piedi di fronte a lui temendo il peggio. Entrambi si guardarono e poi scoppiarono a ridere contemporaneamente e si sedettero entrambi a cavalcioni sul letto.
-Hai fame?- chiese Michael all’amico, porgendogli il vassoio che Sam stesso aveva portato in stanza. Il biondo afferrò un cornetto e lo addentò con foga, il suo stomaco stava brontolando da tanto tempo.
Sam prese una brioche e si riempì un bicchiere con del latte e del caffè e dopo qualche attimo  iniziarono a parlare, raccontandosi tutto quello che era successo nelle loro vite da quando non si vedevano.
-Sono riuscito ad avere un trasferimento a New York quest’anno, anche se almeno una volta al mese devo recarmi alla filiale assicurativa a Seattle e passare lì qualche giorno tra meeting e piani di impresa con mio padre, ma al momento non mi posso lamentare- iniziò a dire Sam mentre addentava una brioche al cioccolato –Anche se per tutto Ottobre e Novembre sono rimasto lì per un gemellaggio con Hong Kong- continuò a dire –Anzi scusami se sono venuto a trovarti solo ora…- concluse, rabbuiandosi un po’. Si sentiva davvero in colpa per il fatto di non essere stato vicino al suo amico in quel brutto momento, e non se lo sarebbe davvero mai perdonato.
-Non preoccuparti, lo so- fece Michael sorridendogli leggermente. Era vero, Sam non era stato lì con lui durante il suo risveglio, ma l’aveva chiamato quasi ogni giorno dopo il suo risveglio e quella cosa a lui era bastata, perché sapeva di potersi fidare di lui e perché sapeva che Sam ci sarebbe sempre stato.
 
-Ma non parliamo di me- fece Sam, ritornando a guardare Michael con quel suo sguardo vispo e acceso che l’aveva sempre caratterizzato –Tu piuttosto, voglio sapere tutto- disse, guardando il ragazzo e dandogli un pugnetto sul braccio.
-Beh, in realtà non c’è nulla da sapere- iniziò a dire Michael –Le ultime due settimane le ho passate facendo fisioterapia, quindi non è che la mia vita abbia subito un’impennata di vitalità- commentò sincero. Effettivamente non c’era nulla da raccontare, o per lo meno nulla di entusiasmante. Quelle settimane erano trascorse abbastanza piatte.
-Hai sentito qualcuno dei nostri?- chiese Sam, buttando giù il suo caffè e iniziando a guardarsi intorno curioso.
-Mmm, sì- rispose vago Michael –Qualche messaggio- aggiunse. In realtà non aveva avuto voglia di sentire molte persone in quel periodo, era stato preso decisamente da tutt’altro.
-Blake ti ha scritto? O ti ha chiamato?- chiese Sam, arrivando subito all’argomento interessante.
-No- rispose secco Michael pensando alla ragazza –Non mi andava di sentire nessuno, ero molto concentrato sulla riabilitazione e soprattutto sul fatto che mia madre è ridiventata insopportabile durante le visite all’ospedale, così mi sono impegnato al massimo per poter uscire il prima possibile- ammise sincero. Quegli ultimi giorni con Amanda erano stati abbastanza difficili, soprattutto perché era ritornata ad essere la madre ossessiva e con le manie di controllo di sempre.
-Mmm- brontolò Sam, scrutando Michael, cogliendo la tensione che il ragazzo di fronte a lui provava –Non andiamo per nulla bene, amico. Hai bisogno decisamente di svagarti. Da quand’è che non fai sesso?- chiese scherzando, assumendo un’espressione maliziosa e di chi la sa lunga.
Michael si mise a ridere di gusto e guardò storto l’amico.
-Di certo non potevo fare sesso mentre ero in ospedale- rispose Michael facendo una smorfia a Sam, che adorava punzecchiare tutti su quell’argomento.
-Beh, chissà, magari c’era qualche infermierina sexy a prendersi cura di te. Non sarebbe la prima volta che succede- rispose Sam facendo l’occhiolino e ricordando vagamente un episodio universitario di qualche anno prima –E comunque ora non sei più in ospedale- aggiunse con ovvietà il moro, riempiendosi il bicchiere con la spremuta d’arancia.
-Sam, mi hanno dimesso ieri!- commentò Michael. In realtà per tutto quel tempo l’argomento non l’aveva minimamente sfiorato.
-E quindi? Meglio così! Hai più di due mesi da recuperare!- esclamò il ragazzo.
Lui e Michael al college avevano fatto davvero scintille insieme, tra conquiste veloci e ragazze fisse e Sam adorava rivivere i bei tempi o ricordarli.
Michael si mise a ridere e guardò di sfuggita Sam.
Fu un attimo e fu quasi come un deja-vù.
Fu quasi come quei ricordi che aveva di Sarah: lui e Sam al Dorian, seduti ai divanetti, serviti da una ragazza alta e magra e con i capelli raccolti in una coda, mentre parlavano della loro vita e di tutte le cose che avevano fatto al college.
-Ehi, Mike, stai bene?- gli chiese Sam qualche secondo dopo, notando di come Michael si fosse improvvisamente bloccato e di come stesse fissando un punto indefinito della stanza.
Il biondo si scosse quasi da un torpore.
-Ehm, sì…E’ che, mi è venuta in mente una cosa- disse il ragazzo, cercando di capire che significato avessero quella specie di ricordi.
Involontariamente girò lo sguardo verso la scrivania e vide il quadro appeso. Forse era arrivato il momento di spiegare quella cosa a qualcuno o quanto meno di rendere qualcuno partecipe del disagio che stava vivendo.
-Sam, io e te siamo mai stati al Dorian?- chiese improvvisamente il ragazzo, guardando l’amico che aveva preso a fissarlo serio.
-Il Dorian?- chiese confuso Sam, non capendo il perché di quella domanda.
-Già, te lo ricordi?- chiese ansioso Michael.
-Di recente no- rispose confuso Sam –Forse è quasi un anno che non ci andiamo, l’ultima volta fu all’aperitivo per il compleanno di Blake- si sforzò di ricordarsi.
-Ok, allora credo di avere un problema- iniziò a dire Michael facendo un sospiro e avendo temuto la risposta di Sam. Il cuore gli iniziò a battere forte nel petto per l’agitazione.
Come erano possibili allora tutti quei ricordi?
-Michael, mi stai facendo preoccupare. Che succede? Hai dolore alla testa?- chiese agitato Sam alzandosi dal letto e guardando preoccupato Michael.
-No. No. Sto bene, è che qualche volta mi succede una cosa strana- iniziò a dire titubante il ragazzo. Voleva cercare delle parole adatte per spiegare quello che provava e non essere nuovamente schernito da qualcuno come aveva fatto il dottore e sperava con tutto se stesso che Sam avesse una soluzione a quella cosa, o per lo meno che lo aiutasse a capire come uscirne fuori.
Michael iniziò a parlare, spiegando quello che aveva provato non appena si era svegliato, parlando delle cose che sembrava ricordare in alcuni momenti e di come non fosse sicuro se appartenessero alla sua immaginazione o meno.
Sam era interessato al suo discorso, e cercava davvero di sforzarsi di capire cosa Michael stesse provando e cosa stesse cercando di spiegargli e iniziò ad interloquire con lui e a fargli delle domande.
Notando di come l’amico si fosse interessato all’argomento, Michael decise di essere sincero fino in fondo e di raccontargli tutto, e soprattutto di raccontargli di lei, della strana ragazza sconosciuta che affollava i suoi pensieri da quando si era svegliato. Decise di raccontargli dei ricordi e delle strane sensazioni che provava ogni volta che pensava a lei, di tutti quei momenti che ricordava di aver vissuto con lei e delle cose che sapeva.
Il moro guardò confuso l’amico, cercando di afferrare a pieno la situazione e soprattutto cercando di capire come fosse possibile una cosa del genere.
-Quindi, non sai se questa ragazza è reale o è solo frutto della tua immaginazione- concluse Sam, quando Michael terminò la sua confessione.
I ragazzi si guardarono titubanti: gli occhi blu di Michael erano fissi in quelli cervone di Sam in segno di intesa.
Sam comprese che l’amico era particolarmente preso da quella cosa e da questa fantomatica ragazza.
-Come hai detto che si chiama?- chiese Sam, passandosi una mano sul viso e sentendo la barba ispida sotto i polpastrelli.
-Credo Sarah- rispose Michael titubante. Non era più sicuro di niente –Dovrebbe essere la stessa ragazza che ha realizzato il dipinto che ho appeso sulla scrivania- aggiunse buttandosi sul letto, in cerca di una qualche spiegazione logica.
-Mmm- Sam mugolò titubante e guardò il quadro: era molto colorato e raffigurava alcuni grattacieli e palazzi di New York, era pieno di luci e sfumature accese e dava molta vita e allegria all’arredamento classico e cupo della stanza di Michael.
-E credo anche che sia stata lei a portarmi l’orchidea- aggiunse il ragazzo, spostando gli occhi sul davanzale della finestra su cui aveva appoggiato il fiore bianco.
-Pensavo fosse stata tua madre a portarla- ribattè Sam. Si ricordava del fiore e ricordava anche di aver pensato esattamente la stessa cosa una volta che lo ebbe visto sulla mensola della stanza.
-Già, lo credevo anche io, ma mia madre ha detto di non saperne nulla- rispose il ragazzo.
-Forse era un’infermiera?- provò a dire Sam, pensando a quella cosa.
-Non penso- fece Michael –Insomma, se fosse stata un’infermiera perché sparire dopo il mio risveglio? Avrebbe dovuto continuare a passare dalla stanza- ipotizzò con ovvietà.
-Questo è anche vero- fece Sam –Hai chiesto ai tizi dell’accettazione del reparto? Loro dovrebbero avere un elenco visite delle uscite e delle entrate- aggiunse.
Michael lo guardò sinceramente colpito, perché non ci aveva pensato prima? O per lo meno ci aveva pensato, ma il giorno prima, nella foga di lasciare la stanza sei, si era dimenticato di passare dall’accettazione.
Sam vide il suo amico accennare un sì con la testa e sorrise.
-Aspetta un attimo- esclamò, contento per il lampo di genio che aveva appena avuto.
-Che c’è?- fece Michael, guardando Sam assumere un sorrisetto vispo che gli fece uscire due fossette ai lati delle guance.
Sam mise una mano in tasca e uscì fuori il suo smart-phone, pronto a cercare questa misteriosa ragazza.
-Hai detto che si chiama Sarah?- chiese per conferma.
-Sì, Sarah Lewis- rispose Michael confuso. Cosa stava facendo?
-Che c’è?- chiese stranito Sam, davanti all’espressione accigliata di Michael –Sto controllando su Facebook! Hai provato a cercarla?- aggiunse, davvero colpito dal fatto che Michael non l’avesse ancora fatto.
-Mmm,no- rispose stizzoso Michael, risentito dal fatto di non averlo fatto prima. Era così intento a capire se Sarah fosse reale o meno, che gli era sfuggito di mente il fatto di come poter verificare quella cosa nel modo più veloce possibile.
-Devo sempre insegnarti tutto?!- esclamò Sam, scorrendo veloci le dita sulla tastiera. Adorava fare quel genere di cose e benchè avesse quasi ventisette anni, il suo animo da ragazzo sciupafemmine e perennemente con la testa al gioco non era mai sparito del tutto.
Michael guardò Sam cercare veloce la ragazza sul social network e fu preso da una leggera ansia. E se lei fosse esistita davvero? Come faceva a conoscerla e come era possibile avere dei ricordi su di lei?
-Allora…- fece Sam scorrendo veloce i risultati –Ce ne sono parecchie, ha un nome abbastanza comune- commentò il ragazzo, guardando tutte le piccole foto di ragazze omonime apparse sullo schermo.
-E’ nata il sei maggio del 1990- disse Michael istintivamente, ricordandosi di nuovo di quel dettaglio –E dovrebbe essere una fotografa e una pittrice- aggiunse, per cercare di restringere il campo.
Ma che cosa stava facendo? E soprattutto perché si sentiva così strano?
Lo stomaco iniziava a fargli male e le gambe gli sembravano quasi molli. Non era nuovo in fatto di ragazze, anzi, poteva definirsi abbastanza esperto in materia, ma quella volta era diverso.
Lui non era attratto tanto dal suo aspetto fisico, che non riusciva nemmeno ad immaginare, ma dalla sua voce, dal suo carattere, dalle cose che lui, in qualche modo conosceva di lei.
-Trovata!- esclamò Sam esultando dopo la lunga ricerca e Michael ebbe quasi un tuffo al cuore –Mmm…La vuoi vedere? E’ carina!- aggiunse Sam, lanciando uno sguardo sornione a Michael.
Il ragazzo rimase leggermente spaesato, ma cercò di non darlo a vedere anche se quella sua reazione non sfuggì agli occhi attenti di Sam, che conosceva l’amico troppo bene per non riuscire a cogliere quegli atteggiamenti.
-No- rispose di getto il ragazzo, incuriosendo Sam per quella reazione molto spontanea e molto decisa -Cioè…insomma, non voglio farmi un’idea sbagliata di lei. Su Facebook anche tu sembri un fotomodello e invece dal vivo sei solo un cazzone- commentò ironico.
-Ehi!- esclamò Sam, fintamente risentito –Guarda che ora la aggiungo e ci provo io con lei!-
-Non oseresti farlo!- ribattè Michael, fulminando l’amico con lo sguardo.
-E invece sì! E’ davvero bella. Devo avvisarla di non perdere tempo con te!- rispose Sam, punzecchiando l’amico in quello che aveva capito essere il suo punto debole.
-Davvero non vuoi vederla?- chiese di nuovo Sam, scorrendo alcune foto di Sarah. Si era dannato per due settimane alla ricerca di quella ragazza e poi non voleva sapere come fosse fatta, certe volte non lo capiva.
-Preferirei vederla dal vivo- ammise sincero Michael, e già che ci stava voleva anche chiederle qual era stata la dinamica dei loro incontri.
-Mmm, e non vuoi sapere niente? Nemmeno di che colore ha i capelli?- chiese malizioso Sam, che conosceva i gusti in fatto di donne di Michael.
-Oh, va bene!- esclamò il ragazzo, messo alle strette. Non avrebbe voluto vedere Sarah in foto, ma conoscere qualche dettaglio in più su di lei non gli sarebbe dispiaciuto affatto.
-E’ fidanzata?- aggiunse qualche secondo dopo, cercando di capire di quanto si potesse spingere oltre con lei.
-Facebook dice di no- rispose Sam, che ci stava davvero prendendo gusto in tutta quella situazione.
Michael sospirò, leggermente sollevato. Tanto meglio così.
-Ma sei sicuro che è lei? Potrebbe esserci qualche altra ad essere nata lo stesso giorno- commentò con ovvietà e titubanza Michael e non aveva intenzione di illudersi più di tanto.
-Hai detto che è una specie di artista?!- lo canzonò Sam, che si stava godendo la reazione isterica di Michael seduto sulla sua poltrona in pelle. Michael annuì con la testa e aspettò che l’amico continuasse.
-Oh, la sua bacheca è piena di foto di quadri. E’ senza dubbio lei- rispose Sam, incurvando le labbra in un sorrisetto quasi malefico.
-Che c’è?- gli chiese Michael, notando il suo sguardo e il cambio di espressione di Sam.
Il moro spostò lo sguardo dalla foto che aveva appena visto di Sarah a Michael stesso, e lo guardò socchiudendo gli occhi.
-Allora?- chiese Michael, pronto ad alzarsi e a strappargli il cellulare dalle mani se non avesse parlato di lì a cinque secondi.
-Ci ho ripensato- iniziò a dire Sam, guardando una foto che ritraeva Sarah ad un evento, vestita con un elegante tubino nero che le fasciava il corpo formoso e slanciato.
Aveva un taglio degli occhi quasi felino e il suo sorriso era davvero dei più luminosi e belli che avesse visto. E lui, di sorrisi, non ché di ragazze, ne aveva viste davvero tanti.
-Ci proverò sicuramente con lei- continuò Sam malizioso, ridendo sotto i baffi e aspettando la reazione spropositata che Michael avrebbe avuto di lì a breve.
Il biondo di fronte a lui lo guardò basito. Se non fosse stato perché non gli andava di alzarsi dal letto, gli avrebbe sicuramente dato una botta in testa per farlo smettere di fare lo scemo.
-Oh, andiamo sto scherzando!- esclamò Sam, scrutando l’espressione di Michael.
-No, che non lo stai facendo!- ribattè Michael sorridendo –Stai solo tastando il terreno! Ti conosco troppo bene e riconosco quello sguardo!- fece il ragazzo, guardando l’amico.
-E’ vero non sto scherzando, ma è davvero una bella ragazza, e sono stato molto gentile ad esprimermi in questo modo- ammise Sam alzandosi e prendendo il cappotto nero che aveva lanciato sul letto una volta entrato in stanza.
Michael lo guardò dubbioso.
-Dove stai andando?- chiese Michael confuso.
-Andiamo a cercare questa Sarah, vestiti!- rispose l’amico, buttando un cuscino in faccia a Michael.
Il biondo rimase qualche secondo immobile e confuso.
-Sam, ma oggi è il giorno del Ringraziamento! E poi che facciamo? Non sappiamo nemmeno dove cercarla!- esclamò Michael razionalmente. 
-Ho un’idea. Muoviti o altrimenti non riusciremo a tornare in tempo per il pranzo e non voglio sorbirmi Amanda per tutta la giornata!- fece Sam, aprendo l’armadio di Michael e iniziando a gettare indumenti sul letto del ragazzo.
-Mettiti qualcosa di decente addosso, fatti la barba e aggiustati i capelli! Io nel frattempo vado a dar fastidio a tua sorella- aggiunse il ragazzo, lanciando un maglioncino e un jeans a Michael  uscendo dalla stanza.
Il ragazzo guardò l’amico uscire dalla sua camera e scosse la testa. Non era più abituato a tutta quell’esuberanza. 
Dopo una ventina di minuti erano entrambi nella macchina di Sam, diretti solo Sam sapeva dove.
-Mi dici che cosa hai in mente?!- sbottò Michael all’ennesimo tentativo di Sam di sviare il discorso.
-Uffa, quante domande!- esclamò Sam, che nel frattempo si stava divertendo a cambiare ogni canzone che passasse in radio. –Siamo arrivati! Calmati!- aggiunse parcheggiando e indicando a Michael l’entrata del General Hospital.
Michael guardò il grande edificio dal finestrino e poi si girò a guardare Sam che nel frattempo si stava aggiustando i capelli, guardandosi nello specchietto retrovisore.
-Che ci facciamo qui?- chiese il ragazzo, nascondendo un po’ di ansia nella voce.
Aveva superato abbastanza velocemente il trauma di aver trascorso due mesi in quel posto, ma vederselo di nuovo davanti, così in maniera improvvisa, non fu certamente una delle cose migliori che gli potessero capitare.
Sam fece finta di non sentire e seguito a ruota da Michael, varcò le porte scorrevoli dell’ospedale.
Nel momento in cui il più piccolo dei Trisher entrò nel grande stabile, percepì una sensazione di inadeguatezza e di ansia e sperò di uscire da quel posto il più presto possibile.
In un attimo si ritrovarono nel reparto sotterraneo di terapia intensiva e sia lui che Sam erano appoggiati al bancone dell’accettazione, aspettando un cenno da parte dei due signori seduti sulle sedie di fronte a loro.
Neil e Tuck fecero tutto con molta calma, non accorgendosi di essere impazientemente attesi da quei due ragazzi dietro il bancone, e quando Tuck riconobbe Michael, ebbe un sussulto e tutte le scartoffie che stava controllando volarono per aria.
-Signor Trisher!- esclamò il più tarchiato tra i due uomini. –Cosa ci fa qui? C’è qualche problema?-  chiese preso improvvisamente dall’ansia, temendo che Michael fosse andato lì a reclamare qualche falla nel servizio che aveva ricevuto durante la sua convalescenza.
-No signor Morris, nessun problema- sorrise gentile Michael, cercando le parole giuste da usare per la sua richiesta.
L’uomo guardò prima il ragazzo e poi il suo amico accompagnatore che invece si era appena gettato a capofitto in una conversazione con un’infermiera appena passata.
Michael vide la scena e scosse la testa sorridendo leggermente. Sam non sarebbe mai cambiato, nemmeno a cinquant’anni.
-Sono qui per chiederle un favore, in realtà- abbozzò Michael.
-Mi dica pure- ribattè l’uomo, che di certo non voleva tenere scontento uno dei rampolli più ricchi di New York.
-Mi stavo chiedendo, se è possibile avere l’elenco delle visite che ho ricevuto durante…- iniziò a dire il ragazzo, facendo una pausa –…il mio ricovero- concluse, evitando di nominare il suo stato comatoso.
-Non dovrebbero esserci problemi- commentò l’uomo che sparì nuovamente dietro lo schermo del computer. Dopo qualche minuto la stampante si mise in funzione e iniziò a cacciare fuori tanti fogli, presi accuratamente da Tuck e posti sul bancone di fronte a Michael. In quel preciso momento anche Sam si sporse verso il ragazzo e spiò l’elenco visite.
-Iniziano dal 30 Settembre e terminano ovviamente il 24 Novembre- chiarì l’uomo –Nella tabella giornaliera è indicato anche l’orario della visita, ovviamente non sono comprese le visite degli inservienti, degli infermieri o dei medici, ma solo delle visite esterne-
-Grazie mille- fece il ragazzo, aspettando che l’uomo tornasse a sedersi e si rimettesse a lavorare.
Abbassò il capo e iniziò a scorrere gli occhi su quella tabella divisa in diverse sezioni: nel leggere quell’elenco, lo travolse un’immensa tristezza, che si trasformò in rabbia quando prese atto di quante poche volte sua madre e sua sorella fossero andate a trovarlo nel corso del ricovero, per non parlare di suo padre, che a quanto pareva non si era nemmeno accostato per sbaglio all’ospedale.
Scosse la testa deluso, cercando di trattenere le lacrime, ma Sam lo riscosse, capendo perfettamente a cosa era dovuto quel cambiamento di umore.
-Ehi, sei venuto a trovarmi- commentò Michael qualche secondo dopo prendendo atto che Sam si fosse recato da lui mentre si trovava in coma, mascherando il suo stato d’animo e cercando di dare un tono leggermente ilare a quella frase.
-Avevi dubbi?- commentò Sam, dandogli una pacca sulla spalla –Mi spiace solo essere passato una sola volta, per il resto del tempo sono stato a Seattle-
Michael sospirò cercando di riprendersi e di ritornare focalizzato sul perché erano lì-
-Ehi, hai visto?- chiese Sam sorridendo, leggendo di quante volte invece il nome di Sarah era scritto sulla tabella.
-Sì- fece confuso Michael, non riuscendo ad interpretare quella cosa –E’ venuta a trovarmi quasi ogni giorno- aggiunse, scorrendo con gli occhi il nome della ragazza ripetuto su ogni riga.
-Sei sicuro di non averla mai conosciuta?- chiese allora titubante Sam. Era alquanto strano che una ragazza andasse a trovare ogni giorno un estraneo in ospedale.
-Sì, me ne sarei ricordato- fece Michael con ovvietà.
-Beh, almeno in questo modo hai la certezza che il quadro e l’orchidea te l’abbia portati lei- commentò il moro, passandosi una mano tra i capelli.
-Già, ma perché?- si chiese allora il ragazzo. Era quella la vera domanda a cui stava cercando una risposta.
Perché era andato da lei? Perché aveva dimostrato tutta quella premura per un ragazzo che non aveva mai visto, quando nemmeno i suoi stessi genitori lo avevano fatto?
E se avesse sbagliato persona credendo fosse qualcun altro?
-Questa è una bella domanda. Non ne ho idea- rispose sincero il ragazzo di fianco a Michael.
-Posso aiutarvi in qualcos’altro?- chiese improvvisamente Tuck, sporgendo la testa e scrutando i due giovani da dietro lo schermo del computer.
-In realtà sì- fece Michael –Sa chi è Sarah Lewis?-
Tuck guardò titubante il ragazzo. Perché gli stava chiedendo della ragazza?
-Ha fatto qualcosa di sbagliato?- chiese l’uomo, mandando un’occhiata a Neil, alla scrivania di fronte la sua.
Michael si accorse dello sguardo titubante assunto dall’uomo, così per evitare equivoci rispose repentino.
-No, assolutamente. Volevo solo ringraziarla per essere passata a farmi visita mentre ero ricoverato. Dopo il mio risveglio non ne ho più avuto l’occasione- fece il ragazzo.
L’uomo occhialuto e tarchiato sembrò essere soddisfatto della risposta e parlò.
-Sarah è una ragazza che viene a fare volontariato qui all’ospedale- iniziò a dire Tuck –Di solito viene qui spesso, ma è da qualche settimana che non la vedo: o è stata trasferita di nuovo in Pediatria oppure avrà terminato le ore di servizio- disse l’uomo. Allora che ci pensava Sarah era quasi sparita.
Michael lanciò un’occhiata a Sam che lo spinse a continuare.
-E ha per caso un suo numero di telefono o un indirizzo?- chiese il biondo.
-Purtroppo no, solitamente lei lavora o con Sally o con Tina e al momento nessuna delle sue è qui per via delle festività- rispose dispiaciuto il signore –Ma se ti può interessare, lavora in un supermarket a Brooklyn sulla trentaquattresima- aggiunse Tuck.
 
 
 
Sarah si stava cambiando nel piccolo spogliatoio del supermercato quando il telefono le squillò in tasca. Pensò che probabilmente quella doveva essere sua madre e che probabilmente di lì a cinque minuti l’avrebbe sgridata per il fatto di aver accettato uno straordinario il giorno del Ringraziamento e aver saltato così il grande pranzo di famiglia.
Con sorpresa però vide che non aveva registrato il numero in rubrica e rispose subito.
-Pronto, signorina Lewis?- la chiamò una voce metallica dall’altro lato del telefono.
-Sì, con chi parlo?- chiese la ragazza, cercando di ricordare quella voce.
-Sono Wesley Shutter, il curatore- rispose l’uomo.
-Certo, signor Shutter!- esclamò  leggermente isterica la ragazza, pronunciando quelle parole con una voce più stridula del dovuto. Aveva totalmente rimosso il personaggio, soprattutto perché nelle ultime tre settimane non le aveva fatto sapere praticamente più nulla per la mostra sui talenti emergenti.
-Mi scusi se la chiamo il giorno del Ringraziamento- iniziò a dire il curatore –Ma credevo non fosse necessario farla aspettare ulteriormente. Si ricorda cosa ci siamo detti l’ultima volta?-
-Certo- rispose Sarah speranzosa, desiderando con tutta se stessa che Shutter le comunicasse qualcosa di buono.
-Ecco, le volevo dire…- disse l’uomo, schiarendosi la voce e mandando Sarah in iperventilazione –…che benché il suo materiale sia stato apprezzato da molti miei colleghi, abbiamo ritenuto opportuno selezionare altri tipi di opere-
Le parole che Shutter pronunciò al telefono furono come lame per Sarah e immediatamente si ritrovò a fissare inespressiva il proprio riflesso nello specchio, mentre indossava quella stupidissima uniforme arancione e blu che tanto odiava.
La chiamata durò altri minuti, ma la ragazza aveva smesso di ascoltare davvero cosa Shutter le stesse dicendo nell’istante esatto in cui l’aveva rifiutata per la mostra.
Faceva male, faceva male davvero, soprattutto perché fino a quel momento era stata rifiutata solo per email e mai per telefono, e sentirsi dire di non essere “abbastanza” rispetto ad altri artisti selezionati, la fece sprofondare in un baratro ancora più profondo di quello in cui si trovava dal giorno in cui aveva deciso di non andare più a far visita a Michael.
Le giornate fino ad allora erano trascorse lente e prive di avvenimenti davvero importanti: si era sentita saltuariamente con la sua famiglia, con sua sorella e con qualche suo amico, persino con Bryce, ma non aveva badato davvero a quello che stava vivendo. Era tutto vuoto attorno a lei, privo di colori e di emozioni, e lei aveva fatto davvero di tutto per far sì che fosse così. Aveva deciso di archiviare la storia con Michael per ritornare a vivere, ma la verità era che aveva dimenticato come si facesse, o meglio, non voleva farlo.
Fece un sospiro trattenendo a fatica le lacrime e scrutando la sua immagine nello specchio.
Che aveva fatto di male per meritarsi tutto quello? Aveva solo venti tre anni, di certo non aveva minato all’incolumità di nessuno e davvero non si spiegava il perché della sorte che le era capitata da qualche settimana a quella parte.
Scosse la testa e sospirò di nuovo, cercando di concentrarsi sulla giornata che l’attendeva. Aveva fatto bene ad accettare quella giornata lavorativa, almeno non sarebbe stata da sola a casa accerchiata da quegli stessi quadri che nessuno sembrava voler esporre.
Immaginò cosa sarebbe successo se avesse ricevuto quella telefonata a casa sua, ad Hoboken, nel salone di casa sua, accerchiata dai parenti e dai suoi genitori, che erano stati sempre molto cinici e di gran lunga contrari a quello che Sarah aveva scelto di fare per il suo futuro.
Si passò una mano sul viso e si stropicciò gli occhi: si era ripromessa di non piangere più per quei tipi di situazioni, ma era molto difficile, considerando che non faceva altro che pensare a quanto fosse stata sciocca a sperarci davvero a tutta quella faccenda. Si era fatta trarre in inganno dal fatto che Shutter aveva voluto incontrarla di persona e non le aveva semplicemente chiesto delle fotografie o delle scansioni dei suoi materiali, e questo l’aveva portata a comportarsi come una sciocca adolescente che spera ancora nel principe azzurro.
Si guardò nuovamente di sfuggita allo specchio, sperando che nessuno notasse le pessime condizioni del suo stato e raccolse i lunghi capelli in una coda alta. Dopo essersi sistemata alla meglio uscì, cercando di scaricare la tensione.
Si diresse nel reparto degli shampoo e dei detersivi, pronta a sistemare dei nuovi scatoli di merce sugli scaffali e quasi meccanicamente iniziò a tirar fuori i vari prodotti dagli scatoloni.
 
-Ah, e quindi il tuo piano fantastico quale sarebbe?- esclamò a voce alta Michael uscendo dalla macchina di Sam per la seconda volta e chiudendosi la portella del Suv alle spalle.
-Siamo nel posto in cui lavora, se hai fortuna la puoi incontrare e chiederle quello che vuoi- rispose calmo Sam dirigendosi verso l’entrata scorrevole del supermercato sulla trentaquattresima.
-E che cosa le dico?- sussurrò Michael, non appena entrambi misero piede nel supermercato, prendendo Sam per un polso e strattonandolo, portandolo vicino a sé.
-E che ne so! Sei tu quello ad essere ossessionato da lei! Ricordati sempre che per l’una e mezza dobbiamo stare a casa tua. Quindi pensa veloce a cosa dirle!- rispose il ragazzo, con il suo solito fare strafottente, facendo addirittura l’occhiolino a Michael.
Il ragazzo da parte sua non era pronto davvero a quell’incontro.
Ok, sì, si era domandato chi fosse Sarah, si stava chiedendo il perché lo fosse andato a trovare con tanta diligenza per più di un mese e mezzo all’ospedale, ma non aveva davvero idea di come poter esordire e di come poter instaurare una sorta di dialogo con lei.
-Sam, vuoi aspettare! Non so nemmeno com’è fatta!- esclamò Michael.
-Quante storie, Mike. Perché non ammetti semplicemente che sei nervoso e che non sai come comportarti?- disse Sam guardandosi attorno in cerca della ragazza. Quel posto era pieno di scaffali che gli ostruivano la visuale.
-Beh, tu sapresti come comportarti se fossi nella mia situazione?- sbottò Michael, leggermente stizzito, sinceramente infastidito dalla sicurezza che l’amico stava dimostrando in quella situazione. Si era incaponito su quell’assurdo piano basato sull’effetto sorpresa e non voleva sentire ragioni.
-Mmm, francamente no- ammise Sam –Ma tu sei nato per far cascare le ragazze ai tupi piedi, quindi non farti tanti problemi- aggiunse sorridendo sinceramente.
Michael scosse la testa e riprese a seguire l’amico.
-Ciao, scusami se ti disturbo- iniziò a dire improvvisamente Sam ad una ragazza bionda, vestita con un’uniforme arancione e blu e che gli era appena passata davanti.
La ragazza annuì colpita dalla bellezza di Sam, intenta a dargli una mano.
Michael vide tutta la scena da fuori e avrebbe giurato che quella ragazza avesse gli occhi a cuoricino e che pendesse letteralmente dalle labbra dell’amico. Scosse la testa in segno di resa e si avvicinò ai due.
-Stavo cercando Sarah Lewis, lavora qui, vero?- chiese Sam, facendo il cascamorto con la bionda.
La ragazza aspettò qualche secondo prima di rispondere, sia perché Sam era di un fascino disarmante, con uno degli sguardi e dei sorrisi più intensi che avesse mai visto in un giovane, e sia perché si stava domandando mentalmente sul perché stesse cercando Sarah.
Riluttante all’idea di non poter più interagire con lui, alla fine la bionda gli rispose, indicando al giovane e al suo amico il reparto in cui Sarah si trovava quella mattina.
-Grazie…- rispose sornione Sam, con il suo comportamento da ammaliatore. Lanciò un’occhiata intensa e fugace alla ragazza e facendo un cenno con la testa a Michael, si diressero verso gli shampoo.
-Hai visto? Non è molto difficile- lo canzonò Sam, dando una pacca sulla spalla di Michael. Il biondo alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di sorridergli.
Sarah era intenta a riordinare uno scaffale e stava posizionando, con forse un po’ troppa cura, dei bagno schiuma disponendoli in base alle marche e ai vari gusti.
Le capitò tra le mani un doccia schiuma alla vaniglia e istintivamente lo aprì, sentendone l’aroma.
Sam e Michael erano alla punta del suo stesso corridoio e si stavano avvicinando lenti verso di lei. In realtà Sam stava procedendo spedito, ma Michael sembrava essere stato paralizzato.
Una strana sensazione di ansia, che non aveva davvero mai provato, lo pervase, iniziandogli a causare una vera e propria tachicardia.
-Aspetta, Sam!- cercò di dire a denti stretti, prima che entrambi si fossero avvicinati a Sarah.
-Che c’è?- chiese l’amico, aprendo le braccia in segno di confusione.
-E se non è lei?- inventò Michael. In realtà stava solo cercando di guadagnare tempo. La ragazza che entrambi ipotizzavano essere Sarah era girata di spalle, intenta a sistemare dei prodotti sugli scaffali, totalmente ignara di ciò che stava succedendo dietro di lei.
-E’ sicuramente lei- commentò malizioso Sam, strabuzzando gli occhi in direzione della mora e scrutandola da cima a fondo. Se non fosse che Michael avesse mostrato interesse nei suoi confronti, ci avrebbe sicuramente fatto lo scemo.
-Oh finiscila!- lo rimproverò Michael, riconoscendo lo sguardo radar di Sam quando stava analizzando una ragazza.
Michael portò lo sguardo nella stessa direzione di Sam e incontrò una ragazza mora, con dei lunghi capelli scuri e ondulati che presentavano dei riflessi rossastri quasi mogano che si accentuavano in corrispondenza delle punte, raccolti in una coda alta.
Era una ragazza di media altezza, sul metro e settanta, con una linea slanciata ma abbastanza formosa, e stava indossando anche lei quell’uniforme arancione e blu, come il resto dei lavoratori nel supermercato.
Perché era così agitato? Perché il cuore gli stava letteralmente martellando nel petto?
Non la conosceva, non sapeva nemmeno come fosse fatta di viso, perché era così…emozionato? Da quanto non aveva provato quel brivido di eccitazione nel conoscere una ragazza?
Sarah si sentì chiamare alle spalle e si girò, aspettandosi un cliente che le chiedesse informazioni.
Si volse e si ritrovò davanti un ragazzo alto, con due grandi occhi cervoni, capelli spettinati ed alzati sulla fronte, con dei riflessi bronzati che si perdevano nella chioma castana.
Sam guardò la ragazza con un sorrisetto e rivolgendole uno dei suoi soliti sguardi le parlò.
-Ciao- iniziò a dire sorridendole.
Sarah lo scrutò attentamente, il sorriso di quel ragazzo era uno dei più sbarazzini e luminosi che avesse mai visto e poi creava due tenere fossette ai lati delle sue guance.
-Ehm, io e il mio amico, stavamo cercando un bagnoschiuma che abbia davvero un buon profumo- sparò Sam continuando a sorridere sornione. Dal vivo era ancora più carina che in foto benchè fosse totalmente struccata e indossasse quell’uniforme completamente anti sesso.
Sarah lo guardò dubbiosa. Lui e il suo amico? Quale amico? Era completamente solo nel corridoio.
Sam vide l’espressione della ragazza mutare e la vide guardare alle sue spalle e assumere un’espressione confusa che lo spinse a girarsi di scatto e a controllare se Michael fosse ancora lì.
Si girò ma non vi trovò nessuno.
Chiuse gli occhi per un nano secondo e poi li riaprì, pronto a rimediare alla figura da scemo che aveva appena fatto. Alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente la testa e dopo qualche secondo tornò a parlare di nuovo con Sarah, che era rimasta di fronte a lui immobile, non riuscendo ad interpretare il comportamento del ragazzo.
-Ehm, sì. Evidentemente il mio amico ha deciso di sparire senza avvisarmi- commentò pensando a quante gliene avrebbe dette a Michael non appena l’avesse ritrovato.
 Sarah scoppiò a ridere, divertita dall’espressione assunta dal ragazzo e dal suo tono di voce. Era di bell’aspetto ed era vestito in maniera molto elegante e avrebbe scommesso sul fatto che probabilmente si trovava a Brooklyn per caso e che facesse parte dell’East Side.
Al suono della risata della mora anche Sam rise, cercando di rimediare e di dire qualcosa di convincente.
-A che gusto lo state cercando?- chiese Sarah, calcando sull’uso del plurale e guardando sugli scaffali dietro Sam.
-Non so, secondo te che profumo piace alle ragazze?- chiese il ragazzo, mostrando una sorta di ghigno malizioso e furbetto.
Sarah alzò gli occhi al cielo e trattenne un sorriso scuotendo la testa.
Mentre la ragazza iniziò a parlare, spiegando le varie offerte, i gusti e i profumi degli shampoo, Sam vide Michael sbucare alle sue spalle, intento a guardare tutta la scena da lontano.
Il moro fece cenno con la testa di avvicinarsi ma Michael mimò di no con la testa ed indietreggiò, defilandosi di nuovo.
Sam scosse il capo incredulo di ciò che aveva appena visto.
La botta alla testa aveva causato dei seri problemi al suo amico, ne era più che certo in quel momento.
Da quando in qua se la dava letteralmente a gambe di fronte ad una ragazza?
Guardò con occhi stretti a due fessure l’amico allontanarsi e poi ritornò a mostrare attenzione a Sarah, che sembrava non essersi accorta di nulla.
-Per un ragazzo potrebbe andare bene sia quello al Pino Silvestre che al Muschio bianco…- continuò a dire la mora, intenta a cercare qualcosa di adatto per quello strano cliente.
-Mmm, a te qual è che piace?- domandò Sam senza fare troppi giri di parole a riguardo.
Sarah lo guardò confusa arrossendo un po’. Perché voleva saperlo?
-Ehm…- iniziò a dire guardandosi attorno, leggermente imbarazzata per quella richiesta. Sam continuava a guardarla sornione e ci avrebbe giurato sul fatto che ci stesse provando con lei
-Personalmente a me piace quello ai frutti di bosco- rispose la ragazza, arrossendo ancora.
-Allora prendo quello- le rispose Sam, facendole l’occhiolino e sporgendosi accanto a lei a prendere la bottiglia del sapone.
Sarah rimase qualche secondo interdetta e poi vide Sam allontanarsi, lasciandola immobile al centro del corridoio.
Mentre stava ancora pensando a quello strano incontro, Sarah sentì il suo nome essere chiamato all’altoparlante e si diresse verso le casse.
Era quasi ora di pranzo e sicuramente si erano create delle code lunghissime per i pagamenti, perciò fu pronta a sedersi in cassa e a far scorrere veloci le file rimaste.
Velocemente e quasi meccanicamente faceva scorrere tutti i prodotti, battendoli al laser e imbustandoli, smaltendo così un po’ di folla.
Aveva appena chiuso una spesa da trecento dollari di una signora che sembrava avesse svaligiato l’intero supermercato, quando improvvisamente si accorse che il suo successivo cliente avesse comprato una sola cosa.
Senza guardare chi fosse, prese la bottiglia di sapone dal nastro e la battè al prezziario.
Guardò di sfuggita la bottiglia e vide che era lo stesso bagno schiuma ai frutti di bosco che aveva consigliato al ragazzo con cui aveva parlato una decina di minuti prima.
Alzò lo sguardo, aspettandosi di trovare lo stesso giovane alto e moro con cui aveva speso qualche minuto in precedenza, ma non fu così.
-Sono tre dollari e sessantacinqu…-
Disse, fermandosi un secondo prima di finire la frase.
Il sapone le sfuggì dalle mani, sbattendo sulla cassa.
Il cuore iniziò a martellarle nel petto con una tale forza, che poteva quasi sentirne il dolore.
La sua bocca si fece arsa e perse apparentemente l’uso della parola nei due minuti che seguirono.
Le si fermò il respiro, per poi ritornare più forte di prima.
La testa le girava e non riusciva a fare più niente.
Rimase immobile, seduta sulla sua sedia sgangherata dietro la cassa.
Di fronte a lei c’era un ragazzo alto, con lucenti capelli castano chiaro con sfumature e riflessi dorati e con due grandi occhi celesti.
Di fronte a lei c’era Michael.

 


 
***
Ok, spero che arrivati a questo punto della storia voi non mi vogliate tranciare! Vi avevo promesso che in questo decimo capitolo ci sarebbe stato un fugace incontro ed eccolo qui. 
Non è ancora quello ufficiale, perchè come da programma lo avremo solo nel prossimo capitolo, però era per farvi un po' contente e ringraziarvi del fatto che avete aspettato otto lunghe settimane per questa cosa <3 
Passando al capitolo, sappiate che io amo Sam, cioè è troppo sprint ed è la brothership di Michael, quindi lo adoro a prescindere!
I toni di questo aggiornamento sono un po' veloci, ma volevo dare l'idea che tutto si stesse svolgendo contemporaneamente e in sequenza, e spero di esserci riuscita.
Insomma, anche questa giornata è stata pesantuccia per Sarah, che non solo tra un po' mi crepa sulla cassa, ma è anche depressa per il rifiuto di Shutter! Mia cara Roiem avevi ragione a dubitare di quel fessacchiotto! 
Ma non vi scoraggiate, come si suol dire, si chiude una porta e si apre un portone e vi assicuro che nel prossimo capitolo lo vedrete! 
Spero abbiate apprezzato l'incontro shock tra i due, in realtà devo essere sincera, quando ho iniziato a pensare ad Anestesia quattro lunghi anni fa (eggià, 4 anni fa pubblicai i primi due capitoli, ma poi gli ho cancellati per mancanza di tempo per gli aggiornamenti), elaborai tutta la storia in funzione di questa scena, ovvero di Sarah che mentre sta battendo i prodotti al laser della cassa, vestita di arancione e blu per l'uniforme, si ritrova gli occhi blu di Michael davanti. Non vi nascondo che è stato bello scrivere dopo tanti anni una scena che avevo in mente da troppissimo, e spero che vi sia piaciuta!
Per il prossimo aggiornamento (che ritorna normalmente martedì prossimo, previ imprevisti con il pc) mi raccomando, vestitevi eleganti, perchè Sarah vi inviterà alla sua prima mostra d'arte a Manhattan!
P.s. Anestesia è diventata la vostra storia preferite tra tutte quelle che ho scritto fino ad ora e questo è solo merito vostro! 
Un bacione! 

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Capitolo 11
*** 11 ***


11
 
Non poteva essere lui, non lì, non di fronte a lei.
Quello che le stava di fronte non poteva essere Michael per tutta una serie di ragioni razionali e non: non poteva essere lui perché Michael sicuramente non sarebbe mai capitato a Brooklyn, soprattutto non sarebbe mai potuto capitare per caso nel suo supermercato; non poteva essere Michael perché l’ultima volta che lei lo aveva visto, il ragazzo era in coma in un letto di ospedale; non poteva essere lui perché aveva deciso di dimenticarlo e cercare di reprimere i sentimenti che provava per quella specie di fantasma, e soprattutto quello di fronte a lei, che la stava guardando fisso negli occhi, mettendola in completo imbarazzo e mandandola completamente in tilt, non poteva essere Michael, perché lei era di fronte a lui, con la sua schifosissima uniforme arancione, senza trucco, con le occhiaie e spettinata, e quello non poteva essere il loro primo incontro.
Sarah deglutì e chiuse lentamente le palpebre, per poi riaprirle altrettanto lentamente.
Non riusciva ad emettere un suono, non riusciva a muoversi e non riusciva a staccare gli occhi dalle perle azzurre di Michael.
I suoi occhi, quegli occhi che aveva sognato per intere notti, erano di fronte a lei e la stavano fissando. Michael stesso era di fronte a lei e la stava fissando, e il suo viso era la cosa più bella che Sarah avesse mai visto e le sue foto non gli rendevano per nulla giustizia.
Sarah respirò a fatica, non riuscendo a capire da quanto tempo si trovasse in quella posizione e da quanto tempo stesse fissando il ragazzo.
Quanti secondi erano passati? Dieci? Venti? O erano minuti quelli che rimase fissa a guardarlo?
Deglutì cercando di riprendersi, ma non servì a molto. Poteva giurare di sentire il battito del suo stesso cuore rimbombarle nelle orecchie.
Come era possibile che lui si trovasse lì? Era una mera coincidenza?
Stava facendo la figura della stupida, soprattutto perché si era bloccata di scatto e probabilmente la sua faccia aveva assunto un’espressione inebetita.
Michael guardò Sarah e notò l’espressione di totale stupore e incredulità che la ragazza aveva assunto davanti a lui, notò di come le sue guance si fossero infuocate e di come quasi la ragazza avesse iniziato a tremare.
I suoi occhi blu erano incatenati a quelli cangianti della ragazza e finalmente lui poté ammirarla in tutta la sua figura, poté darle un volto e gli risultò quasi naturale che quella ragazza avesse quelle fattezze.
Aveva un viso morbido, con lineamenti armonici che sembravano quasi disegnati, il naso era leggermente all’insù e il taglio degli occhi era quasi felino. Le labbra carnose e rosee erano leggermente dischiuse e Michael notò di come la ragazza stesse respirando affannosamente, quasi a fatica.
E dunque era lei Sarah, la ragazza che gli aveva fatto visita più di chiunque altro durante il suo stato comatoso, la ragazza che continuava a sognare di notte e che affollava i suoi pensieri per gran parte della giornata.
Era lì, seduta dietro quella cassa e a considerare da come lo stesse guardando l’aveva palesemente riconosciuto. Ma come poteva riconoscerlo, se non si erano mai nemmeno visti? Perché gli aveva mostrato così tanto interesse fino a tal punto da portargli in stanza delle cose e da regalargliele?
Erano tutte domande a cui stava cercando disperatamente una risposta, e non perché fosse arrabbiato con la ragazza, ma solo per ringraziarla per la sua premura.
 Michael dischiuse le labbra per dirle qualcosa, ma prima ancora di riuscire a parlare, Sarah si alzò di scatto e andò via, chiamando al microfono un’altra ragazza che dovesse sostituirla.
Il biondo la vide procedere a grandi passi verso alcune zone riservate al personale e sparirvici dentro, lasciandolo di sasso vicino la cassa.
Sarah si chiuse la porta alle spalle e si appoggiò pesantemente alla porta.
Com’era possibile?
Quello era Michael, e non aveva nessun dubbio a riguardo. Poche persone avevano certi lineamenti, poche persone avevano un viso così vicino alla pura bellezza.
Non riusciva a smettere di respirare a fatica e per cercare di calmarsi si portò una mano al petto, sentendo sotto di essa il cuore batterle all’impazzata.
Perché lui era lì? Perché la stava guardando con quegli occhi così penetranti e curiosi?
E se avesse scoperto che era andata a fargli visita e volesse spiegazioni a riguardo? Cosa gli avrebbe risposto?
E soprattutto, perché diavolo era scappata?
Si massaggiò le tempie con due dita, improvvisamente spossata da quegli avvenimenti. Chiuse gli occhi, ma il viso di Michael era ancora impresso nella sua mente e sarebbe stato difficile cancellarlo.
Proprio quando aveva cercato di dimenticare tutto, proprio quando aveva cercato di andare avanti, improvvisamente e senza nessuna spiegazione logica, Michael le si era presentato davanti.
Erano farfalle nello stomaco quello che stava provando in quel momento? Beh, perché se lo erano non erano poi così tanto farfalle, le sembravano più macigni che l’appesantivano e le tranciavano il respiro.
Michael seguì con gli occhi la ragazza e la vide chiudersi una porta alle spalle.
Perché era fuggita?
-Beh, almeno abbiamo la sicurezza che quella è sicuramente la ragazza che stavi cercando- disse Sam, sbucandogli alle spalle e interrompendo quel breve stato di trance che il fissare Sarah gli aveva causato.
-Già- commentò lui a denti stretti, prendendo il resto che la cassiera in sostituzione gli aveva allungato sul bancone.
 
 


5 Dicembre 2013
 
Sarah stava ancora guardando incredula la parete di fronte a lei.
Una decina di quadri, i suoi quadri, erano appesi nella grandissima sala di una galleria d’arte in un grattacielo di Manhattan.
Stentava ancora a crederci che fosse capitato davvero, dopo il rifiuto di Shutter aveva davvero perso tutte le speranze sulla sua passione, ma improvvisamente, come un fulmine a ciel sereno, un giorno le era arrivata una email da un rinomato studio d’arte di New York che le aveva offerto un’esposizione durante tutto il mese di Dicembre.
Da quel giorno fino a quel momento, i giorni erano passati veloci e aveva cercato di lasciarsi alle spalle tutto e tutti, gettandosi a capofitto nel completamento di alcune opere e cercando di studiare la giusta disposizione della mostra, e finalmente il tanto atteso giorno era arrivato, scuotendola non poco.
All’inaugurazione della sua mostra d’arte non aveva chiamato molte persone: i suoi amici, Jordan, Karen, Cecily, anche Bryce persino, e avevano accettato senza problemi l’invito, saltando addirittura qualche giorno di college; aveva avvisato anche alcune ragazze con cui lavorava al supermercato e anche Jonathan e sua madre, che ogni volta mettevano a disposizione il loro caffè letterario per poter esporre i quadri che lei creava.
Aveva volontariamente omesso di avvisare i suoi genitori di questo evento e benchè all’inizio avesse avuto qualche ripensamento, in quel momento credeva fosse stata la scelta più saggia.
Era la sua prima mostra e non sapeva se avrebbe avuto successo o meno, quindi fino a quando non era sicura di avere uno spazio fisso, o di avere un lavoro stabile che non fosse fare la cassiera in un supermercato, i suoi genitori sarebbero stati all’oscuro. Gli avrebbe invitati solo se avesse partecipato ad uno dei migliori eventi del settore, se mai ne avesse avuto la possibilità,  e poi era quasi certa che metà della sua famiglia, parenti compresi, non avrebbe compreso fino in fondo la sua arte.
Fece un sospiro, facendosi forza e fissando il quadro di fronte a sé.
-Andrà tutto bene- si continuava a ripetere a denti stretti –E queste scarpe sono comodissime- aggiunse, cercando di non pensare al dolore che quei maledetti tacchi le stavano arrecando sotto la pianta del piede.
-Sarah!- si sentì chiamare da una voce stridula e acuta alle spalle. Si girò di scatto e fece un grande sorriso quando vide Karen avvicinarsi a lei e correrle contro con le braccia spalancate.
Le due ragazze si scontrarono molto poco elegantemente, ma benchè entrambe portassero almeno dodici centimetri di rialzo, rimasero prontamente in equilibrio, scambiandosi un tenero abbraccio.
-Sei venuta!- esclamò Sarah sinceramente contenta, stringendo a sé la bionda.
-Certo che sono venuta! Avevi dei dubbi? Gli altri stanno cercando parcheggio!- esclamò Karen, mostrando un sorriso a trentadue denti all’amica –Wow, Sarah è tutto fantastico! Questo posto è grandioso! I quadri sono meravigliosi e tu sei bellissima!- aggiunse tutto d’un fiato, allontanandosi di un passo dalla mora e fermandosi a guardarla.
-Ah, ma che dici!- ribattè Sarah, un po’ imbarazzata da complimento –Quello è il vestito!-
-Certamente- fece Karen ironica, mandando un’occhiataccia all’amica e ammirando il vestito da cocktail rosso con delle decorazioni broccate in oro che stava indossando.
-Allora, sei emozionata?- le chiese ancora Karen che non riusciva a smettere di sorridere.
-Un po’!- rispose sincera Sarah che in verità se la stava letteralmente facendo sotto. Ora che ci pensava aveva sbagliato a non chiamare sua madre, in quel momento lei avrebbe sicuramente saputo come calmarla.
-Andrà tutto bene! Vedrai!- cercò di rassicurarla l’amica sporgendosi a darle un bacio sulla guancia.
Nell’ora successiva la grande sala espositiva si riempì di gente con totale sorpresa di Sarah.
Da dove erano uscite tutte quelle persone? E perché sembravano sinceramente tutti colpiti e attratti dalle sue opere? Aveva venduto già due quadri e davvero non riusciva ad essere più contenta di così. Era un sogno che si realizzava.
Per la prima volta qualcosa stava andando nel verso giusto.
Dopo aver finito di parlare con una veemente signora, che a quanto le aveva detto insegnava Storia dell’Arte alla Columbia, Jordan le si avvicinò con il suo solito sorriso smagliante e le offrì un bicchiere di Prosecco preso al volo da un cameriere che gironzolava tra gli invitati.
-Sta andando alla grande- esclamò il ragazzo, prendendola per i fianchi e alternando un sorso di spumante ad un morso ad una tartina –Sono davvero orgoglioso di te!- aggiunse, rivolgendole un sorriso sincero e stampandole un bacio sulla tempia.
-Grazie- gli rispose sincera Sarah, abbracciandolo –Per tutto- aggiunse –Mi dispiace averti fatto saltare delle lezioni-
-Nah- rispose il ragazzo sventolando in aria la mano e buttando giù tutto il resto del Prosecco –E poi tra qualche giorno è festa! Hai solo allungato le mie vacanze!- aggiunse sincero.
-Beh, sai che ti dico, forse stasera è la giusta sera per andarsi ad ubriacare!- fece ridendo Sarah, cogliendo l’espressione di finto rimprovero che Jordan aveva assunto.
-Non ci credo nemmeno se ti vedo che ti ubriachi!- commentò.
-Ehi! Guarda che so ubriacarmi anche io, che credi!- rispose Sarah leggermente risentita. Cosa credeva, che non sapesse divertirsi?
Gli diede un leggero buffetto sul braccio e poi, notando lo sguardo scettico di Jordan aggiunse –Oh, va bene! Non mi ubriaco da una vita, contento? Però non significa che non voglia farlo!-
-Ecco, ora iniziamo a ragionare- fece Jordan –E comunque credo che avrai bisogno di un quantitativo di alcool parecchio elevato, soprattutto se vuoi chiarire con Bryce- aggiunse a denti stretti, indicando il ragazzo moro girato di spalle di fronte a loro.
-Non voglio chiarire- rispose Sarah di getto, notando di come Bryce stesse facendo il cascamorto con una sua collega di lavoro. –O quanto meno, io gli ho dato le mie ragioni, se lui non vuole ascoltarmi o vuole prendersela, non è colpa mia- aggiunse la ragazza.
-E poi perché tutti voi sapete di questa storia? Da quando Bryce è diventato così chiacchierone?- fece Sarah dopo qualche secondo, pensandoci su. Lei non aveva detto a nessuno della loro discussione né tanto meno che poi l’aveva perdonato e aveva deciso di essergli una semplice amica.
-In realtà lui non mi ha detto niente- rise il ragazzo, compiaciuto di se stesso –Mi hai appena dato tu la conferma di tutto…- aggiunse ghignando.
Sarah lo guardò in malo modo dopo aver compreso che era stato solo un trucco per spillarle informazioni. Avrebbe voluto picchiarlo lì davanti a tutti. Chissà se con una botta in testa avrebbe continuato a prendere il massimo dei voti a tutti i suoi esami da genio del computer.
-Il tuo quoziente intellettivo certe volte mi dà ai nervi- fece Sarah infastidita di essere stata messa nel sacco.
Jordan trattenne una risatina malefica e poi parlò.
-Comunque…- commentò dubbioso il ragazzo, soffermando a guardare l’amica attentamente –Diciamo che tu non gli semplifichi la cosa- aggiunse ritornando al discorso.
-Eh? E perché mai?- chiese Sarah, dubbiosa su tutta quella voglia di Jordan di parlare di Bryce in quel momento. Loro due erano sempre stati in competizione era vero, e Jordan era sempre stato abbastanza protettivo con lei, ma non era successo davvero nulla, quindi non riusciva a capire tutto quell’interessamento.
-Beh, questo vestitino succinto non ti aiuta di certo a passare inosservata- iniziò a dire il ragazzo, sinceramente colpito dalla bellezza di Sarah, reclinando un po’ la testa e sporgendosi a guardare il suo sedere.
La ragazza arrossì violentemente. Jordan le aveva appena fatto un complimento? I calcolatori gli avevano per caso dato al cervello?
-Jordan!- esclamò Sarah a bassa voce, tirandogli un pugnetto nello stomaco.
-Che c’è?- chiese il ragazzo confuso, ritornando a guardarla –Ho detto che stai benissimo, mica che sembri una spogliarellista!-
-Oh, finiscila!- esclamò Sarah scherzando ma comunque imbarazzata dalla cosa.
-Dovresti organizzare mostre d’arte più spesso. Sai che dopo oggi potrei cadere nella friendzone, vero?- continuò imperterrito Jordan che continuava a squadrarla dalla testa ai piedi. Ormai ci aveva preso gusto e poi non aveva davvero mai notato che Sarah avesse certe curve. Era anche vero che le occasioni in cui l’aveva vista così aggiustata erano quasi pari a zero, però quando andavano al liceo molte volte capitava che lui partecipasse agli allenamenti della squadra di nuoto e lì Sarah era in costume.
Sarah scoppiò a ridere. Da quanto tempo non si sentiva così spensierata?
-Ok! Ok! Ora basta voi due!- disse improvvisamente Karen, che assieme a Cecily e Bryce si era avvicinata alla coppia mettendosi in mezzo. –Vi sembra il caso di battibeccare?- aggiunse la ragazza, fintamente arrabbiata.
-Ha cominciato lui!- disse Sarah, indicando Jordan, che se la stava ridendo sotto i baffi accanto a lei.
Nella foga delle risate Sarah incontrò gli occhi profondi di Bryce e lui le fece un cenno con la testa. La ragazza rispose con un sorriso, avrebbe voluto ringraziarlo per essere venuto, ma prima che lei potesse dire qualcosa, Karen gli interruppe nuovamente.
-Allora, chi esce nel magnifico ed enorme terrazzo a fumare?-
-Vengo io- rispose Cecily, afferrando al volo un altro calice di spumante.
-Anche io- fece Bryce, che già si stava tastando la tasca alla ricerca delle sigarette.
-Se permettete, io vado a vedere come sta andando dall’altra parte- disse Sarah, prendendo atto che tutti stessero andando fuori.
Si lasciò i suoi amici alle spalle e raggiunse l’altra punta della sala, caratterizzata da due stanze aperte leggermente più piccole ma che davano su due grandi vetrate da cui si poteva ammirare tutto lo skyline di New York.
Ancora con il sorriso sulla faccia per gli attimi trascorsi, si avvicinò alla grande parte color crema e iniziò a scrutare silenziosa il quadro che le stava davanti.
Era di medie dimensioni, con soli due colori ed era un quadro astratto.
Quel dipinto era decisamente il suo preferito e non raffigurava un soggetto in particolare, ma era nato dalla necessità di mettere su tela una forte sensazione di inquietudine.
Era nero, con degli sprazzi dorati realizzati con una spugna apposita e con la foglia d’oro, e immischiati nel colore più scuro, vi erano sabbia e gesso, per poter creare un effetto rilievo.
Quel quadro raffigurava il buio e la luce allo stesso tempo, e adorava come i due colori si mescolassero tra di loro, rimanendo paradossalmente sempre distinguibili e netti.
-Vorrei fare i miei complimenti all’artista di questi quadri, tu sai dove posso trovarla?-
Una voce profonda alle sue spalle la scosse. Era stata così presa da quel dipinto e si era fatta così trasportare da quelle sfumature dorate, che non si era accorta che qualcuno le si era avvicinato e le si era affiancato, intento anche lui ad ammirare il quadro.
Sarah girò leggermente la testa, attratta da quella voce maschile molto profonda e rimase immobile per lo stupore.
Come tempo prima, il cuore le aveva iniziato di nuovo a galoppare nel petto e quell’orribile sensazione di pesantezza allo stomaco era ritornata.
Scrutò silenziosa i lineamenti del ragazzo, soffermandosi sulla linea del suo naso, sul profilo delle labbra e del mento e poi sul taglio dei suoi occhi azzurri.
Sarah deglutì, abbassando leggermente la testa e guardando in basso, accennando un sorriso e sforzandosi di apparire naturale.
-Credo che tu sappia già a chi rivolgerti, o sbaglio?- rispose la ragazza con voce tremante, combattendo contro se stessa e con la voglia di scappare che aveva di nuovo.
Michael sorrise, colto di sorpresa da quella risposta ma particolarmente divertito dalla cosa.
-Mi sono ritrovato un suo dipinto appeso in camera, ritenevo opportuno ringraziarla- ribatté Michael parlando vago, accennando un sorriso sghembo e guardando fisso davanti a sé.
Sarah deglutì e ripensò a quelle parole: come era potuto accadere? Ma soprattutto, come aveva fatto Michael a trovarla e soprattutto a capire che il quadro era suo?
Totalmente frastornata dalla sua presenza, incredula che accanto a lei ci fosse il ragazzo che aveva desiderato più di tutti al mondo, reclinò il capo, guardando confusa Michael e aggrottando un po’ la fronte.
-Come sai che…- iniziò a chiedere ma poi fu distratta dagli occhi di Michael che incontrarono i suoi e si ammutolì.
Erano blu come il mare ed erano luminosi quanto due perle appena raccolte dall’ostrica.
Il ragazzo sorrise sornione e Sarah capì.
-La firma- commentò tra sé, dandosi della stupida per non averci mai pensato. Aveva firmato il quadro che aveva regalato a Michael e lui l’aveva trovata in quel modo.
-Già- commentò sorridendo il ragazzo, notando di come le guance della ragazza si stessero colorando di un vivido colore rosato.
Sarah guardò in basso, quasi mortificata. Continuò a darsi della stupida e non riusciva ad alzare lo sguardo. Temeva troppo uno sguardo inquisitore di Michael.
A proposito, allora che ci pensava Michael era lì, era sveglio e sembrava più vispo e attivo di lei ed era bellissimo in quel suo abito e camicia nera.
Avrebbe tanto voluto chiedergli come stava, ma la domanda le morì in gola: lei in teoria non avrebbe dovuto sapere nulla del ragazzo, e almeno fino a quando lui non avesse accennato alla cosa, o al motivo per cui era lì, non avrebbe proferito nessuna parola a riguardo.
Alzò leggermente lo sguardo, guardando Michael di lato: alcune ciocche di capelli gli ricadevano sulla fronte e la sua chioma liscia presentava delle sfumature lucenti del colore del sole. Il viso era glabro e Sarah moriva dalla voglia di toccarglielo come faceva di consuetudine in ospedale. Senza barba i suoi lineamenti sembravano ancora più delicati e perfetti.
Michael si girò a guardare la ragazza per cercare di capire cosa le passasse per la mente. Era lì accanto a lui, e si stava torturando le mani e stava arrossendo, come se la sua presenza la mettesse a disagio.
Sorrise leggermente e poi spostò gli occhi sul quadro di fronte a loro e fu un altro lampo.
Fu un’altra visione, come un deja-vù e si figurò in mente un momento molto simile a quello e poteva scommettere che quel quadro l’aveva già visto.
-Ti intendi di Arte?- replicò lei, cercando di capire se avrebbe potuto spiegargli in maniera professionale la tecnica usata.
-Mmm…qualcosa del genere- rispose Michael sorridendo e continuandola a guardare
–Mi piace principalmente la Storia…ma anche la Storia dell’Arte- rispose curioso.
-Non l’avrei mai detto- fece la ragazza abbozzando un sorriso e girandosi a guardare la sua opera.
-E perché?- fece Michael curioso.
-Beh- iniziò a dire lei, cercando di far risultare le sue parole il meno equivoche possibile
–Sembri più un modello…che uno studioso- concluse imbarazzata.
A Michael scappò una risata –E chi ti dice che non posso essere entrambi? Mi stai sottovalutando!-
Pensando a quello strano avvenimento fece un sorriso, constatando che la ragazza era effettivamente come se l’immaginava, ovvero timida e sensibile.
-Senti, so che è tutto abbastanza strano…- iniziò a dire Sarah con voce tremante. Non riusciva a capire perché Michael era lì e soprattutto la stesse fissando con uno strano sorrisetto stampato in faccia –Ma posso spiegare- aggiunse la ragazza, iniziandosi ad agitare.
Michael si girò di più verso di lei e aggrottò la fronte: non riusciva a capire.
-In che senso è tutto abbastanza strano?- chiese lui, confuso ma ancora con quella strana espressione di divertimento. Voleva capire che cosa stesse pensando la ragazza e quale fosse la ragione di tutta quella agitazione, e poi voleva scoprire davvero che cosa gli legava e perché lui sapeva tutte quelle cose di lei.
Sarah sospirò. Non sapeva davvero da dove incominciare e soprattutto non sapeva nemmeno cosa dirgli perché non c’era una spiegazione logica a ciò che aveva fatto nelle passate settimane e la vicinanza con il ragazzo la stava quasi stordendo.
-Beh, credo tu sia venuto qui a dirmi che non era mio diritto entrare nella tua stanza di ospedale e che non potevo permettermi di farlo perché non erano affari miei e che non dovevo lasciarti quelle cose in camera perché sono una sconosciuta e…-
-In realtà sono venuto a ringraziarti per la premura che hai avuto nel venire a trovarmi e che sia il dipinto che l’orchidea si abbinano perfettamente alla mia camera da letto- disse il ragazzo sorridendo e mettendo fine a tutte le cose insensate che Sarah stava dicendo.
La ragazza si interruppe e si girò incredula a guardare Michael.
-Non sei arrabbiato?- chiese di getto lei, sgranando gli occhi. Perché aveva assunto quell’espressione soddisfatta in volto?
-Certo che no, perché dovrei?- chiese con ovvietà e semplicità lui.
Sarah mise più attenzione al loro scambio di battute: sembrava che si conoscessero da chissà quanto tempo, invece ufficialmente non si erano nemmeno presentati e lui sembrava conoscere la storia delle visite e di tutto il resto.
Michael la scrutò attentamente: i suoi capelli lunghi e scuri le ricadevano, divisi in tanti boccoli di grandi dimensioni, sul petto fino ad arrivare a metà schiena. Il vestito rosso e dorato le calzava a pennello e metteva in evidenza le sue gambe lunghe e slanciate, la sua vita stretta e le sue forme sinuose che la facevano sembrare una vera e propria donna. Le labbra erano carnose e dipinte di un rosso fuoco, mentre gli occhi, di base marrone ma con delle strane sfumature verdi, erano contornate da un leggero eyeliner con un tocco di mascara.
Era assurdo come, per quanto lui se la fosse immaginata, ripensando giorno e notte alla sua voce, alle sue parole, lei sembrasse perfetta così, perfetta per le qualità che lui le aveva attribuito, e anche se non le aveva mai parlato prima di allora, anche se la sua voce in quell’occasione era meno sicura di tutte le altre volte, gli sembrava di conoscerla da sempre e di trovarsi in uno stato più intimo del dovuto.
-Beh,, non capita tutti i giorni che una sconosciut…- iniziò a dire Sarah, leggermente in ansia per il modo in cui Michael la stava guardando.
-Signor Trisher! E’ venuto alla fine- fece una voce al suo fianco.
-Signor Davidson, certo che sì, non avrei potuto mancare per nulla al mondo- fece il ragazzo girandosi, riconoscendo il critico d’arte che aveva organizzato l’evento e allungando una mano per stringere quella dell’uomo.
Davidson si era frapposto tra lui e Sarah e la ragazza gli accennò un sorriso. 
-Suppongo che lei e la signorina Lewis vi conosciate già- iniziò a dire il critico, spostando gli occhi dal ragazzo alla mora.
-Sì- rispose Michael con molta naturalezza, come se la situazione tra lui e Sarah non gli fosse ben chiara. Sembrava non aver afferrato il fatto che quello era il loro primo incontro.
-A proposito, signor Trisher- iniziò a dire Davidson –Ho fatto più in fretta che ho potuto, appena ho ricevuto l’email che mi ha mandato, ho mobilitato tutta la mia squadra per organizzare la mostra. Spero che le stia piacendo, abbiamo avuto davvero poco tempo- concluse soddisfatto del suo lavoro l’uomo.
I giorni precedenti a quelli della mostra erano stati lunghissimi e molto stressanti. Una mattina aveva ricevuto una email dal piccolo Trisher, che gli chiedeva di organizzare a scatola chiusa una mostra d’arte e di ospitare i quadri di quella ragazza sconosciuta ai più, e lui era andato letteralmente in panico.
Michael sapeva essere molto persuasivo quando usava le maniere forti.
Al sentire quelle parole Sarah sbiancò.
Aveva sentito bene?
Aveva capito bene?
Michael rise sornione dando una pacca sulla spalla all’uomo, facendo finta di non notare l’espressione attonita di Sarah.
Non avrebbe voluto farglielo scoprire in quel modo, in realtà non avrebbe voluto farglielo scoprire affatto.
-E’ tutto fantastico, e poi la signorina Lewis è un vero talento, non sarà stato molto difficile organizzare tutto. Stanno rimanendo tutti particolarmente colpiti dalla sua tecnica e dalla sua bravura- rispose Michael, totalmente a suo agio in quella situazione, continuando ad osservare Sarah con la coda dell’occhio e a trattenere un sorriso. Non sapeva se lo sguardo della mora trapelava sorpresa o più istinti omicidi.
-Ce ne siamo accorti- fece Davidson, accennando un sorriso alla ragazza che sembrava ammutolita. –E pensare che quel fesso di Shutter le ha detto di no- aggiunse, questa volta rivolgendosi alla ragazza, accennando alla questione che Sarah in precedenza aveva raccontato al curatore.
-Grazie- disse a fatica Sarah, che era rimasta ancora sconvolta da quello che aveva appena sentito –Io e Shutter avevamo punti di vista diversi- aggiunse, cercando di darsi un filo di professionalità e cercando di non pensare a quello che aveva appena scoperto.
Quella mostra era stata organizzata da Michael? Lui aveva insistito affinché lei ne facesse parte, addirittura suggerendo il suo nome al critico d’arte?
Era impazzito? Ma soprattutto, perché l’aveva fatto?
Era una cosa che non stava né in cielo né in terra.
-Beh, è stata una mossa stupida da parte sua e un bene per noi, soprattutto se non fosse stato per il signor Trisher- continuò a dire Davidson, sorridendo ad entrambi i ragazzi di fronte.
Michael stava sorridendo a trentadue denti, mentre Sarah sembrava un po’ frastornata.
L’uomo diede una pacca sulla spalla al giovane e poi continuò –A proposito, come stanno i tuoi? E’ da tempo che non passano dallo studio-
-Sì, credo che mia madre abbia realizzato il suo sogno di rendere casa nostra una galleria d’arte, quindi almeno fino a quando non cambierà idea di nuovo sull’arredamento, probabilmente non vi vedrete per un po’- scherzò il ragazzo, leggendo un alone di sollievo nell’espressione dell’uomo, abituato fin troppo al cambio di idee di Amanda.
Sia Michael che Davidson risero in maniera molto elegante, mentre Sarah era ancora nel suo mondo ad interrogarsi sul perché Michael avesse organizzato quell’evento e soprattutto sul fatto che le sembrava di stare facendo un sogno ad occhi aperti.
Aveva desiderato per settimane conoscere Michael e ancora non si capacitava di quella cosa.
Lui era lì di fronte a lei, e si stava comportando in maniera assolutamente naturale, era tutto impettito nel suo abito nero, elegante come un uomo d’affari ma bello e affascinante come un ragazzo della sua età e sembrava compiaciuto di tutta quella situazione che lei non sembrava cogliere fino in fondo.
-Comunque, mi spiace lasciarvi qui sul più bello, ma ho appena intravisto la signorina Samuel dall’altra parte e devo discutere di alcune cose con lei, a dopo- fece Davidson, congedandosi dai due ragazzi e raggiungendo la donna.
Sarah seguì l’uomo con lo sguardo e poi lentamente spostò i suoi occhi sul ragazzo di fronte a lei.
-Hai organizzato tutto tu?- chiese con un’incredulità che poteva essere scambiata con rabbia.
Michael la guardò sorridendo, cogliendo già i pensieri della ragazza e rimanendo divertito dalla sua reazione.
-Non ti piace qualcosa?- chiese sornione lui, mettendosi con le braccia conserte a fissare la ragazza. Quel vestito le donava particolarmente, e anche quel rossetto rosso. Era totalmente diversa dalla ragazza incontrata nel supermercato, struccata e spossata, ma lui si era ritrovato ad apprezzarla in entrambe le versioni.
Sarah alzò gli occhi al cielo. Il viso del ragazzo era così…dannatamente perfetto che non riusciva nemmeno a fare la finta arrabbiata.
-Quindi tutto ciò è una farsa? Davidson non mi ha dato l’opportunità di allestire questa mostra perché ha apprezzato i miei lavori, ma solo perché gliel’hai detto tu?- chiese la ragazza, abbassando lo sguardo. Non sapeva se doveva arrabbiarsi o ringraziarlo.
-Guarda che io ho solo suggerito il tuo nome e ho solo fatto vedere le foto dei tuoi dipinti, il resto l’ha deciso lui. Se  Davidson non fosse stato convinto del tuo talento, e questo te lo posso assicurare, non avrebbe sentito ragioni a mandarmi male. E fidati quando ti dico questo, perché lo conosco molto bene. La mia famiglia gli commissiona lavori da più di vent’anni-
Rispose Michael calmo, studiando la nuova espressione che Sarah aveva assunto.
Sembrava estasiata dalla sua presenza e i suoi occhioni cangianti stavano scrutando ogni dettaglio del suo viso.
La mora rimase in silenzio qualche secondo, cercando di elaborare le informazioni che aveva carpito da ciò che Michael le aveva detto e poi timidamente, maledicendosi per il tono un po’ scontroso che aveva usato prima, si scusò.
-Grazie- disse a voce bassa, spostando gli occhi sulle sue scarpe lucide e nere. I piedi le si stavano quasi atrofizzando a causa dei tacchi troppo alti.
-E’ stato un piacere- commentò Michael sorridendo sghembo, reclinando un po’ la testa di lato e cercando di incontrare gli occhi della ragazza.
Sarah a sua volta cercò di guardare altrove, a momenti alterni si ricordava che quello con cui stesse parlando era Michael e ogni volta che lo faceva, le immagini delle sue visite e delle sue confessioni le scorrevano davanti agli occhi, e si sentiva in imbarazzo per ciò che aveva fatto.
Lo stomaco le stava facendo male come di consueto quando pensava a lui, e il fatto che se lo ritrovava davanti, bello come il sole e anche molto intraprendente, di certo non l’aiutava.
-Perché l’hai fatto?- chiese Sarah, leggermente in ansia per la risposta.
-Era l’unico modo per incontrarti senza che scappassi- rispose sincero Michael, questa volta assumendo un’espressione pensierosa e alzando lentamente gli occhi per incontrare quelli di Sarah.
La mora a quella risposta deglutì, percependo il cuore accelerarle nel petto.
-Ok, credo che avrò bisogno di un altro bicchiere di spumante se dobbiamo continuare questa conversazione- disse, sporgendosi a prendere al volo un calice da un cameriere appena passato.
Senza guardarsi indietro procedette verso la grande terrazza allestita all’esterno della mostra, si appoggiò all’alto parapetto di vetro e si girò a guardare Michael, che si era appoggiato con i gomiti sulla ringhiera e la stava guardando di lato.
-Senti, io posso spiegarti…- iniziò a dire Sarah con voce tremante, cercando di trovare le parole giuste e soprattutto cercando di non farsi sopraffare dall’immagine di Michael accanto a lei che sembrava stesse guardando un pasticcino.
-So che ho fatto una cosa abbastanza strana, ma lì per lì credevo fosse una cosa carina da fare, insomma tu eri in quella stanza da solo e a me dispiaceva vederti ogni giorno in quello stato e ho cercato di…-
-Io volevo solo dirti grazie- fece lui, interrompendo il disconnesso flusso di coscienza della ragazza.
-Ringraziarmi?- ripeté Sarah confusa e incredula –Per cosa?- aggiunse arrossendo violentemente. Gli occhi di Michael erano fissi su di lei e trasmettevano una forza e una magneticità assurde da farla sciogliere letteralmente.
-Per essermi stata vicino quando nessun altro lo ha fatto- iniziò a dire Michael.
La sua voce questa volta era bassa e seria e quel sorrisetto malizioso che aveva avuto per tutto il tempo era sparito. Stava guardando fisso di fronte a sé, questa volta non volendo intercettare lo sguardo della ragazza.
Sarah sbatté più volte le palpebre davanti a quella frase e sospirò ansiosa, curiosa di conoscere altro.
-E’ stato…un piacere- rispose sincera lei, davanti a quella disarmante confessione, rispondendo con voce bassa e tremante. Era emozionata?
Michael si girò leggermente a guardarla e le sorrise, Sam aveva ragione, era davvero una bella ragazza.
-Perché l’hai fatto?- chiese il ragazzo improvvisamente. –Voglio dire, in ospedale ci sono migliaia di pazienti, perché sei venuta da me?-
Sarah deglutì. Era davvero arrivato il momento di dire la verità? Ripensò alla stanza d’ospedale, alle visite, al quadro, al fiore, al sogno…
-Non so- rispose la ragazza sospirando, guardando un punto indefinito della vista mozzafiato che le era davanti. Poteva vedere il profilo dell’Empire State Building –Ho solo pensato che sarebbe stato carino farti compagnia- ammise, omettendo quello che davvero stava pensando riguardo il comportamento dei Trisher.
-Sai, è tutto molto strano- iniziò a dire Michael mettendosi dritto e girandosi a guardare il panorama dietro di lui.
-Lo so…- iniziò a dire Sarah cercando di giustificarsi, ma Michael ricominciò subito a parlare.
-Io so di non averti mai incontrato prima di ora e di non averti mai conosciuto prima dell’incidente. Me lo sarei sicuramente ricordato- iniziò a dire –E vorrei solo capire perché mi sei così familiare, perché ti sto parlando come se non fossi una sconosciuta…- aggiunse sospirando e passandosi una mano tra i capelli, ripensando ai sogni e ai pensieri fatti sull’argomento.
Sarah rimase in silenzio ad ascoltare. La voce del ragazzo era profonda e gutturale e sembrava appartenere ad un uomo piuttosto che ad un giovane come lui.
 -So quando sei nata. So che al liceo eri nella squadra di nuoto, che non hai preso la scuola d’arte per non gravare sui tuoi genitori. So che il tuo colore preferito è il rosso porpora e che il tuo artista preferito è Crivelli, che è un pittore del Rinascimento italiano- continuò a dire Michael incredulo di conoscere tutte quelle cose, soprattutto l’ultima –So che il tuo dolce preferito è la Red Velvet  e che i biscotti alla cannella che fa tua madre sono i più buoni biscotti del quartiere. Hai partecipato ad un concorso fotografico in cui hai presentato delle foto di una statua a forma di angelo che si trova in un cimitero a Brooklyn e che Cenere è il tuo racconto preferito di Gente di Dublino…- terminò sospirando e girandosi a guardare Sarah, che era letteralmente a bocca aperta di fronte a lui.
Mentre Michael le parlava si immaginò seduta sulla poltroncina di pelle di fronte al letto metallico, mentre gli parlava, mentre gli raccontava ogni singolo dettaglio della sua vita.
Lui aveva ascoltato, aveva carpito ogni singola cosa che lei gli aveva detto e se la ricordava, si ricordava tutto.
Chiuse gli occhi per evitare che si riempissero di lacrime e sospirò, avvertendo improvvisamente un’estrema stanchezza. Si sentì improvvisamente nuda, totalmente scoperta di fronte a quel ragazzo, di cui non conosceva nulla. Si era aperta con lui perché sapeva che non si sarebbe mai confrontata con le sue confessioni, con le sue emozioni. Aveva sempre creduto che Michael era una sorta di diario personale in cui si potevano scrivere nuove pagine e pensieri, e aveva sempre pensato che quelle pagine non si potevano più né sfogliare né rileggere una volta concluse, e allora che aveva scoperto che non era così, allora che aveva scoperto che il ragazzo per cui provava qualcosa, semplicemente perché era diventato quello di cui lei aveva bisogno, improvvisamente poteva avere accesso a quelle pagine, si sentiva destabilizzata, frastornata dalla forza delle emozioni che stava provando.
-Vorrei solo sapere come faccio a conoscere tutte queste cose di te- concluse Michael dopo una pausa, cercando Sarah con lo sguardo e prendendo atto dell’espressione combattuta e  imbarazzata che la ragazza aveva assunto.
Sarah sospirò, non sapeva che dire, che fare e Michael la stava guardando in attesa di una risposta con uno sguardo indecifrabile.
Già, come sapeva tutte quelle cose?
-Sono venuta a trovarti ogni giorno- iniziò a dire Sarah, conscia del fatto che a quel punto, l’unica cosa da fare era dire la verità –E tu eri lì, immobile davanti a me, intubato e con l’elettrocardiogramma attaccato al cuore- aggiunse, cercando di non incontrare gli occhi di Michael. –Eri sempre solo e io avevo il compito di occuparmi della pulizia della tua stanza. Faccio, facevo- si corresse la ragazza –volontariato all’ospedale-
Michael la stava ascoltando silenzioso, cogliendo il suo imbarazzo e apprezzando l’immenso sforzo che la ragazza stava facendo per parlargli. Avrebbe tanto voluto stringerla tra le sue braccia e passarle un dito sulle labbra, che avrebbero dovuto essere sicuramente morbide e carnose, ma rimase fermo a guardarla in silenzio.
-Il fatto che la tua stanza fosse sempre vuota mi faceva soffrire, così ho deciso di venirti a fare visita e in quel momento…parlarti mi sembrava la cosa più carina da fare- concluse, sperando che Michael non le chiedesse nient’altro.
-Quindi certe volte ti raccontavo semplicemente come fosse andata la mia giornata, o ti descrivevo i miei quadri o le mie fotografie e altre volte ti parlavo di me-
Michael rimase in silenzio qualche secondo, cercando di elaborare quelle informazioni.
-Quindi io so tutte queste cose di te perché ti ho ascoltato?- chiese confuso.
-Non lo so, ma sembra l’unica spiegazione- rispose la ragazza, che si scostò una ciocca di capelli davanti agli occhi, portandosela dietro l’orecchio.
Riprese a guardare Michael, desiderosa di vedere l’espressione che il ragazzo aveva assunto e se lo ritrovò di fronte, a pochi passi da lei.
Il biondo la guardò con attenzione, soffermandosi di nuovo sul suo viso e sulle linee del suo corpo. Come poteva quella che aveva di fronte essere una ragazza così fragile e sembrare così sensibile?
Si passò di nuovo una mano tra i capelli e Sarah sospirò, ammirando tutta la figura del giovane starle vicino.
Era più che colpito dalla gentilezza e dalla naturalezza che Sarah aveva dimostrato nei suoi confronti,  ed era seriamente intenzionato ad approfondire quello strano legame che sentiva con la ragazza in qualsiasi modo possibile. Le sorrise teneramente cercando di rassicurarla in qualche modo e poi parlò.
-Beh, dovremmo recuperare in qualche modo-
Sarah guardò confusa il ragazzo aggrottando leggermente la fronte, ma lui si spiegò meglio.
-Insomma, io so tante cose di te, ma tu non ne sai molte di me…- aggiunse ritornando ad assumere quell’espressione sghemba che lo caratterizzava –Se ti va potremmo vederci uno di questi giorni, anche domani, e farci una chiacchierata, vera questa volta- ci tenne a precisare, calcando l’ironia soprattutto sull’ultima parte.
Sarah si sentì avvampare: Michael le aveva appena chiesto di uscire? E perché lo stava facendo?
-Mi farebbe molto piacere- rispose lei accennando un timido sorriso, non rendendosi conto che probabilmente il cervello non era collegato con la sua lingua.
-Bene- commentò Michael, porgendole la mano e invitandola ad avvicinarsi a lui. La stava riaccompagnando nella sala, soprattutto perché la fresca aria di fine autunno si stava facendo sentire.
-A proposito- fece, ricordandosi una cosa. Le portò una mano dietro la schiena e l’altra gliela protese –Io sono Michael, Michael Trisher- aggiunse sornione, rivolgendo alla mora uno dei sorrisi più sinceri che le potesse fare.
Sarah sorrise a sua volta, destabilizzata dalla bellezza del suo volto e indugiando con lo sguardo sulla mano di Michael che stringeva la sua. Il contatto con le sue mani le era mancato e sentire la sua pelle morbida e calda tra le dita, le causò un brivido dietro la schiena.
Gli strinse leggermente la mano e poi si presentò a sua volta.
-Piacere mio Michael, io sono Sarah- disse cercando di apparire convinta e non distratta dal ragazzo stesso –Sarah Lewis-
“E non vedevo l’ora di conoscerti” pensò sorridendo. 
 
***
Ok, prima di iniziare la nota seria solo una cosa: 
Nove recensioni?! Nove recensioni per lo scorso capitolo? Ma io vi adoro! Stento ancora a crederci! Siete fantastiche, davvero! E ancora non ci credo che questa storia vi piaccia così tanto! Non smetterò mai di dirvi grazie! 
Ritornando brevemente al capitolo attuale, come potete vedere questo è davvero il primo incontro tra i due, e primo nel senso che entrambi sono consapevoli di ciò :P
La reazione di Sarah all'inizio del capitolo è molto impulsiva e per certi versi è anche giustificata: insomma, voi che reazione avreste avuto se il ragazzo in coma di cui siete innamorate si presentasse da voi di tutto punto?
E' ovvio poi che Michael per non farla scappare ulteriormente le organizza una mostra a tradimento!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, i dialoghi tra i due mi sono venuti in maniera abbastanza spontanea e volevo concentrarmi soprattutto sul senso di naturalezza che provano entrambi a stare insieme, anche se non si conoscono effettivamente. 
Spero abbiate notato al rimando del secondo capitolo, in cui nel primo incontro avvenuto nei sogni di Michael, sia lui che Sarah rimangono fermi a parlare di fronte allo quello stesso quadro, quello nero e dorato che tanto piaceva a Michael.
Con questo capitolo inizia ufficialmente la seconda parte di questa storia, non so quanti saranno i capitoli totali, ma sicuramente saranno più di una ventina, dovrò definirli bene prima o poi xD 
So che voi volete che io aggiorni più spesso, ma a dicembre dovrò fare 2 esami e un esonero, quindi cercherò di essere il più costante possibile con gli aggiornamenti benchè stia studiando come una matta D: nel periodo di Natale vedrò di pubblicare più spesso, almeno due volte a settimana e spero di riuscire a far tutto in generale xD 
Grazie mille per il vostro costante supporto, è davvero indispensabile! 
Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo! 
Un bacio! 
xoxo
Mariah 

 

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Capitolo 12
*** 12 ***


12
 
 
Sarah e Michael rientrarono nel grande salone della mostra e si chiusero la grande porta vetrata alle spalle.
Il freddo secco di Dicembre si stava facendo sentire e i due erano vestiti semplicemente di abito e vestitino, dunque pensarono bene di rientrare.
-Vuoi qualcosa da bere?- chiese Michael alla ragazza. Per l’aria fresca la punta del naso le era diventata rossa.
-No grazie, se bevo ancora probabilmente mi ubriaco!- commentò sorridendo Sarah. Allora che ci pensava non aveva mangiato praticamente nulla, ma aveva bevuto sicuramente più di quattro bicchieri di Prosecco, quindi era proprio il caso di smetterla, o altrimenti i piani di Jordan si sarebbero avverati.
Improvvisamente Michael si sentì la tasca del pantalone vibrare. Prese il telefono e lesse sullo schermo il nome dell’amico e trattenne un sorriso.
-Scusami- fece a Sarah, allontanandosi di qualche passo e rispondendo alla chiamata di Sam.
Nello stesso istante in cui la ragazza rimase da sola, si sentì improvvisamente prendere per le braccia e si sentì trascinare verso un angolo della sala.
-Sarah chi diavolo è quel tipo?!- esclamò Karen, forse un po’ ad alta voce, facendo girare un po’ di ospiti.
-Sì, infatti. Perché non ci hai detto che conosci ragazzi del genere!? Voglio che me lo presenti!- esclamò Cecily, dando man forte alla bionda.
-Ehi, ehi! Aspettate un attimo!- fece Sarah, che si stava sentendo strattonata in malo modo.
-No, carina, davvero, tu conosci gli yuppies di New York e non ci dici nulla? Ho avuto un orgasmo appena l’ho visto!- aggiunse Karen con poca grazia.
-Shh! Karen abbassa la voce!- fece Sarah, che si stava sentendo osservata dal resto degli invitati.
Menò un’occhiata veloce a Michael e lo vide intento a chiacchierare al telefono, e tornò un po’ più tranquilla a parlare con le sue amiche, almeno non stava vedendo quella scenetta.
-Per prima cosa, tu stai con Liam!- fece Sarah a Cecily puntando un dito contro.
-Non è vero che sto con Liam!- esclamò la rossa sogghignando.
-Sì, che stai con Liam, o quanto meno andate a letto insieme!- aggiunse Karen, che voleva eliminare tutti gli ipotetici avversari per arrivare a quel ragazzo.
-Uffa, ok! Ma solo perché condivido…il mio “tempo” con un ragazzo, non significa che non posso guardarne altri! Gli occhi sono fatti per guardare!- cercò di difendersi Cecily. -E comunque, l’argomento di questa conversazione non sono io!- aggiunse, focalizzando di nuovo l’attenzione su Sarah, che improvvisamente si sentì letteralmente con le spalle al muro.
-Infatti- commentò Karen scuotendo la testa. Non doveva farsi distrarre.
Sarah sospirò e alzò gli occhi al cielo. Tendeva a dimenticare l’esuberanza delle amiche, soprattutto di quella bionda.
–Dunque, chi è quel tipo?- richiese la ragazza, questa volta desiderosa di una risposta.
-Ma perché siete così curiose?!- cercò di guadagnare tempo Sarah, che non sapeva davvero che rispondere. Quella giornata si era appena trasformata in un’estenuante tour de force emotivo.
-Beh, perché forse sembra uscito da un agenzia di modelli…- commentò Cecily alzando un sopracciglio e guardando in direzione del biondo.
-E’ un ragazzo…- commentò solo Sarah, un po’ in difficoltà.
-Beh, Sarah, qui ci arriviamo anche noi, di certo non può essere una donna- commentò ironica Karen.
Ma perché Sarah per parlare aveva sempre bisogno che le cavassero le parole dalla bocca?
-Ragazze non c’è bisogno di allarmarsi! E’ un ragazzo che conosco appena- iniziò a dire la ragazza.
Non voleva assolutamente raccontare la storia di lei e di Michael alle sue amiche, né tanto meno che lui fosse lì perché aveva chiesto a Davidson di organizzare la mostra.
-E quindi? Ciò non toglie che è un gran figo. Perché in università non ci sono ragazzi così?- sospirò Karen, guardando Michael di sfuggita.
Sarah scosse la testa, alzando gli occhi. Quelle due non cambiavano mai.
-Mmm, guarda chi arriva, credo che gli dovrai un bel po’ di spiegazioni…- aggiunse poi Karen, voltandosi a guardare il ragazzo moro procedere verso di loro.
-Non ho fatto nulla di male!- esclamò risentita Sarah.
-Oh, andiamo, ma se gli hai fatto gli occhi dolci per tutta la durata della conversazione!- esclamò Cecily.
-Ma mi avete spiato per caso?!- chiese Sarah, sinceramente risentita del fatto che le sue amiche avessero controllato i suoi movimenti.
-Certo!- fece Karen in risposta –Cioè, tu conosci un tipo del genere, che non ha fatto altro che mandarti sguardi maliziosi ed eloquenti, e noi non avremmo dovuto stare a guardare?! Ovvio che no…- continuò Karen, come se il suo ragionamento filasse a pieno.
Sarah scosse la testa, sconfitta da quella conversazione. Certe volte amava il fatto di stare da sola.
Bryce si stava avvicinando con Liam verso di loro e Sarah andò totalmente in panico. Era una situazione ai limiti dell’assurdo, e quello era il giorno della sua prima mostra d’arte dannazione, e non avrebbe perso tempo a dare spiegazioni ai suoi amici su Michael.
E poi non c’era da dare nessuna spiegazione su Michael.
Bryce procedette verso la ragazza e vi avvicinò a lei porgendole un bicchiere di spumante.
Perché tutti continuavano a offrirle da bere?!
-No, grazie- disse solo Sarah, cercando Michael con lo sguardo e sperando fosse ancora impegnato al telefono. Quando lo vide ridere, con una mano in tasca e l’altra a mantenere il telefono, emise un respiro di sollievo.
Con chi stava parlando poi? Sembrava gli stesse raccontando la sua vita da quanto tempo era a telefono.
Bryce diede il bicchiere destinato a Sarah a Karen e poi seguì con lo sguardo il punto che la mora stava fissando.
Vi trovò un ragazzo alto, biondino e vestito di abito e camicia, intento a parlare al telefono.
Sarah sentì gli occhi di Bryce spostarsi da Michael a lei e improvvisamente andò in iperventilazione, probabilmente diventando rossa.
-Scusate, vado a controllare da quella parte- sparò Sarah, che voleva evitare uno scontro diretto con Bryce, ma la sua palese scusa non servì a nulla.
-Vengo con te- commentò Bryce, che probabilmente aveva capito ogni cosa, riservandole uno sguardo strano.
Sarah iniziò a camminare cercando di seminare il moro, ma il ragazzo le stava dietro con facilità. Probabilmente era grazie alle sue gambe lunghe.
-Allora, come sta andando?- chiese il ragazzo, prendendo Sarah per un polso e girandola verso di sé.
Quella domanda sembrò una palese domanda di rito anche a lui, ma non ci fece caso.
-Credo bene…- iniziò a dire Sarah che cercava di non incontrare gli occhi di Bryce per nulla al mondo.
Se anche lui avesse iniziato a farle domande su Michael, probabilmente gli avrebbe risposto male, maledicendo tutti loro e i loro animi ficcanaso. Anche se allora che ci pensava, probabilmente Bryce era l’unico ad avere il diritto di chiedere di Michael, dato il comportamento altalenante che lei aveva assunto.
-Mmm…- fece il ragazzo, poco convinto dal tono di Sarah. Era visibilmente in difficoltà e cercava di non incontrare i suoi occhi e probabilmente tutto quello era dovuto al fatto che ci fosse anche quel ragazzo.
-Conosci tutti gli invitati?- chiese allora il moro, che evidentemente stava girando intorno all’argomento. Aveva visto come lei e quel ragazzo stessero parlando, prima di fronte il quadro poi sul terrazzo, e gli sguardi che il biondo le rivolgeva non lo convincevano per nulla.
Inoltre era quasi sicuro che il comportamento di Sarah in generale, fosse dovuto al fatto che si stesse sentendo con quel ragazzo e questo lo innervosiva non poco. Le aveva sempre chiesto sincerità e lei aveva sempre negato che ci fosse qualcosa tra lei e quel fantomatico ragazzo di cui non conosceva nemmeno il nome, ma gli era bastato un unico sguardo, per capire tutto.
Sarah prima l’aveva mandato male, poi si era fatta risentire per un certo periodo di tempo, poi aveva smesso di nuovo di scrivergli. Sapeva che la mora aveva un carattere piuttosto criptico ma ultimamente si era comportata in maniera strana, e per strana intendeva che una volta era amorevole e simpatica e un’altra volta era fredda come il ghiaccio.
Sarah spostò lo sguardo da un suo quadro al viso di Bryce. Il ragazzo stava guardando verso la grande vetrata su cui fino a pochi secondi prima c’era Michael.
La ragazza sospirò, era meglio tagliare la testa al toro già che si trovava.
-E’ davvero questo che vuoi sapere?- chiese sarcastica lei, avendo già capito dove quella conversazione sarebbe andata a finire.
Ok che non usciva e non si sentiva con qualcuno da secoli, ma di lì a farne un affare di stato solo perché aveva parlato con un ragazzo, le sembrava un po’ eccessivo.
“Un bellissimo ragazzo” pensò, correggendosi da sola.
-No, infatti- commentò sincero lui, tornando a guardare la ragazza. Era davvero bella in quel vestitino rosso e in maniera impercettibile sorrise guardandola.
Sarah sospirò.
Era sempre così, le cose tra lei e Bryce andavano sempre così e probabilmente non sarebbero mai cambiate.
-Voglio solo sapere se è lui- aggiunse il ragazzo, mettendosi a braccia conserte.
-Lui chi?- fece Sarah, non comprendendo le parole del ragazzo.
-Il ragazzo di cui mi hai parlato. Quello che ti piace- disse, senza nemmeno indicare il biondo o specificarlo in qualche modo. Aveva capito fosse lui da come Sarah, qualche secondo prima, lo stesse squadrando dalla testa ai piedi.
-Non mi sto vedendo con lui…- iniziò a dire Sarah, cercando di non apparire nervosa dal suo sguardo inquisitorio.
-Ma è quello che ti piace- fece Bryce, saltando alle giuste conclusioni. –Altrimenti perché sarebbe qui?- aggiunse leggermente risentito.
Sarah sospirò. Ma perché avrebbe dovuto dare delle spiegazioni a tutti? Meno male che non c’erano i suoi genitori, altrimenti avrebbe dovuto convincere anche loro.
-Anche se fosse? Quale sarebbe il problema?- chiese Sarah, con un tono leggermente stizzoso. Era davvero stanca di tutta quella situazione, e davvero non riusciva a capire perché Bryce era così insistente anche quando avevano chiarito per messaggio tempo prima.
-Voglio solo che tu lo ammetta. E’ per lui che non vuoi stare con me- fece il ragazzo, con un tono calmo, ma apparentemente strano.
Sarah sussultò. Bryce aveva sempre odiato i giri di parole, ma parlarle in maniera così diretta l’aveva lasciata un po’ perplessa.
-Ti farebbe stare meglio sentirtelo dire?- chiese Sarah, incontrando gli occhi verdi del ragazzo.
-No, ma almeno me ne farei una ragione- commentò Bryce, con un sopracciglio alzato.
-Allora se è questo che vuoi sentirti dire, ok, lo ammetto- disse la ragazza messa alle strette.
Bryce si girò a guardarla sinceramente risentito.
-Sai, credevo fossi una ragazza che non andava dietro all’immagine delle persone…Che non fosse attratta solo dall’aspetto fisico- iniziò a dire il ragazzo, verde di gelosia. Quella specie di belloccio di fronte sembrava uscito da Calvin Klein e Sarah gli aveva sempre detto che per lei l’aspetto fisico non contava. Era solo un’ipocrita.
-Cosa?!- esclamò Sarah, che davvero non voleva avere una discussione con il ragazzo, soprattutto in quel momento. –Che diavolo c’entra questa cosa?-
-C’entra invece. Perché scarti me, ma vuoi lui? Con quel faccino d’angelo e i capelli biondi?- ribattè il ragazzo.
-Bryce, ma che diavolo stai blaterando? E poi se non mi sbaglio anche tu sei un bel ragazzo, quindi il tuo discorso mi sembra alquanto insensato!- esclamò Sarah, cercando di non alzare troppo la voce e di destare troppo nell’occhio.
Ma perché si doveva complicare la vita di quella maniera? Era la sua serata, santo cielo, e aveva appena conosciuto Michael, che era il ragazzo che aveva sperato di conoscere più di qualsiasi altra cosa. Perché le belle sensazioni non potevano durare un po’ di più?
Bryce guardò di nuovo verso il ragazzo e lo vide mettersi il telefono in tasca e girarsi in cerca di qualcuno, e quando lo ebbe trovato procedette verso di loro.
-Ah, sì?!- chiese il ragazzo con tono sarcastico, notando di come il biondo si stesse avvicinando verso di loro, probabilmente in cerca di Sarah.
-Bryce, smettila- fece Sarah, notando anche lei di come Michael stesse procedendo nella loro direzione.
Non voleva fare davvero nessuna scenata, soprattutto di gelosia. E poi Michael era all’oscuro di tutta quella faccenda e se Bryce avesse accennato della cosa davanti a lui, probabilmente sarebbe stato tutto un disastro e il biondo l’avrebbe presa per pazza.
Michael guardava fisso di fronte a lui e notò di come la mora stesse parlando con un ragazzo alto e con i capelli scuri che guardava nella sua direzione.
-Scusami- esordì Michael, avvicinandosi ai due e accennando un sorriso a Sarah. –Mi ha chiamato un mio amico- aggiunse, posizionandosi di fronte ai due e guardandoli in maniera strana. Sam gli aveva letteralmente raccontato tutta la sua giornata e di come avesse conquistato una ragazza che aveva avuto bisogno del suo ufficio di assicurazioni.
Sarah sembrava un po’ agitata, mentre il ragazzo che le era affianco lo stava guardando con uno sguardo strano, con un misto di disappunto e di…rabbia?
-No, figurati- fece Sarah a bassa voce, temendo che il moro dicesse o facesse qualcosa di sbagliato.
Ok, quelle erano quel genere di situazioni da film che capitavano sempre nei momenti meno opportuni e lei non sapeva gestire i rapporti personali a due, figuriamoci a tre.
-Ho interrotto qualcosa?- chiese Michael titubante, spostando lo sguardo dalla ragazza al moro.
Sapeva che Sarah non era fidanzata e che non si stava vedendo con nessuno, ma non riusciva a capire perché quella situazione gli risultasse particolarmente strana.
Bryce guardò prima Michael e poi Sarah, che sembrava pendere dalle sue labbra, e avrebbe tanto voluto rispondergli di sì, che stava interrompendo qualcosa e che  l’argomento di discussione era proprio lui, ma il suo buon senso e la sua maturità lo fecero tacere, passando la parola a Sarah, che attraverso il suo comportamento gli stava dando la conferma di quello che già pensava.
-No, no. Io e Bryce stavamo solo parlando- fece la ragazza, accennando un timido sorriso.
-A proposito, Michael lui è Bryce- aggiunse Sarah, che in quel momento avrebbe voluto letteralmente sparire, totalmente incosciente di quello che aveva appena fatto.
Aveva presentato Michael a Bryce?! Il quale, probabilmente, l’avrebbe voluto prendere a vangate in faccia?
-Ciao- fece il biondo, protendendo la mano verso il ragazzo. I due si salutarono in maniera strana e poi i loro occhi ritornarono su quelli di Sarah.
Michael non capiva perchè quel ragazzo lo stesse guardando in quel modo, lo sentiva ostile e davvero non ne capiva il motivo, mentre Bryce voleva capire chi fosse quel ragazzo uscito da un servizio fotografico, e voleva capire il legame che aveva con Sarah e dove e da quando la loro relazione andava avanti.
-Che sta succedendo qui?- fece una voce alle loro spalle, che costrinse Sarah e Bryce a girarsi.
Jordan sbucò da dietro le loro spalle e si ritrovò Michael di fronte, il quale spostò il suo sguardo dalla ragazza a lui.
“Fantastico” pensò Sarah, quando anche Jordan si unì a loro. Mancavano solo Karen e Cecily e il gruppo sarebbe stato completo.
Michael guardò Jordan accennando un sorriso strano. Sarah aveva tutti quegli amici maschi? E perché sembrava che lo stessero fissando tutti?
-Niente, Sarah mi stava presentando il suo…“amico”- commentò Bryce a denti stretti, con un tono che lasciava ben poco all’immaginazione, calcando soprattutto sull’ultima parola.
Michael lo guardò socchiudendo leggermente gli occhi. Poteva scommetterci che tra lui e Sarah c’era qualcosa.
Il pensiero di quella cosa gli fece nascere un insensato sentimento di gelosia che lo portò a guardare sia meglio Bryce, che sembrava un atleta con le sue spalle larghe e il suo fisico longilineo, che Sarah, che sembrava invece pietrificata, con le guance infuocate e lo sguardo perso.
-Ah- commentò sorpreso Jordan, che guardò prima Sarah e poi il ragazzo. Da dov’è che spuntava? E poi perché Sarah non gliene aveva parlato?
-Io sono Jordan, molto piacere- fece il ragazzo con le lentiggini, protendendo la mano e afferrando saldamente la mano di Michael.
Il biondo si accorse del differente approccio che Jordan aveva avuto con lui rispetto a Bryce e fu molto contento di presentarsi.
Jordan non lo stava guardando con uno sguardo omicida e inquisitorio allo stesso tempo come stava facendo l’altro ragazzo, ma aveva assunto un’espressione divertita e non faceva altro che spostare i suoi occhi chiari da Sarah a lui.
-Sei un collega di lavoro di Sarah?- chiese Jordan, con la sua solita faccia tosta, non curandosi della presenza della ragazza e di Bryce. Era quasi certo che quel ragazzo non fosse un suo collega, ma ci provò lo stesso. La psicologia inversa era sempre stata il suo forte e aveva sempre funzionato.
-Ehm…no- commentò Michael, un po’ in difficoltà. Non sapeva se dire la verità o lasciar parlare Sarah.
Non avrebbe voluto parlare di loro a quei ragazzi appena conosciuti, ma non voleva nemmeno dire qualcosa di sbagliato nei confronti della stessa.
-Fa parte del personale organizzativo della mostra- commentò Sarah di getto, che finalmente aveva riacquistato la capacità di parlare.
Ce ne era voluto di tempo, ma alla fine ci era riuscita.
Sia Bryce, sia Jordan e Michael la guardarono,  stupiti di quella risposta.
Si sentì gli occhi addosso di tutti e tre i ragazzi e in quel momento stava desiderando che Karen facesse una delle sue solite entrate e la salvasse da morte certa.
-Sì- aggiunse Michael, che aveva capito quanto la ragazza, per qualche strana ragione, fosse in difficoltà –Ho contattato io lo studio d’arte dopo aver visto i suoi lavori- disse concludendo.
-Oh, bene- commentò Jordan, che aveva notato di come le guance di Sarah si fossero colorate di rosso e di come Michael avesse titubato nel rispondere. Aveva una mezza idea riguardo quei due, ma non lo diede a vedere e avrebbe indagato a tempo debito. Ricordava di quando Sarah gli aveva accennato ad una strana relazione o comunque al fatto che le piacesse un ragazzo, ma non credeva di ritrovarselo di fronte, così all’improvviso.
Allora che lo guardava era perfettamente il tipo di Sarah: biondino, viso d’angelo, occhi azzurri e profondi, alto e di bella presenza. Ci avrebbe giurato che quello fosse il tipo per cui aveva perso la testa.
-Comunque, Sarah, io devo andare- disse improvvisamente Michael, spostando gli occhi dal viso di Jordan, che aveva assunto un’espressione sorniona,  alla ragazza.
-Ok- disse solo la mora –Ti accompagno- aggiunse, prendendo a camminare e lasciandosi i due ragazzi alle spalle.
Sia Jordan che Bryce seguirono con gli occhi i due, fin quando non svoltarono e si diressero verso l’ingresso della sala.
Sarah si sentì improvvisamente più leggera e soprattutto sembrava avesse ripreso a respirare. C’era troppo testosterone nell’aria.
Silenziosi i due si diressero verso il guardaroba  e solo quando si ritrovarono l’uno di fronte all’altra si parlarono.
-Scusami per prima…Bryce è…- iniziò a dire Sarah, a cui sembrava di aver appena fatto la parte della stupida.
-E di che- fece il ragazzo interrompendola e guardandola comprensivo. In fondo la ragazza aveva una vita sua e lui non poteva pretendere di presentarsi così all’improvviso, quindi non avrebbe indagato su quei due ragazzi.
-E’ che…io non ho detto a nessuno della storia delle visite…-iniziò a dire la ragazza, cercando di scusarsi di quello che aveva fatto qualche minuto prima.
-Hai fatto bene- commentò il ragazzo, alzando gli occhi e guardandola. Sorrise impercettibilmente e rimase a guardare il viso della ragazza per qualche secondo. Era così delicato e armonico che avrebbe voluto seguire tutti i suoi lineamenti con l’indice, fino a toccarle le labbra e a massaggiarle con i suoi polpastrelli.
Sarah alzò lo sguardo e trovò Michael a fissarla. Si sentiva leggermente a disagio quando la guardava in quella maniera, ma cercò di non darlo a vedere.
-Ah- commentò solo lei, notando l’esuberanza nella voce del ragazzo.
-Sì, sai…Credo sia una cosa solo nostra- fece il ragazzo, motivando le sue parole.
Sarah sorrise al sentire quella frase, e il tono della voce di Michael le fece venire i brividi.
“Una cosa solo nostra”
Le sue parole continuavano a rimbombarle nella testa e probabilmente iniziò a sorridere come un ebete, soprattutto quando colse il senso di intimità che quelle parole significavano.
Era una cosa solo loro, il loro segreto, era la loro storia.
Si ritrovò a guardare Michael ancora più attentamente e poteva giurare che i suoi occhi erano blu come l’oceano e lei avrebbe voluto immergersi dentro di essi, abbandonandosi a qualcuno per la prima volta in vita sua.
Il ragazzo le si avvicinò di un passo e protese una mano, sfiorandole una guancia.
Sarah si sentì morire e i battiti del cuore le aumentarono a dismisura. La mano di Michael era calda e liscia, e le stava accarezzando una guancia, e lui avrebbe tanto voluto baciarla in quel momento di totale vulnerabilità, ma decise di aspettare.
-Grazie per essere venuto e…per tutto, suppongo- fece Sarah con voce tremante, qualche secondo dopo, stordita dal tocco di Michael e dal fatto che le sue dita sulla guancia le stavano causando dei lunghi brividi dietro la schiena.
Avrebbe voluto prendergli la mano e intrecciare le sue dita tra le sue, così come faceva in ospedale, ma non riuscì a muoversi.
Avrebbe voluto passare dell’altro tempo con lui, ma la situazione in generale non glielo permetteva, così si rassegnò e decise che era arrivato il momento di congedarsi. Michael le aveva detto che sarebbe dovuto andare via e lei non voleva facesse tardi.
-E’ stato un piacere- commentò Michael che smise di penetrarla con le sue iridi lapislazzuli. Abbassò la mano, percependo l’imbarazzo della ragazza e iniziò ad infilarsi il cappotto.
–Ti va di uscire in questi giorni?- chiese diretto e senza esitazione nella voce.
Sarah stentò a credere a quelle parole quando le sentì.
-Ehm, sì. Certo- rispose, avvertendo un’improvvisa secchezza nella bocca. Guardò meglio Michael e si trovò a scrutare ogni dettaglio del suo corpo e avrebbe dovuto ammettere che quel cappotto di panno nero gli stava davvero bene e rendeva tutto molto più difficile.
-Perfetto- sorrise sornione il ragazzo, contento per quella risposta –Allora fammi sapere che giorno, ti passo a prendere per le quattro- aggiunse, porgendo a Sarah il suo numero di telefono e ricordandole di mandargli l’indirizzo al numero che stava scrivendo su un foglietto di carta.
Sarah prese il foglietto e lo strinse forte, come se avesse avuto paura di perderlo, e rivolse un sorriso al ragazzo che la fece letteralmente sciogliere con uno dei suoi sguardi.
-Ok…Allora, ci sentiamo- disse sospirando, incantata dal viso del ragazzo.
-Certo- fece il ragazzo, che si protese e lasciò un bacio sulla guancia di Sarah.
La mora rimase qualche secondo interdetta e poi vide Michael lasciare il guardaroba e avviarsi verso gli ascensori.
Si sentiva stordita dal suo profumo e poteva giurare che il punto su cui le sue labbra si erano poggiate stesse bruciando, causandole un forte senso di calore.
Rimase qualche secondo da sola, immobile al centro della stanza a ripensare a quello che era appena successo.
Si toccò con le dita una guancia e poi sospirò, facendosi forza e ritornando nel grande salone della mostra.
 


 
***
Allora, lo so ho parecchie cose di cui scusarmi, sicuramente voi starete pensando "E' passata una settimana e pubblica un capitolo così?" 
Lo so, non è gran che, ma capitemi, in questo periodo la logistica è davvero un problema, sono sommersa di studio e devo fare due esami e un esonero nell'arco di cinque giorni, e questo capitolo mi è uscito in una giornata, quindi non me ne vogliate. 
In realtà è un capitolo che ho scritto dopo aver scritto effettivamente il vero dodicesimo capitolo, che adesso è diventato il tredicesimo. 
Ritenevo opportuno far interagire un po' di più tutti i personaggi e poi già che c'eravamo non potevo evitare uno scontro/incontro tra Bryce e Michael. In realtà la loro chiacchierata è stata molto soft, anche perchè Bryce non può accusare Michael di nulla, e d'altra parte Michael non può ingelosirsi più di tanto, dato che conosce Sarah appena. 
Sarah è stata un po' anonima in questo capitolo, o quanto meno poco incisiva, ma capitela, non riesce a gestire una relazione normale, quindi ritrovarsi Bryce e Michael uno di fronte all'altra l'ha scossa non poco (e poi è già sufficientemente scossa dalla sola presenza di Michael).
Comunque, è un capitolo di passaggio e la mia intenzione è pubblicare di nuovo anche venerdì se riesco, ma lo farò solo se finisco di scrivere il quattordicesimo capitolo in questi giorni, ma non voglio assicurarvi nulla. 
Il tredicesimo capitolo (piccolo spoiler) tratta del primissimo appuntamento tra Michael e Sarah in cui entrambi saranno messi un po' a nudo l'uno di fronte all'altra e vi assicuro che vi piacerà! 
Spero di non avervi deluso con questo aggiornamento, grazie come sempre per tutte le recensioni e i like alla pagina Facebook di cui vi posto il link: 

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Grazie di tutto! Un bacio!

 
 
 
 

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Capitolo 13
*** 13 ***


13
 
-Allora come sta andando la terapia?- chiese Crambell a Michael, mentre usciva dalla sua borsa di cuoio una pomata lenitiva alla calendula.
-Credo bene- rispose Michael sfilandosi la maglietta e appoggiandola sul letto.
Il dottore era andato a trovarlo a casa per visitarlo e accertarsi che stesse bene, previa minaccia velata della signora Trisher ovviamente.
-I mal di testa? Ce li hai?- chiese il dottore, infilandosi dei guanti in lattice e iniziando a sfregarsi le mani per riscaldarsele.
-Qualche volta- commentò Michael, che si mise seduto sul letto dando la schiena al dottore.
Crambell guardò la schiena del ragazzo e sospirò: quella era l’unica evidenza che testimoniava la precedente situazione del ragazzo.
-E queste? Ti danno fastidio?- chiese il dottore, iniziando a porre un po’ di crema sulle ragadi che Michael aveva dietro la schiena. Dall’ultima volta che l’ebbe visto doveva ammettere però che erano migliorate. Quella specie di bolle si erano seccate e adesso erano simili a tante crosticine o solamente a pelle morta di colore un po’ più scuro.
Michael si fece più ritto nel sentire le mani fredde del dottore entrare in contatto con la sua schiena e iniziò ad avvertire dei forti brividi di freddo.
-Quando mi muovo tirano un po’, ma è un fastidio sopportabile. All’inizio avvertivo del vero e proprio dolore, ma adesso se non ci penso è come se non le avessi- ammise, avvertendo immediatamente sollievo ogni volta che il dottore gli massaggiava la schiena.
-Tua madre ha insistito affinché venissi io a visitarti. E’ molto protettiva- asserì il dottore, incitando Michael a togliersi i pantaloni e a distendersi sul letto. Avrebbe dovuto fare la stessa cosa anche sui polpacci.
Michael alzò gli occhi al cielo –Sì, me l’ha fatto presente anche a me- ammise, ormai abituato al comportamento della madre –Ma davvero…Sto bene- aggiunse il ragazzo, rimanendo in boxer di fronte al dottore e stendendosi sul letto. Sentì le mani di Crambell massaggiargli i polpacci e sentì l’umido della crema entrare in contatto con le ferite. Le ragadi erano dovute al fatto che era rimasto immobile per più di un mese e a parte i mal di testa, era l’unico effetto collaterale che aveva avuto a causa dell’incidente, o quanto meno l’unico effetto di cui si era accorto.
-Sei stato molto fortunato- fece il dottore, togliendosi i guanti in lattice e chiudendoli in una bustina trasparente.
Michael fece un cenno con  la testa. Tutti non facevano altro che ripetergli quanto fosse stato fortunato e di come le cose sarebbero potute andare molto peggio, ma la verità era che lui non si sentiva fortunato, si sentiva come qualcuno a cui avevano tolto due mesi di vita senza il suo permesso.
Crambell in meno di mezz’ora fu fuori da casa sua e lui prese a prepararsi per l’appuntamento. Decise di mettersi la prima cosa che gli capitò davanti agli occhi nell’armadio e poi senza pensare troppo sul da farsi uscì.
Si stava avvicinando alla porta di ingresso e aveva appena preso le chiavi di casa e della macchina quando una voce alle sue spalle lo bloccò, facendolo voltare.
-Michael dove stai andando?- gli chiese sua madre con tono brusco.
-Sto uscendo- rispose vago lui, facendo scorrere gli occhi su un punto indefinito della stanza.
-Con la macchina?- chiese ancora sua madre, un po’ preoccupata dalla cosa.
-Sì- rispose Michael, interpretando il tono ostile di Amanda e aspettandosi da un momento all’altro una specie di ramanzina.
-E’ proprio necessario?- chiese la donna avvicinandosi al figlio e cercando di fargli cambiare idea.
-Cosa? Che io esca o che esca con la macchina?- la canzonò Michael, arrivando al punto della situazione. Era uscito dall’ospedale da più di due settimane e sua madre continuava a fargli storie ogni volta che cercava di prendere la macchina.
Amanda sospirò e poi guardò Michael negli occhi. Possibile che per lui era così difficile capire?
-Non puoi farti accompagnare da Edward?- chiese lei, assumendo la sua solita espressione imperturbabile.
-Mamma, secondo te, per arrivare a Brooklyn e uscire a prendere un caffè con un’ amica, mi faccio accompagnare dall’autista di mio padre?- chiese Michael a metà tra l’ironico e l’innervosito.
-Con un’amica?- chiese la madre, che sembrava essersi fermata solo a quella cosa. -Chi è?- aggiunse facendo una smorfia –E poi perché devi andare a Brooklyn?- concluse ancora più stizzita.
Michael alzò gli occhi al cielo. Quando gli faceva l’interrogatorio non la sopportava.
-Saresti più tranquilla se ci vado in taxi?- chiese allora il ragazzo, stanco di quell’insensato battibecco e volenteroso di uscire di casa, eludendo la domanda della madre su chi fosse l’amica con cui stava uscendo.
I suoi genitori erano già abbastanza padroni della sua vita, non c’era bisogno fossero anche padroni delle sue relazioni personali.
Amanda strinse gli occhi a due fessure. Dopotutto non avrebbe potuto costringere suo figlio ad usare l’autista di Miles, quindi a malincuore accettò.
-Perfetto- commentò Michael, vestendosi di un finto sorriso –Ci vediamo stasera- aggiunse, finalmente pronto ad uscire di casa.
-Aspetta- esclamò sua madre, proprio quando lui stava abbassando la grossa maniglia in ottone intarsiato.
-Che altro c’è?- chiese il ragazzo, iniziando a spazientirsi.
-Ricordati che Sabato c’è il ricevimento, quindi non prendere altri impegni- asserì Amanda, voltandosi e percorrendo il lungo corridoio.
Michael sospirò e si chiuse la porta di casa alle spalle.
Il ricevimento, l’aveva completamente dimenticato.
Sua madre si era intestardita sull’organizzare quell’enorme cocktail party per festeggiare il suo ritorno ed era stata così presa dalle ordinazioni e dall’organizzazione dell’evento, che non gli aveva nemmeno chiesto cosa ne pensasse dato che era in “suo onore”, ma allora che ci pensava quello era il solito comportamento di Amanda, lei agiva per sé stessa e per l’immagine, e poco le importava se Michael non aveva nessuna voglia di festeggiare.
Prese un taxi, spazientito da quell’ultimo dialogo, e comunicò al tassista il luogo in cui doveva scendere.
Passò i successivi trenta minuti ad accorgersi di quanto fosse bella la sua città e di quanto gli mancasse farsi un giro all’aria aperta, in maniera del tutto spensierata e senza pressioni.
Il discorso con suo padre circa l’impiego alla Trisher Bank era stato solo accantonato e lui aveva la netta sensazione che Miles avrebbe colto l’occasione al party per presentare a tutti il nuovo azionario della società di famiglia. Sospirò, guardando prima i grattacieli di Manhattan scorrergli davanti agli occhi e poi ammirando il mare sotto di lui mentre attraversava il ponte di Brooklyn.  
Sarah abitava a cavallo tra i due distretti e fu particolarmente sorpreso quando si ritrovò sotto il palazzo di casa sua: era un edificio molto alto e soprattutto con grandi e ampie vetrate per ogni piano.
Pagò il tassista e scese dall’auto, pronto a dirigersi verso il portone.
Guardò il suo inseparabile orologio con il vetro rotto e constatò di essere leggermente in anticipo. Titubante sul da farsi, si guardò attorno, e scorgendo la portineria chiese a che piano fosse l’appartamento della ragazza.
Prese l’ascensore e in men che non si dica si ritrovò al quindicesimo piano, con un lungo corridoio di fronte a sé che terminava con una grande vetrata che si affacciava sulla strada.
Iniziò a percorrere il corridoio, leggendo su un lato e dall’altro delle pareti i nomi sui campanelli e quando lesse quello della ragazza, si fermò.                                                                                          
Rimase qualche istante fermo dietro la porta a pensare: aveva fissato un appuntamento con la ragazza che senza un apparente motivo gli aveva fatto visita in ospedale per più di un mese, la ragazza di cui lui conosceva diverse cose, perché a quanto aveva capito, durante le visite, lei gli parlava raccontandogli della sua vita, delle sue preferenze, o semplicemente di come le era andata la giornata e per un motivo assurdo, fuori da qualsiasi logica scientifica e medica, lui aveva ascoltato ogni singola frase elaborando ogni parola attraverso sogni e allucinazioni.
Fino a qualche giorno prima di lei riusciva a ricordare solo la voce, ma poi l’aveva vista una volta nel supermercato in cui lavorava, e un’altra volta ad una mostra d’arte che lui, grazie alle conoscenze della sua famiglia, aveva organizzato proprio per riuscire ad incontrarla ed evitare che scappasse a gambe levate e non era riuscito più a togliersela dalla testa.
Sarah era gentile, timida per certi aspetti, e molto spontanea. Era stata sincera con lui e fin da subito gli aveva fatto una bella impressione, e non perché fosse oggettivamente una bella ragazza, ma perché si era comportata a modo e non aveva fatto la gatta morta come tutte le quelle che lo circondavano, ed era stato soprattutto per quel motivo che aveva deciso di approfondire quel loro legame, capendo che avrebbe voluto conoscerla e averla nella sua vita.
Sorrise, pensando che a breve avrebbe di nuovo incontrato i suoi occhi felini e il suo sorriso perfetto e sincero, e suonò al campanello.
Dopo qualche attimo la porta si aprì, ma quella che Michael ebbe di fronte, non fu Sarah.
-Ehm, scusami, forse ho sbagliato appartamento- iniziò a dire Michael di fronte a quella minuta ragazza dai capelli color miele –Stavo cercando Sarah- aggiunse titubante.
-Oh!- esclamò Karen, squadrando Michael dalla testa ai piedi. Sbagliava o era il ragazzo misterioso della mostra di cui l’amica non le voleva parlare? Che diavolo stava combinando Sarah con quel ragazzo? Perché non ne sapeva nulla? –No, che non hai sbagliato appartamento- aggiunse leggermente isterica. Ma era un modello per caso? No, perché quegli occhi blu la stavano letteralmente sciogliendo e durante la mostra aveva notato fosse un gran bel figo, ma non aveva avuto modo di appurarlo.
-Dunque stai cercando Sarah?!- aggiunse con la sua solita sincerità e simpatica impertinenza la ragazza. Non riusciva a togliersi il sorriso di dosso e probabilmente i suoi occhi erano a cuoricino in quel momento.
-Ehm…Sì- rispose Michael, ridendosela tra i baffi e cogliendo la buffa espressione della ragazza. –E’ qui?-
-Certo che è qui, questa è casa sua- rispose Karen, stando in piedi davanti la porta –E per caso non sei venuto anche a cercare me, vero? No perché sai, lavoro da Abercrombie e abbiamo un disperato bisogno di te- scherzò Karen.
Michael scoppiò a ridere di gusto.  Ma quella ragazza chi era? E soprattutto come faceva ad essere totalmente senza peli sulla lingua?
-Accetterei volentieri, ma sono un ragazzo serio, laureato e vige al dovere- rispose Michael, davvero divertito dal comportamento della ragazza.
-Comunque Sarah si sta vestendo, te la vado a chiamare- disse Karen, ritornando seria e accennando un sorriso sincero, senza malizia. L’amica le aveva accennato ad un’uscita, ma non si sarebbe mai immaginata accennasse a quel genere di uscita, ovvero ad un appuntamento.
Sarah avrebbe dovuto sicuramente spiegarle un bel po’ di cose, prima tra tutte, da dov’è che usciva quel tipo. E quella volta l’avrebbe fatto sul serio, a costo di costringerla a parlare in un angolino.
-Sarah, fuori la porta c’è un ragazzo che potrebbe fare i cartelloni pubblicitari per Calvin Klein e chiede di te- iniziò a dire la bionda, che si era ritrovata a casa di Sarah per puro caso, parlando appoggiata alla porta.
-Cosa?!- chiese Sarah a cui stava per venire un infarto.
-Sì, hai presente il tipo figo della mostra con cui hai parlato un’eternità sul terrazzo e che ci hai detto essere solo “un ragazzo”? E’ fuori la porta…- iniziò a dire la bionda –Chi è? E soprattutto, perché non mi hai detto niente? Dovete uscire insieme? Voglio una risposta seria questa volta- iniziò a dire -Ti stai vedendo con lui? Per questo hai detto di no a Bryce? Dove l’hai conosciuto?-
-Merda!- esclamò Sarah da dietro la porta del bagno quando realizzò quale fosse il vero significato delle parole di Karen.
Stava per inciampare nelle sue stesse calze.
–Perché è già qui? E’ in anticipo di venti minuti!- esclamò Sarah che già in generale non era pronta psicologicamente ad uscire con Michael, figuriamoci a trovarselo fuori la porta di casa.  
Andò letteralmente in iperventilazione, sia perché non voleva farlo aspettare e sia perché si accorse di essere ancora mezza nuda. Per fortuna aveva portato con sé i vestiti da mettere.
Karen sospirò sentendo la voce isterica della mora e si diresse di nuovo verso la porta e quando la riaprì vi trovò Michael, sempre sorridente e gentile.
-Ti va di entrare?- gli fece –Credo che Sarah stia litigando con qualcosa nel bagno, quindi non ti conviene rimanere ad aspettarla lì impalato!- aggiunse sorridendo.
-Va bene, con piacere- rispose Michael, eccitato dall’idea di entrare in casa della mora e divertito da quella ragazza.
-A proposito, io sono Michael- si ricordò di dire, facendo un sorriso alla biondina.
-Karen- disse lei, sorridendo a trentadue denti e porgendo una mano al ragazzo.
I due si scambiarono un sorriso di intesa e Michael fece un passo avanti.
Entrò nel piccolo appartamento e lo trovò perfettamente in linea con l’impressione che gli aveva fatto Sarah.  Fu attirato dai quadri e dal cavalletto in un angolo della grande stanza e poi dalla grande vetrata su cui sotto era incassato il letto a due piazze.
Quell’appartamento trasudava la personalità di Sarah ed era tenuto molto bene nella sua semplicità.
Karen scrutò il ragazzo muoversi nella stanza e lo guardò titubante sul da farsi. Se Sarah non aveva intenzione di dirle nulla su quella storia, cosa molto probabile, avrebbe chiesto direttamente a lui.
-Allora, da quand’è che uscite insieme?- esordì Karen, senza farsi problemi di nessun tipo.
Michael si girò confuso, non troppo sicuro che la domanda fosse rivolta a lui.
-Come scusa?- chiese, credendo di non aver ben compreso.
-Sarah ti lascia venire a casa sua, quindi è palese che vi sentiate da un po’. Da quand’è che uscite insieme?- ripetè Karen sorridendo e facendo scorrere i suoi occhietti vispi sul corpo di Michael. Indossava un cappotto di panno nero con il doppio petto, un paio di jeans e un paio di sneakers e lei stava decisamente sbavando sul tappeto arancione di Sarah.
-In realtà non usciamo insieme- iniziò a rispondere Michael, incuriosito dalla prima affermazione della ragazza. Cosa significava che Sarah l’aveva lasciato venire a casa sua?
-Oh andiamo, vi ho visto insieme alla mostra, è inutile negarlo!- esclamò la ragazza, soddisfatta di aver centrato l’obbiettivo e facendo l’occhiolino al ragazzo.
-No, davvero, oggi è la…- stava cercando di dire Michael, divertito da quella situazione, ma Karen non gli diede il tempo di rispondere.
-Conosco Sarah da una vita- iniziò a dire –E non avrebbe mai dato appuntamento ad un ragazzo sotto casa sua se non…-
-Scusate l’attesa!- esclamò improvvisamente Sarah, aprendo la porta del bagno e uscendo, totalmente su di giri per aver sentito la voce di Michael attraverso la porta.
In quei mesi avrebbe immaginato tutto, tranne di ritrovarselo al centro del suo appartamento a Brooklyn.
-Scusami, ero in anticipo e avevo pensato di salire- fece Michael voltandosi e trovando davanti a sé Sarah, con i capelli sciolti che le ricadevano morbidi dietro la schiena, un velo di trucco e vestita di un semplice pantalone nero e cardigan lungo.
Il ragazzo sorrise, leggermente imbambolato dalla semplicità e dalla bellezza della ragazza. Era così fine e mai troppo eccessiva, che quasi stentava a crederci che potesse essere così vera.
Karen fece scorrere lentamente gli occhi da Sarah, che sembrava stesse sbavando sullo  stesso tappeto su cui stava sbavando lei da almeno dieci minuti, a Michael, che invece stava guardando la mora con un sorriso strano e uno sguardo più che intenso.
Il cuore di Sarah iniziò ad accelerare quando incontrò gli occhi blu del ragazzo. Michael era di fronte a lei, al centro del suo appartamento e fino a tre settimane prima lei aveva deciso di cancellarlo definitivamente dalla sua vita. 
Il ragazzo che per più di due mesi era stato come un fantasma e che l’aveva fatta quasi innamorare stando in un letto in coma, era lì, vivo e vegeto, più bello che mai e le aveva chiesto di uscire.
-Ok, credo sia meglio andare!- esclamò la bionda, interrompendo quello strano gioco di sguardi tra i due ragazzi e andando a prendere il cappotto.
-Vieni anche tu?- chiese Michael, ripresosi immediatamente dal piccolo momento di trance.
-Certo che no!- fece Karen, che non avrebbe di certo voluto fare il terzo incomodo durante quell’appuntamento, facendo l’occhiolino alla sua amica e al ragazzo.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo: era già tutto imbarazzante di suo, non c’era bisogno di complicare le cose in quel modo.
-Se ti va puoi venire con noi, sei appena arrivata…- aggiunse Sarah, completamente terrorizzata dall’idea di rimanere sola con Michael.
Karen la guardò dischiudendo un po’ le labbra: ma era impazzita o cosa? La guardò con sguardo truce e poi le rivolse un sorriso fintissimo e molto eloquente.
-Devo vedermi con Jordan- asserì, cercando di essere il più convincente possibile –Al massimo ci sentiamo più tardi-
Scesero tutti e tre a piano terra e si salutarono, separando le loro strade definitivamente per quel pomeriggio.
-E’ simpatica- fece Michael dopo che Karen chiamò un taxi e vi salì dentro.
-Già- commentò Sarah, a cui il cuore stava battendo così velocemente che di lì a tre minuti sarebbe svenuta per il troppo ossigeno al cervello.
-Allora…- iniziò a dire lui girandosi e facendo vagare gli occhi sulla figura della ragazza.
–Ciao- aggiunse, sporgendosi improvvisamente e lasciando un bacio sulla guancia di Sarah.
La mora deglutì e rimase pietrificata da quel movimento. Non era abituata a quel genere di sensazioni, soprattutto se era lui a procurargliele.
-Ciao- commentò lei a mezza voce, arrossendo violentemente per quel gesto spontaneo e magnetico.
Michael sorrise, avvertendosi del rossore sulle guance della ragazza. Ci avrebbe scommesso che non fosse dovuto al freddo di quei giorni.
-Come sono andati questi giorni?- chiese il ragazzo, iniziando a camminare e a seguire una via indefinita. Sarah fece la stessa cosa e cercando di riprendersi velocemente dal breve momento di trance rispose sincera.
-Non male, sono stata in galleria a tirare un po’ le somme con Davidson- rispose –A proposito, credo di non averti ancora ringraziato a dovere, insomma, probabilmente non riuscirò mai a sdebitarmi con te- aggiunse, guardando a terra e cercando di non incontrare gli occhi del ragazzo.
Il fatto che lui avesse premuto su Davidson per organizzare quella mostra era ancora una cosa a cui stentava a crederci.
-Non l’ho fatto perché tu ti sentissi in debito con me- replicò calmo Michael guardando di lato la ragazza e cercando di interpretare la sua strana espressione.
-Se c’è qualcosa che posso fare per te allora, non devi far altro che chiedere- fece la ragazza. Le sembrava la cosa più ovvia da dire. Probabilmente lei non avrebbe potuto mai soddisfare qualche sua richiesta, per lo meno economicamente parlando, ma le avrebbe fatto piacere riuscirsi a sdebitare per quanto le fosse possibile.
Michael ci pensò su qualche secondo e poi sorrise.
-Se proprio vuoi farmi un regalo per ringraziarmi, mi farebbe molto piacere avere il quadro nero e dorato- disse, sorridendo sornione ripensando a quel dipinto.
Sarah aggrottò un po’ la fronte.
-Il quadro nero e dorato? Quello esposto?- chiese titubante. Perché voleva proprio quello? In fondo non era molto grande e non era nemmeno uno dei suoi migliori lavori.
-Sì, quello di fronte cui ci siamo messi a parlare durante la mostra- continuò a dire sorridendo, ripensando allo strano ricordo che aveva di Sarah in una circostanza simile.
 –Sembri più un modello…che uno studioso- concluse imbarazzata.
A Michael scappò una risata –E chi ti dice che non posso essere entrambi? Mi stai sottovalutando!-
Le guance della mora diventarono rosse, non era stata una bella uscita.
Per cercare di non dare a vedere il suo continuo e palese imbarazzo, protese una mano e con le dita iniziò a seguire i segni della pittura sulla tela.
“-Questi gli ho fatti con dei pennelli piatti- iniziò a dire con voce quasi tremante –Mentre questi gli ho ottenuti tamponando la tela con una spugna di corallo- continuò indicando le parti nere –Le parti dorate invece sono fatte con la foglia d’oro applicata sulla tela con un collante naturale- e poi si girò, rivolgendo un sorriso a Michael.
-E’ bellissimo- fece lui –C’è qualcosa di angosciante ma anche qualcosa di terribilmente speranzoso in questo disegno. E’ come se ci fosse la luce in fondo al tunnel, non so come spiegarlo- disse con profonda ammirazione.
-Già- commentò la ragazza –qualcosa del genere-”
-Se è quello che ti piace, certamente- commentò Sarah, cercando di interpretare il suo sorrisetto. Non lo conosceva bene, anzi non lo conosceva affatto, ma avrebbe potuto affermare che quando il ragazzo si vestiva di quella espressione, stava pensando a qualcosa che gli gradiva particolarmente, o che quanto meno lo divertiva.
-Allora è deciso. Tu mi dai il quadro e niente più debito- le disse il ragazzo facendole l’occhiolino.
Sarah rimase qualche secondo interdetta. Quei suoi atteggiamenti, il suo modo di parlare, di sorridere, di strabuzzare gli occhi, erano così veri, così vivi, che stentava a credere che quello che le stesse camminando accanto fosse Michael, il suo Michael.
Sospirò, accennando un sorriso. Chissà perché l’aveva invitata a quell’appuntamento.
-Dunque…- riprese a dire il ragazzo qualche secondo dopo –Cosa fanno i ragazzi a Brooklyn per passare il tempo?-
-Mmm…- iniziò a dire Sarah sorridendo istericamente –Io credo sia la persona meno indicata a cui fare questa domanda-
-Perché?- chiese curioso Michael, scrutando la mora di fronte a sé.
-Beh, diciamo che non esco molto…Sai lavoro, dipinti…- rispose vaga la ragazza, leggermente imbarazzata di confessare quelle cose. Non voleva fare la parte della sfigata asociale davanti agli occhi del ragazzo, ma non voleva nemmeno dare l’impressione di una persona che non era.
Michael la guardò silenzioso, cercando di pensare ad un buon passatempo. In realtà voleva qualcosa di molto soft e rilassante, quindi da un certo punto di vista gli stava anche bene che la ragazza non sapesse dove andare.
-Sai una cosa…- iniziò a dire il biondo –Da quando mi sono svegliato, non faccio che pensare ad un posto- continuò, guardando Sarah con occhi strani.
Diamine, perché la stava fissando in quel modo? Si sarebbe potuta sciogliere da un momento all’altro.
-Che posto?- chiese Sarah, giusto per focalizzare l’attenzione su qualcos’altro che non fosse il viso di Michael.
Il ragazzo sospirò, titubante su quello che stava per dire, ma poi guardò meglio la ragazza, e notò di come le sue guance fossero rosee per l’imbarazzo, e si ricordò di quella sensazione di familiarità che provava in maniera naturale quando era con lei.
-Credo che tu mi abbia parlato di un lago, vicino un cimitero…- disse il ragazzo deglutendo, questa volta guardando fisso di fronte a sé.
Quello era uno dei più bei ricordi che aveva di Sarah. Si ricordava di quel pomeriggio passato sul lago, come fosse davvero trascorso. Ricordava di come Sarah l’ebbe sfiorato, di come gli avesse accarezzato il viso, e di come lei avesse iniziato a disegnare con le dita sulle sue braccia, cullata dal suono dei cigni nell’acqua e riscaldata dai raggi del tramonto.
-Oddio…- fece Sarah, che si doveva ancora abituare all’idea che Michael avesse sentito tutto ciò che lei gli aveva raccontato –Il Green Wood Cemetery…- concluse, alzando gli occhi imbarazzata, ripensando anche lei a quel pomeriggio.
-Già, credo sia quello- annuì Michael, ricordandosi il nome del posto.
Sarah sorrise leggermente, cercando di non farsi sopraffare dall’emozione che stava provando in quel momento.
-Davvero vuoi andare in un cimitero? Alla nostra prima uscita? Un po’ macabra come cosa- commentò la ragazza, cercando di sciogliere quel fastidioso nodo allo stomaco.
Michael scoppiò a ridere, ricordandosi delle stesse parole che anche lui aveva usato nel suo sogno.
-Da come me ne hai parlato è un bel posto- fece il biondo, assumendo un’espressione da cucciolo che voleva il latte.
Sarah deglutì, totalmente travolta dalla presenza di Michael accanto a lei.
-Ok- cercò di dire a fatica, notando di nuovo come il cuore le aveva ripreso a battere più velocemente nel petto –E’ che forse ora è un po’ tardi per andarci- continuò guardando l’orario. Erano le quattro, ed era Dicembre, quindi di lì a breve il sole sarebbe tramontato.
-Ma se vuoi qui vicino c’è un altro parco abbastanza simile, ci vado ogni tanto a correre- concluse la ragazza.
-E’ andata, mi fido di te- commentò il ragazzo, sorridendo sghembo. Non vedeva l’ora di stendersi su una panchina.
Una decina di minuti dopo si ritrovarono a camminare uno al fianco dell’altra, in un viale pieno di foglie arancioni a terra e con grandi alberi spogli ai lati della strada.
Proseguendo verso il piccolo lago artificiale incontrarono un chiosco di bevande e Michael insistette sul fatto di voler prendere per forza qualcosa.
-Hai la punta del naso rossa- commentò sorridendo il ragazzo guardando Sarah –Hai bisogno di qualcosa per riscaldarti- aggiunse, senza voler sentire ragioni.
Il biondo si avvicinò al camioncino senza aspettare una risposta della ragazza e iniziò a guardare attento il menù.
-Allora…un caffè latte bollente- fece, guardando i prodotti esposti.
-Uno anche per me- fece Sarah, colpita dal fatto che volessero entrambi la stessa cosa.
-E’ già per te- disse Michael, sorridendole, facendo un ghigno malizioso e tornando a rivolgersi al signore.
Sarah lo guardò interdetta.
-E una cioccolata calda. Puoi allungarmela con un po’ di Rhum e cannella?- chiese il ragazzo al signore baffuto e canuto di fronte.
Dopo qualche secondo si ritrovarono entrambi seduti su una panchina, con di fronte un laghetto artificiale con delle papere e con il sole che calante, si specchiava nell’acqua.
-Vuoi assaggiare?- fece il ragazzo guardando la sua cioccolata fumante come se fosse un bambino e rivolgendosi con estrema naturalezza alla mora, ancora un po’ scossa dall’avvenimento di poco prima.
-No, grazie- rispose Sarah, guardando interdetta il suo caffè.
-Come lo sapevi?- chiese improvvisamente, prendendo coraggio, riferendosi al fatto che Michael sapeva cosa avrebbe preso.
-Me l’hai detto tu- commentò tranquillo lui, pregustandosi il sapore della cioccolata che avrebbe bevuto di lì a cinque secondi.
-Ok, questa cosa inizia ad inquietarmi…- commentò Sarah, ricordandosi del fatto che probabilmente aveva detto a Michael, durante qualche visita, che lei prendeva sempre del caffè latte in qualsiasi ora della giornata.
Sprofondò sulla panchina, sentendosi improvvisamente nuda e spoglia di qualsiasi barriera accanto a lui.
-Ti da’ fastidio?- chiese lui, tirando un sorso alla cioccolata e poi guardando fisso di fronte a sé.
I raggi del sole erano arancioni e puntavano nella loro direzione e stava avvertendo un caldo sollievo nei punti del suo corpo colpiti dalla luce.
-Cosa?- chiese Sarah, notando come il tono di Michael si fosse fatto più serio e meno sbarazzino.
-Che…insomma, io sappia queste cose…-rispose, girandosi a guardare la ragazza. Sarah era immobile e stava guardando di fronte a sé, attratta da una simpatica paperella che sguazzava nell’acqua.
La vide sospirare, visibilmente in imbarazzo e forse anche tormentata dalla cosa.
-No…- iniziò a  dire la mora –…E’ che mi devo abituare all’idea…- continuò –Cioè, in teoria noi non ci conosciamo, quindi tendo a dimenticare che ricordi tutte le cose che ti ho detto- confessò.
Michael respirò piano, cercando di interpretare quelle parole.
-Vorresti non averlo fatto? Ora che mi sono risvegliato e che…sono qui?- chiese, preoccupato per la risposta che la ragazza gli avrebbe potuto dare.
La sua voce era calma, ma il suo tono era abbastanza eloquente ed era misto a tristezza e frustrazione.
-Cosa?!- chiese Sarah, sperando di non aver capito bene. Come poteva pensare una cosa del genere?
-Sì, insomma…Credo che tu probabilmente l’abbia fatto perché credevi che non mi sarei svegliato oppure che non ci saremmo mai incontrati…- iniziò a dire il ragazzo. Era da qualche giorno che ci pensava, da quando l’aveva incontrata alla mostra. Quali erano i motivi a spingere una ragazza a confidarsi con un estraneo in coma?
-E poi tutta la storia che io ricordi le cose che mi hai detto…Posso capire…- continuò, portando gli occhi sul bicchiere con la cioccolata, almeno si stava riscaldando le mani.
Sarah si girò a guardarlo, colpita da quelle parole e dal tono malinconico che Michael aveva usato, e per la prima volta da quando l’aveva incontrato, osò abbattere la barriera più grande che aveva fissato.
Allungò una mano e gliela poggiò sul braccio stringendoglielo delicatamente. Michael fece scorrere i suoi occhi dal bicchiere che aveva in mano, alla mano di Sarah e poi al suo viso.
Avvertì un improvviso brivido dietro la schiena e si ricordò di tutte le volte che, mentre era in coma, Sarah nei suoi sogni lo sfiorava o gli stringeva la mano.
-Perché pensi questo?- gli chiese, riducendo la sua voce ad un sussurro.
-Perché probabilmente l’avrei pensato anche io se fossi stato nella tua situazione- rispose sincero, rabbuiandosi in volto –Non è per quello che l’hai fatto? E non è per quello che sei sparita quando mi sono svegliato?- chiese ancora.
Non c’era rimprovero nella sua voce, né rabbia, voleva solo capire cosa stesse pensando la ragazza di quella situazione.
Perché aveva smesso di andarlo a trovare una volta saputo che si era svegliato?
-Non sapevo che tu riuscissi a sentire la mia voce quando ti parlavo quindi non ho smesso di venirti a trovare solo perché ti eri svegliato. Non lo sapevo nemmeno- fece Sarah, che non riusciva a comprendere quelle domande.  
Deglutì leggermente in ansia.
No, non era andata affatto come pensava lui ma non poteva dirglielo, sarebbe risultata pazza ai suoi occhi. Non poteva dirgli che aveva smesso di andare a trovarlo perché si era accorta di iniziare a provare un sentimento più forte di quello che pensava. Non poteva di certo dirgli che aveva smesso di fargli visita perché si era accorta che lui era al centro dei suoi pensieri in ogni istante della sua giornata, che lui era nei suoi sogni e nelle sue aspettative.
-Non è andata così- disse solo Sarah, cercando di mettere fine a quello strano discorso, il quale aveva decisamente imboccato una strada pericolosa. –E comunque non mi sono pentita nemmeno un attimo di averti fatto compagnia mentre eri in ospedale…- aggiunse, omettendo la parola “coma” –…anche se adesso sai che mi piace il caffè latte o che non ho mai avuto una relazione seria in tutta la mia vita- fece, un po’ in ansia soprattutto per l’ultima cosa, ma sicura delle sue parole –E’  che queste cose non le avevo mai dette a nessuno, quindi mi risulta solo un po’ strano che tu adesso le conosca. Non sono una ragazza che si confida molto facilmente, quindi mi sento solo un po’ a disagio- concluse, scostando la mano dal braccio del ragazzo e tornando a guardare con la testa bassa il suo caffè: probabilmente si era congelato.
Michael ascoltò in silenzio quelle parole e lo strano tono usato dalla ragazza per qualche ignoto motivo lo convinse. Dopotutto non poteva certo prendersela se era sparita così nel nulla di punto in bianco, le doveva già molto.
Guardò Sarah che aveva gli occhi bassi e stava fissando il suo caffè, inoltre poteva scommettere che le sue guance si fossero tinte di rosso per l’imbarazzo.
C’era una strana atmosfera tra loro ed entrambi non sapevano come comportarsi. Da una parte ognuno di loro sembrava conoscere l’altro da tempo, ma dall’altra parte entrambi erano consapevoli che quella sensazione di familiarità che provavano l’uno per l’altra non era supportata da nessun tipo di conoscenza personale.
-Perché non hai mai avuto una relazione seria?- chiese improvvisamente il ragazzo, cercando di cambiare discorso, incuriosito da quelle parole.
Sarah sospirò. Ok, Michael stava facendo decisamente delle domande sbagliate e di difficile risposta.
-Non lo so- rispose lei, cercando di essere molto vaga –Mancanza di tempo, suppongo- disse, cercando di non incontrare gli occhi del ragazzo.
Michael trattenne una risata.
-Andiamo, tutti hanno tempo per le relazioni…- fece lui, notando di come la ragazza fosse un po’ in difficoltà. Sorrise malizioso e poi si girò a guardarla. Voleva proprio sentire cosa aveva da dirgli.
Sarah sospirò, trattenendo una risatina. Doveva ammettere che il ragazzo sapeva come trarla in fallo.
-Sei l’unico a cui non è andata bene questa risposta- commentò lei sorridendo, notando di come il ragazzo avesse intuito fosse solo una scusa.
-Beh, io non sono come gli altri- rispose Michael pavoneggiandosi un po’ e facendo l’occhiolino alla ragazza.
-Decisamente- commentò la mora, che condivideva a pieno quelle parole.
Michael sorrise sornione e diede un altro sorso alla cioccolata. Quella conversazione aveva preso una piega alquanto interessante.
-E quei due ragazzi della mostra?- chiese lui impertinente.
-Chi? Jordan e Bryce?- chiese Sarah. Davvero Michael gli stava chiedendo di loro? Alla loro prima uscita?
-Sì- fece lui, non curandosi del fatto che probabilmente erano delle domande personali.
–Chi sono?-
-Oh, Jordan è la cosa più vicina ad un migliore amico che ho- rispose Sarah, ripensando al ragazzo. Anche se erano stati anni senza sentirsi spesso, da qualche mese a questa parte sembrava stessero recuperando tutto il tempo che non avevano passato insieme.
-Mmm…- mugolò Michael, contento di constatare che la sua impressione sul ragazzo era giusta. –E Bryce?- chiese ancora, accennando un sorrisino malizioso e girandosi a guardare Sarah.
-Beh…Bryce è…- iniziò a dire Sarah, che non sapeva nemmeno come definire l’amico.
-L’ex fidanzato geloso?- domandò Michael a denti stretti, ripensando all’incontro con il moro e agli sguardi omicidi che il tipo gli mandava.
Sarah rise istericamente cercando di guadagnare tempo. Michael la stava guardando sorridendo sghembo, ma in realtà voleva indagare sulla vita sentimentale della ragazza.
-No! Assolutamente- rispose la ragazza con una vocina stridula e tremante –Lui è…un mio amico del liceo-
-Beh, anche Jordan è tuo amico, ma non voleva uccidermi l’altra sera- commentò Michael.
Sarah spalancò gli occhi al sentire quelle parole. Si era accorto di tutto?
-Bryce è…Insomma noi ci frequentavamo l’ultimo anno di liceo. Poi lui è andato al college decidendosi di farsi mezza Boston e io sono rimasta qui a New York. Lui per me è solo un amico- riassunse la ragazza, cercando di risultare tranquilla e di non dare a vedere il fatto che fosse leggermente sconvolta dalla perspicacia del ragazzo.
Era così intuibile la situazione?
-E lui lo sa? O è rimasto all’ultimo anno di scuola?- chiese Michael, che sembrava aver capito tutto di quella storia.
Sarah sorrise, leggermente divertita dal tono del ragazzo.
-A quanto pare, sì- disse lei –Ma gli voglio bene e mi spiace farlo soffrire. Si è fissato con la storia che vuole darci una possibilità, ma la verità è che credo che siamo incompatibili. E poi non…-
-Non hai tempo per una relazione- concluse di dire Michael, sorridendo malizioso.
Sarah sorrise, facendo un cenno con la testa. -Già- disse, arricciando un po’ le labbra di lato.
-Perciò rifiuti tutti gli inviti o i complimenti che i ragazzi ti fanno, solo perché hai mancanza di tempo?- chiese Michael.
Aveva capito fin troppo bene cosa Sarah provasse in genere e avrebbe scommesso che non era mancanza di tempo la sua, ma semplicemente paura, paura di condividere qualcosa con un'altra persona.
Sarah deglutì. Michael probabilmente si era fatto un’idea sbagliata su di lei.
-Non ricevo nessun tipo di complimento, né inviti da parte di nessuno- commentò lei a bassa voce. Non sapeva perché Michael le aveva detto quella cosa, ma lei invece sapeva bene che non era vero, e che la maggior parte del tempo la passava tra i suoi quadri e al lavoro, e non aveva avuto modo di conoscere nessuno che la colpisse.
Beh, nessuno che la colpisse tranne lui.
-Quindi vuoi dirmi che non c’è una fila di ragazzi che ti aspettano dietro la porta?- commentò scettico lui. Chiedendosi cosa mai avesse passato quella ragazza per essere così timida e chiusa a qualsiasi tipo di rapporto.
Sam non faceva altro che ripetergli quanto fosse bella. In realtà aveva usato altri termini per definirla, ma lui era molto meno troglodita dell’amico certe volte.
Sarah fece una risata. -Sei stato dietro la porta di casa mia e hai visto che non c’era nessuno- ribatté sorridendo.
-Solo perché sapevano che sarei arrivato io da un momento all’altro- disse Michael, scolandosi la cioccolata e leccandosi le labbra. Ripensò di nuovo alle parole di Karen di qualche ora prima e divenne immediatamente curioso, ma la sua curiosità fu stroncata da un’improvvisa fitta alla tempia che lo destabilizzò per un attimo.  
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo: doveva essere una cosa comune a tutti  i ragazzi
mediamente attraenti tirarsela in quella maniera.
Si girò a guardarlo, ma quando lo fece lo ritrovò con i tratti induriti, la testa appoggiata sulla panchina e gli occhi chiusi.
-Ehi, stai bene?- esclamò Sarah, preoccupata dall’espressione sofferente assunta dal ragazzo. Vederlo con gli occhi chiusi le fece ritornare alla mente il periodo in cui era in coma e una sensazione di malessere allo stomaco la pervase.
-Sì- fece Michael, riaprendo gli occhi e massaggiandosi una tempia. Non avrebbe voluto farsi vedere così da lei, quindi cercò di far finta che il dolore era passato.
-Ti fa male ancora?- chiese Sarah con voce bassa, intuendo che il ragazzo avesse dolore alla testa, lasciando il suo bicchiere un attimo a terra.
Michael sospirò cercando di distrarsi e di non percepire quel fastidio.
-Ora è passato- commentò solo, sentendosi in imbarazzo per la prima volta davanti a lei. Odiava quei fastidi, odiava le fitte alla testa, per come la vedeva lui lo rendevano debole, e poi non sapeva mai se le persone che gli stavano attorno provavano pena o altro.
Sarah lo guardò intensamente, scorgendo nei suoi occhi un alone di tristezza.
Da quando si erano conosciuti Michael non le aveva mai accennato dell’incidente, non aveva mai parlato del suo ricovero in ospedale, né di cosa avesse provato al suo risveglio. Avrebbe tanto voluto conoscere i suoi pensieri, le sue emozioni, ma capì anche che quelle erano cose personali del ragazzo e non volle indagare, se mai avesse voluto renderla partecipe dei suoi sentimenti l’avrebbe fatto di suo spontanea volontà.
Passarono alcuni secondi di silenzio e alla fine Sarah, con il cuore in gola e le mani tremanti, si alzò posizionandosi dietro Michael, che era ancora seduto con la testa rilassata e distesa sulla panchina.
Deglutì pensando a ciò che stava per fare, ma alla fine fu spinta da una voglia immensa di sentire di nuovo la pelle del ragazzo sotto le sue dita.
Lentamente portò le dita vicino le tempie del biondo e le poggiò delicatamente.
Aspettò qualche secondo e poi con premura iniziò a massaggiargli la fronte, cercando di alleviare il dolore del ragazzo.
Michael sussultò, sorpreso dal contatto con le dita della ragazza e riaprì gli occhi, intuendo cosa Sarah stesse facendo.
-Scusa…se non vuoi…- iniziò a dire Sarah, lasciando la presa e allontanandosi di un passo da lui, iniziando a darsi della stupida per quel gesto avventato.
-No- disse improvvisamente Michael, sentendo la ragazza allontanarsi. –Continua- aggiunse, rimanendo immobile, con lo sguardo fisso di fronte a sé e prendendo una mano di Sarah. –E’ che hai le dita fredde- fece sorridendo, tenendo ancora la ragazza per mano.
Sarah mantenne fisso gli occhi sulla sua mano e su quella di Michael che gliela stringeva, e un brivido le attraversò la schiena.
Non era più come quando era in ospedale e il ragazzo dormiva, come quando lei lo sfiorava e lui era immobile, freddo sotto il suo tocco. Le mani di Michael erano calde ed erano morbide e lei stava letteralmente morendo dietro di lui.
-Ok- sussurrò, lasciando la mano del ragazzo e riconcentrandosi sulla sua fronte.
Mosse lentamente e delicatamente le dita e piano gli iniziò a sfiorare la fronte e poi le tempie fino a scendere ai lati della mascella.
Il suo cuore le stava letteralmente galoppando nel petto e ogni volta che incontrava la pelle di Michael era come provare tante piccole scosse elettriche.
Michael era immobile sotto di lei, e stava seguendo mentalmente tutti i movimenti delle dita di Sarah. Il dolore poteva ammettere fosse quasi passato e il contatto con i polpastrelli della ragazza gli causava dei brividi dietro il collo.  Era da tempo che non provava una sensazione del genere, ma improvvisamente si ricordò dei suoi sogni, di tutte le volte che lui aveva tenuto Sarah per mano, o di quella volta al parco in cui erano stesi sul prato e lui si era fatto sfiorare il viso, quasi come la sua pelle fosse una tela su cui disegnare.
Sarah scese giù con le dita, fino ad arrivare all’incavo della mascella e risalì sulle sue guance.
Da quanto tempo desiderava farlo? Da quanto tempo le mancava sentire Michael sotto le sue dita? Non c’era più barba sul suo viso,  la sua pelle risultava liscia e glabra sotto le mani e lei per un attimo desiderò perdersi dentro di lui, rendendosi conto di provare davvero qualcosa per quel ragazzo.
Sarah fece scorrere le dita lungo la sua mascella, a tratti ai lati del suo collo e poi ancora sulle guance e lui non resistette. Prese una mano della ragazza e intrecciò le sue dita tra le sue, portandosele vicino le labbra.
Sarah sentì le labbra umide di Michael baciarle il palmo e si arrestò, incredula di quello che il ragazzo avesse appena fatto.
Abbassò lo sguardo e vide Michael rilassato, con le guance leggermente arrossate per il freddo e gli occhi chiusi, tenere ancora la sua mano vicino la bocca.
Il ragazzo si rese conto che la mora si era fermata, e aprì gli occhi, ricordandosi improvvisamente di aver preso Sarah e di averle dato un bacio sulla mano, totalmente non curante della reazione che la ragazza avrebbe potuto avere. Resosi contò di ciò si riprese, facendosi ritto sulla panchina e lasciandola.
-Scusami- disse il biondo, non girandosi a guardare il viso della ragazza.
-No, di niente- fece Sarah, con la voce ridotta ad un sussurro, rimanendo immobile dietro di lui.
Le sembrava che il punto su cui Michael aveva poggiato le labbra stesse bruciando, e poteva giurare di sentire ancora le sue labbra sfiorarla. Guardò per qualche secondo la sua mano, poi i suoi pensieri furono  interrotti dalla voce del ragazzo.
-Forse è meglio andare- disse improvvisamente, alzandosi dalla panchina e aggiustandosi il cappotto. Solitamente non era uno che non sapeva controllarsi, ma i brevi istanti passati l’avevano catapultato in un’altra dimensione traendolo in inganno.
Sarah fu scossa  dal repentino cambio di voce del ragazzo, ma cercò di ricomporsi, facendo finta che non fosse successo niente e cercando di mascherare l’improvviso disagio che provava.
Avrebbe tanto voluto dirgli di non fermarsi, che le sue labbra sulla sua mano erano state la cosa più intensa che aveva provato, ma le parole le morirono in gola e si ritrovò a camminare silenziosamente lungo il viale, ormai illuminato dai lampioni.
Michael camminava in silenzio, cercando di raccogliere le idee. Quella ragazza gli faceva uno strano effetto, riusciva ad estraniarlo e al tempo stesso a farlo sentire vivo, riusciva a dare un senso a qualsiasi piccola cosa e questo lo spaventava terribilmente, perché lui non era mai stato così. Non era mai stato uno a cui piaceva far soffrire le persone, ma poteva ammettere che con le ragazze si era comportato quasi sempre con frivolezza, forse perché anche loro l’avevano fatto con lui.
Sarah però era diversa, lui l’aveva immaginata diversa, e si era rivelata tale.
Da quanto la conosceva? Da due giorni in teoria, ma a lui sembrava di conoscerla da molto più tempo ed era questa cosa a destabilizzarlo. Inoltre la ragazza era sempre gentile, mai inappropriata e a lui questo lato di lei piaceva e gli interessava particolarmente.
La guardò con la coda dell’occhio: perché era in silenzio? Aveva osato troppo con quel gesto un po’ affrettato di prima?
I capelli le ricadevano morbidi dietro la schiena e le punte rossicce, più chiare del colore del resto della chioma, risaltavano ed erano in contrasto con il nero del cappotto. I suoi lineamenti erano marcati e il nasino alla francese le evidenziava il profilo, ma le sue labbra erano imbronciate, come se si stesse torturando con i pensieri.
-A che pensi?- fece Michael, interrompendo il silenzio che era calato tra di loro.
Sarah sembrò risvegliarsi da uno stato di trance.
-Mmm?- fece distratta –Ah, no, a niente- rispose solo, cercando di non incontrare gli occhi del ragazzo. Si stava sentendo a disagio, si sentiva quasi come fosse stata rifiutata e Michael per di più continuava a guardarla cercando di capire chissà cosa, come se la stesse squadrando dalla testa ai piedi.
-Arrivati- fece Sarah, riconoscendo il suo portone qualche minuto più tardi. Michael sospirò e si fermò per poterla salutare.
-Allora…- fece lui, cercando di capire il cambiamento di comportamento nella ragazza. –E’ stato un bel pomeriggio…- fece sorridendo.
Sarah lo guardò negli occhi e per un attimo si sentì morire. Le sue perle blu risaltavano ancora di più nella fioca luce della sera.
-Sì- ribatté lei con un po’ di difficoltà. E se magari smetteva di guardarla in quella maniera, sarebbe riuscita a dirgli qualcosa di più sensato e di un po’ più interessante.
Michael la guardò ancora, palesemente divertito dall’imbarazzo di lei che non riusciva nemmeno a guardarlo negli occhi.
-Senti…questo Sabato…- iniziò a dire il ragazzo assumendo una sorta di ghigno malizioso in volto –C’è una specie di festa a casa mia- aggiunse, cercando di cogliere i movimenti della ragazza.
Sarah lo ascoltò in silenzio, deglutendo leggermente e aspettando che finisse.
-Quindi, non so, se non hai nulla da fare…- continuò a dire il ragazzo –Mi farebbe piacere se venissi- concluse.
-A casa tua?- chiese Sarah, che sembrava non aver capito bene. Michael la stava invitando ad una festa? Lo stesso Michael che pochi minuti prima la aveva presa per mano e che di tutto punto aveva cambiato comportamento?
-Già. Sai, mia madre è fissata con i ricevimenti e lei ha organizzato questo evento…E’ solita fare queste cose- aggiunse il ragazzo sorridendole leggermente –Allora? Se non vieni ci rimarrò molto male!- scherzò facendo un ghigno malizioso.
-…Ok- rispose allora Sarah. Solitamente il cervello era collegato con le sue proprietà di linguaggio, ma evidentemente la presenza di Michael mandava in tilt tutti i suoi sensi e tutte le sue certezze.
Non appena il ragazzo sentì quella piccola parolina assunse un’  espressione quasi di felicità.
Si sentiva leggero e spensierato e quello stupidissimo ricevimento aveva improvvisamente preso un senso.
Il sorriso che le riservò fu dei più smaglianti e dei più mozzafiato, e la sua esperienza in fatto di ragazze gli fece intuire che aveva avuto l’effetto desiderato sulla mora di fronte a lui.
Sarah stava sentendo la bava bagnarle il mento, perché probabilmente era quella l’espressione che aveva assunto, e lo sguardo divertito di Michael le confermò proprio ciò.
-Perfetto!- fece lui –Ti mando un autista alle otto- aggiunse.
-Un autista?- ripeté incredula Sarah. Certe volte tendeva a dimenticare che Michael fosse ricco sfondato, ma era solo un piccolo dettaglio.
-Sì, tranquilla- fece lui, sporgendosi a salutarla.
-Ehi, aspetta!- esclamò Sarah confusa –Cosa devo mettermi? Devo portare qualcosa?- iniziò a dire. Non era mai andata ad una festa di quel tipo, e poi cosa si festeggiava? C’erano gli amici di Michael, o gli amici di famiglia? Era una festa formale o un party per ragazzi?
-Non devi portare nulla!- esclamò Michael, confuso e divertito dalle domande di Sarah. Cosa avrebbe mai voluto portare?
-E poi, vestiti come vuoi!- aggiunse, guardandola con degli occhietti vispi e maliziosi –Anche se devo ammettere che con il vestito della  mostra non eri niente male- disse sorridendo sghembo.
Sarah spalancò gli occhi, convinta di non aver sentito bene. Sentì le guance arrossarsi violentemente e cercò di sorridere, senza fare la parte della stupida.
Michael trattenne una risata e poi guardò le lancette dell’orologio.
-Allora ci vediamo Sabato- fece lui, guardando comprensivo la ragazza.
-Sì, ci vediamo Sabato- fece Sarah, che stentava ancora a crederci.


 
***
Ciao stelline! Per prima cosa vi faccio i miei auguri per l'Immacolata e poi ho anticipato la pubblicazione perchè mi aspetta un luuuungo pranzo e non volevo pubblicare in ritardo!
Purtoppo non sono riuscita a pubblicare venerdì come avrete visto, ma ce lo messa davvero tutta )': perdonatemi! 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! E' bello lungo e mi volevo concentrare sui pensieri e sulle sensazioni che entrambi i personaggi provano. 
Sarah e Michael sono attratti l'uno dall'altra, ma sono praticamente bloccati dal fatto che non si conoscono affatto benchè loro provino una sensazione di familiarità a stare insieme e quindi fanno tutto con calma, e questo è un atteggiamento che non si addice proprio a MIchale, che si è sempre comportato in maniera diversa con le ragazze in generale, complice anche il suo bell'aspetto!
Martedì prossimo, se non mi spostano l'esame dovrei pubblicare regolarmente, altrimenti ci potrebbero essere dei ritardi di alcune ore nella pubblicazxione, dipende da che ora finisco!
Vi ringrazio di cuore per tutti consensi che questa storia sta ricevendo. Questa settimana è stata inserita da 35 nei preferiti e addirittura è seguita da 55 persone! Vi adoro! 
Ci vediamo al prossimo capitolo che vi annuncio sarà scoppiettante, anche perchè Sam combinerà un po' di casini! 
Ciao cuori!
E mi raccomando, ingozzatevi!!!

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Capitolo 14
*** 14 ***


14
 


-Non avrai intenzione di andare in tuta e scarpe da ginnastica, vero?- disse Karen al telefono, mentre Sarah stava di fronte l’armadio a scegliere un vestito decente.
-Certo che no! E’ ovvio che non ci andrei vestita così- commentò Sarah con un pizzico di stizza nella voce. Come diavolo le veniva in mente?
-Beh, che ne so! Con te non si può mai sapere- commentò Karen, ridendo sotto i baffi.
-Farò finta di non aver sentito- fece Sarah, ficcando la testa nell’armadio e iniziando a uscire vestiti e completi.
-Il problema è che non so che tipo di ricevimento è !- esclamò, esausta per quella ricerca.
-Insomma, metti che è una cosa formale? Non posso presentarmi con un vestito corto e scollato!- disse andando letteralmente in panico. Erano le sette e un quarto e l’autista di Michael sarebbe arrivato alle otto in punto.
Ci ripensò e notò l’assurdità di quel pensiero.
“L’autista di Michael…” si disse tra sè scuotendo la testa.
Se qualcuno le avesse accennato in passato che c’era la probabilità di partecipare ad una festa a casa dei Trisher gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia, e invece eccola lì, di fronte l’armadio a cercare qualcosa da mettere per una festa a casa di Michael.
-Allora, ci sei ancora?- chiese Karen che non sentiva più la voce di Sarah.
-Sì, sì…- fece lei, guardando con disperazione il suo armadio. Ogni cosa sembrava non andare bene e poi doveva ancora truccarsi e sistemarsi i capelli. Perché il tempo era passato così velocemente?
-Secondo me dovresti mettere il vestito che hai indossato alla mostra e poi non è la prima volta che partecipi ad un evento mondano, perché stai andando in crisi?- chiese Karen, che davvero non riusciva a capire perché la ragazza si stesse facendo così tanti problemi per un ricevimento a Manhattan.
-Non posso mettere di nuovo quel vestito- commentò Sarah. Ripensò alle parole di Michael a riguardo e il cuore iniziò a batterle più forte nel petto. Alzò gli occhi al cielo, cercando di allontanare l’immagine del ragazzo che le faceva un complimento, e riprese a concentrarsi.
-Uffa, basta. Ho deciso. Metterò una camicia e un pantalone aderente- asserì. Esausta per quell’estenuante ricerca.
Si girò a guardare tutti i vestiti che aveva accantonato sul divano e sospirò. Non appena sarebbe tornata avrebbe dovuto risistemare tutto.
-Un pantalone? Oh, andiamo Sarah! Hai detto che c’è anche Abercrombie?! Non puoi presentarti da lui così!- esclamò Karen dall’altra parte della cornetta.
Sarah scoppiò a ridere. Aveva dimenticato di dire all’amica che la festa a cui avrebbe partecipato era a casa di Michael e che era stata sua madre ad organizzarla, ma non aveva omesso che ci sarebbe stato il ragazzo anche.
-Ah, smettila di chiamarlo in quel modo!- fece Sarah, divertita dal nomignolo che Karen aveva affibbiato al ragazzo.
-E perché?! E’ un perfetto Abercrombie, devi ammetterlo! E poi questo suo lato da intellettuale di cui mi hai parlato è davvero molto sexy, quindi hai ragione, più che Abercrombie credo sia stile Burberry…- iniziò a dire la bionda, suscitando un sano divertimento in Sarah. -Già me lo immagino, mentre è seduto sulla scrivania, stanco dopo una giornata di lavoro, e poi improvvisamente si alza, iniziando a sbottonarsi la camicia, i pantaloni e poi ti prende e ti porta in…-
-Ok, ok! Basta! Non voglio sentire! Ciao Karen, ci sentiamo domani!- fece Sarah, non permettendo all’amica di finire la frase e chiudendo la conversazione.
Gettò il telefono sul divano e fece un sospiro di sollievo. Karen stava decisamente attraversando un sentiero minato. Si allontanò l’immagine di Michael senza maglia dietro una scrivania e indossò i suoi pantaloni a sigaretta. Si diresse verso la scarpiera e si infilò degli stivali in pelle nera con tacco e poi si diresse verso il cumulo dei vestiti sul divano. Estrasse una camicetta in pizzo, con il collo alla dolce vita fermato da un nastrino di raso nero e maniche a sbuffo con dei polsini, e la indossò.
Si truccò, mettendo un leggero eyeliner, del mascara e un rossetto rosso acceso, poi si raccolse i capelli in una lunga treccia a spina di pesce laterale, che lasciava alcune ciocche libere ricaderle ai lati del viso, prese la borsa e si infilò il cappotto.
Prima di chiudersi la porta di casa alle spalle, si ricordò di prendere il quadro da dare a Michael. L’aveva tolto dall’esposizione, benchè fosse ancora in corso, e l’aveva impacchettato, realizzando una bella confezione regalo.
Si sporse a prendere il regalo e dopo aver dato un’occhiata all’ora, uscì di casa, scendendo a piano terra.
Varcò il portone e rimase qualche secondo interdetta sul marciapiede.
Come avrebbe fatto a riconoscere l’autista di Michael? Il ragazzo non le aveva nemmeno detto di che colore fosse la macchina con cui la sarebbe andata a prendere.
Non fece in tempo nemmeno a darsi da sola una risposta, che vide parcheggiare di fronte a lei una station wagon grigia con i vetri posteriori oscurati. Ne uscì un uomo sulla cinquantina, con in capelli ingrigiti dal tempo e vestito di tutto punto.
-Lei è la signorina Lewis?- le fece il signore, andandole contro.
-Sì, sono io- fece Sarah con un sorriso, appurando di quanto Michael probabilmente fosse ricco.
-Lo dia a me- fece il signore prendendole dalle mani il quadro e posizionandolo nel portabagagli. –Io sono Edward, piacere di fare la vostra conoscenza- aggiunse sorridendole leggermente.
-Piacere mio, Sarah- disse lei, accennando un timido sorriso e sentendosi un po’ a disagio per la formalità con cui l’uomo si stava rivolgendo.
Edward le aprì addirittura la portiera della macchina e lei rimase particolarmente colpita da quel gesto. Lo ringraziò sincera e poi si sedette in macchina.
I sedili erano in pelle scura e nel piccolo abitacolo si sentiva un profumo dolce e aromatico.
L’aria calda era accesa e Sarah avvertì un dolce sollievo nel tepore di quell’ambiente.
Passò i primi dieci minuti ad interrogarsi su come sarebbe stato quel ricevimento, poi passò i restanti venti a cercare di controllare la tachicardia che le era venuta. Iniziò ad avvertire improvvisamente caldo, e attribuendone la colpa all’area condizionata, cercò di spegnere l’aria che usciva dai bocchettoni.
“Sta calma, è solo un ricevimento” continuava a ripensare cercando di darsi un contegno. Il pensiero di varcare le soglie di casa Trisher, di vedere tutti i conoscenti del ragazzo, di rincontrare sua sorella, di vederlo vestito di tutto punto come l’aveva visto nelle sue foto, le annebbiarono la mente.
Non era affatto pronta a tutto quello, anche perché fino alla settimana prima si stava letteralmente piangendo addosso e non avrebbe mai pensato di iniziare a conoscere Michael in quella maniera.
Sospirò e guardò fuori dal finestrino. Erano entrati a Manhattan e iniziò ad avvertire davvero la tensione di quell’invito.
Non riusciva a dare un senso alla richiesta di Michael e al fatto che l’avesse invitata lì, ma le piaceva pensare che non l’aveva fatto solo perché le doveva qualcosa o perché si sentisse in debito con lei per il fatto di essere andata in ospedale da lui, ma solo perché si sentiva di farlo.
-Siamo arrivati- fece Edward improvvisamente, distraendo Sarah dai suoi pensieri. Non se ne accorse nemmeno e già l’autista le aveva aperto la portiera aiutandola a scendere.
-Grazie- fece timidamente lei, aspettando che Edward le porgesse il quadro e la lasciasse entrare.
Sarah si avvicinò a quello che probabilmente doveva essere il portone della casa dei Trisher e iniziò a guardarsi intorno, dubbiosa sul da farsi. Avrebbe dovuto citofonare? E poi a che piano era?
Si ritrovava sotto un enorme grattacielo in stile neogotico, alto probabilmente una cinquantina di piani, con decorazioni intarsiate sotto le grandi vetrate e in corrispondenza delle architravi. Era un edificio imponente, probabilmente costruito intorno agli anni ’30 e per quanto la ragazza avrebbe dovuto aspettarsi una costruzione del genere, rimase comunque molto sorpresa di trovarsela davanti agli occhi.
Un paio di voci dietro di lei la distrassero e voltandosi, vide dei ragazzi vestiti in cappotto e abiti avvicinarsi all’ingresso del grattacielo. Li seguì in silenzio, intuendo che probabilmente avrebbero dovuto essere degli invitati e con loro entrò nel grande ascensore stile Belle Epoque che li avrebbe dovuti portare a casa Trisher.
Sarah ascoltò annoiata i discorsi dei ragazzi, erano tutti impettiti e di bell’aspetto e si sentiva particolarmente osservata essendo l’unica ragazza nell’ascensore, ma il tragitto fu breve.
Dopo qualche minuto le porte dell’ascensore si aprirono, mostrando una sorta di hall ammobiliata in maniera classica, piena di tappeti persiani e piante, e i ragazzi davanti a lei uscirono, continuando a chiacchierare animatamente.
La mora li seguì e tutti si ritrovarono di fronte ad una porta in legno scuro, completamente spalancata e con un nastro rosso legato all’estremità da due pali dorati.
Di fronte il nastro sostava un signore vestito di nero, con in mano un elenco rilegato in pelle e una penna, intento a cancellare i nomi degli invitati ogni volta che ne entravano di nuovi.
-Sarah Lewis- disse la ragazza, dopo essere arrivata davanti l’uomo, che sembrava essere più un buttafuori che un inserviente.
Il signore fece un cenno con la testa e abbassò il nastro rosso, facendo entrare la ragazza nella vera e propria casa dei Trisher.
Non appena varcò l’ingresso della sala, a Sarah scappò un esclamazione di stupore. Quello che si ritrovò davanti agli occhi era il lusso più totale e classico che non aveva avuto mai modo di vedere fino a quel momento.
Il salone della casa era gremito di gente, era enorme, addobbato con fiori e candele ogni dove, c’erano composizioni floreali sui mobili, sui tavolini e sui divani e tutti sembravano essere piuttosto abituati a quella situazione.
Deglutì iniziandosi a guardare attorno: non sapeva assolutamente cosa fare, né dove andare, né dove lasciare quello stupidissimo quadro che si portava dietro.
Iniziò a sentirsi improvvisamente piccola e inadatta per quel posto. Fino a quel momento si era così preoccupata di cancellare Michael dalla sua vita, che aveva perso di vista il fatto che lui era fuori dalla sua portata, che lui faceva parte di un mondo in cui lei non voleva entrare.
La sensazione di disagio iniziò a diventare così forte, che ebbe quasi la voglia di scappare e probabilmente l’avrebbe fatto se una voce non l’avesse distratta.
-Ehi, sei arrivata!- esclamò Michael, avvicinandosi all’ingresso verso di lei e procedendo con un grande sorriso –Avevo paura non venissi più- aggiunse il ragazzo avvicinandosi.
Sarah rimase qualche secondo immobile e interdetta, cercando di afferrare le parole del ragazzo e questa cosa, che apparentemente era una delle cose più semplici che un umano potesse fare, risultò molto difficile, soprattutto perché Michael era vestito di una camicia bianca, giacca, cravatta e pantaloni neri e scarpe lucide in pelle, ed era la cosa più vicina alla perfezione che Sarah avesse mai visto.
Procedette sorridendo sornione verso di lei, e Sarah potè giurare di stare per avvertire quasi un mancamento. I capelli del ragazzo erano lisci, un po’ alzati sulla fronte con alcune ciocche dorate che gli ricadevano davanti agli occhi, il viso era glabro e senza barba e i suoi occhi erano sorridenti e di un azzurro luminoso, e il suo sorriso era il più bello di tutti.
La ragazza faticò a rispondere, ma alla fine ce la fece.
-Ciao…- commentò un po’ agitata, cercando di non far notare al ragazzo come fosse rimasta imbambolata a guardarlo –Forse c’era un po’ di traffico e sono arrivata un po’ tardi- aggiunse, cercando di non essere distratta dal suo bellissimo volto.
-E’ andato bene il viaggio? Edward è stato puntuale?- chiese lui, che non potè fare a meno di notare quanto la ragazza apparisse meravigliosa.
-Sì, puntualissimo- disse Sarah, che aveva notato come Michael stesse facendo vagare gli occhi sul suo corpo. Sì sentì letteralmente avvampare.
Gli occhi di Michael scorsero la figura della ragazza, e notò solo allora che portava ancora il cappotto e che aveva in mano una specie di scatola piatta e larga.
-Vieni, ti accompagno a lasciare il cappotto- commentò il ragazzo, cingendole la vita con un braccio e indicandole la strada.
Non potè fare a meno di notare il suo profumo e avrebbe voluto darle un bacio sulla guancia, ma notò di come Sarah si stesse guardando attorno, in maniera un po’ spaesata.
-Questa è casa tua?- chiese la ragazza, a cui sembrò una domanda inutile.
-Sì e no- fece Michael sorridendo, conscio del fatto che quella grande sala facesse a tutti lo stesso effetto. –Questo è solo un grande salone che usiamo per i ricevimenti. Ci sono i bagni le cucine e i guardaroba, ma casa mia è al piano di sopra- rispose sincero lui.
-Ah- commentò solo la ragazza con molta sorpresa. Non sapeva se essere più esterrefatta dal fatto che quella fosse solo un salone per le feste, o che casa sua fosse al piano di sopra e quella fosse solo una sala ricevimenti.
Dopo qualche minuto si ritrovarono in una stanza molto grande, piena di cappotti e borse appese a cui erano assegnati dei numeri.
-Vieni- fece il ragazzo, prendendola per mano e portandola al centro della camera.
Sarah rimase un po’ perplessa da quel gesto, soprattutto perché abbassò lo sguardo e si ritrovò le dita di Michael intrecciate alle sue.
Il ragazzo si accorse di come la ragazza si fosse soffermata per qualche secondo a guardare le loro mani, e pensando fosse un gesto inopportuno, lasciò la presa.
Sarah sospirò, trovandosi un po’ in imbarazzo. Doveva smetterla di non saper gestire quel tipo di situazioni, avrebbe dovuto imparare a diventare un po’ più sicura e molto più intraprendente.
Michael la aiutò a sfilarsi il cappotto e lo appese in un punto un po’ più nascosto rispetto agli altri. Si girò a guardarla e la trovò ancora più bella ed elegante di prima.
Mentre stava apprezzando come la camicia in pizzo le calzasse a pennello, si accorse nuovamente del pacco che Sarah aveva tra le mani.
-Ti ho portato il quadro che mi hai chiesto- commentò lei, un po’ imbarazzata dal ghigno malizioso che Michael aveva assunto nel guardarla.
-Ehi! Ma non dovevi! Stavo scherzando!- fece lui, prendendo il regalo dalle mani della ragazza e scartandolo.
-Ah- commentò Sarah, che si sentì molto a disagio per quella cosa. Quella serata, per come la vedeva lei, era iniziata particolarmente male e se fosse continuata in quella maniera probabilmente se ne sarebbe tornata a casa di lì ad un’ora.
-Grazie, non dovevi- fece Michael, alzando gli occhi e guardandola. –Ma non era ancora in mostra?-
-Sì, ma l’altro ieri sono passata a prenderlo, caso mai qualcun altro l’avesse voluto- rispose la ragazza -E poi in questo modo mi sarei sdebitata, no?!- commentò ironica alludendo alle parole che il biondo aveva usato qualche giorno prima, cercando di mascherare un po’ il fastidio che stava provando in quel momento.
Pensava di aver fatto una cosa carina portandogli quel quadro e lui sembrava essersene totalmente dimenticato.
Michael le sorrise, non sapeva bene il perché ma la sentiva un po’ strana.
Non poteva dire di conoscerla bene, ma avvertiva qualcosa di strano nella voce della ragazza e non riusciva a capire cosa la turbasse.
-E’ bellissimo- commentò lui sorridendo e sporgendosi per darle un bacio sulla guancia.
-Andrà benissimo sulla sponda del letto- aggiunse sorridendo e figurandoselo già in camera.
Sarah riuscì solo a sorridergli timidamente. Era rimasta ancora ferma al bacio sulla guancia.
Doveva smetterla di darle quei baci: per riprendersi aveva sempre bisogno di almeno cinque minuti e nel frattempo il mondo continuava ad andare avanti e lei faceva sempre la parte della stupida.
Michael sorrise maliziosamente, inumidendosi le labbra con la lingua e guardandola con uno sguardo vispo. La cosa che adorava di più di quella ragazza era la sincerità, e non la sincerità in termini di parole, ma la sincerità che ogni suo atteggiamento, ogni suo movimento, ogni sua espressione trapelava. E lui era perfettamente conscio di essere molto piacente per le ragazze, e adorava letteralmente metterla in difficoltà e vederla combattere contro se stessa per l’imbarazzo.
-Vieni, ti offro qualcosa da bere- fece Michael dopo qualche minuto, lasciando il quadro ad una donna e chiedendole di andarlo a mettere in camera.
Sarah seguì il ragazzo, e mentre lui le camminava affianco non poteva fare a meno di squadrarlo dalla testa ai piedi, di seguire il profilo del suo naso e delle sue labbra. Per un attimo pensò anche a quello che Karen le aveva detto al telefono e si immaginò Michael dietro una scrivania, con la camicia sbottonata e pronto a fare chissà cosa.
Cacciò a fatica quel pensiero dalla testa, soprattutto perché Michael di certo non facilitava la cosa. Era letteralmente stupendo in giacca e cravatta, elegante e sexy al punto giusto. E poi adorava i suoi capelli, i suoi lucenti capelli con le sfumature dorate: avrebbe tanto voluto passarvici una mano dentro e sentire il loro contatto con i polpastrelli.
-A che pensi?- fece il ragazzo, del tutto ignaro dei film mentali che Sarah si stesse facendo in quel momento.
-Uhm?- fece la ragazza, come se si fosse appena risvegliata da un sogno –No, a niente!- esclamò, forse con voce un po’ troppo stridula.
Michael la guardò di sbieco poco convinto, ma sorvolò.
Dopo qualche secondo entrarono di nuovo nel grande salone addobbato e Sarah non riuscì a trattenere nuovamente un’osservazione di stupore.
-Sembra un matrimonio- si fece scappare la ragazza, abbozzando un sorriso.
Michael rise sincero.
-Sì, mia madre ha un po’ troppo a cuore questo tipo di ricevimenti- commentò lui. –Hai fame? Da quella parte c’è il buffet- indicò il ragazzo alzando un dito.
-Sì, mi conviene mettere giù qualcosa se non voglio ubriacarmi solo con lo spumante- rispose Sarah, cercando di sciogliersi un po’ e sorridendo. Pensò velocemente ad Amanda e al fatto che non avesse visto ancora nessuno della sua famiglia.
Anzi allora che ci pensava prima o poi quella sera avrebbe dovuto incontrala, ma soprattutto avrebbe incontrato anche Martha.
Era ancora vivido dentro di lei quel pomeriggio in cui entrò di soppiatto nella stanza del ragazzo e vi trovò la sorella intenta a fargli visita.
-Ehi Trisher!- fece improvvisamente una voce alle loro spalle che costrinse i due ragazzi a girarsi.
Michael sentì la voce profonda e roca del conoscente e si girò già infastidito dal fatto che quel tipo l’aveva fermato
-Nolan- esclamò il ragazzo, che si girò lentamente verso l’altro. Anche Sarah si girò dopo che si fu accorta del fatto che Michael non la stesse più seguendo e si accorse che il ragazzo che l’aveva fermato era uno con cui era salita in ascensore.
-Allora, come stai? Ti sei ripreso?!- fece il ragazzo, con un tono strano, come se non volesse sapere davvero se il ragazzo stesse bene.
Sarah spostò gli occhi velocemente da lui a Michael. Non conosceva molto il biondo, ma poteva giurare che in quel momento probabilmente era molto meno entusiasta di quello che stava dando a vedere.
Nolan era un ragazzo di media statura, capelli neri, con un ciuffo cotonato sulla fronte, i suoi occhi erano piccoli e chiari, e la sua espressione era a metà tra un ghigno e un sorriso.
-Sì, me la passo meglio ora- commentò vago Michael, spostando il suo sguardo da lui all’accompagnatrice al suo fianco. Alzò un sopracciglio per il disappunto.
-Beh, ti sarai preso un bello spavento, no? Tuo padre non ti ha nemmeno nominato azionario di famiglia per giunta…Hai rischiato grosso- commentò Nolan, senza mostrare un minimo accenno di tatto per ciò che stava dicendo.
Michael al sentire quelle parole si irrigidì e Sarah notò di come avesse indurito la mascella e di come un nervo al lato del collo si fosse teso. Probabilmente non gli doveva stare molto simpatico.
Ma quell’idiota chi era?
-Certo Nolan, come se diventare azionario di famiglia sia la mia unica aspirazione- commentò Michael, che sapeva come relazionarsi a quel piccolo insolente di fronte.
Nolan era il figlio di un amico di suo padre, e Michael già dalla tenera età aveva capito quanto fosse idiota, per non parlare dei trascorsi che entrambi avevano.
Sarah dischiuse leggermente le labbra: ma come si permetteva quel ragazzo a dire certe cose? E soprattutto come si poteva ritenere un posto di lavoro più importante della salute?
-Ah, Michael sei sempre il solito moralista! Quante volte devo ripeterti di goderti la vita?- replicò Nolan di fronte, buttando giù un bicchiere di spumante.
-Mai abbastanza, a quanto pare- commentò il ragazzo sarcastico, che aveva spostato gli occhi sulla ragazza mora che era al fianco di Nolan, avvertendo un certo fastidio.
-Mmm- mormorò Nolan, notando di come Michael stesse guardando Ashley al suo fianco e provando un pizzico di soddisfazione. Lui e il figlio di Miles erano da sempre stati in competizione e se Michael stava provando anche solo un accenno di gelosia in quel momento, a lui stava più che bene e poteva ritenersi soddisfatto.
-Ti presento la mia accompagnatrice- aggiunse il moro, ghignando leggermente e presentando quella specie di modella al ragazzo.
Si accorse solo in quel momento che accanto a lui c’era anche un’altra persona. Sia Nolan che Ashley si sporsero verso Sarah e si presentarono.
-Ah, Michael, dove sono le buone maniere? Non mi presenti…-iniziò a dire Nolan, soffermandosi un attimo a guardare le fattezze di Sarah. Possibile che Trisher riusciva sempre a portarsi a letto le ragazza più belle?
-Sarah- commentò Michael, che si era fatto immediatamente protettivo con la mora al suo fianco.
Nolan era un idiota e lui lo sapeva fin troppo bene, e non avrebbe mai voluto fargli conoscere Sarah.
-Nuova ragazza?!- chiese il moro con un ghigno, notando di come Michael avesse messo una mano sul fianco di Sarah. –Le cambi spesso. Non stavi con Blake?- aggiunse sfidandolo.
Michael arricciò il labbro. Non avrebbe voluto dire a Sarah di Blake e per di più non avrebbe voluto fare una scenata davanti a tutti, soprattutto quando avrebbe voluto prendere a pugni quel deficiente di fronte. Quella era la gente di cui secondo sua madre e suo padre si doveva accerchiare per farsi strada nella vita.
Sarah al sentire quelle parole si girò a guardare Michael sorpresa. Chi era Blake? Perché non gliene aveva mai parlato? E cosa voleva dire che cambiava spesso ragazza?
Nolan notò di come Sarah avesse spostato gli occhi su Michael e di come lo stesse guardando e interiormente emise un urlo di gioia.
-Oh, scusate, non le avevi detto niente- continuò a dire Nolan, fintamente risentito, stringendo Ashley da un fianco che era rimasta praticamente muta al suo fianco.
Michael lo fulminò con lo sguardo. Si sentiva gli occhi di Sarah addosso e lui non sapeva cosa dire, ma allo stesso tempo non voleva dare un’immagine di sé sbagliata, soprattutto alla ragazza al suo fianco.
-Sarah non è la mia ragazza- rispose Michael, cercando di essere il più calmo possibile, ma il suo tono fu così secco e atono che risultò quasi sgradevole.
Nolan spostò lo sguardo dal biondo alla ragazza e poi alla mano di Michael attorno al suo bacino.  Ah, sì? Quella non era la sua ragazza?
Al sentire quella frase, pronunciata in quel modo, Sarah si sentì a disagio. Nolan era palesemente una persona che a Michael non piaceva, ma il tono e la repentinità con cui Michael aveva risposto a quella domanda, la lasciarono amareggiata e si sentì quasi rifiutata.
Fece un passo indietro e si sciolse a malincuore dalla presa del ragazzo, cercando di farsi minuscola e non farsi notare più da nessuno.
Michael sentì la mora allontanarsi ed emise quasi uno sbuffo. Nolan non gli avrebbe rovinato anche quella serata.
-E comunque- riprese a dire il biondo questa volta rivolto ad Ashley e non a Nolan –Se posso darti un consiglio, dovresti tenerlo sotto controllo. Probabilmente concluderà la serata chiuso in bagno con qualche cameriera- commentò glaciale il ragazzo, prendendo Sarah per un polso e trascinandola lontano da quel tipo.
-Coglione- mormorò il ragazzo, quando si fu allontanato abbastanza da quella coppia. Aveva ancora Sarah per mano e non si era accorto che la ragazza lo stesse chiamando per farlo fermare.
-Michael!- fece lei, cercando di stargli dietro e di scansare gli altri invitati, a cui il ragazzo faceva cenni con la testa o salutava velocemente.
-Scusami. Nolan è un…- iniziò a dire il ragazzo, innervosito fino al midollo dal comportamento dell’altro.
-Non fa niente, Michael. Lascia stare- fece Sarah un po’ stizzosa, interrompendolo e cercando di non incontrare i suoi occhi. Non capiva né perché Michael avesse cambiato atteggiamento, né chi fosse quel ragazzo da suscitargli tanto odio, e poi, ok che lui non provava niente per lei, ma avrebbe potuto evitare di ammetterlo in maniera così diretta e senza nessuna esitazione. Avrebbe potuto semplicemente dire “è un’amica” o “è una conoscente”, sarebbe stato molto più carino e meno scortese.
Gli occhi della ragazza vagarono sul suo polso e notarono di come Michael la stesse ancora tenendo per mano e quando anche il ragazzo se ne accorse, lasciò subito la presa, confermando, agli occhi di Sarah, quello che lei stava pensando.
La ragazza scosse un po’ la testa risentita e distolse completamente lo sguardo.
-No, davvero…- iniziò a dire il ragazzo. Le voleva dire davvero chi era quell’idiota e perché era stato tanto brusco, ma Sarah non gliene diede il tempo.
-Sì invece, non mi devi dire niente, e io non…insomma, non devo per forza sapere tutto di te- disse Sarah, in preda al nervosismo e alla rabbia, pensando alla ragazza che Nolan aveva nominato e al fatto che avesse accennato a come Michael si comportasse.
Si guardò attorno e notò di come qualcuno la stesse guardando e in quel momento avrebbe voluto tutto tranne che dare spettacolo in mezzo a quel branco di borghesi ricchi e snob.
-Vado a prendermi da bere- aggiunse, cercando di non guardare Michael e soprattutto di non apparire poi così arrabbiata.
Michael la guardò allontanarsi e non riuscì a dire nulla. Non capiva perché la ragazza se la fosse presa o perché avesse cambiato comportamento, e tutto quello che riuscì a fare fu seguirla con gli occhi fino al buffet allestito con gli alcolici. Dopo qualche istante la perse con lo sguardo e si girò a guardare di fronte a sé e trovò Nolan che, appoggiato al muro, si era goduto tutta la scena.
Michael lo fulminò con lo sguardo, trattenendosi a stento, e si girò, andando verso l’open bar che era stato allestito al centro della sala.
Sarah prese un calice di spumante da una splendida tavola addobbata con rose e orchidee bianche, e quando notò che non solo quella tavola, ma tutta la sala era decorata con quel tipo di fiori, quasi sussultò sperando che quella fosse solo una coincidenza.
Era impossibile che Michael avesse fatto addobbare quella stanza con dei fiori uguali a quelli che lei gli aveva portato durante la sua prima visita all’ospedale.
Ripensò al ragazzo e sospirò, pensando di aver appena fatto la parte della stupida. Non sapeva nemmeno lei perché si era innervosita: forse prendere atto che Michael avesse un ex fidanzata relativamente recente l’aveva fatta ritornare con i piedi per terra, in cui ognuno di loro aveva una vita al di fuori di quella che si erano raccontati.
Pensò a quella fantomatica Blake e se la immaginò simile a Martha: alta e bionda, con un fisico da urlo, ricca e probabilmente bellissima e si risentì inadatta per tutta quella situazione. Si diede della stupida per aver creduto anche solo per un istante che lei avrebbe potuto far parte della vita del ragazzo e si ritrovò qualche secondo dopo a fissare il suo calice, osservando le bollicine di spumante salire a galla.
-Ci rincontriamo- fece al suo fianco una voce che aveva già sentito e che la incuriosì. Non era Michael e non era nemmeno Nolan: si girò per vedere chi le stesse rivolgendo la parola, dato che non conosceva praticamente nessuno a quel party, e rimase particolarmente sorpresa.
Un ragazzo alto, con i capelli bronzati, una leggera barba e gli occhi cervone, la stava guardando particolarmente attratto dalle sue fattezze in attesa di una risposta.
Sarah assunse un’espressione confusa, cercando di capire dov’è che avesse  già incontrato il ragazzo e quando lui sorrise, mostrando delle tenere fossette ai lati delle guance, lei lo riconobbe.
-Il ragazzo del sapone!- esclamò Sarah abbozzando un sorriso, continuando però ad essere confusa a riguardo. Che ci faceva lì?
Sam rise compiaciuto e ribatté alla mora. 
-Ti sono rimasto impresso, allora, ragazza dei frutti di bosco!- esclamò il ragazzo sorridendo. Sam fece scorrere velocemente gli occhi su di lei e fu contento di trovarla lì. Quanto meno il suo strambo piano aveva funzionato e finalmente il suo amico si era deciso a fare l’uomo e a prendere in mano la situazione.
Sarah scoppiò a ridere di gusto, sinceramente divertita dal fare del giovane.
-Beh, non capita molto spesso che un ragazzo mi chieda consigli su che sapone usare!- ribattè Sarah, che per qualche secondo aveva abbandonato i suoi pensieri e il suo nervosismo.
Sam sorrise sornione, assumendo uno sguardo vispo e un sorriso malizioso. Prese al volo un bicchiere di spumante e poi si girò verso Sarah, intenzionato a brindare. Si sporse in avanti allungando leggermente il calice e lo fece cozzare delicatamente con quello della ragazza e con il sorriso ancora stampato in faccia, bevvero entrambi.
-Io sono Sam- fece lui, deglutendo il vino e allungando una mano.
-Sarah, molto piacere- rispose la ragazza. Sam aveva delle splendide e tenerissime fossette ogni volta che sorrideva e lei era particolarmente colpita dal suo modo di fare.
Stava indossando anche lui un abito scuro, coordinato con una camicia blu notte lucida leggermente aperta sul petto.
Dopo averlo scrutato per qualche secondo, la ragazza assunse un’espressione confusa, dovuta al fatto che si stesse chiedendo perché quel ragazzo fosse lì.
-Sono il miglior amico di Michael- rispose Sam, quando Sarah gli pose la domanda, e lui sorrise malizioso. –Lo conosci, vero?!- chiese apposta, come se non sapesse già la risposta.
Sarah sospirò e rimase sorpresa dalla risposta del ragazzo. Era il migliore amico di Michael? E allora non era un caso che l’avesse incontrato al supermercato il giorno in cui anche Michael si era presentato? Erano andati insieme? E per quel motivo l’aveva fermata facendole quelle strane domande sui saponi e liquidandola improvvisamente dopo qualche minuto?
Lo diceva lei che quel ragazzo si doveva essere ritrovato a Brooklyn per caso, e ci aveva visto giusto quando, guardando il suo cappotto nero di panno, aveva intuito fosse dell’East Side.
-Sì, lo conosco- rispose Sarah qualche secondo dopo, abbassando un po’ lo sguardo e arrossendo leggermente.
Questa reazione non sfuggì agli occhi di Sam che la trovò ancora più attraente del solito.
-Mmm…- commentò il ragazzo poco convinto del suo tono, guardandola di lato. Era davvero bellissima nella sua camicia in pizzo panna a dolce vita, e stava davvero bene con quel trucco così femminile e sensuale. Avrebbe dovuto ricordare a Michael di non farsela scappare per nulla al mondo e se proprio lui l’avesse fatto, ci avrebbe pensato lui a non farla sentire sola.
-Comunque, c’è stato un bel cambiamento dall’ultima volta che ti ho vista- commentò Sam sorridendo malizioso, non riuscendo a resistere dalla voglia di dirlo.
Sarah poteva giurare di aver visto sul viso di Sam la stessa espressione che anche Michael assumeva quando diceva cose maliziose o faceva complimenti velati, e tutto ad un tratto si ritrovò a pensare che fosse quasi naturale il fatto che erano migliori amici: da quelle poche battute che si erano scambiati in quel momento e anche in passato, rivedeva molto dei comportamenti di Michael in quel ragazzo.
-Uhm?! Cosa?- chiese Sarah, che sembrava non aver capito.
Sam sorrise sornione e si sporse in più verso di lei, avvicinandosi con le labbra al suo orecchio, giusto per farglielo capire bene.
Sarah rimase immobile e interdetta. Il profumo forte e speziato di Sam la colpì in pieno e lei si ritrovò a respirare un po’ più velocemente del solito, totalmente imbarazzata per quel gesto. Anche perché si ritrovò il viso di Sam a dieci centimetri dal suo.
-Preferisco di gran lunga questa mise che quella del supermercato- commentò con voce bassa il ragazzo, incontrando prima gli occhi luminosi e cangianti di Sarah e poi rivolgendo lo sguardo al suo seno e ai suoi fianchi.
Sarah capì meglio e si sentì letteralmente avvampare. Quel tipo stava flirtando con lei?
Rimase qualche secondo senza parole, con le labbra un po’ dischiuse, cercando qualcosa di senso compiuto da dire, ma le risultò alquanto difficile in quel momento.
Sam rise sotto i baffi, conscio del fatto di averla messa in difficoltà e non potè fare a meno di continuare a sorridere compiaciuto di se stesso. Se avesse ricevuto un dollaro ogni volta che lasciava senza parole una ragazza, a quell’ora sarebbe stato milionario. Ah, no, effettivamente lo era già, e di certo non per quest’ultima cosa.
-Ehi! Era solo un complimento!-  fece il ragazzo, disarmato di fronte all’imbarazzo di Sarah in quel momento, allontanandosi e ritornando a guardarla di fronte.
-Ehm,sì…Grazie- rispose la ragazza che stava sentendosi letteralmente le guance andare a fuoco. Bevve un sorso dal suo calice e le sembrò quasi di stemperarsi.
Sam buttò giù il suo spumante e poi continuò a parlarle come se non fosse successo nulla. Per qualche strana ragione quella ragazza l’interessava e non in maniera maliziosa, ma l’interessava in senso vago. E poi si era presa cura del suo amico in un momento di bisogno, e  questo a lui bastava per inserirla nella lista delle persone di cui fidarsi e da trattare bene.
-Dunque, è la prima volta che vieni qui?- chiese Sam con nonchalance, prendendo Sarah da un fianco e portandola verso il buffet delle cose da mangiare. C’era un po’ di calca ma lui si fece strada senza problemi.
Da quei pochi minuti di conversazione, Sarah riuscì a constatare che anche Sam era conosciuto da tutti in quel posto e anche lui, come Michael prima, elargiva e dispensava saluti e abbracci alle varie persone che lo fermavano.
A proposito di Michael, dov’era andato?
-Sì. Michael mi ha invitato qualche giorno fa. In realtà non mi ha spiegato molto bene a cosa sia dovuta questa festa- rispose sincera Sarah, che ringraziò con un sorriso il ragazzo quando le passò una coppetta con dei frutti di mare.
-Sì, Amanda ha sempre le manie di protagonismo…- iniziò a dire Sam, dando per scontato che Sarah sapesse chi fosse Amanda, ma davanti il suo sguardo vago però puntualizzò –Sai, sua madre…- aggiunse –E lei ha dato questo enorme ricevimento per celebrare il ritorno in società di Michael- fece il ragazzo, con una nota di disappunto nella voce.
-Capisco- commentò la ragazza, colpita dal tono usato da Sam: non sembrava molto entusiasta dell’idea.
-Quindi…- continuò a fare lui, addentando una tartina –Ti stai divertendo?- domandò incontrando i suoi occhi.
Sarah sorrise leggermente. “Divertirsi” non era la parola più adatta in quel momento.
-Sì- commentò poco convinta e risultò una bugia anche a se stessa, ma di certo non poteva dire che non conosceva nessuno, che aveva scoperto che Michael aveva un’ex ragazza recente e che lei aveva avuto una reazione leggermente esagerata a riguardo.
Sam scoppiò a ridere sapendo che quella era di gran lunga una bugia e ci scherzò su ancora un po’.
-Guarda che puoi dirlo che questo ricevimento è una noia mortale…Michael di certo non se la prenderà- commentò lui facendo l’occhiolino.
Sarah sorrise scuotendo la testa. Quel ragazzo era una mina vagante, letteralmente.
-Beh, il cibo e le bevande sono buone!- disse la ragazza stando al gioco.
-Hai detto bene. Ne ho visti di party peggiori di questi e in cui non c’era nemmeno del buon cibo! Uno strazio, te lo assicuro!- esclamò Sam, ricordando certi ricevimenti da coma a cui era stato invitato.
Sarah rise, colpita dalla sincerità che il ragazzo stava mostrando verso di lei.
-E poi tutti sanno che la cosa più bella dei party…- iniziò a dire Sam, prendendo un altro bicchiere di spumante al volo e avvicinandosi di nuovo alla ragazza con fare malizioso -Sono gli after party- concluse, lanciandole uno sguardo da vero ammaliatore. Sarah rimase un po’ interdetta da quell’affermazione, ma molto presa dai modi di fare di Sam. Era molto intraprendente, non c’era dubbio.
-Andiamo, non crederai davvero che i giovani di Manhattan si divertano con queste feste!- esclamò Sam qualche secondo dopo, di fronte lo sguardo di Sarah un po’ confuso.
-Mmm, non lo so! Non sono di Manatthan!- ribattè sorridente Sarah.
-Michael non ti ha detto niente?!- chiese Sam.
Sarah sembrò avere un sussulto quando sentì il nome del ragazzo e si iniziò a guardare nervosamente attorno. Sam notò tutte queste cose e sorrise leggermente.
-No, cosa avrebbe dovuto dirmi?- fece Sarah curiosa. In fondo non aveva avuto così tanto tempo per parlare con Michael di quel ricevimento.
-Che dopo ce ne andiamo tutti allo Sky Room vicino Time Square. E’ un locale fenomenale- disse Sam mangiando un gamberetto. –E i cocktail che servono sono grandiosi. Sono capaci di farti dimenticare un’intera serata se scegli quello giusto- aggiunse il ragazzo. Evidentemente la sapeva lunga su quel locale.
La ragazza guardò per qualche secondo il suo bicchiere e poi commentò atona.
–Mi spiace, non ne sapevo niente- disse, leggermente risentita ma anche rassicurata da quella cosa. In fondo non poteva stare con Michael in ogni momento, e tutte quelle piccole cose le avevano fatto capire che probabilmente il fatto che fossero usciti insieme il pomeriggio precedente e che Michael l’avesse invitata lì, era solo un modo per sdebitarsi e ricambiare il favore delle visite in ospedale.
-Beh, ora lo sai- commentò Sam, che aveva notato un certo cambiamento nello sguardo della ragazza.
-Comunque anche se l’avessi saputo, non sarei venuta comunque- fece Sarah, cercando di farsene una ragione –Domani devo andare a lavoro e attacco alle otto- disse.
-Prometto che ti riportiamo a casa ad un’ora decente- fece Sam, sorridendo sornione. Sarah notò di nuovo le sue tenerissime fossette e non potè fare a meno di sorridere alla sua richiesta, ma davvero, non poteva fare tardi.
-E poi domani è Domenica!- esclamò Sam ad un certo punto, completamente sconvolto dal fatto che Sarah lavorasse di Domenica.
-Lo so, ma si avvicina Natale e facciamo gli straordinari- commentò la ragazza.
Sam le mandò un’occhiataccia, sinceramente risentito da quella cosa. Avrebbe davvero fatto di tutto per farla andare con loro e aveva almeno due ore di stress psicologico per farla cedere e per spingerla ad accettare.
-Oh, andiamo! E’ Sabato! E hai l’occasione di passare la serata con un aitante rampollo di New York, anzi degli interi Stati Uniti d’America. Quando ti ricapita questa cosa?- chiese Sam sorridendo malizioso.
Sarah scoppiò a ridere, divertita dalle parole che Sam aveva appena usato.
-E l’aitante rampollo chi sarebbe? Tu o Michael?- chiese Sarah.
-Io, ovviamente- rispose Sam lanciandole uno sguardo d’intesa –Ho detto degli interi Stati Uniti, è ovvio che sia io!- ripetè il ragazzo pavoneggiandosi.
Sarah continuò a ridere davvero di gusto, per fortuna che l’aveva incontrato, altrimenti si sarebbe messa in un angolino a guardare tutti gli altri invitati parlare e  divertirsi.
-Mmm, se allora sei uno dei ragazzi più richiesti dell’intera nazione potrei farci un pensierino…- scherzò Sarah, assumendo una finta espressione dubbiosa e incontrando lo sguardo malizioso e magnetico di Sam.
Il ragazzo incatenò gli occhi ai suoi e si fece un po’ più serio. Un ciuffo le stava ricadendo sul viso e lui, totalmente incurante della reazione che la ragazza avrebbe potuto avere, provvide a spostarglielo, riportandolo dietro l’orecchio e sfiorandole leggermente il viso con la punta delle dita.
Sarah rimase qualche secondo immobile: era la seconda volta che Sam compiva un gesto così e rimase interdetta, con il respiro che le si fermò in gola.
-Così puoi vedermi meglio- fece il ragazzo al suo orecchio causandole un brivido dietro la schiena, sorridendole  leggermente.
Sarah guardò per qualche secondo i suoi occhi verdi e dischiuse leggermente le labbra, cercando di dirgli qualcosa di sensato.
Sbagliava o Sam era alquanto…espansivo?
-Comunque- si riprese il ragazzo, ritornando ad essere esuberante come sempre -Ti va qualcosa di decente da bere? C’è un open bar con i cocktail dall’altra parte della sala-
-Ehm, sì, mi andrebbe…- rispose la ragazza, accennando un sorriso imbarazzata.
-Vuoi qualcosa in particolare?- chiese Sam.
-Uno Spritz va più che bene- commentò Sarah.
-Vado a prenderli, aspettami sul terrazzo. E’ da quella parte- fece Sam, indicando una grande vetrata aperta da quelle parti.
Il ragazzo si diresse verso la grande struttura in legno montata per l’occasione e notò come Michael fosse lì, appoggiato sui gomiti ad uno sgabello alto in pelle, e di come lo stesse seguendo con gli occhi.
-Ohi, Mike, dov’eri finito?- chiese Sam, andandogli vicino.
Michael di rimando non gli rispose subito, ma lo squadrò dalla testa ai piedi, infastidito dal comportamento che il ragazzo aveva appena assunto.
Sam notò di come il biondo avesse spostato lentamente lo sguardo prima da lui e poi ad un punto indefinito sulla sala e di come avesse irrigidito la mascella.
-Che cos’è che stai facendo esattamente, Sam?- chiese il ragazzo a denti stretti, cercando di non farsi vedere più arrabbiato di quanto già non fosse.
Sam aggrottò un po’ la fronte e poi guardò nella stessa direzione in cui stava guardando Michael, scorse Sarah in lontananza mentre aspettava sul rooftop della sala e allora capì, e fece un sorriso.
-Ho semplicemente fatto quello che dovresti fare tu: intrattenere i tuoi ospiti- commentò Sam, che si girò verso il bancone intento ad ordinare il cocktail per la ragazza.
Non mancò di lanciare uno sguardo all’amico e notò di come egli stesse ancora guardando di fronte a sé, con l’espressione glaciale e il corpo contratto.
-Intrattenere i miei ospiti?!- ripetè Michael sarcastico, conoscendo fin troppo bene i comportamenti di Sam.
-Cos’è, Michael, sei geloso?- chiese Sam sorridendo, conscio di aver centrato a pieno l’argomento. Finalmente l’amico si era dato una svegliata.
-Ci stai provando con lei?- chiese ancora Michael, che davvero non poteva credere ai suoi occhi: Sam era lì accanto a lui e aveva appena finito di fare l’idiota con la ragazza che gli piaceva, cosa di cui lui era tra l’altro a conoscenza, e lo stava palesemente canzonando con i suoi modi di fare sbruffoni e decisamente arroganti.
Sam di tutta risposta lo ignorò un attimo, chiedendo al barista di fargli uno Spritz.
-Non ci sto affatto provando con lei- rispose Sam dopo qualche secondo, girandosi a guardare di nuovo Michael –Non mi sono impegnato nemmeno un po’- commentò, godendosela come un bambino.
Michael aveva assunto un’espressione di rabbia mista ad incredulità. Era serio? Perché lui non aveva davvero problemi a prenderlo a pugni davanti a tutti.
-E comunque l’avrei sicuramente fatto…- continuò a dire il ragazzo, lanciando uno sguardo di puro divertimento a Michael solo per godersi l’espressione che avrebbe assunto -…se non fosse stata completamente pazza di te-
Michael si girò di scatto a guardarlo, aveva assunto un’espressione di stupore totale.
-Non è vero-  commentò il biondo, scuotendo un po’ la testa, ma sperando in cuor suo che fosse così.
-Oh, sì invece- ribattè Sam con un tono molto eloquente, da chi la sapeva lunga –E sta aspettando uno Spritz sul tuo terrazzo- fece Sam, spostando il bicchiere che il barista gli aveva messo davanti verso Michael.
Michael lo guardò di lato e vide che l’amico gli aveva appena fatto l’occhiolino.
Sam si mise nella stessa posizione in cui si trovava Michael e iniziò a cercare qualcuno tra la gente.
Il biondo dal canto suo si fermò qualche secondo a guardare l’amico, e solo allora capì che Sam aveva fatto tutto per un solo motivo: attirare la sua attenzione e costringerlo a smuoversi. Scosse la testa e mormorò –Sei un coglione-
Poi si alzò, prese il bicchiere e si incamminò verso il rooftop.
-Non c’è di che- rispose Sam, sorridendo soddisfatto. Ordinò un J&B on the rocks e dopo che l’ebbe avuto, ritornò a scrutare le persone nella sala fino a quando non intercettò Martha Trisher con lo sguardo.
Michael si incamminò verso il grande terrazzo, addobbato anch’esso per l’occasione. Sarah stava aspettando di spalle, appoggiata alla ringhiera di pietra intarsiata intenta a godersi il panorama.
Il ragazzo sorrise leggermente scorgendo la sua figura. Benchè indossasse una semplice camicia e un pantalone era molto elegante e anche molto sexy, adorava i suoi lunghi capelli raccolti in un’ordinata e precisissima treccia a spina di pesce e amava alla follia vederla arrossire per un complimento o solo perché lui aveva fatto qualcosa che lei non si sarebbe aspettata.
Sorrise ancora, ripensando alle parole di Sam, e scosse il capo, dandosi dell’idiota per aver pensato che l’amico volesse fregargli la ragazza.
-Qualcuno mi ha mandato a darti questo- fece lui, forse spaventandola un po’.
Sarah si girò di scatto, Michael l’aveva presa in un momento di riflessione.
-Oh, grazie- fece Sarah prendendo il bicchiere dalle mani del ragazzo, aspettandosi Sam piuttosto che Michael . –Ne vuoi un po’?- aggiunse la ragazza, cercando di non dare a vedere che si sentiva un po’ a disagio, sia per quello che era successo prima e sia per i momenti trascorsi con Sam.
-No, grazie- rispose gentile il ragazzo –Non posso bere molto. Sai…le medicine e cose varie-
Al sentire quella risposta Sarah si diede per la stupida, non ci aveva pensato.
-Scusami- disse solo lei, e sembrava più uno scusarsi in generale più che per quella cosa.
-Tranquilla- replicò lui accennando un sorriso.
-Ho conosciuto Sam- fece Sarah qualche secondo dopo.
-Sì, lo so- disse Michael ghignando, benchè avesse ancora un po’ di gelosia in corpo.
-E’…simpatico- fece la ragazza, quasi con timore.
Michael la guardò negli occhi e trattenne un risolino.
-Sì, se non ha secondi fini, sì- fece, cercando di interpretare lo sguardo che Sarah aveva.
La ragazza sembrò confusa per quell’affermazione, ma non volle indagare e iniziò a sorseggiare il suo cocktail.
-Lui mi ha invitato ad una sorta di after party- iniziò a dire la ragazza cercando di capire se Michael si fosse dimenticata di avvisarla –Mi ha detto che ci vai anche tu-
-Ah, sì…allo Sky Room- iniziò a dire i ragazzo, che aveva completamente rimosso l’after party.
-Vuoi andarci?- chiese il ragazzo, attratto dal rossetto rosso fuoco di Sarah. Le sue labbra sembravano disegnate, e probabilmente erano anche morbide e carnose.
-Dicevo così…- cercò di giustificarsi Sarah che notò il modo in cui Michael la stesse guardando. –Domani ho un turno al supermercato-
Michael fece un passo verso di lei e si avvicinò di più, poggiandosi con un gomito sulla ringhiera in pietra.
-Ti accompagnerò a casa ad un’ora decente- fece il ragazzo, lanciandole uno dei suoi soliti sguardi maliziosi. A Sarah partì  un brivido dalla parte bassa della schiena fino ad arrivare sotto il collo. Perché doveva essere così dannatamente attraente?
-Sam ha detto la stessa cosa- fece la ragazza, trattenendo una risata per il fatto che i due avessero usato le stesse parole.
Michael sorrise e si rimise dritto, allungò un braccio offrendoglielo a Sarah e disse –Vieni, ti faccio vedere la casa-
Sarah rimase un po’ interdetta, ma cercò di cogliere quel momento di contatto fisico e si attaccò a Michael, seguendolo lungo il tragitto.
-Sai, non credo di avertelo mai detto…- disse all’improvviso Michael giusto quando notò Sam intento a parlare con sua sorella dall’altro lato della stanza –Ma, sei bellissima stasera, davvero-
A Sarah venne un mancamento. Aveva sentito bene? Sentì di nuovo le guance infuocarsi e poteva giurare di aver visto una specie di ghigno malizioso prendere forma sulle labbra del ragazzo.
-Ehm, grazie- disse a bassa voce, abbassando lo sguardo e cercando di procedere senza intralci.
Michael scosse il capo divertito, pensando che ci voleva davvero poco per farla ammutolire e continuò a camminare.
Salirono le scale in marmo e dopo qualche minuto si ritrovarono nella hall della sua vera casa.
Sarah notò l’arredamento, i quadri e i fiori in ogni dove e poteva ammettere che quella casa sembrasse più una galleria d’arte che un appartamento.
Michael sorrise, leggendo lo stupore negli occhi della ragazza e portandole una mano dietro la schiena, la condusse in un’altra stanza.
-Vieni- fece lui. In realtà cercava solo un posto in cui stare da solo con lei, ma già che poteva contare sul fattore di “casa grandiosa” tanto di guadagnato.
Aprì una porta in legno intarsiato ed entrambi si ritrovarono in un grande salotto, quello vero di casa Trisher, con divani e poltrone in pelle, tende di seta dorate e un grande piano forte al centro della stanza.
Sarah ebbe un brivido entrando in quella stanza: era terribilmente simile alla biblioteca che aveva sognato qualche tempo prima, in cui sia lei che Michael erano al centro della sala e ballavano accompagnati da musica classica.
-Mi dispiace per prima- iniziò a dire il ragazzo, chiudendosi la porta alle spalle e accendendo una piantana che illuminò debolmente la stanza.
-Per cosa?- chiese Sarah confusa, leggermente spaventata dall’essere lì da sola con lui, lontano da tutti e da tutto.
-Per Nolan…Lui è un- iniziò a dire Michael, ma non fece a tempo a finire.
-Michael, non devi spiegarmi per forza e insomma, non sei costretto a rendermi partecipe della tua vita solo perché vuoi sdebitarti per le visite in ospedale- fece Sarah, parlando molto veloce, tanto che Michael aggrottò un po’ la fronte, soprattutto per le scemenze che stava dicendo.
-Lui è andato a letto con la mia ragazza…tempo fa- ammise Michael tutt’una volta, alzando gli occhi e incrociando gli occhioni di Sarah.
La ragazza si ammutolì, sinceramente sorpresa da quell’ammissione.
-Sì, Blake è la mia ex ragazza- fece Michael –E mi tradiva con Nolan- ripetè sospirando.
-Pensavo che una volta averli scoperti loro si sarebbero messi insieme, invece lui stasera si è presentato con quella tipa, quindi…evidentemente non è così- concluse il ragazzo, appoggiandosi di lato alla coda del piano forte e portando Sarah lì con sé.
La ragazza sospirò. Chi era quell’idiota che aveva anche solo pensato di poterlo tradire con un altro ragazzo?
-Tu l’amavi?- chiese Sarah, penetrata dalle iridi blu del ragazzo. Non sapeva nemmeno lei da dove le era uscita una domanda del genere.
-Non lo so- rispose sincero Michael –Ci sono rimasto male quando l’ho scoperto…Ma credo fosse più per orgoglio di essere stato tradito- fece, sorridendo amaramente.
-Questa Blake deve essere una stupida- commentò Sarah a bassa voce, sperando quasi che Michael non l’avesse sentita.
Il ragazzo la guardò di lato e accennò un sorriso, aggrottando però un po’ la fronte dal momento che non aveva capito cosa intendesse.
-Sì, insomma…- iniziò a dire Sarah –Come si fa a tradire un ragazzo come te? Io non l’avrei mai nemmeno pensato- fece, guardando un punto indefinito della stanza e sentendo le guance andare a fuoco.
Michael la guardò cercando di intercettare il suo sguardo, ma la ragazza si ostinava a voler guardare da un'altra parte. Ripensò ancora alle parole di Sam e alla reazione che lui aveva avuto vedendo l’amico interagire con lei e fece un passo verso la mora.
-Cosa?- chiese lui, divertito ed eccitato da quello che stava per fare. Si avvicinò ancora di più a lei e fu investito dal suo profumo classico e delicato.
-Dai, hai capito…- fece Sarah, così imbarazzata da non essersi nemmeno accorta che il viso di Michael era a dieci centimetri dal suo.
-No, non ho capito- continuò a dire il ragazzo, che adesso poteva quasi sfiorare con la punta del naso quello di Sarah.
La mora si accorse solo allora che Michael le era praticamente appiccicato e iniziò a sentire un forte dolore allo stomaco.
Era come nel suo sogno, ma questa volta era tutto reale.
Sarah aveva gli occhi fissi sulle labbra di Michael, e lui dal canto suo stava cercando di interpretare lo sguardo un po’ perso di Sarah come un momento di sbandamento dovuto alla sua vicinanza.
Allungò una mano e le prese il viso, iniziando ad accarezzarle con il pollice una guancia. Lentamente scese sul mento, seguì il profilo della mascella e poi si spostò sulle labbra, disegnandone il contorno.
Poco importava se si sarebbe sporcato di rossetto.
Sarah iniziò a respirare velocemente e cercò di trattenere il fremito che stava provando. Avrebbe voluto perdersi nei suoi occhi, avrebbe voluto baciarlo come mai aveva fatto con nessuno, ma rimase immobile, in attesa che Michael facesse la prima mossa.
-Volevo farlo dal primo momento che ti ho vista- sussurrò Michael che si chinò maggiormente e appoggiò la fronte su quella della ragazza. Stava letteralmente morendo dalla voglia di baciarla, ma voleva fare tutto in maniera precisa e non avrebbe sprecato quel momento solo perché lui voleva averla tutta per sé.
Le sfiorò il naso con il suo e poi, proprio quando le loro labbra si sfiorarono, proprio quando entrambi erano pronti a rilassarsi e ad abbandonarsi l’uno all’altra, la grande porta del salone si aprì, mostrando una figura longilinea e vestita di tutto punto.
Al sentire il rumore della porta che si apriva, Sarah si ritrasse immediatamente e Michael fece lo stesso, un po’ meno velocemente e un po’ più riluttante.
Chi diavolo era? Avrebbe giurato che se fosse stato Sam l’avrebbe davvero preso a pugni.
-Michael sei qui? Devi scendere, tuo padre sta per fare il discorso- iniziò a dire Amanda con voce glaciale ignara di quello che stava accadendo in quella stanza. Non ci volle molto a capire però perché Michael fosse sparito e dopo aver fatto scorrere gli occhi prima sul figlio e poi sulla sconosciuta al suo fianco aggiunse fredda –Sbrigati. Ti stiamo aspettando.-
Il ragazzo battè più volte le palpebre prima di afferrare che quella che era appena entrata fosse sua madre.
Sarah riconobbe Amanda e si sentì letteralmente andare a fuoco per l’imbarazzo, e poi poteva giurare che la donna la stesse guardando con uno sguardo omicida che la stava facendo sentire davvero inopportuna.
Michael chiuse un attimo gli occhi per poi riaprili, ricordandosi che da lì a breve la sua intera vita sarebbe stata condizionata e scosse la testa.
-Arrivo- disse solo il ragazzo, usando un tono per nulla entusiasta e molto eloquente, irritato dal fatto di essere stato appena interrotto nel momento in cui stava per baciare Sarah. 


 
***
Surprise!
Lo so, avevo detto che l'aggiornamento ci sarebbe stato di martedì, ma l'esame che dovevo fare oggi me l'hanno spostato a domani e quindi per non lasciarvi senza aggiornamento settimanale ho deciso di anticipare di un giorno la pubblicazione xD 
Alloooora, questo è il capitolo che mi è piaciuto di più scrivere, devo essere sincera, ho shippato un sacco Sam con Sarah, ma il nostro unico amore è solo Michael, quindi purtroppo ci dobbiamo soffermare su di lui! :P
Non mi dilungo troppo perchè devo ritornare a ripetere, però non posso che dirvi GRAZIE! Per le 60 persone che seguono la storia e per le 40 che l'hanno inserita tra i preferiti: aumentate di capitolo in capitolo! 
Le mie intenzioni per queste vacanze sarebbero pubblicare due volte a settimana, probabilmente o di martedì e di venerdì o di domenica e giovedì. Vorrei iniziare già subito da questa settimana ma non so se ci riesco (devo stare via da casa per un po', però se riesco a finire il 15° capitolo, vorrei aggiornare Domenica, al massimo vi faccio sapere).
Grazie per l'attenzione e soprattutto per la lettura! Fatemi sapere assolutamente che ne pensate!!!!! 
Anche perchè, cioè si sono quasi baciati!
Ciao donzelle!!!! 

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Capitolo 15
*** 15 ***


15

 
 
-Da quand’è che sei diventato così molesto, Sam?- chiese Martha Trisher, sorseggiando il suo bicchiere di spumante e facendo finta che la presenza del ragazzo non la infastidisse.
-Mmm, suvvia Martha, mi conosci da quando sono nato, sai che adoro infastidire la gente- commentò Sam con voce quasi civettuola, rivolgendo uno sguardo sornione alla ragazza alta e bionda accanto a lui.
Sapeva che Martha era un osso duro, e sapeva anche che con lei non sarebbe bastato fare gli occhi dolci o battutine idiote. Era più grande di lui e lo conosceva praticamente da sempre, fin dagli inizi della sua amicizia con Michael, e Martha sapeva bene come fronteggiarlo, e soprattutto non si faceva corrompere dal suo sguardo da cucciolo e dai suoi occhioni cervone.
-E dì un po’, tra tutte le persone che ci sono a questa festa, proprio me devi infastidire?- ribattè la bionda, scostandosi una ciocca di capelli dal viso.
Lo spostamento d’aria fece arrivare il profumo della ragazza alle narici di Sam, il quale sospirò quasi estasiato da quella fragranza.
Sam trattenne un risolino e si guardò attorno. Sbagliava o non c’era traccia del suo ragazzo?
-Dove hai lasciato…com’è che si chiamava? Jimmy? John?- chiese divertito il ragazzo, consapevole che Martha avrebbe anche potuto prenderlo a schiaffi davanti a tutti se lui le avesse detto qualcosa di sbagliato.
La bionda alzò gli occhi al cielo sbuffando.
-Si chiama Jackson- asserì lei, scocciata ma divertita allo stesso tempo.
-E’ lo stesso- commentò Sam, prendendo nota del vero nome del ragazzo.
-E comunque ci siamo lasciati- fece la ragazza.
-Uhm, je suis trés desolèe- commentò Sam, assumendo un’espressione fintamente dispiaciuta.
-Sei un bugiardo. Non sei desolèe per niente!- esclamò la ragazza, trattenendo una risata. Sam aveva la capacità di infastidirla e di divertirla allo stesso tempo. Della serie che avrebbe voluto dargli una botta in testa per farlo rinsavire, ma che allo stesso tempo gli sarebbe scoppiata a ridere in faccia.
-Infatti, non sono per nulla dispiaciuto- commentò il ragazzo, incuriosito da due figure che stavano scendendo le scale dall’altra parte della sala.
Michael e Sarah stavano entrambi scendendo la grande scalinata in marmo che conduceva al piano superiore, e sembrava fosse successo qualcosa tra loro. Procedevano abbastanza vicini, ma sembravano lontano anni luce con gli sguardi e con i pensieri.
Sam spostò gli occhi dai due ragazzi alla porta da cui erano appena usciti e fece un sorrisino. Sicuramente si erano baciati, quella era l’unica spiegazione. Altrimenti perché Michael avrebbe portato Sarah di sopra?
Ghignò, trattenendo una risata e Martha si girò incuriosita a guardarlo.
-Cosa stai fissando?- chiese la ragazza portando lo sguardo nella stessa direzione del moro.
Notò suo fratello scendere le scale, accompagnato da una ragazza che le sembrava di aver già visto in qualche occasione.
-Di’ un po’- aggiunse Martha, scorgendo in lontananza la figura di Sarah –Chi è quella?-
-Chi?- chiese Sam, incuriosito dall’improvviso interessamento della ragazza.
-Quella che sta venendo verso di noi- fece la bionda, notando di come Sarah stesse procedendo in quella direzione. Non ricordava bene dove l’avesse già incontrata, ma aveva la netta impressione di averla già vista da qualche altra parte.
Sam guardò la mora procedere verso di lui e accennando un sorriso rispose a Martha.
-Probabilmente la futura ragazza di tuo fratello- commentò divertito Sam, facendo un cenno con la testa a Sarah e richiamandola a sé.
Martha si girò a guardare prima il ragazzo, che stava letteralmente ghignando, e poi la ragazza mora che si trovava a qualche metro da lei e che impacciata, cercando di scansare le persone, avanzava avvicinandosi sempre di più.
Michael si era appena allontanato e aveva raggiunto suo padre al centro della sala. Il momento che non aveva per nulla atteso era giunto e lui provava un misto di emozioni contrastanti. Era ancora su di giri per il bacio mancato, ma era anche infastidito e quasi rassegnato per ciò che suo padre e sua madre stavano per fare. Sapeva che quel ricevimento non era solo un party per dargli il bentornato e odiava il fatto che i suoi genitori l’avessero preso in giro per tutto quel tempo. Era davvero basito dal fatto che loro avevano architettato tutta quella cosa solo per non farlo scappare davanti ai suoi compiti di figlio maschio della famiglia, ma purtroppo per lui, quella era la vita che gli era capitata e avrebbe dovuto accettarla negli aspetti negativi e positivi.
Amanda si affiancò a Miles che tutto impettito nel suo abito blu scuro, teneva un bicchiere in mano e lo stava riempiendo con dello champagne. Aveva visto suo figlio vagare tra la gente e portarsi in prima fila, e sentiva su di sé il suo sguardo inquisitore. Sapeva esattamente cosa stava pensando, glielo si leggeva in viso: i suoi lineamenti erano induriti e tesi e di certo non trapelava allegria o felicità.
-Grazie per essere venuti qui stasera- iniziò a dire l’uomo, che parlò con una voce molto sicura e profonda.
Sarah si alzò leggermente sulle punte, non aveva mai visto il padre di Michael e quando lo scorse dietro il tavolo, rimase quasi incantata dai lineamenti affascinanti e severi dell’uomo.
Michael era palesemente somigliante a suo padre, ma aveva ereditato i colori della  madre.
Miles aveva gli occhi marroni e i capelli scuri, niente a che vedere con i profondi occhi blu di Michael e con i suoi capelli dai riflessi dorati.
I lineamenti erano definiti e quasi delicati come quelli del figlio, ma complice l’età, l’uomo appariva molto più severo e austero.
-Mmm, ecco che inizia- commentò a bassa voce Sam, sospirando. Sarah si girò a guardarlo e il ragazzo le accennò un sorriso. Anche Martha si girò in direzione della ragazza e le due si incontrarono con lo sguardo.
Sarah non si era accorta della presenza della bionda e ritrovarsela davanti agli occhi fu davvero una sorpresa.
-Ciao- disse improvvisamente la mora, sentendosi gli sguardi della ragazza addosso. L’aveva riconosciuta?
-Ciao- ripetè la bionda continuandola a squadrare dalla testa ai piedi. Ma dove diavolo è che l’aveva già vista?
Sarah abbassò timidamente la testa, leggermente imbarazzata dalla presenza della ragazza. Era praticamente bellissima nel suo vestito satinato, con i suoi capelli biondi e lunghi e i suoi occhi chiari. Era una vera e propria modella e Sarah non rimase sorpresa dal fatto di trovarla ancora più bella di quando l’aveva incontrata all’ospedale.
La mora sospirò, ripensando a quel pomeriggio, ma poi riprese a guardare il padre dei ragazzi al centro della sala.
-Sapete tutti che sono stati dei mesi molto difficili per la nostra famiglia- continuò a dire Miles, allungando un braccio e richiamando Amanda accanto a sé –Ma fortunatamente sembra essersi risolto tutto per il verso giusto. Noi stiamo bene…- continuò a dire l’uomo facendo una pausa –Michael sta bene- aggiunse, rivolgendo lo sguardo verso il figlio e facendogli un cenno con la testa.
Michael lo guardò fisso negli occhi, lo sguardo gelido e impenetrabile. Per un attimo ripensò ai giorni passati in ospedale, alla sensazione che ebbe provato quando seppe di essere stato in coma sei settimane e irrigidì involontariamente la mascella.
-Ed è questa la ragione per cui abbiamo dato questo ricevimento stasera- proseguì Miles.
-Per festeggiare il ritorno di nostro figlio Michael- fece, invitando il ragazzo ad andare verso di loro.
Il ragazzo era alquanto restio alla cosa, ma accettò controvoglia dirigendosi verso suo padre.
Procedette a passi lenti fino a quando non si mise al suo fianco e si ritrovò tutti gli invitati che lo fissavano.
Sarah scorse il viso del ragazzo e notò di quanto la sua espressione fosse gelida e severa. Non conosceva nel dettaglio i trascorsi di Michael con la sua famiglia, ma poteva intuire che il ragazzo non fosse entusiasmato per nulla dalla cosa.
Non appena il ragazzo raggiunse suo padre, gli invitati iniziarono ad applaudire e ogni cameriere nella sala iniziò a porgere dei calici agli ospiti riempiti di champagne.
Un ragazzo vestito di bianco con papillon nero porse due calici a Sarah e a Sam il quale di fronte all’espressione stupida della ragazza le sibilò –Qui non si bada a spese-
Sarah sorrise leggermente, ma focalizzò subito l’attenzione su Michael e suo padre.
-Grazie per essere venuti tutti qui, stasera, e per aver mostrato tanto affetto nei confronti della nostra famiglia nel momento in cui ne avevamo più bisogno- riprese a dire Miles.
-Non ce ne dimenticheremo- disse, facendo una pausa.
-Quello che è accaduto alla mia famiglia in questi mesi- riprese a dire –Mi ha fatto riflettere sul vero senso della vita, ed è per questo che ho deciso di affrettare un po’ i tempi riguardo una cosa. Vorrei che anche mia figlia venga qui, in qualità di figlia maggiore della mia famiglia- continuò Miles, richiamando Martha assieme a lui e a sua moglie.
Martha, sentendosi chiamare fece un sospiro, e procedette verso la sua famiglia. Sapeva che suo padre avrebbe fatto una cosa del genere: era solo questione di tempo.
Gli invitati applaudirono ancora e tutti posarono gli occhi sulla bionda che camminava come se si trovasse su una passerella.
Michael le accennò un sorriso: il cuore gli batteva impazzito nel petto e lui non sapeva cosa fare. In realtà aveva pensato parecchio a quel momento, ma non credeva sarebbe arrivato davvero, ma le cose dovevano andare in quella maniera, e lui lo sapeva, altrimenti a che diavolo serviva la sua laurea in Economia a Princeton?
Lui avrebbe voluto studiare Storia, diventare un critico, scrivere saggi, magari diventare professore universitario, perché no: avrebbe sicuramente fatto strage di cuori al campus in qualità di assistente o insegnante più di quanto già non avesse fatto davvero. Ma suo padre lo aveva obbligato a studiare quello per cui la sua famiglia era diventata famosa e prima o poi avrebbe dovuto farci i conti.
-Bene- commentò Miles quando Martha si pose accanto a lui.
-Ora che siamo al completo, voglio presentarvi il nuovo membro della grande società Trisher- continuò Miles.
Martha sospirò e Michael chiuse gli occhi per un secondo. Gli riaprì e tra la folla scorse un viso che lo fece sentire improvvisamente più leggero.
Sarah era nella sua direzione e lo stava fissando, stava respirando veloce e aveva assunto un’espressione strana, tra il comprensivo e il dispiaciuto. In realtà aveva capito che qualcosa non andava e aveva letto l’espressione triste ma allo stesso tempo dura che Michael aveva assunto, e tutto quello che desiderava fare in quel momento era tenerlo per mano, rassicurarlo o quanto meno cercare di dargli conforto.
-Mio figlio Michael- terminò di dire Miles, proprio mentre gli occhi del ragazzo si stavano incatenando a quelli della mora.
Sarah riusciva quasi a sentire gli occhi di Michael penetrarla: in quel momento erano di un blu scuro, non erano luminosi e acquamarina come erano di solito, ma sembravano quasi riflettere il suo stato d’animo.
La folla scoppiò in un applauso e Miles passò la parola al ragazzo. In realtà lui non aveva molta voglia di parlare ma lo fece lo stesso, cercando di apparire calmo, rilassato, sorpreso e soprattutto riconoscente per quella inaspettata nomina.
-Grazie a tutti per essere venuti qui stasera- iniziò a dire il ragazzo con voce sicura e non tremante. In fondo gli era sempre piaciuto parlare in pubblico, prendere in mano le situazioni e comportarsi da leader: era sempre stata quella la sua forza, riuscire a volgere le situazioni a proprio vantaggio e l’avrebbe fatto anche quella volta.
-E soprattutto ringrazio la mia famiglia per avermi dato tutta questa fiducia. Sono onorato di far parte della nostra società…- continuò a dire il ragazzo –Ma più che questo, ci tenevo a dire una cosa- fece -Voglio ringraziare, dal profondo del mio cuore, tutti coloro che in questi mesi hanno pensato a me, che si sono presi cura di me, che hanno speso il loro tempo a farmi visita- disse Michael.
In realtà, benché quella stanza fosse gremita di gente, lui si stava rivolgendo solo ad una persona: ed era quella che stava guardando negli occhi.
Sarah abbozzò un sorriso, incatenando i suoi occhi a quelli del ragazzo.
-Io ringrazio tutti coloro che hanno condiviso le loro emozioni con me, perché…benchè fossi in coma- fece il ragazzo, pronunciando per la prima volta quella parola che indicava in maniera univoca ciò che aveva passato –Mi hanno fatto sentire vivo- concluse il ragazzo, alzando leggermente il calice che aveva in mano e continuando a guardare Sarah.
Le tremavano le gambe per l’emozione e sapeva che quelle parole erano rivolte a lei, a chi mai potevano essere altrimenti? Aveva passato un mese e mezzo nella stanza di Michael, mattina e pomeriggio se le era possibile e sapeva anche che di tutta quella gente che era lì a quel party, nessuno gli aveva mai fatto visita.
Deglutì cercando di non far trapelare il turbinio di emozioni che stava provando. In realtà sentiva il naso pizzicare e gli occhi riempirsi di lacrime, ma lottò con tutta se stessa per ricacciarle dentro e abbozzò un sorriso leggero, quasi impercettibile, quel tanto che bastava per farselo ricambiare da Michael, che sembrava in trance, completamente rapito dai suoi occhi brillanti e grandi.
Tutti gli invitati si scambiarono occhiate curiose: Michael era immobile e guardava fisso di fronte a sé. Tutti i suoi familiari cercarono di intercettare il punto in cui stesse guardando, ma dato il silenzio imbarazzante, Miles riprese in mano la situazione e invitò gli ospiti a dirigersi verso il buffet dei dolci, non prima però di aver applaudito alla sua famiglia e alla nuova posizione del figlio.
Quando tutti gli invitati iniziarono a muoversi verso il nuovo buffet allestito per l’occasione, Michael, senza badare a quello che gli stava appena dicendo Amanda, si diresse verso Sarah, con una convinzione e un’intraprendenza che aveva dimostrato per poche. Senza nemmeno badare a sua sorella o a Sam, che stava per fare un’altra battuta delle sue, prese Sarah per un polso e la trascinò verso un punto indefinito della sala, lontano da occhi indiscreti.
Amanda vide il figlio allontanarsi in fretta e furia e prendere per mano una ragazza, la stessa con cui l’aveva sorpreso nella camera di sopra qualche minuto prima, e dirigersi verso la stanza dei cappotti dall’altro lato della sala e sparirvici dentro. Non fece in tempo a domandarsi che diavolo di intenzioni avesse suo figlio, che suo marito la prese dai fianchi e la portò verso il buffet.
-Michael, dove stiamo andando?- chiese Sarah, che quasi non riusciva a stare dietro al ragazzo. Il biondo sembrava non aver sentito e qualche secondo dopo aprì una porta scura e dopo aver controllato che dentro non ci fosse nessuno trascinò con forza Sarah e si chiuse la porta alle spalle.
Prima ancora che la porta sbattesse contro l’anta di chiusura, Sarah si ritrovò le mani di Michael sul viso e le sue labbra si scontrarono con quelle del ragazzo.
-Che stai facend…- iniziò a chiedere la ragazza, ma le parole le morirono in gola quando si accorse di avere le labbra di Michael tra le sue.
La stava baciando?!
Inizialmente oppose un po’ resistenza, non riusciva a capire perché Michael lo stesse facendo, ma poi sentì il ragazzo farsi spazio sempre più nella sua bocca, prendendole il viso con una mano e stringendole un fianco con l’altra e si rilassò.
Era come nel suo sogno, anzi ancora meglio, perché questa volta l’umido delle labbra di Michael era vero, perché la sua lingua morbida stava davvero giocando e torturando la sua e perché davvero le sue mani stavano scorrendo lungo la sua schiena.
Michael sentì la mora sciogliersi sotto il suo tocco e incurvò le labbra, continuando a muoverle su quelle di Sarah. Il cuore gli stava martellando nel petto, ma aspettava quel momento da troppo tempo e non si sarebbe fatto prendere dai sentimentalismi o dalle emozioni. Era sempre stato bravo a gestire quelle situazioni e poi sapeva di essere un provetto latin lover.
Si fece più spazio tra di lei, intrecciando una mano tra i suoi capelli morbidi e setosi e facendola appoggiare alla porta della camera.
Sarah non riusciva quasi più a respirare, in quel momento non stava capendo nulla, sentiva solo il corpo di Michael pressato contro il suo, sentiva solo il suo sapore in bocca e il suo profumo inebriante e forte nelle narici. Involontariamente gemette, facendosi sfuggire una specie di ansimo di piacere e Michael si riprese, staccandosi per qualche secondo e guardandola negli occhi.
Le sorrise leggermente, trovandola totalmente su di giri, con il fiatone, le labbra gonfie e arrossate, le guance color fuoco.
Sarah non riuscì a pronunciare parola, riusciva solo a rimanere immobile di fronte Michael, sentiva le labbra andare a fuoco, quasi bruciarle e poi avvertiva una strana sensazione al centro dello stomaco che tendeva a scendere giù, fino al basso ventre.
Stava provando migliaia di cose in quel momento: imbarazzo, eccitazione, vampate di calore, ma su una cosa era sicura: voleva ancora le labbra di Michael, voleva ancora baciarlo, sentirlo stretto al suo corpo, voleva ancora sentire le sue labbra morbide sulle sue.
Deglutì a causa dell’eccessiva salivazione e poi guardò di fuggita il ragazzo. Michael la stava letteralmente penetrando con le sue iridi azzurre e lui avrebbe potuto scommettere che la ragazza non era mai stata così bella come in quel momento.
Quando Sarah accorciò nuovamente le brevi distanze che si erano create tra di loro, rimase di sasso, totalmente sorpreso del fatto che la ragazza avrebbe ricambiato in quella maniera il suo bacio. Sentì la ragazza accarezzargli il viso, la sentì insinuarsi sempre di più dentro la sua bocca, sentì i suoi seni pressati contro il suo petto, la sentì respirare affannosamente ed emettere piccoli gemiti di piacere quando iniziò a salire su con le mani, prima sui fianchi e poi verso il petto.
Continuava a intrecciare e ad intrecciare la sua lingua con quella della ragazza, prendendo fiato ogni tanto quando era estremamente necessario e contemporaneamente le massaggiava i fianchi, le accarezzava il viso e scendeva piano e lentamente verso il suo petto.
Sarah stava letteralmente morendo: il cuore le sembrava volesse uscire dal petto e la sua temperatura corporea stava di gran lunga superando quella nella media.
Dopo un tempo indefinito sia Michael che la ragazza si allontanarono cercando di riprendere fiato e i loro occhi si scontrarono.
Il biondo sorrise e appoggiò la fronte su quella della ragazza che stentava ancora a crederci riguardo ciò che era appena successo. Si sentiva in trappola in quella posizione, ma doveva ammettere che era la trappola più bella e più eccitante in cui era capitata: aveva le spalle al muro e Michael le cingeva i fianchi con le braccia, con il petto attaccato al suo e le gambe leggermente aperte per fare spazio a  quelle del ragazzo.
-Mmm…- mugolò lei quando si accorse dello sguardo magnetico del ragazzo –Non so chi sia più intraprendente tra te e Sam- sussurrò trattenendo una risata.
Michael la guardò sorpreso e ribatté con quel suo spirito che lo contraddistingueva.
-Io ti bacio e la prima cosa che ti viene in mente è fare un paragone tra me e Sam?- chiese il ragazzo, fintamente risentito dalle parole della mora. Accorciò ulteriormente le distanze, quasi come una sfida, quasi per rivendicare la sua virilità e si attaccò al corpo della ragazza, spingendola di più verso la porta.
Sarah rimase qualche secondo interdetta, soprattutto perché aveva Michael tra le gambe e poteva palesemente sentire il suo stato d’animo. Sospirò, benché le sembrò più una specie di gemito e poi cercò di rispondere.
-Sei geloso?- chiese la ragazza mostrando un’intraprendenza e una malizia che non aveva mai creduto di avere.
Michael si morse le labbra: sentire il suo seno contro il suo petto era una dolce tortura e lui non sapeva quanto si sarebbe ancora controllato. Erano mesi che non andava a letto con una ragazza e i recenti avvenimenti sembravano aver assopito tutte le sue voglie o tutti i suoi bisogni fisiologici da venticinquenne, ma da qualche giorno a quella parte, complice senz’altro la ragazza e l’attrazione che lui provava per lei, si erano risvegliati.
Sarah deglutì, cercando di trattenere il respiro o quanto meno di calmare la respirazione in generale, ma non servì a molto. Michael continuava ad esserle vicino e il fatto di essere a pochi centimetri di distanza sembrava non turbarlo affatto.
-Dovrei?- chiese lui rubandole un altro bacio forse un po’ troppo rumoroso.
-No, non dovresti- rispose Sarah sincera come mai prima di allora. Non avrebbe dovuto essere geloso di Sam per un semplice motivo: in quel momento nella sua vita c’era spazio solo per lui.
Michael sorrise e la baciò ancora, continuando a schioccare le labbra o ad inumidire le sue con la lingua. Fece scorrere le mani dai fianchi della ragazza in su, fino ad arrivare sotto le ascelle per poi massaggiarle il seno di lato, sentì Sarah ansimargli leggermente nell’orecchio e poi le prese a baciare il collo.
-Andiamo in camera mia…- le sussurrò Michael nell’orecchio. Non aveva mai desiderato così tanto una ragazza come in quel momento.
Sarah si sentì spiazzata da quella proposta e sgranò leggermente gli occhi. Se non avesse già avuto il cuore a mille probabilmente in quel momento sarebbe stata colpita da un’improvvisa tachicardia. Aveva capito bene?! Andare in camera sua?
Emise delle sillabe indefinite e poi parlò.
-Ehm…non credi si accorgerebbero della tua assenza?- chiese la ragazza, inventandosi una scusa e ritornando ad essere rigida come un ramoscello secco.
L’idea di andare in camera di Michael a fare chissà cosa la terrorizzava letteralmente. Non sapeva come comportarsi né tanto meno come poterlo soddisfare in qualche modo, quindi decise di allontanarlo leggermente e di riprendere a respirare normalmente.
Michael aggrottò la fronte confuso, cercando di capire cosa mai avesse detto per farla nuovamente ritornare rigida e fredda, ma poi notò di come le sue guance si fossero colorate di nuovo di rosso e capì di averla messa in imbarazzo chiedendole di salire nella sua stanza.
Sorrise leggermente, stupendosi del fatto di come Sarah fosse così introversa.
-Tu sei diversa- disse ancora Michael, trattenendo ancora Sarah tra le sue braccia contro la sua volontà, rivolgendosi più a se stesso che a lei. Blake, o chiunque altra ragazza, non avrebbe perso sicuramente tempo ad accettare la sua richiesta, mentre lei aveva declinato l’invito in maniera velata, accompagnata da un leggero imbarazzo.
Sarah sospirò abbassando lo sguardo. Perché doveva rovinare sempre tutto con i suoi modi di fare impacciati e privi di qualsiasi tipo di slancio malizioso?
-Non so se è un bene o un male- rispose la ragazza torturandosi le labbra con i denti e mordicchiandosele convulsamente.
-Oh, sì che è un bene- fece il ragazzo per sdrammatizzare. Aveva capito ci fosse qualcosa sotto al comportamento della ragazza, ma non voleva indagare. Voleva farla sentire bene e non voleva metterla in situazioni imbarazzanti quindi le prese il viso con una mano e continuò a baciarla, prima sulle labbra, con tanti baci a stampo e poi sulla guancia.
Sarah rimase qualche secondo interdetta. Non si era arrabbiato? Rimase qualche secondo immobile e poi riprese a rispondere ai continui baci che Michael le stava dando sulle labbra.
-Vieni, andiamo- fece il ragazzo sorridendo e prendendola per mano –Si staranno chiedendo dove siamo finiti, soprattutto Sam- concluse il ragazzo, sorridendo sornione e prendendo Sarah dai fianchi.
Sarah sorrise, totalmente ammaliata dalle fattezze del ragazzo. Era bellissimo e lei stentava a crederci che si fossero realmente baciati. A proposito, allora che ci pensava era stato proprio Michael a fare la prima mossa, e poi aveva fatto tutto quel discorso riguardo chi gli era stato vicino durante il suo tempo trascorso in ospedale, e sembrava che stesse ringraziando solo lei piuttosto che tutti gli invitati.
-Aspetta- fece la ragazza, fermandosi a guardare il viso del biondo e trattenendo una risata.
-Che c’è?- chiese Michael. Possibile che aveva cambiato idea?
-Hai…Sei tutto sporco di rossetto- disse, allungando una mano e cercando di pulire le labbra di Michael con il pollice. In realtà lei non voleva stuzzicarlo o  altro, ma la cosa risultò molto erotica anche a Sarah. Sentire le labbra di Michael sotto i polpastrelli era una sensazione strana, sia perché erano morbide e calde sia perché erano umide.
Michael la lasciò fare senza interromperla. Stava facendo dei lunghi e profondi respiri cercando di trattenere le sue voglie ma in realtà in quel momento avrebbe voluto solamente rotolarsi con lei in un letto. Irrigidì la mascella quando sentì una familiare sensazione partirgli da dietro il collo e arrivargli fin sotto alla schiena per poi passargli davanti tra le gambe.
Che diavolo non aveva di certo quindici anni, sapeva gestire certe situazioni.
-Fatto- disse la ragazza, quando si prese la briga di far sparire qualsiasi traccia di rossetto sulle labbra di Michael. –Io sono sporca?-  chiese cercando di comportarsi normalmente.
Michael la guardò sorridendo malizioso, guardò prima le labbra e poi scede giù con gli occhi, notando di quanto bene le stesse quella camicetta, soprattutto sul seno.
-No, non sei sporca- rispose sospirando e trattenendo una risatina.
Com’era il detto? L’attesa del piacere è essa stessa il piacere? Certo.
-Che c’è?- chiese Sarah, notando lo sguardo un po’ perso del ragazzo.
-Niente, niente…- rispose Michael scuotendo la testa e prendendo la ragazza per i fianchi.
–Andiamo- aggiunse, aprendo la porta e ritornando nella grande sala addobbata.
L’ultima parte della serata trascorse molto velocemente, tra altri brindisi, dolci di alta cucina e tra battutine idiote di Sam e Michael. I due ragazzi le presentarono diversi altri amici che si rivelarono piuttosto simpatici. Non erano tutti come quell’idiota di Nolan e Sarah fu piacevolmente sorpresa da questa cosa.
Dopo l’ennesimo brindisi a Sarah iniziava a girare un po’ la testa e non era affatto una cosa positiva. Aveva perso il conto di tutti i bicchieri di spumante dolce che aveva bevuto, di tutti quelli che Sam le aveva fatto bere e di tutti quelli che Michael le aveva offerto.
-Vuole farmi ubriacare per caso?- chiese Sarah a Michael quando andarono a prendere i cappotti, dopo aver rifiutato il quarto o quinto bicchiere di spumante da Sam.
-Vuole solo che tu ti diverta, come lo voglio io- commentò Michael guardandola sornione e porgendole il cappotto.
-Mmm, mi fa piacere riceve tutte queste attenzioni da voi due, potrei abituarmici- disse scherzando la ragazza trattenendo una risata.
Michael rise sotto i baffi e aiutò la ragazza a vestirsi.
-Allora è deciso, vieni con noi allo Sky Room- commentò il ragazzo, cogliendo la palla al balzo.
-Michael lo sai- iniziò a dire la ragazza, realmente dispiaciuta questa volta di non poter partecipare –Domani vado a lavoro e sono già le undici…-
-Mmm, dai- fece lui, unendo le labbra come un bambino e abbracciando la ragazza –Non facciamo tardi, ti riaccompagno a casa, te lo prometto-
-Sì, dai, ti riaccompagniamo a casa noi- disse improvvisamente Sam, sbucando da dietro le spalle di Michael e iniziando a pregare la ragazza. –Andiamo, che sarà mai una serata a Manhattan!- aggiunse il moro –Non te ne pentirai!-
Quelle furono le ultime parole famose, perché quando Sarah si ritrovò in un locale nel centro di Time Square, seduta su un divano in pelle nera e con Sam mezzo ubriaco che le ballava di fronte in piedi su un tavolo, stava pensando davvero che era stato l’errore più grande della sua vita.
-Sono arrivati i cocktail!- le urlò un ragazzo accanto cercando di aiutare goffamente un cameriere che gli stava porgendo il vassoio. Tutti i ragazzi avevano insistito ad ordinare delle bevande tutte uguali e soprattutto avevano insistito nel prendere un cocktail che a detta di Sam e Michael “ti apriva la mente”.
-Una volta ne ho bevuti due di fila e mi sono ritrovato nella mia camera di college nudo e con un salvagente a forma di papera al posto dei boxer- fece Michael, porgendo un bicchiere di B52 a Sarah che rimase sconvolta da quella cosa.
La ragazza guardò il biondo ridersela sotto i baffi e sgranò gli occhi.
-Ah, bene. Ora me lo dici?- chiese lei, titubante se berlo o meno. La testa già le girava e non voleva aggiungere altra carne al fuoco.
-Potrebbe avere lo stesso effetto su di te, sai- iniziò a dirle Michael, sedendosi vicino a lei e avvicinandosela un po’ per farsi sentire meglio. La musica nello Sky Room era molto alta e Michael aveva praticamente le labbra contro l’orecchio della ragazza.
-Sarebbe molto sexy svegliarsi domani mattina e ritrovarti nuda nel letto- le disse, non curante della reazione che Sarah avrebbe avuto e prendendole il viso con una mano.
La mora si sentì letteralmente avvampare complice anche l’alta gradazione di alcool che aveva in circolo.
Com’è che aveva detto Jordan? Che lei non si ubriacava mai? Avrebbe proprio voluto chiamarlo e fargli vedere in che stato si trovava in quel momento.
-Mmm- mugolò la ragazza sentendo le labbra di Michael sulle sue –Anche tu saresti molto sexy con una paperella di gomma al posto degli slip- commentò Sarah trattenendo una risata e ricambiando i baci che Michael le stava dando davanti a tutti. Probabilmente in una situazione normale si sarebbe ammutolita e si sarebbe nascosta dall’imbarazzo per quello che Michael le aveva appena detto, ma doveva ammettere che quel B52 la stava smaliziando al punto giusto.
Michael scoppiò a ridere e dopo averle lasciato un bacio sulla guancia le cinse le spalle ed entrambi si appoggiarono allo schienale del divano. Non aveva bevuto molto e non era nemmeno ubriaco, ma era piuttosto frastornato dagli avvenimenti di quella sera. Era successo tutto molto velocemente e il neo contatto fisico con Sarah di certo non l’aiutava. Era da tutta la sera che aveva un fastidioso languore allo stomaco che si tramutava sempre in qualcosa di diverso ogni volta che la toccava, ma di certo non poteva né costringerla a fare nulla né tanto meno poteva comportarsi da adolescente con una crisi ormonale.
-Oh, e smettetela!- esclamò Sam, lasciandosi cadere a peso morto sul divano. –Siete fidanzati da meno di tre ore e già non riuscite a staccarvi un attimo!- continuò scolandosi il suo bicchiere di B52.
-Non siamo fidanzati!- esclamò Sarah di getto.
Insomma, sì, si erano baciati e Michael era stato tenero e dolcissimo a dedicarle il brindisi, ed era anche vero che lei era totalmente cotta di lui, ma di lì a stare insieme ce ne voleva.
-Sì certo- commentò Sam dando un buffetto a Michael che se la stava ridendo sotto i baffi.
–E tu non dici niente?- chiese rivolto all’amico.
-Che dovrei dire?- chiese di rimando il biondo, sorseggiando il suo cocktail. Quella sera non aveva bevuto per niente, o meglio non aveva bevuto quanto i suoi standard.
-Che ne so…Difenderti? Giustificarti? La tua moretta ti ha appena sbolognato!- commentò il ragazzo.
Michael scoppiò a ridere e lanciò uno sguardo fugace a Sarah che stava guardando entrambi con due occhi a cuoricino. Era bello vederli insieme.
-Siete teneri!- urlò la mora per farsi sentire dai due.
-Cosa?!- risposero all’unisono i due ragazzi.
-Ho detto che siete teneri!- disse più forte la ragazza. Possibile che non sentivano?!
-Oh,oh!- esclamò Sam atteggiandosi da ragazza –Hai sentito Mike? Siamo teneri!- aggiunse il ragazzo abbracciando l’amico e sporgendosi verso di lui con le labbra a paperotto.
Michael gli diede un po’ corda e si avvicinò quel tanto che bastava per far sembrare a Sarah che si stessero baciando, ma poi indietreggiò schioccando le labbra e scoppiando a ridere.
Sarah sgranò gli occhi, incredula della scena che aveva appena visto. Ma i ragazzi non erano omofobi di natura?
Ci volle qualche istante per riprendersi dall’immagine di Michael e di Sam che si scambiavano delle effusioni in pubblico e quando Sarah guardò di sfuggita l’orologio, giusto per fare mente locale, ebbe un sussulto.
-Dio Santissimo sono le tre!- urlò alzandosi di scatto e iniziando a raccogliere tutte le sue cose.
-Ehi, ehi!- fece Michael alzandosi e cercando di fermare la ragazza che era più veloce di un uragano –Aspetta!- esclamò.
-No, Michael davvero, è tardissimo! Alle otto devo essere a lavoro domani…- iniziò a dire la ragazza, che già pensava al poco sonno che avrebbe fatto quelle restanti ore e di che giornata massacrante l’attendeva.
-Allora fatti accompagnare- disse il ragazzo prendendo il suo cappotto e iniziandosi a vestire.
-No, davvero, chiamo un taxi- fece Sarah chiudendo la borsa e avvolgendosi nella sciarpa.
-Ma quale taxi, è tardi. Ti accompagno io, fammi chiamare Edward- rispose il ragazzo senza sentire ragioni. Le aveva praticamente vietato di tornare a casa da sola e poi Edward era giù che gli aspettava.
-Ehi! Dove state andando?!- urlò Sam praticamente sciolto su un divano lì vicino. Non avevano di certo intenzione di lasciarlo lì? Non era da solo, ma non voleva assolutamente stare lontano dal suo amichetto.
-Sam, sei ubriaco! Torna a casa!- gli disse Michael, quando il ragazzo si aggrappò alle sue spalle e iniziò a camminare affianco a lui.
-Ehi, non sono ubriaco!- esclamò l’amico, cercando di darsi una sistemata. Era vero, la testa gli girava e la vista non era poi così nitida, ma non era affatto ubriaco.
-Continuare a ripetere di non essere ubriachi è il primo sintomo dell’esserlo davvero!- esclamò Sarah, presa a braccetto da Sam e trascinata verso l’uscita.
-Oh, zitta tu! Sei brilla quanto me!- fece il ragazzo, toccandole la punta del naso con un dito. Sarah rise e scosse la testa e continuò a dar corda ai due ragazzi per altri minuti.
Quando tutti e tre entrarono nella macchina grigia di Edward si distesero sui sedili in pelle nera e iniziarono a farsi domande e a parlare di cose senza senso.
-Signor Trisher siamo arrivati- fece Edward dopo una ventina di minuti, quando parcheggiò sotto il palazzo in cui Sarah abitava.
-Voglio salire a vedere casa tua!- esclamò Sam quando Sarah si sporse a salutarlo e senza attendere una risposta, gattonò sul sedile posteriore e scese a fatica dalla macchina.
-Sam, dai non fare lo scemo, Sarah ha da fare domani!- esclamò Michael, che agli occhi di Sarah era quello che decisamente appariva più pacato e soprattutto un po’ più responsabile.
Sam non volle sentire ragioni e senza ascoltare una sola parola che l’amico gli aveva detto, seguì Sarah e cinque minuti dopo si ritrovarono tutti e tre nel suo appartamento.
-Cavolo- fece Sarah, ricordandosi del casino che c’era nel suo appartamento –Scusate il disordine- disse aprendo la porta e facendo entrare i due.
Sam emise qualche suono indefinito ma ciò che lei e Michael riuscirono ad interpretare furono solo parole di approvazione per il suo letto: Sam si era praticamente buttato sul suo lettone sotto la finestra.
-Non vorrei sapere quanti ragazzi sono venuti qui- commentò Michael sfilandosi il cappotto, pronto ad imitare l’amico e tuffarsi sul piumone azzurro che sembrava morbidissimo e soprattutto caldissimo.
Sarah rimase qualche secondo interdetta: le sue capacità erano piuttosto rallentate dall’alcool in circolo, e benché passò qualche attimo, riuscì ad afferrare il significato delle parole di Michael, ma soprattutto iniziò a capire cosa i due ragazzi stavano facendo.
Non solo si trovava in piena notte, mezza ubriaca a casa sua con due ragazzi, belli come non mai tra l’altro, ma i due avevano preso anche a spogliarsi.
-Ragazzi ma non c’è Edward giù ad aspettarvi?- chiese la ragazza che stentava a credere ai suoi occhi.
-Ho troppo sonno per tornare a casa- mugolò Sam di faccia sul cuscino già disteso come un salame sul letto.
-Gli mando un messaggio- sussurrò Michael nell’orecchio della ragazza, sorridendole sornione.
Ma dove trovava la forza di fare il marpione anche alle tre e mezza di notte?
-Ok- balbettò a fatica la ragazza quando realizzò che entrambi volevano stare con lei per quella notte. Il solo pensiero la fece rabbrividire per l’eccitazione e la paura al tempo stesso.
-Sam, mettiti sotto le coperte, morirai di freddo- fece Sarah cercando di smuovere il moro da sopra il piumone. Michael l’aiutò a togliergli le scarpe e poi lo ficcarono sotto le coperte.
-Sembra un bimbo- commentò Sarah, menando un’occhiata al ragazzo e notando le sue tenerissime fossette. Se qualcuno l’avesse visto per la prima volta in quella situazione avrebbe potuto paragonarlo ad un angioletto.
-Sì, certo- mugolò Michael trattenendo una risata e sfilandosi la giacca nera e allentandosi il nodo alla cravatta.
Sarah deglutì capendo cosa il ragazzo stesse per fare e forse iniziò a guardarlo anche in maniera sospetta, perché Michael se ne accorse e iniziò a ridere sotto i baffi.
-Se vuoi puoi spogliarmi tu- le sussurrò nell’orecchio, mettendole le mani sui fianchi e avvicinandosi di più a lei.
-Non ho nulla da darti come pigiama…- commentò Sarah, cercando di pensare razionalmente.
-Non servono i pigiami- replicò il ragazzo ridendo sotto i baffi e la mora si sentì avvampare, di nuovo, per la milionesima volta. In quella serata Michael le aveva fatto decisamente troppe allusioni sessuali e lei era totalmente ignara di come gestire la cosa.
Il ragazzo notò le guance di Sarah diventare rosso fuoco e sorrise malizioso.
-Beh, tu ce l’hai il pigiama- commentò lui, avvicinandosi di più alla ragazza e alzandole delicato il lembo della camicia in pizzo.
La stava spogliando? Perché se quelle erano le sue intenzioni Sarah sarebbe potuta svenire da un momento all’altro.
Quando sentì le dita fredde di Michael sfiorarle i fianchi le venne la pelle d’oca e allora che ci pensava si era messa anche un reggiseno piuttosto succinto, non ci voleva proprio.
La ragazza deglutì sonoramente, soprattutto quando le mani di Michael le scorsero sui fianchi e salirono più su, fino a sollevarle la camicetta a mezza altezza.
-Mi devi aiutare un po’ però- disse Michael, che aveva stampato in volto quel suo solito ghigno malizioso. Sarah non stava facendo nulla per facilitargli il lavoro e gli risultava molto difficile sfilarle la maglia.
Sarah non riuscì a pronunciare una frase di senso compiuto, quindi si limitò a sollevare le braccia e a farsi sfilare la maglia.
Era la prima volta che faceva qualcosa del genere con un ragazzo ed era un po’ imbarazzata. Aveva paura di quello che Michael poteva pensare sul suo aspetto, aveva paura di non essere abbastanza per lui. Sicuramente tutte le sue fidanzate erano state bellissime, ricche e piene di intraprendenza e pensare che lui poteva fare dei paragoni tra loro la metteva a disagio.
Michael sfilò la camicia stando attento a non tirarle i capelli e poi la poggiò sul divanetto vicino a loro. Si soffermò a guardare la ragazza, che in quel momento era con la testa bassa e stava respirando velocemente. Si ritrovò davanti una ragazza con il corpo da donna, le gambe lunghe, fianchi pronunciati e vita un po’ più stretta, per non parlare del seno sodo e  tondo protetto da un reggiseno a balconcino in pizzo chiaro.
Michael deglutì, prendendo atto del corpo della ragazza e dell’ascendente che aveva su di lui e sulle sue voglie e solo allora si ricordò che nella stanza c’era anche Sam con loro, benché stesse dormendo a pancia in giù, con la faccia praticamente immersa nel cuscino.
Sarah capì quello che Michael stava pensando, così decise di porre fine a quel momento imbarazzante e corse a mettersi la maglia del pigiama, quando si girò Michael era seduto sul bordo del suo letto e la stava guardando con uno sguardo strano.
Lei si avvicinò lentamente, la testa ancora le girava, benché non sapeva dire se per le bevande o per la troppa vicinanza al ragazzo.
Michael aprì le coperte e vi fece infilare dentro Sarah, poi dopo che lei si era sistemata, entrò anche lui e si avvicinò a lei. Il materasso e le lenzuola erano molto fredde, ma la vicinanza con il corpo della ragazza gli dava una strana sensazione di calore.
-Non so come farò ad alzarmi domani mattina- commentò Sarah, cercando di catalizzare l’attenzione su qualcos’altro e accorgendosi di aver fatto le quattro.
Stentava a crederci che nel suo letto ci fossero due ragazzi: era vero anche che uno dei due sembrava più un’ameba che un essere vivente, ma il principio era quello comunque.
-Mi dispiace, è colpa mia- disse Michael che iniziava a sentire le palpebre pesanti e ad avvertire una certa stanchezza.
-Non fa nulla- rispose Sarah –Sono stata bene stasera-
Michael sorrise nella penombra, ma la luce che entrava dalla finestra era necessaria ad illuminarli i bellissimi lineamenti del volto.
-Mi fa piacere- commentò il ragazzo con voce bassa e roca –Anche io sono stato bene- aggiunse, cercando il corpo della ragazza con il suo. Voleva avvinghiarsi a lei o quanto meno toccarla.
Sarah sussultò leggermente quando sentì il corpo di Michael pressato contro il suo e quella sensazione al centro dello stomaco ritornò nuovamente.
-Buonanotte Michael- sussurrò la ragazza, allungando una mano e accarezzando con la punta delle dita il viso del biondo.
-Buonanotte anche a te- replicò il ragazzo, lasciandole un bacio sulle labbra. 


 
***
Lo so sono una bruttissima persona! Ho fatto due giorni di ritardo nell'aggiornamento, ma redetemi, questa settimana sono stata sì e no due giorni a casa, poi sono andata in giro per i regali e impegni vari e tra una cosa e l'altra non sono riuscita a finire il capitolo! 

Anyway, spero che questi due giorni di ritardo siano stati compensati da questo capitolo. 
Finalmente c'è stato qualcosa di fisico tra di loro, Michael si è accorto di desiderare la ragazza in tutti i sensi e i piani malefici di Miles e Amanda sono andati a buon fine almeno per loro. 
Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate del capitolo appena letto! Alla fine Sarah si ritrova nel letto due ragazzi, cosa che non le era mai capitata, all'inizipo avevo previsto un giochetto alcolico tra i tre, ma poi ho deciso di rimandarlo ad una data indefinita. Il capitolo l'ho finito ieri sera alle due per poter aggiornare oggi e farvi il mio personalissimo regalino di Natale, quindi spero che alla fine sia uscita una cosa decente!
Come sempre ringrazio tutte le veterane che seguono e recensiscono costantemente la storia, ma anche quelle che la leggono solamente. 
Anestesia è diventata ufficialmente la mia storia più lunga e soprattutto quella con più seguito (ben 67 persone, gente!) e non posso che dare il merito a voi! 
Detto ciò vi auguro buon Natale, sperando che i vostri piccoli desideri si avverino e che troviate quello che desiderate sotto l'albero!
Ci vediamo per la prossima settimana! 
(per seguire gli aggiornamenti e le date delle pubblicaioni, vi invito a mettere "mi piace" alla mia pagina Fb Black Mariah Efp) 
xoxo
M.

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Capitolo 16
*** 16 ***


16
 


Quando Sarah riaprì gli occhi la mattina seguente, le era parso di essersi addormentata qualche secondo prima, invece erano trascorse alcune ore e la sveglia di lì a poco tempo avrebbe segnato le sette in punto.
La luce illuminava debolmente il suo monolocale e lei era raggomitolata, per quello che poteva, sotto il piumone nel suo letto matrimoniale.
Si stiracchiò lentamente, cercando di non urtare né Sam né Michael che si trovavano ai suoi lati.
Sam era avvinghiato al suo cuscino e sembrava quasi l’avesse scambiato per una ragazza, mentre Michael era disteso di lato, con il viso rivolto verso quello di Sarah. Solo quando la ragazza tentò di muoversi e di alzarsi, si accorse che sotto la sua testa non aveva un cuscino, ma il braccio di Michael, e che contemporaneamente lui aveva una mano lungo i suoi fianchi per tenerla stretta a sé.
A Sarah non sembrava di essersi addormentata così la notte prima, ma per qualche strana ragione fu felice della cosa.
Michael era affianco a lei, con gli occhi chiusi, addormentato come un bambino e lei riusciva a sentire il suo profumo anche in quel momento, frastornata e mezza addormentata.
Si mosse lentamente, cercando di non svegliarlo e fece scivolare la sua mano lungo il braccio del ragazzo per spostarlo e riuscire ad alzarsi. La cosa le risultò molto difficile, sia perché dovette fare tutto in uno spazio ristretto e sia perché Michael, addormentato com’era non collaborava di certo.
Quando riuscì nell’impresa sgattaiolò in bagno per farsi una doccia calda e quando vide la sua immagine riflessa nello specchio, ringraziò Dio per il fatto che Michael stesse dormendo: sembrava un panda, letteralmente. Aveva dimenticato di struccarsi la sera prima e i suoi occhi erano due macchie nere con il mascara leggermente colato e le labbra arrossate.
Una mezzoretta dopo fu pronta a partire. Prima di uscire di casa preparò il caffè, allestì una specie di tavolata per la colazione con latte e brioche, se mai quei due si fossero alzati, e appese un post-it al frigorifero in cui avvisava i ragazzi che sarebbe ritornata non prima delle sette.
Prima di chiudersi definitivamente la porta alle spalle lanciò un’altra occhiata a Sam e Michael e li trovò beatamente addormentati e raggomitolati tra i piumoni e con un sorrisino ebete stampato in faccia, andò a lavoro. 
La attendeva una giornata molto dura: Dicembre era iniziato già da una settimana, a breve ci sarebbe stata l’Immacolata e poi il Natale e Sarah già immaginava le code chilometriche alle casse per poter acquistare gli alimenti per le varie abbuffate natalizie, e allora che ci pensava avrebbe dovuto anche sentire la sua famiglia per organizzarsi per i giorni festivi.
La giornata trascorse lentamente, sia perché aveva un gran mal di testa, sia perché era stata messa per tutto il giorno alle casse e non faceva altro che rifare la stessa cosa dalla mattina quando aveva iniziato a lavorare. Durante la breve pausa pranzo il cellulare le vibrò in tasca e con grande sorpresa, lesse sullo schermo del cellulare il nome di Sally, l’infermiera a cui faceva riferimento quando andava a fare il turno di volontariato all’ospedale.
-Pronto?- chiese con voce titubante, era praticamente sparita dall’ospedale il giorno stesso che aveva deciso di non rivedere più Michael e sapeva che non si era comportata molto correttamente nei confronti delle sue superiori.
-Ciao Sarah- rispose Sally da dietro la cornetta, stava armeggiando con un pacco di medicine che doveva sistemare in uno scaffale metallico. –Disturbo?-
-No, Sally, sono appena andata in pausa- fece la ragazza, cercando di apparire calma.
-Ok, volevo chiederti se ci sei per la festa di Natale che diamo al General Hospital. Non è nulla di che, allestiamo un bancone al centro dell’atrio e diamo biscotti e punch ai bambini e agli altri pazienti- fece la donna.
-Oh, ehm, sì certo- rispose Sarah, sorpresa da quella richiesta –E’ una bellissima idea, mi farebbe piacere venire- concluse sincera la ragazza.
-Ok, allora ti faccio sapere in maniera precisa quand’è così puoi venirci ad aiutare, sai come vanno queste cose, i dottori di certo non ci aiutano- disse tra le righe Sally con un pizzico si stizza nella voce.
Sarah trattenne una risata ma accettò volentieri, era da tantissimo che non faceva turni all’ospedale e doveva ammettere che le mancava fare volontariato, soprattutto al reparto dei bambini.
Dopo aver chiuso la chiamata con Sally e aver consumato la misera zuppa di zucca che aveva deciso di comprarsi per pranzo, si rimise nella sua postazione e continuò a battere roba sulla casa fino alle sei e mezza di pomeriggio. Quando si alzò per andare a prendere le sue cose dall’armadio, si ricordò di Michael e di Sam e del fatto che probabilmente erano andati via già durante la mattinata.
Non le era ancora capitato di pensare alla serata trascorsa a casa del ragazzo e poi a casa sua e allora che lo faceva di nuovo le sembrava tutto una grande allucinazione.
Le passarono tra la mente le immagini della sera precedente: Sam, Martha, Nolan, e poi Michael, il discorso di suo padre e i baci che lei e il ragazzo si erano scambiati.
Scosse la testa e quando ci mise attenzione si ritrovò praticamente sotto casa sua. Salì le scale ed entrò nell’ascensore, appoggiò la testa alla parte metallica e sospirò. Era molto stanca e aveva anche un po’ sonno: le scemenze della sera prima si stavano facendo sentire e avrebbe voluto solo raggomitolarsi sul divano sotto la sua coperta di pail, oppure nascondersi sotto il caldo del suo piumone azzurro.
Girò le chiavi nella serratura e dopo solo uno scatto aprì la porta. Quando entrò nel suo appartamento rimase di sasso, totalmente sbalordita da quello che aveva davanti.
Michael era arrampicato su una sedia e stava mettendo le ultime decorazioni all’albero di Natale che lei aveva da sempre conservato sotto il letto. Aveva messo delle luci  a led attorno alla finestra e aveva addobbato il tavolo su cui era solita mangiare con una tovaglia rossa e un centro tavola fatto di ghirlande rosse, vischio e bacche.
Sarah rimase letteralmente a bocca aperta e in un primo momento non seppe cosa dire, poi però si riprese e cercò di capire che diavolo fosse saltato in mente a Michael.
-Che stai facendo?- chiese sorpresa e quasi sconvolta da quell0 che le si parava davanti.
Michael dal canto suo non aveva notato la ragazza entrare nell’appartamento, tanto che quando sentì la sua voce strillante e forse anche un po’ stizzita, sussultò leggermente, scendendo a fatica dalla sedia.
-Ehi, ciao!- esclamò il ragazzo, mettendo i piedi saldi a terra e dirigendosi verso la mora, che aveva appena lasciato il borsone a terra e si era chiusa la porta alle spalle.
Sarah aveva assunto un’espressione strana che Michael non sapeva interpretare, tanto che si insinuò in lui il dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato.
-Ehm, per le decorazioni dici? Le ho trovate sotto il letto quando ho aggiustato la stanza e mi sembrava carino aiutarti ad addobbare la casa…Se non vuoi le tolgo- fece il ragazzo titubante, guardando intensamente Sarah.
La ragazza si tolse il giubotto e Michael poté notare come indossasse ancora l’uniforme arancione e blu del supermercato.
-Sam dov’è?- chiese lei, notando di come Michael aveva praticamente messo a posto ogni cosa, dal letto ai piatti nel lavandino.
-E’ andato via oggi pomeriggio presto. Ci siamo svegliati verso le due- rispose il ragazzo abbozzando un sorriso. –Sarah, c’è qualche problema? Ho fatto qualcosa che non dovevo?-
Chiese ancora il ragazzo, seriamente preoccupato dallo stato catatonico in cui la mora era caduta.
Sarah scosse la testa cercando di riprendersi.
-No, è che…di solito non addobbo mai la casa per il Natale- commentò la ragazza, notando di come l’espressione di Michael si era davvero fatta più seria.
Michael sembrò sorpreso da quell’affermazione e perciò le pose un’altra domanda.
-E perché allora hai tutte le decorazioni sotto il letto?-
-Le ho comprate qualche tempo fa in occasione di una svendita- rispose secca la ragazza.
–Di solito non addobbo mai la casa perché le vacanze di Natale le passo sempre con la mia famiglia, quindi è inutile avere tutte queste decorazioni qui, quando il Natale non ce lo passo nemmeno in questo posto- disse la ragazza, motivando le sue azioni.
-Mi spiace, non lo sapevo…Credevo ti avrebbe fatto piacere- rispose Michael sinceramente dispiaciuto dal poco entusiasmo che la ragazza aveva dimostrato nei suoi confronti.
-No, non è che non mi fa piacere- iniziò a dire la ragazza per giustificarsi. Non voleva sembrare irriconoscente, ma per come la vedeva lei Michael avrebbe potuto risparmiarsi la fatica di aggiustarle tutta la casa dato che era sempre un disastro –E’ che non c’era bisogno di prendersi tutto questo fastidio, mi hai anche lavato i piatti- aggiunse Sarah con ovvietà. La verità era che si sentiva in imbarazzo, sia per il fatto che Michael, un ragazzo, le avesse rassettato e decorato la casa, e sia perché non era pronta a ritrovarselo di nuovo in casa, senza nessun preavviso.
-Beh, non sapevo che fare- commentò il ragazzo, avvicinandosi di più alla mora: non l’aveva nemmeno salutato –Ho ammazzato il tempo- commentò con ovvietà lui. Temeva che Sarah non avesse per nulla gradito la sua idea.
-E in realtà ho anche ordinato la cena per le otto- aggiunse, rivolgendo uno sguardo all’orologio –Spero tu abbia fame almeno- concluse soffermandosi a guardare Sarah e la sua divisa arancione. Gli venne in mente il loro primo incontro, quello nel supermercato, in cui la ragazza si presentò ai suoi occhi esattamente così: stanca, senza trucco e di una semplicità disarmante.
Sarah rivolse lo sguardo verso la tavola e notò di come Michael avesse preparato tutto per la cena: c’erano i piatti, le posate, i bicchieri e anche i tovaglioli rossi di Natale.
-Non dovevi- esclamò Sarah con semplicità, sorpresa da tutta la premura che il ragazzo aveva avuto nei suoi confronti. –Comunque sì, ho un po’ fame- aggiunse per non farlo rimanere molto male.
Michael la scrutò silenzioso per qualche minuto: c’era qualcosa che non andava?
-E’ successo qualcosa?- chiese il biondo, seguendo Sarah con gli occhi, la quale aveva aperto il frigorifero e stava prendendo una bottiglia d’acqua.
-No, niente- disse sincera la ragazza prendendo un sorso dal bicchiere –Non mi aspettavo di trovarti qui- rispose iniziando a cercare il felpone che di solito usava in casa.
Michael si irrigidì e si fermò al centro della stanza.
-Se ti da’ fastidio me ne vado- commentò lui, dirigendosi già verso il suo cappotto.
Sarah notò il suo repentino cambio di tono e si diede mentalmente della stupida. Non voleva risultare scorbutica né tanto meno infastidita dalla sua presenza. Si doveva ancora abituare all’idea che loro due si stavano conoscendo ed era una cosa nuova e abbastanza difficile da gestire.
-No, Michael, aspetta. Non voglio che te ne vada- asserì la ragazza, cercando di spiegarsi meglio. –E’ che è strano trovarti in casa quando fino ad una settimana e mezzo fa ero completamente sola. Cerca di capirmi, sono un po’ confusa- aggiunse Sarah, mostrandosi a nudo e del tutto sincera davanti a lui.
Michael piegò di lato la testa e arricciò un po’ le labbra, cosa che faceva sempre quando era insicuro su qualcosa e fece spallucce.
-Comunque è tutto molto bello- fece Sarah, guardandosi attorno –E le luci attorno alla finestra stanno davvero bene, ho sempre voluto tenerle lì per tutto l’anno, ma mi dimenticavo sempre di uscirle- commentò la giovane.
Michael accennò un sorriso e decise di rilassarsi un po’. Anche per lui era una situazione relativamente nuova o quanto meno era una situazione strana da gestire date le circostanze in cui era nata.
-Anni e anni di esperienza- replicò divertito lui –Come avrai notato mia madre è fissata con le decorazioni e con gli addobbi, quindi quando eravamo piccoli costringeva me e mia sorella ad aiutare lei e il personale della casa a mettere ghirlande e luci di Natale ovunque-
Sarah fece un sorriso riconoscendo nei suoi occhi il suo solito sguardo vispo e attivo.
-Beh, ha avuto i suoi frutti- commentò la ragazza rivolgendogli un sorriso –Comunque se non ti dispiace, vado un attimo a togliermi queste robe di dosso- aggiunse la ragazza, deglutendo lentamente quando realizzò cosa aveva appena detto.
Michael la guardò stranito e poi ritornò ad assumere un’espressione divertita e maliziosa.
-Vuoi una mano?- chiese sornione lui muovendo il suo sguardo su di lei, consapevole del fatto che Sarah probabilmente gli avrebbe detto di no.
La mora ovviamente arrossì e cercò di sviare il discorso benché continuasse a sentirsi gli occhi di Michael vagare sul suo corpo.
Non riuscì a dire nulla di sensato così optò per la cosa più semplice: alzò gli occhi al cielo e scosse leggermente la testa.
Mentre lei si dirigeva verso il suo armadio a prendere gli indumenti con cui cambiarsi, Michael rimase fisso al centro della stanza, attonito dal gesto che la ragazza aveva appena compiuto. Ricordava vividamente come Sarah, nei suoi sogni, ogni qual volta lui le diceva qualcosa di malizioso o di scemo reagiva in quella maniera e vederla in quel momento, dal vivo, compiere di nuovo quell’azione per qualcosa che lui aveva detto, gli fece uno strano effetto. Certe volte, mentre pensava a lei tendeva a dimenticare la circostanza in cui si erano conosciuti e di come recente fosse stato il loro incontro. Nella sua mente la ragazza già gli apparteneva e alcune volte viveva dei deja-vù che lo lasciavano non poco confuso.
Sarah andò in bagno a cambiarsi e a darsi una rinfrescata e Michael rimase solo al centro della stanza. Il rumore di sotto fondo dell’acqua della doccia faceva da cornice ai suoi pensieri e inaspettatamente si ritrovò a scrutare l’angolo in cui Sarah era solita dipingere.
C’era un cavalletto con una tela, una sorta di libreria su cui vi erano i pennelli e i colori, un lenzuolo bianco a terra tutto sporco di macchie di acrilici e colori ad olio e poi in un angolino c’erano delle tele appoggiate al muro. La maggior parte di quei quadri erano finiti e Michael si stava domandando il perché Sarah non gli avesse esposti. Mentre li stava osservando attento, un dipinto in particolare attirò la sua attenzione: era di medie dimensioni, completamente dipinto ad olio e rappresentava una sorta di spirale con dei punti luminosi più chiari. Era un quadro realizzato interamente con i toni del blu e dell’azzurro e sembrava quasi volesse rappresentare il vorticare del mare agitato. I punti più chiari e luminosi erano simili alla spuma bianca e cristallina del mare e le decine di sfumature di azzurro sembravano rappresentare quasi i centinaia di colori che il mare assume durante le ore del giorno.
Rimase molto colpito da quel dipinto forse anche più colpito rispetto al dipinto che Sarah gli aveva regalato il giorno prima sotto sua espressa richiesta.
Completamente rapito dalle pennellate che Sarah era riuscita ad imprimere sulla tela, non si accorse nemmeno che la ragazza era uscita dal bagno e lo stava fissando da qualche minuto, in attesa di una sua frase o di qualche sua domanda.
Sarah sospirò, cercando di mascherare l’agitazione che stava provando in quel momento: era una visione del tutto sovrannaturale. Michael era di fronte a lei, girato di lato, vestito ancora a festa della sera prima, i pantaloni neri, la camicia un po’ sbottonata che lasciava intravedere il suo fisico definito, i capelli un po’ spettinati e un leggero alone di barba.
-Perché non l’hai esposto? E’ bellissimo- commentò sincero il ragazzo, quando si accorse che Sarah si era messa accanto a lui.
La ragazza sospirò, cercando di trovare una motivazione valida.
-Non ero molto convinta- rispose solo, tenendo lo sguardo basso e sentendo il cuore pomparle a mille nel petto.
-Che cosa rappresenta? Sembra quasi quei vortici che si creano in mare- continuò a chiedere Michael, curioso di natura e attratto dal blu che Sarah aveva usato.
La ragazza deglutì.
Perché Michael faceva sempre le domande sbagliate?
Il ragazzo si girò a guardarla dato il suo silenzio e la trovò con gli occhi bassi, le guance rosse e le labbra arrossate. Aggrottò un po’ la fronte confuso, poi si concentrò meglio a guardare il dipinto e si accorse della data in fondo a destra.
5 novembre 2013.
Era un dipinto che risaliva a poco più di un mese prima, mentre lui era ancora in coma.
-E’…è un occhio- rispose la ragazza, mordendosi le labbra nervosa e imbarazzata.
Michael pose maggior attenzione al disegno e solo allora si accorse che quella che lui aveva scambiato per spuma del mare, in realtà era il riflesso luminoso dell’iride e che quei punti lucenti che lui aveva scambiato per il riflesso del sole sull’acqua erano delle pagliuzze.
Rimase qualche secondo interdetto, leggermente scosso da quella nuova immagine che aveva davanti.  Non riusciva a capire perché ma si sentiva strano e quel quadro gli stava suscitando delle emozioni indefinite.
Sarah lo guardò attentamente, cercando di interpretare la nuova espressione di sorpresa che si era impossessata del suo volto. Anche se probabilmente Michael non aveva capito cosa significasse davvero qual quadro, in quel momento si sentiva completamente a nudo di fronte a lui, per ogni cosa.
-E’ molto bello- ripetè il ragazzo, attratto ancora da quel vorticare di colori azzurro, blu e ceruleo. Non sapeva il perché ma avevano un che di familiare.
Sarah sospirò e decise di esporsi completamente a lui, tanto ormai non faceva più molta differenza.
-L’ho fatto pensando a te- ammise Sarah a brucia pelo, pronunciando quella frase con un tono strano, quasi di rassegnazione per il fatto che il ragazzo non avrebbe mai condiviso i suoi stessi sentimenti.
Al sentire quelle parole Michael si girò di scatto, completamente spiazzato da quella confessione inaspettata. Aveva dipinto un quadro pensando a lui?
-Cosa?- chiese il ragazzo, per la prima volta inerme davanti a qualcosa.
Aveva capito bene?
Iniziò ad avvertire uno strano fastidio allo stomaco quando prese atto che quelle sfumature, che quel disegno, che quell’occhio che Sarah aveva voluto rappresentare sulla tela era probabilmente il suo.
La mora spostò lo sguardo da un’altra parte e respirò lentamente. Iniziò a torturarsi le mani come faceva sempre ogni volta che Michael la metteva in seria difficoltà.
-Sì...ho pensato ai tuoi occhi, al loro colore e…mi è uscita questa cosa- disse a bassa voce, temendo una qualche strana reazione di Michael.
Il ragazzo d’altra parte spostò il suo sguardo prima sulla mora e poi sul disegno che stava tenendo tra le mani.
Era datato al cinque novembre e lui era ancora in coma in quel periodo, come sapeva di che colore aveva gli occhi?
-Come facevi a sapere che ho gli occhi azzurri? Non ci eravamo ancora incontrati- chiese il ragazzo confuso ma allo stesso tempo emozionato. Nessuno prima di allora gli aveva dato tanta importanza, nessuno prima di allora gli aveva mostrato interesse solo perché era una brava o una bella persona. Tutti fino a quel momento, tranne Sam e qualche altro, gli avevano dato importanza solo perché avevano un secondo fine. Nessuna delle ragazze con cui aveva avuto una storia aveva mai fatto una cosa del genere, nessuno gli era mai entrato dentro l’anima, mettendo a nudo le sue più sincere emozioni.
Sarah avrebbe tanto voluto scappare. Perché doveva essere così intelligente e perspicace? Sospirò rumorosamente e cercò di guadagnare qualche secondo per pensare lucidamente.
-Io- iniziò a dire la ragazza –Io volevo solo vedere com’eri fatto- disse respirando piano, ripensando al giorno in cui aveva cercato Michael su Facebook e poi alla notte in cui l’aveva sognato -Tu eri lì, immobile, con la barba, gli occhi chiusi, eri sempre freddo e il rumore dell’elettrocardiogramma non ti abbandonava mai. Ogni volta che venivo a trovarti mi immaginavo come potesse essere la tua vita al di fuori di quella stanza d’ospedale. Mi chiedevo che suono avesse la tua voce, mi domandavo che università avessi frequentato e la cosa che più mi torturava era non riuscire a vedere i tuoi occhi, perché sapevo che sarebbero stati gli occhi più belli che avessi mai visto- disse la ragazza tutta d’un fiato, pensando ai giorni in ospedale, pensando ai giorni passati a stringergli la mano e a sperare che lui facesse lo stesso.
-La volta in cui dovetti pulire la tua stanza per la prima volta, vidi di sfuggita tua madre e tua sorella venirti a fare visita- continuò a dire la mora –Notai quanto fossero meravigliose e bellissime nei loro abiti firmati, e poi mentre procedevano verso la centosei, oltre ai loro capelli biondissimi e lunghi- aggiunse accennando un sorriso –Notai i loro luminosi occhi azzurri. Erano due acquamarine. Quindi pensai che probabilmente anche tu avresti dovuto avere gli occhi chiari e di quel colore-
Sarah alzò gli occhi per vedere cosa Michael stesse facendo e lo trovò con gli occhi fissi sul quadro, immobile mentre respirava piano. Il ragazzo non diede nessun cenno di voler rispondere o dire qualcosa così Sarah continuò. Tanto valeva raccontargli tutto.
La gola era arsa e il cuore le stava battendo a mille, non aveva mai confessato qualcosa di così personale a qualcuno e le sembrava tutto irreale, soprattutto perché quello che la stava ascoltando era uno dei più bei ragazzi che avesse mai visto.
-Un giorno stavo lavorando al computer e ho deciso di cercarti su Facebook. Volevo vedere come eri fatto, volevo conoscere qualcosa in più su di te, così ho visto le tue foto e…- Sarah si fermò smettendo di parlare. Non riusciva a dirlo ad alta voce.
Cosa avrebbe dovuto dirgli? Che si era innamorata? Che avrebbe voluto fare parte della sua vita?
-E?- fece Michael esortandola a continuare. Stava ascoltando tutto in silenzio e si stava sentendo strano. Forse quella era la prima volta che qualcuno era così sincero con lui e la verità che Sarah gli stava confessando lo lasciò spiazzato. Aveva capito di avere un certo ascendente su di lei, ma non credeva fosse qualcosa di molto più profondo.
Sarah incrociò i suoi occhi con quelli del ragazzo e sentì quasi le gambe cederle.
-E ho scoperto il colore dei tuoi occhi- terminò, smorzando il discorso in quel modo.
Michael sospirò e poggiò il quadro a terra dove l’aveva trovato. Non sapeva che dire, sapeva solo che Sarah non era a suo agio in quel momento, ma per qualche strana ragione aveva deciso di confidarsi con lui.
Proprio quando stava per parlare suonarono alla porta e Sarah si diresse ad aprire.
-Sarà il corriere con la cena- commentò il ragazzo, raccogliendo le idee e cercando di poter dire qualcosa di sensato dopo quello che Sarah gli aveva detto.
La ragazza aprì la porta e si ritrovò di fronte un ragazzo con piumino rosso, un berretto verde in testa e una busta di cibo.
Michael insistette a pagare tutta la cena e dopo qualche minuto il ragazzo vestito di rosso andò via, lasciando nuovamente i due da soli.
-Ho ordinato cinese, ti piace?- chiese Michael, che già pregustava il sapore dolciastro e delicato dei piatti che aveva ordinato.
-Oh- esclamò Sarah sorpresa –In realtà non l’ho mai mangiato. Non mi piace molto il pesce crudo- fece sincera facendo spallucce ma iniziando ad uscire già il cibo dalla busta. Si sentiva strana. Non si sentiva affatto più leggera ma sembrava essersi rilassata.
Ok, allora che ci pensava probabilmente Michael aveva capito della sua sorta di ossessione per lui e quanto fosse monotona la sua vita, e quindi ai suoi occhi sarebbe risultata ancora più sfigata di quanto già non fosse, ma a quel punto non le importava. Preferiva essere sincera e mostrare la vera ragazza che era piuttosto che fingere solo per poterlo ipoteticamente compiacere.
-Ma come non l’hai mai mangiato?- chiese sbalordito Michael sgranando gli occhi.
-Sì, l’idea di mangiare pesce crudo mi disgusta- replicò sincera Sarah. Perché non riusciva a guardarlo negli occhi?
-Ma la cucina cinese non è solo pesce crudo…- fece il ragazzo, cercando di salvare il salvabile. La cucina cinese piaceva a tutti, perché a Sarah non piaceva?
-Quindi ho fallato alla grande- aggiunse commentando il ragazzo, quando capì che probabilmente Sarah non avrebbe toccato cibo per tutta la sera.
-No, tranquillo. Non potevi saperlo, e poi sono ben consapevole del fatto che probabilmente sono una delle poche persone al mondo che non ha mai assaggiato la cucina cinese-fece la ragazza, sporgendosi verso la tavola e iniziando ad uscire le scatole di cibo fuori dalla busta.
-Un giorno devo portarti ad un ristorante cinese a Manhattan, è uno dei più buoni del paese- disse il biondo.  
-Ma quanta roba hai preso?- chiese poi, notando le cinque scatole sulla tovaglia.
-Un po’ di tutto, e poi io mangio tantissimo- commentò il ragazzo trattenendo una risata e aprendo le scatole. –Allora il pesce hai detto che non ti piace- continuò a dire mettendo via la scatola –Questi sono degli spiedini di carne con le spezie, sono buoni, devi assaggiarli- fece il ragazzo, porgendo la scatola a Sarah e dividendo in due le porzioni –Questi sono i ravioli, i noodles e i Baozi- concluse.
Sarah lo guardò stranita qualche secondo, stava facendo di tutto per distrarla e per non continuare il discorso che stavano facendo, non che lei volesse farlo, ma avrebbe preferito che Michael le dicesse qualcosa piuttosto che elencarle e descrivere il cibo cinese che aveva comprato.
-Sai i Baozi sono delle pagnottelle cotte al vapore con ripieno di carne, sono la fine del mondo- continuava a dire il ragazzo.
Sarah sospirò e guardò il ragazzo, era la cosa più bella che le fosse capitata davanti agli occhi.
In silenzio uscì piatti e posate e glieli porse al ragazzo che era intento a dividere ancora i piatti.
-Non mettermi molta roba, non posso mangiare tutte queste cose- commentò la ragazza davanti al biondo, pronunciando quella frase con fare quasi scocciato.
Michael si fermò e alzò gli occhi a guardarla.
-Perché non le puoi mangiare?- chiese il ragazzo, a cui di certo non era sfuggito il repentino cambiamento nell’umore di Sarah.
-C’è chi nasce fortunato e chi no. Io non sono fortunata sul profilo genetico, per smaltire tutta questa roba dovrei mangiare insalata come minimo per un mese- commentò la ragazza.
Michael aggrottò la fronte e scosse la testa.
-Non dire idiozie- esclamò sincero, quasi innervosito da quell’affermazione.
-Non dico idiozie. È vero- replicò Sarah, che stava guardando scettica il suo raviolo. Davvero Michael adorava quella roba?
Il biondo alzò gli occhi al cielo e sbuffò, la conversazione che avevano appena avuto di certo non aveva aiutato a migliorare le loro posizioni, e lui si rendeva conto di non aver replicato effettivamente a quello che la ragazza gli aveva confidato. La verità era che lui dava già per scontato che Sarah fosse sua, che in qualche modo gli appartenesse e che era la persona più vera e più vicina che avesse mai avuto, quindi non credeva necessario dirglielo o ripeterglielo.
-Perché ti stai comportando così?- esordì improvvisamente Michael, ponendo a bruciapelo quella domanda.
Sarah aggrottò la fronte –Così come?-
-Esattamente così. Sei scontrosa. Qual è il problema?- chiese il ragazzo.
-Qual è il problema?- replicò la ragazza, cercando di contenersi e di non fare una mezza scenata come quella della sera precedente –Non c’è nessun problema, Michael. Perché dovrebbe essercene uno?-
-E’ per quello che mi hai detto prima? Per il fatto che mi hai confidato una tua cosa personale? Quindi ora siccome non sai come gestire la cosa, fai finta di niente?- Michael pose queste domande in maniera molto calma, ma le sue parole alle orecchie di Sarah risultarono molto taglienti e profonde.
-Io faccio finta di niente?!- ripetè Sarah, colpita da quelle parole –Io ti ho appena detto che ho praticamente passato giorni interi a contemplare il tuo aspetto e tu mi parli di cibo cinese, e poi io farei finta di niente?!-
Michael la guardò divertito e con il suo solito ghigno stampato in faccia. Era ancora più bella quando si arrabbiava e di certo non poteva dire di non aver suscitato in lei nessuno reazione.
-Tu lo sai che mi piaci, vero?- chiese Michael, non curandosi dell’espressione che la ragazza avrebbe fatto una volta afferrate le sue parole –E che non mi metto a baciare la prima che capita, solo perché mi va-
Sarah alzò lentamente gli occhi, fino ad incontrare quelli del ragazzo di fronte a lei.
Aveva sentito bene?
Deglutì, benchè ormai la gola le era fatta arsa e non aveva nemmeno un po’ di saliva in bocca.
Michael sorrise di fronte l’espressione buffa e attonita che Sarah aveva assunto e non curante della cosa, arrotolò un noodles alla bacchetta e iniziò a mangiare imperterrito.
Sarah non credeva ai suoi occhi, ma la prendeva in giro?
-Allora?- chiese di nuovo lui –Lo sai, vero? Credo tu l’abbia capito dalle svariate e strane situazioni in cui ci siamo trovati- aggiunse il ragazzo.
-No, non lo sapevo- rispose Sarah sentendo le guance andare a fuoco.
-Mmm- mugolò Michael –Sei così intelligente e poi certe volte ti perdi in un bicchiere d’acqua-
La ragazza lo guardò, completamente attonita e confusa dal suo comportamento. Il fatto che lui prendesse e dicesse certe cose con totale nonchalance le dava ai nervi. Perché doveva essere sempre solo lei quella emotiva e vergognosa? E perché lui invece doveva tutto far sembrare così semplice?
Sarah dischiuse le labbra per dire qualcosa, ma alla fine non riuscì a dire nulla di sensato, così optò per assaggiare i vari piatti che Michael le aveva messo davanti.
Ricominciarono a parlare dopo qualche minuto, come se nulla fosse accaduto, e consumarono la cena come Michael aveva programmato.
Sarah non mangiò tutto, infatti tutto il cibo che non aveva mangiato lo diede con piacere a Michael, che sembrava essere un pozzo senza fondo.
-Non credevo fossi così affamato- commentò la ragazza, trattenendo una risata.
-Domani mattina dovrò andare a correre assolutamente- commentò il ragazzo, dando un sorso all’acqua e pulendosi le labbra con un tovagliolo.
-Allora non sono solo io quella che fa di tutto per smaltire ciò che mangia- fece Sarah trattenendo una risata e alzandosi a sparecchiare.
Michael sorrise e le porse i piatti.
-Allora, prima impressione sul cibo cinese?- chiese lui, alzandosi con lei e dirigendosi verso la cucina a vista per lavare i piatti.
-Mmm, pensavo peggio- rispose sincera la ragazza.
-Pensavi peggio?! Tutto qui?- esclamò Michael.
-Già. Anzi no, probabilmente oltre a mangiare insalata per un mese, per bruciare tutta la cena di stasera, dovrò andare a correre anche io per almeno due settimane- commentò la ragazza, girandosi di spalle e iniziando a sciacquare i piatti.
Michael la vide girarsi di spalle e colse la palla al volo. Per tutta la serata non l’aveva toccata e non si era nemmeno avvicinato a lei poi così tanto, quindi quando le cinse i fianchi e le fece scorrere le mani lungo la schiena, si scoprì particolarmente attivo.
Sarah ebbe un sussulto sentendo le mani del ragazzo salirle lungo la schiena e poi, come se non bastasse, Michael si appoggiò a lei, poggiando il mento tra l’incavo della spalla e del collo e prese a lasciarle dei baci leggeri nell’incavo tra la clavicola e il mento.
-Conosco un altro modo per bruciare calorie, decisamente molto più piacevole della corsa a prima mattina- sussurrò il ragazzo nell’orecchio della mora. Il cuore le stava battendo all’impazzata nel petto e poteva sentire i brividi di piacere correrle lungo la schiena fino ad arrivare dietro la nuca.
La ragazza sospirò, trattenendo una sorta di gemito quando Michael passò a massaggiarle i fianchi e poi l’addome. Le sue mani erano lisce e calde e sapevano esattamente come muoversi.
Michael si sporse di più verso di lei e per quello che poté riuscì a darle un veloce bacio sulle labbra.
-Devi lavare proprio ora tutti questi piatti?- chiese il ragazzo, impaziente di stringere Sarah tra le braccia.
La ragazza sorrise e gli fece cenno di sì con la testa. In realtà in quel momento stava provando una sorta di ansia da prestazione, soprattutto perché c’era una cosa che probabilmente Michael doveva sapere.
-Ti do cinque minuti- disse il ragazzo, dirigendosi in bagno e lasciando Sarah di fronte al lavandino, con le mani e le gambe tremanti.
La ragazza sospirò, totalmente ignara di quello che sarebbe accaduto da lì al prossimo futuro.
La mora asciugò le mani ad un panno e poi prese a togliere la tavola e le bevande, riponendole in frigorifero.
Quando la porta del bagno si aprì mostrando Michael, Sarah poteva sentire il battito del proprio cuore rimbombargli nelle orecchie.
Non fece in tempo a dire nulla che Michael la prese per mano e avvicinando il suo viso al suo, la baciò, iniziando ad intrecciare la sua lingua con quella della ragazza.
Inizialmente Sarah si sentì un po’ spaesata, ma poi iniziò a provare la familiare sensazione di fastidio allo stomaco accompagnata da una sorta di languore nel basso ventre.
Michael fece scorrere le sue mani sul corpo della ragazza, fino ad arrivare ai fianchi e immediatamente sotto le costole. Avrebbe tanto voluto immergersi nel suo corpo, assaporarlo, baciarlo e toccarlo come era solito fare quando desiderava qualcosa in quella maniera, perciò si diresse assieme alla ragazza verso il divano.
Il biondo si sedette e portò con sé Sarah, facendola sedere al suo fianco e continuando a strapparle baci appassionati.
Sarah sospirò, consapevole del fatto che probabilmente Michael questa volta non si sarebbe fermato come a casa sua e pensò a cosa fare e a soprattutto cosa dirgli.
Il ragazzo intrecciò le dita tra i capelli lunghi e scuri della ragazza e prendendola per il mento l’avvicinò di più a sé, continuando a baciarla e a toccarla.
Aprì meglio le gambe e prendendo Sarah per i fianchi, la fece sedere a cavalcioni su di lui.
La ragazza si sentì letteralmente andare a fuoco, soprattutto per la nuova posizione che avevano assunto.
Le sue gambe erano attorcigliate al bacino di Michael, lei era aggrappata alle sue spalle e si manteneva al suo collo.
Le labbra del ragazzo vagavano su ogni centimetro di pelle disponibile e scoperto e ogni volta che si muovevano, Sarah aveva un sussulto, accompagnato da un brivido tra le gambe.
Michael prima le baciò le labbra, poi scese sul collo, baciandoglielo lentamente, poi fece vagare le sue mani sotto la felpa della giovane e quando sentì la sua pelle calda e morbida sotto il suo tocco fece un sorrisino, consapevole di avvicinarsi sempre più verso il suo traguardo.
Sarah sentì le mani di Michael vagare sotto la sua maglietta e risalirle prima sui fianchi e poi sul petto. Quando sentì Michael giocare con il lembo del suo reggiseno non ce la fece a trattenere un gemito di piacere e il ragazzo la spinse più verso di sé per farle vedere quanto la voleva in quel momento.
Sarah, sentendo Michael sotto di lei eccitato e affannato, deglutì, agitata e anche per nulla consapevole di quello che avrebbe dovuto fare da lì a cinque minuti.
Michael fece scorrere le dita prima sulla coppa del reggiseno, disegnando il profilo sul petto della ragazza e poi con una mossa decisa e secca, prese i seni della ragazza tra le sue mani e iniziò a massaggiarli e a cercare di esplorarli da sotto la stoffa di pizzo.
Sarah dischiuse le labbra e sospirò rumorosamente, travolta da brividi e da spasmi di piacere.
Michael continuava a toccarla e ad accarezzarla e le sue labbra cercavano disperatamente le sue. Il ragazzo smise di toccarla e ispirato dai suoi gemiti e dal suo respiro affannoso cercò di sfilare la felpa della ragazza.
Sarah cercò di aiutarlo in qualche modo, ma risultò essere molto impacciata, soprattutto quando vide Michael slacciarsi la cinta dei pantaloni e poi la cerniera. Il suo cuore ebbe un’ulteriore accelerata e cercò di guadagnare tempo.
-Michael- mugolò la ragazza tra un bacio e l’altro. Il ragazzo la prese dalla schiena e cercò di avvicinarla ancora di più al suo bacino. La mora sentì come il ragazzo fosse eccitato e inarcò un po’ la schiena involontariamente, accorciando ulteriormente le distanze.
-Michael- ripetè Sarah, cercando di fermare le mani di Michael che stavano vagando tra le sue gambe.
-Che c’è?- chiese lui, smettendo solo allora di baciarla e ansimandole nell’orecchio. Aveva paura di sbagliare qualcosa e di rendere tutto troppo frettoloso, ovviamente non aveva dimenticato come si facesse sesso, ma il fatto che non andava a letto con una ragazza da parecchi mesi poteva complicare un po’ le cose, soprattutto in termini di durata.
-Devo…devo dirti una cosa- riuscì a dire Sarah, quando Michael si staccò un attimo da lei.
-Puoi dirmela dopo- replicò il ragazzo che ricominciò a baciare il petto di Sarah, cercando di allargare con le mani la scollatura della felpa in modo da poterle baciare il seno.
-No, Michael devo dirtela ora- ripetè Sarah, facendo tantissima fatica a rimanere concentrata.
-Mmm- mugolò il ragazzo, che alzò le braccia della mora e le sfilò lentamente la maglia.
Quando Michael notò il seno di Sarah di fronte ai suoi occhi, avvolto in un reggiseno nero semplice ma allo stesso tempo sodo e pieno, ci si immerse dentro, assaporando ogni centimetro di pelle scoperta della ragazza.
-Aspetta- fece la ragazza, quando il biondo, impaziente di averla tutta per sé, scese con le dita tra le sue gambe.
-Michael, ascoltami, è importante- fece una volta per tutte la ragazza, allontanando con uno strattone deciso il biondo da sé e rimanendo a cavalcioni sopra di lui, senza maglia, accaldata e sull’orlo dell’estasi.
Michael la guardò titubante e aggrottò la fronte. Cosa c’era che la turbava così tanto?
-Che succede?- chiese lui, cercando di far ritornare la parte più razionale di lui al suo posto.
-Io…- iniziò a dire Sarah, imbarazzata e spaventata per quello che stava per dire. Come l’avrebbe presa? Era la prima volta che lo diceva ad un ragazzo, fino ad allora non aveva mai avuto un’occasione del genere.
-Tu cosa?- ripetè Michael, cercando di respirare normalmente e di non pensare all’erezione che gli pulsava contro la gamba.
Sarah respirò pesantemente e prese la felpa tra le mani per coprirsi. Come avrebbe iniziato?
-Ti, ti ricordi quando ti ho detto che non ho mai avuto una storia seria, vero?- fece la ragazza, imbarazzata e con lo sguardo basso.
-Sì- biascicò Michael, che ancora non riusciva a capire.
-Beh, insomma hai capito, no?- fece la ragazza, che voleva evitare di dirlo ad alta voce.
-No, Sarah, non ho capito- replicò Michael, che davvero non riusciva ad afferrare.
Sarah respirò a fondo e chiuse gli occhi, cercando di formulare al meglio la frase.
-Insomma, il fatto che io non sia stata mai con un ragazzo implica anche il fatto che…- fece Sarah -…io non sia mai stata con un ragazzo- concluse, ponendo un po’ di enfasi sulle ultime parole.
I dieci secondi che seguirono furono probabilmente i più imbarazzanti della vita di Sarah. Michael la stava guardando con occhi leggermente spalancati, ancora non del tutto certo del significato delle parole della ragazza.
-Che significa che non sei mai stata con un ragazzo?- chiese ancora, pensando ad una semplice relazione piuttosto che a quella fisica.
Sarah abbassò lo sguardo e si lasciò sfuggire un sospiro.
Non appena Michael finì di pronunciare quella frase, si accorse del doppio significato della cosa.
-Oh- disse solo, capendo che per stata Sarah non intendeva solo fidanzata.
La ragazza lo guardò cercando di studiare la sua reazione. Probabilmente di lì a un minuto Michael se ne sarebbe andato, lasciandola sul divano a commiserarsi.
-Oddio, tu sei…- iniziò a dire, incredulo lui stesso delle sue parole –Tu sei vergine?- domandò sconvolto da quella rivelazione.
Sarah dischiuse le labbra per parlare, ma non riuscì a dire nulla: in quel momento avrebbe voluto sotterrarsi, così prese la sua felpa e cercò di coprirsi.
Bella figura di merda.
-Come è possibile?- chiese Michael ancora, incontrando gli occhi di Sarah e leggendovi imbarazzo e vergogna.
-Che significa com’è possibile?!- ripetè stizzosa la ragazza che di certo non si aspettava quella reazione da lui.
-Sì, cioè, come…come puoi essere vergine?- chiese ancora, passandosi una mano tra i capelli –Sei bella, non sei poi così piccola, vivi da sola…- iniziò a dire Michael, che davvero non riusciva a capire come fino a quel momento Sarah non avesse avuto nessuno. –E Bryce?!- chiese, ricordandosi del flirt che la ragazza gli aveva raccontato.
-Non sono mai andata a letto con Bryce- commentò Sarah appoggiandosi con una mano alla spalliera del divano e cercando di alzarsi da sopra Michael.
Aveva sempre immaginato che sarebbe stato una specie di trauma per chiunque scoprire quella cosa, ma non avrebbe mai pensato di provare tutta quella vergogna o comunque di sentirsi quasi inferiore. Non aveva di certo voluto lei rimanere da sola fino a quel momento della su vita.
Michael rimase imbambolato a guardarla mentre si rimetteva la maglia. Vide cadere la felpa sui suoi fianchi e si soffermò un attimo sul suo seno e poi sul resto del suo corpo.
Perché nessuno aveva goduto di lei quando era così piacente e attraente? Dal primo momento che l’aveva vista non aveva mai pensato che Sarah potesse esser vergine, aveva capito che probabilmente non era molto esperta di relazioni personali ed era abbastanza chiusa da quel punto di vista, ma non si immaginava quella cosa.
La ragazza, di fronte al mutismo del biondo assorto totalmente nei suoi pensieri, decise di andare in bagno. Non voleva vederlo, né sentire quello che aveva da dire. Si sentiva nuda più del dovuto, si sentiva totalmente senza veli e spoglia, inoltre lo sguardo di Michael era tra l’imbambolato e quasi lo sconvolto e lei non voleva essere guardata in quella maniera da lui.
Si chiuse la porta alle spalle e si guardò allo specchio, scrutando la sua immagine riflessa nel vetro: le labbra e le guance erano ancora arrossate, i capelli disordinati le ricadevano sul petto e il respiro era ancora veloce e il battito accelerato.
-Fantastico- mugolò sciacquandosi la faccia e raccogliendosi i capelli in un disordinato tuppo.
Era stato tutto un disastro e lei si sentiva una stupida, e non perché Michael aveva avuto una reazione un po’ inaspettata, ma perché aveva sempre saputo che il fatto di non essere andata a letto con nessuno fino a quel momento sarebbe stato un problema nel momento in cui sarebbe arrivato il momento di farlo. Aveva ventitré anni e le sue coetanee nonché amiche e colleghe avevano avuto anni di esperienza su quel fronte e poi probabilmente Michael da lei si aspettava chissà cosa data la strage di cuori che aveva sicuramente fatto negli anni addietro.
-Hai intenzione di rimanere chiusa in bagno tutta la sera?- disse improvvisamente il ragazzo dopo qualche minuto, appoggiandosi con un braccio alla porta e cercando di fare uscire Sarah dal bagno. Aveva avuto una reazione un po’ troppo impulsiva e voleva cercare di rimediare in qualche modo. A lui interessava relativamente che Sarah non avesse mai avuto rapporti con qualcun altro e più che altro era rimasto sorpreso dal fatto che la ragazza, benché fosse molto bella, non fosse stata ancora con nessuno.
-Chissà, magari quando esco tu ti sei annoiato e sei andato via, così posso crogiolarmi nella mia vergogna- commentò la ragazza in maniera sarcastica, decisa a non aprire la porta al ragazzo. Si vergognava troppo in quel momento.
-Oh, andiamo smettila- fece Michael, intenzionato ad aprire la porta. Non gli era sembrato che Sarah avesse chiuso a chiave quindi avrebbe potuto entrare quando voleva, ma non voleva forzarla in qualche modo e riusciva a capire che quello per la giovane doveva essere un momento alquanto imbarazzante.
-Puoi aprire la porta?-richiese il ragazzo, cercando di non risultare impaziente.
Sarah sbuffò, guardò di nuovo di sfuggita nello specchio e decise di aprire. Si stava comportando da stupida in quel modo e non voleva risultare anche infantile agli occhi di Michael oltre che totalmente inesperta.
Con un gesto deciso aprì la porta e si ritrovò Michael di fronte: i capelli spettinati, la camicia aperta e stropicciata e un sorrisetto idiota che la faceva andare su tutte le furie e allo stesso tempo in uno stato di sbavamento cronico.
-Che c’è?- chiese la ragazza, abbassando lo sguardo e mettendosi a braccia conserte. Non riusciva a guardarlo negli occhi.
-Che c’è?!- ripetè lui ironico. –Puoi spiegarmi perché ti sei chiusa in bagno?- chiese, assumendo uno sguardo da bambino con degli occhioni che trapelavano quasi tenerezza.
Sarah dischiuse le labbra per parlare ma poi scosse la testa.
-Ti ho appena detto che sono vergine, ecco che c’è- rispose lei. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce e sentirlo le fece uno strano effetto.
-E questo è un problema?- cercò di chiedere comprensivo il ragazzo, provando a non metterla ulteriormente in imbarazzo.
Sarah sospirò a fondo e chiuse gli occhi.
-Beh, a quanto pare per te sì- rispose lei, superando Michael e dirigendosi verso un punto indefinito della stanza.
-Per me non è affatto un problema- commentò Michael, che davvero non riusciva a capire tutte le fisime che Sarah si stava facendo.
-Sì, certo- replicò sarcastica la ragazza, che aveva capito come Michael stesse solo cercando di metterla a suo agio.
-Ehi, guarda che stai parlando con uno che è stato in coma un mese e mezzo e che non va a letto con qualcuna da mesi. Credo che chi stia messo peggio tra i due sia io, non tu- fece il ragazzo, cercando di sdrammatizzare.
-Metti che tutte le medicine che ho preso mi hanno reso impotente o mi hanno causato disfunzioni erettili? Non posso saperlo fino a quando non lo faccio- aggiunse ridendo.
In realtà anche lui aveva una sorta di ansia da prestazione, considerando il fatto che probabilmente non sarebbe durato così a lungo con nessuna, almeno la prima volta.
Sarah scosse la testa per l’idiozia che aveva appena sentito e alzò lo sguardo incontrando i suoi occhi. Inaspettatamente lo trovò vicino a sé, con la testa china su di lei e uno sguardo da cucciolo rassicurante.
Sarah spostò lo sguardo altrove e poi si sentì le braccia di Michael cingerle i fianchi e avvicinarla di più a sé. Cercò di allontanarlo ma Michael aumentò la presa e la incastrò tra sé e tra le sue braccia.
-Guardami- fece il ragazzo con risoluzione –Ho detto guardami- ripetè prendendo il mento di Sarah e girandole il volto verso il suo.
-Per me non fa nessuna differenza- iniziò a dire il ragazzo, incatenando i suoi occhi in quelli di Sarah. La ragazza dischiuse leggermente le labbra per dire qualcosa, ma l’azzurro degli occhi del ragazzo era magnetico e lei rimase semplicemente in silenzio. Il cuore le aveva ripreso a battere forte nel petto e sentiva le gambe tremare leggermente dall’emozione.
-Non mi importa se non sei stata con nessuno o se sei andata a letto con mezza New York- continuò a dire –Oddio, diciamo che se fossi andata a letto con mezza New York qualche problema ci sarebbe, ma non è questo il punto- fece ancora trattenendo una risata.
Sarah alzò gli occhi al cielo e sorrise leggermente, apprezzando lo sforzo che il ragazzo stava facendo per non farla sentire a disagio.
-Il punto è che io ti voglio comunque, e non mi importa se prima di me non c’è stato nessuno- continuò a dire il ragazzo, attratto dalle labbra carnose e rosee della ragazza –E il fatto che tu sia pronta a fare questo passo con me…- fece facendo una pausa -…mi onora- concluse, appoggiando la fronte su quella di Sarah e aspettando che lei dicesse qualcosa.
Sarah da parte sua sorrise leggermente, sinceramente colpita dalle sue parole e dal loro significato. In cinque secondi si era dimostrato più maturo e comprensivo di quanto già non fosse.
-Ma tu prima…- iniziò a dire lei ma Michael non le permise di finire.
-Prima mi hai solo sorpreso. Te l’ho detto sei bellissima e sei intelligente, sei perfetta- fece il ragazzo –E trovo assurdo che nessuno ti abbia mai sfiorato, anche se credo che sia stata più tu a non farti toccare da nessuno- aggiunse Michael accennando un sorriso.
Sarah sorrise leggermente e abbassò lo sguardo.
-Sono semplicemente selettiva- commentò lei, rimanendo colpita dalle parole che il ragazzo le aveva rivolto. Forse davvero Michael ricambiava i suoi sentimenti.
-E poi questo vuol dire solo che i primi tempi non faremo cose strane- commentò sornione e malizioso il ragazzo, trattenendo una risata soffocata e cercando di darle un bacio sulle labbra.
Sarah sgranò gli occhi, imbarazzata e sconvolta da quello che Michael le aveva appena detto e lo spinse via di qualche passo dandogli una spinta.
-Ehi!- esclamò lei, rossa di imbarazzo. Che cose strane aveva intenzione di fare?!
-Dai, stavo scherzando!- esclamò il ragazzo ridendo e riavvicinandosela a sé.
Sarah lo guardò in malo modo e lo guardò di sbieco.
-Quindi ora non te la prenderai se ti chiedo di vedere la televisione anziché di giocare con manette e frustini- commentò sfidandolo, trattenendo una risata.
Michael sorrise, notando come la ragazza si fosse palesemente rilassata, e la strinse più a sé.
-No, non me la prendo- rispose lasciandole un bacio in fronte –Credo di non aver mai comprato né frustini, né manette, solo corde per il bondage- commentò ridendo incrociando l’espressione di rimprovero che Sarah gli aveva rivolto -E poi dovrò pur tornare a casa prima o poi, altrimenti mia madre mi darà per disperso e mi farà cercare dall’FBI- aggiunse ironico, spostandosi con la ragazza sul divano. 


 
***
Ciao piccoli cuori! Ad una settimana esatta dal 15° capitolo ecco a voi il 16°!
Allora, come avete avuto modo di leggere ci sono state parecchie confessioni, soprattutto da parte di Sarah. 
Sul fatto che lei fino a questo momento non sia stata con nessuno ci ho pensato molto e in realtà credo che per come ho impostato il personaggio sia una cosa abbastanza logica. 
Sarah se ne è andata di casa a 18 anni, si è trasferita a New York e ha iniziato a lavorare fin da subito per potersi pagare l'affitto e il materiale per i quadri e per i quattro anni successivi è stata impegnata tra il lavoro, il volontariato all'ospedale e la sua voglia di diventare un'artista e non ha avuto modo di uscire con molti ragazzi  fino ad ora, complice il suo carattere e anche il fatto che è molto selettiva. 
Michael è rimasto un po' stordito dalla sua confessione, però si è rialzato subito, cercate di capire anche lui, non ha incontrato nessuna come Sarah fino a questo momento, quindi si sente anche lui un po' sballottolato e confuso. 
A parte quest'ultima parte credo che la parte più bella sia stata quando Michael ha visto il quadro. Quella per Sarah è stata una vera e propria ammissione di amore! Spero vi siate accorti che è lo stesso quadro che Sarah ha dipinto subito dopo aver sognato di baciare Michael nella biblioteca e l'ha tenuto a casa sua proprio perchè era molto personale e le ricordava il ragazzo!
Spero di riuscire ad aggiornare entrò martedì, ma in ogni modo vi avviso sulla mia pagina! 
Purtroppo non sono più in anticipo con i capitoli, nel senso che fino ad ora ne pubblicavo uno ma ne avevo già pronti altri due, quindi devo cercare di recuperare per non lasciarvi senza aggiornamenti soprattutto nei mesi successivi in cui avrò la sessione invernale! D: 
Ringrazio ovviamente voi accaniti recensori e tutti i lettori, tutti quelli che hanno mipiacciato la mia pagina Fb e tutti quelli che mi scrivono! Questa storia continua a crescere sempre più e adesso siete in più di 70 a seguirla! (settanta! vi rendete conto?!) 
Senza nemmeno farlo apposta vi lascio dunque con l'ultimo aggiornamento dell'anno, augurandovi buona vigilia di San Silvestro e Buon Anno Nuovo! Io stasera sarò impegnata in piazza  nel concertone Rai di Capodanno che fanno nella mia città per la prima volta! 
Auguri a tutti e fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e della piega che ho dato agli eventi! 
xoxo
M.

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Capitolo 17
*** 17 ***


17
 
20 dicembre 2013
 
-Sarah, quello poggialo lì!- le urlò dietro Tina, vedendo che Sarah stava poggiando un vassoio di biscotti nel punto sbagliato.
La ragazza vide la piccola donna tarchiata e con i capelli rosso fuoco cotonati correre verso di lei e indicare un punto specifico del tavolo.
-Ok, ok!- fece Sarah che si era quasi spaventata per l’esuberanza della donna. Non le sembrava che il posto dei biscotti fosse di vitale importanza per la riuscita dell’evento.
-Lo sai che se Sally vede qualcosa fuori posto inizierà ad urlare come suo solito, non diamole modo di surriscaldarsi- fece la donna trattenendo una risata e prendendo dalle mani di Sarah il vassoio dei biscotti allo zenzero –Questo va lì- fece andando a posizionare nel punto stabilito le leccornie da dare ai bambini.
-Questi biscotti sono buonissimi, chi li ha fatti?- esordì un ragazzo da dietro le spalle di Tina, rubando un omino di zenzero sotto lo sguardo di rimprovero della rossa.
-Sarah, questi tuoi amici non erano qui per aiutarci?!- fece con fare stizzoso ma quasi scherzoso la donna, che fece vagare il suo sguardo da Jordan alla mora di fronte.
-Oh, signora, ho appeso festoni di carta e lucine ad intermittenza per tutto il pomeriggio. Sono stanco!- esclamò Jordan che addentò senza farsi troppi problemi la testa del suo omino.
Sarah scosse la testa sorridendo e vide Jordan ridere sotto i baffi.
-Tina, lui va all’università, è abituato solo al lavoro mentale! Questi sono dei lavori forzati per lui!- disse ridendo Sarah che prese per un braccio Jordan e lo allontanò dai dolcetti da dare ai bambini. –Questi sono per i bimbi, smettila di mangiarli!- lo rimproverò Sarah una volta allontanatasi da Tina.
-Ma ho fame!- replicò Jordan portandosi le mani ai fianchi e guardandosi attorno: aveva fatto proprio un bel lavoro con quei festoni di carta fatti dai bambini.
-Sei qui per aiutarmi, non per farmi rimproverare!- replicò Sarah con un mezzo sorriso sulla faccia, ricambiando il grande sorriso che l’amico le stava rivolgendo.
-Perché vedi solo quello che faccio io? Anche Karen sta mangiando i biscotti!- esclamò l’amico rivolgendo il suo sguardo verso la punta della sala, in cui una bionda piccoletta stava amabilmente conversando con un infermiere e contemporaneamente stava bagnando una stellina alla cannella nel caffè.
-Beh, perché lei non da’ così nell’occhio! Come mai sei così esuberante oggi?- chiese Sarah, guardandolo e trattenendo un sorriso.
-Sono solo contento di passare del tempo con le donne della mia vita!- esclamò sornione Jordan, rivolgendo uno sguardo ammiccante alla ragazza, la quale alzò gli occhi al cielo. Ultimamente tutti avevano imparato a fare gli scemi.
-Ah, sì?!- fece Sarah, stando al gioco –Per così poco?-
-Mmm, quante ne vuoi sapere! E’ Natale, tutti sono felici, cantano canzoni per la strada, fanno regali! Sai dovresti farti coinvolgere anche tu dallo spirito Natalizio, piccola Sadie!- rispose Jordan esuberante.
Quando Sarah sentì come Jordan l’aveva appena chiamata sgranò gli occhi. Non sentiva quello stupido soprannome dai tempi del liceo.
-Jordan, non ti azzardare mai più a chiamarmi in quel modo, lo sai che lo odio!- esclamò la ragazza.
-Così, come? Sadie?! E’ così delicato invece. Sadie, puoi passarmi il punch per favore?!- ripetè Jordan imperterrito e continuando a scherzare.
Sarah lo guardò e scosse la testa. Era un caso disperato, un cervellone con problemi psichiatrici, ecco cos’era.
-Sai, se non ti conoscessi davvero bene, stenterei a credere che Harvard ti ha supplicato di andare da loro a studiare- commentò la ragazza, lanciando contemporaneamente uno sguardo a Karen che stava facendo gli occhi dolci all’infermiere.
-Mmm, la mia vita non può girare attorno ai calcolatori e alle programmazioni informatiche!- esclamò il ragazzo, guardando Sarah con i suoi occhietti vispi e chiari.
Sarah gli rivolse un sorriso e poi continuò a sfilare i bicchieri di carta e a cercare di creare una piramide.
Jordan e Karen erano andati con lei alla festicciola dell’ospedale sia per accompagnarla e sia per stare un po’ insieme. Natale era alle porte e sicuramente tutti loro lo avrebbero trascorso con le proprie famiglie e Sarah prima o poi sarebbe dovuta anche ritornare ad Hoboken dai suoi parenti.
Tutto sommato le settimane trascorse erano state abbastanza spensierate e molto piacevoli.
Sarah stentava a crederci ma la sua frequentazione con Michael le stava portando un qualcosa di positivo e doveva ammettere che da quando trascorrevano del tempo insieme tutto era diventato un po’ più semplice e lei si sentiva decisamente meno sola.
Benché non sapesse definire con certezza quello che stava vivendo con Michael, doveva ammettere che le piaceva pensare al fatto di aver iniziato una specie di relazione con lui.
Per come la vedeva lei non erano fidanzati, o comunque non c’era nulla di definito tra loro, però allo stesso tempo non potevano nemmeno definirsi semplici amici.
Jordan era un amico, Liam, Sam erano degli amici, ma Michael decisamente non lo era, sia perché lei era totalmente pazza di lui e sia perché gli amici non si baciano, né dormono insieme e né si sognano di notte.
-Sarah, ora capisco perché vieni a fare volontariato all’ospedale!- disse Karen con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia e correndo verso la mora. –Quel tipo è davvero carino!-
Aggiunse la bionda, lanciando uno sguardo all’infermiere con cui aveva parlato per qualche minuto.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: l’amica non cambiava mai!
-Dovresti vedere i dottori, allora!- commentò lei tenendole il gioco. In realtà ogni volta che prestava servizio all’ospedale non incontrava nessuno di interessante, ma per qualche secondo decise di prendere in giro l’amica.
-Dimmi che sono tutti come Mark Sloane di Grey’s Anathomy!- esclamò la piccoletta che stava già facendosi degli stani film mentali.
-Secondo me sono come O’Malley- commentò di rimando Jordan, che iniziava a sentirsi di troppo in quel discorso decisamente da ragazze.
Sarah scoppiò a ridere dando atto all’amico che aveva detto qualcosa di divertente e Karen di rimando gli rivolse una linguaccia. Jordan sapeva chi era O’Malley?! Quindi anche lui seguiva il telefilm.
-Lo dici solo perché sei geloso!- gli fece Karen.
-Oh, sì certo!- fece Jordan, facendo spallucce e facendo credere a Karen che era stato colpito nell’orgoglio –E di chi dovrei essere geloso, dell’infermiere?-
Karen lo guardò di sottecchi, non riusciva a spiegarsi tutta l’esuberanza di Jordan quel pomeriggio e secondo lei c’era qualcosa sotto.
-Tu, piuttosto, dì un po’, perché sei così felice?- gli chiese la biondina. Sarah a quella domanda fece un sorrisetto: allora ci aveva giusto giusto, il ragazzo nascondeva sicuramente qualcosa.
-Ancora?! E’ Natale!- ripetè evasivo Jordan.
-Mmm, non ti starai vedendo con qualcuno?- chiese Karen, avvicinandosi felina all’amico e facendogli gli occhi dolci.
-Non sono affari tuoi!- sbuffò il ragazzo, sorridendole con gli occhi.
-Sarah! Aiutami!- esclamò la biondina, che allora voleva conoscere tutti i gossip che si era persa. Jordan che si vedeva con una ragazza?! Quello sì che era uno scoop.
-Oh, Karen, lascialo stare, quando vorrà parlarci delle sue faccende personali lo farà lui!- rispose Sarah, che capiva al cento per cento la riservatezza del ragazzo.
Karen al sentire quelle parole spalancò la bocca. Ma come?! Non la stava aiutando? E si stava per sino coalizzando contro di lei?
Jordan rivolse un sorriso di intesa alla mora e le fece un cenno con il capo, mentre Karen guardava i due con sguardo di rimprovero e profondamente ferita nell’orgoglio da gossipers che si ritrovava.
-Ah, quindi lo difendi anche?! Credi che abbia dimenticato dei tuoi appuntamenti romantici con Abercrombie?!- replicò Karen.
Al sentire quelle parole Sarah si irrigidì e rivolse uno sguardo fugace a Jordan che probabilmente era rimasto al giorno della mostra.
-Abercrombie?!- ripetè il ragazzo confuso. Per come la vedeva lui Karen stava parlando in uno strano codice bellico.
-Sì, Jordy. Hai presente quella specie di modello, biondino, occhioni azzurri con giacca e camicia che volgeva le sue attenzioni tutte verso Sarah?!- iniziò a dire Karen che ormai non la fermava più nessuno. Lei era fatta così, le piaceva troppo prendere in giro la gente, soprattutto quando era timida ed innocente.
-Michael?!- fece Jordan, facendo mente locale a quella sera e ricordandosi del loro fugace incontro con Bryce che lo voleva fulminare con lo sguardo.
-Già proprio lui. Sarah non ci ha detto nulla, ma in realtà si stanno frequentando- disse Karen.
Sarah sentiva lentamente andare le guance in fiamme e cercò di sviare il discorso, senza successo.
-Karen, finiscila. Siamo solo amici- commentò Sarah.
-Sì, certo. Amici di letto, vorrai dire- disse la bionda, avanzando un sorrisino.
Sarah alzò gli occhi al cielo. No, che non erano amici di letto, ma non riuscì a dirlo.
Jordan emise una specie di grido di stupore.
-Sarah! Non ti facevo così focosa!- scherzò il ragazzo, che aveva notato con quanto imbarazzo la ragazza stesse cercando di uscire illesa da quel discorso.
-Jordan, non ti ci mettere anche tu!- replicò la mora, basita dal fatto che Jordan era un pettegolo proprio come lo era Karen.
-Oh, andiamo! Voglio conoscere tutti i dettagli sconci della vostra storia!- iniziò a dire il ragazzo –Da quanto tempo state insieme?-
-Ti ho detto che non stiamo insieme!- esclamò la ragazza, la cui voce risultò un po’ isterica anche a lei stessa.
-Tranquillo, adesso lo chiediamo direttamente a lui- fece Karen, assumendo un sorrisino diabolico nel momento in cui vide il ragazzo in questione varcare la porta girevole dell’ospedale.
-Cosa?!- chiese Sarah, girandosi di scatto quando vide sia Karen che Jordan guardare in un punto specifico dietro le sue spalle.
Si girò e incontrò immediatamente gli occhi sorridenti di Michael.
Il ragazzo procedeva sornione lungo il grande atrio di ingresso dell’ospedale e in mano aveva una scatola rettangolare e schiacciata.
A Sarah per qualche secondo mancò il respiro, sia perché non si aspettava Michael lì e sia perché era particolarmente piacente con i capelli un po’ disordinati, un cappotto di panno grigio, sciarpa blu, rossa e bianca e sneakers nere.
Il ragazzo incrociò il suo sguardo con quella della mora di fronte: poteva leggere nella sua espressione una parvenza di stupore, probabilmente per la sua inaspettata presenza lì.
Sarah gli aveva accennato a quella cena di beneficienza e lui inizialmente era restio ad andarci, soprattutto perché non aveva molta voglia di ritornare in quell’ospedale, ma poi pensandoci un po’ su aveva cambiato idea: era Natale, e lo scopo di quel cenone era benefico, e lui sapeva che Sarah teneva molto a quell’evento, quindi aveva ben pensato di accantonare la sua avversione per quel posto e di fare contenta la ragazza. E comunque sarebbe dovuto tornarci a breve per gli accertamenti e le visite di rito, quindi quanto prima si faceva passare quel trauma, tanto era meglio.
Michael si diresse sorridente verso il trio di ragazzi, riconobbe di sfuggita Karen e anche Jordan, entrambi con dei sorrisetti strani in volto.
Sarah guardò il ragazzo procedere verso di lei con una scatola di cartone che conosceva molto bene e rimase ancora più confusa. Cosa aveva portato?
-Ehi, non mi guardare così!- esclamò il ragazzo, sorridendo sornione a Sarah –Ho solo comprato un po’ di dolci per i bambini!- aggiunse, sporgendosi a darle un bacio sulla guancia, la ragazza rimase imbambolata per qualche secondo sotto lo sguardo vigile e malizioso di Karen e Jordan.
-Cosa ci fai qui?!- riuscì a chiedere Sarah,  sospirando e prendendo la scatola dalle braccia di Michael.
-Mmm, quanto entusiasmo!- replicò il biondo, facendo l’occhiolino a Karen che stava guardando divertita la scena.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
-In realtà moriva dalla voglia di vederti- commentò la bionda, che si gettò letteralmente tra le braccia del giovane, risultando molto esuberante ed espansiva.
Michael soffocò una risata di puro compiacimento e poi si girò a salutare Jordan.
I due si scambiarono un saluto molto confidenziale e poi focalizzarono l’attenzione su Sarah.
-Che hai portato? Questa è una scatola del bar di Jonathan!- esclamò la mora, riconoscendo lo stemma del caffè letterario dell’amico.
-Una cosa che ti piace tanto- fece lui, ammiccando un po’.
La ragazza spiò da dentro la scatola bordò e vide tantissimi cupcake alla Red Velvet. Emise un urletto di approvazione per la scelta e corse subito a sistemarli sul tavolo.
Lei adorava quelle tortine color porpora e fu decisamente contenta della scelta di Michael.
-Stanno arrivando i rinforzi- fece Michael, pizzicandole un fianco per farla girare.
-Ciao splendore!- esclamò Sam, dirigendosi verso di loro anche lui con una guantiera di cupcake in mano.
-Mmm, davvero tutti brutti questi tuoi amici- biascicò Karen a Sarah, vedendo il ragazzo bruno avvicinarsi a loro.
-Sam è pane per i tuoi denti, te lo lascio tutto per te- commentò Sarah a bassa voce, accennando un sorriso e rivolgendo lo sguardo verso il moro di fronte -Ciao Sam- disse al ragazzo, sporgendosi verso di lui per salutarlo e per aiutarlo con i dolcetti.
-Abercrombie, non mi avevi detto di avere un amico che faceva il tuo stesso lavoro!- esclamò la biondina, suscitando l’indignazione di Jordan lì affianco.
Sam si girò a guardare la piccoletta e le rivolse un grande sorriso sornione come di suo solito: era più forte di lui, non ce la faceva a fare il serio con le belle ragazze.
Michael di rimando scoppiò a ridere, sia perché aveva dimenticato dell’appellativo che la ragazza gli aveva affibbiato e sia per quello che lei gli aveva detto.
Sam allungò una mano, fingendosi un adulatore provetto, poi si girò verso Jordan e lo guardò con sguardo interdetto.
-Tranquillo, non stanno insieme- commentò Sarah, interpretando correttamente l’espressione di confusione sul viso di Sam.
Il moro trattenne una risata e motivato nuovamente dal fare il cascamorto, continuò il suo spettacolino. Si presentò a Jordan, che di certo era meno esuberante dei due ragazzi e Sarah cercò di intrattenere una conversazione per coinvolgere tutti quanti.
Era stranissimo per lei vedere Michael, Jordan Karen e soprattutto Sam tutti insieme riuniti in un luogo, soprattutto per un’occasione in un’occasione come quella. Non poteva nascondere che si sentiva particolarmente entusiasta della cosa, soprattutto perché sapeva di essere circondata da bravi ragazzi che sarebbero potuti andare molto d’accordo tra loro.
-Allora, Jordan, Sarah mi ha parlato molto di te- iniziò a dire Michael per rompere un po’ il ghiaccio.
La mora rivolse uno sguardo curioso al ragazzo in attesa di sentire quello che aveva da dire.
-Ah, sì?!- fece sorpreso il ragazzo, guardando Sarah e trattenendo un sorriso.
-Tu studi ad Harvard, vero?!- fece Michael –Ricevetti una richiesta da loro per il college quando andavo a liceo-
-Davvero? A che scuola andavi?- chiese Jordan, incuriosito. Non sapeva molto di Michael quindi probabilmente o era un atleta o era un super ricco a giudicare da quello che vedeva.
Il ragazzo biondo fece una pausa, consapevole che avrebbe suscitato sorpresa nei tre ragazzi, tranne in Sam ovviamente.
-Alla Dalton, andavamo insieme- fece, coinvolgendo l’amico. Sam annuì con la testa e non badò a quello che dissero o fecero i tre ragazzi di fronte, anzi imperterrito iniziò a strappare le braccine ad un omino di zenzero preso al volo.
La Dalton era una delle scuole private più costose e più prestigiose di New York, quindi non fu molto sorpreso quando Sarah, Jordan e Karen si girarono a guardarlo con occhi spalancati.
-Sì, lo so- commentò il ragazzo, cercando di non apparire imbarazzato per quella cosa
–Tradizione di famiglia- disse facendo spallucce. Doveva ammettere che trovarsi una volta tanto in un contesto “normale” e non circondato da super ricchi lo faceva sentire un po’ un pesce fuor d’acqua, meno male che con lui c’era Sam.
-Quindi dicevi?- riprese Jordan.
-Niente, tutto qui. Ho sempre desiderato andare ad Harvard, volevo fare Storia- fece Michael, cercando di sorvolare quel capitolo della sua vita.
-E poi?- chiese Jordan.
-E poi Economia a Princeton- rispose Sam, intromettendosi nella conversazione –Con me- aggiunse ammiccando –E sono stati anni indimenticabili- aggiunse il ragazzo, pensando ai tempi andati con aria nostalgica. Quelli sì che erano bei tempi!
Sarah guardò di sbieco entrambi i ragazzi. Lo sguardo sognatore di Sam non la convinceva per nulla e di rimando guardò Michael che le stava rivolgendo un sorrisino a metà tra il diabolico e il finto tonto.
-No, Princeton?!- fece Jordan guardando i due –Sono due anni che vi battiamo al campionato di football!-
-Tsk! Solo perché non ci siamo più noi in squadra!- commentò Sam.
-Voi giocate a football?!- chiese Sarah, che ignorava del tutto il lato sportivo dei due.
-Giocavamo- ci tenne a precisare Sam –Fino a quando Mike non ha capito che rischiava di compromettere il suo bel faccino se lo colpivano un po’ più forte- concluse dando un buffetto all’amico.
-Sì, certo. Non sono io quello che si è rotto il naso sbattendo contro un palo della meta!- rispose Michael per difendersi.
Sarah e Karen risero di gusto vedendo quei due battibeccare come due fidanzatini.
-Comunque, ho appena deciso che dato che Michael è off limits per ovvie ragioni- iniziò a sussurrare Karen all’orecchio di Sarah mentre i ragazzi confabulavano tra loro –Mi butterò su Sam, che dici, secondo te lo riesco a sedurre entro fine serata?-
Sarah scoppiò a ridere per il tono e per la richiesta che l’amica aveva appena fatto e scosse la testa, allibita e ormai abituata all’esuberanza dell’amica. Certe volte pensava che avrebbe dovuto prendere esempio da lei.
-Secondo me se gli fai una richiesta esplicita lui accetta, è un tipo molto pratico- rispose Sarah, guardando i tre ragazzi davanti e sorridendo loro.
Qualche minuto più tardi il gruppetto improvvisato iniziò a distribuire dolcetti, cupcake e omini di zenzero ai piccoli bambini che affollavano la sala e sia Sarah che Karen si sorpresero di come sia Sam, che Michael e Jordan erano particolarmente gettonati dai bambini e dalle bambine. Inoltre furono molto sorprese di come tutti e tre sapevano relazionarsi e giocare con i bimbi.
-Vuoi un po’ di punch?!- chiese Michael ad un bambino di colore, abbassandosi e mettendosi in ginocchio per poterlo guardare negli occhi.
-Ma il punch non lo posso bere- fece il bambino con una vocina tenera che sciolse il cuore di Michael.
-E perché non lo puoi bere?- chiese il ragazzo, che guardò con occhi teneri e dolci il bambino che aveva dei simpaticissimi capelli ricci legati con delle treccine piccolissime.
-Perché c’è l’alcool dentro, e io sono piccolo- rispose il negretto.
Michael lo guardò sorridendo.
-Sei piccolo?!- replicò il ragazzo –E io che ti avevo scambiato per un ometto!- esclamò il ragazzo.
-Ho cinque anni!- esclamò il bimbo.
-E come ti chiami?- chiese Michael.
-Jeffry- rispose il piccolo.
-Allora Jeffry, ascoltami bene- iniziò a dire Michael, con voce comprensiva e un po’ più dolce.
-Vedi quella bella signorina lì?! Si chiama Sarah- continuò indicando la mora dietro il tavolo delle bevande.
-Si!- annuì il bambino.
-Perfetto, allora vai da lei, e dille che ti mando io, fatti versare un po’ di punch nel bicchiere- fece il ragazzo –Quello l’hanno fatto proprio per i piccoli ometti come te e non c’è alcool-
Sarah vide la scena da lontano e guardava quella simpatica coppietta con il sorriso stampato in faccia. Michael ci sapeva decisamente fare con i bambini, non che ci fosse qualcosa che non sapesse fare in genere quando si trattava di relazioni sociali, ma lei fu piacevolmente sorpresa da quella cosa.
Dopo qualche secondo vide Jeffry sgambettare verso di lei e sporgersi verso il tavolo per chiedere del punch.
-Sarah! Sarah! Michael mi ha detto che posso aver un po’ di punch!- chiese il negretto, facendo un grande sorriso alla mora, che si accorse di come al bambino mancasse un dentino.
-Davvero Michael ha detto così?- chiese Sarah che stava già riempiendo il bicchiere di Jeffry.
Il bambino annuì con la testa e si avvicinò di più alla ragazza per poter prendere il bicchiere. Sarah lanciò uno sguardo a Michael che si stava godendo da lontano tutta la scena e gli rivolse un sorriso.
-Ecco, attento a non farlo cadere!- fece Sarah porgendogli il bicchiere.
-Michael mi ha detto anche che devo fare un’altra cosa!- aggiunse il bambino prima di andare.
-Mmm, davvero?- fece Sarah incuriosita, chinandosi leggermente. Quel bambino era bellissimo e poi era vestito anche di rosso e di verde come un perfetto aiutante di Babbo Natale.
Jeffry annuì e si avvicinò alla ragazza. Le lasciò un bacino sulla guancia e scappò via con il suo bicchiere di punch analcolico.
La ragazza sorrise guardandolo scappare e poi si ritrovò Michael di fronte, sorridente e soddisfatto.
-Non ti posso lasciare da sola cinque minuti che già mi dimentichi per un altro!- scherzò lui, avvicinandosi a lei e mettendole le mani sui fianchi.
Sarah sorrise guardando in su e poi si soffermò a guardare il viso del ragazzo. Michael le sorrise sornione e le lasciò un bacio sulle labbra che non sfuggì a nessuno dei loro amici.
-Che intenzioni abbiamo per dopo?- esordì Sam improvvisamente avvicinandosi con Karen e Jordan.
Sarah non riuscì ben ad afferrare il vero significato di quella frase: con Sam non si poteva mai sapere ed erano poche le volte in cui non faceva delle sottili allusioni sessuali.
-Fuori sta nevicando, quindi o ci rinchiudiamo in qualche locale o addio serata- commentò Jordan.
-Voi avete voglia di uscire? Io domani…- fece per dire Sarah.
-“Io domani devo lavorare!”- continuarono all’unisono Sam e Michael, canzonandola come sempre.
Sarah alzò gli occhi al cielo e Karen e Jordan scoppiarono a ridere.
-L’ultima volta che ho sentito questa frase mi sono ritrovato alle quattro di mattina sbronzo nel tuo letto!- fece Sam alzando un sopracciglio.
-Cosa?!- esclamarono Karen e Jordan insieme.
-E’…è una lunga storia!- tagliò corto Sarah che non voleva di certo entrare nel dettaglio.
Michael intanto se la rideva sotto i baffi, adorava vederla in difficoltà, soprattutto quando cercava di districarsi da argomenti che la imbarazzavano.
-E comunque ci credo che non vuoi uscire. Indossi un maglioncino decisamente anti-sesso!- continuò a dire Sam guardandola da capo a piedi e sorridendo ironico.
Sarah al sentire quelle parole gli fece una smorfia di tutta risposta. Non era affatto brutto il suo maglione natalizio, e poi era in un ospedale, che diavolo avrebbe dovuto indossare? Un abito da sera?
-Sempre meglio delle sue tute mono color. Almeno con questo maglione le si intravede qualcosa- aggiunse Michael ghignando, dando man forte all’amico e lasciando basita la ragazza.
Karen e Jordan nel frattempo stavano assistendo divertiti al loro scambio di battute e spostavano gli occhi da un ragazzo all’altro.
Sarah guardò sconcertata Michael, adesso lo aiutava anche?
-Quando siete insieme…siete ingestibili!- esclamò la ragazza esausta, mimando un qualcosa di indefinito in aria. Davvero non riusciva a tenere a bada entrambi contemporaneamente.
-E’ un regalo di mia madre che è venuta a trovarmi Domenica scorsa- cercò di giustificarsi la ragazza –E comunque a me è andata bene: almeno il mio maglione ha solo i fiocchi di neve. A mia sorella è capitato quello con le renne- terminò di dire imbronciata.
-Aspetta, cosa?!- fece Sam sconcertato che si era fermato a metà frase.
-Tu hai una sorella?!- chiesero all’unisono lui e Michael, che ignoravano del tutto l’esistenza di un’altra Lewis.
-Sì…- rispose titubante la ragazza a cui sembrava strano che anche Michael non sapesse di sua sorella.
-E ti somiglia?- chiese Sam ammiccando come di suo solito.
-Non ti conviene aver a che fare con Eleanor- fece Jordan ricordandosi della ragazza –E’ un tipetto piuttosto difficile-
-Grandioso! Io adoro le cose difficili!- esclamò Sam, che già si figurava la ragazza in mente.
-Per difficile, lui intende del tutto inarrivabile- ci tenne a precisare Karen, lanciando un’occhiataccia a Sam e poi anche a Sarah.
Michael e l’amico rivolsero uno sguardo incuriosito verso la mora in attesa di risposte, volevano proprio sapere di più riguardo Eleanor.
-Sì, Ellie non è affatto come Sarah- continuò Jordan con nonchalance, come se Sarah non fosse lì con loro.
-Ah, sì?! E come sarei io?- chiese stizzosa la mora, guardando scettica l’amico.
-Oh, tu sei pacata e gentile- iniziò a dire Karen.
-Mentre tua sorella è una stronza colossale!- finì Jordan.
Michael e Sam scoppiarono a ridere e Sarah sgranò gli occhi.
-Ehi! E’ pur sempre mia sorella!- esclamò la ragazza.
-Beh, è la verità! Devi ammettere che Ellie è una sadica stronza a cui piace che gli altri si struggano per lei- fece Karen.
Sarah alzò gli occhi al cielo, ma doveva ammettere che la descrizione di sua sorella più piccola non faceva una piega.
Michael e Sam la guardarono e soprattutto il primo si accorse che Sarah stava cercando di non addentrarsi nel suo rapporto con la sorella.
-Che cosa fa lei?- chiese Sam, curioso. Se non poteva ambire alla sorella grande, almeno in quel modo poteva giocarsela con la sorella piccola.
-Ehm, lei studia Psicologia a Yale- rispose Sarah spicciola e cambiando discorso.
Michael la guardò attentamente e notò di come aveva abbassato lo sguardo e di come il suo tono di voce si era fatto un po’ più cupo, così decise di far distoglier l’attenzione su di lei e di spostarla su qualcos’altro.
La serata procedette in maniera tranquilla e alla fine ragazzi si divisero.
Jordan e Karen dovevano incontrare Cecily e altri amici in un locale a Brooklyn, Sam aveva un appuntamento galante con una “conoscente” il cui nome era stato appositamente omesso e così Sarah e Michael si incamminarono verso una meta indefinita.
-Vuoi andare in qualche locale?- chiese Michael una volta uscito dall’ospedale e aggredito tutt’una volta da una folata di vento mista a neve. Fuori si gelava.
-Tu hai qualche idea?!- fece Sarah, stringendosi di più nel suo cappotto e sfrizionandosi le braccia per il freddo. La neve le stava bagnando tutti i capelli e le gambe le si stavano congelando. Erano fuori la struttura da massimo cinque minuti e stavano camminando a scatti, rigidi come delle stalattiti e irrigiditi dal freddo.
Michael si passò una mano dietro il collo e cercò di massaggiarsi alla meglio: quel freddo di certo non gli faceva molto bene, soprattutto per i saltuari mal di testa.
Sarah lo guardò con la coda dell’occhio e quindi cercò velocemente qualcosa da fare. Non potevano passare la serata a passeggiare per le gelide e innevate strade di New York, quindi le possibilità erano davvero poche.
-Se vuoi possiamo andare a casa- azzardò lei. Lì per lì le sembrava l’ipotesi più logica e meno costosa di tutte.
-Sì- annuì il ragazzo –Ma andiamo a casa mia, è più vicina- fece alzandosi la sciarpa e allungando un braccio per avvicinare Sarah a sé –Ti riaccompagno io più tardi-
Sarah annuì e si strinse un po’ più a lui. Il suo profumo era penetrante e forte anche in quel momento. In realtà le venne in mente di chiamare un taxi, ma Michael sembrava voler sfidare il freddo e il gelo continuando ad andare a piedi, così lei lo lasciò fare, in fondo la cosa peggiore che poteva succederle era prendersi un raffreddore.
Dopo un tempo indefinito, girando una traversa, Sarah riconobbe il grattacielo dei Trisher, e muovendosi a scatti seguì Michael, prima verso la portineria e poi nell’ascensore.
La sensazione di calore che l’avvolse una volta entrata nell’abitacolo fu puro sollievo e la ragazza notò anche di come Michael si rilassò al tepore dell’ascensore.
In realtà era un po’ nervosa all’idea di ritornare a casa di Michael, soprattutto perché questa volta non ci sarebbe stato un enorme party, ma sarebbero stati solo loro e nessun altro. Allora che ci pensava, a parte il salone non aveva mai visto nient’altro di casa sua e sospirò. Lanciò un’occhiata veloce a Michael che sembrava invece del tutto a suo agio con lei e all’idea di portarla a casa sua. In realtà in quel momento si stava solamente godendo il calore che gli stava riscaldando le mani e il viso: allora che ci pensava non era stata una grande idea tornare a casa a piedi.
-Ci siamo solo noi?- chiese Sarah titubante, quando l’ascensore si fermò e mostrò la grande porta in legno massello scuro di fronte.
-E’ un modo alternativo per chiedermi se ci sono anche i miei?- chiese Michael trattenendo una risata e soffermandosi a guardare Sarah. Il ritrovato calore le aveva fatto arrossare la punta del naso e le guance e sembrava una bambola di porcellana e Michael non avrebbe potuto dire se la ragazza era anche arrossita per ciò che lui aveva detto.
Sarah alzò gli occhi al cielo e lo guardò di sbieco.
-Comunque no, ci dovremmo essere solo noi. I miei trascorrono sempre i fine settimana negli Hamptons, lì abbiamo una villa- rispose il ragazzo varcando le soglie di casa sua –E mia sorella non ho idea di che fine abbia fatto, quindi siamo soli- concluse lui, togliendosi cappotto e sciarpa innevati e aiutando Sarah a fare lo stesso.
-Faremo tutte le pedate a terra, ora- osservò la ragazza, notando di quanto fossero zuppi i pantaloni, calzini e scarpe che indossavano.
-Aspetta, dovrebbero esserci delle pattine da qualche parte- rispose il ragazzo.
Michael si allontanò qualche minuto e Sarah si strinse in una sorta di abbraccio. Stava davvero sentendo freddo, forse il cambiamento drastico di temperatura non le aveva fatto molto bene.
Michael riapparve da una porta e porse a Sarah un paio di ciabatte nuove di zecca, prese i cappotti e li mise vicino il camino al centro della sala. Si chinò e cercò di far ravvivare il fuoco e quando ci riuscì aggiunse un altro pezzo di legna.
-Vuoi qualcosa di caldo da mettere?- chiese Michael premuroso e guardandola. Sarah annuì e Michael la prese per mano, conducendola verso un enorme scala di legno intarsiato.
Sarah si guardò attorno cercando di nascondere lo stupore che cresceva sempre più in lei. La casa dei Trisher era non solo enorme, ma anche arredata con uno stile classico misto agli oggetti e ai mobili di design più  particolari e più moderni. Era piena di quadri e di piante e sembrava un museo di arte moderna.
Michael guardò la ragazza procedere in silenzio affianco a lui e trattenere lo stupore e la sorpresa. Casa sua faceva questo effetto a tutti e ormai ci aveva fatto l’abitudine.
-Allora non scherzavi quando dicevi che tua madre è fissata con le opere d’arte e con l’arredamento- disse la ragazza, cercando di non risultare banale agli occhi di Michael.
Il biondo sorrise e aprì la porta di camera sua, prendendo Sarah da un fianco e facendola entrare.
La mora si ritrovò in una stanza con grandi finestre chiuse da delle pesanti tende avane, un grande letto matrimoniale in legno scuro, armadio intarsiato e una scrivania con Mac e accessori vari di elettronica.
Su una parete vi era un enorme libreria piena dei più svariati volumi, da romanzi, a libri rilegati, a saggi e a riviste varie.
-E’ molto…ordinata- disse Sarah guardandosi attorno e notando di come Michael aveva appeso il quadro nero e dorato sopra la sponda del letto. Non riuscì a trattenere un sorriso.
-E poi devo dire che quel pezzo d’arte che hai appeso lì sul letto è davvero un tocco di classe- scherzò la ragazza rivolgendosi a Michael e alludendo al suo dipinto.
Il biondo sorrise sornione e si avvicinò a lei, lasciandole un bacio sulla guancia.
-Hai tutti i capelli bagnati e sei congelata- commentò lui, prendendo nota di ciò toccandole la testa e il viso. Vuoi una cosa calda?- chiese guardandola preoccupato.
-No, grazie. Sono piena- rispose Sarah.
Michael la vide vagare per la stanza alla ricerca di chissà che cosa, curiosa e sorridente nel leggere i titoli di tutti i libri che aveva.
La vide far scorre le sue dita sulle copertine rilegate e su quelle di cuoio e di stoffa e sospirò.
Studiò i lineamenti del suo volto, il profilo del suo naso e poi scese giù, bramando il suo corpo, il suo seno e le sue gambe lunghe.
-Vuoi farti una doccia calda?- chiese serio, guardando la ragazza con uno sguardo indefinito e aspettando una risposta.
Sarah si girò a guardarlo, conscia del fatto che aveva cambiato tono di voce e che la stava guardando in modo strano.
La mora incontrò gli occhi celesti del ragazzo e per qualche secondo le mancò il fiato per rispondere.
Michael era lì che la guardava, in piedi, attraente e perfetto come sempre: i jeans gli avvolgevano aderenti le gambe e il maglione marrone metteva in risalto i riflessi dorati dei suoi capelli.
Sarah deglutì stringendo i denti e indurendo la mascella.
Cosa avrebbe dovuto rispondere? Il cuore le batteva veloce nel petto e cercò di regolare la respirazione come meglio poteva.
Michael la guardò di nuovo, questa volta sentiva anche lui uno strano fastidio allo stomaco e gli sembrarono anni quelli che passarono fino a quando Sarah non rispose.
-Sì- rispose Sarah a bassa voce –Mi andrebbe-
-Ok- annuì Michael aprendo una porta nella sua stessa stanza, che dopo qualche secondo si rivelò essere la porta di un bagno. Stava iniziando anche lui a sentire il nervosismo di quella richiesta. Non si sarebbe aspettato che Sarah annuisse alla sua domanda e quindi per qualche secondo rimase un po’ destabilizzato –Ti porto degli asciugamani puliti- disse lui cercando di guadagnare tempo.
Michael uscì dalla camera e lasciò Sarah sola in bagno. La ragazza sospirò titubante sul da farsi. Non sapeva nemmeno lei perché aveva accettato: forse perché sentiva le gambe e le braccia intorpidite dal freddo, o forse perché sentiva il petto bruciarle per tutto il vento che si era presa o semplicemente perché era eccitata dal pensiero di farsi la doccia a casa di Michael.
Si guardò di sfuggita davanti allo specchio  e si raccolse i capelli in un coda alta. Sospirò e guardandosi attorno titubante, iniziò a sfilarsi il maglione di lana con i fiocchi di neve.
Il bagno era ovviamente molto grande e comodo e non solo era dotato di doccia, ma aveva anche una vasca da bagno sotto la finestra alla punta della stanza.
Ripose il maglione su un mobiletto in legno chiaro e poi si sfilò i jeans, totalmente zuppi in corrispondenza della parte più bassa. L’aria nel bagno era calda e c’era un profumo di fiori dovuto ad un deodorante per ambienti automatico poggiato su una mensola.
Si tolse la canottiera interna e rimase in reggiseno e slip e avvertì improvvisamente freddo, come se ci fossero degli spifferi o delle folate di vento.
Si girò e trovò Michael sull’uscio della porta con degli asciugamani in mano che la stava guardando imbambolato.
Il ragazzo fece scorrere lentamente gli occhi su di lei e poi la guardò con un sorrisetto strano.
Sarah rimase immobile davanti a lui, avrebbe voluto coprirsi o nascondersi da qualche parte per sfuggire proprio ai suoi occhi, ma rimase al centro del bagno ferma e rigida.
Michael la sorpassò e si diresse verso la doccia, aprì il rubinetto e iniziò a far scorrere l’acqua calda. Dal box doccia iniziò ad uscire una fitta nebbiolina calda che bagnò tutta la faccia del ragazzo.
Sarah lo guardò in silenzio, ignara di quella che sarebbe stata la sua prossima mossa, ma quando lo vide sfilarsi il maglione e gettarlo a terra le tremarono letteralmente le gambe.
Cosa stava facendo?
Lo guardò in silenzio, con degli occhi strani, come se stessero guardando qualcosa di proibito ma di tanto desiderato e poi continuò a seguire i suoi movimenti.
Michael la stava guardando sornione, con il suo solito sorrisetto malefico e malizioso e con un gesto lento si sfilò anche la maglia a maniche corte, rimanendo a petto nudo di fronte a lei.
Sarah lo guardò cercando di non sbavare troppo sul pavimento.
Il suo petto era liscio e tonico e riusciva a vedere l’accenno di addominali definiti e il profilo delle anche che sbucava da sopra la cinta dei pantaloni.
-Che c’è?- chiese Michael trattenendo una risata, avendo già visto su molte altre l’espressione di totale smarrimento che la ragazza aveva in volto.
-Che stai facendo?- chiese la ragazza con voce strozzata e con la gola del tutto arsa.
Non aveva intenzione di spogliarsi nudo davanti a lei?
-La doccia- rispose Michael come se niente fosse. In realtà lui era molto più bravo di Sarah nel nascondere le proprie emozioni anche se in quel momento non riusciva a togliere gli occhi di dosso dal suo reggiseno e da quello che c’era sotto.
-Non avrai davvero creduto che me ne sarei stato da solo in camera mentre tu sei nuda in bagno- commentò avvicinandosi alla ragazza e slacciandosi la cinta. Con un gesto deciso fece cadere i pantaloni a terra e rimase in boxer davanti a lei.
-Ma…-iniziò a dire Sarah rossa di vergogna. Michael le si era avvicinato di più e allora poteva sentire la sua pelle nuda in contatto con la sua.
-E’ una semplice doccia. Non hai mai fatto la doccia con qualcuno prima di ora?- chiese lui, vedendo quella come una normalissima cosa. Allungò le braccia e le portò dietro la schiena della ragazza che rabbrividì.
-Ti ho detto che non ho mai fatto niente con nessuno…- rispose Sarah a bassa voce, un po’ in imbarazzo per quella cosa. Perché Michael lo dimenticava sempre?
-Poco male- rispose lui sorridendole –Nemmeno io ho fatto mai la doccia con qualcuno-
Sarah lo guardò stupita.
-Davvero?!- disse sorpresa. Se Michael aveva avuto tante ragazze come sospettava, le sembrava molto strana una cosa del genere.
-Non so se prendere questo tuo stupore come una cosa positiva o come una negativa. Che idea hai di me?!- scherzò il ragazzo, fingendosi indignato. Era vero che era stato uno sciupafemmine, ma non faceva certe cose con tutte.
Sarah rise, dimenticando per un momento che le mani di Michael le stavano risalendo lungo la schiena e stavano cercando il gancio del reggiseno.
Il ragazzo spostò lentamente le mani sulla schiena della giovane e poi dopo averle scostato i capelli, aprì il gancetto del reggiseno.
Sarah sentì scivolare la stoffa dal petto e le bretelline cederle. Michael le fece scivolare le bretelle lungo le braccia e poi fece cadere a terra l’intimo.
Lo sentì respirare più rumorosamente del solito, cosa che non le sfuggì, e quando alzò gli occhi per guardarlo meglio lo trovò con le labbra dischiuse, il respiro accelerato e gli occhi fissi sul suo corpo.
In quel momento stava provando una sensazione strana: era in imbarazzo per il fatto di essere quasi nuda davanti a lui, ma al tempo stesso era quasi lusingata di come Michael la stesse guardando in quel momento. I suoi occhi trapelavano stupore e bramosia e in quel momento tutti i problemi che si era fatta sul suo fisico sembrarono svanire, soprattutto perché Michael sembrava non badarci affatto.
Spinta da nemmeno lei sapeva quale coraggio, si sfilò gli slip neri e dopo aver lasciato un bacio sulla guancia del ragazzo, si mise nella doccia, totalmente ignara riguardo la piega che avrebbero preso gli eventi.
Michael rimase qualche secondo fermo. Riusciva a sentire il bruciore che il bacio di Sarah sulla guancia gli aveva provocato. Respirò a fondo, cercando di tenere a bada i suoi istinti, e con un gesto veloce si tolse il boxer ed entrò nella doccia.  
L’acqua sbatteva calda contro la pelle di Sarah che stava finalmente iniziando a riscaldarsi e le stava causando un piacevole brivido dietro la schiena.
Non passarono molti secondi prima che anche Michael entrò nella doccia e Sarah si irrigidì, girandosi di spalle a lui.
-Ti imbarazza?- chiese il ragazzo, posizionandosi dietro di lei e iniziando a massaggiarle la nuca e i capelli.
Sarah dovette prendere fiato prima di rispondere, sia perché i polpastrelli di Michael stavano vagando lenti e delicati sulla sua testa e sia perché iniziava ad avvertire una certa ansia.
-Cosa?- chiese la ragazza respirando a fondo.
-Il fatto di essere qui con me- rispose lui con voce bassa e mettendole le labbra vicino l’orecchio.
-Un po’- rispose Sarah sincera. Più che altro era il pensiero di essere totalmente nuda davanti a lui a crearle qualche problema.
-Non devi essere in imbarazzo- fece il ragazzo comprensivo e mettendosi un po’ di sapone tra le mani –E’ solo una doccia calda- aggiunse sorridendo.
Sarah incurvò le labbra in un sorriso. La faceva facile lui.
Michael passò le mani sotto l’acqua calda per far fare un po’ di schiuma e poi lentamente portò le mani sull’addome della ragazza.
Sarah era ancora girata di spalle e gli dava la schiena e lui mentre iniziò ad insaponarle la pancia e i fianchi, iniziò a lasciarle dei baci tra l’incavo del collo e la clavicola.
Sentì Sarah sospirare e irrigidire il collo sotto il suo tocco, così si mise dell’altro sapone sulle mani e decise di insaponarla tutta quanta.
Salì lentamente, facendo scorrere le sue mani prima sui fianchi, poi sulle costole e poi titubante ma bramoso di farlo da tanto tempo, le passò le mani sui seni. Sentì i capezzoli ritrarsi e la pelle diventare d’oca e motivato dal battito accelerato del suo cuore e dai sospiri che Sarah stava cercando di trattenere, strinse un po’ le mani e iniziò a massaggiare il petto della ragazza con dedizione e maestria.
Mentre rimase qualche secondo a giocare con il seno della ragazza, Sarah distese meglio il collo, così ché Michael potette allungarsi a baciarla sul serio. Mentre i due ragazzi intrecciavano le loro lingue l’acqua calda scorreva a bagnava le loro pelli, aumentando il loro desiderio.
Sarah mise una mano su quella del ragazzo e insieme iniziarono a muoversi lungo il suo corpo, suscitando desideri e piaceri che non aveva mai pensato di saper provare.
Michael cercò di avvicinarsi di più al corpo della ragazza e il sentire la sua schiena nuda e bagnata a contatto con il suo petto, di certo non lo aiutava a reprimere l’irrigidimento che stava avendo tra le gambe.
Sarah alzò un braccio e mentre Michael era intento a massaggiarle i seni tra le mani, lei immerse le sue mani tra i suoi capelli, avvicinando il viso al suo.
Il ragazzo con un gesto veloce fece girare la ragazza e se la ritrovò davanti, con i capelli in disordine e bagnati, le guance arrossate, le labbra gonfie e i seni turgidi.
Le portò una mano dietro la schiena e l’avvicinò di più a sé. Sarah sentì improvvisamente il fiato mozzarsi e un improvviso languore partirle dal centro dello stomaco e scendere giù tra le gambe.
Sentiva il suo corpo fremere e pulsare dalla voglia di avere Michael e tutto probabilmente era amplificato dal fatto che il ragazzo era letteralmente attaccato a lei incastrato tra le sue gambe e probabilmente quello che lei sentiva premere contro il suo basso ventre doveva essere la sua eccitazione.
Michael la baciò di nuovo, esplorando ogni angolo della bocca con la lingua e poi scese giù, andando prima verso la mascella e poi sotto il collo.
Sapeva che Sarah non l’aveva mai fatto prima di allora e per quanto lui lo stesse desiderando sapeva anche che non avrebbe voluto farlo nella doccia, soprattutto la prima volta, perciò cercò di darsi una calmata, soprattutto perché era partita come un’innocua doccia insieme, e non come una hot-shower.
Fece scorrere le sue mani lungo il corpo bagnato della ragazza e improvvisamente si staccò da lei, cercando i suoi occhi con i suoi.
Sarah rimase sorpresa da quel distacco e lo guardò confusa, aspettando che il ragazzo facesse o dicesse qualcosa.
Il cuore di Michael stava battendo impazzito nel petto e stava avvertendo dolore in mezzo alle gambe, quindi cercò di respirare a fondo e calmare i suoi bollenti spiriti.
Sarah sospirò e si morse le labbra e poi riprese a respirare velocemente. Si era totalmente abbandonata a lui e aveva letteralmente dimenticato tutto quello che aveva attorno, ma soprattutto il fatto che lei non fosse esperta in nulla.
La ragazza incontrò gli occhi blu di Michael e poteva ammettere di trovarlo non poi così calmo e padrone di sé come sempre.
Michael appoggiò la sua fronte su quella della ragazza e disse con voce roca –Ti fidi di me?-
Sarah alzò gli occhi e lo penetrò qualche secondo con le sue iridi cangianti. Per alcuni istanti l’unico rumore che riusciva a sentire era il battito del suo cuore rimbombarle nelle orecchie e quello dell’acqua sbattere contro i loro corpi e contro il vetro del box doccia.
-Sì- disse la ragazza, deglutendo.
Michael la guardò di nuovo e accennò un sorriso.
-Ti aspetto nel letto- fece, allontanandosi dalla ragazza e uscendo dalla doccia. 


 
***
Ciao stelline! A soli cinque giorni di distanza ecco a voi il nuovo capitolo! Con questo capitolo ritornano dunque gli aggiornamenti di martedì com'erano prima delle vacanze di Natale, e nemmeno a farlo a posta ve lo posto il giorno prima della Befana :) 
Dovete ammettere che ho avuto un regalino per voi per ogni festività :P
Allora, andando al capitolo, premetto che non era in questo modo che me lo immaginavo, in realtà non sarebbe dovuto finire così, ma in base a quello che poi ho scritto credo sia la fine più logica. 
Insomma, nella prima parte abbiamo visto un bel po' di personaggi interagire: è tornato il nostro amatissimo Sam e anche l'esuberante Karen e il bff Jordan.
Nella seconda parte invece c'è stato un momento un po' osè (xD)  (sarà che un mio amico mi ha appena mandato un video di lui che mi canta Hotline Bling di Drake e quindi mi sentivo ispirata).
Non so se si è capito o se si è colto ma in questo capitolo volevo mettere in vedienzia due aspetti del comportamento di Michael: il suo fare diligente e tenero che ha con gli altri e con Sarah quando si trova in un contesto generale e pubblico (n.b. il piccolo Jeffry) e quello invece super focoso e ammiccante che ha con lei quando sono da soli. 
In realtà non è un pervertito, ma è uno che ci sa fare e soprattuto è uno che sa di piacere (soprattutto a Sarah) quindi non si fa molti scrupoli e agisce e basta in base alle sue volontà!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Anestesia ritorna martedì dunque e io non posso naturalmente non ringraziarvi per tutto il supporto che mi date ogni volta!
Questa storia continua a crescere di capitolo in capitolo ed è quasi tra i preferiti di 50 persone e seguita da quasi 75! 
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo e della storia! 
Vi mando un bacio e tanti cioccolatini virtuali da trovare domani sotto l'albero o nelle calze della Befana! Vi ricordo di mipiacciare la mia pagina Facebook per seguire anticipazioni, foto e aggiornamenti della storia: Black Mariah Efp
xoxo
M.

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Capitolo 18
*** 18 ***


18

 
 
“Ti aspetto nel letto”
Le parole di Michael continuavano a rimbombarle nella testa anche se lui era andato via da qualche minuto.
Era rimasta totalmente spiazzata da quella cosa ed era rimasta immobile sotto l’acqua calda a pensare.
Aveva sentito Michael uscire dal bagno e chiudere la porta e in quel momento l’unico suono che riusciva a distinguere era quello dell’acqua che le sbatteva contro la pelle.
Il cuore sembrava impazzito, non riusciva a ritornare ad un battito regolare e per quanto Sarah stesse cercando di respirare a fondo per calmarsi, sentiva le gambe tremare.
“Ti aspetto nel letto”
Pensò di nuovo alla sua voce roca e baritonale e il suo cuore continuò ad accelerare. Ripensò alla sensazione che la pelle del ragazzo, appoggiata alla sua durante i baci, le aveva causato ed ebbe un brivido lungo la schiena.
Che avrebbe dovuto fare? Ma soprattutto quali erano le intenzioni di Michael?
Respirò rumorosamente e chiuse l’acqua. Sentì improvvisamente freddo, così dopo essersi strizzata i capelli per far scolare l’acqua in eccesso, uscì dalla doccia e cercò un asciugamano o un accappatoio in cui arrotolarsi.
Si passò una mano tra i capelli bagnati e poi scorse la sua immagine nello specchio: il mascara le era un po’ sbavato, le guance erano rosse quasi come se qualcuno le avesse dato due pizzicotti e le labbra erano gonfie e arrossate.
Probabilmente mai prima di allora si era vista così scombussolata e accaldata come in quel momento, chiuse un attimo gli occhi e le immagini del momento di passione appena passato le piombarono davanti agli occhi e fu così travolta dalla loro potenza, che riaprì di nuovo gli occhi per non farsi sopraffare dalle emozioni.
Michael l’aveva spogliata, poi si era messo nella doccia con lei, si erano baciati, lui l’aveva toccata quasi come uno scultore fa con la creta e lei si era totalmente abbandonata a lui, si era sciolta e infuocata sotto il suo tocco, a causa dei suoi baci e delle sue carezze.
Lui l’aveva trasportata in un’altra dimensione in cui per la prima volta non aveva pensato a niente, non aveva pensato alla sua timidezza, alla sua ingenuità, alla sua solitudine, o alla sua totale inesperienza. Si era sentita viva, si era sentita desiderata e questa cosa l’aveva sconvolta e le stava facendo paura. Che cosa sarebbe successo una volta uscita dal bagno?
A lei Michael piaceva, e non solo fisicamente, quella era una cosa scontata, a lei piaceva il suo essere, il suo modo di comprendere la gente, di essere malizioso e divertente senza mai strafare, a lei piaceva quando si comportava da ragazzo normale, cercando di appianare tutte le differenza sociali che c’erano tra di loro. Adorava il modo in cui sorrideva malizioso, adorava il modo in cui la faceva innervosire o imbarazzare o quando cercava di sorprenderla.
Dunque qual era il problema? Perché aveva paura di aprire la porta?
Prese ancora tempo e si avvolse in un grande asciugamano bianco che Michael aveva lasciato sul bordo della vasca. Cercò di togliere l’acqua in eccesso dai capelli con un altro panno e dopo aver frugato nei cassetti, trovò il fono e iniziò ad asciugarsi i capelli.
Quella che stava provando era una paura mista ad ansia, sapeva che probabilmente Michael la stava aspettando nel letto per approfondire quello che avevano iniziato nella doccia e a lei stava bene. Voleva abbandonarsi a lui, fare finalmente quella nuova esperienza e non avrebbe saputo chiedere di meglio. Michael era perfetto in ogni cosa che faceva, e sapeva anche che il ragazzo avrebbe fatto di tutto per metterla a suo agio, senza farle pressioni o altro, ma lei avrebbe voluto anche non deluderlo o comunque avrebbe voluto anche lei dargli piacere in qualche modo, ma era totalmente ignara su come fare.
Il tempo trascorse lento, o forse era a Sarah che era parso tale, e quando finalmente arrivò il momento di uscire dal bagno, attese qualche altro minuto.
Si guardò intorno e non trovò né il maglione né il jeans che indossava quando era arrivata, mentre gli slip e il reggiseno erano appoggiati sul bordo del lavandino.
Che doveva fare? Avrebbe dovuto indossarli? Michael la stava aspettando nudo nel letto? Come avrebbe interpretato il gesto di rimettersi l’intimo?
Sospirò in preda alla sua solita crisi di nervi e decise di fare una cosa a metà: indossò gli slip, mentre si avvolse l’asciugamano attorno al corpo a mo’ di vestito.
Se proprio avrebbe dovuto fare qualcosa almeno così avrebbe solo dovuto sfilarsi le mutandine, pensò.
-Ok, stai calma- si disse tra sé quando mise la mano sulla maniglia della porta e l’abbassò. Fu investita da un’ondata di freddo e con due passi si ritrovò nella stanza da letto di Michael.
Si guardò attorno e poi guardò in direzione del letto e con sua totale sorpresa non vi trovò nessuno, non era nemmeno sfatto.
Iniziò a guardarsi attorno alla ricerca di Michael e improvvisamente il ragazzo entrò dalla porta principale con in mano un vassoio con sopra delle tazze e una teiera.
Michael entrò lentamente, stando attento a non far cadere l’acqua calda che aveva preparato per il tè, e appoggiò il vassoio sulla scrivania.
Sarah strabuzzò gli occhi e dovette aprirli e chiuderli più volte prima di afferrare e capire quello che le stava accadendo intorno.
Michael era di fronte a lei ed era vestito dalla testa ai piedi, con i capelli perfettamente asciutti e ordinati, vestito con un completo blu scuro che aveva tutta l’aria di essere un pigiama e la stava scrutando con uno strano sguardo.
Sarah dischiuse leggermente le labbra e rimase interdetta da quella cosa. Ma non le aveva detto che l’avrebbe aspettata nel letto?
-Dato che non uscivi ho pensato di fare un po’ di acqua calda e di farci due tisane. Ho preso anche i biscotti- iniziò a dire Michael, il quale cercò di soffermarsi il meno possibile sull’immagine di Sarah coperta solo da un asciugamano.
La ragazza si era presa molto tempo per uscire dal bagno e lui aveva interpretato quella cosa come una sorta di temporeggiamento o un declino velato per quello che stavano per fare.
Voleva avere Sarah con tutto se stesso, ma non voleva risultare insistente o volenteroso solo di una cosa, quindi aveva deciso di cercare di comportarsi normalmente.
-Ah- Commentò Sarah un po’ stupita. Ma come, aveva fatto tutta quella fatica per convincersi ad uscire e a concedersi a lui e invece lui che faceva? Le portava i biscotti in pigiama?
Michael la guardò titubante e interdetto. Perché era rimasta lì ferma sull’uscio della porta?
-Non ti va? Era per riscaldarci. C’è il tè al limone, quello nero, quello al mirtillo…- iniziò a dire il ragazzo per prendere tempo. Versò l’acqua bollente nella tazza e dopo aver messo la sua bustina di tè al limone guardò la ragazza, aspettandosi una risposta.
Sarah lo guardò qualche secondo stranita, scosse leggermente la testa per cacciare i pensieri decisamente spinti che aveva avuto qualche minuto prima e rispose distogliendo lo sguardo dal ragazzo.
Michael mise la bustina al mirtillo nella tazza destinata a Sarah e poi coprì entrambe le tazze con dei coperchi in modo tale da far prendere meglio l’aroma del tè.
-Hai preso tu i miei vestiti?- chiese Sarah, cercando con gli occhi il suo maglione e il jeans. Avrebbe voluto rivestirsi in quel momento stesso e si diede della stupida per il fatto che qualche minuto prima aveva pensato addirittura di uscire nuda dal bagno.
-Sì, li ho portati giù vicino al camino per farli asciugare- rispose Michael facendo un passo verso di lei.
Sarah lo scrutò per qualche secondo: era assurdo come sembrasse un dio greco anche in pigiama e chissà lui cosa stava pensando di lei arrotolata nell’asciugamano come un salame.
-Vuoi qualcosa da metterti? Posso vedere se c’è qualcosa nella stanza di Martha- fece il ragazzo avvicinandosi ancora e facendo vagare gli occhi sulla pelle nuda della ragazza che riusciva a vedere.
Avrebbe tanto voluto baciarla di nuovo, assaporare con le labbra il suo collo, le sue spalle, soprattutto in quel momento in cui il dolce gusto del sapone era ancora vivido sulla sua pelle.
-Non credo che tua sorella sarebbe molto contenta- fece Sarah notando di come Michael si stesse avvicinando di nuovo a lei.
Il ragazzo sorrise leggermente e poi disse –Posso darti qualcosa di mio, oppure potresti sempre rimanere nuda- concluse dando voce ai suoi pensieri e assumendo la sua solita espressione malefica.
Passò una mano prima sul viso della ragazza, che dopo la doccia era ancora più liscio e morbido del solito, e poi tra i suoi capelli, intrecciando delicatamente le dita con la sua chioma  scura.
Sarah deglutì a quelle parole e si girò a guardare Michael negli occhi e lo trovò sorridente e vispo come di suo solito.
Alzò gli occhi al cielo, notando di come sotto sotto non perdesse mai il suo umorismo e la sua malizia e per la prima volta da quando si erano conosciuti, decise di stare al suo gioco.
In fondo non si era fatta coraggio per nulla.
-Solo se lo fai anche tu- commentò. In realtà quello che uscì dalla sua bocca fu solo un sibilo e nulla di più. Avrebbe voluto risultare sicura e padrona di sé, ma in realtà la sua vera natura di ingenua e timida ragazza non l’abbandonava mai, quindi quella che a lei era risultata una sfida, probabilmente a Michael risultò un mugolio.
-Cosa?!- chiese il ragazzo che credeva di aver capito male.  Aveva davvero pronunciato quella frase?
Michael la guardò con occhi spalancati e con il cuore che aveva iniziato a battere di nuovo a mille. Aveva fatto così tanto per calmarsi e per allontanare i suoi bollenti spiriti e poi, tutto ad un tratto, lei arrivava e gli faceva quelle avances?
-Ho detto- disse Sarah deglutendo e cercando di non impappinarsi con la lingua, dato che sembrava aver perso la salivazione –Che posso stare nuda…solo se lo fai anche tu- ripeté, cercando di risultare più convinta e meno imbarazzata.
La verità era che stava arrossendo come un peperone e probabilmente agli occhi di Michael sarebbe sembrata tutto fuorché una seduttrice.
Michael la guardò in trance per qualche secondo, ma poi si riprese. Non si aspettava uno slancio di quel genere da parte sua, ma non poteva nascondere che gli partì un brivido di eccitazione da dietro la schiena.
Voleva stuzzicarlo? Benissimo, lui l’avrebbe fatta sciogliere come ghiaccio sotto al sole.
-Se è questo che vuoi- commentò, incatenando le sue iridi blu a quelle marroni chiare della ragazza e rivolgendole un sorrisetto malefico.
Sarah deglutì, cercando disperatamente di riuscire a sostenere lo sguardo che Michael le stava lanciando e poi lo vide muoversi lentamente e avvicinarsi di più a lei.
Il ragazzo continuava a tenere gli occhi fissi nei suoi e con molta pazienza e lentezza, alzò le braccia e si sfilò la maglia, poggiandola ai piedi del letto.
Rimase di nuovo a petto nudo di fronte a lei senza nessuna vergona o timore e lui poteva giurare di riuscire a vedere le labbra di Sarah tremare.
-Devo continuare?- chiese Michael ghignandole di fronte e spostando le mani sul lembo del pantalone del pigiama.
Sarah deglutì e fece scorrere lentamente gli occhi prima sul suo petto nudo e poi sotto il suo ombelico.
Probabilmente non si sarebbe mai abituata a quella vista paradisiaca.
Dischiuse le labbra per rispondere, ma Michael in qualche modo l’anticipò, prendendola per mano e tirandola verso il letto. Le rivolse un sorriso strano, quasi di tenerezza e non carico di malizia come di suo solito e lei lo guardò in maniera strana.
Michael aveva apprezzato lo slancio di intraprendenza della ragazza, ma al tempo stesso poteva capire, o almeno immaginare, quanto potesse essere difficile per lei trovarsi in quella situazione, così la prese e insieme si sedettero in ginocchio sul letto.
Il ragazzo fece scorrere le mani dietro la schiena della mora, affondando le mani nell’asciugamano umido.
Sarah rimase ferma, ignara su quelle che erano le intenzioni di Michael, e aspettò che il ragazzo dicesse o facesse qualcosa.
Michael avvicinò maggiormente Sarah a sé, quel tanto da poterla sentire vicino al suo petto e lentamente prese ad accarezzarle il viso e a lasciarle dei baci sul collo e sulla guancia. La mora respirò più rumorosamente e si aggrappò alle spalle nude del ragazzo. Il nuovo contatto con la sua pelle la fece rabbrividire.
-Quindi?- chiese il ragazzo, sfiorandole il naso con il suo e appoggiando la fronte su quella di Sarah.
-Quindi cosa?- sussurrò Sarah, letteralmente rapita dalle sue labbra: sembravano disegnate.
Fece scorrere un dito sulla sua bocca e ne ricalcò il profilo e trovò le sue labbra morbide e umide.
Michael sospirò e prese la mano della ragazza nella sua e ritornò a guardarla serio.
-Che vuoi fare?- chiese il biondo, penetrando Sarah con le sue iridi blu.
La ragazza sentì il fiato mozzarsi in gola.
Già, che voleva fare?
Voleva stare con lui, questo era certo, ma a quel punto non era più molto sicura di niente.
-Io…- iniziò a dire con voce tremante. Il suo cuore stava battendo molto forte e non riuscì a sostenere lo sguardo di Michael. Lui stava aspettando una risposta e lei gliel’avrebbe dovuta dare al più presto se non voleva essere mandata male da lui –Non lo so- disse guardando in basso e cercando di reprimere quel disgustoso senso di inadeguatezza –Voglio davvero stare con te ma…-
Michael non le permise di finire la frase.
-Ehi, ok, va tutto bene. Non ti agitare- fece il ragazzo, passando una mano sul viso della ragazza e stringendola più a sé.
Non voleva costringerla a fare niente, era solo che la sua ultima richiesta l’aveva lasciato un po’ basito e probabilmente aveva frainteso le sue intenzioni.
-No, sul serio- fece Sarah, cercando di giustificarsi in qualche modo.  –Io…tu mi piaci- riuscì a dire con estrema fatica –…E ti voglio, davvero- continuò respirando veloce.
Michael la stava guardando sorpreso: erano poche le situazioni in cui aveva visto Sarah cercare di districarsi in quella maniera e il fatto che gli stesse dicendo quello che provava per lui, doveva significare che ci teneva particolarmente.
-Vedi che non lo dobbiamo fare per forza se non ti va, ti capisco- fece il ragazzo che aveva paura che Sarah lo stesse facendo solo per farlo contento.
-No, aspetta, fammi finire- disse la ragazza –Io ho solo paura di deluderti-
-Deludermi?- ripeté stranito il ragazzo, il quale iniziò a guardare Sarah con occhi dolci e a massaggiarle lievemente il collo per farla rilassare.
-Sì- annuì Sarah sospirando. Non si sentiva così agitata dai tempi del liceo, quando dovette disputare la sua prima gara agonistica di nuoto –Insomma, io non so come si fanno queste cose, non so come compiacerti o come farti stare bene. Te l’ho detto, non sono mai stata con nessuno, mentre tu hai avuto decine di ragazze e loro saranno state tutte così esperte e non voglio combinare un disastro a causa della mia totale inesperienza- aggiunse la ragazza. Aveva pronunciato ogni singola frase guardando un punto indefinito del petto di Michael e allora che aveva esternato quello che pensava, si sentiva più leggera, ma il senso di imbarazzo non era ancora sparito del tutto.
Michael di rimando ascoltò tutto in silenzio respirando lentamente. Ai suoi occhi in quel momento Sarah appariva ancora più desiderabile di come già non lo fosse e non voleva che lei pensasse quelle cose.
-Per prima cosa non devi assolutamente pensare a chi c’è stata prima di te- fece il ragazzo, alzando il viso di Sarah con due dita e costringendola a guardarlo negli occhi –E’ vero, ho avuto decine di ragazze e sono andato a letto con ognuna di loro- iniziò a dire il ragazzo.
Al sentire quella frase Sarah sussultò quasi. Ok che poteva intuire i trascorsi del biondo, ma sentirlo dal vivo faceva comunque uno strano effetto.
-Ma in questo momento, e spero anche nel prossimo futuro, sono qui con te, e credimi, non vorrei essere con nessun altra persona al mondo- continuò Michael, sicuro e fermo nelle sue parole.
Sarah sospirò, attraversata da una scossa. Perché doveva guardarla con quegli occhi? E perché lei doveva pendere dalle sue labbra annullandosi completamente?
-E’ chiaro?- chiese lui con voce roca.
Sarah non rispose.
-Ti ho detto, è chiaro?- ripetè con più foga il ragazzo, stringendola più a sé.
Il cuore di Sarah riprese a battere più forte e lei rispose annuendo a fatica. Certe volte stentava a credere alla verità delle parole di Michael, ma in quel momento non voleva aggiungere altri dubbi a quelli che già stava provando.
-Riguardo al fatto che non sai cosa fare…- riprese a dire il ragazzo, questa volta scacciando la sua espressione seria e facendo ritornare il suo solito ghigno malizioso e sornione -…Beh, il sesso è un po’ come andare in bicicletta- iniziò a dire soffocando una risata e incontrando gli occhi di Sarah totalmente confusi –Una volta che sai come pedalare, non ti dimentichi più. Ci vuole solo un po’ di pratica- concluse, sorridendo e guardando la ragazza con occhi vispi.
Sarah rimase quasi scioccata dalla scarsa profondità di quel pensiero e si chiese come faceva Michael a passare da un perfetto gentiluomo a uno sfrontato senza peli sulla lingua.
Trattenne una risata, ma scosse la testa in segno di rassegnazione di fronte al suo comportamento malizioso e gli diede una piccola spinta.
Il ragazzo colse la palla al balzo e sfruttando la forza che la ragazza aveva applicato sul suo petto, la fece cadere sul letto, facendola distendere e finendo in parte sopra di lei.
-Sei uno scemo- gli disse Sarah, che si ritrovò Michael per metà sopra di lei.
-Ti piaccio anche per questo- commentò il ragazzo, che non curante di quello che Sarah avrebbe fatto, iniziò a cospargerla di baci.
Sarah si sentì improvvisamente investita dalle labbra del ragazzo, non ché dal suo corpo e dal suo profumo e quando Michael iniziò a tempestarle le labbra di piccoli baci a stampo, lei decise di ricambiare con un bacio vero e proprio, passandogli le mani tra i capelli e intrecciando le sue gambe con quelle del ragazzo.
Dopo qualche secondo Michael si staccò e guardò di nuovo la ragazza negli occhi, appoggiandosi con il mento sul petto di lei.
-Posso toglierti questo asciugamano?- gli chiese retoricamente dopo aver iniziato a far scorrere le sue mani sul busto della ragazza e aver trovato il nodo che si era fatta per farlo star su.
Sarah lo guardò per qualche secondo e poi accennò un sorriso.
Prima che Michael potesse muoversi o fare qualcosa, portò le mani in corrispondenza del nodo e lo sciolse, avvertendo una sensazione di freddo mista paradossalmente al calore che le mani di Michael sulla sua pancia le causavano.
Michael guardò la ragazza liberarsi dall’asciugamano e si protese di più verso di lei per poterle stare vicino e toccarla meglio. Le passò prima una mano sulla pancia e poi mettendole un braccio dietro la testa, fece scorrere l’altra lungo tutto l’addome, fino ad arrivare al seno, su cui si soffermò di più, iniziandoglielo a massaggiare.
Sarah sospirò o quanto meno cercò di calmare la respirazione, e si protese di più con il collo per poter incontrare le labbra di Michael.
Il ragazzo era steso per un fianco sopra di lei e non solo riusciva a sentire la sua pelle nuda a contatto con la sua, ma avvertiva anche dei brividi corrergli lungo la schiena ogni volta che le gambe di Sarah si strusciavano contro le sue.
-Vieni, mettiamoci sotto le coperte- le fece il ragazzo, facendola alzare e sfilando il piumone. Aveva freddo e non avrebbe voluto rimanere per tutta la sera fuori dalle coperte.
Sarah lo seguì e poi posò lo sguardo sulle tazze che Michael aveva lasciato sulla scrivania.
-Probabilmente si saranno congelate- disse la ragazza, indicando con gli occhi il vassoio e la teiera che Michael aveva avuto la premura di preparare.
-Probabilmente sì- commentò Michael sorridendo e ritenendo che il contrattempo che aveva avuto era stato di gran lunga più piacevole.
Sarah sgattaiolò sotto le coperte, cercando di nascondersi il più possibile. Era vero che avrebbe dovuto iniziare a farci l’abitudine a rimanere quasi nuda davanti a lui, ma non voleva esagerare.
La medicina andava assunta un po’ per volta dopotutto.
Michael scosse la testa godendosi tutta la scena e trattenne un sorriso. Si mise anche lui sotto le coperte e immediatamente cercò il contatto con il corpo di Sarah, che forse avvicinò a sé con un po’ troppa foga.
La ragazza avvertì dei brividi di freddo dovuti al contatto con le lenzuola, ma quando Michael si mise di lato a lei e la strinse di più, si riscaldò immediatamente.
Il giovane allungò le mani e dopo aver messo un braccio sotto la nuca della ragazza come prima, con l’altra iniziò ad esplorare di nuovo il suo corpo, senza esitazione o ripensamenti.
Sarah iniziò a sentire nuovamente quella ormai familiare sensazione di languore al basso ventre e involontariamente sospirò irrigidendosi.
Michael trattenne un sorriso e poi passandole una mano sul viso le disse a bassa voce
–Rilassati, sono solo io. Non faremo niente che non vuoi. Voglio solo farti fare un po’ di pratica- concluse, sorridendo in maniera maliziosa, alludendo alle stesse parole che lui aveva usato prima.
Sarah lo guardò confusa, il cuore le era arrivato di nuovo in gola per l’agitazione.
-Pratica?!- ripetè Sarah, spaventata ma al tempo stesso eccitata dalla proposta che il ragazzo le aveva fatto.
Michael sorrise sornione e si sporse a baciarla. Sarah ricambiò ma si staccò subito. Voleva capire cosa stesse intendendo.
-Shh, fidati di me- le sussurrò il ragazzo nell’orecchio e poi scese con la mano lentamente. Accarezzò il petto della ragazza mentre contemporaneamente la baciava e poi si fermò a massaggiarle anche e il basso ventre.
Sarah iniziò a respirare più velocemente e quando capì cosa Michael intendesse con “pratica” riuscì a stento a far fermare il tremolio alle gambe. 
Con la punta delle dita Michael scese prima sul pube, poi sull’inguine e poi nell’interno coscia. Il suo cuore aveva subito un’improvvisa accelerata nel momento in cui sentì Sarah fremere sotto il suo tocco e sentiva anche pulsare in mezzo alle gambe, ma cercò di non pensarci.
Le abbassò gli slip fino a mezza coscia e le dischiuse un po’ le gambe, la ragazza sembrava un’ameba sotto di lui e tutto quello che riusciva a fare era respirare velocemente e guardare le labbra di Michael.
Il cuore le batteva a mille e sentiva calore e languore in ogni punto in cui Michael la toccava. Erano sensazioni che non aveva mai provato, che non pensava di saper provare e che probabilmente non avrebbe mai permesso a nessuno, all’infuori di Michael, di procurargliele.
Il biondo la baciò con passione e a lungo quando in maniera lenta e delicata si fece spazio tra di lei, trovandola calda ed eccitata.
A Sarah si mozzò il respiro quando sentì Michael toccarla internamente e si aggrappò alle sue spalle, inarcando involontariamente la schiena. Degli spasmi stavano attraversando il suo corpo e lei non riusciva ad essere padrona delle sue azioni.
Deglutì, mordendosi le labbra all’ennesima scossa di piacere che Michael le stava procurando e il ragazzo fece scontrare le loro labbra. Avrebbe voluto sentirla più vicino, avrebbe voluto essere dentro di lei completamente, ma in quel momento andava bene così, e gli bastava sentirla gemere sommessamente e respirare veloce al suo fianco.
Continuò per qualche altro minuto a darle piacere in quel modo, poi si allontanò di qualche decina di centimetri, stendendosi accanto a lei e fermandosi a guardarla. Doveva andare disperatamente in bagno a cercare di risolvere un problema con il suo amichetto in basso, ma non voleva lasciarla lì nel letto, subito dopo aver diviso quel momento con lei.
Sarah vide Michael stendersi accanto a lei e appoggiare la fronte di lato alla sua. Il suo cuore stava battendo ancora forte nel petto, e la respirazione non era ancora molto regolare. Si sentiva le guance arrossate, il basso ventre infuocato e le gambe le stavano ancora un po’ tremando.
Si sentiva strana, non sapeva che dire, né che fare. Michael le era accanto e probabilmente aspettava che dicesse o facesse qualcosa. In realtà era un po’ imbarazzata, sia per ciò che lui le aveva fatto e sia per come lei aveva reagito. Si era aggrappata a lui gemendo e assecondando i suoi movimenti e in quel momento era immobile a fissare il soffitto, stretta alle coperte per coprirsi il più possibile, in preda ad una leggera vergogna.
Girò la testa e incontrò lo sguardo turchese di Michael: il ragazzo la stava scrutando silenzioso e ne stava studiando i dolci lineamenti, avrebbe voluto dicesse qualcosa ma gli stava bene anche così. Quel silenzio era molto rilassante per lui.
Sarah incatenò i suoi occhi a quelli di Michael e dopo essersi morsa le labbra per la titubanza, si sporse maggiormente e assaporò le labbra del ragazzo.
Michael sorrise e ricambiò, fino a quando il suo problema sotto divenne un po’ troppo evidente e dovette rimediare in qualche maniera.
-Vado…un attimo in bagno- fece il ragazzo, trattenendo un sospiro e irrigidendo la mascella.
Sarah annuì silenziosamente e lui si alzò dirigendosi nell’altra stanza, cercò di fare tutto velocemente in modo tale da non far vedere nulla a Sarah e raggiunta la porta si chiuse dentro.
Passando accanto al letto Sarah notò delle strane ferite dietro la schiena del giovane e rimase qualche secondo a fissarle fino a quando il ragazzo non scomparì in bagno.
Rimase sola nella stanza per qualche minuto, sentendo il battito del proprio cuore rimbombarle nell’orecchio, accompagnato dai suoi respiri ancora accelerati.
Non sapeva cosa sarebbe successo tra loro in generale di lì in poi, ma sapeva solo che in quel momento si stava sentendo strana, era scossa dal momento appena trascorso e si sentiva un po’ frastornata.
Si fece più su sul letto, sedendosi e appoggiando la schiena allo schienale. Si aggiustò gli slip e uscendo dalle coperte, si allungò e prese la maglia del pigiama di Michael indossandola. Fu investita dal suo profumo, più di già quanto non fosse, e rimase sul letto ad aspettare il ragazzo. Che diavolo stava facendo in bagno?
Improvvisamente sentì vibrare qualcosa su un comodino, si sporse a guardare e vide che il suo cellulare stava camminando, procedendo verso il bordo del mobile, rischiando di cadere.
Si protese per evitare che cadesse e quando lesse il nome sullo schermo fu colta da un’ondata di ansia.
-Mamma?!- rispose con un po’ troppa foga e ancora con il fiatone. Cercò un orologio da qualche parte, aveva perso completamente la cognizione del tempo, le sembrava tardissimo, ma poi appurò con molta sorpresa che erano solo le nove e mezza, e solitamente quello era il momento in cui sui madre la chiamava.
-Ciao tesoro- le disse sua madre dall’altro lato della cornetta.
La voce metallica di sua madre la destò quasi da un torpore e si accorse solo allora che Michael stava uscendo dal bagno in quel momento. Deglutì imbarazzata. E se sua madre avesse chiamato qualche minuto prima?
Il ragazzo uscì dal bagno e vide Sarah accovacciata sul letto, intenta a parlare al telefono, con un’espressione in viso stranita e un po’ confusa.
-Come è andata la giornata oggi? Sei andata a quel cenone all’ospedale?- chiese la signora Lewis, sedendosi rumorosamente sul divano del salotto di casa sua.
-Ehm, sì- rispose a fatica Sarah. Michael si era messo di nuovo accanto a lei e senza farsi molti problemi iniziò a stringerla e a baciarle il collo.
-Sono tornata da un po’ a casa- cercò di dire la ragazza con voce tremante, mentre il respiro iniziava di nuovo a divenire accelerato a causa delle mani di Michael che vagavano sotto la maglia del pigiama.
-Chi ti ha dato il permesso di rivestirti?- chiese il ragazzo, soffiandole nell’orecchio. Sarah ebbe un sussultò e cercò di allontanarlo per quanto poteva.
-Che hai detto?- chiese sua madre, a cui era sembrato di sentire un’altra voce oltre a quella di Sarah.
-Ho detto che sono tornata da poco. Scusami ho la televisione un po’ ad alto volume- cercò di giustificarsi la ragazza inventandosi una scusa –Smettila- sussurrò mettendo una mano sul telefono e celando la presenza del suo compagno a sua madre.
Michael sorrise impertinente e come se Sarah non gli avesse detto nulla, continuò imperterrito a provocarla, tanto che la ragazza dovette prendersi qualche secondo per calmare il respiro e il batticuore.
Lo guardò male per qualche istante, poi cercò di prestare attenzione alle parole della madre.
-Tua sorella torna da Yale tra qualche giorno e dato che la dobbiamo venire a prendere dalla stazione di New York, io e tuo padre abbiamo pensato che forse potevamo passare una giornata da te e andare un po’ in giro a fare i regali. Che ne pensi, tu ci sei?- chiese sua madre, che ovviamente non immaginava quello che stava effettivamente succedendo a Sarah.
-Non so, mamma…- iniziò a dire la ragazza, a cui il fiatone continuava a crescere dati i continui baci di Michael nelle sue parti nude –Sai che a Natale i supermercati sono strapieni, non credo di poter prendermi una giornata libera, soprattutto se poi devo chiedere dei permessi anche la settimana prossima- fece la ragazza, a cui si mozzò il respiro quando sentì le labbra di Michael baciarle il seno. Irrigidì la schiena e con una mano cercò di allontanare il ragazzo che in quel momento si trovava in parte sopra di lei: la sua pancia era tra le sue gambe e il mento poggiava sulle sue costole.
Michael, che si stava divertendo un mondo a provocarla in quella maniera, le lanciò un sorriso di pura soddisfazione e le sussurrò –E per me non hai tempo?-
Sarah lo guardò in malo modo facendogli segno di stare zitto e poi tornò a sentire cosa le stesse dicendo sua madre. Perché quella sera era così loquace?
-Sarah ti sento strana, tutto bene?- chiese la mamma, che poteva sentire sua figlia palesemente diversa dalle altre volte.
-Ehm, sì mamma, sto bene, è che sto lavando i piatti e ho il telefono incastrato tra il collo e la testa- commentò la ragazza, che disse la prima bugia che le venne in mente.
Michael scoppiò a ridere a quelle parole. I piatti, su serio?
-Stai lavando i piatti?- gli chiese retoricamente Michael, che si alzò con le braccia e arrivò giusto di fronte la ragazza, sovrastandola con il suo corpo e baciandola sul collo e sulle guance.
Sarah cercò di riprendersi dalla sensazione di avere Michael completamente sopra di lei e con estrema fatica, continuò a dare corda alla mamma, che non accennava a voler concludere quella chiamata.
-Chi c’è con te? C’è qualcuno? Mi è sembrat…- iniziò a dire la mamma, ma non fece in tempo a finire che Sarah le aveva già risposto.
-No, mamma- disse facendo una pausa di qualche secondo, giusto il tempo di staccare le labbra da quelle di Michael –Te l’ho detto, sono da sola e sto guardando la tv. Ti posso chiamare più tardi? Oppure ci sentiamo domani mentre vado a lavoro, così parliamo meglio anche di Natale- tagliò finalmente corto la ragazza. Se sua madre non voleva decidersi a mettere giù il telefono, allora l’avrebbe fatto lei senza troppi giri di parole.
La signora Lewis rimase un po’ interdetta dalla foga usata da sua figlia e dalla volontà di troncare quella conversazione, ma accettò e non fece altre domande.
-Ok. Allora…a domani, buonanotte- fece la signora, con la sua solita voce squillante ma tenera e comprensiva.
Sarah salutò e riattaccò, lanciando involontariamente il telefono al centro del letto.
-Che diavolo ti è saltato in mente?!- chiese a Michael, appena liberatasi dalla chiamata.
Il ragazzo trattenne una risata: era troppo bello vederla in difficoltà, soprattutto quando lui la faceva arrabbiare.
-Mmm, suvvia- fece il ragazzo, assumendo un’espressione da cucciolo –Che vuoi che siano due bacetti- fece, ritornando sopra di lei e lasciandole dei leggeri baci sulle labbra che Sarah non riuscì a non ricambiare.
-E se ci sentiva?!- fece la ragazza, che si rese conto di aver sventato il peggio, sia per i giochini idioti di Michael e sia perché se sua madre avesse chiamato qualche minuto prima l’avrebbe trovata intenta a fare cose sconce con il ragazzo con cui si stava frequentando.
-Beh, in tal caso mi avresti dovuto presentare la signora Lewis- commentò sornione e ironico lui. Sarah di rimando lo guardò piuttosto male. No, che non aveva intenzione di presentarlo a sua madre, né allora né in un ipotetico futuro.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: certe volte era irritante quasi come Sam.
-Sai, io piaccio sempre alle mamme- aggiunse Michael, lanciando uno sguardo divertito alla mora, la quale si trovava ancora sotto di lui immobile.
Avrebbe dovuto alzarsi da sopra di lei, o altrimenti avrebbe dovuto usufruire nuovamente del bagno, e già prima era stato piuttosto doloroso.
-Mmm- commentò scettica e non molto sorpresa la ragazza –Chissà come mai- si disse retoricamente, lanciando uno sguardo di rimprovero al biondo e cercando di alzarsi un po’ di più.
-Beh, sono, anzi ero, un diligente studente di Princeton, sono laureato a pieni voti e sommariamente sono un bravo ragazzo…- commentò divertito Michael, che si alzò e si mise al suo fianco prendendole il viso tra le mani.
Sarah annuì già divertita dall’idiozia che Michael avrebbe detto di lì a cinque minuti.
-Sommariamente- ripetè ironica la mora.
-Già- fece Michael, soddisfatto –E poi non puoi negare che ho carisma e fascino da vendere- continuò a dire, pavoneggiandosi e adulandosi da solo.
Sarah trattenne una risata. Di certo non poteva dargli torto e capiva perché tutte le mamme lo adorassero.
-Mmm, scommetto invece che i padri ti detestano- fece allora Sarah.
Michael trattenne una risata e le portò una mano dietro la schiena avvicinandosi la ragazza maggiormente a sé.
Michael si morse le labbra sorridendo e guardò con occhi strani quelle di Sarah. E se gliel’avesse morse?
-Solo perché faccio breccia nei cuori delle loro figlie- rispose con voce roca.
Sarah gli portò una mano sul petto e lo guardò scettica e alzando gli occhi al cielo. Stranamente non si stava sentendo in imbarazzo o inadatta, il momento che avevano passato prima faceva parte della loro relazione e adesso le sembrava quasi naturale stare tra le sue braccia, e poi Michael sembrava trovarsi a suo agio con lei nel letto.
-Mmm, staremo a vedere- fece la ragazza che non voleva dargli molta soddisfazione sulla sua già appurata situazione sentimentale.
-Staremo a vedere?!- ripetè ironico Michael, sorridendo e baciando di nuovo Sarah, prima sulle labbra e poi sulla punta del naso –Mi sembra di vedere che io abbia già un posto in prima fila dentro il tuo cuore- scherzò lui, stringendola dai fianchi e intrecciando le gambe con quelle della ragazza.
Sarah alzò gli occhi al cielo, cercando di mascherare il fatto di essere stata colpita e affondata da lui.
-Ah, sì?!- fece la ragazza, cercando di sviare –E da cosa lo deduci?-
-Devo proprio spiegartelo?- rispose Michael, divertito ma allo stesso tempo indispettito da quell’evidenza che Sarah non voleva ammettere.
La ragazza sospirò, soprattutto sentendo le gambe di Michael intrecciarsi alle sue. Le sarebbe piaciuto stare a sentire tutto quello che Michael aveva da dirle, ma per qualche strana ragione non volle farlo, allora che ci pensava prima o poi sarebbe dovuta tornare a casa, anche se non le andava per nulla di rivestirsi e tornare a Brooklyn.
-No, conosco la risposta- fece, portandogli una mano sul viso e iniziando ad accarezzarglielo dolcemente.
Michael la guardò in maniera strana per qualche istante, poi si aggrappò maggiormente a lei e le lasciò un bacio sulle labbra.
-Peccato, avrei potuto sorprenderti- commentò il ragazzo, appoggiando la testa sul petto di Sarah e accarezzandole un fianco.


 
***
Ecco a voi il diciottesimo capitolo :P 
Lo so, forse avrò deluso un po' le vostre aspettative, ma conoscete Sarah e quindi probabilmente avrete immaginato anche che non si sarebbe mai concessa a Michael, per lo meno non allora :S 
Questo capitolo è un capitolo di passaggio, mi serviva per far sciogliere un po' la tensione sessuale tra i due e soprattutto per rompere un po' il ghiaccio sotto quel punto di vista. 
Anche se non l'ho scritto esplicitamente (solitamente non mi piace scrivere scene troppo spinte, quindi probabilmente le scene di sesso che ci saranno saranno tutte un po' molto soft) credo che si sia capito cosa Michael abbia fatto. Non sono scesa nei dettagli per non uscire fuori dal rating e anche perchè non mi piace molto farlo, quindi spero che abbiate apprezzato comunque la "leggerezza" della scena!
A conclusione di questo capitolo ho due annunci da farvi: per prima cosa non so se durante il corso di questo mese e del prossimo riuscirò ad essere costante con l'aggiornamento. Purtroppo inizia la sessione di esami invernale e devo concentrarmi sullo studio per prima cosa (anche perchè mi mancano solo cinque esami e poi avrò finito di studiare per il resto della mia vita  e devo cercare di fare tutti quelli che mi sono prefissata :P) 
La seconda cosa è che ho quasi deciso il finale di questa storia e so che probabilmente se decido di scrivere ciò che ho pensato, rimarrete attonite e frastornate dalla cosa, ma credo che proprio ciò che ho deciso sarà la sua particolarità. Non ho mai voluto scrivere una storia banale, ma una unica nel suo genere, quindi spero apprezzerete, comunque non c'è da temere, non morirà nessuno :D 
Posso dirvi però che manca ancora molto al finale di Anestesia, anche perchè ci sono tante altre cose e tanti avvenimenti da raccontare! 
Per concludere questa nota ovviamente ringrazio i recensori veterani (Che ormai amo alla follia, probabilmente senza di voi questa storia non sarebbe continuata, mi avete dato fiducia e avete sempre speso del tepo per farmi sapere cosa ne pensavate di ogni capitolo), i lettori silenziosi, tutti coloro che hanno aggiunto la storia tra i preferiti e le seguite (ormai siete una marea, e sono sempre più esterrefatta giorno dopo giorno che la mia storia sia seguita da così tante persone) e infine i nuovi recensori che hanno letteralmente divorato Anestesia in pochissimi giorni (Evelyn e Rose, siete state dolcissime).
Dopo questo sermone vi saluto perchè devo andare a studiare D: 
E vi lascio provvisoriamente appuntamento a martedì prossimo! 
Vi ricordo la mia pagina facebook:
Black Mariah Efp!
xoxo

M.

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Capitolo 19
*** 19 ***


Ok, prima che iniziate a leggere fatemi fare le mie più sincere scuse riguardo questo aggiornamento che è arrivato praticamente dopo quasi due mesi, benchè avessi detto che avrei cercato comunque di aggiornare durante Febbraio. 
Non l'ho fatto per sadismo o per prendervi in giro, ma da metà gennaio fino praticamente a ieri, ho fatto 3 esami e un esonero e davvero mi sembrava di impazzire e non sapevo da dove prendere il tempo per fare tutto, quindi ho un attimo abbandonato la cosa meno opprimente e ansiogena di tutte. Spero di farmi perdonare, sto già finendo di scrivere il nuovo capitolo che spero di postare entro domenica per farmi perdonare. Giusto per fare il punto della situazione, il 18° capitolo è finito con Sarah tra le braccia di Michael nel letto del ragazzo, dopo un momento di leggera passione tra i due e questo che state per leggere è la descrizione dei giorni successivi. 
Vi ringrazio per la pazienza e spero che non capiti più!

 

19

 
 
Quando Sarah rivide i suoi genitori dopo qualche settimana, fu travolta da una gioia leggera, legata alla naturale sicurezza che le trasmettevano. La signora Lewis vedendo sua figlia da lontano aspettarla con un trolley sotto il portone di casa, non resistette a correrle incontro e a riabbracciarla. Era vero, non la vedeva da sole due settimane, ma a lei era sembrata un’eternità.
Suo marito le stette dietro per qualche passo, poi decise di non imitarla e di aspettare di raggiungere Sarah pazientemente. La ragazza si sentì travolta da sua madre e la sentì stringersi a sé e abbracciarla. Nella foga del gesto di affetto, sua madre le tirò anche qualche capello, ma cercò di non dare a vedere il dolore che aveva provato e assecondò i gesti della donna.
-Mamma, così non respiro!- esclamò la ragazza qualche secondo dopo, guardando suo padre in cerca di aiuto e rivolgendogli un sorriso sincero.
-Ti vedo sempre più sciupata!- esclamò sua madre di rimando, senza nemmeno salutarla e soffermandosi brevemente a guardarla. –Ma mangi?- chiese.
-Quando mi ricordo- commentò Sarah ironica anche se non è che si fosse così tanto allontanata dalla realtà.
La signora scosse la testa e si tolse una ciocca di capelli neri davanti agli occhi e strinse con una mano il viso della ragazza. Era gelido e arrossato dal freddo.
-Da quanto è che stai aspettando?- chiese curiosa Cinthia.
-Beh, da quando mi avete detto di scendere…- rispose Sarah, salutando suo padre con un tenero abbraccio.
Joseph non era un uomo di molte parole e dopo averla stretta a sé per qualche attimo si prese la valigia della figlia e la portò in macchina.
-Dov’è Ellie?- chiese Sarah guardandosi attorno e aspettando di vedere sua sorella più piccola.
-Arriva tra qualche ora alla stazione, tra un po’ andiamo a prenderla- fece sua madre. La donna era particolarmente contenta quel giorno: finalmente avrebbe potuto avere a casa per qualche giorno le sue due figlie e anche se solo per poco tempo, non si sarebbe dovuta preoccupare della loro salute o del fatto che fossero lontane da casa e sole.
Si aggiustò un po’ meglio i capelli neri, disordinati per il vento e inumiditi dalla neve, e si strinse maggiormente nel piumino viola.
Le strade erano piene di neve e il cielo non era per nulla rassicurante: sicuramente avrebbe ricominciato a nevicare di lì a breve e lei stava morendo di freddo.
-Allora, che mi racconti?- chiese la signora, penetrando con le sue iridi marroni quelle della ragazza. Non sapeva perché ma poteva dire di riuscire a vederla quasi cambiata in quell’ultimo periodo. Non era più la solita ragazza timida e chiusa di sempre, non aveva più sbalzi d’umore e soprattutto sembrava essere più serena e molto più propositiva.
-Niente di che. Sto facendo qualche quadro su commissione e al supermercato ho dei turni assurdi per via delle festività- rispose Sarah, trovando sua madre un po’ più stanca del solito. Già si immaginava il gran trambusto che avrebbe trovato a casa e soprattutto immaginava tutti i preparativi per i futuri giorni di festa. Casa sua sarebbe stata stracolma di gente e di parenti e avrebbero mangiato ininterrottamente per tre giorni, e lei avrebbe preferito gelare fuori al freddo piuttosto che abbuffarsi di cibo. Era sempre stata fissata con il suo fisico e la linea da mantenere, e cercava di rispettare al massimo la sua alimentazione sana e proteica, concedendosi al massimo come peccatuccio un cup-cake da Jonathan e da quando aveva iniziato a frequentare Michael poi, era diventata quasi un’ossessione stare attenta al cibo: lui era così atletico e definito, perfetto in generale e lei sembrava tanto una miracolata a “stare” con lui.
Allontanò i suoi stupidi pensieri nel momento in cui sentì suo padre suonare il clacson e invitare lei e sua madre ad entrare in macchina. Non appena entrarono nell’abitacolo, Sarah e Cinthia si sentirono avvolte da un piacevole tepore e si strinsero maggiormente nei loro cappotti.
-Dove andiamo? A che ora arriva Ellie?- chiese Sarah guardando fuori dal finestrino e seguendo con gli occhi i fiocchi di neve che cadevano lenti.
-Alle sei- rispose suo padre, che nel frattempo stava armeggiando con la radio, cercando chissà quale canale.
-Che ne dici se andiamo in centro a fare qualche regalo? Magari ci aiuti con quello da fare a tua sorella. Sai che deve partecipare ad un seminario a Quantico? E’ stata selezionata tra più di duecento studenti!- iniziò a dire Cinthia elogiando sua figlia piccola.
Sarah sospirò senza distogliere lo sguardo fuori dal finestrino. Aveva dimenticato quanto fossero sempre così importanti tutte le cose che riguardassero Ellie.
-Mmm…no, non lo sapevo. E’ da tempo che non sento Eleanor- commentò solo la ragazza, cercando di apparire neutra di fronte a tutto l’entusiasmo della madre.
Suo padre le lanciò uno sguardo dallo specchietto retrovisore e la vide assumere la sua velata espressione di disappunto, trattenne un sorriso e cercò di salvare sua figlia dalle inappropriate attenzione di sua moglie.
-Hai fatto qualche quadro?- chiese direttamente suo padre, che imboccò la traversa per attraversare il ponte ed andare a Manatthan.
-Sì, alcuni- rispose la ragazza, non volendo scendere nel dettaglio. Aveva capito che suo padre lo stava facendo solo per focalizzare l’attenzione su di lei e non voleva fare la bambina, vantandosi o facendo capire a sua madre che le sue continue adulazioni nei confronti della sorella la infastidivano.
-Ah, sì?- fece sua madre girandosi a guardarla curiosa. Perché lei non ne sapeva nulla? –E a quanto gli hai venduti?-
-Al giusto prezzo- rispose la ragazza, spostando lo sguardo e incontrando il viso spigoloso di sua madre. La donna strinse gli occhi a due fessure, capendo che sua figlia stava sorvolando volontariamente sull’argomento, e rincarò la dose.
-A chi gli hai dati?- chiese curiosa. Era contenta quando Sarah vendeva qualche quadro, almeno non si ammazzava di lavoro per nulla.
-Beh, gli ho venduti a svariate persone- rispose con ovvietà la ragazza. Voleva nome e cognome? Che ne voleva sapere?
-Magari sono persone famose!- esclamò sua madre sorridendo e guardando dritto di fronte a sè.
Joseph sorrise, notando di come sua moglie fosse incorreggibile e sempre piena di spirito.
Per un certo verso riusciva a capire sua figlia Sarah, loro erano molto simili. Erano sempre stati i componenti più razionali e meno impulsivi della famiglia, mentre Eleanor e Cinthia erano molto più attive e soprattutto non si facevano mai problemi di nulla.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Decise di parlare solo perché per una volta voleva avere anche lei il suo momentino di gloria.
-Hai presente i Trisher?- fece lei a bassa voce, percependo un improvviso aumento dei battiti del cuore nel momento steso in cui pronunciò il nome del suo ragazzo.
-Quelli della banca?- fece suo padre incuriosito.
-Sì- commentò Sarah –Beh, alcuni gli ho fatti per loro- fece la ragazza, pensando sia ai quadri di Michael e sia ad un quadro che di recente il biondo aveva voluto comprare a tutti costi da lei. Lui le aveva rifilato la scusa che voleva metterlo nella sua camera nella villa degli Hamptons, ma non era mai stata molto convinta della sua versione.
-Oddio, davvero? E solo adesso ce lo dici?- fece sua madre, che aveva assunto un sorriso quasi smagliante.
-Che avrei dovuto dirvi?- fece la ragazza con semplicità.
-Beh, che hai certi tipi di clienti!- esclamò con ovvietà la donna, meravigliandosi di quello che Sarah le aveva detto.
-Non mi sembra molto importante a chi vendo i miei quadri. Sarei felice anche se li vendessi a qualcuno che vuole fare un semplice regalo- commentò la ragazza. Era decisamente tornata a casa, lo sentiva proprio da dentro.
Dopo un tragitto in macchina abbastanza lungo, parcheggiarono in un autosilo e andarono alla ricerca dei vari regali da fare alla famiglia.
Sua madre la costrinse ad entrare in ogni negozio che trovavano per strada, lasciando Joseph felice sotto la neve.
Comprarono di tutto: dai giochini di plastica per i suoi cugini più piccoli, a dei cappellini, sciarpe e calze per gli zii, i nonni e i cugini più grandi.
-Cosa vorresti comprare ad Ellie?- chiese Sarah, già pronta ed esausta ad entrare nell’ennesimo negozio per provare chissà quante cose.
-Non so, avevo pensato ad un vestito o ad un cellulare nuovo- rispose sua madre.
-Mmm, molto simili devo dire- commentò ironica Sarah, notando di come fossero diametralmente opposti i due regali a cui sua madre aveva pensato.
Cinthia sorrise e si addentrò nei corridoi di Macy’s stracolmi di gente e di abiti in disordine e accavallati, lasciati lì dalle centinaia di persone che provavano e scartavano i vestiti.
Sarah sospirò, allora che ci pensava avrebbe dovuto pensare a cosa comprare a Michael per Natale, e quello sarebbe stato davvero un bel problema.
Si guardò attorno cercando di avere un’idea decente: era la prima volta che le capitava di dover fare un regalo ad un ragazzo, o meglio al suo ragazzo e quella cosa la mandò totalmente in crisi. Cosa avrebbe potuto regalargli? Un maglione? Una camicia? Una cravatta? Erano centinaia le possibilità, ma a lei non sembrava andarne a genio nemmeno una, anche perché insomma, era Michael e per come la vedeva lei, avrebbe potuto regalargli anche la luna, ma avrebbe sempre fatto comunque la parte della poveraccia.
-Sarah, vieni! Secondo te questo le potrebbe piacere?- la chiamò sua madre sventolandole un tubino blu davanti agli occhi.
-Non è un po’ troppo corto?- chiese Sarah titubante, notando di come fosse luminosa la stoffa sotto i faretti del negozio.
-Nah, non credo. Tua sorella è più bassa e più magra di te, le starà bene- commentò sua madre, guardando prima il vestito e poi la siluette formosa e slanciata di Sarah.
-Ho deciso prendo questo- fece Cinthia guardando sua figlia grande e dirigendosi verso le casse.
Sarah la guardò allontanarsi e la seguì a passo lento sospirando. Sua madre certe volte non aveva idea di che cosa significasse il tatto e la discrezione, soprattutto quando si trattava di fare paragoni tra lei e sua sorella.
Uscirono finalmente da quel negozio e si incamminarono verso la stazione: era felice di rivedere sua sorella e di passare qualche giorno a casa, di rivedere le stradine della piccola città da cui proveniva e passare magari qualche sera con Jordan e Karen, ma doveva ammettere che vivere da sola per tutti quegli anni l’aveva cambiata, trasformandola in una persona un po’ meno tollerante di quanto già non lo fosse.
Passò la successiva mezz’ora seduta su una panchina della stazione, seduta in mezzo a suo padre e a sua madre e a scorrere le fotografie dei suoi quadri o dei suoi book fotografici al telefono, sotto quasi minaccia di sua madre.
-Sono davvero bellissimi- commentò Cinthia, vedendo i suoi ultimi lavori e prendendo atto della vena creativa della figlia.
A quei complimenti, che lasciarono Sarah quasi di stucco, dato che sua madre non era solita farne per i suoi lavori, decise di parlare ai suoi della mostra che era iniziata a Dicembre e che era in procinto di finire.
Allora che ci pensava non ne aveva fatto parola con i suoi genitori, né con nessun altro, tranne amici e colleghi di quella cosa, e probabilmente sua madre non l’avrebbe presa bene.
Nel momento esatto in cui Sarah stava per iniziare a parlare però, si sentì il suono dell’altoparlante che annunciava l’arrivo del treno e sua madre si alzò di scatto, avvicinandosi ai binari.
Sarah rimase interdetta e sospirò, scuotendo un po’ la testa e seguendo con gli occhi Cinthia e il treno che stava arrivando.
Prima che Eleanor scendesse dal treno, passarono una decina di minuti e quando Sarah vide sbucare dalla marea di gente scesa dalla carrozza sua sorella, malgrado le generali incomprensioni che c’erano tra loro, le andò incontro per salutarla.
Sua madre si gettò al collo della ragazza, replicando la scena che si era verificata prima con lei.
Eleanor abbracciò sua madre molto forte e assunse un sorriso sincero e puro. Per quanto si divertiva e stava bene a Yale, nulla era come ritornare a casa dopo tanti mesi.
Allora che ci pensava era da settembre che non tornava ad Hoboken.
-Ciao Ellie- esclamò Sarah, quando anche suo padre smise di abbracciarla e ci fu posto per lei.
-Ehi!- fece contenta sua sorella più piccola, evidentemente provata dal viaggio e molto stanca.
Le due ragazze si abbracciarono molto forte e Sarah fu investita dal solito profumo di sua sorella. Era bello poter annusare quell’aroma dopo tanto tempo.
Eleanor era una decina di centimetri più bassa di Sarah, aveva un fisico esile e proporzionato, i capelli neri, lunghi e ondulati e un po’ meno ricci di quelli di Sarah, un naso pronunciato, labbra sottili e occhi marroni scuri. La ragazza era maggiormente somigliante a Cinthia, ma aveva lo stesso taglio di occhi della sorella, probabilmente ereditato da suo padre, data la somiglianza di Sarah con Joseph.
Per quella giornata di viaggio, la più piccola dei Lewis aveva rinunciato al tradizionale ombretto nero che adorava mettere sugli occhi e ai suoi vestiti succinti e rockeggianti, e aveva optato per un paio di jeans comodi e una felpa con cerniera, abbinato ad un cappotto marrone e una sciarpa in lana chiara.
Passò qualche altro minuto prima che l’intera famiglia si decise a spostarsi e ad andare a prendere qualcosa di caldo da bere e nel tragitto Ellie non fece altro che parlare di tutte le fantastiche esperienze che aveva vissuto nel corso di quei mesi. Aveva partecipato a seminari, congressi, viaggi studio e workshop e sua madre non faceva altro che adularla ed inorgoglirsi.
Sarah stava ascoltando in silenzio e pensierosa, era felice del percorso che sua sorella stava facendo, e per carità, non aveva nulla in contrario, ma sapeva anche che probabilmente tutte quelle opportunità che Eleanor stava vivendo, erano dovute principalmente al fatto che i suoi genitori erano disposti a spendere soldi per lei.
Di tutta quella situazione a Sarah non andava a genio che a differenza sua, Eleanor stava avendo tutte quelle soddisfazioni semplicemente perché aveva deciso di non preoccuparsi di gravare economicamente sui suoi genitori. Probabilmente se anche lei fosse andata alla Visual Arts, invece di spendere la sua esistenza in quel dannato supermercato, a quell’ora poteva essere già qualcuno di affermato.
Si allontanò di qualche passo da sua sorella e sua madre e per noia e un po’ per disappunto, prese il telefono cercando di ammazzare il tempo e di apparire non molto interessata a quello che le accadeva attorno.
Victoria’s Secret ha un completo di pizzo nero che mi piacerebbe toglierti durante i nostri incontri bollenti” diceva il messaggio che scoprì esserle arrivato una decina di minuti prima.
Spalancò gli occhi di fronte a quella frase inaspettata e quando lesse il nome del mittente, le venne un colpo al cuore.
Sarah fece mente locale e cercò di afferrare il significato di quelle parole. Ripensò ai momenti trascorsi con Michael durante quei giorni e chiuse per qualche secondo le palpebre. Si guardò intorno imbarazzata cercando di capire se la sua famiglia la stesse guardando o si fosse accorta di qualcosa, ma quando notò che i suoi erano intenti a parlare di workshop e professori che firmavano libri, ritornò a prestare attenzione al telefono.
“Non ti azzardare a comprarlo, sai che non lo indosserei mai”
Rispose Sarah breve e concisa. Dopo qualche secondo il telefono le vibrò in mano e si accinse a leggere la risposta. Aveva la netta sensazione che Michael le avrebbe risposto con un’idiozia delle sue e non si sbagliava affatto.
“Sotto il vestito niente. Mi piace”
La mora scosse la testa e alzò gli occhi al cielo: era prevedibile come un bambino con i dolci e le caramelle e si immaginava la faccia da schiaffi che aveva dovuto assumere, quel suo ghigno così particolare, sornione, malizioso ma allo stesso tempo irritante che era solito avere in quel genere di situazioni.
Sei il solito!” rispose semplicemente lei, cercando di non dare adito alle sue scemenze e alle sue battute maliziose.
“La prossima volta che ci vediamo, come minimo mi aspetto di trovarti nuda sotto il cappotto” le rispose Michael qualche secondo dopo. Ma era attaccato al telefono per caso?
Mentre Sarah cercava di allontanare dalla sua faccia l’espressione di imbarazzo che probabilmente aveva assunto nel leggere quelle idiozie, il cellulare le squillò in mano.
Menò un’occhiata allo schermo e poi menò un’occhiata di fronte a lei: erano arrivati praticamente davanti ad una caffetteria e lei non se ne era nemmeno accorta, per non parlare del fatto che sua madre stava dando ancora corda ad Eleanor.
Lesse il nome del ragazzo sullo schermo e le aumentarono i battiti del cuore. Avrebbe dovuto rispondere? E se i suoi avessero sentito stesse parlando con un ragazzo? Sicuramente sua madre non le avrebbe dato tregua con domande e supposizioni e probabilmente suo padre le avrebbe fatto un interrogatorio generale su come trascorreva il suo tempo a New York, così pensandoci su brevemente, chiuse la chiamata.
-Sarah, cosa prendi da bere?- le chiese suo padre, che nel frattempo si era seduto ad un tavolino.
-Un caffè e latte con un po’ di schiuma e cannella- rispose la ragazza, pensando sia alla bevanda e sia al fatto che aveva appena chiuso il telefono in faccia a Michael.
Dopo nemmeno cinque secondi il telefono le squillò di nuovo e questa volta, a differenza della precedente, tutta la sua famiglia aveva sentito il trillo del cellulare e di certo non avrebbe potuto nuovamente chiudere la chiamata.
Sua madre la guardò curiosa mentre lei aveva assunto un’espressione dubbiosa e un po’ attonita.
-Pronto?- chiese lentamente, alzandosi e uscendo fuori dalla caffetteria, o quanto meno dal raggio di intercettazione della sua famiglia.
Sua sorella la vide passarle accanto e la seguì con gli occhi fino a quando non la vide uscire dalla porta principale, poi tornò con gli occhi sul menù del locale.
-Perché hai chiuso la chiamata?!- esclamò Michael non appena sentì la voce metallica di Sarah al telefono. Il ragazzo dal tono usato appariva vivace e allegro e Sarah intuì il fatto che probabilmente stava sogghignando.
-Stavo camminando e non potevo rispondere- disse Sarah, menando una delle sue solite scuse.
-Sì, certo. E da quando non riesci a fare due cose contemporaneamente?- chiese Michael scherzando e sbirciando fuori dal finestrino. Ma a che punto era sua sorella? Erano più di venti minuti che stava aspettando in macchina sotto casa.
Sarah sorrise, prendendo atto di come Michael fosse molto più perspicace di tutti quelli con cui era abituata a trattare in generale.
-Beh, se mi scrivi certe cose, mi destabilizzi. Sai che cancellerò tutti i messaggi, vero?- fece Sarah scherzando, immaginandosi Michael lì accanto a lei che la prendeva in giro.
Si erano visti l’ultima volta il giorno prima e poteva ammettere che, benché non fosse abituata a stare tutti i giorni con lui, iniziava a sentirne già la mancanza. Michael era una boccata d’aria fresca nella sua vita, la novità di quel momento e poi a lei piaceva in generale passare del tempo con lui: a parte i vari momenti di tenerezza o di cretinate che il ragazzo era solito dire il più delle volte, Michael si era dimostrato una persona molto profonda, con idee ben precise e soprattutto potevano parlare di ogni cosa, dallo sport, all’arte e addirittura agli eventi storici.
Sentendo la risposta della ragazza Michael scoppiò a ridere –Temi che dalle intercettazioni telefoniche, le agenzie segrete di Hot-Line vengano a sapere che sei una svergognata?- replicò il ragazzo, ghignando e guardandosi un attimo nello specchietto retrovisore. Avrebbe dovuto radersi o altrimenti sua madre l’avrebbe torturato durante tutto il fine settimana.
Sarah si sentì avvampare a quelle parole.
-Ma quale svergognata! Non ho nulla da nascondere- fece Sarah di rimando, scuotendo la testa e girandosi a vedere se avevano servito il suo tavolo.
-“Questo messaggio si auto distruggerà tra tre…due…uno…”- le iniziò a fare il verso Michael.
-Ma la smetti?- gli fece ridendo Sarah. Sua madre le stava facendo segno di rientrare.
-Sai che adoro metterti in imbarazzo- rispose il ragazzo, controllando di nuovo se sua sorella si fosse decisa a scendere.
-Sì lo so, comunque devo chiudere, ci sentiamo stasera?- fece Sarah, cercando di tranciare quella conversazione.
-Quanta fretta, non vuoi sentirmi? Non ti starai vedendo con qualcuno?- chiese ironico Michael –E poi dov’è che sei? Sento dei rumori strani- aggiunse il ragazzo, sentendo tutto il trambusto provenire dal telefono.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
-Se per qualcuno intendi mio padre, mia madre e mia sorella che mi stanno aspettando nel bar, sì- rispose diretta la ragazza una volta per tutte. Chissà se avrebbe capito.
-Ahhh!- esclamò Michael in segno di comprensione –Sei ad una riunione di famiglia! Quindi è per questo che sei così vaga e asettica. Non vuoi che ti scoprano- arrivò a conclusione il ragazzo. Sarah gli aveva parlato della sua famiglia e sapeva anche che la ragazza teneva a non confidarsi né ad aggiornare i suoi genitori della sua vita in genere, quindi non insistette.
-Inizierebbero a farmi domande a cui non voglio rispondere- commentò solo la ragazza.
–Comunque devo andare davvero, ci sentiamo non appena ho un attimo libero- tagliò corto la ragazza.
Michael annuì, capendo che la mora aveva fretta di andare e perciò la lasciò libera.
-Ciao tesoro, un bacio- fece lui, chiudendo il telefono e vedendo finalmente sua sorella uscire dal portone di casa.
-Non avevi detto che eri pronta?- gli chiese sarcastico quando sua sorella entrò in macchina e si chiuse la portiera alle spalle. Immediatamente tutto l’abitacolo fu inondato da un forte aroma di profumo e Michael riconobbe il solito odore della sorella.
-Ti avevo detto che ero vestita, non che ero pronta- fece sua sorella, facendo segno a Michael di partire.
Il biondo la guardò stranito e lei aggiunse –Dovevo truccarmi-
Michael la guardò qualche secondo scettico, poi mise in moto e partì scuotendo la testa. Da quando si stava frequentando con Sarah aveva dimenticato che le ragazze potessero metterci tutto quel tempo per prepararsi. Solitamente la mora era pronta in una decina di minuti quando dovevano uscire. Allora che ci pensava anche Blake era solita passare le ore in bagno ogni volta che dovevano vedersi, l’unica differenza era che a parte qualche volta quando uscivano da soli, il resto delle volte c’era anche Sam a tenergli compagnia e il tempo passava più o meno velocemente.
-Ora puoi spiegarmi perché sono con te a fare spese?- chiese Michael non appena si fermò di fronte ad un semaforo. Guardò di sfuggita la sorella e poi ritornò a riconcentrarsi sulla strada. Da quando aveva ripreso a guidare cercava di stare cento volto più attento alla guida. Non aveva di certo paura, però quell’episodio aveva contribuito a renderlo un po’ più responsabile. Di certo non faceva Fast&Furious per le strade di New York, però non andava nemmeno come una lumaca.
-Jenna non poteva- rispose un po’ infastidita Martha. Per come la vedeva lei dovevano entrambi fare spese e i regali di Natale, quindi perché non andarci insieme?
-E Jackson?- chiese Michael vago. Per quanto ne sapeva la sorella non faceva che mettersi e lasciarsi con quell’idiota che vantava il titolo di figlio del rettore della NYU.
-Perché tutti quanti mi chiedete di Jackson?!- esclamò innervosita Martha che tirò fuori il suo cellulare e iniziò a pigiare tasti convulsamente.
-Ehi, non ti agitare!- fece di rimando Michael, che notò il tono un po’ troppo risentito della sorella –E poi chiedevo tanto per, non mi interessa chi frequenti, soprattutto se è un’idiota- concluse tra le righe il ragazzo. Non c’era bisogno di essere così scorbutica.
Martha guardò qualche secondo il fratello e notò di aver esagerato, in fondo stava cercando di fare semplicemente conversazione e lei era stata la solita acida.
-Scusa- commentò alzando gli occhi al cielo e facendo un immenso sforzo mentale –Perché vuoi sapere di Jackson?- riprese qualche secondo dopo. Non voleva vederci strano, ma secondo lei c’era lo zampino di quel deficiente del suo amico.
-Chiedevo tanto per- commentò solo Michael guardando fuori dal finestrino. I marciapiedi erano pieni di spala neve che cercavano di ripulire le strade.
-Mmm…- mugolò Martha scettica –Quindi non c’entra niente Sam?-
-Sam?!- esclamò il biondo guardando confuso e stranito sua sorella. Che centrava?
Dal tono di sorpresa e dall’espressione che il ragazzo aveva assunto, Martha capì che probabilmente suo fratello non sapeva niente di tutta la storia con Sam, quindi cercò di riprendersi e di sviare l’argomento, ma Michael era troppo sveglio per essere imbambolato.
-Che c’entra Sam? E poi da quand’è che parli di lui?- chiese Michael, entrando in un parcheggio e cercando un posto in cui lasciare l’auto.
-Niente- rispose la sorella, cercando di non dare a vedere l’agitazione che stava provando in quel momento.
Michael rimase stranito da quella situazione ma non volle indagare. Probabilmente lo avrebbe fatto chiedendo direttamente all’amico. Per quanto ne sapeva lui, Sam non aveva accennato nemmeno una volta a sua sorella, nemmeno le aveva mostrato interesse, quindi gli sembrò tutto molto strano. E poi allora che ci pensava Sam e Martha erano sempre stati incompatibili, quindi sperava che non ci fosse nulla tra di loro, anche perché Michael sapeva come Sam trattava le ragazze e come si comportava con loro al letto, quindi voleva evitare di pensare che i due se la facessero insieme.
-E tu piuttosto? Credi che non mi sia accorta del fatto che rientri tardi ogni sera o che ti barrichi in camera tua con quella ragazza?- fece sua sorella per cercare di focalizzare l’attenzione sul ragazzo piuttosto che su di lei.
-E’ capitato solo un paio di volte- commentò Michael, risentendosi del fatto che Martha stesse parlando di Sarah –E comunque non mi sembra di aver fatto chissà che- fece.
-Ah, figurati, puoi fare quello che vuoi- lo canzonò Martha, slacciandosi la cintura di sicurezza e scendendo dalla macchina. Dopo l’incidente suo padre aveva pensato bene di comprarne un’altra. Odiava dover dividere una macchina sola con il resto della famiglia.
Ripensò qualche secondo a quella ragazza, poi alzò lo sguardo e si soffermò a guardare Michael, il quale la stava fissando da qualche secondo con un’espressione criptica.
Il ragazzo conosceva sua sorella e sapeva anche che da lì a cinque minuti avrebbe fatto uno dei suoi soliti commenti.
-Dove l’hai conosciuta? Non mi pare che la conoscessi prima dell’incidente- chiese Martha, guardando suo fratello negli occhi e ritrovando le stesse sfumature blu dei suoi.
Michael la guardò qualche secondo, si stava un po’ indispettendo. Il tono usato da Martha non gli piaceva affatto e poi aveva notato la totale mancanza di tatto della bionda.
-No, infatti- rispose solo il ragazzo chiudendo l’auto e iniziando a camminare, lasciandosi sua sorella alle spalle.
-Una volta me la sono ritrovata nella tua stanza d’ospedale, ma mi aveva detto di essere un’addetta al personale- fece Martha, che finalmente aveva ricordato dove avesse visto Sarah prima di allora. Quella ragazza le aveva fatto fin da subito una strana impressione e secondo lei c’era qualcosa che non quadrava.
-E quindi? Fa volontariato all’ospedale, allora?- chiese Michael procedendo senza girarsi. Voleva davvero sapere dove la sorella sarebbe andata a parare.
Martha non aveva mai mostrato il minimo interesse per le sue fidanzate, forse con l’ultima andava un po’ più d’accordo, ma semplicemente perché probabilmente lei e Blake erano identiche caratterialmente.
-A te non sembra strano?- domandò la sorella.
-Cosa dovrebbe sembrarmi strano?- replicò Michael spostando lo sguardo su di lei.
Sua sorella arrivava quasi all’altezza dei suoi occhi e ciò era dovuto al fatto che portava almeno dodici centimetri di tacco. Non voleva innervosirsi per nulla, e sapeva anche che l’ottanta per cento delle cose che uscivano dalla bocca di Martha erano per non apprezzare o per criticare qualcuno, ma non voleva affatto che Martha desse giudizi su Sarah. Lei non conosceva nulla di lei e non aveva il diritto di emettere sentenze.
-Che sia apparsa così all’improvviso. Eri ancora in coma quando era venuta a trovarti, quindi come hai fatto a conoscerla dopo l’incidente? Mi sembra strano che una che fa volontariato all’ospedale e che dici di non conoscere, qualche settimana dopo entra nella tua vita e diventa improvvisamente la tua ragazza- commentò Martha, esprimendo quelli che, secondo lei, erano dei dubbi legittimi.
-Beh, Martha, non so come tu sia abituata a conoscere persone, ma capita che qualcuno che si conosce all’improvviso si piaccia e decida di stare insieme. Mi sembra tutto normale- cercò di tagliare corto il ragazzo. Non voleva andare oltre quella conversazione, anche perché l’unica ragione per cui era uscito, era per poter comprare un regalo di Natale a Sarah, e Martha non avrebbe rovinato il suo umore.
-Non hai risposto alla mia domanda, comunque- fece Martha –Come vi siete conosciuti?-
Michael sospirò e fermò il suo procedere veloce. Si girò e guardò sua sorella: i biondi e lunghi capelli le ricadevano divisi in grandi boccoli sul petto, il cappotto beige era tempestato di fiocchi di neve, e le sue mani erano coperte da guanti in pelle marrone; la ragazza aveva assunto un’espressione indispettita e al tempo stesso di sfida nei confronti del ragazzo. In quel momento si era incaponita a vederci chiaro in quella storia, quindi non avrebbe mollato la presa.
-Perché ti interessa?- chiese Michael risentito.
-Perché non posso chiedertelo? Credo sia legittimo- commentò la ragazza.
Michael indurì la mascella, segno che si stava indispettendo non poco. –Perché io non ti chiedo nulla sulla tua vita privata, né su chi frequenti- commentò il ragazzo.
-Beh, io sì. Sono tua sorella più grande, voglio sapere con chi esci- ribattè Martha.
-Mia sorella più grande?!- rispose curioso e quasi divertito Michael –Ma quanti anni hai? Dodici?-
Martha lo guardò stringendo gli occhi a due fessure.
-Allora?- fece ancora –Dimmi almeno che cosa fa, dove ha studiato, quanti anni ha…-
-Sì e magari ti dico anche quante volte ci vediamo e che cosa indossa sotto la maglia- rispose sarcastico Michael riprendendo a camminare. –Dov’è che dobbiamo andare?- chiese cercando di cambiare discorso.
-Dobbiamo fare il regalo di Natale ai nostri genitori- rispose tra le righe Martha –E comunque non capisco tutta questa ostilità a parlare di lei. Con Blake non ti facevi problemi- commentò la ragazza, accennando alla vecchia fidanzata del fratello.
-Era Blake che non si faceva problemi a invadere i miei spazi, è diverso. E poi tu e Blake eravate amiche, parlavate già tra di voi- rispose Michael, davvero stanco di quella conversazione. Il motivo per il quale non voleva parlarle di Sarah era molto semplice: sua sorella, retrograda e chiusa di mente come era, esattamente come sua madre, non avrebbe mai apprezzato Sarah come la apprezzava lui, e la ragazza meritava molto di più che l’accettazione dalle donne della sua famiglia.
-E comunque Blake non arriva nemmeno lontanamente a Sarah, quindi non voglio sentir parlare di lei- tagliò corto Michael, che non vedeva la sua ex ragazza da nemmeno lui sapeva quanto e sinceramente non aveva nemmeno voglia di vederla.
Probabilmente Blake era l’unica ragazza a poter vantare il fatto di averlo fatto davvero incazzare, tradendolo con quel viscido di Nolan e cercando di insabbiare tutto con sotterfugi e prese in giro, quindi non voleva davvero sentir parlare di lei, soprattutto se la si paragonava a Sarah.
Martha si fermò a guardarlo un attimo: era la prima volta che Michael si stava scomodando così tanto per una ragazza e vedendo che si stava innervosendo non poco, decise di lasciar stare almeno per allora la sua curiosità nei confronti di quella strana moretta.
Allora che ci pensava, chissà se sua madre sapeva di quella storia. Sicuramente se Amanda avesse saputo di Sarah avrebbe tartassato Michael di domande e l’avrebbe messo alle strette e in condizioni di raccontare tutto, ma sapeva anche che se Amanda adocchiava quella ragazza e per qualche svariata ragione a lei non piaceva, sarebbe stata la fine per Michael e per la mora.
Michael notando che finalmente sua sorella si era zittita e che aveva iniziato a prestare attenzione ai negozi, decise di alzare il passo e di dirigersi verso un negozio di elettronica che aveva visto alla punta della strada.
Ripensò brevemente alle parole di sua sorella e scosse la testa.
La sua famiglia non si sarebbe dovuta intromettere per nulla al mondo tra lui e la sua ragazza.
 
 
Dopo un’oretta di viaggio Sarah arrivò finalmente a casa sua. Il vialetto di casa era sempre lo stesso, ma doveva ammettere che con la neve e le luci di Natale era tutto molto più bello e suggestivo.
In quegli anni le era mancata quella sensazione di tranquillità che provava ogni volta quando tornava a casa per diversi giorni.
Era vero, Hoboken non era così distante da New York, solo un’oretta di macchina, però una cosa era tornarci per una Domenica o per un giorno di festa e un’altra cosa era dovervici rimanere per qualche giorno.
Da quando viveva da sola a New York era diventata un po’ insofferente e intollerante riguardo alla sua famiglia o ai loro modi oppressivi di informarsi sulla sua vita, però era decisa a lasciar correre almeno per quei giorni di festa.
Lei e sua sorella entrarono nel pre-ingresso di casa, entrambe con valige alla mano. Loro padre si era offerto di aiutarle ma loro erano entrambe testarde e avevano declinato l’invito, trascinandosi fino in camera al piano superiore i loro bagagli.
La famiglia di Sarah viveva in una casa non molto grande, era la tipica casa americana dei quartieri di edilizia residenziale: prefabbricata, tetto a falde, due piani, con giardino principale e retro. L’interno non era molto grande, ma era accogliente quel tanto che bastava a far sentire a suo agio i suoi abitanti. Cinthia aveva una passione smodata per le piantine grasse e per le candele e secondo Sarah in quelle due settimane trascorse dall’ultima breve visita, ne aveva sicuramente comprate delle altre perché sul mobiletto di ingresso su cui solitamente lasciava le chiavi non c’era più nemmeno uno spazietto libero.
Le due sorelle salirono le scale insieme e si diressero verso la loro stanza, Sarah entrò per prima e mise la sua valigia vicino la sua vecchia scrivania, mentre Ellie lasciò la sua valigia vicino al letto e vi ci si buttò sopra.
-Finalmente un letto che non scricchiola!- esclamò la mora, allargando le braccia e sentendo sotto i palmi della mano il morbido piumone verdino del suo letto.
-Perché scricchiolano i letti di Yale?- chiese Sarah ironica, fermandosi a guardare sua sorella per qualche secondo. Era diventata ancora più magra di quello che si ricordava.
-Oh, sono un incubo! Soprattutto quando sopra ci fai del movimento- commentò Eleanor civettuola, lanciando uno sguardo di intesa alla sorella.
Sarah rimase zitta qualche secondo non avendo colto subito la battuta della ragazza, ma poi quando incontrò il suo sguardo malizioso capì a cosa si stesse riferendo.
Sarah si sentì leggermente avvampare e scosse la testa cercando di nascondere l’imbarazzo. Non era solita parlare di quelle cose con sua sorella e il fatto che Eleanor avesse probabilmente una vita sessuale molto attiva della sua pur essendo tre anni più piccola di lei, la metteva un po’ a disagio.
In realtà dopo l’incontro bollente con Michael sotto la doccia e poi nel letto, non c’ erano state molte occasioni intime tra di loro, quindi poteva continuarsi a definire totalmente inesperta in quel campo.
-Hai conosciuto qualche bel ragazzo?- chiese Sarah, cercando di sviare o almeno di capire se Ellie facesse coppia fissa con qualcuno.
-Non immagini quanti. Al campus sono tutti dei fighi assurdi, e poi ci sono una miriade di atleti di tutte le specialità, secondo me approveresti tutta la squadra di pallanuoto o quella di atletica- cominciò a dire sua sorella, iniziando a parlare a macchinetta  come era solita fare.
Contemporaneamente Sarah si tolse le scarpe e si avvicinò alla sua libreria. Era stata attratta da una copertina rilegata che, allora che ci pensava, non vedeva da tanto tempo.
-Sai ce n’è uno che si allena per i cento metri che è un misto tra Ryan Gosling e Adam Levine, ci credi? Ryan Gosling e Adam Levine!-  ripetè sua sorella sconvolta, pensando al ragazzo in questione.
Sarah si avvicinò maggiormente alla libreria e allungò una mano prendendo l’oggetto della sua attenzione. Quello che incastrato nello scaffale, con la copertina rilegata in pelle nera, sembrava un libro, si rivelò essere un blocco da disegni, il suo personalissimo blocco da disegni.
Quello per lei era come un diario segreto: ci appuntava tutto, faceva schizzi, disegni, provava i colori da usare sulle tele oppure semplicemente ci disegnava sopra quando ascoltava la musica.
Quando se lo rigirò tra le mani fu come cadere in una sorta di trance. Perché era nella sua stanza ad Hoboken?
Per quello che si ricordava lei, ed era fermamente convinta di ciò, il suo album da disegno era a casa sua a New York, nella sua libreria, assieme a tutti gli altri suoi libri e attrezzi da disegno.
-Sarah, mi stai ascoltando?- fece Eleanor improvvisamente, notando dopo qualche minuto dal suo sproloquio che sua sorella non le stava badando affatto attenzione.
Sarah continuò a rigirarsi l’album da disegno tra le mani e poi lo aprì, iniziando a sfogliarlo come faceva di solito. Lì c’era di tutto, c’era la sua vita, le sue passioni, i suo talento e la sua creatività e davvero non capiva come quell’album potesse trovarsi lì.
Sfogliò le prime pagine e poi le fece scorrere velocemente fino a bloccarsi immediatamente.
Una cosa attirò la sua attenzione: il fatto che improvvisamente i disegni sull’album si interrompessero, mostrando pagine vuote e bianche.
Sarebbe stato tutto normale se non fosse che a Sarah le pagine bianche sembravano un po’ troppe.
Guardò in alto, attratta da una scritta piccola e nera sul lato del foglio.
29 settembre 2013.
La ragazza aggrottò un po’ la fronte confusa. Perché quella pagina era bianca? Da quella data fino ad allora aveva usato più volte il suo blocco e ricordava di aver provato colori e nuove sfumature da poter applicare sui quadri.
Perché il blocco si interrompeva in quel giorno e dopo non vi era più traccia di nulla?
Rimase per più di un minuto a fissare quella pagina bianca. Una strana sensazione si impossessò di lei ed era qualcosa che non aveva mai provato. Era decisamente una sgradevole sensazione allo stomaco, a metà tra nausea e crampi. Assunse un’espressione quasi di fastidio e di malessere e sembrò isolarsi del tutto dal resto del mondo. Sua sorella continuava a chiamarla ma lei sembrava non volerla sentire, né rispondere, tanto che per farla riprendere da quella specie di trance, Ellie si alzò e iniziò a scuoterla.
-Cosa c’è?- chiese all’improvviso Sarah, riprendendosi e ritrovandosi il viso di sua sorella a dieci centimetri dal suo. Perché la stava tenendo dalle braccia? E perché la stava guardando in quel modo?
-Tutto bene?- chiese Eleanor guardandola preoccupata e aggrottando la fronte. Le era sembrato quasi che Sarah avesse cambiato colore. –Sei diventata all’improvviso pallida…- iniziò a dire la piccola, menando un’occhiata più approfondita verso la sorella.
Sarah scosse le palpebre più volte, poi guardò in basso e si ritrovò attratta di nuovo dall’album. La sensazione di nausea sembrava sparita e con foga scosse la testa come per scrollarsi di dosso quella brutta sensazione, chiuse l’album e lo rimise sullo scaffale.
-Ehm, sì, credo di sì…Vado un attimo a sciacquarmi la faccia- fece Sarah, leggermente scossa da quello strano momento. Era qualcosa che non le era mai capitato e le aveva lasciato davvero una brutta sensazione.
Si diresse in bagno lasciando sua sorella al centro della stanza abbastanza attonita, e quando vide il suo riflesso nello specchio del bagno, notò effettivamente di aver un pessimo colore.
Si sciacquò un po’ il viso e se lo tamponò delicatamente con un asciugamano, fece un respiro profondo e si riguardò nello specchio.
Ripensò ancora all’album e al fatto che i disegni si interrompessero in una data precisa, data che per lei, tra l’altro, non significava nulla.
29 settembre 2013.
Alzò gli occhi al cielo e decise di ritornare nella stanza a tranquillizzare sua sorella, o quanto meno a dirle che si era ripresa.
-Sarà stato un calo di zuccheri- esordì, entrando di nuovo nella stanza e trovando Eleanor seduta sul letto.
-Ti senti meglio?- chiese la piccola, facendo una sorta di check-up visivo a sua sorella. Per lo meno sembrava aver recuperato un colore tendente al rosa.
-Sì, non so che mi è capitato…- iniziò a dire Sarah, la quale menò una veloce occhiata all’album nero da disegni.
Stava per formulare una frase, quando improvvisamente sentì sua madre chiamare a gran voce il suo nome.
-Che è successo, ora?- esclamò ad alta voce la ragazza, dirigendosi di nuovo verso la porta.
Ellie fece spallucce e seguì con gli occhi la mora fino a quando non varcò la soglia della stanza.
Sarah si affacciò dalle scale e rispose a sua madre, sporgendosi un po’ dalla ringhiera e incastrando la testa con maestria tra una rampa e l’altra.
-Che c’è, mamma?- fece la ragazza, sentendo sua madre parlare con qualcuno all’ingresso.
-Vieni, c’è qualcuno che ti cerca- rispose civettuola sua madre, reclinando un po’ la testa e cercando di intravedere sua figlia dalla tromba delle scale.
Sarah aggrottò la fronte confusa. Chi la stava cercando?
-Chi è?- chiese lei, scendendo veloce le scale. Per un attimo pensò a Michael e al fatto che era capacissimo di presentarsi a casa sua con la sua solita faccia da schiaffi, ma quando la faccia da schiaffi che vide fu quella di Bryce, in attesa di chissà cosa sull’uscio della sua porta, rimase quasi allibita.
-Bryce, che ci fai qui?- esclamò con un po’ troppa foga la mora, spostando lo sguardo imbarazzata prima dall’alto ragazzo moro e poi a sua madre.
Cinthia aveva assunto un’espressione arzilla e quasi maliziosa e non faceva altro che sorridere come un ebete, squadrando Bryce dalla testa ai piedi.
Conosceva il ragazzo da tempo, ma non se lo ricordava così carino e con degli occhi verdi e profondi.
-Sono passato a salutare- fece il ragazzo, con la sua voce baritonale e il suo sguardo magnetico. Il moro si soffermò qualche secondo sulla figura di Sarah ed aspettò che la ragazza gli desse una risposta.
-Va bene, allora vi lascio chiacchierare…- disse Cinthia, capendo che probabilmente sua figlia non si sarebbe mai sbloccata o sciolta davanti a lei.
-Salve signora, mi ha fatto piacere rivedervi- disse Bryce, rivolgendo un sorriso alla più grande delle donne Lewis.
-Anche a me, Bryce. Ti trovo molto in forma- fece Cinthia, sorridendo ad entrambi e poi sparendo nel salone.
Sarah ringraziò Dio per il fatto che suo padre non fosse in salotto a vedere la televisione.
Aspettarono entrambi che Cinthia girasse l’angolo e poi si guardarono titubanti, in attesa di un passo falso.
-Cosa sei venuto a fare?!- ripeté Sarah, cercando di non farsi distrarre dalle fattezze del ragazzo e dal fatto che lui la stava guardando con i suoi soliti occhi profondi.
-Non posso passare a casa tua a salutarti? Abito praticamente dall’altra parte della strada, ti ho visto arrivare oggi pomeriggio e ti volevo chiedere se ti andava di bere qualcosa insieme- rispose il ragazzo con un tono strano, a metà tra l’infastidito e il solito tono comprensivo che usava con Sarah.
La ragazza lo guardò per qualche secondo negli occhi e si sentì in colpa ad averlo trattato con un po’ troppa foga. Sospirò e si sporse a prendere il cappotto per uscire di nuovo fuori, nuovamente esposta al freddo e al gelo della probabile e futura tempesta di neve che si sarebbe scagliata sulla sua cittadina.
-Va bene, ma non facciamo tardi- si decise la ragazza.
Bryce sorrise sornione, soddisfatto per averla convinta a passare qualche ora con lui. Non aveva strane intenzioni, voleva solo passare un po’ di tempo in amicizia.
-Mamma, sto uscendo, ci vediamo più tardi!- disse Sarah ad alta voce.
Per fortuna riuscì ad uscire di casa tirando Bryce per un braccio prima che sua madre potesse ribattere, e quando si chiuse dietro le spalle la porta di casa, notò Bryce ghignare e ridere sotto i baffi.
-Fidati, lei ha sicuramente malinteso tutto- commentò Sarah, guardandolo di sbieco.
-Malinteso?- ripeté il ragazzo –Quindi vuol dire che non è a conoscenza del tuo nuovo stato sentimentale…- aggiunse con ironia mista a sarcasmo.
-Non parlerò con te di questa cosa- ribattè Sarah sorridendo e guardando Bryce nel  suo complesso, apprezzando la sua forma fisica e anche la sua impertinenza.
-Mmm, ho in mente un modo per farti ricredere- fece il ragazzo, facendole l’occhiolino e conducendola verso la macchina.


 
***
Bene, finalmente dopo un mese e qualche settina ci ritroviamo con questo aggiornamento! Sono ben consapevole che non è un gran che e che apparentemente non sia successo nulla di speciale (a parte il finale con Bryce versione "restiamo amici"), però ho avuto l'occasione di iniziare a confondervi un po' le idee sulla piega vera della storia e su come si evolverà.
(Ci sono diversi momenti abbastanza "sospetti")
Abbiamo avuto qualche battuta in più con Martha, che scemotta com'è sta facendo tanto per nascondere la tresca con Sam, ma alla fine si mette nei guai da sola, dei suoi dubbi nei riguardi di Sarah -anche se effettivamente ha ragione, eh!- e del fatto che esaspera Michael quasi quanto sua madre!
Michael è sempre il solito piacione, che manda messaggi idioti a Sarah che ovviamente non sa come reagire, ma mi è piaciuto molto come ha cercato di difendere o quanto meno di proteggere Sarah dagli stupidi commenti di Martha!
Sarah è tornata a casa dopo parecchio tempo per qualche giorno, abbiamo fatto la conoscenza della sua famiglia e c'è stato anche un momento in cui si è capito perchè la ragazza si sente a disagio nei confronti della sorella e della madre. 
Loro non sono per nulla delle brutte persone, o quanto meno non sono stronze come Amanda, però diciamo che non capiscono nè le ambizioni di Sarah, nè si sforzano di farlo, soprattutto considerando i sacrifici che la ragazza sta facendo da sola per farsi strada!
Nel prossimo capitolo (sono buona, vi do un piccolo spoiler) ci sarà una bella e disfunzionale chiacchierata con Bryce (ragazze, non so se seguite la mia pagina, ma per chi la segue sa che l'attore presta volto di Bryce è Matthew Daddario, quindi...cioè dai, parliamone, per quanto adori Michael e Chace Crawford, un Daddario è sempre un Daddario) ma anche una sorpresa da parte di Michael in veste di Babbo Natale!
Spero di non essermi meritata le vostre maledizioni o ingiurie di svariato tipo in tutto questo periodo di assenza, e non appena finisco il 20° capitolo ve lo posto senza farvi aspettare!
Grazie inifinite a tutti i 50 preferiti e gli 86 seguiti! Mi si riempiono gli occhi di lacrime ç.ç
Passate dalla mia pagina fb:
Black Mariah Efp!!!

 
 
 
 
 
 

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Capitolo 20
*** 20 ***


20
 
-Che cosa hai in mente?- replicò Sarah usando un tono abbastanza inquisitorio, aspettando che Bryce aprisse la portella della macchina con le chiavi.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli spettinandosi un po’ e guardò Sarah con un sorrisino compiaciuto.
Era del tutto struccata, i capelli sciolti erano ingarbugliati nello sciarpone grigio di lana che le avvolgeva il collo e aveva le mani in tasca per proteggersi dal freddo, ma era carina e semplice come sempre.
-Cos’è quel tono sospettoso?- fece Bryce entrando in macchina e accendendo immediatamente il motore per farlo scaldare –E poi è stato fin troppo facile convincerti a venire con me stasera, che succede?- continuò ironico il ragazzo, punzecchiando la mora.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. C’era da dire che ultimamente i ragazzi con cui aveva a che fare erano un po’ tutti uguali, tutti impertinenti, sfacciati e super intraprendenti.
-Uffa, se avessi fatto storie, te la saresti presa rinfacciandomi il fatto che con te sono sempre scontrosa e arrabbiata. Ho accettato di venire con te e ti sembra strano! Cioè, deciditi!- esclamò Sarah con il sorriso sulle labbra e allacciandosi la cintura di sicurezza. In realtà sembrava anche a lei strana la cosa di essere così tranquilla con Bryce, e soprattutto di trovarsi lì in macchina con lui. Allora che ci pensava, forse avrebbe dovuto avvisare Michael.
Il moro fece retromarcia uscendo dal viale di casa sua e si avviò verso il centro della cittadina.
Trattenne un ghigno, notando di come effettivamente la ragazza avesse ragione, ma non glielo diede a vedere, altrimenti ci avrebbe sicuramente gongolato sopra.
-Quindi? Mi spieghi cos’è tutta questa voglia che hai di vedermi?- chiese Sarah, facendosi improvvisamente seria. Ok, ci stava lo scherzo e la presa in giro, ma allora ci voleva vedere chiaro.
-Ehi, guarda che al contrario di quello che pensi tu, mi ha sempre fatto piacere vederti e soprattutto…ho sempre voluto vederti- replicò Bryce un po’ piccato per le insinuazioni della ragazza. In fondo era sempre stata lei a respingerlo, anzi, per come la vedeva lui, aveva speso anche fin troppe energie a convincerla di chissà cosa.
Sarah lo guardò di sbieco e accennò un sorriso. Anche a lei le faceva piacere vedere Bryce ogni tanto, ma non poteva nascondere di sentirsi comunque un po’ a disagio, soprattutto conoscendo le reali intenzioni del giovane.
-Dove stiamo andando?- chiese la ragazza, sbottonandosi un po’ il cappotto.
-Da Arthur, ovvio- rispose Bryce a cui scappò un sorriso per la sciocca domanda. Non erano molti i posti in cui i ragazzi di Hoboken potevano intrattenersi e il pub in questione era uno di quelli.
-Scusami se te l’ho chiesto!- fece scherzando la mora facendo una mossa con le mani.
-Da quand’è che manchi ad Hoboken?- chiese Bryce dubbioso.
-In realtà da qualche settimana solamente. Sono venuta una Domenica a pranzo dai miei ma sono subito ripartita, quindi non credo faccia testo- rispose la ragazza –E poi che domanda è! Sei tu quello che sta a Boston, non io!-
-Chiedevo! Ormai sei una cosa sola con New York- commentò il ragazzo, lanciando una frecciatina alla giovane.
-Sono sempre stata una cosa sola con New York- replicò Sarah con ovvietà e sorvolando sull’allusione di Bryce –Voglio dire, ci lavoro- aggiunse –E poi cos’è che vuoi dire davvero?-
Bryce sorrise, notando di come a Sarah non si potesse nascondere niente. In realtà era proprio quella la sua volontà. Voleva sapere dettagli più approfonditi sulla sua vita.
Svoltò l’angolo e iniziò ad aggirarsi piano in un vicolo per cercare parcheggio. Non rispose subito a Sarah poiché intento a non prendere qualche specchietto laterale mentre si districava nel piccolo vicolo in cui si era andato a ficcare, ma assunse la sua solita espressione sorniona.
Mentre Bryce faceva manovre e mentre si sporse sul sedile di dietro per fare retromarcia, Sarah si ritrovò molto vicino al suo viso e quasi ebbe un sussulto. Fu investita dall’odore del suo dopobarba e si ritrovò a guardare da molto vicino i suoi grandi occhioni verdi.
Passò qualche secondo di puro silenzio tra di loro, secondi che passarono a scrutarsi in maniera strana, e poi Bryce si riprese e terminò la manovra.
Sarah si girò a guardare dritto di fronte a sé e cercò di togliersi l’immagine del ragazzo così vicino a lei.
Era vero, Bryce non le era mai stato indifferente, anzi le era sempre piaciuto, però poteva ammettere che non riusciva più a provare quel brivido di eccitazione che provava ogni qual volta gli fosse vicino. In quel momento ovviamente la sua mente, il suo cuore e il suo corpo erano per Michael, e tutti gli altri era come se non esistessero.
Scesero dall’auto ed entrarono nel locale scelto dal ragazzo. Non era un gran che, né come mobilio e allestimento, né come birre o cose del genere da servire al banco, però era abbastanza affollato e passavano buona musica.
Occuparono un tavolino un po’ più in disparte, si tolsero i cappotti e si sedettero uno di fronte all’altro.
Sarah trovava davvero assurda quella situazione e allora che ci pensava, anche se da parte sua non c’era nulla di più di un’amicizia oramai, forse era stato un errore accettare quella proposta e avrebbe dovuto mandare un messaggio a Michael per avvisarlo. 
Era una situazione molto strana per lei, insomma non sapeva bene il perché ma da una parte credeva di dover avvisare Michael, così giusto per informarlo su cosa stesse facendo, e dall’altra parte non avrebbe voluto dirgli nulla. In fondo non stava facendo nulla di male e lei non era certo destinata alla clausura. Non sapeva come comportarsi bene in quella situazione, così cercò di trovare un compromesso. Avvisò semplicemente il ragazzo di essere uscita e di trovarsi in un pub a bere una birra con degli amici. Omise il fatto di trovarsi con Bryce, sia perché secondo lei non era rilevante e sia perché sicuramente Michael si sarebbe ingelosito, o almeno così credeva.
Bryce fece gli onori di casa e ordinò due pinte di birra rossa assieme a patatine e noccioline da sgranocchiare nell’attesa.
-Allora, mi dici perché siamo venuti qui una volta per tutte?- gli chiese Sarah, finalmente sistemandosi sulla sedia.
Bryce sorrise sghembo, quante ne voleva sapere!
-Uffa, ma è possibile che devi fare sempre queste domande?- chiese lui, sporgendosi a guardare a che punto fossero le loro birre.
-Vorrei solo capire- fece la ragazza, alzando un sopracciglio e finalmente potendolo guardare dritto in faccia.
-Parlerò solo quando avremo davanti le nostre birre- fece il ragazzo accennando un sorriso.
Sapeva che probabilmente Sarah si stava innervosendo a causa del suo comportamento vago e delle sue risposte eloquenti, e la cosa stranamente lo divertiva.
Sarah alzò gli occhi al cielo e appoggiò svogliatamente il viso sul palmo della sua mano.
-Tu invece? Dove hai lasciato il tuo “amico”?- chiese il ragazzo, facendo il segno delle virgolette sull’ultima parola.
-Parlerò solo quando avremo davanti le nostre birre- replicò Sarah, usando lo stesso tono e le stesse parole usate da Bryce cinque secondi prima.
-Ops, eccole qui!- esclamò compiaciuto per il tempismo del cameriere, il quale aveva appena lasciato due enormi boccali di birra sul tavolo.
-Ma sono enormi!- esclamò Sarah guardando il suo boccale, pieno fino all’orlo di quel liquido dorato e frizzante.
-E’ per riscaldarci. Fuori fa freddo!- esclamò il moro.
La ragazza lo guardò di sbieco e poi diede un sorso al suo boccale, trovandosi immediatamente la bocca piena di birra fresca. La rossa che Bryce aveva ordinato era una birra speziata e con uno strano retrogusto di resina alla fine.  
-Allora cosa stavi dicendo? Che avresti parlato solo davanti alle nostre birre?!- replicò ironico Bryce, prendendo il suo calice e iniziando a sorseggiare la bevanda.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
“Tempismo davvero opportuno” pensò.
-Che cosa vuoi sapere?- tagliò corto Sarah, prendendo nuovamente il boccale e sorseggiando ancora la sua birra.
-Beh, un po’ di tutto- commentò Bryce.
-Perché sono sempre io quella che deve parlare di cose personali?- fece Sarah, mettendosi a braccia conserte e spallandosi sulla sedia.
-Beh, perché tu non mi fai domande di nessun tipo. Cosa vuoi che ti dica?- fece il moro.
-Semplicemente perché sono una persona riservata e non mi va di indagare sulla vita degli altri, e comunque…se vuoi che ti faccia l’interrogatorio, va bene- fece la ragazza -Allora, dimmi un po’, ti stai sentendo con qualcuna?- chiese lei per scherzare.
-Sì- rispose secco Bryce, sfidandola con lo sguardo e alzando un sopracciglio. Attese qualche secondo prima di continuare, quel tanto che necessitava per studiare la sua reazione.
Sarah lo guardò un po’ stranita. Si stava già frequentando con qualcuno? Aveva fatto in fretta a riprendersi.
-E’ di Hoboken?- chiese Sarah. Solitamente lei non era una che faceva domande, né una tipa invadente, ma probabilmente quella serata sarebbe sicuramente passata in quel modo, e poi era quasi convinta che anche Bryce le avrebbe fatto mille domande, quindi tanto valeva giocare alla pari.
-No- rispose il ragazzo incurvando le labbra in un sorriso –Cos’è la vuoi vedere?- chiese sfidandola.
-In realtà no, e poi probabilmente sarà come quelle che piacciono a te- replicò la ragazza, buttando giù un altro sorso di birra.
-E com’è che piacciono a me?- chiese lui, un pizzico infastidito.
-Beh, considerando le foto che hai su Facebook con tutte quelle ragazze al campus, ti piacciono biondine, abbastanza alte, sorriso perfetto…Stile Barbie, insomma- concluse lei.
Quella birra la stava decisamente facendo diventare eloquente!
Il ragazzo trattenne una risata e guardò Sarah con occhi allegri. Doveva ammettere che quella birra scendeva giù come nulla.
-Mmm, vedo che sei abbastanza informata per una che ha scelto un altro- fece il ragazzo punzecchiandola e facendo un sorriso compiaciuto.
-Semplicemente perché le foto dei tuoi festini mi sommergono la bacheca!- esclamò Sarah risentita, la quale di certo non andava a spulciare le cose pubbliche di Bryce.
-Quando la smetterai di fare battutine idiote su me e Michael?- chiese qualche attimo dopo, sentendosi un po’ presa in giro dal ragazzo.
Dal momento che anche lui si stava frequentando con un’altra, non vedeva dove ci fosse  il problema.
-Ah, ecco come si chiama, Michael!- esclamò Bryce –Dov’è che l’hai conosciuto? Mi è sembrato di capire che è un tipo piuttosto inarrivabile- iniziò a dire l’atleta, passandosi una mano tra i capelli, curiosissimo di sentire la risposta che gli avrebbe dato Sarah.
-Inarrivabile?- ripetè Sarah un po’ stizzita. Che cosa stava insinuando?
-Sì, insomma, Jordan mi ha detto che ha studiato a Princeton, che è figlio di banchiere e bla, bla. E’ abbastanza top, non trovi?- fece Bryce, sporgendosi un po’ più verso la ragazza e stringendo gli occhi a due fessure. Se l’era scelto bene, non c’era dubbio.
Sarah lo scrutò qualche secondo per capire se la stava solo provocando, o se stesse effettivamente insinuando qualcosa, e decisa a non dargliela vinta per nulla, stesse al gioco.
-Già, non credo ci sia di meglio- replicò Sarah, intenta a rispondere a Bryce come si deve. Voleva fare quel giochino idiota? Perfetto, lo avrebbe accontentato –E poi da quand’è che tu e Jordan parlate delle mie cose?- chiese un po’ infastidita la ragazza. Non appena avrebbe trovato Jordan gliene avrebbe dette quattro.
-Così…ho chiesto solo per sapere chi fosse il mio avversario- disse ridendo Bryce, sorseggiando ancora la pinta di birra.
-Il tuo avversario? Addirittura?- esclamò Sarah. Quella era una parola totalmente sbagliata: Bryce non era un avversario e viceversa semplicemente perché non c’era confronto tra loro. Michael avrebbe comunque vinto sempre.
-Beh, se proprio devo perdere, almeno lo faccio con onore- replicò.
-Mi sembra giusto- commentò la ragazza –Anche se non mi sembra tu ti stia proprio disperando- aggiunse, alludendo a questa fantomatica ragazza con cui si stava.
Bryce scoppiò a ridere e ordinò un altro boccale di birra. Sarah invece era ancora a metà del suo e non voleva dire, ma le stava già facendo effetto. Non che la testa le stesse già girando, ma stava notando un certo grado di confusione.
-Beh, non posso di certo struggermi per una ragazza che ha palesemente scelto un altro- fece il ragazzo con ovvietà e calma.
In fondo non aveva tutti i torti e a Sarah stava bene questa cosa.
-Hai fatto bene- ammise Sarah. Lei non avrebbe mai voluto far del male a nessuno, tanto meno a Bryce che comunque l’aveva trattata sempre con riguardo.
-A che punto è la vostra relazione?- chiese Bryce, prendendo il secondo boccale di birra dal cameriere e posizionandoselo di fronte.
Sarah lo guardò confusa, aggrottando un po’ la fronte. Che cosa intendeva con quella domanda?
-A che punto è la nostra relazione?! In che senso?- ripetè continuando a sorseggiare la sua birra.
La musica di sottofondo faceva da base a quella chiacchierata, e ogni tanto Sarah buttava giù qualche nocciolina, giusto per non riempire lo stomaco con la sola birra.
In realtà, allora che ci pensava, forse non avrebbe proprio dovuto bere quella sera, considerando la strana sensazione avvertita qualche ora prima in bagno.
-Beh, sì. Vi state frequentando in maniera soft? Uscite insieme? State insieme? Fate sesso?- domandò Bryce totalmente senza freni inibitori.
Sarah stava sorseggiando la sua birra quando sentì quella frase, e quando ne sentì l’ultima parte si stava letteralmente strozzando.
-Cosa? Bryce che diavolo di domande fai?!- esclamò indignata la ragazza.
Il moro di rimando stava ghignando come non mai. Adorava troppo vederla così tenera e indifesa, in imbarazzo per domande inopportune.
-Dai, io non ho problemi a parlare di queste cose- fece il ragazzo, come se fosse tutto molto normale.
-Io sì- fece Sarah, cercando di non apparire agitata -E non ho intenzione di avere questa conversazione con te- asserì la mora, scolandosi la sua pinta di birra e facendo cozzare rumorosamente il boccale sulla superficie del tavolo.
La sua vista era un po’ annebbiata e gli occhi erano pesanti, ma non avrebbe detto nulla di personale a Bryce, considerando tra l’altro che non c’era nulla da dire.
Bryce la guardò per qualche secondo e le sorrise divertito. Era arrossita e stava tenendo lo sguardo basso sul suo bicchiere e lui storse le labbra in una sorta di sorriso. Si sporse verso di lei, appoggiando il mento sul palmo delle mani e la guardò curioso. Fece scorrere i suoi occhi verdi sui suoi lineamenti delicati, sul suo mento tondo e sul suo naso alla francese e poi la invogliò ad alzare lo sguardo e a guardarlo.
Il ragazzo alzò un sopracciglio in segno di attesa.
-Non ti dirò nulla, Bryce- fece Sarah, convinta e decisa di quella cosa. Quelle erano cose personali, sue e di Michael, e non ne avrebbe fatta parola con nessuno.
-Hai paura di scoprire che ti sei persa con me?!-  scherzò lui, sorseggiando la sua birra e riempiendo un po’ il bicchiere di Sarah dal suo.
La ragazza lo guardò torva sia per il fatto che le avesse riempito il bicchiere e sia per ciò che aveva appena detto.
-Smettila- asserì con un tono calmo Sarah, guardando scendere lentamente la birra nel suo boccale.
Bryce rise e poi riprese a guardarla –E dai, guarda che non lo dico a nessuno!- esclamò.
-Ma anche se fosse, non sono tenuta a dirti cosa faccio e non faccio con il mio ragazzo- rispose Sarah leggermente infastidita dalla sua impertinenza.
-Allora ammetti che è il tuo ragazzo, ora- fece Bryce –non è più un “amico”- ripetè ancora, ponendo enfasi su quell’ultima parola.
-Beh, suppongo proprio di no- rispose Sarah, cercando di trattare Bryce con la stessa moneta con cui stava facendo lui.
Il ragazzo strinse gli occhi a due fessure e si morse un labbro. Doveva pensare velocemente a cosa dire e fare.
-E questa fantomatica ragazza, invece? Di dov’è?- chiese Sarah, cercando di porre l’attenzione su qualcos’altro rispetto al sesso che non c’era tra lei e Michael.
-L’ho conosciuta al campus- rispose quasi serio Bryce, aveva decisamente cambiato tono ed espressione. Chissà magari si era calmato e avrebbe smesso di fare lo scemotto.
-Si chiama Mary Joe. In realtà mi sento con lei da parecchio tempo- ammise il ragazzo, il quale aveva conosciuto Mary Joe già dal suo primo anno al college –Però il nostro avvicinamento…è alquanto recente- disse il giovane, rivestendosi di una serietà che Sarah non gli aveva mai visto.
-Se è una brava ragazza e state bene insieme, sono molto felice per te, lo sai. Non ho mai voluto farti del male- commentò Sarah, anche lei seria e sincera.
Bryce alzò gli occhi e incontrò quelli castani della ragazza: sapeva che era sincera e sapeva anche che se la ragazza non si sentiva di fare qualcosa, non la faceva, quindi probabilmente il fatto che lei l’avesse sempre rifiutato, pur sforzandosi di stare assieme a lui, era dovuto ad una sorta di incompatibilità tra loro, e l’aveva capito solo in quel momento.
-Lo so, nemmeno io ho mai voluto ferirti- fece il moro, scolandosi la seconda pinta di birra.
Sarah lo guardò sorridente. Probabilmente se Michael non avesse fatto parte della sua vita, lei e Bryce ci avrebbero provato, ma sentiva anche dentro di sé la sensazione che fosse una cosa destinata a fallire.
-Ehi, ma tu non dovresti osservare una dieta iperproteica, super sana e ipoalcolica?- fece la ragazza, notando con quanta facilità Bryce si fosse bevuto due enormi boccali di birra.
Il moro sorrise e prese a sgranocchiare delle patatine fritte che il cameriere gli aveva portato una decina di minuti prima.
-In teoria, sì- fece il ragazzo sorridendo. Si sapeva, lui era un atleta e il motivo per cui l’aveva chiamato l’università di Boston era solo perché era la punta della squadra di nuoto da ormai quattro anni.
-E in pratica?- gli chiese Sarah sorridendo. Non sapeva che ore fossero, ma sentiva gli occhi pesanti, complice sicuramente la birra e il fatto che non avesse mangiato nulla di solido per cena.
-Beh, ogni tanto mi concedo qualche peccatuccio- commentò il ragazzo continuando a mangiare patatine –E poi con tutta l’attività fisica che faccio, riesco a smaltire tutte le schifezze che mangio!- esclamò Bryce facendole l’occhiolino.
-Mmm- mugolò divertita Sarah –A quale tipo di attività fisica ti riferisci?- chiese ironica.
-Ad entrambe- replicò secco Bryce, guardandola malizioso e arricciando le labbra in un sorriso sghembo.
Sarah arrossì leggermente, e scosse la testa. Certe volte davvero non riusciva a spiegarsi come lui e Michael potessero trovarla attraente in qualche maniera, era una comunissima ragazza che non faceva nulla per mettersi in mostra e che non aveva nemmeno un po’ di savoir-faire.
-Non dirmi che tu non ne fai, perché non ci credo- commentò il moro sorridendo malizioso.
-Cosa? Attività fisica? Sì, quando posso vado a correre. Il nuoto l’ho abbandonato tempo fa- rispose Sarah cadendo dalle nuvole e cercando di scansare l’effettiva domanda di Bryce.
-Andiamo, sai cosa intendo- la punzecchiò Bryce sporgendosi di nuovo verso di lei. Questa volta era Sarah a tenere la testa appoggiata sulle sue mani, e in qualche secondo si ritrovò il viso di Bryce molto vicino al suo, quel tanto che bastava a farle avvertire di nuovo l’aroma del suo dopobarba.
-Vale lo stesso discorso di prima- disse la ragazza a voce bassa –Solo perché sono un po’ confusa dalla birra, non mi estorcerai informazioni- continuò, guardando con occhi strani le labbra del giovane, le quali si stavano incurvando in un sorriso malizioso.
Non si poteva dire che non fosse determinata.
Bryce la guardò per qualche secondo, sentendo il cuore avere un’improvvisa accelerata, poi si schienò alla sedia e distese un po’ le gambe.
-Va bene, non vuoi dirmi la frequenza dei tuoi allenamenti con Calvin Klein, ho capito- fece Bryce, sfinito da quella conversazione e dalla tenacia di Sarah a non dargliela vinta.
La mora scoppiò a ridere per la stupidità di quella frase e anche per il modo in cui Bryce aveva chiamato Michael, ma non se la prese.
-Mi sembra legittimo non informarti della mia vita sessuale- replicò Sarah sorridendo, cercando di far capire al ragazzo che stava chiedendo la luna in un pozzo.  Ovviamente cercò di nascondere il fatto che non erano andati ancora a letto insieme, e che generalmente lei non l’aveva fatto con nessuno.
-Come vuoi- fece lui, arrendendosi sconfitto. Aveva finalmente capito che la mora non gli avrebbe detto davvero nulla sulla sua relazione, quindi sia per non risultare ripetitivo e sia per non risultare assillante, abbandonò l’argomento.
Sarah tirò un respiro di sollievo: finalmente Bryce aveva deciso di comportarsi da persona seria.
Il resto della serata non tardò a volgere al termine e dopo una mezz’ora i due ragazzi tornarono a casa. Senza nemmeno accorgersene erano arrivate le dieci e considerando che Sarah aveva detto a sua madre di uscire solo a fare un giro, si era meravigliata di come lei non l’avesse ancora chiamata per chiedere spiegazioni.
Bryce lasciò Sarah praticamente sotto il portone di casa e lei lo salutò teneramente, lasciandoli un amorevole bacio sulla guancia. Il ragazzo fece lo stesso, anche se forse con un po’ più di rammarico della prima, ma non lo diede a vedere.
-Grazie per la serata e per avermi pagato la birra- gli disse Sarah, rivolgendoli un sorriso.
-E’ stato un piacere- rispose il ragazzo guardandola mentre si slacciava la cintura di sicurezza e prendeva la borsa.
-Allora, quando ci vediamo adesso?- chiese Sarah, che non voleva risultare come una che non avrebbe più voluto vedere il ragazzo. Tutto sommato era stata una bella serata e non le sarebbe dispiaciuto replicarla ogni tanto, qualora entrambi si fossero trovati ad Hoboken in futuro.
-Beh, dipende. Tu quand’è che torni a New York?- chiese Bryce.
-Penso tra qualche giorno, subito dopo Natale- rispose la ragazza, che non sapeva se quella cosa fosse un bene o un male.
-Capisco. Non saprei…Io e Jordan rimarremo sicuramente almeno fino a Capodanno- aggiunse lui.
-Da quando tu e Jordan siete così intimi?- chiese Sarah curiosa, che aveva sempre saputo quanto i due amassero entrare in competizione tra di loro e a cui sembrava davvero strano questo loro avvicinamento.
Bryce fece un sorriso, ma non rispose. Dopo qualche minuto i due si salutarono e Sarah rientrò a casa, sperando con tutta se stessa che i suoi genitori stessero dormendo, o che per lo meno stessero vedendo la tv e non le prestassero molta attenzione.
Sotto quel punto di vista vivere da soli era troppo bello: si poteva fare ciò che si voleva senza dare spiegazioni a nessuno, soprattutto in quel tipo di occasioni.
Salì le scale senza nemmeno togliersi il cappotto e in men che non si dica si spogliò, si lavò e si mise a letto.
 
24 dicembre 2013
 
I preparativi per il grande cenone della vigilia di Natale a casa Trisher erano iniziati già dalla mattina. Michael era stato malamente svegliato da sua madre, che era entrata nella sua stanza con molta poca grazia e aveva scostato le tende avane, facendo entrare una quantità spropositata di luce.
Il ragazzo si svegliò di soprassalto, già infastidito da quel gesto poco gentile. Il giorno prima aveva fatto le ore piccole con Sam e il fatto che sua madre l’avesse svegliato praticamente all’alba, per come la vedeva lui, contribuì a innervosirlo.
-Non sapevi bussare? O svegliarmi in maniera normale come tutte le persone con un po’ di buon senso?- chiese Michael qualche secondo dopo, mettendo a fuoco la sagoma di sua madre e cercando di riprendersi da quello shock improvviso.
Amanda di tutta risposta lo guardò torva. Erano solo le nove di mattina, ma lei era vestita di tutto punto, con un tailleur bordò con ricami scuri e decolté nere in pelle di Loboutin.
-Tra un po’ verranno i domestici ad ordinare e pulire la stanza, alzati- asserì Amanda con tono glaciale.
Le feste in famiglia la innervosivano sempre più del dovuto. La sua enorme casa sarebbe stata piena di parenti del marito, e lo stretto contatto con i fratelli di Miles e con suo padre, la innervosiva sempre, soprattutto quando non avrebbe potuto nascondersi da nessuna parte.
-Buona Vigilia di Natale anche a te, mamma- commentò sarcastico Michael, scostando le coperte e rimanendo qualche minuto seduto sul bordo del letto per riprendersi.
Sua madre si fermò un attimo a guardarlo. Il suo sguardo glaciale si fece un po’ meno duro e incurvò le labbra in un sorriso.
Alla fine era ben consapevole che Michael non centrava niente con il suo nervosismo e si dispiacque per averlo trattato in maniera così dura.
-Non ti ho sentito rientrare ieri sera, dove sei stato?- chiese, guardandolo con sguardo sospettoso e a braccia conserte. Il suo sopracciglio destro si alzò inevitabilmente.
Michael alzò lentamente gli occhi: scrutò l’immagine longilinea della donna di fronte a sé e poi incontrò il suo viso e la sua espressione corrucciata e severa. Le perle azzurre di Amanda lo stavano scrutando in attesa di una risposta valida e lui poteva scommettere che quella domanda celava un doppio significato.
-Sono stato con Sam e Chad- rispose il ragazzo, studiando l’espressione che di lì a cinque secondi sua madre avrebbe assunto.
Amanda lo guardò, immaginando che quella fosse una bugia bella e buona, ignorando però che invece era la pura e semplice verità.
Dal momento che la risposta di Michael non le aveva dato una ragione per poter trovare qualcosa di losco nella sua risposta, cambiò tattica. In realtà l’argomento in sui voleva andare a parare era uno solo.
-Sai, ho parlato con tua sorella in questi giorni…- iniziò a dire la donna, che ancora era in piedi di fronte a Michael.
-Capita quando si è nella stessa casa e si è madre e figlia- commentò ironico Michael, alzandosi e sfilandosi la maglia del pigiama, rimanendo a petto nudo di fronte sua madre.
La donna lo guardò, notando come di fatto suo figlio fosse un gran bel ragazzo, rivedendo in lui Miles ai tempi dell’università.
Amanda lo guardò di sbieco alzando un sopracciglio e apparentemente trattenendo un sorriso.
-Mi ha detto che ti stai vedendo con una ragazza…- iniziò a dire la donna, cercando di incontrare il viso di suo figlio e studiare la sua reazione.
Dall’albo dei tempi sotto quel punto di vista Amanda era sempre stata oppressiva nei confronti del ragazzo. Ogni sua fidanzata avrebbe dovuto passare prima sotto l’Amanda-Radar per poter avere la sua approvazione e per poter continuare a frequentarsi con suo figlio.
Aveva già sospettato più volte che Michael avesse una nuova ragazza e l’aveva capito da una serie di dettagli e non: per prima cosa il ragazzo usciva molto spesso di casa, tornando anche
più o meno tardi la sera, inoltre, come se non bastasse, si ricordava della ragazza della festa e del fatto che li aveva quasi sorpresi intenti a baciarsi nel salotto di casa.
-Meno male che è una ragazza, se fosse stato maschio sarebbe stato un problema- commentò il giovane, togliendosi i pantaloni del pigiama ed entrando in boxer nel bagno e chiudendo la porta.
Amanda rimase in piedi al centro della stanza con gli occhi fissi sulla porta di legno scuro.
Il comportamento di Michael era tutto fuorché normale per come la vedeva lei, e prima o poi ci avrebbe visto chiaro su quella storia.
-Non credi che dovremmo parlarne? Magari dovresti presentarmela- iniziò a dire sua madre, parlando contro la porta.
Michael di rimando smise per un attimo di lavarsi i denti, tenendo le orecchie per poter sentire sua madre.
Alzò gli occhi al cielo e fece un respiro profondo. Non voleva rovinarsi il Natale, né tanto meno la sua vigilia, e lui non avrebbe dato a sua madre l’occasione di spadroneggiare sul resto della sua vita che suo padre non riusciva a controllare. Già Miles gli aveva detto che ad anno nuovo avrebbe iniziato a lavorare in banca con lui, se ci si metteva anche Amanda con la sua voglia di giudicare Sarah e la loro relazione, quei giorni di festa sarebbero stati uno strazio.
-Te la presenterò quando avrò voglia di farlo- rispose il ragazzo, aprendo la porta e ritrovandosi la bionda donna di fronte –Ora se non ti dispiace, devo vestirmi- aggiunse, passandole davanti e prendendo un pantalone e una maglia dal cassetto del suo armadio di legno scuro.
Amanda respirò a fondo, socchiudendo gli occhi a due fessure e squadrando il figlio dalla testa ai piedi. Odiava quando non le obbediva e faceva di testa sua, la faceva sentire inutile e soprattutto trattata nella stessa maniera in cui la trattavano il resto dei Trisher.
La mattinata trascorse piuttosto lentamente e il pranzo anche, tanto che Michael, pur di non sentire tutti i suoi familiari e il loro fastidioso vociare, se ne salì immediatamente in camera sua. La cosa positiva del suo imminente impiego in banca, era che finalmente avrebbe avuto un suo stipendio e che avrebbe potuto investire quei soldi in un appartamento o in un loft, in modo tale da poter andare a vivere da solo. Quella sarebbe stata la prima cosa da fare una volta guadagnati un po’ di soldi. Il tempo trascorso a Princeton per più di quattro anni aveva cambiato decisamente la sua sopportazione nei confronti della sua famiglia, perciò tanto valeva ricominciare a vivere da solo. Se non avesse avuto l’incidente a mettergli i bastoni tra le ruote e a rallentarlo, l’avrebbe già fatto.
Controllò al computer titoli azionari e andamenti del mercato, poi però, un po’ spossato dallo schermo luminoso del suo Mac, e anche annoiato dall’idea di rimanere la vigilia di Natale chiuso in casa ad osservare gli indici delle borse di Wall Street e l’andamento altalenante dello spread, iniziò a guardare fisso il quadro raffigurante i grattacieli di New York che Sarah gli aveva regalato durante il coma.
Si girò lentamente e guardò il grande pacco regalo che aveva comprato a Sarah sostare vicino la sponda del letto. Le cose erano due: o rimaneva a casa, al massimo ammazzava il tempo con Sam se magari decideva di rispondergli, oppure poteva trasformare quella monotona vigilia di Natale in un ricordo indimenticabile.
Le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto malefico, quando in mente gli balenò un’idea fantastica. Si alzò di scatto, si mise il cappotto, prese il pacco regalo da terra ed uscì dalla stanza.
 
 
Sarah era raggomitolata sul divano del suo salotto, avvolta in una calda coperta di pile, con la luce e il tepore del camino che le facevano compagnia mentre stava leggendo un saggio d’arte acquistato la mattina stessa in libreria.
Era un’antologia di racconti e aneddoti sui pittori e sui quadri realizzati nell’Ottocento Inglese e la stava letteralmente adorando. Adorava quel periodo della storia dell’arte, quando i quadri erano pieni di colori, le donne raffigurate come divinità greche nella loro nudità e nelle loro vesti panneggiate e i paesaggi idilliaci e bucolici facevano da sfondo alle scene d’amore tra splendide ragazze dai capelli rosso fuoco e uomini che sembravano angeli.
Quelle ore passate a leggere quel libro erano state particolarmente rilassanti, sentiva dalla cucina il vociare di sua madre e delle sue zie intente a preparare l’enorme quantità di cibo che avrebbe dovuto accompagnare i lunghi pasti delle festività, inoltre Cinthia stava sfornando biscotti alla cannella da prima mattina, e l’intera casa si era impregnata del dolce aroma della spezia orientale, catapultando Sarah nel passato, quando non vedeva l’ora che arrivasse Natale per poter passare dei giorni assieme a tutta la sua famiglia.
Proprio quando stava per iniziare un nuovo capitolo del saggio, che avrebbe dovuto illustrare “La morte di Ophelia” di Sir Millais, il telefono le prese a vibrare accanto.
Vide lo schermo illuminarsi e lesse su di esso il nome del ragazzo che da più di due mesi era entrato in punta di piedi nella sua vita, sconvolgendola del tutto.
-Pronto?- rispose lei, in maniera dolce e pacata. Non sapeva per quale motivo, ma si aspettava un’imminente chiamata dal biondo.
-Ascolta, sono al centro di una piazza con un grande orologio, di fronte a me c’è l’oceano e una vista fantastica di Manhattan che non mi sarei mai aspettato di trovare in una micro città come questa…- iniziò a dire Michael, guardandosi attorno e sorridendo come uno scemo all’idea di essersi messo in macchina ed essere arrivato ad Hoboken.
-Cosa?!- esclamò Sarah, alzandosi di soprassalto dal divano e buttando a terra involontariamente libro e coperta.
Le sembrava di non aver capito bene: piazza con l’orologio? Oceano, vista di Manhattan?
-Sì, quindi le cose sono due, o mi dici dove abiti e ti passo a prendere, oppure mi raggiungi tu- terminò di dire il ragazzo, immaginandosi già la faccia sconvolta che Sarah stava probabilmente assumendo in quel momento.
-Cioè sei ad Hoboken?!- chiese Sarah, non riuscendo a contenere la sorpresa e alzando la voce più del dovuto. Quella era l’unica spiegazione, perché altrimenti le sue parole non avrebbero avuto senso.
Improvvisamente il cuore iniziò a batterle veloce nel petto. Michael era andato a trovarla a casa sua, nella sua città, il giorno prima di Natale?
-Così pare- replicò il ragazzo, divertito ed entusiasta di trovarsi lì –Quindi? Vengo io o vieni tu?- fece, scostandosi una ciocca di capelli davanti agli occhi.
Sarah ebbe la mente annebbiata per qualche secondo. Si immaginò il giovane al centro della piazza principale di Hoboken che l’aspettava sornione e con il suo solito ghigno malefico. Scosse la testa e a stento trattenne un sorriso di pura felicità. Ovviamente la loro non era una relazione morbosa e non passavano insieme ogni singolo momento, ma ritrovarselo a casa, in maniera del tutto inaspettata, l’aveva resa felice come una bambina.
-Ehm, arrivo subito, il tempo di mettermi qualcosa addosso- rispose la ragazza, che già si trovava a metà rampa di scale.
Michael trattenne una risata e scherzò sulle parole usate dalla mora.
-Ti ho sempre detto che potresti sempre venire vestita solo di cappotto- commentò malizioso, fermandosi a guardare una vetrina allestita con dolci natalizi.
Sarah al sentire quella frase arrossì, ma ovviamente Michael non poté vederla.
-Faccio prima che posso- disse la ragazza, ignorando apparentemente la battuta del ragazzo e trattenendo un sorriso di imbarazzo. Michael chiuse la chiamata e prese a guardarsi attorno con fare curioso. Per quanto Hoboken era praticamente attaccata a New York e facesse parte della sua area metropolitana, non ci era mai stato e fu sorpreso di come il centro della cittadina apparisse pittoresco e caratteristico, soprattutto a Natale. Lui era sempre stato un tipo molto curioso e scoprire nuovi posti e visitarli era una cosa che aveva da sempre amato. Allora che ci pensava sarebbe stato molto bello partire con Sarah alla ricerca di qualche città, oppure visitare con lei il Metropolitan Museum, il MoMa, oppure il Guggenheim. Sapeva che lei non si sarebbe tirata indietro, sapeva anche che non avrebbe accettato solo per farlo contento ma perché realmente interessata, ed era questa la cosa che lui amava più di lei. Sarah non aveva paura di mostrare la sua vera anima, le sue passioni o i suoi interessi. Non aveva paura di mostrarsi per quella che era, perché sapeva di essere una brava ragazza e di non nuocere a nessuno rincorrendo i suoi sogni e cercando di realizzarli con i proprio mezzi.
Quando se la ritrovò di fronte, con uno sguardo incredulo ma che trapelava felicità, nel suo solito cappotto nero e avvolta nel suo sciarpone di lana grigio, quasi gli si mozzò il fiato, e di certo non era colpa dell’aria gelida del New Jersey.
Sarah era davanti a lui, con le guance rosse per il freddo, senza trucco, i capelli un po’ disordinati e avvolti nella sciarpa, e la sua semplicità e bellezza erano disarmanti. I suoi occhi da cerbiatta erano leggermente spalancati, brillanti e pieni di vita.
Michael le sorrise, totalmente sopraffatto dall’idea che tra tutti i ragazzi con cui aveva avuto a che fare, lei avesse scelto proprio lui.
-Finalmente!- esclamò il ragazzo sorridendo e facendo un passo verso di lei.
Sarah dal canto suo era ancora incredula di ritrovarsi lì di fronte proprio Michael e per la prima volta, si abbandonò all’istinto senza farsi problemi di nessun tipo.
-Stavo iniziando a pensare che…- cercò di finire di dire il ragazzo, ma le labbra morbide e calde di Sarah si scontrarono contro le sue: fu una piacevole sorpresa e se all’inizio era stato preso alla sprovvista, dopo qualche secondo ricambiò con passione al bacio della ragazza.
Sarah intrecciò la sua lingua con quella di Michael e fu avvolta dal suo profumo e dal suo corpo. Si allungò un po’ sulle punte per poterlo baciare meglio e i loro nasi si scontrarono.
-Wow- commentò il ragazzo, staccandosi dalle labbra della mora per poter respirare –Devo venire spesso a trovarti ad Hoboken- disse accennando un sorriso.
Anche Sarah sorrise, ma prima di rispondergli fece incontrare qualche altra volta le loro labbra con piccoli e delicati baci a stampo. Prese il suo viso tra le mani e se lo avvicinò di più a sé, continuando a tempestarlo di baci.
Michael rimase piacevolmente sorpreso da quel suo modo di fare, sia perché ovviamente era ciò che voleva fare lui, e sia perché Sarah sembrava davvero contenta di quella sciocca sorpresa.
-Che ci fai qui?!- gli chiese la ragazza dopo qualche minuto di tenerezza passato a baciarsi di fronte quella vetrina di dolci. Solo allora si ritrovava a guardare Michael per bene e le partì un brivido lungo la schiena: le labbra del ragazzo erano la cosa più bella che Sarah aveva mai visto, a parte i suoi occhi ovviamente, e il suo sorriso, e il suo viso.
-La mia vigilia di Natale stava prendendo decisamente una piega deprimente- rispose il ragazzo, facendo vagare i suoi occhi blu sul viso e sulle labbra della ragazza. Le tolse una ciocca di capelli davanti agli occhi e rimase qualche altro secondo ad accarezzarle il viso freddo –Quindi ho pensato che avrei dovuto rimediare in qualche modo- terminò di dire, incontrando gli occhi felini di Sarah, luminosi e sorridenti.
La ragazza si staccò da lui, riuscendo comunque a mantenere il suo sguardo fisso nelle iridi azzurre di Michael e gli disse sorridendo –E hai pensato di farti un giro in macchina e arrivare fino ad Hoboken?-
-Sì, qualcosa del genere- replicò il ragazzo, che mise un braccio sulle spalle di Sarah e iniziò a camminare appoggiato a lei –Dunque signorina, dove mi porta?- aggiunse sornione, incontrando di nuovo le perle cangianti della ragazza.
Sarah a sua volta guardò in silenzio il ragazzo per qualche secondo. C’era qualcosa di diverso in lui che lo rendeva particolarmente piacente e affascinante e lì per lì non riusciva a capire cosa, ma poi capì.
Allungò una mano e prese il viso del ragazzo tra le mani: i suoi polpastrelli si scontrarono con una leggera barba che Sarah non era più abituata a vedere sul viso del ragazzo da almeno un mese e mezzo.
-E questa barba?- chiese lei sorridendo, mascherando il fatto che in quel modo Michael apparisse ai suoi occhi più piacevole e sexy del solito. Inoltre la barba sul suo viso le ricordava il mese in cui l’aveva conosciuto, quando si era innamorata di lui senza nemmeno conoscerlo, poiché fermo al letto e in coma farmacologico.
Michael sorrise trovando molto piacevole il contatto della ragazza con il suo viso.
-Ti piace?- chiese ghignando, sorridendo con gli occhi i quali si erano accesi di una sottile malizia.
La ragazza aspettò qualche secondo prima di rispondere. Sì che le piaceva. Piacere era riduttivo.
-Considerando che tu saresti benissimo anche ricoperto di spazzatura, sì, mi piace come ti sta, benchè la barba ai ragazzi non mi piaccia più di tanto- rispose sincera, senza farsi molti problemi.
Michael sorrise, compiaciuto da quella risposta, ma non perse tempo a stuzzicarla.
-Non ti piace la barba ai ragazzi?- ripetè alzando un sopracciglio e incurvando le labbra in un sorriso.
-Non tanto- rispose Sarah, sciogliendosi dal suo abbraccio e ritornando a camminare normalmente –Mi piacciono più i ragazzi dai visi efebici- concluse, abbassando lo sguardo e sentendosi leggermente in imbarazzo.
-Efebici? Che paroloni!- esclamò Michael ridendo, richiamando Sarah a sé e schioccandole un bacio sulla guancia –E io sono abbastanza efebico?- chiese imperterrito, consapevole del fatto che quei generi di discorsi imbarazzavano Sarah come non mai.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e scosse la testa. Se avessero dovuto assegnare un premio a Michael, sicuramente il più adatto sarebbe stato quello di adulatore di se stesso.
-Direi, hai un viso d’angelo- rispose Sarah a bassa voce, facendosi sentire quel tanto che bastava. Michael adorava ricevere complimenti, ma soprattutto adorava sapere cosa lei ne pensasse di lui, sia dal punto di vista fisico che intellettuale.
-Solo perché non hai ancora conosciuto i miei lati nascosti- replicò, facendole l’occhiolino, alludendo a chissà cosa.
Sarah lo guardò qualche secondo imbambolata, studiando attenta quella sua bellezza così particolare e unica e arrossì leggermente, abbassando lo sguardo.
-Devo darti una cosa- fece il ragazzo, fermandosi un attimo e tastandosi le tasche alla ricerca delle chiavi della macchina.
-Anche io- fece lei abbozzando un sorriso. Aveva avuto un’idea molto carina e personale da dare a Michael e sperava il ragazzo apprezzasse.
-Sì, ma non ora. Voglio farmi un giro per la città, ti va? O hai da fare?- chiese il ragazzo.
-Certo che mi va- rispose Sarah sorridendogli.
-A proposito, sei venuta a piedi da casa tua?- chiese lui.
-Sì, ma non è troppo distante da qui- replicò la ragazza.
-Tutto pur di non farmi conoscere la tua famiglia!- scherzò il ragazzo, riattirando Sarah a sé e questa volta dandogli un lungo bacio sulle labbra. La ragazza lo spinse via e lo guardò torva.
-Sai che non è così- gli disse lei con un mezzo sguardo di rimprovero –E’ solo che saresti il primo ragazzo che porto in casa e non mi va che tutti mi stiano addosso per questo motivo- fece la mora, stringendosi maggiormente nel suo cappotto quando una folata di vento la colpì.
Svoltarono un angolo e si ritrovarono a camminare per una strada un po’ meno illuminata e affollata, così Michael, mosso un po’ dall’istinto, un po’ dalla voglia di giocare con lei, la spinse verso un muro e la incastrò tra le sue braccia.
-Sono il primo ragazzo con cui dovresti fare diverse cose…- disse con voce bassa e gutturale, cogliendola di sorpresa e iniziando a seguire il profilo del suo mento con il naso.
Sarah si ritrovò pressata contro il suo corpo e contro il muro freddo dietro di lei, era alquanto sorpresa e confusa riguardo il suo improvviso comportamento, ma si ritrovò anche spaesata per l’estrema vicinanza di Michael a lei.
Lo guardò confusa e iniziò ad avvertire una certa ansia, dettata dal fatto che Michael era praticamente a cinque centimetri di distanza da lei e si stava mordendo le labbra, guardandola in maniera strana.
Senza farsi troppi problemi si spinse maggiormente contro di lei e si sporse a baciarla, ma fu un bacio rude, passionario, e la foga del ragazzo fu tanta che inavvertitamente morse il labbro inferiore della giovane.
Sarah si staccò da lui che aveva il fiatone, scossa da quella prorompenza e dalla forza di quel bacio. Lo guardò in maniera strana e confusa, un po’ su di giri per l’inaspettato contatto con il suo corpo. L’ultima volta che erano stati vicini e avevano condiviso qualcosa di molto inteso era stato a casa di Michael e anche se era passato qualche giorno, a Sarah tornarono in mente tutte le sensazioni provate.
Michael la guardò e sorrise, divertito dalla sua espressione spaesata e quasi impaurita. L’unico motivo per il quale non stava provando il solito brivido di eccitazione, era dovuto al fatto che si trovavano in mezzo alla strada e che ogni tanto qualche figura girava l’angolo come avevano fatto loro, e quindi non poteva abbandonarsi del tutto.
Continuò a sorriderle sornione in attesa che la ragazza si riprendesse dal breve momento di passione, ma che evidentemente, l’aveva scombussolata più del dovuto.
-Questo sarebbe uno dei tuoi lati nascosti?- chiese Sarah con voce tremante, cercando di ricomporsi e di non apparire agitata.
-Non è nemmeno un assaggio- commentò il ragazzo a bassa voce, accarezzandole la fronte e poi i capelli, spingendosi di più verso di lei.
Sarah respirò rumorosamente: non capiva a cosa era dovuto quello slancio di passione da parte di Michael e stava iniziando ad avvertire delle strane sensazioni, per non parlare del cuore che le martellava nel petto.
-Michael, cosa stai facendo?- gli chiese la ragazza, che di certo non era abituata a quell’esuberanza.
Il biondo incurvò le labbra in un sorriso e di rimando si chinò per depositarle tanti baci sulle labbra.
-Passerò queste feste con la mia famiglia e non so come farò a stare senza di te per tutto quel tempo- iniziò a dire il ragazzo, lasciando la presa e distaccandosi da Sarah, ancora un po’ frastornata dalla sua vicinanza.
La mora lo guardò respirando piuttosto velocemente: aveva sentito bene?
-Vorrei tanto svegliarmi con te domani mattina, fare colazione, aprire i regali di Natale e passare tutto il giorno davanti al camino addobbato. E’ tutto ciò che desidero- aggiunse Michael, sorridendo leggermente e incontrando gli occhi luminosi e brillanti di Sarah.
Alla ragazza tremarono letteralmente le gambe al sentire quelle parole e il cuore non aveva affatto intenzione di calmarsi nel suo petto.
La mora sorrise leggermente, conscia del fatto che anche lei avrebbe voluto passare un giorno di Natale così e allungò una mano, prendendo quella del ragazzo tra le sue.
-Piacerebbe anche a me- rispose a fatica, vedendo di come nuovamente Michael si fosse fatto vicino e l’avesse attirata a sé.
Le restanti ore le passarono in giro per il centro della città, a vedere vetrine addobbate, o ad ascoltare i cori natalizi messi su dalle varie parrocchie.
Michael si offrì di accompagnare Sarah a casa, senza pretendere nulla in cambio ovviamente, e colse quell’occasione per poterle dare il suo regalo di Natale.
Prima di far salire Sarah sull’auto, la chiamò a sé e aprì il cofano della macchina. Il pacco che si ritrovarono davanti era piuttosto grande, ornato di una carta dorata satinata e di un grande fiocco rosso.
-Spero abbia azzeccato un po’ tutto- commentò il ragazzo, facendo segno alla mora di scartare il regalo.
-Oddio, Michael. E’ enorme, che hai preso? E poi non c’era bisogno!- esclamò leggermente isterica lei.
-Secondo te, potevo non farti un regalo a Natale dopo tutto quello che hai fatto per me in questi mesi?- chiese retorico il ragazzo, pregustandosi già l’espressione di stupore che Sarah avrebbe assunto una volta scartato il regalo.
La ragazza rivolse un sorriso sincero verso il ragazzo e lo guardò qualche secondo negli occhi, che in quel momento le apparivano più blu e più luminosi del solito.
Fece un respiro profondo. Le gambe e le mani le stavano leggermente tremando: era la prima volta che riceveva un regalo da qualcuno che non faceva parte della sua famiglia e non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Si avvicinò al pacco regalo e sfilò il nastro rosso, poi lentamente prese a rompere la carta e cercò di intravedere che cosa ci fosse dentro.
La scatola che racchiudeva il regalo vero e proprio era di colore scuro e quando Sarah iniziò a leggere delle scritte familiari, che parlavano di lunghezze focali e ampiezza di diaframmi, sbiancò letteralmente.
-No- iniziò a dire a bassa voce e poi a ripeterlo più e più volte a voce più alta –No- ripetè di nuovo, guardando Michael con uno sguardo a metà tra l’arrabbiato e lo sconvolto.
-Oh sì, invece- replicò Michael, che si stava godendo tutta la scena compiaciuto, con il suo sorriso di soddisfazione stampato in faccia.
-Ma sei impazzito?- esclamò la ragazza ad alta voce, strappando con foga tutta la carta dorata e rimanendo come una scema davanti la scatola.
Sospirò e poi si girò a guardare Michael con uno sguardo di rimprovero. Ma si era bevuto il cervello?
-Non sapevo cosa potesse servirti, quindi ho preso un po’ di tutto. Il tipo del negozio mi ha detto che ha quattro anni di garanzia e che se vuoi possono darti il telecomando per scattare a distanza e il cavalletto a mezz’altezza…- iniziò a dire Michael, non accorgendosi che Sarah però era rimasta ferma a guardare la scatola della macchina fotografica.
Stava provando un turbinio di emozioni contrastanti: rabbia per il fatto che Michael avesse speso tutti quei soldi per lei, rassegnazione riguardo al fatto che il suo regalo in confronto era una miseria, ma anche felicità per quel regalo e per quel gesto così personale che mai nessuno le aveva rivolto, nemmeno i suoi genitori. La sua macchina fotografica l’aveva acquistata con i primi stipendi per il lavoro di cassiera e aveva dovuto pagarla a rate per paura di non farcela con i soldi dell’affitto che si sovrapponevano a quella spesa.
Sentì il naso pizzicarle e gli occhi riempirsi di lacrime, cercò di respirare più affondo e di ricacciare dentro le lacrime, ma il luccichio dei suoi occhi non sfuggì al ragazzo, che immediatamente si preoccupò per lei.
-Sarah che succede?- chiese il biondo avvicinandosi e prendendole il viso tra le mani. Era vero, si sarebbe aspettato una reazione spropositata, piena di forse ingiurie nei suoi confronti, ma non avrebbe mai voluto farla piangere.
-No, niente- cercò di dire Sarah, asciugandosi gli occhi e spostando il viso di lato per non farsi vedere da lui.
-Non ti piace? Io credevo…- iniziò a dire Michael, che davvero non riusciva a capire a cosa fossero dovute quelle lacrime. Gli si squarciò il cuore nel vederla piangere  e avrebbe voluto risolvere in qualche maniera.
Ovviamente le lacrime di Sarah non erano dovute a tristezza o altro, ma erano lacrime di pura emozione e felicità.
-Quanto diavolo hai speso?!- esclamò la ragazza arrabbiata. Non avrebbe dovuto spendere tutti quei soldi per lei. Quella che aveva davanti era una reflex professionale dotata di grandangolo, teleobbiettivo, flash professionale e cavalletto a tutt’altezza, accompagnata da borsa, memoria esterna, cavetto usb e chissà cos’altro.
Sentendola parlare il ragazzo capì che quelle lacrime non erano di dispiacere e allora, abbracciandola da dietro e dandole un bacio sulla guancia, le sussurrò nell’orecchio –Per te sarei disposto a spendere una fortuna…-
Sarah scosse la testa, era rimasta completamente senza parole. Avrebbe voluto ammazzarlo, ma allo stesso tempo avrebbe voluto abbracciarlo e ringraziarlo per quel pensiero.
-Non dovevi- riuscì a dire solo, con tono a metà tra rimprovero e stupore–Io non ti ho fatto un regalo all’altezza di questo- aggiunse abbassando lo sguardo.
Michael sorrise e le diede un bacio dietro la nuca sentendo il sapore e l’odore dei suoi capelli puliti. Sospettava che il problema di fondo fosse quello ma a lui non importava minimamente.
-Un “grazie” basterebbe- disse Michael, sporgendosi a guardarla negli occhi –Anzi, magari un “grazie” e un bacio- aggiunse sorridendo –Poi se mi dici “grazie” e andiamo a baciarci ripetutamente in macchina, mi starebbe ancora meglio-  concluse aspettandosi la solita reazione di Sarah.
La ragazza al sentire quella frase alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, ma trattenendo un sorriso, si sporse a baciare Michael sulle labbra.
-Grazie- sussurrò la mora, incantandosi a guardare le labbra arrossate del ragazzo.
-Non c’è di che- rispose lui, incatenando le sue iridi chiare a quelle più scure della ragazza.
-Devo chiederti un favore però- chiese Sarah piuttosto imbarazzata per la richiesta che stava per fare –Puoi riportartela? Passo a prenderla non appena ritorno a New York. Non posso presentarmi in casa con una macchina fotografica da duemila dollari senza dare spiegazioni-
Aggiunse.
Michael trattenne una risata e abbassò la portella del cofano.
-Questa storia che dobbiamo nasconderci dai tuoi genitori mi eccita, non mi è mai capitato- commentò il ragazzo, comprendendo le ragioni di Sarah.
La mora scoppiò a ridere e si diresse in macchina. Era arrivato il suo turno, avrebbe dovuto dare anche lei il suo regalo a Michael.
Il ragazzo qualche secondo dopo si ritrovò al posto del guidatore e accese il motore.
Sarah lo guardò qualche secondo e trattenne una risata imbarazzata: era la prima volta, allora che ci pensava, che si trovava in macchina con Michael, fino ad allora non le era mai capitato e la situazione le sembrò stranamente eccitante.
-Che c’è?- chiese lui, notando di come la ragazza stesse trattenendo una risata.
-Niente, niente- rispose lei, cercando una scatolina nella sua borsa.
-Non ci credo. A che stai pensando?- chiese Michael con più insistenza.
-Se te lo dicessi non la smetteresti più di prendermi in giro- commentò la ragazza, che già sapeva che avrebbe dato voce ai suoi pensieri tra qualche secondo.
Michael le fece segno di andare avanti e lei, con un pizzico di imbarazzo, parlò.
-Niente, è che sei…sei sexy alla guida- disse veloce Sarah, evitando di guardare Michael e la sua imminente faccia compiaciuta.
Michael dal canto suo alzò un sopracciglio, incredulo e stupito da quel commento.
-Ripeto, dovrei venire più spesso a trovarti ad Hoboken, sei decisamente più smaliziata!- esclamò il ragazzo compiaciuto.
Sarah di rimando gli fece segno con la testa e gli sorrise complice, consapevole del fatto che non era affatto come Michael la pensava in quel momento.
-Comunque, questo è solo un pensiero- fece la ragazza qualche minuto dopo, quando Michael aveva imboccato la strada per casa sua. Gli allungò una scatolina impacchettata e raccomandò Michael di aprirla solo quando lei se ne fosse andata.
-Non chiedermi perché- fece, di fronte all’espressione corrucciata del ragazzo.
–Promettimelo, però- aggiunse.
Michael si sporse a prendere la scatola e annuì, inconsapevole riguardo la ragione di quella richiesta.
Un minuto dopo Sarah fece segno a Michael di fermarsi, indicandogli la sua casa unifamiliare e notando di come sul viale di casa sua, ci fossero già le macchine di tutti i suoi parenti.
I due ragazzi si guardarono sospirando insieme, consapevoli del fatto che si sarebbero visti non prestissimo e che sarebbero passati dei giorni.
-Beh, allora Buon Natale- fece Sarah, accennando un timido sorriso e sporgendosi a dare un bacio sulla guancia al ragazzo, che però girò subito la testa e lo trasformò in un bacio sulle labbra.
Michael la baciò lentamente e si staccò controvoglia da lei, consapevole che sarebbe dovuto tornare a New York da solo, dalla sua disfunzionale famiglia.
-Buon Natale- sussurrò lui, riluttante a lasciarla tornare a casa.
Sarah sospirò: stava provando la stessa sensazione di malinconia e riluttanza di Michael.
Senza prolungare ulteriormente quel momento già difficile, la ragazza aprì lo sportello, e dopo aver dato un altro bacio al ragazzo, si avviò verso la porta di casa.
Nel momento in cui Sarah uscì dall’abitacolo, Michael sprofondò in una sensazione di opprimente solitudine sia dovuta all’assenza fisica della ragazza e sia dovuta alla situazione che l’aspettava a casa.
Aspettò che la ragazza si chiuse la porta di casa alle spalle, e poi, così come lei gli aveva raccomandato, scartò il piccolo regalo.
Era una scatola che poteva tenersi facilmente nel palmo di una mano e quando Michael ne scartò la carta, si ritrovò con una scatola in pelle blu scura.
La aprì e ne uscì fuori un bracciale in acciaio, formato da tanti ganci incastrati tra loro.
Il ragazzo sorrise all’idea di indossare un bracciale regalatogli proprio da lei e dopo averlo indossato, notò di come nella stessa scatola ci fosse un biglietto.
Fece un respiro profondo e iniziò ad aprirlo. Era stato scritto con una penna nera ed era stato poi firmato con la data di quel giorno.
"Il mio cuore era come un'arpa, e le parole e i gesti di lui come dita sulle sue corde"
Gente di Dublino, James Joyce.
Michael lesse il foglietto e non riuscì a non sorridere. Il cuore gli stava battendo molto forte nel petto e stava pensando e ripensando al significato di quelle parole.
Sorrise di nuovo pensando al fatto che la frase era stata tratta da Gente di Dublino di Joyce e si ricordò del fatto che durante il coma, Sarah aveva iniziato a leggergli proprio quel libro per tenergli compagnia.
Chiuse gli occhi per un attimo e si ricordò di quel pomeriggio vissuto nei suoi sogni nel caffe di Johnathan. Si ricordò di come Sarah gli avesse parlato del suo racconto preferito, di come si sentisse sola e di come lui la prese in giro per tutto il tempo della loro conversazione.
Trovò assurda la circostanza del loro primo incontro, ma si sentì quasi completo allora che gli aventi avevano preso quella piega.
Era come un puzzle e tutto sembrò andare al suo posto.
Ripensò a quella fantastica ragazza che aveva avuto l’occasione di conoscere in una circostanza stranissima, ripensò al fatto che lei era stata l’unica ad essergli stata vicino nel momento del bisogno senza che nessuno glielo chiedesse e sorrise. Sorrise mentre iniziava a farsi strada dentro di lui un pensiero, un sentimento, che era consapevole di non aver mai provato prima di allora.
Sorrise, e con lo sguardo ancora verso casa di Sarah di cui riusciva a scorgere il salone illuminato, si accorse di amarla.

 
***
Come promesso ecco il ventesimo capitolo, era per farmi perdonare per tutto questo periodo di assenza ed è uscito fuori praticamente in due giorni, e sono tipo diciassette pagine di word. 
Sarah è tornata a casa e si è confrontata con quello che era il suo passato (Bryce) e quello che invece è il suo presente e futuro (Michael).
Non mi dilungo molto su questo capitolo, anche perchè non avrei molto da dire. Spero che vi sia piaciuto lo scambio di battute con Bryce, io l'ho trovato molto divertente e stimolante, Sarah ovviamente è riservatissima, e anche se effettivamente non ha nulla da dire perchè con Michael non c'è stato molto, comunque rimane vaga e non vuole far capire nulla a Bryce. Bryce la invita perchè ha semplicemente voglia di vederla, senza nessun doppio fine o comunque non vuole convincerla di nulla a differenza del passato.
Michael è sempre il numero uno e ovviamente vuole per Sarah il meglio, spero vi sia piaciuto il suo regalo di Natale e tutte le dinamiche che lo hanno portato ad andare ad Hoboken. Le scene con Amanda mi hanno fatto morire!
L'ultima parte è prevalentemente romantica e ovviamente Sarah non può permettersi chissà che, quindi regala a Michael qualcosa che sia più prezioso dal punto di vista affettivo che di moneta, e ovviamente scrive un biglietto (e secondo me è quello il vero regalo) tratto da un libro che per lei ha un significato particolare perchè le ha permesso di avvicinarsi a Michael in una maniera altrettanto particolare. 
Volevo aggiornare venerdì, ma non credo di farcela perchè in questi giorni sono a Roma (!!!) e quindi mi sa proprio che salta alla prossima settimana. Io vorrei aggiornare per domenica, ma non so dirvi nulla di certo, anche perchè il prossimo capitolo è importantissimo per Michael e Sarah e quindi voglio che tutto sia perfetto! 
Ovviamente ringrazio i 91 seguiti e i 50 preferiti. Sono numeri astronomici per me! 
Se non avete mipiacciato la mia pagina facebook, fatelo! 

Black Mariah Efp!

 
 

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Capitolo 21
*** 21 ***


21

 
 
5 gennaio 2014
 
I primi giorni di lavoro erano passati e Michael si era ritrovato finalmente a spegnere il suo portatile, riordinare la sua scrivania e prepararsi per tornare a casa per il fine settimana.
I giorni di festività appena passati non erano stati dei migliori, però non si poteva nemmeno lamentare: tutto sommato la sua famiglia non gli era stata con il fiato sul collo come era solita fare, e lui in compenso aveva trascorso pochissimi giorni a casa.
Per la notte di fine anno aveva deciso improvvisamente di passare dei giorni fuori New York, per quello che a Sarah aveva definito come un “soggiorno romantico” con Sam e i suoi amici. Di rimando la ragazza non aveva obbiettato ed era apparsa anche abbastanza entusiasta della cosa. Aveva avuto modo di conoscere qualche amico di Michael al di fuori di Sam, e non le era sembrato fossero dei cattivi ragazzi, quindi era ben lieta che il ragazzo passasse del tempo con i suoi amici.
Non appena terminato il Capodanno da leoni che Sam e Michael assieme a Chad, Luke e Matt avevano trascorso, procurandosi un post-sbronza lungo quasi due giorni, Michael era stato catapultato nella triste realtà in cui suo padre era diventato il suo datore di lavoro e un super ufficio al quarantesimo piano della Trisher Bank aveva sostituito i suoi pomeriggi di studio nella sua camera di Princeton.
Fu un sollievo per lui chiudere a chiave la porta di cristallo del suo “ufficio” e mettersi in ascensore, allietato dal week end lungo che l’aspettava.
Era giovedì pomeriggio e l’indomani la banca sarebbe stata chiusa per l’ultima delle festività di quel periodo e lui ne avrebbe approfittato per passare un po’ di tempo con Sarah, che non vedeva dalla vigilia di Natale.
Allora che ci pensava, le feste non erano andate poi così male perché era rimasto a casa per soli quattro giorni ed era riuscito perciò a rimanere tranquillo, facendosi scivolare tutti i capricci di sua sorella grande e tutte le prediche di sua madre, senza innervosirsi o prendersela più di tanto.
Uscì dal grattacielo che ospitava l’attività di famiglia, si mise in macchina e si diresse a Brooklyn per poter rivedere finalmente la sua fidanzata. Sorrise a quel pensiero, pensando che alla fin fine anche se sembrava conoscere Sarah da tanto tempo, in maniera ufficiale si stavano frequentando da poco più di un mese.
Imboccò la strada per arrivare all’appartamento della ragazza e cercò di destreggiarsi tra il traffico della sera per poter arrivare il prima possibile. Avrebbe voluto tanto abbracciarla e baciarla, affondare il naso tra l’incavo del suo collo e la clavicola e inspirare il suo profumo.
Varcò il portone, prese l’ascensore e in qualche minuto si ritrovò di fronte la sua porta di casa: stava per suonare il campanello quando si accorse che la porta d’ingresso era socchiusa e che la ragazza lo stava aspettando seduta su uno sgabello.
-Entra, è aperto!- gli fece la mora e lui non se lo fece ripetere due volte.
Entrò lentamente nell’appartamento notando come la ragazza avesse già smantellato tutti gli addobbi di Natale, si girò e la trovò seduta nell’angolo in cui era solita avere i suoi quadri e i suoi materiali per i dipinti.
Sarah lo stava aspettando seduta ad uno sgabello con tre piedi, con in mano pennello e tavolozza dei colori ad olio.
Gli sorrise timida, un po’ stordita dalla presenza di Michael nel suo appartamento, non riusciva mai ad abituarsi all’idea che lui fosse lì con lei, e aspettò che si avvicinasse.
Non poteva alzarsi ed accoglierlo a braccia aperte altrimenti avrebbe perso la sua comoda posizione sullo scomodissimo sgabello in legno che si riprometteva ogni giorno di rifoderare o di sostituirne con uno di più comodo, per non parlare del fatto che avrebbe dovuto lasciare la tavolozza a terra, mettere il pennello nel bicchiere di acqua ragia e corrergli incontro.
Michael la guardò e le rivolse anche lui un sorriso: stava dipingendo e quella cosa lo lasciò particolarmente sorpreso.
Aveva sempre desiderato vedere Sarah dipingere e fino ad allora non gli si era mai presentata l’occasione, quindi ritrovarsela lì, seduta in una maniera a dir poco scomoda, con la tavola dei colori in mano e intenta a finire un quadro, lo destabilizzò un po’.
Sapeva quanto Sarah fosse brava e soprattutto quanto a lei piacesse dipingere, inoltre ricordava bene la sensazione delle sue mani sulla sua pelle, ogni qual volta che lo toccava o seguiva i suoi lineamenti. Ogni volta era come se lui fosse la sua tela e le sue dita i pennelli, e lui veniva catapultato in una dimensione onirica, quasi come se non si fosse ancora risvegliato.
-Ehi!- esclamò lui dopo qualche secondo di silenzio passato a studiare la figura della ragazza.
-Ciao- gli fece Sarah, abbozzando il suo solito sorriso timido.
Allora che ci pensava avrebbe dovuto darsi una sistemata prima di aprire la porta. Michael appariva splendido, elegante e affascinante come sempre, mentre lei probabilmente aveva i capelli in disordine, il trucco sbavato e il sex appeal di un criceto che gira sulla ruota.
Il ragazzo attraversò il loft e andò da lei, chinandosi e dandole un bacio sulla guancia.
-Da quanto tempo che non ci vediamo! Se passava qualche altro giorno mi sarei dimenticato che faccia hai!- commentò Michael ridendo, sbottonandosi il cappotto e lasciandolo sul divano.
-Ah, sentilo!- esclamò Sarah, fermandosi un attimo. -Quella che ha passato il capodanno a Miami non sono io!- aggiunse, fingendosi indignata.
Michael rise sotto i baffi e si avvicinò di nuovo a lei.
-Beh, quello non fa testo…- replicò il giovane.
-Ma come non fa testo?!- esclamò Sarah, girandosi a guardarlo di sbieco.
-E’ stata una decisione presa così in fretta e furia, non era stato programmato!- rispose Michael accennando un sorrisetto più che eloquente riguardo la baldoria fatta a Capodanno.
Sarah lo guardò per qualche secondo sospettosa, cercando di celare quel pizzico di gelosia che le stava partendo da dentro nel pensare a Michael e a Sam a fare chissà cosa sulla cima di un grattacielo.
-Sì certo…- commentò lei, riprendendo a dipingere per poter portarsi avanti il più possibile in quel lavoro che le era stato commissionato.
Michael notò di come la ragazza fosse tornata alle sue cose, non dimostrando poi così tanto entusiasmo nel vederlo come si era aspettato, ma cercò di non darlo a vedere, giustificando questo comportamento al solo fatto che fosse impegnata.
Fece un passo verso di lei e silenzioso iniziò ad osservarla mentre dipingeva. Passarono alcuni minuti e Michael era totalmente rapito da come la ragazza muoveva le mani, da come il pennello si muovesse delicato sulla tela o da come lei stendesse e immischiasse il colore per ottenere le sfumature.
Si sedette accanto a lei e fece vagare gli occhi sul paesaggio che stava dipingendo, cogliendone tutti i dettagli e i colori che la ragazza stava cercando di riportare sulla tela.
Sarah si accorse che il ragazzo si era seduto di fronte a lei e che la stava guardando insistentemente. Cercò di mascherare l’imbarazzo che stava provando nel sentire i suoi occhi vagare su di lei, ma il suo cuore come sempre aveva subito un’improvvisa accelerata e sembrava non volersi calmare.
-Lo stai facendo per qualcuno?- chiese improvvisamente il ragazzo, schiarendosi un po’ la voce.
-Sì, devo consegnarlo ad una signora per la prossima settimana- rispose Sarah, che stava cercando di tenere fissi gli occhi sul quadro –Sempre sperando che si asciughi…- aggiunse a voce più bassa.
Michael incurvò le labbra in un sorriso e le fece qualche altra domanda.
-E’ molto bello, è un paesaggio che esiste davvero?- chiese il ragazzo.
Sarah respirò piano, bagnò nuovamente il pennello nella tavolozza prendendo un verde molto scuro e riprese a dipingere sulla tela. L’acre odore dei colori ad olio le pizzicava il naso.
-Sì, è una signora Irlandese e mi ha dato una fotografia del luogo in cui è cresciuta. Credo sia una campagna vicino Dublino. Mi ha detto che ha visitato la mostra qualche settimana fa  e che siccome sta cambiando casa, voleva un quadro da mettere in soggiorno- rispose la ragazza, controllando alla meglio la respirazione e il battito del cuore.
Michael rimase in silenzio a guardarla e a studiarne i movimenti e notò di come appoggiata al cavalletto su cui Sarah stava dipingendo, ci fosse appesa una fotografia che ritraeva lo stesso soggetto che Sarah stava imprimendo sulla tela.
Era una campagna piena di fiori dai mille colori, con spighe alte e sottili, leggermente incurvate per il vento. Ogni elemento era reso con delle particolarissime sfumature arancioni che richiamavano la luce diffusa dal cielo. Era una campagna fotografata al tramonto o comunque durante un momento in cui il sole non è più alto nel cielo, ma la sua luce più tenue e meno accecante irradia comunque tutto ciò che sta attorno.
Michael abbozzò un sorriso e guardò con soddisfazione quella ragazza che gli stava di fronte.
Sarah era tenacie, intelligente, premurosa, vera, sempre opportuna. Era un misto di qualità che non era mai riuscito a trovare contemporaneamente in una sola donna e quella era la cosa che lui più adorava di lei.
Non solo era fine, bella e delicata, ma sapeva cosa significava sacrificarsi e lavorare duramente per raggiungere i propri obbiettivi, e tutte le fatiche che lei sopportava, riusciva a tramutarle in bellissimi quadri, in disegni fatti con la china o con il carboncino e anche in semplici fotografie.
Si alzò e andò verso di lei per poter guardare meglio il suo lavoro e per poter avere un contatto più profondo.
Sarah sentì Michael poggiarle le mani sulle spalle e alzò il viso a guardarlo. Abbozzò un sorriso e il biondo fece lo stesso, chinando immediatamente la testa e lasciandole un bacio sulle labbra.
All’inizio la ragazza sembrò titubante per quel contatto, in quelle due settimane aveva pensato a lui notte e giorno e riscoprire di nuovo la sua presenza fisica la destabilizzò un po’.
Anche per Michael fu stranamente la stessa cosa: era vero, tra loro non c’erano mai stati dei veri  e proprio momenti di intimità, ma prima di Natale passavano molto tempo insieme e si era abituato a baciarla, a stringerla a sé o ad essere inebriato dal suo profumo, e quel nuovo contatto con le sue labbra gli fece partire un brivido da dietro la schiena fino ad arrivare alla nuca.
La baciò lentamente, muovendo piano le sue labbra su quelle della mora e le prese il viso tra le mani.
-Mi sei mancata in queste settimane- sussurrò Michael con voce bassa e profonda, incatenando i suoi occhi blu in quelli più scuri di Sarah e seguendo il profilo del suo mento con il naso.
La ragazza si morse un labbro, cercando quasi di trattenere ancora per qualche secondo il sapore del ragazzo e poi rispose con voce tremante –Anche tu-
Si sporse maggiormente, ancora con pennello e tavolozza in mano e annullando di nuovo la distanza che si era creata tra loro, baciò il ragazzo, che questa volta molto più convinto e con meno lentezza, prese il viso di Sarah tra le mani e intrecciò con foga e passione la sua lingua con quella della ragazza.
Improvvisamente quella sensazione riguardo al fatto che la ragazza non fosse felice di vederlo sparì e fu sostituita dalla voglia di stare con lei, di parlarle, di baciarla e di passare la notte insieme, raggomitolati tra le coperte, allietati dal tepore del piumone soffice e morbido.
-Hai da fare molto? Ordino la cena?- chiese il ragazzo, staccandosi un attimo dalle labbra della ragazza e riprendendola a guardare dall’alto.
Sarah deglutì quel poco di saliva che le restava in bocca e cercò di rispondere, apparendo calma e all’apparenza concentrata sul disegno.
-Finisco un attimo questo pezzo di erba e ho fatto- iniziò a dire la ragazza –Per la cena, non ho nulla di tuo gradimento, credo. Ho delle patatine surgelate e dei bastoncini di pesce…- fece Sarah, immaginandosi già la faccia sconvolta del ragazzo.
Michael la guardò di sbieco e in malo modo, che cosa significava patatine surgelate e bastoncini di pesce? Cos’era l’antipasto?
-Non dirmi che non hai nemmeno una delle tue insalatine multicolor…- commentò il ragazzo, aprendo il frigorifero e iniziando a sbirciarvici dentro.
Sarah alzò gli occhi al cielo e riprese a spennellare la tela.
-No, le ho finite e non ho avuto tempo di fare la spesa…- iniziò a dire Sarah.
-Ma domani è la Befana! Che ci mangiamo?- chiese lui, seriamente intimorito da quell’affermazione. Che cosa significava che non aveva fatto la spesa?
Sarah si girò a guardare Michael e trattenne una risata, notando di come il ragazzo fosse seriamente spaventato da quella cosa.
-Non sapevo rimanessi a mangiare qui- commentò spaesata la mora, prendendo atto solo allora di quella cosa.
-Beh, secondo te dove sarei andato?- replicò Michael alzando un sopracciglio e mettendosi a braccia conserte. In quel momento si rivedeva quasi in sua madre quando assumeva quella stessa posizione.
-E che ne so! Comunque, al massimo domani mattina esco un attimo a comprare qualcosa- fece Sarah cercando di rimediare. Se magari lui l’avesse avvisata, si sarebbe organizzata di conseguenza. E poi allora che ci pensava, sarebbe rimasto a dormire da lei?
Michael la guardò ancora titubante, arresosi al fatto che avrebbe mangiato pochissimo quella sera e cercò di non pensarci. Si diresse verso la cucina e iniziò a togliere dal congelatore i pacchi di cibi surgelati e dopo qualche minuto ritornò a sedersi accanto a Sarah.
La ragazza respirò più rumorosamente quando si rese conto che Michael la stava osservando di nuovo, e cercò di non tremare molto con la mano, anche perché altrimenti quello stelo che stava sfumando, avrebbe dovuto rifarlo.
Michael si accorse del fatto che la ragazza si fosse irrigidita non appena accortasi della sua presenza e sorrise sornione, intenzionato a torturarla un po’ sia per divertimento, sia per vendicarsi della scarsa cena che gli aveva fatto trovare.
Allungò una mano e gliela poggiò sulle spalle per poi lentamente scendere sulla schiena e iniziarla a massaggiare. Michael sentiva sotto le sue mani sia il tessuto del maglione che Sarah stava indossando, ma anche la sua pelle morbida che si stava sciogliendo e rilassando un po’. Mise le mani nell’apertura superiore della maglia ed entrò in contatto diretto con la pelle di Sarah.
La mora inizialmente si irrigidì ulteriormente, ma poi cercò di  abbandonarsi e di rilassare i muscoli sotto le mani lisce di Michael.
Il ragazzo le prese prima il collo tra le mani e poi portò le mani in avanti, massaggiandole le clavicole.
Sarah dovette un attimo fermarsi, sia perché era stata colpita da una leggera tachicardia e sia perché il tremolio alle mani sembrava non voler passare.
Chiuse gli occhi e tirò il collo all’indietro, quel tanto che bastava per appoggiare la testa sul busto del ragazzo e poter rimanere in quella posizione per qualche minuto.
-Fammi finire- sussurrò la ragazza, non appena Michael si chinò nuovamente su di lei e iniziò a seguire con le labbra i suoi lineamenti, lasciando baci sparsi sul suo collo e sulle sue labbra.
Michael trattenne un sorriso e le diede un bacio sulla gola. Più che una richiesta gli era sembrata una preghiera.
-Non sai fare due cose contemporaneamente?- chiese sornione lui, malizioso e divertito da quella cosa. Fece scendere la mani sui fianchi della ragazza e spostando la sedia si mise accanto a lei.
Sarah deglutì e alzò gli occhi al cielo. Era sempre molto simpatico quando quello a soffrire non era lui.
-Mi metti ansia se mi guardi così- commentò la ragazza, accorgendosi di come il biondo si fosse messo accanto a lei e stesse seguendo tutti i suoi movimenti.
Michael scoppiò  ridere ma non si lasciò comandare.
-E dove me ne dovrei andare? Non c’è molta scelta- asserì lui, non distogliendo mai gli occhi dalla sua figura. La scrutò con attenzione, studiando silenziosamente tutti i suoi lineamenti. I capelli ondulati e lunghi erano raccolti una specie di tuppo disordinato da cui uscivano ricadenti le punte rossicce, le sue labbra erano visibilmente gonfie e arrossate forse per il freddo, gli occhi con un filo di trucco un po’ sbavato.
La ragazza stava indossando un pantalone di tuta largo e un felpone grigio di almeno due taglie più grandi, e il tutto era coronato da un paio di calzettoni di lana antiscivolo di vari colori.
Michael doveva ammettere che nessuna ragazza si era mai fatta trovare in quel modo così comodo e naturale da lui e per qualche strana ragione fu entusiasta della cosa. Per quanto Sarah potesse essere timida e ci tenesse a fare bella figura con lui, era una ragazza vera, in ogni cosa che faceva, e quello era il perfetto abbigliamento per rimanere in casa, in una serata di inverno, a fare qualcosa come dipingere.
Mentre era praticamente attratto e incantato dal modo in cui il pennello si stava muovendo sulla tela, da come il colore veniva steso e si univa a quelli già presenti sul quadro, non resistette e allungò le mani, prendendo Sarah dal bacino e avvicinandosi a lei.
Le iniziò a baciare il collo, poi lentamente fece salire le mani fino ad arrivare fin sotto al seno.
-Michael- commentò Sarah con voce tremante, mossa da brividi lungo la schiena. A causa dell’emozione che Michael le stava suscitando il pennello le era sfuggito e aveva macchiato una parte di tela bianca immediatamente sotto il disegno che stava terminando.
Michael si accorse della cosa e cercò di scusarsi in qualche modo, sinceramente dispiaciuto ma anche divertito da quella cosa. Era piacevole notare così palesemente l’effetto che lui faceva a Sarah. Blake non glielo aveva mai dato a vedere, così come quelle decine di ragazze al campus con cui si era fermato sì e no un paio di notti.
-Scusa, scusa- fece il ragazzo, ritraendo le mani, ma non fermandosi nel baciarle il collo.
La ragazza sospirò, mandando al diavolo quel quadro per quella serata, tanto valeva riprenderlo il giorno dopo e finirlo.
-Sei diabolico- commentò lei, lasciando il pennello nella coppetta dell’acqua ragia e lascando la tavolozza sul tavolino dei colori  e dei pennelli.
Michael sorrise, soddisfatto per essere riuscito nell’intento di distrarla e farla sua per quei minuti e di rimando si sporse a baciarla sulle labbra, dischiudendogliele con la lingua.
Sarah si girò di profilo e si fece baciare così lentamente e delicatamente da Michael, che quasi le sembrava che il ragazzo le stesse accarezzando le labbra. Aprì gli occhi e allungò una mano per prendergli il viso e per avvicinarlo al suo, e vide Michael sorridere sornione per la sua risposta.
Si baciarono lentamente per qualche minuto, ricordandosi tutte le sensazioni che erano soliti provare quando le loro labbra si incontravano. Michael mosse con passione le labbra sopra quelle della ragazza, cercando di intrecciare la sua lingua con quella di Sarah in una danza lenta e ritmata. La strinse di più a sé e Sarah si sporse di più verso di lui, aggiustandosi e potendolo finalmente guardare negli occhi. Gli sorrise debolmente, ritrovandoselo praticamente attaccata e poté sentire il profumo del suo dopobarba ancora fresco dopo una giornata di lavoro, e lei lo inspirò come se fosse ossigeno puro.
-Com’è andata in banca?- gli sussurrò lei, mentre Michael era ancora impegnato a depositarle tanti baci lungo tutto il viso e il collo.
-Non così male come mi aspettavo- rispose lui, colto improvvisamente da una scarica di adrenalina nel momento in cui sentì sotto le dita il gancetto del reggiseno della ragazza.
Sarah gli stava per fare un’altra domanda, ma quando sentì le mani di Michael vagare sulla sua schiena e girare attorno al gancio del suo reggiseno, si bloccò, colta da un improvviso batticuore.
Le si mozzò il respiro e rimase qualche secondo ad osservare le labbra leggermente dischiuse del ragazzo e a farsi cullare dal suo respiro, sollevandosi e abbassandosi poiché appoggiata al suo petto.
Alzò lentamente gli occhi e incontrò quelli blu di Michael, che non aveva mai visto così da vicino. Si perse in quelle sfumature cerulee e lapislazzuli e uno strano languore dal basso ventre le partì, fino a terminare con un leggero crampo allo stomaco.
Era una sensazione che non aveva mai avvertito prima di allora, nemmeno quando si ritrovarono nudi nella doccia o nel suo letto.
Fece un respiro profondo e si sporse di nuovo a baciarlo, annullando non solo le distanze tra i loro visi, ma anche quelle fisiche. Sentì il petto di Michael contro il suo, i suoi capelli tra le dita, il suo bacino contro il suo e continuò a baciarlo fino a quando non riuscì più a respirare.
Si staccò da lui per prendere aria e si ritrovò Michael di fronte a lei con l’affanno, i capelli disordinati a causa delle sue dita, e la mascella serrata. Il ragazzo stava cercando di calmare la respirazione, ma risultò un’impresa ardua.
Sarah non l’aveva mai baciato in quel modo, non l’aveva mai stuzzicato in quella maniera e quella cosa lo aveva un po’ destabilizzato. Gli occhi castano chiaro della ragazza erano ancora fissi nei suoi e gli sembrava quasi gli stessero guardando fin dentro all’anima. Sentiva il suo sguardo dentro di lui, quasi dentro le sue membra, e il tutto era accompagnato dal galoppo del suo cuore impazzito nel petto.
Sarah respirò di nuovo piano, non riusciva a dire nulla, sapeva solo che era arrivato il momento, che era arrivato il momento di concedersi completamente a lui, perché Michael non sarebbe stato mai più così bello e i suoi occhi non l’avrebbero mai più guardata in quel modo.
Non disse nulla, si aggiustò solo sulla sedia e lentamente fece vagare le mani sul petto del ragazzo. Le fece scendere giù fino ad arrivare all’orlo del maglione blu che stava indossando e iniziò ad alzarglielo.
Michael vide Sarah guardarlo in un modo strano e poi sentì le sue mani vagare su di lui alla ricerca dell’orlo del maglione. La guardò stranito, totalmente sorpreso da quella mossa, e quando capì che Sarah gli stava sfilando il maglione, ebbe quasi un cedimento. Cosa voleva fare?
Rimase immobile qualche istante, giusto per capire fin dove la ragazza avrebbe voluto spingersi, ma quando Sarah arrivò con il suo maglione fin sotto le braccia, dovette alzarle per aiutarla a sfilarglielo del tutto.
-Dovresti cercare di facilitarmi il compito…- disse a bassa voce Sarah, cercando di mascherare il fatto di essere totalmente terrorizzata da quello che stava per fare, e soprattutto ignara di come andare avanti.
Michael la guardò e accennò un sorriso. Alzò le braccia e si sfilò il maglione, rimanendo in camicia bianca di fronte a lei. Si sporse verso di lei e riprese a baciarla, mentre prese la ragazza dai polsi e si portò le sue mani sul petto, in modo tale da farle sbottonare la camicia.
-Così ti è più facile?- chiese lui con voce bassa e roca, incurvando le labbra in un sorriso a metà tra il malefico e il compiaciuto.
Sarah deglutì e rispose a fatica.
-Ora vedremo- commentò, nascondendo l’imbarazzo e cercando di far smettere alle mani di tremare.
Fece scivolare le mani sul petto del ragazzo, sempre guidata da lui e poi prese a sbottonare lentamente i bottoni della camicia.
Piano piano, il petto tonico e liscio del ragazzo iniziò a rivelarsi e Sarah non resistette alla voglia di accarezzarglielo e di baciarlo con le labbra. Michael assecondava i suoi movimenti compiaciuto e cercò anche lui di darsi una calmata, se non voleva far finire tutto troppo presto. Avrebbe tanto voluto prenderla e sbatterla sul letto, mettersi sopra di lei e iniziare a farle provare sensazioni che non aveva mai provato prima di allora, ma si fece cullare dalle carezze dolci e gentili di Sarah che gli stavano causando tanti brividi lungo la schiena e dietro al collo.
Sarah tolse via la camicia da Michael e il ragazzo rimase a petto nudo di fronte a lei. Fece vagare veloce gli occhi sulla sua figura e gli si mozzò quasi il respiro al pensiero che probabilmente sarebbe stata schiava di quel corpo così perfetto nelle ore successive.
Arrossì al pensiero di quello che aveva deciso di fare e Michael se ne accorse, al che la prese per il mento, avvicinandosi a lei e facendole riscoprire un nuovo contatto con la sua pelle nuda, e  le sussurrò nell’orecchio –Adesso è il mio turno-
La ragazza trattenne un sorriso e cercò di spingerlo via, ma Michael con un gesto più veloce la prese dai polsi e la trattenne vicino a sé.
-Da dove vuoi che inizi?- disse sornione, con voce bassa e tremante per l’eccitazione. Anche lui moriva dalla voglia di spogliarla.
Sarah lo guardò imbarazzata e abbassando un po’ lo sguardo, attratta dal profilo definito dei suoi pettorali, disse a bassa voce –Da dove vuoi-
Michael incurvò le labbra in un sorriso quasi di vittoria e la prese dai fianchi. Fece scendere le mani lentamente sulle cosce, poi passò le dita sopra l’elastico della tuta, allargandolo e facendolo scivolare in basso.
Sarah sentì immediatamente freddo alle gambe, ma il calore che stava provando dentro e il fuoco che le stava riscaldando le membra avrebbero sciolto anche i ghiacciai dell’Antartide.
Michael si soffermò un attimo a guardare le sue gambe lunghe e lisce e poi alzò lo sguardo per incontrare quello imbarazzato della ragazza. Le sorrise e prendendola per i fianchi se la avvicinò al bacino e la baciò, facendole sentire quello che lui stava provando in quel momento.
-Sei sicura?- le chiese, incatenando le sue iridi blu con quelle marrone cangiante della ragazza. Non servì aggiungere niente a quelle parole, avevano entrambi capito.
Passarono alcuni secondi prima che Sarah rispondesse ed entrambi poterono giurare di riuscire a sentire i battiti dei rispettivi cuori.
-Sì- rispose Sarah con un sussurro, muovendo lentamente la testa e guardando incantata le labbra del ragazzo.
Nel sentire quella risposta Michael tirò un respiro di sollievo e poi si comportò di conseguenza.
Sorrise malizioso e fece scivolare le mani lungo la schiena di Sarah, fino a portargliele sui glutei. La tirò di nuovo a sé, facendo incontrare i loro bacini e sentì Sarah respirare un po’ più rumorosamente.
La ragazza, sempre con mani tremanti, si staccò dal collo del ragazzo e scese giù, fino a trovare la cinta di cuoio dei jeans e ad aprirne i bottoni.
Nel momento in cui Sarah mise le mani sul suo pube, Michael strinse di più la mascella, irrigidendosi un po’. Le punte delle dita della ragazza stavano combattendo con la cerniera dei suoi jeans e quel contatto involontario e delicato lo stava facendo quasi impazzire.
Si morse un labbro facendosi sfuggire un sospiro e Sarah se ne accorse bloccandosi.
-No…continua- fece Michael con voce gutturale, il cui petto si alzava e si abbassava con velocità.
Sarah gli diede un’occhiata veloce e lo trovò stranamente non molto padrone delle sue azioni e si chiese il perché: in fondo non stava facendo nulla di che a detta sua, e non stava nemmeno cercando di fare qualcosa di sexy o da un certo grado di eroticità.
Continuò ad abbassargli la cerniera e intravide da sotto il jeans i suoi boxer grigio scuro, e dovette prendere un attimo fiato. Spogliare Michael si stava rivelando il più difficile del previsto.
Quando Michael sentì le dita di Sarah abbassargli completamente la cerniera e cercare di abbassargli i pantaloni, non resistette e facendo un passo in avanti, spinse la ragazza verso il letto sotto la grande finestra vetrata.
Con ancora i pantaloni leggermente calati, portò Sarah al centro del letto ed entrambi si sedettero sulle ginocchia.
Michael si allungò verso di lei, rubandole un altro bacio ed assaporando di nuovo la sua bocca con la lingua e contemporaneamente sollevò la felpa della ragazza, sentendo sotto le mani la sua pelle nuda.
Sarah alzò le braccia e lo aiutò a farsi sfilare la felpa e rimase per qualche secondo titubante e vergognosa di fronte a lui.
Sapeva che non c’era nulla di lei che Michael non aveva già visto, ma ritrovarsi in biancheria intima di nuovo di fronte a lui, fu comunque abbastanza difficile, considerando anche il fatto che questa volta il ragazzo non si sarebbe fermato.
Si tolse i calzini e Michael nel frattempo si tolse le scarpe e si sfilò i pantaloni, rimanendo in boxer di fronte a lei e in ginocchio sul suo letto.
Il ragazzo fece vagare gli occhi sul corpo della mora e non riuscì a trattenere un sorrisino di soddisfazione: Sarah aveva un corpo a clessidra, dei fianchi e delle spalle pronunciate, glutei e seni sodi e lui stava morendo dalla voglia di immergersi dentro e di poterle togliere quel maledetto reggiseno.
Con un gesto deciso la avvicinò a sé e la spinse verso il suo bacino. Era da tempo che non stava con una ragazza e perciò tutte le sensazioni gli sembravano amplificate e lui avrebbe voluto dare a Sarah una prima notte di amore perfetta.
Sospirò sentendo il pube della ragazza pressato contro il suo e vide Sarah dischiudere le labbra e iniziare a respirare più velocemente. Avrebbe voluto farla sua in quel momento stesso, ma decise di fare tutto con lentezza e con calma, per il bene di entrambi.
Si sedette e portò Sarah sopra di sé. La ragazza intrecciò le sue gambe al bacino di Michael e si aggrappò alle sue spalle, rimanendo però ad una distanza minima dal suo viso.
Le mani calde di Michael salirono lungo la schiena della ragazza e viaggiarono fino ad arrivare ai capelli, ancora raccolti in quella specie di coda disordinata. Michael vi fece passare le dita e sciolse l’elastico, facendole ricadere i capelli lunghi e ondulati sulla schiena.
-Così sei perfetta- le sussurrò nell’orecchio, iniziandole a baciare il petto e a massaggiarle la schiena.
Sarah cercò di controllare la respirazione, ma non ci fu verso di darle un ritmo meno concitato.
La mora schiuse le labbra e chiuse gli occhi cercando di rimanere razionale di fronte a ciò che Michael le stava facendo, ma non ci riuscì molto.
Il ragazzo salì dal collo alle labbra e lei si avvicinò di più a lui, incastrandosi maggiormente tra le sue gambe. Sospirò sentendo l’eccitazione di Michael sotto di sé e dopo aver intrecciato le dita tra i suoi capelli, lo baciò lentamente, prendendo il suo labbro inferiore tra le sue labbra e assaporandolo.
Michael sospirò e si fece più vicino a lei, prese ad accarezzarle i fianchi e poi con una mano salì dalla sua pancia al suo seno, e poi sotto il collo.
Sarah rimase immobilizzata dal tocco sensuale del ragazzo e iniziò a respirare veloce, cercando di studiare i suoi movimenti e i suoi lineamenti perfetti.
Michael la baciò di nuovo e poi si staccò un attimo da lei, guardandola negli occhi.
Sarah appariva con le guance rosse, le labbra gonfie e arrossate, il petto arrossato e i capelli un po’ disordinati, ma non era mai stata così bella e sexy.
-Smettila di guardarmi in quel modo- disse lui con voce roca per l’eccitazione.
A Sarah sembrò quasi non aver capito bene –Così come?- chiese a fatica.
Lui sorrise sornione, quel briciolo di razionalità che gli rimaneva, gli permetteva ancora di fare battutine stupide o di comportarsi dal solito piacione che era.
-Come se ti stessi facendo chissà cosa…- disse con ovvietà, incontrando gli occhi lucidi di Sarah – Non ho nemmeno iniziato…- aggiunse, sentendo come la ragazza gli avesse portato una mano sul petto e avesse iniziato a guardargli in una maniera strana le labbra.
Sarah lo guardò confusa, ma non fece in tempo a ribattere che Michael la prese dai fianchi e la fece stendere sul letto, portandosi sopra di lei.
Alla ragazza si mozzò il respiro nel sentire Michael sopra di lei e il ragazzo le sorrise, cercandola di mettere a suo agio.
-Posso toglierti questo reggiseno?- chiese quasi divertito dall’idea di torturarla ancora un po’.
Senza farselo ripetere due volte Sarah si sollevo un po’ con la schiena, quel tanto che bastava a Michael per poterle aprire il gancetto. Il ragazzo le sfilò lentamente il pezzo superiore dell’intimo e rimase qualche secondo imbambolato a guardarla. Serrò la mascella e poi le sussurrò nell’orecchio –Wow-
Sarah cercò di sorridere, ma in realtà la paura e l’imbarazzo avevano cominciato a prendere il sopravvento, per non parlare del fatto che le mani di Michael avevano iniziato a vagare lungo tutto il suo corpo e non riuscivano a stare ferme.
Michael si appoggiò di lato sul suo braccio e con un gesto veloce si portò sopra di lei, incastrando i loro corpi senza mai smettere di toccarla e di baciarla.
Sarah ricambiò quasi impotente, frastornata dal suo profumo, dalla sua presenza e dal languore che stava provando al basso ventre. Avrebbe voluto tanto lasciarsi andare, ma il pensiero di non riuscire a soddisfare Michael in qualche modo la faceva andare nel panico.
Di rimando invece il ragazzo sembrava non farsi problemi di alcun tipo: continuava ad esplorare il corpo della ragazza con foga e senza esitazioni e in realtà avrebbe dovuto anche sbrigarsi, perché i boxer stavano iniziando a stringergli e a fargli un po’ male.
Si fermò un attimo e guardò Sarah negli occhi, accarezzandole il viso e lasciandole dei baci a stampo sulle labbra.
Sarah fissò le perle azzurre di Michael e si fece accarezzare dolcemente, inspirando il suo profumo e continuando a sentire il suo sapore sulle labbra.
-Sei pronta?- chiese il ragazzo, facendo scendere una mano lungo il fianco della giovane e dischiudendole le gambe. Le baciò il collo e poi scese giù con le labbra fino al seno.
Moriva dalla voglia di baciarlo.
Sarah trattenne un sospiro quando sentì le labbra di Michael bagnarle un capezzolo e dopo qualche secondo di estasi riuscì a rispondere a bassa voce –Credo di sì-
Michael nel sentire quella risposta si fermò un attimo, metabolizzando il fatto che avrebbe fatto finalmente l’amore con lei, si sporse lasciandole un bacio in fronte, poi si alzò sui gomiti e le si tolse da sopra.
-Ok, dammi due minuti. Mi metto il preservativo…- le disse, lasciandole un bacio sulle labbra –Mettiti sotto le coperte- aggiunse, alzandosi dal letto e dirigendosi verso il punto in cui aveva gettato i pantaloni.
Sarah rimase qualche secondo immobile, cercando di immaginare quello che sarebbe successo di lì a due minuti, poi si alzò e disfece il letto, mettendosi sotto le coperte.
Si sentiva spossata, frastornata, ma anche calda e vogliosa. Quel languore tra le gambe non voleva andarsene e il suo cuore continuava a battere forte. Si sentiva addosso l’odore del ragazzo e rimase per qualche minuto immobile, ferma a guardare il soffitto bianco e cercando di non guardare Michael, che sfilatosi i boxer, era rimasto nudo al centro della stanza.
Le gambe le tremavano e il suo respiro era veloce e corto. Stava provando un misto di emozioni contrastanti che le stavano facendo letteralmente fumare il cervello. Era imbarazzata dal fatto che Michael fosse nudo di fronte  a lei, imbarazzata per il fatto che anche lei sarebbe stata nuda, era preoccupata di non riuscire a fare nulla che potesse dargli piacere, preoccupata dal fatto di non riuscire ad andare avanti per il dolore che avrebbe provato, ma contemporaneamente era curiosa di scoprire e di provare queste nuove sensazioni, di scoprire un contatto maschile che non aveva mai avuto, ma la cosa più importante di tutte era che era letteralmente incredula del fatto che avrebbe compiuto quel passo proprio con quel ragazzo, che primo fra tutti era riuscito a scalfire l’armatura del suo cuore.
Michael aprì le coperte e si mise accanto a lei, non la sovrastò subito, ma si appoggiò su un fianco e fece scorrere le sue mani lungo il bacino, senza smettere di lasciarle baci ogni dove.
Le accarezzò il seno, poi scese giù con la mano seguendo il profilo del suo fianco e con lentezza e delicatezza le sfilò le mutandine.
Fu quello il momento in cui Sarah si sentì davvero inerme di fronte a lui e senza farlo apposta si irrigidì.
-Cerca di rilassarti- le sussurrò Michael nell’orecchio, facendo risalire nuovamente le mani sul suo bacino. Sarah gli fece un cenno con la testa, giusto per fargli capire che avrebbe cercato di farlo in qualche modo, e lui riprese a baciarle il collo e poi il petto.
Il ragazzo si alzò sui gomiti e si mise sopra di lei, cercando di non farle male con il peso del proprio corpo, si fece cadere lentamente sopra di lei e poi scese nuovamente giù con le mani, iniziando a massaggiare il basso ventre della ragazza per poter farla rilassare ulteriormente.
Sarah sentiva Michael tra le sue gambe, le loro cosce si strusciavano tra loro e doveva ammettere che le mani calde che si muovevano sul suo pube, le stavano facendo sciogliere quel nodo di imbarazzo e timore che stava provando.
Il biondo continuò per qualche secondo a massaggiarle i fianchi, poi alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Sarah, languidi e vitrei per l’eccitazione. Le diede un bacio profondo e lento e contemporaneamente, cercando di combattere contro se stesso e con la sua voglia, le dischiuse una gamba, prendendola da sotto la coscia e alzandogliela lentamente.
-Cerca…di fare piano…- gli sussurrò Sarah, quando i loro occhi erano così vicini che avrebbero potuto coglierne ogni dettaglio.
Il ragazzo sospirò, e annuì con la testa. Anche lui non stava capendo molto di tutta quella situazione e le mani gli stavano tremando per il desiderio e l’eccitazione, e no, secondo lui non avrebbe potuto andare più piano di come già non stava facendo, ma avrebbe cercato comunque di provarci. Non avrebbe voluto per nulla al mondo farle male.
Le respirò sulle labbra, e poi la iniziò a baciare come mai aveva fatto, le dischiuse ancora un po’ le gambe e poi, quando Sarah iniziò a sciogliersi e a rilassarsi, si spinse lentamente dentro di lei, cercando sia di non farle male e sia di non farsi prendere dalla foga del momento.
Il fatto che non andasse a letto con nessuna da prima dell’incidente aveva incrementato la sua sensibilità sotto quel punto di vista, e il fatto che Sarah non fosse mai stata con nessuno, e quindi dal punto di vista fisico era un po’ ristretta, contribuiva a rendere tutto un po’ troppo veloce.
Quando Michael entrò improvvisamente dentro di lei, avvertì una strana fitta al basso ventre: era ovviamente un dolore che non aveva mai provato fino ad allora, e cercò di non farsi vedere da Michael. Affondò il viso tra l’incavo del suo collo e chiuse gli occhi, cercando di non badare alle strane fitte che stava provando. Cercò di respirare piano e di distrarsi in qualche modo, cercando prima le labbra del ragazzo e poi baciandogli il collo e il petto, ma in quel momento non riusciva a provare nulla di piacevole.
Si morse un labbro e quando Michael iniziò a muoversi lentamente, fu colpita da una fitta più forte che quasi la fece gemere, e nascose di nuovo la faccia mettendola di lato a quella del ragazzo.
Le sembrava che Michael le fosse entrato fin dentro all’anima e che quel dolore, misto ad una strana sensazione che le partiva dal centro della sua intimità, la stava confondendo.
Il ragazzo sentì Sarah gemere e con molto autocontrollo si fermò, cercando di incontrare i suoi occhi. Girò la testa e trovò Sarah con un’espressione strana, con il respiro mozzato e le labbra corrucciate.
-Dio, Sarah, ti ho fatto male?- le chiese Michael, notando come l’espressione della ragazza non trapelasse piacere, dandosi dell’idiota per la propria inattenzione.
-No, Michael, tranquillo…- mentì Sarah, rispondendo con voce tremante e cercando di sviare l’attenzione con qualcos’altro.
-No, invece…Io, ti ho fatto male?- ripetè di nuovo il ragazzo, agitato e soprattutto mortificato per quello che aveva appena fatto. Si alzò di più sui gomiti, cercando di alzarsi da sopra di lei. Faceva nulla che probabilmente la sua voglia sarebbe stata smorzata lì, non avrebbe mai voluto farle provare dolore.
-No, Michael, davvero…- fece Sarah, sentendo il ragazzo quasi uscire da dentro di lei. –Tra un po’ passa- cercò di dire, non permettendogli di allontanarsi.
Mentre Michael si stava per togliere da sopra di lei, uscendo letteralmente dal suo corpo, lei allungò le braccia sul suo fondoschiena e cercò di trattenerlo. Non avrebbe voluto farlo smettere e poco importava se non era molto piacevole per lei.
Con un gesto repentino si spinse di più verso di lui, aprendo di più le gambe e bloccando il ragazzo prima che si sollevasse dal suo corpo, e improvvisamente fu attraversata da una scossa di piacere che non aveva mai provato prima di allora, e fu così forte e inaspettata che le mozzò il fiato.
Ansimò, quasi frastornata dal fatto che il dolore che fino a qualche momento prima stava provando era stato sostituito con del piacere, e facendosi maggiormente vicina a Michael, cercò di baciarlo sulle labbra.
Il ragazzo rimase qualche secondo fermo, anche lui scosso dallo spasmo che il repentino movimento di Sarah gli aveva causato, e quando vide e sentì che il corpo della ragazza non era più così rigido e che lei stessa lo stava incitando a continuare, fece un respiro profondo e baciandola di nuovo, iniziò a muoversi lentamente dentro di lei.
Sarah sentiva Michael esplorare qualsiasi parte del suo corpo, lo sentiva respirare affannosamente sopra di lei, sentiva i suoi seni strisciare contro il suo petto, sentiva le sue labbra ovunque e ogni volta che il ragazzo si spingeva dentro di lei, le sembrava di sentirlo fin dentro all’anima.
Ad ogni spinta di Michael, cercava di sentirlo sempre più dentro di lei allargando maggiormente le gambe o inarcando la schiena. Assecondava i movimenti del ragazzo, muovendosi anche lei con lui e tutto ciò la fece rimanere particolarmente sorpresa: non credeva di riuscire a fare quelle cose, né tanto meno credeva di poter essere la fonte del piacere di qualcuno.
Michael accompagnava ogni movimento con un bacio, un gemito o una carezza e mentre continuava a spingersi e a fare avanti e indietro dentro di lei, non riusciva a non toccarle i seni o a baciarla in bocca.
Riscoprire quel corpo così femminile dopo tanto tempo lo trasportò in un’altra dimensione. Sentire la sua pelle morbida sotto le mani, sentire i suoi gemiti sommessi e ritmati, sentire come Sarah si contorcesse sotto di lui ad ogni suo movimento, ad ogni sua spinta, gli fecero riscoprire il piacere di andare a letto con qualcuno a cui ci tenesse davvero, perché in quel modo non lo faceva solo per il suo piacere personale, ma anche per far stare bene lei, per condividere qualcosa di più intimo, di fisico, qualcosa in cui desiderio e amore si intrecciavano e creavano un unico connubio.
Mentre stava affondando il naso fra i suoi capelli profumati, continuando a baciarla e a muoversi, la ragazza portò le mani dietro la sua schiena, cercando di aggrapparsi e assecondare i suoi movimenti. Benché in maniera alterna avvertiva comunque delle fitte ogni volta che Michael si muoveva dentro di lei, cercava di partecipare a quella danza lenta e sensuale per poter dargli anche lei un po’ di piacere.
Michael sembrava non volesse fermarsi mai, e quando le dischiuse maggiormente le gambe e Sarah le attorcigliò al suo bacino, non resistette e fu attraversato dall’ultima fortissima scossa di piacere.
Gemette incontrando con foga le labbra della ragazza e spingendo un’ultima volta, le prese il labbro inferiore con i denti, baciandolo e assaporandolo.
Rimase qualche secondo fermo sopra di lei, a godere di quella lunga e intensa sensazione, cercando di ritornare padrone delle sue azioni e del suo respiro.
Il cuore gli stava battendo impazzito nel petto e in qualche altra situazione avrebbe anche pensato di starsi per sentire male, ma sapeva che quella cosa era dovuta solo a Sarah, al suo corpo, e a ciò che avevano appena fatto.
Aprì gli occhi e incontrò quelli di Sarah: erano lucidi per l’emozione e lo stavano guardando incantati, come se Sarah stesse vedendo la cosa più bella che potesse avere di fronte, ed era vero. Sarah stava pensando proprio quello, stava pensando a quanto perfetto fosse il viso di Michael, a quanto buono fosse il suo profumo, a quanto sensuale fosse il suo corpo che si muoveva sopra di lei. Era la cosa più bella che avesse mai visto e per qualche strana ragione era sua, sua e di nessun altro.
Il ragazzo respirò e inspirò profondamente e il dolce profumo di Sarah le inebriò le narici.
Aveva le guance rosse, le labbra gonfie e arrossate, gli occhi lucidi, il petto era arrossato e i seni erano gonfi e sodi.
Si mosse lentamente e le portò una mano sul viso per poterle lasciare una carezza. La sua pelle era liscia e calda sotto il suo tocco.
-Sei bellissima- le disse, accarezzandole una guancia e lasciandole un bacio sulle labbra, senza mai smettere di guardarla o di toccarla.
Sarah cercò di rispondere e accennò un sorriso, consapevole del fatto che se lei ai suoi occhi fosse stata bellissima, lui ai suoi di occhi sarebbe stato oltre qualsiasi concezione di perfezione umana.
Si sporse con il collo e lo baciò a stampo sulle labbra, ritornando a sentire per qualche secondo quel calore che le aveva tenuto compagnia per tutto il tempo in cui erano stati insieme.
Michael si sollevò sui gomiti e lentamente uscì fuori da lei, poggiandosi di lato su un fianco, mettendole un braccio dietro la nuca e uno sulla pancia.
Quando Sarah sentì il ragazzo alzarsi, si sentì quasi svuotata, lo sentì abbandonare il suo corpo e uno strano formicolio le partì da in mezzo alle gambe. Cercò di non farci caso, girò la testa verso quella di Michael e lo guardò attentamente per qualche secondo, studiando tutti i dettagli del suo viso e dei suoi occhi.
Michael le sorrise dolcemente, prendendo a massaggiarle la pancia e il fianchi.
-A cosa stai pensando?- le chiese, portando la mano sotto il suo seno e massaggiandoglielo lentamente.
Sarah sospirò e cercò di raccogliere le idee, in fondo allora che ci pensava, aveva appena perso la verginità.
-Non so…- rispose sinceramente, accoccolandosi maggiormente a lui e cercando un maggior contatto con la sua pelle. Si sentiva un po’ stanca e indolenzita, ma ne era valsa la pena dopotutto.
Michael sorrise malizioso e le lasciò un bacio sulla fronte. Anche lui si sentiva un po’ strano, era come se tutto attorno a lui fosse ovattato e non sapeva a cosa era dovuto.
-Beh, potresti iniziare dicendomi se ti è piaciuto o no- chiese, ritornando ad essere il dispettoso di sempre.
Sarah lo guardò di sbieco, abbassando lo sguardo e cercando di evitare di arrossire.
-Perché mi fai queste domande idiote?- gli rispose Sarah intrecciando le dita tra i suoi capelli disordinati.
Il ragazzo trattenne una risata –Non sono domande idiote. Voglio solo che sia sempre meglio ogni volta…- iniziò a dire il ragazzo, seriamente intenzionato a dare a Sarah momenti sempre migliori.
Sarah deglutì e incontrò le sue perle azzurre, respirò lentamente e poi disse a bassa voce –Sì, mi è piaciuto, ma credo che ciò sia dovuto al fatto che ci fossi tu con me- disse.
Michael fu colto di sorpresa e le rivolse un sorriso sincero e non resistesse dal prenderle di nuovo il viso tra le mani e baciarla.
-Come ti senti?- le chiese, preoccupandosi di lei.
-Bene, credo…- fece la ragazza –Sono solo un po’ dolorante- aggiunse scherzando.
-Mi spiace di averti fatto male prima…- iniziò a dire Michael sinceramente mortificato per ciò che le aveva fatto provare all’inizio.
-Ehi, va tutto bene- gli fece Sarah prendendo atto di come il ragazzo avesse cambiato totalmente espressione, si sporse e intrecciò le dita con le sue –Te l’ho già detto, non mi hai fatto male- mentì per non farlo rimanere male o per non farlo sentire in colpa.
Michael la guardò qualche secondo e incurvò le labbra in un’espressione di dispiacere.
-Non è vero, ho notato la tua espressione…- disse a bassa voce. Il solo pensiero di averle procurato dolore, lo faceva andare su tutte le furie, soprattutto se era stato proprio lui a causarglielo. Aveva cercato di essere il più delicato possibile, ma a quanto pareva non ci era riuscito.
Sarah seguì con la punta delle dita il profilo del suo petto e prese a tracciare tanti piccoli disegni sui suoi pettorali e sulle braccia.
-Solo all’inizio…- ammise la ragazza, cercando di superare l’imbarazzo nel parlare di quella cosa –Poi credo che ti sia accorto anche tu che il tutto è diventato molto piacevole- aggiunse, lasciandogli tanti baci sul petto e vincendo quella leggera vergogna.
Michael sospirò nel sentire le labbra calde di Sarah su di lui. La guardò per qualche secondo, relativamente convinto dalle sue parole e con una mossa veloce, la prese dalle braccia e la portò sopra di lui.
Sarah improvvisamente vide Michael da una nuova prospettiva e cercò di aggiustarsi i capelli, ricadenti in parte sul ragazzo.
Michael la fermò e prese ad accarezzarle la chioma scura, intrecciandole le dita tra i capelli.
-Mi piaci tantissimo con i capelli sciolti- le disse, baciandola e stringendola a sé.
Sarah trattenne una risata di imbarazzo e rispose.
-Tu mi piaci sempre, invece- commentò, aspettandosi sicuramente una reazione di soddisfazione da parte di Michael.
Il ragazzo sorrise compiaciuto e poi prese ad accarezzarle le cosce e le gambe lisce.
Sarah lo scrutò per qualche altro secondo, poi si fece coraggio e anche lei pose una domanda al ragazzo.
-E a te è piaciuto?- chiese a bassa voce, sentendo Michael muoversi sotto di lei ed intrecciare le gambe alle sue.
Michael la guardò stupito e trattenne un risolino malefico.
-Secondo te?!- chiese ironico. Ovvio che gli era piaciuto, e inaspettatamente l’orgasmo era stato anche molto intenso.
-Non so…Cioè…io non l’avevo mai fatto e tu…sei stato sicuramente con ragazze più capaci di me…- disse a fatica la ragazza, abbassando lo sguardo e cercando di ritornare sul letto.
Michael la bloccò per le braccia e la guardò negli occhi.
-Sicuramente è così, ma mi sembra di averti detto più volte che da qualche mese a questa parte, sei l’unica con cui voglio stare…in tutti i sensi- iniziò a dire il ragazzo, muovendo lentamente le sue perle blu sul viso della ragazza e guardandole le labbra –E poi devi imparare a non sottovalutarti, sei stata fantastica- continuò, allungandosi verso di lei e baciandola.
Sarah ricambiò al bacio umido di Michael e lo guardò dubbiosa.
-Lo dici solo per non farmi rimanere male- commentò la ragazza, ancora distesa sul corpo di Michael.
-Assolutamente no. E’ stato tutto perfetto e tu mi hai tenuto testa- commentò, trattenendo una risata e assumendo il suo solito ghigno.
Sarah alzò gli occhi al cielo e sorrise imbarazzata: era sempre il solito.
Con un gesto veloce Michael la prese dalle braccia e la portò con la schiena sul letto e la testa sul cuscino, rimettendosi in parte sopra di lei.
Sarah si sentì le guance infuocate, soprattutto quando il ragazzo riprese a massaggiarle i seni e i fianchi.
-E poi, se proprio vuoi saperlo, è stata una prima volta anche per me…- disse il ragazzo, appoggiando la testa sul petto di Sarah e lasciandole un bacio sul collo.
-Cosa?!- chiese Sarah con un po’ troppa foga, che non aveva capito proprio cosa Michael intendesse.
Il ragazzo sorrise e le lasciò un altro bacio sul petto.
-Sì, non l’ho mai fatto con una ragazza che non l’aveva mai fatto. Scusa il gioco di parole- disse, alzando il viso e studiando la sua espressione.
-Nemmeno quando l’hai fatto per la prima volta?- gli chiese Sarah, stranamente curiosa di quella cosa. Iniziò a provare una strana sensazione e ad avere una nuova consapevolezza. Era come se si fosse resa conto di essere un po’ più speciale per lui e poteva dire di avere l’esclusiva almeno su una cosa.
-Già, lei era più grande di qualche anno- rispose il ragazzo, che non avrebbe voluto però parlare di altre ragazze all’infuori di Sarah. I momenti appena trascorsi erano stati intensi e profondi e lui in quel momento aveva occhi solo che per lei.
Era andato a letto con la ragazza a cui teneva di più, con quella che stava amando in maniera diversa da tutte le altre e non voleva assolutamente effettuare un confronto con loro, anche perché, esperienza di Sarah o meno, lei aveva rapito letteralmente il suo cuore.
La mora sospirò e prese ad accarezzargli delicatamente i capelli con la punta delle dita. Avrebbe voluto sapere di più su di lui, sul suo passato e allora che se ne rendeva conto, le informazioni a sua disposizione erano pressoché minime.
-Quando è successo?- chiese a bassa voce, quasi spaventata da quella stessa domanda che lei gli aveva posto.
-Cosa?- chiese Michael, che si alzò dal suo petto e si mise di fianco a lei appoggiato su un braccio. La portò vicino a sé e continuò ad accarezzarle la pancia e poi il petto.
-La tua prima volta. Lei era la tua ragazza?- continuò a domandare.
Michael fece un respiro profondo e fece vagare gli occhi sul suo profilo. Si sporse e le lasciò sul collo tanti baci, fino a scendere giù all’incavo del seno.
-Avevo sedici anni…- iniziò a dire il ragazzo, ricordandosi di quella serata e storcendo un po’ il naso –E no, lei non era la mia ragazza, ed avevo fatto una scommessa con i miei amici- disse, studiando l’espressione di Sarah. Sapeva di non essersi comportato proprio da gentil uomo in quell’occasione e sapeva anche che probabilmente Sarah non avrebbe approvato.
Di rimando la ragazza non disse nulla, prendendo solo atto di ciò che lui gli aveva appena detto. Michael però si sporse a guardarla meglio e la penetrò con le sue iridi blu. Il suo sguardo era così profondo e penetrante che Sarah provò quasi dolore a guardarlo negli occhi.
-So quello che stai pensando- fece il ragazzo improvvisamente.
-Non sto pensando a nulla- rispose con sincerità la ragazza.
-Sì invece, purtroppo ero piccolo, e marciavo molto sul fatto di essere bello e benestante, ma sai che ora non sono più così- cercò di dire il biondo.
-Non devi giustificarti con me- iniziò a replicare Sarah –Insomma, come hai detto già, eri piccolo e dovevi ancora un po’ maturare. Questo non fa di te una persona meno migliore di quella che sei, e poi non hai fatto mai nulla che potesse ferirmi, quindi per me rimani comunque perfetto come sei- concluse la ragazza, sorridendo dolcemente e sporgendosi a dare un bacio al ragazzo.
Lui le prese il viso tra le mani e affondò le labbra fra le sue, intrecciando le loro lingue più e più volte: l’amava, non c’era dubbio alcuno a riguardo.
Michael fece scendere le mani lungo i fianchi e poi lungo le gambe della ragazza e lentamente si rimise sopra di lei.
Sarah sospirò sentendo di nuovo il corpo di Michael a stretto contatto con il suo e cercò di mascherare il fatto che il suo tocco le stava causando nuovamente dei brividi di eccitazione e il solito languore tra le gambe.
Il ragazzo si chinò a baciarla di nuovo e poi tra una pausa e l’altra, cercando di riprendere fiato chiese sornione -Ti va un secondo round?-
La guardò con i suoi soliti occhi vispi e veloci e lei trattenne un sorriso.
Doveva ammetterlo, l’idea di fare di nuovo l’amore con lui a distanza di poco tempo, la intrigava e non le dispiaceva affatto.
-A te va?- gli chiese, sperando in un sì di risposta.
Michael la baciò di nuovo e prese a giocare con il suo seno, accarezzandoglielo e baciandolo a momenti alterni.
-Mi andrebbe anche un terzo a dir la verità- ammise il ragazzo, assumendo la sua solita espressione maliziosa e sorniona e tempestando le labbra di Sarah con una miriade di baci
–Ma questa volta nella pausa tra una volta e l’altra ordiniamo la pizza. Ho troppa fame!- 


 
***
Ecco a voi questo tanto atteso 21° capitolo. 
Non ho molto da dire a riuguardo, solo che l'ho pubblicato con qualche giorno di ritardo perchè volevo che tutto fosse perfetto così come ce l'avevo in mente, quindi mi sono presa qualche giorno in più.
Credo che per Sarah fosse arrivato il momento di compiere questo grande passo, soprattutto perchè Michael sarebbe stato al suo fianco. 
Spero che vi sia piaciuto e che vi piaccia quanto mi piace a me. 
Con questo aggiornamento, si conclude la parte relativa alla crescita della loro relazione e ci addentriamo per sentieri ahimè un po' più sconnessi. Già a partire dal prossimo capitolo le cose non si metteranno proprio bene per loro e piano piano arriveremo poi all'epilogo. 
Non voglio però spaventarvi, godetevi questo capitolo, ai prossimi si pensa quando usciranno fuori xD 
Fatemi sapere cosa ne pensate, voglio tanti pareri a riguardo, sia su Michael che su Sarah! 
Vi do' appuntamento alla settimana prossima con il nuovo aggiornamento! 
Mipiacciate l amia pagina fb Black Mariah Efp, così potete informarvi sulle pubblicazioni! 
Questo capitolo è tutto per voi, che mi avete sostenuto dal primo capitolo di questa storia <3 
Vi adoro!
 

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Capitolo 22
*** 22 ***


22
 


-Vai da qualche parte?!- chiese Martha a Michael, entrando con molta poca grazia e discrezione nella sua stanza da letto.
Il ragazzo si girò di scatto e vide sua sorella entrare nella stanza e gettarsi sul suo letto appena fatto senza fare molti complimenti, e sospirò un po’ infastidito.
-Sto uscendo- rispose lui, girandosi verso il suo armadio e continuando a cercare qualcosa da mettersi per la sera.
-Con Sarah?- chiese Martha, scostandosi su un lato della schiena i lunghi e folti capelli dorati e iniziando a guardare Michael con uno sguardo a dir poco eloquente e divertito.
-Ti serve qualcosa?- chiese il ragazzo, facendo finta di non aver sentito con che tono pretenzioso Martha gli aveva chiesto di Sarah.
-Esci con Sarah- fece la ragazza, cogliendo del fastidio nell’atteggiamento di Michael  -Dove andate?- continuò imperterrita accennando un sorriso.
Michael dal suo canto fece finta di non sentirla e scelse un maglione nero di lana morbida e lucente. Gli era sembrato di capire che a Sarah piaceva molto quando i ragazzi dai colori chiari si vestivano di scuro e siccome quella sera aveva deciso di portarla a cena fuori in maniera del tutto improvvisa e inaspettata, voleva apparire ai suoi occhi ancora più bello di come già non fosse.
-Allora? Mi vuoi rispondere?- ripetè stizzosa Martha, alzandosi in piedi e dirigendosi verso Michael. Il rumore dei suoi tacchi rimbombava nella stanza e Michael cercò di non farsi vedere nervoso. Martha non si stava comportando diversamente da come faceva di solito.
-Perché lo vuoi sapere?- chiese il ragazzo con voce bassa, sfilandosi la t-shirt davanti a Martha e rimanendo a petto nudo davanti a lei.
Martha lo guardò attentamente con un sopracciglio alzato. Doveva ammettere che il ragazzo si era ripreso in fretta fisicamente dall’incidente, e poteva capire anche perché mezza New York e Princeton gli fosse andata dietro perseguitandolo per i corridoi del college.
-Così- fece Martha cercando di farsi vedere disinteressata alla cosa. Avrebbe voluto ficcanasare nella vita privata di Michael e della sua strana nuova ragazza come non mai, ma avrebbe dovuto farlo con discrezione, altrimenti il suo fratellino avrebbe perso le staffe una volta per tutte.
Michael la guardò per qualche secondo, scorgendo gli occhi sulla figura longilinea e slanciata della ragazza. Certe volte gli sembrava di rivedere Amanda in Martha, ma anche Blake e ringraziò mille volte il giorno in cui aveva deciso di frequentare Sarah piuttosto che ritornare alla sua solita vita.
-Andiamo a cena fuori- disse solo il ragazzo, cercando di dare fiducia a sua sorella. Si mise una maglia bianca a maniche corte e poi infilò il maglione nero che aveva deciso di mettersi per la serata.
Si girò e incontrò gli occhi blu di Martha, rivedendo i suoi. La ragazza sorrise leggermente e lo guardò profondamente, fece un lungo respiro e poi parlò, consapevole del fatto che quello che avrebbe detto in quel momento avrebbe cambiato un po’ di cose.
-Sai, ho sentito Blake oggi- fece Martha, alzando gli occhi e studiando la reazione di suo fratello.
Michael la guardò serrando la mascella ma cercò di non farsi vedere più di tanto colpito da quella frase.
-Ah, sì?! Che voleva? E’ tornata dalle Bahamas? O il suo conto in banca è finito ed è tornata a succhiare un altro po’ di soldi a paparino?- rispose il giovane con parole dure e aspre che riservava per poche persone.
Martha guardò come i lineamenti di suo fratello si fossero induriti nel momento in cui aveva pronunciato il nome della sua ex ragazza.
-E’ qui in città. Devo vedermi con lei stasera- fece Martha, continuando a guardare Michael.
Il ragazzo in quel momento si bloccò al centro della stanza e guardò sua sorella con sguardo molto duro.
-E quindi?- chiese.
-Beh, mi ha chiesto se ci fossi anche tu. Vorrebbe rivederti- rispose la ragazza, prendendosi la punta dei capelli tra le mani e iniziando a scrutare le punte chiare.
Michael la guardò quasi incredulo e attonito per quello che aveva appena sentito. Cercò di non reagire né con troppa foga, né di alzare la voce per non far sentire a sua madre di sotto, ma poche cose lo snervavano come l’accoppiata Blake-Martha.
-Vorrebbe rivedermi?!- sbottò il ragazzo ad alta voce, scandalizzato dal fatto che sua sorella non capisse davvero che in quel modo dava la prova di essere la persona più insensibile del mondo.
Martha sussultò a causa del tono arrabbiato e inaspettato di Michael, ma rimase in silenzio a sentire cosa suo fratello aveva da dirle.
-Sono passati sei mesi. Sei mesi…dall’ultima volta che l’ho vista!- continuò Michael a sbraitare –E sai cosa stava facendo l’ultima volta che l’ho vista?! Stava scopando con l’essere più viscido di questo mondo e non ha cercato nemmeno di scusarsi o di giustificarsi in qualche modo. E’ sparita per sei mesi e in tutto questo tempo non mi ha nemmeno mandato un messaggio per chiedermi come stessi dopo l’incidente- continuò a dire il ragazzo, visibilmente agitato e arrabbiato per quella presa di posizione da parte di sua sorella.
-Mi ha sempre chiesto come ti sentissi e io le ho sempre risposto, si è informata su di te- iniziò a dire Martha, cercando di difendere in qualche modo l’amica.
-Ah, e questo dovrebbe rincuorarmi?! Sai qual è la cosa che mi dà fastidio di tutta questa storia e del tuo comportamento?! E’ che sembri più preoccupata a difendere Blake piuttosto che avercela con lei perché ha tradito tuo fratello, o che sembri più preoccupata a giudicare Sarah solo perché non è ricca come noi, piuttosto che capire che è lei ora la mia ragazza, e che io la amo e che sto bene con lei. E no, non ho intenzione né di vedere Blake, né di venire con te stasera. Mi è sembrato di dirti che esco a cena con Sarah, e anche se non lo avessi fatto, non sarei venuto comunque. Quindi se è questo che sei venuta a dirmi, puoi anche iniziare ad andartene via dalla mia stanza. Sto uscendo- finì di dire Michael, davvero arrabbiato e incredulo per il comportamento di Martha.
Era vero, tra loro non c’era mai stato tanto amore fraterno e i momenti teneri e dolci si potevano contare sulla punta delle dita, ma non avrebbe mai creduto che Martha sarebbe stata così ostinata e cocciuta.
Prese con foga il cappotto e uscì dalla stanza. Non aveva intenzione di sentire altre storie assurde come quelle.
Per qualche secondo si figurò la ragazza in questione in mente, si immaginò Blake, si ricordò della loro disfunzionale relazione e del fatto che l’anno passato con lei era stato il più oppressivo e finto della sua vita. Si ricordò della sera alla festa di un loro amico, quando entrò in una stanza dell’enorme casa in cui si svolgeva la festa e sorprese Blake a letto con Nolan, ubriaca e senza nessun freno inibitore.
Iniziò a provare di nuovo rabbia e rancore per quell’episodio a cui non gli capitava di pensare da tanto, e cercò di calmarsi prendendo respiri lenti e profondi.
Prese il portafoglio di scatto, non accorgendosi che sul mobiletto su cui l’aveva lasciato vi era anche la ricevuta con la prenotazione del ristorante in cui avrebbe dovuto portare Sarah, e uscì di casa sbattendo la porta.
Amanda sentì un gran baccano dal suo studiolo e si affacciò a controllare.
-Michael? Sei tu?- chiese ad alta voce, entrando nel grande soggiorno di casa Trisher, incuriosita dal rumore della porta.
-E’ appena uscito- rispose Martha, con un tono a metà tra lo stanco e l’infastidito. Non sopportava quando Michael le mancava di rispetto alzando la voce. Per come la vedeva lei, per quanto i suoi comportamenti potessero essere giusti o sbagliati, Michael era comunque suo fratello più piccolo e avrebbe dovuto portarle rispetto in qualche modo.
Aveva odiato il modo in cui le aveva sbraitato addosso, difendendo quella pseudo fidanzata che si era trovato e dando addosso a Blake. Dal suo punto di vista era vero, Blake l’aveva tradito e lui ci era rimasto male, ma almeno Blake faceva parte del loro mondo e non aveva bisogno di essere mantenuta da suo fratello, come secondo lei stava facendo Sarah.
Il sonoro rumore dei tacchi che cozzavano contro il marmo liscio della scala rimbombava nel salone e Amanda seguì con gli occhi sua figlia, fino a quando non le arrivò di fronte. Si tolse gli occhiali da vista dalla punta del naso e parlò, volendo vederci chiaro su quella cosa.
-Che succede? Perché ha sbattuto la porta?- chiese la donna, portandosi le mani su fianchi in segno di attesa.
Martha la guardò qualche secondo, poi alzò gli occhi al cielo infastidita e rispose annoiata.
-E’ andato dalla sua amata ragazza di Brooklyn, rifiutando il mio invito a cena con Blake- rispose la ragazza, lanciando uno sguardo di intesa alla madre.
-Questa fantomatica ragazza è di Brooklyn?- chiese Amanda, che aveva capito che suo figlio si stesse vedendo da tempo con qualcuna e che non aveva mai avuto modo di conoscere nulla di più su di lei.
-Già- confermò Martha, infastidita dall’idea che suo fratello si stesse vedendo con quella ragazza.
-E Blake è tornata dunque?- chiese ancora Amanda, che aveva notato un foglietto a terra vicino l’ingresso.
-Mi vedo con lei tra poco- rispose Blake, seguendo sua madre con gli occhi e notando anche lei il foglio a terra.
La donna si piegò e raccolse il foglio da terra, lo aprì e lesse sopra il nome di Michael e una prenotazione per due. Lo rimise sul mobiletto, pensando che probabilmente suo figlio sarebbe tornato a prenderlo e ritornò nel suo studio, abbandonando Martha al centro della stanza e facendole una raccomandazione.
-Voglio conoscere questa nuova ragazza di tuo fratello, o quanto meno sapere un po’ di cose su di lei e come ha fatto Michael a finire a Brooklyn-
Più che una raccomandazione sembrava un agente sotto copertura che impartiva ordini a destra e a manca, ma Martha era abituata a quegli atteggiamenti della madre.
Il fatto che loro volevano intromettersi a tutti i costi nella vita privata del ragazzo non le turbava minimamente, e nessuna di loro pensava alle ipotetiche conseguenze.
Martha non si riusciva a capacitarsi né del fatto che Michael avesse una nuova ragazza che non era Blake e né del fatto che non fosse ricca e snob come la gente che erano soliti frequentare.  Amanda dall’altra parte, voleva capire se questa nuova ragazza stesse con suo figlio per convenienza o perché davvero gli voleva bene. Aveva intravisto Sarah sì e no una volta, alla festa di Natale per il ritorno in società di Michael, ma non ci fece molta attenzione, era molto più concentrata a dare ai suoi ospiti un’immagine eterea della sua famiglia.
Martha seguì con gli occhi sua madre, che senza nemmeno girarsi a guardarla si era accomodata sulla sua scrivania di mogano intarsiato del suo studio, e procedette anche lei verso il mobile in legno scuro dell’ingresso, incuriosita dal biglietto che sua madre aveva raccolto.
Lo aprì e lesse anche lei il suo contenuto.
Sr. Trisher. Tavolo per due. Daniel Restaurant. 8.30 p.m.
Guardò il foglietto e poi le balenò un’idea in mente.
Michael aveva deciso di mancarle di rispetto? Benissimo, lei gliel’avrebbe fatta pagare a modo suo.
 
 
Sarah era appena rientrata in casa da una lunga giornata di lavoro. Era stata fuori tutto il giorno ed era riuscita a mettere piede nel suo appartamento solo a quell’ora tarda del pomeriggio. Allora che ci pensava non aveva nemmeno pranzato: era stata troppo indaffarata alle casse quel giorno e la gente era stata così tanta, che non aveva nemmeno avuto il tempo di prendersi una pausa.
La schiena era dolorante per le troppe ore rimasta seduta a battere alimenti e prodotti sul nastro girevole e aveva decisamente bisogno di una doccia.
L’ultima volta che aveva sentito Michael era stata la sera prima, quando il ragazzo le aveva augurato una buona notte senza avvisarla dei suoi piani del giorno dopo.
Era passata una settimana abbondante dalla vigilia dell’Epifania e dalla sera che avevano passato insieme, e non c’erano state molte occasioni di incontro dall’ora. Si erano visti qualche pomeriggio andando a prendersi qualcosa da bere al bar di Jonathan e a causa dei rispettivi lavori non avevano più potuto passare molto tempo assieme. Quella situazione  non la infastidiva più di tanto, era sempre stata da sola fino a quel momento e trovarsi a sostenere una relazione in così breve tempo avrebbe potuto creare squilibri nella sua vita, ma doveva ammettere che stare lontana da lui, soprattutto dopo quello che avevano condiviso l’ultima volta che si erano visti, era piuttosto difficile. Avrebbe voluto passare più tempo con lui, magari dormire qualche sera assieme, e perché no, anche stare con lui fisicamente. In fondo Michael aveva abbattuto ogni barriera che lei aveva creato, era riuscito a scalfire un cuore pietrificato che sembrava non voler provare più niente.
Dopo essersi sistemata, correndo in bagno e rinfrescandosi un po’, sentì il telefono vibrare nella borsa e corse a rispondere.
Lesse sullo schermo il nome di Michael e rispose con una foga che non le era per nulla propria.
-Ehi!- rispose lei, contenta di sentire la voce profonda e baritonale del ragazzo.
-Ciao- rispose Michael dall’altro capo del telefono –Sei a casa?- chiese, cercando di non apparire infastidito o scosso dal litigio con sua sorella, era ancora presto per andare a prendere Sarah per la cena e aveva deciso di fare due passi a piedi per schiarirsi le idee.
-Sì, sono appena rientrata- rispose –Vuoi, vuoi venire qui? Sai, sono affamatissima, a mezzogiorno non ho nemmeno pranzato!- chiese la ragazza, cercando di avanzare una richiesta implicita al biondo e a convincerlo ad andare a casa sua.
Michael sorrise, decidendo di cogliere la palla al balzo, e allontanati per qualche secondo i cattivi pensieri, rispose sornione come era solito fare.
-No, sei tu che vieni con me stasera- iniziò a dire il ragazzo, guardando l’orologio al polso con il vetro rotto.
Sarah rimase interdetta per qualche secondo e aspettò che il ragazzo finisse di parlare.
-Tra esattamente due minuti, dovrebbe suonare un fattorino alla tua porta e ti darà un pacco da parte mia. Ti passo a prendere alle otto!- terminò di dire chiudendo subito dopo il telefono e non permettendo a Sarah di controbattere in alcun modo.
Chiuse la chiamata e rimase qualche secondo a guardare lo schermo del cellulare, assumendo la sua solita espressione di soddisfazione. Si stava immaginando la faccia che probabilmente Sarah aveva assunto in quel momento e non vedeva l’ora di guardarla con il vestito che le aveva preso per la cena. Sapeva che con molta probabilità lei si sarebbe arrabbiata come non mai, ma poco importava, sarebbe stata bellissima e lui si sarebbe comportato da vero gentil uomo.
Sarah da parte sua rimase interdetta qualche minuto di fronte al suo cellulare. Lo stava tenendo in mano e stava guardando inebetita lo schermo. Che diavolo significava che alle otto la passava a prendere? Non appena stava per ricomporre il numero del ragazzo per poterlo richiamare e capire bene cosa volesse, il campanello della porta suonò e lei si diresse ad aprire.
Guardò dallo spioncino, credendo che fosse lo stesso Michael che le aveva fatto uno scherzo, ma dalla piccola fessura scorse un ragazzo che non aveva mai visto, vestito di tutto punto, con in mano una scatola color panna.
Aprì la porta e si ritrovò il giovane di fronte che sorridente le porse la scatola, firmata con una scritta dorata di una boutique di New York.
-Questo glielo manda il signor Trisher- fece il ragazzo, cedendo la scatola alla ragazza e rivolgendole un grande sorriso.
Sarah lo guardò imbarazzata, con le mani un po’ tremanti e le guance arrossate: non le era mai capitata una cosa del genere e continuava a non capire che cosa stava succedendo.
-Ti devo qualcosa?- chiese la ragazza, cercando di essere gentile con il commesso.
-Certo che no, ha fatto già tutto Michael- disse allegro il giovane, facendo l’occhiolino a Sarah e prendendo la strada per il ritorno.
Sarah rimase interdetta sull’uscio della porta a rigirarsi la scatola tra le mani e a pensare alle parole di Michael.
Tornò nell’appartamento e aprì immediatamente la scatola,  scartandola e gettando con poca grazia il coperchio sul divano. Quando si ritrovò di fronte agli occhi il contenuto del pacco, non riuscì a non trattenere lo stupore e a non sgranare gli occhi.
Prese tra le mani il vestito rosa antico che Michael le aveva fatto recapitare e iniziò a rigirarselo, guardandolo stupita.
Le aveva comprato un vestito e glielo aveva fatto recapitare a casa dicendole che sarebbe venuto a prenderla alle otto?!
Il cuore subì un’improvvisa accelerata e rimase ancora ferma a guardare per qualche secondo l’abito con le maniche a tre quarti che Michael le aveva comprato.
Doveva ammettere che non era un colore che lei era solita indossare, ma il vestito nel suo complesso era molto carino ed elegante, con alcuni dettagli in pizzo ricamato e con le maniche a sbuffo che terminavano con dei nastri di seta nera.
Scosse la testa cercando di non pensare a quello che Michael le aveva appena fatto e sorridendo come una scema, distese il vestito, intenta ad indossarlo.
Alzò la testa verso l’orologio e si accorse improvvisamente che erano le otto meno venti e che lei era un disastro e non aveva avuto il tempo nemmeno di lavarsi e che Michael, puntuale qual era, si sarebbe fatto trovare sicuramente alle otto meno cinque sotto casa sua.
Si precipitò in bagno e nell’esatto momento in cui Michael la chiamò al telefono per dirle che era giù ad aspettarla, lei si infilò un paio di decolté nere scelte a caso nell’armadio.
-Arrivo!- gli rispose forse con un po’ troppa foga, cercando di infilarsi il cappotto nero e di non stropicciare il vestito.
Si guardò di sfuggita nello specchio per darsi un’ultima sistemata e per controllare i capelli, raccolti in fretta e furia in una treccia a spina di pesce laterale, poi prese le chiavi di casa, la borsa e si chiuse la porta del suo appartamento alle spalle.
Entrò nell’ascensore piena di ansia e di dubbi, sia riguardo la serata che avrebbe trascorso e sia riguardo al fatto che erano passati diversi giorni dall’ultima volta che si erano visti. Era solito di Michael organizzare queste cose ad effetto e all’improvviso, e lei non si sarebbe mai abituata a questo suo comportamento, ma doveva ammettere che tutta quella situazione stava iniziando a piacerle.
Uscì dall’ascensore, sorpassò il portinaio salutandolo e poi uscì dal portone, investita immediatamente da una folata di vento gelido. Il vestito corto, le calze velate e i tacchi di certo non l’aiutavano con le bassissime temperature di New York, e involontariamente si strinse di più nel suo cappottino di panno.
Sentì un clacson provenire dalla sua destra e suonare insistentemente, dopo che ebbe scorso Michael all’interno del Suv nero, si diresse da lui.
Allora che ci pensava era la seconda volta che andava in macchina con Michael, e benchè dall’ultima volta erano successe diverse cose, fu scossa da un brivido di eccitazione dietro la schiena.
Aprì la portiera e si gettò letteralmente dentro il caldo abitacolo, ignorando per qualche secondo il ragazzo accanto a lei che la stava fissando con uno sguardo strano.
Michael rimase per qualche secondo a guardarla, facendo scorrere i suoi occhi chiari su di lei. Aveva le guance leggermente arrossate assieme alla punta del naso, e poté vedere un lembo del vestito rosa antico che le aveva regalato uscire da sotto il cappotto.
Inspirò il suo profumo che aveva invaso la macchina e la guardò accennando un sorriso, soffermandosi sulle sue labbra rosee e nude, sulle guance arrossate e su quegli occhi da gatta messi in risalto da un po’ di mascara e da una leggera eyeliner.
-Scusami, fuori fa freddissimo!- esordì Sarah, che guardò di sfuggita il ragazzo, notando immediatamente i suoi profondi e bellissimi occhi blu.
-Lo so- disse lui, sorridendo sornione e sporgendosi verso di lei per rubarle un bacio sulle labbra.
Sarah vide Michael avvicinarsi a lei e rimase ferma, incerta sul da farsi: sentì le labbra umide e calde del ragazzo posarsi sulle sue e il suo cuore subì un’improvvisa accelerata. Michael schioccò le labbra e dopo averla guardata per qualche altro secondo pensando di tutto, le sorrise e a bassa voce le disse –Mi piace questo profumo, è nuovo?-
Sarah abbassò lo sguardo un po’ imbarazzata da quel semplice apprezzamento e rispose sincera  -L’ho preso in svendita da un grande magazzino ad Hoboken a Natale-
Michael la penetrò con lo sguardo e accennò un sorriso –E’ molto buono ed è molto delicato- asserì, girando la chiave nel quadro e mettendo in moto la macchina.
-Allora, sei pronta?- chiese qualche secondo dopo, girandosi ogni tanto a guardare Sarah.
-Beh, lo sarei, se solo sapessi dove stiamo andando e perché mi hai preso questo vestito!- esclamò lei un po’ isterica. Non voleva ammetterlo, ma si sentiva un po’ a disagio a rimanere in macchina con lui, senza nemmeno sapere dove andare, considerando che ogni volta che lo guardava non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Michael nudo, nel letto con lei.
-Hai detto che avevi fame, no?- iniziò a dire il ragazzo, assumendo la sua solita espressione maliziosa.
-Quindi?- replicò Sarah, cercando di distrarsi e di non soffermarsi su tutti i bellissimi dettagli del suo viso.
Michael scosse la testa e alzò gli occhi al cielo divertito. Tanto valeva dirglielo.
-Abbiamo un tavolo prenotato alle otto e mezza al Daniel Restaurant, uno dei più buoni e più bei ristornati di Manhattan, contenta?- disse lui.
Sarah rimase qualche secondo interdetta, cercando di capire il senso di quella frase.
-Stiamo andando a cena fuori? E per farlo mi hai fatto indossare questo vestito?- chiese incredula lei, iniziando a provare dell’ansia mista ad eccitazione.
-Il vestito l’ho preso perché mi piaceva e avrei voluto vedertelo addosso, soprattutto per poi togliertelo dopo…- iniziò a dire Michael con la sua solita malizia, questa volta però tenendo gli occhi fissi sulla strada –Ma se vuoi metterla così, sì, stiamo andando a cena fuori e ti ho preso un vestito che mi piaceva per l’occasione. A proposito, a te piace?-
Sarah rimase qualche secondo in silenzio, scossa da quell’affermazione: stava pensando ancora alla frase di Michael sul toglierle il vestito e non poteva farci nulla, si sentiva elettrizzata, imbarazzata, ma allo stesso tempo interamente devota a lui. Se fosse stato per lei, avrebbe rinunciato alla cena e si sarebbe fiondata di nuovo nel letto con lui, ma non voleva apparire nevrotica, né tanto meno irriconoscente per la bella sorpresa che lui le aveva fatto.
Michael, sentendo che la ragazza non gli ebbe risposto subito, si girò a guardarla di sbieco
–Allora?- la incitò, cercando di cavarle qualche frase dalla bocca.
-Sì, mi piace- disse lei, cercando di nascondere il turbinio di emozioni che stava provando. Non sapeva a cosa era dovuto, ma il cuore le stava battendo forte nel petto, e le gambe le stavano tremando. Le sembrava quasi di provare le stesse cose di quando l’ebbe visto la prima volta al supermercato.
Aveva già incontrato Michael un paio di volte dall’ultima volta che erano stati insieme a casa sua, ma ogni volta che si erano visti era sempre stato di sfuggita e sapeva che non sarebbe stato per molto, mentre quella sera, probabilmente avrebbero passato più tempo insieme e le sembrava quasi strano ammetterlo, ma moriva dalla voglia di stare con lui, abbracciati nel letto, moriva dalla voglia di sentire nuovamente la sua pelle nuda a contatto con la sua.
Sospirò e poi si distrasse dai suoi pensieri, richiamata dalle parole del biondo affianco.
-Contieni il tuo entusiasmo! So che è un colore che non usi però è un bel vestito e mi sarebbe piaciuto vedertelo indossare!- replicò quasi ferito nell’orgoglio lui.
Non aveva ben capito se a Sarah fosse piaciuta la sua trovata o no, anche se a giudicare dall’impassibilità del suo comportamento, non ne era stata molto felice.
Bastò questo pensiero a fargli ritornare i nervi a fior di pelle, quindi tutto quello che riuscì a fare fu stringere la mascella e guardare la strada dritto di fronte a sé.
-Ehi guarda che mi piace davvero! E’ molto particolare!- iniziò a dire Sarah, notando un certo grado di nervosismo nei gesti del ragazzo. Non credeva fosse così suscettibile.
Michael non si girò a guardarla, aveva ancora gli occhi fissi sulla strada e lei notò di come stesse stringendo forte il volante.
-C’è qualcosa che non va, Michael? Ti senti bene?- chiese preoccupata la ragazza, girandosi a guardarlo con più attenzione.
Il ragazzo sospirò ma non rispose, in fondo Sarah non c’entrava nulla con il suo nervosismo e probabilmente se qualcuno di tutto punto l’avesse chiamato, costringendolo ad uscire e ad indossare una cosa comprata appositamente per lui, non ne sarebbe stato molto contento.
Sarah fece scorrere lentamente gli occhi sulla figura del ragazzo, seguì i suoi lineamenti, la mascella, il profilo del naso e i capelli, e poi gli occhi.
Sospirò, consapevole che di lì a cinque secondi avrebbe detto una cosa per cui Michael l’avrebbe presa in giro a vita.
-Vuoi sapere quello a cui sto pensando?- iniziò a dire la mora, scostandosi una ciocca dalla fronte. Michael sembrò annuire così lei andò avanti.
-Bene, sto pensando al fatto che in questo momento vorrei essere in un letto con te, a baciarti, a spogliarti, a sentire il sapore della tua pelle…E’ questo ciò che sto pensando- disse Sarah tutto d’un fiato, deglutendo sonoramente alla fine della frase e girandosi a guardare fuori dal finestrino. Non voleva incontrare gli occhi di Michael, né sapere che espressione lui avesse assunto.
Il ragazzo di rimando rimase stupito e attonito da quella dichiarazione e per qualche secondo mantenne fisso gli occhi su di lei, notando come il battito del suo cuore fosse notevolmente accelerato.
Dischiuse un po’ le labbra per poter prendere aria e rispondere: quella dichiarazione l’aveva visibilmente spiazzato, in senso positivo ovviamente e lui in quel momento avrebbe tanto voluto baciarla e dirle che anche lui moriva dalla voglia di andare di nuovo a letto con lei, ma quello stupido automobilista dietro di loro stava suonando insistentemente, esortando Michael a ripartire dopo la sosta al semaforo.
-E’ davvero questo quello che vuoi?- chiese lui qualche secondo più tardi con voce rauca, accostando la macchina vicino un marciapiede sgombro e girandosi a guardare Sarah. La mora si girò lentamente e incontrò gli occhi chiari del ragazzo. Sì, era quello che voleva, ma non voleva nemmeno far naufragare i piani di Michael di portarla fuori a cena.
-Sì, ma mi piace anche l’idea di uscire a cena fuori con te, non l’abbiamo mai fatto- ammise la ragazza. In fondo Michael aveva prenotato e aveva speso dei soldi per il suo vestito.
-A proposito, credo di non averti ancora ringraziato per l’abito, hai anche azzeccato la taglia- fece Sarah, cercando di smuovere un po’ la situazione. Stava iniziando ad avvertire caldo e Michael non faceva altro che fissarla insistentemente.
Il ragazzo accennò un sorriso e poi si sporse verso di lei. Doveva ammettere che quella dichiarazione lo aveva fatto viaggiare in avanti di qualche ora e si stava già immaginando la scena in cui lui le toglieva quel vestito di dosso.
Si sporse verso di lei e allungando un braccio, le prese il viso con una mano. Si avvicinò di più e la baciò quasi prepotentemente, insinuandosi nella sua bocca e muovendo veloci le sue labbra sulle sue. Sarah sospirò, attraversata da un brivido lungo la schiena e cercò di stare al passo di Michael, ma il ragazzo sembrava troppo concentrato a baciarla e ribaciarla senza prendere fiato.
-Dimmi che vuoi tornare indietro…E io lo faccio- disse il ragazzo a bassa voce, staccandosi dalle sue labbra e implorandola quasi di ritornare nel suo appartamento. A quel punto gli importava molto poco della cena e della fame che aveva.
Sarah aspettò qualche secondo per rispondere, giusto il tempo di ricollegare il cervello alla bocca e poi rispose.
-Andiamo a cena prima, non vedo l’ora di vedere questo ristorante- disse la ragazza, cercando di guadagnare tempo e di distrarsi da quei bellissimi occhi azzurri che la stavano letteralmente penetrando.
Michael si ritrasse da lei e si morse le labbra, nascondendo un sorriso. Scosse la testa sorridendo e poi aggiunse con voce bassa ma decisa –Non puoi farmi questo!-
-Questo cosa?- chiese la ragazza confusa.
-Prima mi dici che non vedi l’ora di venire di nuovo a letto con me e poi ti tiri indietro dicendo che vuoi andare a cena fuori…- rispose Michael trattenendo una risata e ripartendo con l’auto, conscio del fatto che Sarah come minimo gli avrebbe urlato contro parole di tutti i tipi per quello che lui le aveva appena detto.
Sarah rimase in silenzio per qualche secondo, corrucciando la fronte e rimanendo a guardare stupita Michael, che sornione e con il suo solito ghigno soddisfatto, stava guidando non curante.
Scosse la testa, cercando di pensare a qualcosa con cui ribattere, ma non riuscì a trovare una risposta valida. Si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a guardare fuori dal finestrino stizzosa.
Ok, il senso delle sue parole di prima era effettivamente quello, ma non c’era bisogno di spiattellarglielo in faccia così ad alta voce.
Non sapeva se ridere o se arrabbiarsi per quello che Michael le aveva detto, così cercò di non dargliela vinta e di rimanere impassibile, senza successo.
-Ehi, guarda che non è mica una cosa brutta avere queste voglie!- iniziò a dire il ragazzo ridendo come uno scemo, conscio del fatto che allora che aveva ripreso a fare sesso, una settimana di astinenza era un periodo piuttosto lungo anche per lui –Cioè, guardami! Anche io vorrei venire a letto con me se fossi stato un’altra persona!- esclamò divertito.
Sarah sgranò gli occhi e si girò a guardarlo. Come poteva essere così idiota certe volte?
-Ma sentiti! Parli come Sam!- rispose Sarah, incontrando gli occhi vispi e azzurri del ragazzo.
Michael rise di gusto e iniziò a fare manovre per parcheggiare.
-Oh, suvvia, anche io muoio dalla voglia di farlo di nuovo con te, è reciproco, non ti arrabbiare!- esclamò il ragazzo, girandosi e dando un veloce bacio a stampo alla mora, che invece era rimasta immobile a guardarlo scettica.
Sarah rimase senza parole e non appena Michael spense il motore, aprì lo sportello e scese dalla macchina, prendendo la sua borsa e cercando di districarsi su quei maledetti tacchi che aveva deciso di indossare.
-Oh, dai! Ma perché sei così suscettibile?!- la rincorse Michael, prendendola per i fianchi e mettendole un braccio sulle spalle. Si avvicinò a lei e le stampò un bacio sulle tempie, non prima di averle dato un’occhiata veloce e aver intravisto le sue gambe lunghe da sotto il cappottino nero di panno.
Sarah sentì le labbra calde di Michael sulla pelle e quasi come sotto un incantesimo, cacciò via la stizza relativa alle sue battute idiote di prima e si strinse di più a lui, dandogli un bacio sulle labbra.
Qualche secondo dopo, Michael prese Sarah per i fianchi e la spinse con delicatezza verso l’ingresso di questo fantomatico ristornate, che già dalla vetrata d’entrata si preannunciava essere di lusso.
Furono accolti da un signore all’ingresso a cui affidarono i cappotti e Sarah notò come Michael per quell’occasione si fosse vestito elegantemente tutto di nero e accennò un sorriso. Era la cosa più bella che avesse mai visto.
Anche Michael fece vagare veloce gli occhi sul corpo della ragazza, fasciato da quell’elegante vestito rosa antico con inserti neri. Il colore tenue della stoffa, contrastava con i suoi capelli scuri dai riflessi mogano raccolti nella treccia a spina di pesce che la ragazza era solita farsi. La taglia era quella giusta e il vestito fortunatamente le calzava a pennello, mettendo in risalto le sue forme femminili.
-Wow!- esclamò la ragazza, guardandosi attorno e scorgendo dettagli di design ogni dove: quella grande hall di ingresso era piena di piante, di giochi di luci soffuse e colorate, di cascate d’acqua raccolte in vetrate lucidissime.
-Ti piace?- le fece Michael contento. Era palese che la ragazza fosse rimasta piacevolmente sorpresa da quel posto, glielo poteva leggere in faccia.
-Sì, è fantastico- rispose Sarah continuandosi a guardare attorno e procedendo di fianco a Michael verso l’ingresso della sala del ristorante vero e proprio.
-Comunque non è questa la sala in cui ho prenotato il tavolo, dobbiamo salire di almeno trenta piani!- esclamò il ragazzo prendendola per mano e trascinandola verso il primo ascensore a tiro.
Qualche minuto dopo le porte dell’ascensore si aprirono, mostrando una sala colma di gente elegante e sofisticata, che mangiava o che attendeva la sua cena in maniera paziente, beandosi della fantastica vista che aveva di fronte.
Tutte le pareti di quella sala erano vetrate e si potevano scorgere con facilità tutti i principali grattacieli di Manhattan, illuminati dai fari o dalle semplici luci all’interno dei propri appartamenti.
Michael si diresse verso un signore vestito di tutto punto all’ingresso della sala vetrata, pronto a dare il suo nominativo e a farsi indicare il tavolo, ma le cose non andarono come previsto.
-Ho prenotato un tavolo per due, il cognome è Trisher- iniziò a dire il ragazzo educatamente, rivolgendosi al signore.
L’uomo controllò su una cartella foderata in pelle e aspettò qualche secondo prima di replicare.
-Mi spiace, ma qui non ho nessun tavolo al nome Trisher, è sicuro di aver prenotato qui?- chiese il signore, brizzolato e con un leggero accenno di barba sul viso.
-Mmm, sì che ho prenotato qui, forse c’è un errore…- iniziò a dire Michael.
Sarah nel frattempo si era avvicinata e stava cercando di capire cosa stesse succedendo.
-No, signor Trisher, davvero, qui non ho nessun tavolo prenotato a suo nome. A che ora era la cena?- chiese l’uomo di fronte a lui, il quale doveva avere massimo una cinquantina di anni, benchè i capelli fossero più grigi che scuri.
-Alle otto e mezza, un tavolo per due. Ho chiamato ieri. Non può ricontrollare?- chiese il ragazzo, stupito del fatto che non ci fosse nessuna prenotazione a suo nome quando aveva parlato lui stesso con il direttore del ristorante.
-Un attimo solo- disse il signore quasi mortificato. Sapeva che i Trisher erano dei clienti abituali di quel bistrot e gli dispiaceva che si fosse creato quel malinteso, ma se non aveva una prenotazione era praticamente impossibile fargli uscire un tavolo per quella serata.
L’uomo controllò e ricontrollò la lista di clienti di fronte ai suoi occhi, scorse con diligenza tutti i nomi che erano stati accuratamente cancellati con la sua stessa penna stilografica. Controllò la sezione relativa alle prenotazioni delle otto e mezza e lesse in silenzio tutti i cognomi dei clienti che ancora non si erano presentati, ma il cognome Trisher non figurava.
Alzò lo sguardo e incontrò quello corrucciato del ragazzo, il quale sostava in piedi al fianco di una ragazza con i capelli scuri. Si sentiva gli occhi dei due ragazzi addosso e non voleva che il piccolo Trisher chiamasse il signor Daniel, così ricontrollò per l’ennesima volta quella lista.
Mentre muoveva gli occhi su quella lista di cognomi, vide di sfuggita il cognome del ragazzo, ma c’era qualcosa che non andava.
-Qui c’è una prenotazione da parte di un Trisher alle otto e mezza- iniziò a dire l’uomo.
-Ah, ecco, è sicuramente quella!- esclamò Michael, cercando di non apparire un po’ innervosito dalla cosa. Quel ristorante si faceva pagare profumatamente sia il servizio che il cibo, quindi per come la vedeva lui era alquanto insensato quello che stava accadendo in quel momento, per non parlare del fatto che secondo lui stava facendo cattiva figura con Sarah.
-Ehm, c’è un problema però. Questo tavolo per due è stato già occupato- disse l’uomo quasi spaventato dalla reazione che il ragazzo potesse assumere.
-Come già occupato?!- esclamò Michael un po’ troppo ad alta voce.
-Dai Michael, non fa nulla, veniamo un’altra sera…- cercò di dire Sarah, notando di come il ragazzo si stesse iniziando ad agitare e volendo evitare problemi. In fondo a lei non interessava molto cenare in quel super ristorante di lusso.
L’uomo guardò prima il ragazzo e poi la mora al suo fianco e dopo parlò cercando di evitare un disastro –Sì, c’è già un Trisher evidentemente-
-E’ impossibile, ci deve essere un errore…- iniziò a dire Michael, che si iniziò a guardare attorno, notando di come i primi clienti stavano iniziando a guardarlo curiosi.
-Non c’è altra spiegazione, mi dispiace!- fece l’uomo mortificato.
-Chi è l’altro Trisher che è venuto?- chiese Michael, sempre più convinto che ci fosse un errore.
-Le vado a chiamare l’altro collega, io sono appena arrivato!- disse l’uomo sparendo un attimo in una stanza di servizio.
-Ehi, davvero, non c’è nessun problema, possiamo andare via. Non c’è bisogno di agitarsi- disse Sarah rivolta al ragazzo non appena il signore brizzolato si allontanò da loro.
Michael la guardò con uno sguardo strano, a metà tra il combattuto e l’arrabbiato, ma non voleva né prendersela con lei, né desistere. Lui aveva prenotato in maniera corretta e il proprietario del ristorante gli aveva tenuto il miglior tavolo di tutti che si affacciava sullo skyline di Manhattan, non avrebbe mai rinunciato solo perché qualcuno non riusciva a trovare il suo cognome su una fottutissima lista!
Qualche secondo dopo l’uomo brizzolato uscì dalla stanza di servizio, accompagnato da un altro signore vestito allo stesso modo. Michael si rilassò un po’ quando il volto dell’uomo in questione gli risultò familiare, riconoscendolo come il signor Frederick.
-Michael, qual è il problema?- chiese l’uomo biondino avanzando verso il ragazzo.
-Frederick, ho prenotato un tavolo alle otto e mezza, ma non si trova la prenotazione a quanto pare…- commentò un po’ stizzoso il ragazzo.
Il signore brizzolato, che si scoprì essere un certo Moore, spiegò la situazione a Frederick che contemporaneamente stava scorgendo la lista degli invitati.
Subito dopo aver visto il nome di Michael cancellato dall’elenco e dopo aver ascoltato quello che Moore ebbe da dirgli, alzò lentamente gli occhi chiari, facendoli scorrere prima su Michael, poi in un punto indistinto della sala.
Il suo sguardo intercettò quello di una ragazza vestita di tutto punto, alta e bionda e sembrò aver capito tutto.
-C’è stato un equivoco- asserì l’uomo, ritornando a guardare Michael e indicandogli lo stesso punto verso cui aveva appena guardato.
Sia il ragazzo che Sarah puntarono gli occhi nella direzione indicatagli da Frederick e da lontano, incredulo e sbigottito, Michael riconobbe sua sorella.
-Evidentemente abbiamo scambiato la prenotazione della Signorina Trisher con la sua Michael, non c’è altra spiegazione!- si scusò Frederick in qualche modo.
-Ma come è possibile? Ho parlato io stesso con te!- fece Michael.
-Lo so, ma Martha ha mostrato la ricevuta, credevo ci fosse una doppia prenotazione- iniziò a scusarsi l’uomo, cercando di rimediare e mandando a chiamare Martha.
Sarah vide di sfuggita Martha in compagnia di un’amica e cercò di convincere Michael a desistere, quella situazione stava diventando un po’ assurda.
-Dai, Michael, andiamo via, non fa nulla. E’ inutile che scomodi tua sorella…- cercò di dire la ragazza.
-No, permettetemi di rimediare- iniziò a dire il più biondo tra i due uomini –Adesso le allestiamo un tavolo e sistemiamo tutto, ovviamente vi offriamo il servizio completo, vogliamo scusarci per questo disagio…- concluse Frederick.
Nel frattempo l’uomo brizzolato, il signor Moore dunque, era andato a chiamare Martha, spiegandole la situazione e anche la confusione riguardo la prenotazione. Martha, che si aspettava una cosa del genere, lasciò un attimo la sua accompagnatrice al tavolo e si diresse verso l’ingresso, raggiungendo Frederick e i due ragazzi che si palesarono essere suo fratello e la sua ragazza di Brooklyn.
-Michael, che ci fai qui?- chiese Martha, facendo la finta tonta.
Il ragazzo dal canto suo la squadrò dalla testa ai piedi e le riservò uno sguardo corrucciato e arrabbiato. Ce l’aveva ancora con lei per l’incontro del pomeriggio e pensare che la sua serata era saltata perché il ristornate aveva confuso le loro prenotazioni lo faceva innervosire ancora di più.
Frederick, che era sicuramente il più autoritario tra lui e Moore, parlò, spiegando la situazione e scusandosi per l’inconveniente.
Sarah fece vagare velocemente e di sfuggita gli occhi sul fisico da urlo e longilineo di Martha: quella sera aveva optato per delle decoltè nere e un vestito rosso accesso che fasciava il suo corpo da modella. I capelli dorati, lunghi e folti le ricadevano setosi dietro la schiena, era perfettamente truccata e improfumata e non faceva altro che elargire sorrisi a destra e manca.
Martha, sentendo del disguido che lei aveva volontariamente causato, cercò di rimediare a suo modo e di attuare la messa in scena che aveva previsto per vendicarsi della lite con suo fratello durante il pomeriggio.
-Se per voi non è un problema possiamo unire i tavoli e stare tutti insieme, che ne dite?- iniziò a dire la ragazza, rivolgendosi prima di sfuggita a Michael e poi a Frederick.
-Per me non ci sono problemi- commentò l’uomo che già aveva chiamato i camerieri per far allestire il tavolo dei quattro.
-Non credo sia una buona idea, creeremmo troppa confusione- fece Michael, visibilmente infastidito da quel disguido –E poi immagino che sarai impegnata in qualche incontro dei tuoi, quindi perché interferire?- aggiunse il ragazzo, rivolto a sua sorella.
Martha accennò un sorriso beffardo, poi spostò gli occhi lentamente sulla figura femminile al fianco del fratello.
-Tu che ne pensi…ehm- iniziò a dire Martha, fingendo volontariamente di non conoscere il nome della mora.
-Sarah- commentò la ragazza, un po’ imbarazzata da quell’incontro e dal fatto che Martha non si ricordasse il suo nome. In fondo non era passato molto tempo dalla festa di Natale.
La mora incontrò gli occhi blu della bionda e fu quasi intimorita dalla loro brillantezza e potenza. Erano uguali a quelli di Michael, con lo stesso taglio e forma, ma la stavano guardando in maniera strana, che non riusciva a decifrare.
-Forse è meglio di no, non vorremmo darvi fastidio- cercò di dire Sarah, guardando Michael e cercando aiuto con lo sguardo. Non sapeva che fare e declinare l’invito le sembrava scortese, ma nemmeno rimanere a cena con Martha le sembrava una buona idea.
-No, non ci date fastidio, anzi, credo che Michael ne sarà contento. Finalmente passo un po’ di tempo con la sua nuova ragazza…Sarà divertente- commentò Martha, rivolgendosi a Sarah, ma guardando suo fratello.
-Non è vero?- aggiunse, incatenando i suoi occhi con quelli blu di Michael. Lei sorrise impercettibilmente mentre il ragazzo si incupì, consapevole di essere con le mani legate per quella sera.  Sapeva che Martha avrebbe raccontato ogni cosa ad Amanda e l’ultima cosa che voleva è che le donne della sua vita parlassero di Sarah, quindi accettò inerme quella proposta.
-Non dovevi uscire?- chiese Michael rivolto a Martha, ripensando alle parole del pomeriggio nell’attesa che Frederick e Moore tornassero.
-Beh, prima dovevo cenare…Non sapevo venissi qua- mentì la giovane donna.
-Figuriamoci- commentò Michael, che iniziò a guardare nervoso in direzione del tavolo di Martha. Allora che ci pensava si era ricordato che la ragazza si sarebbe dovuta vedere con Blake quella sera. Diede un’occhiata al suo tavolo prenotato, ma Michael non trovò nessuno.
Sarah rimase in silenzio, studiando impercettibilmente i comportamenti dei due fratelli. Michael le sembrava essersi trasformato in un cubetto di ghiaccio, era rigido, nervoso e con la mascella tesa per chissà quale ragione, mentre Martha era molto sciolta e le sembrava anche abbastanza euforica, anche se fino a quel momento l’aveva degnata sì e no di uno sguardo.
-Ok, dato che la signorina Trisher non aveva ancora ordinato, abbiamo spostato il vostro tavolo, unendolo ad un altro da due. E’ lì alla punta, venite che vi faccio accomodare- disse Frederick al suo ritorno.
Sarah seguì silenziosa i due Trisher e il signore biondo al loro tavolo. Non sapeva perché ma poteva ammettere di avere un brutto presentimento riguardo quella cena.
-Vado a prendere le mie cose dal tavolo vecchio- commentò Martha allontanandosi un attimo da loro.
-Sarah, se vuoi ce ne andiamo- disse all’improvviso Michael con voce bassa ma decisa. Guardò Sarah negli occhi e volle quasi implorarglielo –Davvero, non devi farlo per forza. Andiamo a casa tua, ordiniamo una pizza e stiamo sul divano- continuò a dire il ragazzo, che sembrava quasi terrificato dall’idea di passare una serata con Martha e con chissà chi altro.
-Ehi, perché sei così agitato?- chiese Sarah, cercando di non apparire effettivamente turbata dalla presenza di Martha a cui probabilmente non stava nemmeno tanto simpatica –E’ solo una cena di un paio d’ore…- fece, prendendo Michael per mano e guardandolo negli occhi.
Il ragazzo sospirò rumorosamente, incatenando le sue iridi con quelle più scure della ragazza.
Avrebbe tanto voluto scappare con lei in quel momento, ma lo sguardo rassicurante della mora e le sue mani calde, lo spinsero a rimanere e a sopportare sua sorella almeno per quelle poche ore. Il pensiero che poi sarebbe andato a casa sua a passare la notte insieme, lo allietarono non poco.
Martha ritornò dopo qualche secondo, scusandosi per averci messo così tanto. Mise sul tavolo sia la sua pochette che quella di un’altra ragazza e allora la domanda sorse spontanea.
-Con chi sei qui?- chiese Michael sedendosi accanto a Sarah e guardando Martha sedersi di fronte alla mora. Un pensiero malsano iniziò ad insinuarsi in lui alla vista di quella borsa da donna.
Martha sorrise leggermente e non fece in tempo a rispondere quando una ragazza alta, con capelli ondulati e biondo scuro, apparve dietro di lei uscendo dal bagno.
Michael, nel vedere quella figura longilinea, vestita con un tubino nero aderente, si irrigidì indurendo la mascella.
Sarah si girò a guardare il ragazzo, notando come avesse cambiato il suo comportamento e rivolse lo sguardo verso la ragazza dietro di Martha.
La bionda allontanò la sedia dal tavolo sedendosi lentamente e rivolgendo ai tre ragazzi un grande sorriso.
-Scusate, ero in bagno! Vedo che ci sono stati dei cambiamenti nel frattempo- disse, portandosi dietro la chioma lunga  e biondo scuro, resa luminosa da alcune ciocche dorate più chiare.
Michael la guardò fissa rimanendo in silenzio. Il suo cuore aveva preso a battere più velocemente nel petto e in quel momento avrebbe voluto urlare e scappare, mentre Sarah guardò la bellissima ragazza di fronte, osservandone gli occhi luminosi e verdi e i perfetti lineamenti del viso.
-Ciao Michael, è da tanto tempo che non ci vediamo- disse la ragazza in questione, rivolgendogli un grande sorriso ammiccante. Doveva ammettere che il ragazzo migliorava con il tempo e ogni volta che lo incontrava era sempre più bello.
Michael non rispose, cercando di calmare la respirazione che per il nervosismo si era fatta più veloce. L’unica cosa che riuscì a fare fu spostare una sorta di sguardo omicida dalla bionda di fronte a lui a sua sorella.
Sarah guardò tutta la scena, non capendo perché Michael si fosse così tanto rabbuiato e perché apparisse così teso, però dal momento che l’attenzione della ragazza in quel momento era rivolta a lei, cercò di presentarsi in qualche modo.
-Ciao, io sono Sarah, piacere di conoscerti- fece la ragazza, porgendo la mano e salutando quella ragazza che sembrava una dea.
-Lei è la nuova ragazza di Michael- ci tenne a puntualizzare Martha per la seconda volta in quella serata, che spostò il suo sguardo dal viso imbarazzato di Sarah a quello di suo fratello.
-Ah- asserì la sua amica, accennando un sorriso quasi compiaciuto.
-Molto piacere, io sono Blake- rispose la ragazza dagli occhi verdi, sedutasi di fronte a Michael, pronta a godersi la scena.
Sarah al sentire quel nome ebbe un sussulto. Passarono alcuni secondi prima che riuscisse a ricollegare il cervello con la bocca, secondi che passò a scrutare ogni minimo dettaglio di quella bellissima ragazza che aveva di fronte.
Aveva detto Blake? Quella Blake? L’ex di Michael?
In quei secondi che passarono a Sarah il cuore si fermò non sapeva quante volte.
Riguardò quella ragazza, riguardò i suoi capelli luminosi e lunghi, i suoi occhi verdi da pantera con ciglia lunghe e voluminose, le sue labbra carnose e rosse e il suo naso un po’ all’insù ma decisamente perfetto.
Grandioso, lei era Blake. Quella Blake.
E così quello era il solito standard di Michael.
Alta, bionda e con un fisico da urlo.
Sarah deglutì dopo qualche secondo di silenzio, durante cui probabilmente tutti quanti a quel tavolo l’avevano guardata.
Martha non poteva essere più soddisfatta di così, Blake era contenta di rivedere Michael e di poter influenzare ancora la sua vita e Michael invece era consapevole di quello che probabilmente stava provando Sarah in quel momento: un misto tra imbarazzo, voglia di sotterrarsi e delusione.
Dopo che passarono alcuni secondi che sembrarono un’eternità, Sarah sospirò a fondo, girandosi un attimo a guardare Michael, cercando in lui un qualsiasi tipo di reazione.
Il ragazzo era però immobile con lo sguardo basso, a fissare un punto indefinito del suo bicchiere.
Sarah girò di nuovo la testa e  con lo sguardo basso, iniziò a seguire con gli occhi i ricami della tovaglia viola sul tavolo, consapevole che da lì fino in futuro, si sarebbe sentita inadatta e sempre inferiore a quelle due ragazze di fronte.
-Allora, ordiniamo?- esclamò Martha, scostandosi una ciocca dorata davanti agli occhi e nascondendo soddisfatta il viso dietro il menù.
 
 
***
Ok, posso solo scusarmi per questa lunga assenza, ma l’ultima settimana di marzo e le prime due di aprile sono state un delirio e ho avuto pochissimo tempo, per non parlare del fatto che sono stata due settimane in Grecia con l’università, quindi non ho potuto fare nulla a causa del lavoro.
Per chi mi segue sulla mia pagina Facebook, saprà che inizialmente questo capitolo doveva comprendere anche la cena vera e propria tra i quattro, ma dato che in questo modo sarebbe uscito fuori un capitolo troppo lungo, per non farvi aspettare ulteriormente, ho deciso di dividerlo in due parti e di pubblicare la parte relativa alla cena tra i quattro la settimana prossima.
Sono ben consapevole che è un capitolo di passaggio e che non c’è molto da dire, ma rispecchia un po’ il periodo frenetico che ho vissuto nelle ultime settimane.
Vi ringrazio per tutte le belle parole che avete speso per il capitolo precedente e mi auguro di leggerne anche ora e in futuro! Grazie a tutti per il supporto!
Xoxo
M.

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Capitolo 23
*** 23 ***


23

 
 
-Allora, ordiniamo?-
La voce di Martha, squillante più del dovuto, rimbombò nella testa di Sarah.
I secondi sembrarono passare più lenti del solito e poteva dire di avere quasi un nodo allo stomaco e alla gola: quella cena sembrava essere andata completamente a rotoli e aver preso un risvolto totalmente inaspettato.
La ragazza respirò piano, cercando di deglutire e di apparire calma, ma le si rivelò molto difficile.  Alzò piano gli occhi, ritrovandosi davanti il viso luminoso e quasi soddisfatto di Martha che faceva scorrere gli occhi blu sul menù, mentre Blake era ancora ferma a guardare Michael.
La mora guardò velocemente la ragazza, fissando tutti i tratti del viso che la rendevano praticamente perfetta: i fluenti capelli biondo scuro, il viso magro con il mento leggermente pronunciato, le due labbra carnose e rosso fuoco, per non parlare di quei luminosi e grandi occhi verdi, con ciglia lunghe e piegate che facevano risaltare ancora di più il suo sguardo felino.
Blake stava guardando Michael con occhi vispi e ammaliatori. Tutto di lei, dei suoi atteggiamenti, delle sue espressioni, stava trapelando quello: il ragazzo era sempre stato una delizia per gli occhi e lei era consapevole delle cose che lo facevano impazzire, e secondo la sua opinione sarebbe stato un gioco da ragazzi riprenderselo, così come l’aveva lasciato.
Sarah spostò lentamente gli occhi da Blake a Michael e vide che il ragazzo adesso non stava più guardando un punto indefinito della tavola, ma aveva gli occhi piantati su sua sorella, come se la volesse uccidere con lo sguardo.
Senza dire nulla, Sarah prese con una mano la cartellina di pelle che dentro conteneva il menù e iniziò a leggere i vari piatti. In realtà non aveva fame, lo stomaco le si era chiuso nell’esatto momento in cui Blake si era presentata, ma aveva bisogno di qualcosa per scrollarsi di dosso l’attenzione di tutti.
Michael sembrava essere totalmente passivo a quello che stava succedendo e soprattutto sembrava non interessarsi minimamente a lei, Martha era la più menefreghista di tutti e Blake, beh, Blake si stava comportando come se nulla fosse e come se volesse saltare addosso a Michael da un momento all’altro.
Aprì il menù e iniziò a far scorrere gli occhi sulla lunga lista di primi e secondi: dovette rileggere dieci volte per capire che piatto prendere, sia perché sulle righe in filigrana erano riportati tutti gli ingredienti che c’erano in ogni portata e sia perché faticava a pensare lucidamente in quel momento. Non capiva che cosa si intendesse per “spuma al sapore di agrumi” o “letto con petali di avocado caramellato”, era la prima volta che mangiava in un ristorante di lusso e non aveva nemmeno idea dei prezzi che ci potessero essere e tutta quella situazione le aveva causato un tremendo mal di testa. Sentiva pulsare dietro la nuca e il dolore era così fastidioso che quasi la vista le si era annebbiata.
Doveva cercare di calmarsi, di darsi una sistemata e di farsi passare o quanto meno di non far trapelare, tutte quelle emozioni contrastanti che stava provando in quel momento. Non voleva affatto passare per la fidanzata gelosa ed effettivamente non lo era in quel momento, era soltanto schiacciata dai complessi di inferiorità.
Girò pagina e lesse cosa c’era come insalate e scelse a caso la prima cosa che trovò normale, almeno per quanto riguardava gli ingredienti.
-Volete il vino?- chiese Martha, che invece era totalmente a suo agio in quell’ambiente e soprattutto con Blake al suo fianco.
-Sì- rispose Blake che dopo qualche secondo si rivolse ai due ragazzi di fronte. –Va bene il Vineyard Chardonnay? Michael, a te questo piaceva. Lo prendevi sempre…-fece la bionda, puntando per la prima volta i suoi occhi verde smeraldo in quelli blu oceano del ragazzo. Era una specie di ammiccamento? O di velata allusione al loro passato da coppia miliardaria dell’Upper East Side? Perché a Sarah sembrava proprio quello.
“Fantastico” pensò la mora, deglutendo in silenzio e continuando a tenere gli occhi bassi “Portava anche lei qui”.
Michael, sentendosi chiamare da lei, alzò lentamente lo sguardo e aspettò qualche secondo prima di rispondere.
Già, lui prendeva sempre quel vino e Blake lo sapeva perché erano soliti andare in quel ristorante quando stavano insieme.
Sarah si girò a guardare il ragazzo, di certo le parole della bionda non le sfuggirono e lei studiò per qualche secondo la reazione di Michael. Lo vide irrigidire la mascella e poi respirare piano.
-Sì, va bene- rispose lui, con una voce bassa e priva di qualsiasi tipo di emozione. Sarah per qualche ragione si aspettava che Blake chiedesse anche a lei se volesse del vino, ma così non fu. Come se lei non esistesse, la bionda chiamò il cameriere e lo fece avvicinare per prendere le ordinazioni.
-Cosa prendi?- chiese la bionda rivolta al ragazzo, accennando un sorriso e uno sguardo eloquenti.
-Non lo so- rispose Michael senza guardarla –Tu che prendi, Sarah? Hai deciso?- fece girandosi verso di lei.
Sarah aspettò qualche secondo prima di rispondergli. Si girò dalla sua parte e fece vagare velocemente gli occhi sul suo viso.
Finalmente si era deciso a rivolgerle la parola.
Michael le appariva strano, era teso come una corda di violino e i suoi lineamenti dolci e gentili apparivano induriti dalla sua espressione gelida e fredda. Per un attimo, le sembrò di rivedere Miles.
-Credo che prenderò questa…insalata mille foglie…- commentò la ragazza spicciola, mettendo il menù al centro del tavolo e versandosi un po’ d’acqua nel bicchiere. La gola era completamente arsa.
-Solo?- fece lui, che per un breve istante sembrò tornare il Michael dolce  e premuroso di sempre –In macchina mi avevi detto che avevi fam…- cercò di dire il ragazzo, ma Sarah non glielo permise. Non sapeva nemmeno lei da dove le era uscito quell’impeto, sapeva solo di sentirsi a disagio e che odiava tutta quella attenzione nei suoi confronti.
-Non ho fame- replicò secca la ragazza, spostando lo sguardo dagli occhi di Michael ad un punto indefinito della sala.
Michael respirò piano e chiuse il suo menù, alzò lo sguardo e chiese il suo piatto al cameriere che si era appena avvicinato. Sapeva perché Sarah si era irrigidita e rabbuiata in quella maniera, e lui stava odiando tutto quello: stava odiando Martha, stava odiando Blake e stava odiando anche se stesso per aver causato tutto quello. Lui avrebbe voluto solo trascorrere una serata tranquilla con la sua ragazza, non avrebbe mai voluto succedesse tutto quello, o che Sarah incontrasse Blake in quella maniera.
A dire il vero nemmeno lui avrebbe voluto rivedere Blake. La storia con lei era morta e sepolta ormai e lui nemmeno ci pensava più, nemmeno ricordava di aver provato qualcosa per la ragazza bionda di fronte, ma il pensiero di essere stato preso in giro e tradito, lo infastidiva sopra ogni cosa.
Nessuno fino a quel momento si era preso gioco di lui con così tanta sfacciataggine e l’immagine di Blake e Nolan insieme, era ancora vivida nella sua testa e gli causava ancora un certo disgusto.
Martha guardò prima Michael e poi Sarah e Michael potè quasi giurare di riuscire a vedere un velo di soddisfazione nella sua espressione, aumentata dal leggero sorriso che le sue labbra avevano assunto.
Il ragazzo scosse la testa e sospirò, cercando una soluzione a quella situazione o quanto meno cercando di reprimere gli istinti omicidi contro sua sorella.
-Allora, Sarah…- iniziò a dire Martha una volta che tutti loro presero le ordinazioni.
La ragazza mora, sentendosi chiamare, alzò la testa e guardò Martha, totalmente ignara di cosa aspettarsi. Le sembrava che la bionda si fosse particolarmente soffermata sul suo nome, o forse era solo un’impressione.
-…cosa fai nella vita? Michael non ci ha parlato molto di te. Sappiamo solo che vieni da Brooklyn- aggiunse, soffermandosi su quell’ultima frase.
Sarah respirò piano e incontrò gli occhi celesti di Martha. Erano uguali a quelli di Michael, ma se quelli del ragazzo le trasmettevano una certa estasi, quelli di Martha erano quasi inquisitori.
Già, veniva da Brooklyn.
-Sì, vivo lì, ma in realtà sono di Hoboken- rispose la ragazza, cercando di apparire calma ed educata. Sapeva o quanto meno intuiva che alla famiglia di Michael non andasse a genio quella cosa, e sapeva anche che il ragazzo aveva evitato di parlare con i suoi genitori della sua esistenza proprio per evitare quella sorta di appellativo.
-Hoboken?- Le fece eco Blake, interessata ai dettagli della sua vita per una ragione ben precisa.
-Già- commentò la mora.
-E cosa fai? Studi, lavori?- chiese Blake questa volta, ansiosa di scavare nella vita della ragazza.
Le due bionde avevano gli occhi fissi su di lei e non accennavano a voler distogliere l’attenzione, anzi, sembrava quasi stessero prendendo gusto a farle tutte quelle domande.
Sarah fece un sospiro e dischiuse un po’ le labbra prima di parlare, aveva ancora le mani sotto al tavolo per evitare di far vedere a tutti che stesse tremando. Improvvisamente sentì la mano di Michael appoggiarsi sulla sua coscia e poi prenderle una mano. Guardò il ragazzo per qualche secondo e fece un sospiro. In realtà il gesto di Michael non la tranquillizzò, né la rincuorò più di tanto, ma spinta dalla voglia di non apparire più fallita di quella che era parlò, rispondendo a quei due avvoltoi vestite in Valentino.
-Ehm…sì, lavoro in un supermercato- rispose con sincerità la ragazza, il cui cuore aveva improvvisamente iniziato a battere più forte a causa del contatto con la mano di  Michael.
A quelle parole Michael le strinse di più la mano, ma lei sembrava non voler ricambiare la presa. In quel momento era solo concentrata ad evitare di dire cose idiote.
Sentendo il tocco di Sarah impassibile sotto di lui, il ragazzo intrecciò le dita tra quelle della mora e la guardò per qualche secondo quasi a volerle fare coraggio, e lei aspettò paziente la risposta delle due ragazze.
Michael sapeva quello che Martha stava facendo, e lui avrebbe tanto voluto intervenire difendendo la sua ragazza, ma sapeva anche che se si fosse messo in mezzo, la cosa non avrebbe fatto altro che allietare sia Martha che Blake.
-In un supermercato?- le fece eco Martha, che in questo momento stava guardando sia Sarah che Michael. Questo non lo sapeva, di certo.
Come poteva suo fratello farsela con una specie di impiegata in un market?
-In realtà Sarah dipinge- disse Michael, con una voce e un tono strani, tra lo scocciato e l’infastidito –Ed è anche una fotografa-
Sarah si girò velocemente a guardarlo quasi ammonendolo con il suo stesso sguardo, ma poi fu distratta dalle altre due.
-Dipingi?- chiese Blake stupita –E cosa?- Lei aveva sempre voluto dipingere, ma non ci era mai riuscita. In realtà a parte la sua inclinazione per le cose particolarmente costose, non aveva mai avuto nessun talento in particolare, forse solo quello di far cadere tutti i ragazzi ai suoi piedi.
-Dipende da quello che mi chiedono o mi commissionano- rispose Sarah, ancora a disagio.
-Hai fatto qualche esposizione?- chiese Martha. Incuriosita e forse anche infastidita da quel talento. Aveva sempre pensato a Sarah come una insignificante e ordinaria ragazza di Brooklyn.
-Sì, alcune…- rimase Sarah sul vago. Non voleva parlare della mostra di Dicembre, anche perché era Michael ad averla organizzata e quindi si poteva dire che non valeva, però aveva fatto lavoretti negli anni passati alla fine dei corsi che aveva seguito e avrebbe potuto benissimo spacciarle per mostre.
-Quindi il quadro che Michael ha in camera l’hai fatto tu?- chiese Martha, alzando un sopracciglio e facendo spazio al cameriere per permettergli di versare il vino nel grande calice di cristallo.
Sarah fece un cenno con la testa e sorrise debolmente –Ti piace?- si permise di chiedere.
Martha non rispose subito e per alcuni istanti fece roteare gli occhi sul liquido bianco e frizzante del bicchiere e poi li piantò in quelli più scuri di Sarah, che si sentì quasi raggelare.
-Sta bene con l’arredamento, è molto classico- commentò solo la ragazza, buttando giù il vino.
Michael incurvò impercettibilmente le labbra. Sapeva quando sua sorella non voleva dare soddisfazioni e l’aveva appena fatto.
Sarah si spostò leggermente per permettere al cameriere di versarle il vino nel calice e gli sorrise ringraziandolo. Il ragazzo, vestito di nero e con una camicia bianca, sembrò quasi sorpreso di sentire quella cosa e le rivolse un sorriso sincero.
Qualche secondo dopo arrivò un altro cameriere con le portate che ciascun ragazzo aveva chiesto e si ritrovarono tutti con il piatto davanti.
-Voi, invece?- chiese Sarah, rivolgendosi prima a Martha e poi a Blake –Cosa fate? Martha,  anche tu lavori con Michael e vostro padre?- terminò di dire, cercando un qualcosa in Michael che la confortasse.
Il ragazzo aveva tolto le mani da sotto al tavolo e in quel momento era intento ad armeggiare con la sua ordinazione.
-Io?- chiese Martha, divertita dalla voglia della ragazza di sapere qualcosa in più su di loro. Evidentemente voleva essere umiliata, non c’era altra spiegazione.
-Sì, sono azionaria di una quota della società…- iniziò a dire spostando i suoi occhi su Michael –E mi occupo delle trattazioni estere…Diciamo che sono…-
-L’ambasciatrice di famiglia- concluse Michael, con una nota di stizza della voce –Non perde tempo a familiarizzare con gli usi e i costumi di tutti i paesi che visita- aggiunse eloquente, lanciando uno sguardo di disapprovazione alla sorella, che conosceva fin troppo bene.
Martha sorrise, cogliendo una nota di malizia nelle parole di Michael.
-Beh, mi piace scoprire cose nuove- commentò solo la giovane donna.
-Quindi viaggi molto? Dove sei stata?- chiese Sarah che stava solo cercando di guadagnare tempo e di far scorrere il più velocemente possibile quella serata. Nel frattempo che Martha parlava, bevve il vino nel suo calice, apprezzandone il sapore dolciastro e frizzante ed era molto buono.
-Oh, sarebbe più facile chiederci dove non siamo state- fece Blake al suo fianco per intromettersi nel discorso, lanciando un risolino a Martha.
Entrambe si guardarono complici.  
Michael guardò di sbieco tutte e due.
-Anche tu viaggi molto?- chiese allora Sarah, rivolgendosi a Blake e lanciando un’occhiata alla sua “Insalata mille foglie”.
Le mille foglie dovevano essere sicuramente un eufemismo, perché nel suo piatto c’era un po’ di erbetta unita a qualche altro ingrediente di dubbia fattezza, che Sarah riconobbe come pesce crudo, il cibo perfetto per quella serata devastante.
-Abbastanza. Anche se l’anno scorso ho viaggiato molto di più di quest’anno…- iniziò a dire la ragazza, iniziando a mangiare elegantemente quello che doveva essere un risotto ai mirtilli –Non è vero, Michael?- aggiunse, alzando gli occhi e rivolgendosi al ragazzo. Nell’esatto momento in cui i loro occhi si incontrarono, Blake si passò la lingua sulle labbra, quasi a voler stuzzicare almeno con gli occhi il ragazzo.
Michael le lanciò uno sguardo omicida e serrò la mascella. Nemmeno lui aveva molta fame e la sua solita bistecca sfumata al cognac non sembrava attrarlo più di tanto.
Sarah si girò a guardare il ragazzo, curiosa di capire cosa Michael centrasse con i viaggi di Blake, soprattutto allora che aveva assunto la sua solita espressione innervosita.
-Tuo padre ha smesso di pagarti i viaggi?- chiese inaspettatamente Michael, con tono quasi cattivo e sprezzante.
La mora fu sorpresa da quella domanda e guardò i due scambiarsi delle velate frecciatine.
Blake lo guardo e arricciò un po’ le labbra.
-Non ho più un degno compagno di viaggio. Non hai parlato a Sarah della tua passione per i viaggi dall’altro lato del mondo?- rispose per le righe la bionda, facendosi scivolare addosso tutta l’acidità di Michael.
A sentire quella frase sia Sarah che Michael si irrigidirono.
Che cosa significavano quelle parole?
Sarah girò piano la testa e incontrò Michael che con i suoi occhi blu la guardò per qualche secondo.
-Per rispondere alla tua domanda…- continuò Blake rivolta a Sarah, ma continuando ancora a guardare Michael –Siamo stati in Francia, a Londra, a Pechino, Hong Kong…- continuò a dire Blake.
Sarah deglutì a quel “siamo”. Era quasi sicura che fossero località che Blake aveva visitato con Michael e improvvisamente si sentì quasi schiacciata dalla forza e dalla bellezza delle loro esperienze. Avevano praticamente girato mezzo mondo e Michael non le aveva mai parlato della sua passione per i viaggi, e il fatto che lui avesse condiviso tutte quelle esperienze con lei, non facevano altro che farla sentire piccola e insignificante.
Masticando silenziosamente la foglia di insalata, Sarah avvertì il sapore del pesce crudo e fu colpita quasi da un conato di vomito. Smise un attimo di mangiare e si riempì con mani leggermente tremanti il bicchiere dell’acqua.
-Quello è per il vino- commentò Martha guardandola con uno sguardo strano.
-Cosa?- chiese la ragazza che sembrava non aver capito, ancora presa da un nodo allo stomaco fastidiosissimo.
-Quel calice che stai usando per l’acqua, è per il vino…- ripetè la bionda, assumendo un’espressione tra il soddisfatto e il meschino.
Sarah deglutì e respirò piano, notando solo allora che di fronte al suo piatto ci fossero due bicchieri.
-Sarah può versarsi l’acqua dove diavolo vuole- replicò Michael inaspettatamente, sporgendosi e riempiendo il calice da vino di Sarah con dell’acqua frizzante.
La mora rimase qualche secondo a guardare le bollicine dell’acqua salire a galla e scoppiare, poi alzò di nuovo lo sguardo quando Blake continuò a parlare.
-Le hai parlato del nostro viaggio in Spagna? Di quando siamo stati al Prado? Dovrebbero interessarti tutti quei quadri…- continuò a dire Blake, questa volta rivolta a Sarah, a cui la sensazione di disgusto a causa del pesce nell’insalata non era ancora passata. In realtà aveva perso del tutto ogni minimo sentore di appetito e la testa le stava davvero scoppiando, per non parlare di quel dolore allo stomaco fastidiosissimo, che però non era dovuto al cibo, ma alla situazione in generale.
Non avrebbe resistito molto tra quelle due arpie, per non parlare del fatto che si sentiva frastornata e totalmente inadatta per quella situazione. Allora che ci pensava, il viaggio più lungo che aveva fatto in tutta la sua vita era arrivare ad Orlando in macchina per passare una giornata al Disney World quando lei e sua sorella avevano rispettivamente dodici e nove anni.
-Blake, basta- sentenziò Michael con una voce seria e secca che fece ammutolire sia la ragazza di fronte a lui sia quella al suo fianco.
La bionda sorrise, continuando a tenere fisso lo sguardo su Michael.
-Dicevo giusto per fare conversazione…- replicò la ragazza, risentendosi un po’ del tono brusco di Michael, ma capendo che aveva fatto innervosire il ragazzo al punto giusto –E comunque credevo ti facesse piacere parlarne…Ci siamo divertiti parecchio- aggiunse la bionda, prendendo un altro boccone di risotto e trapelando una certa malizia.
Michael dischiuse le labbra come a voler replicare, ma il nervosismo era così tanto che quasi non ci riuscì. Non voleva fare una scenata nel ristorante, e in quel momento a dire la verità stava pensando a quali potessero essere le impressioni e i sentimenti di Sarah piuttosto che a lei.
La mora sospirò, cercando di allontanare quella maledetta sensazione di inferiorità distraendosi e iniziando a scartare il pesce crudo, che scoprì essere del polipo e dei gamberetti, anche se l’immagine di Blake e Michael insieme, in una lussuosissima stanza di albergo sulla vetta di un grattacielo di Hong Kong, nudi in un letto dalle soffici lenzuola di seta, la stava quasi uccidendo.
La  sua mente iniziò a vagare veloce sui quei viaggi, ai divertimenti sfrenati che Michael e Blake avevano potuto vivere in quelle bellissime località…Le si mozzò quasi il respiro al solo pensiero di lui con lei, in un letto, o sulla spiaggia o mano nella mano per le strade di Madrid, di Barcellona o per Regent Street, e le si strinse quasi il cuore.
Lei non avrebbe mai potuto ambire a tanto.
Deglutì, abbassando lo sguardo e dando di nuovo un sorso alla sua acqua. Si sentiva gli occhi di Michael addosso, ma anche quelli di Blake e Martha che sicuramente la stavano squadrando per carpire qualsiasi accenno di debolezza. Respirò piano e cercò di rilassare i muscoli del viso, ma non ci riuscì molto.
La vista le si era un po’ annebbiata a causa del mal di testa e si sentiva la bocca totalmente arsa, per non parlare di quel disgustoso sapore relativo al pesce.
-Certo, soprattutto quando ti aspettavo fuori ogni negozio che c’era in strada- commentò spicciolo il ragazzo per nulla entusiasmato dal ricordo. Era quello che stava facendo Blake? Giocare con il loro passato per far sentire Sarah in qualche modo inadatta? Benissimo, lui l’avrebbe ripagata con la stessa moneta.
-Da quanto tempo state insieme?- chiese improvvisamente Martha, non permettendo a Blake di replicare alla battuta del fratello.
Sia Sarah che Michael alzarono gli occhi e incontrarono quelli di Martha, intenta ad assaporare con molto gusto la sua coloratissima ordinazione.
Anche Blake guardò con attenzione i ragazzi di fronte a lei, e li trovò inaspettatamente impacciati, quasi restii a parlare di loro.
Sarah guardò prima Michael e poi guardò Martha.
Cosa avrebbe dovuto risponderle? In realtà non sapeva nemmeno lei da quand’è che stavano assieme: era successo tutto molto velocemente. Dalla mostra fino a quel momento il tempo era trascorso velocissimo e lei inaspettatamente si era ritrovata in una relazione con uno dei ragazzi più ambiti e particolari di New York, per non parlare del trascorso all’ospedale.
-Ufficialmente da Dicembre- rispose il ragazzo velocemente, tagliando un pezzo di carne e mettendosela in bocca.
-Ufficialmente?- ripetè Martha alzando un sopracciglio, che moriva dalla voglia di sapere quelle cose da tempo.
-Sì, prima ci siamo frequentati- rispose Michael, non facendo trapelare nulla di quello che stava provando.
Sarah era zitta accanto a lui e stava già pensando al tipo di frequentazione che intendesse Michael e quasi sorrise, dando atto al ragazzo di sapersi districare molto bene in situazioni scomode.
-Prima quando? Da fine settembre fino a novembre sei stato in ospedale- commentò Martha, che da sempre aveva cercato di fare luce su quel mistero, dimenticandosi del tutto di usare un po’ di tatto data la circostanza per cui suo fratello era stato in ospedale.
A quelle parole Michael si irrigidì, tornando a serrare la mascella. Sarah lo vide trattenere il respiro e assumere uno sguardo di ghiaccio, come se volesse fulminare la sorella da un momento all’altro. Avevano deciso di tenere tutti all’oscuro riguardo la faccenda delle visite in ospedale e la mora intuiva il malessere o quanto meno la voglia di riservatezza del ragazzo: quella era una cosa solo loro e anche lei evitava di parlarne con gli altri.
Michael incatenò gli occhi blu in quelli di sua sorella, che a quanto pareva non accennava a ritirarsi sul suo stupidissimo fronte di guerra, e con un tono che Sarah non gli aveva mai sentito usare, disse risoluto -Ti ho detto più volte, che non sono affari tuoi-
Martha fulminò suo fratello con lo sguardo e poi spostò lo sguardo su Sarah. La ragazza si sentì quasi intimidita da quei suoi occhi chiari come il mare e non sapeva nemmeno bene cosa risponderle.
-Spero che con te non assuma questo costante comportamento insolente…- commentò Martha, volendo quasi passare inosservata, attribuendo inconsciamente proprio alla ragazza la colpa per il comportamento di Michael.
-No. Evidentemente non gli dico nulla che lo infastidisce- replicò la ragazza con voce quasi tremante, ma alta abbastanza da farsi sentire da tutti, Michael compreso.
Il ragazzo si girò a guardarla per qualche secondo e le sorrise brevemente, soddisfatto che fosse riuscita a tenere a bada sua sorella per qualche secondo.
Martha alzò di nuovo un sopracciglio in senso di sfida, in quel momento Michael rivedeva troppo sua madre in lei, nel suo sguardo severo e nei suoi lineamenti tirati, e avrebbe scommesso anche che sarebbe scoppiata da un momento all’altro, sbraitando e iniziando a comportarsi da vera stronza.
Per una decina di secondi Sarah ebbe paura, o quanto meno si sentì intimorita dallo sguardo truce della bionda. Martha la stava guardando come se la volesse fulminare, ma per qualche strana ragione la bionda continuò a mangiare in silenzio, pensando a cos’altro avrebbe potuto dire per ferire la ragazza.
-Hai fatto la scuola d’arte?- chiese Blake qualche secondo dopo, ricordandosi di quello che Michael aveva detto qualche minuto prima riguardo la pittura –Qui a Manhattan c’è la Visual Arts-
Sarah sapeva che era rivolto a lei, e le rivolse uno sguardo tra il frustrato e il consapevole.
-Sì, lo so, ma non mi ci sono iscritta. Ho fatto solo il liceo e poi seminari e corsi semestrali- rispose la ragazza sincera che però non voleva dare molte spiegazioni a riguardo.
-Se non sbaglio anche a Princeton c’è il corso di arti visive- fece Blake.
-A Princeton c’è solo Storia dell’arte- replicò Michael spicciolo, che ancora stava guardando la faccia arrabbiata di sua sorella.
-Anche tu andavi a Princeton?- chiese Sarah, giusto per sentirsi un altro po’ più significante.
-Sì- rispose Blake soddisfatta per quella domanda –Ci siamo conosciuti tutti lì-
-Anche tu Economia?- le chiese la ragazza, quasi aspettandosi un sì di risposta, sorvolando sull’ultima parte della frase di Blake.
-No, Relazioni internazionali. Mio padre è ambasciatore- rispose Blake, guardando prima Sarah e poi Michael e accennando un sorriso.
Sarah la guardò quasi con ammirazione e solo allora si rese conto di essere circondata dall’élite di New York, non ché futura classe dirigente della città, e la sensazione che ne derivò fu delle più fastidiose mai provate.
Lei non centrava nulla con Michael, con Martha, con la stessa Blake, con Sam o con Amanda. Non c’entrava nulla con conti bancari da capogiro o con lussuosi viaggi extra continentali o con prestigiose università private.
Se fino a quel momento aveva sempre cercato di reprimere quei pensieri, allora gli erano stati serviti su un piatto d’argento ed era stata messa di fronte all’evidenza della cosa.
La mora guardò la bellissima ragazza di fronte e accennò un sorriso. Deglutì piano e sentì il disperato bisogno di alzarsi, di sciacquarsi i polsi, di respirare aria fresca: si allontanò con la sedia dal tavolo e si alzò un attimo, con la testa e lo sguardo bassi.
-Scusate, vado un attimo in bagno- disse congedandosi.
Michael la guardò e la seguì con lo sguardo fino a quando non sparì dietro il separè della sala. Avrebbe tanto voluto andare con lei e accertarsi che stesse bene, ma se si fosse alzato e l’avesse seguita avrebbe solo peggiorato le cose.
-E’ carina- commentò Blake, quando la ragazza era abbastanza lontano da non essere sentita.
Michael la fulminò con lo sguardo. Aveva anche la faccia tosta di dare giudizi sulla sua ragazza? Lei che più di tutti si era rivelata una poco di buono?
-Carina non è abbastanza per descriverla- replicò Michael, che in quel momento si trovava gli occhi chiari delle ragazze puntati su di lui.
-E comunque tra un po’ ce ne andiamo, quindi chiama il cameriere e chiedi il conto- fece Michael, rivolgendosi a sua sorella questa volta.
-Io non voglio andarmene- replicò Martha –Mi sto divertendo da morire-
Michael guardò in silenzio sua sorella per qualche secondo: quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.
-Ti stai divertendo da morire?!- replicò Michael visibilmente infastidito, con una foga a cui non era preparata nemmeno Blake –Questo per te è solo un passatempo? Ti diverti a ficcanasare nella mia vita privata e a trattare con sufficienza tutte le persone che ne fanno parte? Spero tu sia soddisfatta di questa serata, avresti potuto fare una buona impressione, per una volta ti saresti potuta comportare come una ragazza quasi intelligente, e invece hai fatto la parte della solita stronza che non sei altra. Brava, davvero complimenti- sputò quasi Michael, senza nemmeno guardare Blake, che era davvero l’ultima persona che meritava attenzione.
Martha lo stava guardando con un’espressione corrucciata e severa e non poteva nascondere di sentirsi un po’ in difetto per tutto quello che aveva fatto durante quella serata, ma cocciuta com’era, rimaneva sempre sulle sue.
Michael vide Sarah tornare dal bagno e si alzò intento ad andarsene da quel posto.
-Che succede?- chiese Sarah titubante, guardando prima Michael in piedi ad aspettarla e poi le due ragazze.
-Niente, stiamo andando via- rispose brusco il ragazzo. Non avrebbe voluto risponderle male, ma in quel momento era davvero infastidito, e poi non vedeva l’ora di porre fine a tutto quel siparietto a cui anche lui aveva partecipato.
Sarah lo guardò confusa e prese un respiro profondo. Non poteva nascondere di essere sollevata da quella notizia.
-Oh, ok- commentò, guardando il suo piatto di insalata mezzo pieno e non rimpiangendolo nemmeno un po’. Non fece domande a riguardo, in cuor suo non vedeva l’ora che quella serata finisse.
-Mi ha fatto piacere conoscervi- disse la ragazza con una nota di imbarazzo, salutando le due bionde e seguendo Michael che invece si era già allontanato dal tavolo.
Salutarono il personale e scesero a prendere i cappotti e poi si rimisero in macchina.
Il viaggio di ritorno fu silenzioso, dei più silenziosi che Sarah avesse mai vissuto.
Tutto quel silenzio era quasi assordante e lei in quel momento stava solo cercando di non farsi sopraffare né dalle emozioni, né dal forte mal di testa che non accennava a volersene andare.
Anche Michael era in silenzio, intento a guidare e assorto nei suoi pensieri. Stava aspettando che Sarah dicesse o facesse qualcosa, che gli desse uno spunto ad iniziare l’inevitabile discorso che ci sarebbe stato tra loro, ma la ragazza appariva quasi stanca sul sedile del passeggero, e lui non voleva disturbare il flusso dei suoi pensieri.
La mora aveva gli occhi fissi sulla strada, era tesa ma allo stesso tempo appoggiata con la schiena al sedile di pelle chiara, le sue labbra erano quasi piegate in un’espressione di tristezza e sembrava del tutto impassibile a quello che la circondava.
Dopo un po’ di strada Michael parcheggiò il Suv nero sotto il palazzo in cui abitava la ragazza, e Sarah senza dire niente aprì lo sportello e scese dall’auto, dirigendosi verso il suo portone e intenta a cercare le chiavi per aprire.
Non aveva voglia di parlare. In realtà non aveva voglia di fare nulla e fu quasi sorpresa nel trovarsi Michael dietro le spalle che entrava con lei nell’ascensore.
Il ragazzo la guardò per tutto il tragitto nell’abitacolo. Ne studiò i lineamenti dolci, il naso leggermente all’insù, il mento tondo e gli occhi castani con degli sprazzi di verde. I suoi lunghi capelli scuri ricadevano di lato raccolti nella treccia e lei invece aveva lo sguardo basso, rannicchiata sotto il suo cappotto.
Sarah sentiva gli occhi di Michael su di sé guardarla con insistenza, e si sentì quasi in imbarazzo per quella cosa.
Che stava facendo? Stava notando le differenze tra lei e Blake? Stava notando di come i suoi occhi non fossero verdi e luminosi? O di come il suo fisico non era magro e asciutto o di come i suoi capelli non fossero luminosi e chiari?
Non appena l’ascensore si aprì, Sarah uscì di corsa e si diresse verso il suo appartamento. Michael la seguì in silenzio e si affiancò cercando di aiutarla nel prendere la chiave giusta.
-Ce la faccio da sola- commentò brusca la ragazza, togliendo le chiavi dalle mani del ragazzo e aprendo la porta del suo appartamento.
Il monolocale era illuminato dalla flebile luce dei lampioni esterni e benchè il tutto era avvolto nella penombra era comunque facilmente visibile.
Senza accendere la luce, Sarah si tolse il cappotto e si sfilò le scarpe alte e dopo qualche secondo si slacciò un bottone del vestito per sfilarselo.
Le mani di Michael che la prendevano da dietro e le sbottonavano il resto del vestito sulla schiena la colsero alla sprovvista e fu attraversata da un brivido. Sospirò e non disse nulla, aspettando che il ragazzo finisse. Aveva tante cose da dire, erano moltissimi i pensieri che le occupavano la mente in quel momento, ma il silenzio le sembrava l’unica cosa che potesse trapelare a pieno le sue emozioni.
Michael fini di staccarle i bottoni, poi le abbasso la zip fin sotto al fondo schiena e le allargò il vestito sulle spalle per sfilarglielo.
Anche lui non si sentiva di certo al meglio dopo quella pseudo cena, ma non voleva che sua sorella e la sua ex fidanzata rovinassero almeno quella parte della serata.
Sarah rabbrividì sentendo le labbra del ragazzo sul suo corpo e poi sulle sue spalle, e benchè tutto ciò che le facesse Michael le causava delle inevitabili sensazioni di piacere, quella volta fu diverso. Nel momento in cui il ragazzo la sfiorò, la sensazione di fastidio allo stomaco le ritornò e lei quasi in maniera meccanica si allontanò da lui, lasciandolo al centro della stanza.
-Sarah…- disse piano il ragazzo, cercando di convincerla a non allontanarsi, volendo capire quello che la ragazza stava pensando in quel momento.
Sarah non si girò e con ancora il vestito tutto aperto sulla schiena, iniziò a cercare la felpa con cui di solito dormiva.
-Sarah…- ripetè Michael, quando vide che la mora sembrava non dargli ascolto.
La prese da un polso e la fece girare con forza verso di lui. Non potevano andare avanti così, entrambi a crogiolarsi nei loro silenzi.
Sarah vide il viso di Michael avvolto nella penombra ma ugualmente affascinante e attraente come sempre. I suoi occhi blu quasi brillavano nel buio e Sarah riuscì a scorgere quasi un’espressione di dispiacere.
-Che c’è?- chiese la ragazza, abbassando lo sguardo e iniziando a respirare veloce.
-Io…- iniziò a dire il ragazzo quasi con cautela, senza però lasciare la presa sui polsi della ragazza –Mi dispiace…Per la cena, per mia sorella…-
Sarah con un movimento veloce si slegò dalla presa di Michael e si allontanò da lui diretta verso il letto. Se non ricordava male, la felpa doveva trovarsi sotto al suo cuscino.
-Lo so che sei arrabbiata, ma credimi, non volevo che la cena andasse in quel modo- continuò a dire il ragazzo seguendola.
Anche avvolta nell’oscurità, poteva vedere la pelle nuda della sua schiena sotto il vestito rosa antico, e in quel momento avrebbe solo voluta stringerla a sé, farle appoggiare la testa sul suo petto e farle ascoltare il battito del suo cuore.
-Non sono arrabbiata- replicò Sarah a bassa voce, con un tono piuttosto piatto –Non è di certo colpa tua se sei circondato da persone brillanti, ricche e…bellissime- aggiunse la ragazza, abbassando la voce su quell’ultimo aggettivo, ripensando ancora a Blake e al fatto che fosse figlia addirittura di un ambasciatore, senza considerare il fatto che era splendida in ogni sua parte del corpo.
Michael aggrottò un po’ la fronte a quelle parole e sembrò capire solo dopo qualche secondo.
-Bellissime?! E’ davvero questo il problema? Blake?- chiese il ragazzo, a cui non piaceva nemmeno pronunciare il nome della sua ex.
-E quale dovrebbe essere, secondo te?- replicò Sarah, questa volta un po’ più animata –Io non sono ricca, non sono nessuno, mio padre ha un lavoro umile e non ho studiato a Princeton, per non parlare del fatto che non sembro nemmeno un’attrice di Hollywood- disse, con più foga di quanto volesse. E sì, in quel modo sembrava davvero arrabbiata invece che frustrata.
Michael scosse la testa sospirando. Odiava tutto quello che sua sorella aveva fatto a Sarah, ma lui non ci aveva dato molto peso perché sapeva che bella persona era.
-A me non interessa! Quante diavolo di volte te lo devo dire?- sbottò il ragazzo, forse alzando per la prima volta la voce con la ragazza da quando si erano conosciuti.
-Non ti interessa ora, perché adesso siamo solo io e te, ma se mai inizieremo a mettere in mezzo le nostre famiglie, come credi che mi sentirei? Come credi che mi sia sentita stasera nel sentire parlare di università con una retta astronomica, o di super viaggi dall’altro lato del mondo? Vuoi sapere davvero che cosa ho provato stasera ascoltando Blake, o Martha? Mi sono sentita inadatta, non mi sono sentita abbastanza altolocata per la vostra famiglia perché ho osato mettermi dell’acqua nel calice del vino…- disse Sarah, iniziandosi ad agitare più del dovuto.
Michael stava ascoltando tutto in silenzio e gli tremarono quasi le gambe quando sentì la voce di Sarah incrinarsi per il pianto, ma quando alzò lo sguardo, la ragazza aveva solamente gli occhi lucidi, era riuscita infatti a ricacciare indietro le lacrime.
-Mi sono sentita non abbastanza bella o giusta per te- disse abbassando la voce –Perché non ho luminosi occhi verdi o fluenti capelli biondi…e perché non sono nemmeno così magra- continuò a dire, riducendo la voce ad un sussurro, quasi a non voler essere sentita da Michael, che in quel momento era immobile al centro della stanza, ancora nella penombra.
Il ragazzo sospirò e la guardò nel buio: in quel momento avrebbe tanto voluto mandare al diavolo tutto e stringerla a sé, per sentirla vicino, per farle sentire che a lui non interessava nulla di ciò che stava dicendo, perché lei era già bellissima, in tutte le piccole cose che faceva e che non le serviva di certo un abito firmato o un conto in banca da capogiri per piacerle.
-Sarah…- disse Michael con una voce comprensiva ma allo stesso tempo molto decisa. La ragazza non si girò. Era indecisa se andarsi a spogliare in bagno o sfilarsi il vestito lì davanti a lui, giusto per palesargli maggiormente la differenza tra lei e Blake.
Michael fece un passo avanti e si avvicinò di più a lei allungando una mano.
La ragazza si ritrasse.
-Non mi toccare- disse, allontanandosi nuovamente dal ragazzo. Per quello che contava, il suo silenzio la stava uccidendo, e il fatto che lui non stesse replicando né con ardore né con la minima intenzione di aggiustare le cose, non faceva altro che confermare i suoi pensieri.
Michael si sentì ferito da quelle parole, ma non era mia stato uno che si faceva impressionare o comandare. Si avvicinò di nuovo alla ragazza e questa volta allungò un braccio per prenderla sul serio e si ritrovò attaccato a lei, a pochi centimetri dal suo viso.
Michael le era così vicino che poteva sentire il suo respiro sbattere sulla sua pelle, per non parlare dell’odore di shampoo dei suoi capelli scuri e lucenti.
Le portò una mano dietro la schiena e le prese a massaggiare la pelle nuda, per farla rilassare e calmare.
Sarah rabbrividì sotto il suo tocco, ma cercò di rimanere impassibile. Non sarebbero state di certo due carezze a convincerla del contrario.
-Blake fa parte del passato…- disse Michael improvvisamente, cercando di trovare le parole adatte per far capire alla ragazza quanto lui l’amasse -…E io ho chiuso con il passato. Lo sai…-
-Questo non cambia comunque le cose- replicò la ragazza, che aveva il viso e gli occhi bassi, puntati sul maglione nero di Michael.
-Già, è vero. Ma fidati, non puoi nemmeno immaginare quanto mi senta fortunato ad averti incontrato- continuò a dire il biondo, prendendo Sarah dalle braccia e costringendola ad alzare il viso.
-Tu non te ne rendi conto, ma sei bellissima in ogni cosa che fai, in ogni cosa che dici. Sei bellissima quando sorridi, quando arrossisci, quando dipingi…E non ti rendi nemmeno conto di quanto tu sia bella e speciale…-
Sarah scosse la testa, non voleva sentire quello che Michael aveva da dirle. Non più a quel punto. Era sempre stata convinta di essersi gettata in una relazione ad un solo senso di marcia: il suo, e quella sera ne aveva avuto quanto meno la conferma.
-Non mi interessa nulla degli occhi verdi di Blake se di fronte a me, ho due splendidi occhi castano chiari, che alla luce risplendono e sembrano quasi dorati…- fece Michael, prendendole il viso con due dita e alzandoglielo.
Incatenò i suoi occhi blu in quelli di Sarah a cui tremarono un po’ le gambe quando sentì quelle parole, e continuò a parlare –Non mi interessa di Blake e di quello che pensi di lei- aggiunse con voce risoluta, chinando la testa e avvicinandosi a quella della ragazza.
Sarah era immobile, il fiato corto e le gambe e le mani tremanti. Michael era troppo vicino a lei, e il suo cuore aveva avuto più sussulti durante il suo soliloquio, ma cercò con tutta se stessa di rimanere impassibile a quelle parole.
-La ragazza che amo è una sola e di certo non è lei- disse.
Queste ultime parole furono accompagnate quasi da una eco nella testa di Sarah. Le sembrava quasi che Michael gliele stesse ripetendo all’infinito.
“La ragazza che amo
Ripensò a quelle parole, a quella parola. Era impossibile che Michael l’amasse, non ci credeva nemmeno un po’.
Sarah scosse la testa e fece per indietreggiare, ma Michael non glielo permise.
-Tu non riesci a capire quanto io tenga a te, o quanto ti voglia. Tu non riesci a capire, quanto io desideri te e il tuo corpo in ogni momento della giornata- disse il ragazzo deglutendo, un po’ imbarazzato, forse per la prima volta nella vita, di dire certe cose ad una ragazza.
-E non mi era mai capitato con nessuna, non mi era mai nemmeno capitato di preoccuparmi di far star bene qualcuno- aggiunse –La settimana scorsa, quando siamo stati qui, insieme, io non pensavo a me, pensavo a te, pensavo a trovare un modo di farti stare bene, di farti provare quello che provavo io stando con te. Blake è bellissima, è vero. Mentirei se dicessi il contrario. Ma sei bellissima anche tu e Blake, una personalità come la tua, la tua tenacia, la tua gentilezza, la tua bontà d’animo, può solo immaginarsele, e lì non c’è conto in banca che tenga. Con queste qualità ci nasci, e tu sei migliore di lei, di Martha, perfino di me- disse il ragazzo, per la prima volta completamente messo a nudo di fronte a qualcuno. Stava parlando con il cuore in mano e in quel momento si sentiva vulnerabile, privo di difese. Per la prima volta aveva abbandonato la sua immagine da ragazzo sicuro, malizioso e senza scrupoli e si stava rivelando per quello che in realtà era: un ragazzo profondo, con i piedi per terra e intento a trovare la persona più giusta per lui.
Sarah ascoltò tutto in silenzio. Aveva abbassato lo sguardo, non ce la faceva a guardare Michael negli occhi mentre parlava, ma comunque risultò tutto molto intenso. Stava respirando piano, benché il cuore le stava per esplodere nel petto, e si sentiva frastornata a causa degli eventi, del mal di testa e dalle parole del giovane.
Michael deglutì piano e Sarah gli era così vicino da sentirlo. Il ragazzo aspettò qualche secondo di tempo per permettere a Sarah di chiarirsi le idee e di parlare.
-E’ che…- disse la ragazza, questa volta reprimendo le lacrime a fatica. Non avrebbe voluto piangere, ma i suoi sentimenti per il ragazzo e le impressioni riguardo la cena appena trascorsa la stavano schiacciando –Io non ho nulla da offrirti- iniziò a dire con voce tremante.
Michael aggrottò la fronte e le prese il viso tra le mani, cercando sia di guardarla negli occhi, sia di calmarla in qualche modo.
-Non posso darti nulla che tu già non abbia, non posso farti fare nessuna esperienza che tu non abbia già fatto. Sono solo io, con la mia vita incasinata, con il mio imbarazzo e con i mille problemi che mi faccio su ogni cosa. Io ti guardo e anche se sei la persona a cui tengo di più al mondo adesso, mi ripeto sempre che dovresti ambire a qualcosa di meglio- fece la ragazza.
-Ambire a qualcosa di meglio?!- ripetè incredulo il ragazzo. Ma come solo faceva a pensarle certe cose? –Dio, Sarah ma ti senti quando parli?-
Sarah lo guardò un po’ presa alla sprovvista. Non si aspettava tutta quella foga alle sue parole.
-Che cosa c’è di strano in quello che dico? Sono pensieri legittimi- commentò la ragazza, un po’ imbarazzata.
Michael scosse la testa un po’ adirato. Era davvero quello che pensava? Che avrebbe dovuto trovarsi qualcuna di meglio?
-No, affatto- replicò il ragazzo, questa volta lasciandola andare e allontanandosi di qualche passo da lei –Quindi secondo te dovrei frequentare le persone che mia madre e mio padre mi sbattono in faccia da una vita, è questo che mi stai dicendo?-
Sarah sospirò –No, non ti sto dicendo questo-
-A me sembra proprio questo, invece. Preferiresti vedermi con una ricca ereditiera che magari sta con me solo per aumentare il suo patrimonio? E solo perché tu hai troppa paura di ammettere che ci tieni a me?- chiese il ragazzo. Non era arrabbiato, però era infastidito da quella cosa. Erano già troppe le persone che avevano il controllo sulla sua vita, e proprio allora che ne aveva trovata una che gli permetteva di fare tutto ciò che voleva e con cui stava bene, lei voleva decidere per lui?
-Io non ho paura di dire che ci tengo a te- replicò Sarah a voce bassa.
-Sì invece- fece Michael, che sembrava aver centrato a pieno il problema di Sarah –Tu hai paura di lasciarti andare, hai paura di affezionarti a qualcuno, hai paura che qualcuno riesca a vedere quello che davvero c’è di speciale in te, solo perché non vuoi soffrire, solo perché così ti sentiresti vulnerabile- disse Michael risoluto. Non aveva mai parlato a nessuno in quel modo, ma davvero avrebbe voluto far capire a Sarah che lui avrebbe preferito lei a tutti gli altri.
Sarah ascoltò tutto in silenzio e gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime al sentire quelle parole. Michael era riuscito a capire cosa la spaventava di più di ogni altra cosa al mondo, e contemporaneamente le stava cercando di far capire quanto invece tenesse a lei. Il cuore non accennava a diminuire il suo battito, sembrava le stesse galoppando a tutta velocità nel petto e lei per qualche secondo rimase zitta, nell’attesa i trovare delle parole adatte da dire.
-Puoi biasimarmi?- chiese Sarah con una voce ridotta ad un sussurro.
-No, ma posso farti capire che non devi avere paura di aprire il tuo cuore a qualcuno. Non devi avere paura di aprire il tuo cuore a me- fece il ragazzo avanzando di nuovo verso di lei.
Era ancora buio nella stanza ma le figure dei due erano illuminate dalle luci dei lampioni all’esterno, e forse era anche quella la ragione per cui Sarah riusciva a dire quelle cose. Non vedeva Michael nitidamente, poteva solo scorgerne i lineamenti generali. Probabilmente se fosse stata costretta a guardarlo negli occhi, non ce l’avrebbe mai fatta.
La ragazza sospirò, cercando di calmare il respiro e il tremore alle gambe: lei aveva già aperto il suo cuore al ragazzo, ed era quella la cosa che più la spaventava. Michael era entrato nella sua vita dal momento esatto in cui l’aveva visto per la prima volta su quel letto d’ospedale, e nell’esatto momento in cui le aveva sfiorato la mano, mentre era ancora in coma, aveva capito che non vi avrebbe più rinunciato.
Michael si avvicinò di nuovo, prendendola dai fianchi e avvicinandosela a sé. Con una mano le prese il viso e la fece appoggiare sul suo petto.
Sarah sentiva il freddo pizzicarle dietro la schiena, aveva ancora indosso il vestito della serata slacciato, ma non se ne curò e si lasciò cullare per qualche istante dal rumore dei battiti cardiaci del ragazzo.
-Per favore, possiamo dimenticarci di questa serata? Dimenticati di mia sorella, di Blake e di tutto quello che è successo. Facciamo finta che la nostra serata inizi ora…- disse il ragazzo a bassa voce, solleticandole con il fiato l’orecchio.
Dimenticare? Sarebbe stato molto difficile farlo per Sarah, ma si sarebbe sforzata. Odiava che tra lei e Michael ci fosse tutta quella tensione e soprattutto non voleva che la causa del loro litigio fossero degli estranei alla loro storia piuttosto che loro stessi.
La ragazza fece cenno con la testa e poi rimase qualche altro secondo tra le braccia del biondo. Si sentiva bene, stretta nel suo abbraccio, quasi protetta e serena, per non parlare del fatto che adora il profumo di Michael, soprattutto quando poi le rimaneva addosso.
Michael le portò le mani dietro la schiena e le diede un bacio in fronte.
-E’ meglio che ti rivesti, inizia a fare freddo- commentò il ragazzo, aiutandole a sfilare il vestito e facendo vagare per qualche istante gli occhi sul corpo della ragazza.
Sarah sentì il vestito scivolare a terra e poi fu colpita da un’ondata di freddo che le fece venire la pelle d’oca. Notò Michael sostare di fronte a lei e guardarla senza nulla addosso, solo con le calze velate e il completo intimo color cipria che indossava, e sentì le guance andare a fuoco. Non voleva sapere cosa Michael stava pensando di lei in quel momento, soprattutto se stava facendo un paragone tra lei e Blake, così si girò e si infilò la maglia della felpa, poi si sfilò delicatamente le calze e indossò un pantalone morbido per la notte.
Ripose il vestito in maniera ordinata sulla spalliera del divano, tutto sotto gli occhi vigili e attenti di Michael, che invece si trovava ancora al centro della stanza, immobile e avvolto dalla penombra.
Sarah gli rivolse uno sguardo veloce e lo trovò intento a fissarla come mai aveva fatto fino a quel momento e la mise quasi in soggezione. Per cercare una fonte di distrazione iniziò a slegarsi la treccia, ma fu allora che Michael le si avvicinò e la bloccò nuovamente.
Senza dire una parola, prese le mani della ragazza tra le sue, e poi delicatamente prese a scioglierle la treccia e a passarle le mani tra i capelli lunghi e morbidi per smuoverli.
Dopo che ebbe finito, glieli risistemò di nuovo, facendoli cadere in avanti sul petto, e senza mai smettere di massaggiarle la nuca e di intrecciare le sue dita tra i suoi capelli, disse con voce bassa –Sai che adoro quando porti i capelli sciolti…-
Sarah sospirò e girando lievemente la testa, gli lasciò un bacio sul polso e poi si diresse verso il suo armadio.
-C’è un tuo completo per la notte nell’armadio. Te lo prendo- fece la ragazza, ancora un po’ imbarazzata e spossata dalle parole del ragazzo.
-No, non ce n’è bisogno- rispose il ragazzo avvicinandosi a lei e tirandola verso il letto –Non rimango a dormire, domani devo andare in banca- aggiunse, aprendo le coperte e facendo sedere Sarah sul letto.
La ragazza fraintese e con un po’ di imbarazzo accompagnato da un improvviso rossore delle guance, disse –Michael, non mi va molto…dopo quello che è successo non sono in vena-
Il ragazzo la guardò confuso. Che cosa voleva dire?
-Non sei in vena di dormire?- chiese il biondo con tono quasi ilare.
Sarah aspettò qualche secondo prima di rispondere. Che cosa stava facendo? La stava confondendo.
-Tu non vuoi…insomma…- iniziò a dire Sarah imbarazzata, fraintendendo le intenzioni di Michael.
A quella frase balbettata il ragazzo non riuscì a non trattenere una risata.
-Non avrai davvero pensato che dopo questa disastrosa serata e con il tuo umore adatto ad un funerale, voglia fare sesso?- chiese il ragazzo, quasi stupito dal fatto che Sarah avesse potuto intendere una cosa del genere –Non credevo mi facessi così perverso-
Sarah si sentì avvampare per l’imbarazzo e cercò di rimediare in qualche modo, anche se non riusciva a non balbettare –Ehm, no…è che…mi hai detto che non ti serviva il pigiama e hai aperto le coperte…io non volevo…-
Michael trattenne una risata e spinse Sarah nel letto, avvolgendola tra le coperte.
-Sì, certo!- commentò sorridendo –E comunque per la cronaca, volevo solo metterti a letto- fece il ragazzo, chinandosi su di lei e dandole un bacio sulla guancia.
Sarah sentì l’umido delle sue labbra contro la sua pelle e per un attimo il punto in cui Michael le aveva dato il bacio, le bruciò intensamente.
Il ragazzo si alzò e fece il giro del letto, togliendosi le scarpe e sdraiandosi sulle coperte accanto a Sarah.
-Rimarrò qui fino a quando non ti sarai addormentata- sussurrò nell’orecchio della ragazza, solleticandoglielo con le labbra. Si sporse di più e appoggiò il mento sul collo della ragazza e poi la abbracciò, percependo anche da sotto la coperta le sue forme femminili. Le diede qualche bacio spaiato sulla pelle nuda visibile e poi prese ad accarezzarle la schiena e i capelli.
Sarah all’inizio cercò di resistere alla sensazione di stanchezza e spossatezza, ma poi le mani dolci e leggere di Michael la fecero rilassare a tal punto che il sonno prese il sopravvento, catapultandola nel bel mezzo dell’oscurità.

 
***
Ciao stelline!! Finalmente anche questo capitolo è arrivato! Lo so, c'è stato un po' di ritardo, però capitemi, ho fatto il mio penultimo esame e quindi ora sono a -1!!!! 
vabbe, felicità universitarie a parte, questo è il 23° capitolo, che davvero, credetemi quando vi dico che è stato un parto da scrivere! Sarà perchè mi dispiaceva di scrivere di Sarah e Michael in questo modo, ma davvero non ce la facevo ed è anche per questo motivo che la scrittura si è protratta così tanto a lungo! 
Per prima cosa devo fare dei ringraziamenti generali: 
Anestesia è preferita da 61 persone ed è seguita da 100! Cioè 100 persone!!! Non potrei essere più soddisfatta di così! 
Ringrazio ovviamente tutti i recensori della storia, con cui sto instaurando davvero un bel rapporto di amicizia e ne vado molto fiera, e poi ammetto che senza di voi non avrei mai continuato la storia fino a questo punto, quindi siete parte della stesura di Anestesia! 
Per quanto riguarda il capitolo, non mi soffermo molto, la situazione è quella che è, e spero di essere riuscita a descrivere i sentimenti e le impressioni di Sarah, ma anche quelli di Michael, che poverino, anche lui sta affrontando per la prima volta una cosa del genere, quindi si sente a disagio quasi quanto Sarah. 
Posso dirvi che i capitoli successivi saranno un po' più hot del solito (:S) ma sempre in maniera moderata ovviamente e andranno a concludere la seconda parte della storia, per aprire quella finale che invece avrà un risvolto del tutto diverso, molto simile ai capitoli iniziali (che sono da sempre i miei preferiti) -questo ovviamente non significa che Michael sarà di nuovo in coma-.
Detto ciò posso solo darvi appuntamento alla settimana prossima con il 24 capitolo, in cui torneranno un bel po' di personaggi amati! 
Lasciatemi una recensione e fatemi sapere quello che pensate! 
Un bacio! 
xoxo
M.

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Capitolo 24
*** 24-25 ***


Come ho già scritto sulla mia pagina di Facebook, per farmi perdonare per il fatto che siete stati più di un mese senza aggiornamento ho deciso di pubblicare un doppio capitolo: dunque questo aggiornamento contiene il 24° e il 25° capitolo della storia! Li troverete entrambi qui di sotto con le dovute divisioni! 
Grazie per la pazienza e per tutto l'interesse dimostrato! 
Buona Lettura!
 

24

 
20 Gennaio 2014
 
Era parecchio tempo che Sarah non passava un po’ di tempo nel caffè letterario di Jonathan. Era vero, ci era passata qualche volta nelle settimane precedenti per vedersi velocemente con Michael, ma non era stato del tutto soddisfacente: ci aveva passato sì e no venti minuti e poi,  prima per una ragione e poi per un’altra, se n’era subito andata.
Era un’ora del pomeriggio piuttosto tranquilla, per le strade non c’era tantissimo traffico e nemmeno il bar era strapieno, indice del fatto che probabilmente gli studenti non erano ancora usciti da lezione.
Il locale era pieno per metà, e Jonathan aveva riservato a Sarah il suo solito tavolino rotondo sotto la grande finestra che dava sulla strada principale su cui si affacciava.
Sarah entrò nel locale e rivolse un saluto gentile alla signora Gale dietro la cassa, intenta come sempre a dare il resto e a contare le mance, fece segno a Jonathan e il ragazzo le si avvicinò sorridente.
-Sarah!- esclamò il ragazzo, andandole incontro e dandole un abbraccio sincero.
-Ciao, Jonathan- gli fece eco lei, scostandosi una ciocca di capelli davanti agli occhi –Come stai?-
Il profumo di brioche e caffè le inebriò le narici nel momento esatto in cui varcò la soglia di ingresso, e il suo stomaco produsse un brontolio sommesso.
-Benone! Vieni, ti accompagno al tavolo. Karen non è ancora arrivata- fece il giovane dai capelli corvini.
-Immaginavo- commentò la giovane, togliendosi il borsone del ricambio a tracolla. Aveva fatto in fretta e furia a lavoro per poter arrivare in orario e Karen era ovviamente in ritardo. Avrebbe dovuto dare più ascolto alla sua voce interiore che le diceva di fare tutto con più calma.
Appoggiò il borsone sulla sedia e si sedette al suo solito posto con vista sulla strada, qualche secondo dopo girò la testa e rivolse lo sguardo verso il punto su cui di solito esponeva i suoi quadri.
Il posto su cui era appeso il quadro che aveva dato a Michael in quel momento era sgombro, e rivelava il colore avano scuro della parete, mentre gli altri piccoli quadretti di paesaggi, nature ed elementi astratti erano al loro solito posto.
-Dimentico sempre di portarti un altro quadro da mettere al posto del precedente. Non mi piace tutto quel vuoto su quella parete!- fece la ragazza, accennando un sorriso e incontrando gli occhi cervone di Jonathan.
Il ragazzo sorrise gentile e rispose nella sua solita maniera educata e pacata.
-Non c’è problema, quando hai tempo e voglia…Il posto tanto è sempre quello-
-Sai, ultimamente ho dato ad una signora un quadro che rappresentava una campagna di Dublino. Avrebbe dovuto piacerti, aveva un qualcosa di impressionistico…- commentò la ragazza sorridendo.
-Mmm, allora dovrei farmi lasciare un autografo sul tovagliolo da questo moderno Monet- esclamò una voce vispa e squillante alle loro spalle. La ragazza spostò con foga ed esuberanza la sedia e vi si lasciò cadere con molta poca grazia.
-Karen! Sei arrivata finalmente- fece Jonathan, mandandole una veloce occhiata imbarazzata.
-Oh, suvvia, ho fatto solo dieci minuti di ritardo!- esclamò la ragazza in sua discolpa. I lucenti capelli biondi le incorniciavano il viso, ricadendo svolazzanti sulle spalle e su parte del petto. Rivolse un sorriso a Jonathan e poi si rivolse a Sarah.
-Da quand’è che sei qui? Ammetti che sei appena arrivata anche tu!- fece la ragazza, facendo vagare i suoi luminosissimi occhi verde acqua sulla ragazza.
-Sì, non è molto che aspetto- rispose Sarah a cui non andava per nulla di battibeccare sul ritardo.
Karen assunse un’espressione di vittoria e poi si girò verso Jonathan che la stava guardando ancora un po’ imbambolato. Era da parecchio tempo che non vedeva la biondina e ogni volta che la incontrava, gli sembrava diventasse sempre più bella.
-Benissimo! Ordiniamo?- chiese Karen, sfilandosi il cappotto e sistemando la sua borsa sulla sedia.
Gli altri due ragazzi annuirono e qualche secondo dopo Jonathan andò via con il suo taccuino, rileggendo le ordinazioni delle ragazze.
-Allora! Da quanto tempo! Tu devi raccontarmi un po’ di cose!- esclamò la bionda, incatenando i suoi occhi in quelli della ragazza di fronte.
-Abbassa la voce!- la esortò Sarah guardandosi attorno –Ci sentono tutti!-
-Oh, chissenefrega! Allora? Tu e Abercrombie?- chiese. Era da un’eternità che moriva dalla voglia di fare quella domanda.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
-Non è che vuoi sapere prima come sto, dato che non ci vediamo da un mese?- chiese ironica Sarah, notando come l’amica fosse perfettamente truccata già a quell’ora del pomeriggio. Allora che la guardava meglio era vestita piuttosto bene, con una camicia chiara, ornata da qualche plissette argentata.
-Siamo state più di un anno e mezzo senza sentirci, cosa vuoi che sia un mese a confronto? E comunque so che stai bene, te lo si legge in faccia- rispose Karen spallandosi sulla sedia.
-Addirittura?- fece Sarah, guardando un po’ annoiata il menu. Non appena Jonathan sarebbe ritornato con le ordinazioni, gliel’avrebbe ridato.
-Certo, non hai più la tua solita espressione triste e malinconica, sorridi, sei sempre meno di cattivo umore…Stai decisamente bene- commentò con ovvietà la bionda.
Sarah si sentì le guance un po’ arrossarsi. Era davvero quella l’impressione che aveva fatto alla gente fino a quel momento? Sempre arrabbiata e insofferente?
Sarah fece per parlare, ma fu interrotta da Jonathan che aveva portato le cose da bere.
-Caffè latte con la schiuma e cannella per te- fece il ragazzo, intromettendosi timidamente fra le due e rivolgendosi a Sarah.
-Grazie- esclamò la mora, avvicinandosi la tazza calda.
-E questa tisana allo zenzero, limone e cardamomo per te- aggiunse Jonathan, porgendo la tazza alla bionda e rivolgendole un sorriso imbarazzato. Per qualche secondo i loro occhi si incontrarono e Jonathan sentì lo stomaco attorcigliarsi e fare una capriola.
Karen gli rivolse un mega sorriso dei suoi, e i suoi denti bianchi e luminosi risaltarono ancora di più a causa del rossetto corallo che portava.
Jonathan abbassò la testa imbarazzato e con il vassoio ancora in mano, mise sul tavolo due brioche appena sfornate, calde e fumanti.
-Queste ve le manda mia madre- fece il ragazzo, abbassando lo sguardo per non incontrare gli occhi chiari di Karen –Le offre la casa- aggiunse, rivolgendosi a Sarah, con cui aveva sicuramente molta più confidenza.
La mora gli rivolse un grande sorriso e Karen esclamò qualcosa circa il buono odore che quelle brioche emanavano. Jonathan guardò di sfuggita nuovamente Karen e poi tornò dietro al bancone, prendendo atto di come il locale stava iniziando a riempirsi.
Sarah lo seguì con lo sguardo fino a quando non arrivò dietro la sua solita postazione, poi guardò Karen di fronte a lei e sorrise leggermente.
-Credo che dovresti venire qui un po’ più spesso- fece la mora, porgendo il piattino con i dolci verso l’amica.
-Mmm, certo- biascicò Karen, assaporando già la pasta morbida e calda della brioche
–Questa brioche è la fine del mondo! Tu la mangi vero? Perché se non la vuoi puoi darla a me!- esclamò la bionda.
Sarah la guardò un po’ insofferente. Perché certe persone erano così fortunate metabolicamente parlando?
-Sì, dai- replicò Sarah, vinta dal gustoso e intenso aroma del dolce di fronte a lei –Fanculo alla dieta- aggiunse, staccando un pezzetto con le mani e mettendoselo in bocca –E comunque- disse ancora –Mi stavo riferendo a Jonathan, credo tu gli piaccia-
Karen si fermò un attimo, smettendo di masticare e alzando gli occhi verso l’amica.
-Cosa?- chiese lei scettica, rimanendo quasi impassibile.
-Sì, insomma, lui è sempre molto intraprendente, mentre prima sembrava quasi in soggezione nello starti accanto- argomentò Sarah, rivolgendo lo sguardo verso il ragazzo in questione, che in quel momento stava servendo dei cupcake al bancone.
-Ehi, non ti girare!- esclamò qualche secondo dopo la mora un po’ troppo ad alta voce.
Karen si era praticamente girata sulla sedia, intenta a guardare Jonathan da lontano.
-Beh, non è male adesso che lo vedo meglio- commentò la bionda, ripensando alle parole di Sarah e soffermandosi un attimo a scrutare la figura del giovane.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo.
-E’ un bravo ragazzo, questo potrebbe già bastare a convincerti- disse Sarah, dando un sorso alla bevanda calda.
Karen soffocò una risatina malefica e maliziosa: l’amica era decisamente sempre troppo buona e caritatevole.
–Anche Michael è solo un bravo ragazzo? E’ per questo che ci esci insieme? Perché è gentile?- chiese la bionda, ironizzando e ammiccando maliziosamente.
Sarah trattenne un sorriso imbarazzato. Perché tutti dovevano sempre parlare di Michael? Se il ragazzo l’avesse saputo probabilmente si sarebbe inorgoglito ancora di più.
-Che centra lui adesso?- chiese Sarah, cercando di sviare il discorso.
-Stavamo parlando di te e lui prima, no?- fece Karen, atteggiandosi da ragazza civettuola e finendo la sua brioche.
Sarah sospirò, consapevole del fatto che avrebbe dovuto parlare con Karen di una cosa successa negli ultimi giorni.
-Mi ha invitato a casa sua negli Hamptons- ammise la ragazza velocemente, un po’ affranta e anche insofferente all’idea di quello che le aspettava durante il fine settimana.
-Wow, ha una casa negli Hamptons? E’ grandioso!- disse Karen, accorgendosi però che il suo entusiasmo non era affatto condiviso dall’amica -E questo è un problema?- chiese qualche secondo dopo, titubante riguardo l’umore di Sarah.
-Non lo so- fece lei, sentendosi un po’ imbranata a parlare di certe cose. Solitamente non amava condividere dettagli della sua vita, però la recente conversazione avvenuta con Michael e lo scorso incontro con la sorella e l’ex ragazza, l’avevano un po’ resa disincantata.
-C’è questa ennesima festa a casa sua, a cui andrà tutta l’élite di New York, per non parlare del fatto che ci sarà di nuovo tutta la sua famiglia a cui mi vuole presentare. Credo di non essere pronta…- disse la ragazza, lasciando metà della sua brioche nel piatto.
Karen la guardò di sbieco, cercando di capire perché per Sarah quella cosa fosse effettivamente un problema.
-E’ normale essere nervosi all’idea di incontrare i genitori del proprio ragazzo- fece la bionda –Ma non ci vedo nulla di male…Ne hai parlato con lui?-
Sarah sospirò, ripensando alla disastrosa serata con Martha.
-No ma…cioè in realtà sì, ma lui ci tiene, ha insistito…- iniziò a balbettare Sarah che si sentiva le guance arrossate per l’imbarazzo. Michael l’aveva chiamata in mattinata mentre lei era a lavoro e le aveva dato quella notizia flash che l’aveva letteralmente sconvolta.
“Ti va un week end negli Hamptons?” le aveva chiesto sornione, come solo lui sapeva fare.
-E poi ci sarà di nuovo sua sorella a cui non credo di stare simpatica, probabilmente ci sarà di nuovo anche la sua bellissima ex ragazza e tutti avranno l’attenzione su di me, saranno lì solo per giudicarmi e non voglio sentirmi perennemente osservata da loro- ammise la ragazza, che avrebbe trovato sicuramente grandiosa la gita fuori porta solo se fossero stati lei e Michael da soli.
-Ehi, ehi, ehi! Calmati! Per prima cosa, chi sarebbe questa ex bellissima? E poi, ricordi cosa mi ripetevi sempre al liceo quando andavo in paranoia?- chiese Karen, che agli occhi di Sarah si stava rivelando davvero comprensiva.
-No, cosa?- fece la ragazza, che sembrava essere andata totalmente in tilt.
-“Karen, sai cosa scriveva Shakspeare nel monologo dell’Amleto?!”- disse la ragazza, imitando la voce di Sarah e le sue movenze.
Sarah rise di gusto, ricordandosi della citazione in questione e continuandola lei stessa.
-“Il pensiero inibisce l’azione”-
-Esattamente!- replicò Karen, avvicinandosi il piattino con la brioche di Sarah e addentandolo con molta grazia. La mora la guardò per qualche secondo trattenendo un sorriso e poi ritornò ad ascoltarla con attenzione.
-Perché non ti butti e basta? Devi smetterla di stare a pensare e a ripensare a delle situazioni che potrebbero metterti in difficoltà. Sei una brava ragazza, sei onesta e per quello che posso vedere, a Michael ci tieni. Qual è il problema?- chiese Karen sincera e con ovvietà.
Sarah la ascoltò in silenzio, prendendo atto di come l’amica avesse effettivamente ragione, ma ancora titubante a riguardo. Era più forte di lei, non riusciva a non pensare e a non farsi problemi su ogni cosa.
-Non so, mi sento a disagio all’idea di essere lì con lui, in mezzo a persone che non conosco e che probabilmente spendono in un giorno quello che io guadagno in un mese…- rispose la mora, abbassando lo sguardo.
-Hai detto bene, sarai lì con lui. Non sei sola. E poi Michael lo vedo piuttosto intelligente e non ti metterebbe in situazioni assurde solo per il piacere di farlo. Evidentemente lui crede che ce la puoi fare. E per favore, smettila di frenarti! Come hai detto prima, lui è un bravo ragazzo, e il fatto che sia ricco e terribilmente bello di certo non guasta. Hai aspettato tanto tempo prima di trovare qualcuno che facesse al caso tuo, non rovinare tutto solo perché hai paura- rispose la bionda, che in quei cinque minuti di conversazione si era rivelata molto più profonda di quanto non desse a vedere.
Sarah alzò lo sguardo e incontrò i vispi occhi verde acqua di Karen. Sospirò e le rivolse un sorriso sincero e imbarazzato.
-Ci proverò- commentò solamente. Non era molto abituata a ricevere consigli e soprattutto a confidarsi, e allora che l’aveva fatto si sentiva un po’ strana.
-Gli unici problemi che ti dovrai fare in questi giorni dovranno riguardare solo i vestiti e i completini intimi che dovrai indossare la sera. Urge un po’ di shopping!- esclamò Karen.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, riconoscendo in lei le solite parole briose e maliziose. No che non avrebbe fatto shopping, soprattutto per comprare completini intimi.
-Infatti ora che ci penso dovrò decidere cosa mettermi- commentò solo la ragazza, spallandosi sulla sedia.
 
 
23 gennaio 2014
 
Sarah richiuse la cerniera del borsone e nervosa diede un’occhiata all’orologio appeso sopra la cucina. Michael sarebbe arrivato a momenti e lei era tutto un fascio di nervi. Alla fine aveva accettato l’idea di partecipare a quella specie di Gala nella sua villa fuori New York e si era appena finita di sistemare. Si diede un’occhiata fugace nello specchio accanto all’armadio: tutto sommato non stava male, ed era piuttosto elegante.
Aveva optato per una gonna nera a tubino e una camicia avorio con dei ricami particolari, non molto elaborata, ma elegante al punto giusto, aveva indossato delle scarpe alte nere, delle calze velate scure e aveva lasciato i capelli sciolti, ricadenti in ciocche sul petto.
Gli occhi erano contornati da ombretto scuro e matita, mentre aveva deciso di lasciare le labbra al naturale in modo da non appesantire ulteriormente il trucco.
Si guardò per qualche altro momento nello specchio, poi prese il cellulare con la borsa, il borsone con i vestiti che avrebbe indossato nel week-end e uscì di casa.
Avrebbe aspettato Michael nel portone: non ce la faceva ad aspettare ancora a casa senza far nulla.
Nel tragitto passato in ascensore chiamò sua madre, avvisandola che sarebbe stata impegnata durante tutto il fine settimana e che l’avrebbe chiamata direttamente lei non appena avrebbe avuto un attimo di tempo. Stranamente sua madre annuì senza fare domande, mettendo per la prima volta da parte tutte le domande inquisitorie che era solita farle quando non si faceva reperire per qualche giorno.
Uscì dall’ascensore e si mise ad aspettare nell’androne del portone in compagnia del portinaio.
Michael arrivò qualche minuto più tardi nel suo Suv nero nuovo di zecca e le fece uno squillo al cellulare. In pochi secondi uscì dal portone e procedette verso la macchina ferma per strada, ma quando Michael si accorse che Sarah stava portando un borsone più o meno grande appeso alla spalla, scese e si propose di aiutarla.
-Non ce n’era bisogno- fece la ragazza in segno di protesta, quando il ragazzo si sporse verso di lei e le prese il borsone.
-Guarda che io sono un gentil uomo, è d’obbligo che ti venga ad aiutare- fece il ragazzo, lanciandole uno dei suoi soliti sguardi piacioni.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, ma trattenne un sorriso compiaciuto. Si sentiva un po’ strana a passare di nuovo parecchio tempo da sola con lui dopo la loro cena disastrosa. L’eco delle parole che Michael le aveva rivolto era ancora vivido nella sua mente e doveva ammettere che non l’avevano lasciata indefferente.
Michael la guardò di sfuggita notando in prima battuta le scarpe alte che la slanciavano e che gli permettevano di guardarla giusto negli occhi, senza che si chinasse, e poi notò il trucco scuro sulle palpebre, che assieme ai capelli sciolti e ricadenti le davano un’aria decisamente sexy.
Sarah non fece in tempo a rispondergli, che improvvisamente sentì le mani di Michael che la tiravano e che avvicinavano il viso al suo. All’iniziò si irrigidì colta alla sprovvista da quel bacio, ma poi quando riscoprì il sapore delle labbra di Michael sulle sue, quando riscoprì il loro calore e il loro movimento lento e delicato, si sciolse e rispose, seppur con un po’ di timidezza, a quel contatto.
Per qualche secondo si baciarono per strada, assaporandosi di nuovo a vicenda, poi Michael si staccò per prendere fiato, totalmente colpito dall’aspetto della ragazza.
-Sei…bellissima- le disse sorridendo, passandole un pollice sulla guancia e accarezzandola dolcemente. Non l’aveva mai vista con quel trucco così provocante, le dava un’aria dark, più matura e più sicura.
Sarah arrossì, abbassando un po’ lo sguardo ma trattenendo un sorriso.
-Grazie- fece a bassa voce, accettando per la prima volta un complimento.
Cos’era che le aveva detto Karen? Di smettere di farsi problemi? Beh, accettare un complimento era un piccolo passo per la riuscita di quella cosa.
Anche Michel era molto bello quella sera: aveva i capelli pettinati e ordinati, tirati un po’ all’indietro diversamente da come era solito portarli, e stava molto bene, per non parlare del fatto che sul viso aveva un alone di barba che lo faceva sembrare decisamente più uomo.
Sarah gli portò una mano sul mento e sentì sotto i polpastrelli i peli ispidi della barba e accennò un sorriso.
-L’ho fatto a posta, mia madre impazzirà quando vedrà che non mi sono fatto la barba- commentò divertito il ragazzo, aprendo la portella della macchina a Sarah e facendola entrare. Mise nel porta bagagli la borsa della ragazza e poi salì alla guida.
-Perché?- chiese la ragazza, irrigidita non appena il pensiero di presentarsi ad Amanda le ritornò in mente.
-Lei odia quando non mi rado. Secondo lei sembro un criminale quando porto la barba- rispose il ragazzo sorridendo, attratto dalle gambe scoperte di Sarah, ma cercando di comportarsi da persona sana di mente.
Sarah al sentire quella spiegazione rise di gusto.
-Un criminale? Addirittura?- fece la ragazza –Allora mio padre che sarebbe, un galeotto appena uscito di prigione?- aggiunse, pensando al solito barbone di suo padre, che di certo era molto più vistoso della leggera barba che Michael portava quella sera.
Michael soffocò una risata e poi partì, ripensando ancora a che faccia avrebbe fatto sua madre una volta che l’avrebbe visto in quelle condizioni tra gli invitati.
Qualche minuto più tardi si ritrovarono già sull’Atlantic Avenue, pronti a prendere l’uscita per gli Hamptons.
-Ci è andata bene- commentò Michael guardando l’ora sul cruscotto della macchina –Non abbiamo trovato molto traffico-
-Quanto ci vuole per arrivare?- chiese Sarah.
-Quasi due ore se non c’è molto traffico- rispose il ragazzo, che aveva percorso quella strada centinaia e centinaia di volte –Sei mai stata negli Hamptons?- chiese poi.
-Mmm, no- rispose Sarah. Gli Hamptons erano praticamente un luogo di villeggiatura per Newyorkesi benestanti, e lei non aveva di certo mai avuto una villetta estiva in cui andare durante i fine settimana.
-Mmm, allora domani ti farò fare un giro del complesso, è carino in fondo- fece il ragazzo, alzando ancora di più il riscaldamento nella macchina –Ci sono campi da golf, yacht club, negozi…-
Sarah sembrò quasi boccheggiare, ok, che fuori c’erano sì e no due gradi, ma lì dentro ce ne dovevano essere almeno venticinque.
-Che succede?- chiese Michael guardandola di lato, notando di come le sue guance si fossero colorate di rosso.
-Niente è che ho un po’ caldo…- rispose la ragazza, aprendosi i bottoni del cappotto.
-Se hai caldo, spogliati- fece il ragazzo, girando la testa e soffermandosi a guardarla. Lui l’aveva già fatto da un pezzo, rimanendo solo in giacca e camicia.
Sarah annuì con la testa e nel frattempo Michael abbassò un po’ il riscaldamento.
La mora si sfilò il cappotto e lo mise sul sedile di dietro, sporgendosi e sollevandosi un po’ sul sedile.
Michael la guardò per qualche secondo, notando la gonna aderente e la camicia chiara, che le metteva decisamente in risalto le curve,  sbottonata fino a metà del petto.
Serrò la mascella cercando di rimanere concentrato sulla strada piuttosto che sulla sua ragazza, preso da un improvviso batticuore. Deglutì cercando di mascherare i pensieri decisamente impuri che stava avendo in quel momento e poi disse con voce piatta –Va meglio?-
-Sì, ora sì- rispose la mora, che si portò i capelli tutti verso un lato. Si appoggiò con un braccio al finestrino e iniziò a scrutare il paesaggio che avevano attorno, colorato da intensi colori rossastri e arancioni a causa della luce del tramonto. Le era sempre piaciuto andare in macchina e guardare i paesaggi al di fuori.
-E’…è bella questa camicia. E’...è nuova?- commentò a bassa voce il ragazzo, rimanendo con lo sguardo fisso davanti a sé.
Sarah aggrottò la fronte e si girò verso di lui cercando di capire a cosa era dovuto quel commento.
-No, ce l’ho da qualche anno. Secondo te va bene per stasera? Non ho mai partecipato ad una serata come questa e ho optato per qualcosa di elegante-
Michael la guardò di nuovo di sfuggita, cercando di non soffermarsi troppo sullo spacco del seno, o sulle sue gambe fasciate da quella gonna aderente.
-Ehm…sì, certo che va bene- commentò il ragazzo, che in quel momento avrebbe voluto fare tutto tranne che guidare. Probabilmente se avesse dato ascolto al suo istinto, in quel momento avrebbe accostato nella prima piazzola di sosta e avrebbe iniziato a spogliarla, ma fortunatamente per lui stava guidando, e avrebbe potuto nascondere queste sue voglie almeno per un altro po’.
-Sei sicuro? Ho portato anche un vestito, ma davvero, non so che abbigliamento sia più indicato in queste occasioni- commentò la ragazza, che si soffermò solo allora ad analizzare la figura di Michael e il suo abbigliamento: indossava un completo con giacca e pantaloni neri, camicia bianca e addirittura la cravatta. Ovviamente ai suoi occhi era perfetto, per non parlare del fatto che quella barba era decisamente sexy.
Quando Sarah si accorse che Michael non la stava ascoltando, si girò di nuovo a guardalo.
-Ehi, che c’è? Perché non dici nulla?-
-Mmm?- chiese il ragazzo, riprendendosi dai suoi pensieri –Che c’è?-
-Niente, è che…non lo so c’è qualcosa che vuoi dirmi?- chiese la ragazza titubante. Michael si era praticamente ammutolito. E se non fosse stata vestita in maniera corretta e lui glielo stesse nascondendo?
Michael sospirò dischiudendo le labbra come a voler parlare, ma non riuscì a dire nulla perché Sarah lo interruppe.
-Sono un po’ nervosa, in realtà- aggiunse la ragazza, che aveva deciso di rendere partecipe Michael del suo stato d’animo inquieto di quel momento.
Il ragazzo abbandonò per un attimo i suoi pensieri e guardandola aggrottò la fronte.
-Perché?- disse.
-Insomma…sto per incontrare la tua famiglia, tutta la tua famiglia- rispose Sarah deglutendo.
Dalla sera della cena con Martha, Sarah non aveva più fatto menzione di quella cosa o del fatto che si sentiva a disagio a dover passare del tempo con i suoi parenti, e più si avvicinavano a destinazione, più sentiva crescere dentro di lei un peso.
Michael sospirò e accennò un sorriso.
-La mia famiglia fa questo effetto a molti…-commentò ironico, non ammettendo che anche lui era piuttosto ansioso e nervoso per quella cosa -Devi solo essere te stessa e poi tutti quanti capiranno quant’è facile innamorarsi di te- disse, cercando la frase perfetta per tranquillizzare Sarah, ma anche per farsi bello ai suoi occhi.
La ragazza a quella frase rimase immobile, sentendo lo stomaco farle una capriola.
“Capiranno quant’è facile innamorarsi di te” pensò di nuovo, mentre il cuore le galoppava nel petto.
Era la seconda volta che Michael alludeva al fatto di amarla e lei era la seconda volta che rimaneva spiazzata, totalmente senza parole, senza nemmeno fargli un cenno di gratitudine. Anzi, la testa quasi le girava al sentire quelle parole, e forse avrebbe dovuto iniziare anche a crederci. Perché trovava così assurdo che Michael l’amasse? Perché era troppo bello? Perché era troppo ricco? O forse perché non avrebbe mai pensato che qualcuno potesse provare per lei attrazione e amore?
Michael si accorse di come Sarah si fosse irrigidita come un bastoncino di legno e trattenne una risata, consapevole dell’effetto che quella frase aveva avuto su di lei.
Dopo un’ora e mezza arrivarono nei dintorni degli Hamptons, fuori ormai era buio e Sarah teneva fisso gli occhi sulla strada: dal momento che non poteva più ammirare il paesaggio, tanto valeva che leggeva i cartelli stradali.
Ad un certo punto arrivarono di fronte ad una biforcazione, la strada era buia e poco trafficata, ma Sarah riuscì a leggere il cartello verde extraurbano che indicava la direzione da prendere per arrivare negli Hamptons:  Michael prese l’opposta.
-Dove stiamo andando?- fece la ragazza curiosa e anche un po’ confusa. Non aveva detto che la sua villa era in quella cittadina?
Michael nascose un sorriso sornione e rispose vago.
-Tra un po’ capirai-
Sarah lo guardò sospettosa: si stava addentrando in una strada buia e deserta.
-Non è che vuoi uccidermi e poi disfarti del mio cadavere in questa campagna, vero?- chiese ironica, benchè si stesse iniziando a preoccupare. Lì attorno non c’era assolutamente niente, solo alberi, piazzole di sosta ed erba alta.
Michael rise di cuore al sentire quella cosa ma non rispose fino a quando non parcheggiò la macchina. Sentiva crescere dentro di sé l’eccitazione di quello che stava per fare, e allora che ci pensava era almeno dall’estate scorsa che non portava lì una ragazza.
-Hai detto che sei nervosa? Voglio solo farti rilassare un po’…- commentò il ragazzo, allungando un braccio e premendo un pulsante che fece abbassare lo schienale del sedile di Sarah.
La ragazza si sentì mancare un solido appoggio dietro la schiena ed ebbe quasi un sussulto. Michael si sporse verso di lei e le prese il viso con una mano, dandole un intenso bacio sulle labbra.
-Che stai facendo?- chiese la mora, oramai messa dritta sul sedile e guardando Michael con uno sguardo confuso.
Il ragazzo sorrise sornione e sporgendosi di nuovo, si protese a baciare Sarah, in maniera veloce e passionale, prendendole il viso tra le mani e tirandola verso di sé.
-Te l’ho detto, voglio solo farti rilassare un po’- fece –E poi siamo in anticipo- aggiunse, iniziando a sbottonarle la camicia.
Sentendo quelle parole e accorgendosi che Michael la stava spogliando, Sarah si irrigidì, presa improvvisamente da un leggero attacco di panico.
-Cosa? No, Michael…qui? E se ci vedono?- chiese lei, cercando di guadagnare tempo, ma il ragazzo si era già sporto verso di lei, sedendosi in parte sul suo sedile e in parte sul bracciolo centrale.
-Chi vuoi che ci veda? Siamo nel bel mezzo di una foresta e al buio. Stai tranquilla non è la prima volta che vengo qui…- commentò il ragazzo senza pensarci e iniziando a cospargere il petto della ragazza di baci. Ne riuscì ad intravedere il reggiseno color panna e fu attraversato da un brivido dietro la schiena che gli arrivò fin sotto alla nuca.
-Ah, sì, non è la prima volta?!- chiese Sarah, fingendosi indispettita. In realtà in quel momento avrebbe voluto solo morire: Michael le aveva sbottonato tutta la camicia e stava facendo vagare le sue labbra umide vicino l’incavo del suo seno.
Sentì il ragazzo soffiarle il petto e trattenere una risata. La sua leggera barba le stava solleticando il petto e le gambe le iniziarono un po’ a tremare.
-Dai, hai capito che intendevo…- le sussurrò il ragazzo nell’orecchio, intrecciandole le dita tra i capelli e facendola sdraiare accanto a lui. Fremeva dalla voglia di stare di nuovo con lei, e allora che ci pensava a parte la prima volta a casa di Sarah, non l’avevano più fatto.
Sarah si distese sul sedile totalmente abbassato e si ritrovò molto vicino a Michael, il quale si stava sfilando la giacca e slegando la cravatta. La tachicardia che ne derivò fu quasi naturale e il pensiero di stare di nuovo con lui, dopo parecchio tempo dall’ultima volta, le fece partire un brivido da dietro la schiena.
-Non…non potremmo andare sul sedile di dietro?- chiese un po’ imbarazzata dalla cosa, soprattutto quando Michael iniziò a sbottonarsi i pantaloni proprio accanto a lei. Probabilmente non si sarebbe mai abituata all’idea di andare a letto con lui.
-Mmm- mugolò il ragazzo divertito e senza un minimo di vergogna, calandosi i pantaloni a mezza coscia e distendendosi su di lei. Le accarezzò il viso guardandola dritta negli occhi. Nelle uscite successive, avrebbe dovuto avvisarla che quel trucco era illegale, soprattutto se non voleva essere accusata di atti osceni in luogo pubblico.
-No, non sei ancora pronta per andare sui sedili di dietro…- rispose tra una risata e un bacio il ragazzo che in fondo si stava preoccupando per lei, alzandole lentamente la gonna e aprendole di più la camicia.
-Ehi!- esclamò la ragazza, dandogli uno strattone e guardandolo male –Che significa che non sono ancora pronta?- ripetè stizzosa.
Michael sorrise malizioso e in tutta risposta le fece vagare le mani sulla pancia, fino ad arrivare al reggiseno. Con un gesto deciso glielo alzò senza staccarlo, scoprendole la parte del corpo che lo faceva eccitare di più, e prese a baciarla in vari punti, sentendola gemere silenziosamente sotto di lui.
-La verità è che voglio stare sopra di te- le sussurrò nell’orecchio, inumidendole il collo con le labbra e iniziandola di nuovo a baciare sulle labbra.
Sarah trattenne un gemito e il suo cuore ebbe un sussulto nel sentire quelle parole.
L’ultimo briciolo di razionalità se ne andò via quando Michael, con ancora i boxer indosso, si incastrò tra le sue gambe, portando i loro bacini a contatto.
Il solito languore al basso ventre divenne quasi incontrollabile e per qualche minuto si dimenticò completamente delle condizioni in cui si ritrovava: aveva la camicetta aperta, il reggiseno alzato e la gonna anche, e Michael le stava sfilando le scarpe e le calze velate.
-Attento a non rompermele- lo ammonì la ragazza, sentendo le dita di Michael vagare sulle sue cosce nude e abbassargli le calze.
Il ragazzo trattenne un sorriso e cercò di fare ancora più piano. Non lo stava facendo per non sfilarle le calze, ma solo perché l’avrebbe torturata dolcemente per i prossimi minuti.
I suoi seni erano gonfi e sodi, e Michael avrebbe voluto solo affondarvici dentro, avrebbe voluto affondare dentro di lei, lasciarsi andare del tutto, ma aspettò ancora qualche altro minuto.
Mentre con una mano le stava solleticando l’interno coscia, abbassandogli contemporaneamente le calze, con l’altra mano stava risalendo lungo il suo corpo, fino a quando non raggiunse l’oggetto del suo desiderio.
Le prese un seno tra le mani e glielo iniziò a massaggiare, prima con un pollice e poi con tutto il palmo. Lanciò uno sguardo verso Sarah, che appariva con le labbra gonfie e arrossate, le guance infuocate e il respiro veloce e sorrise lentamente, consapevole del fatto che la ragazza si stava di nuovo piano piano abbandonando a lui.
Smise di toccarle il petto e salì sopra con la mano fino a raggiungerle le labbra, le passò un pollice sopra, trovandole umide e calde e poi, dopo averle sfilato le calze e averle poste sul sedile del guidatore, si chinò su di lei, baciandola con la lingua e con passione.
Il cuore di Sarah stava battendo all’impazzata e le gambe le stavano tremando. Sentiva premere contro il suo pube l’erezione di Michael e la vista le si stava quasi annebbiando per l’eccitazione.
Michael stava continuando a baciarla, senza mai fermarsi, prendendo ogni tanto una pausa per respirare e lei era inebriata dal suo profumo, dai suoi pettorali che le toccavano i seni, o dalle sue gambe intrecciate con le sue.
Il ragazzo iniziò a cercare convulsamente il portafogli finito chissà dove sotto di loro per prendere il preservativo, e cercò di fare tutto senza mai staccarsi da Sarah, anche se gli risultò parecchio difficile.
-Credo sia sul cruscotto- fece la mora con la voce rotta dall’eccitazione, ancora con il fiatone e con il batticuore.
Michael la guardò per qualche secondo, scendendo sui seni arrossati e turgidi e quasi fosse in un mondo tutto suo, scosse la testa per riprendersi.
Si allungò a prendere il portafoglio e lo aprì, prendendo la bustina di plastica e aprendola.
-Cerca sempre di fare piano…- gli disse Sarah a bassa voce, quando il ragazzo si abbassò i boxer e si infilò il condom –Almeno, all’inizio…- aggiunse, abbassando lo sguardo e cercando di vedere i movimenti del ragazzo.
Non voleva che Michael si trattenesse solo perché lei non era abituata fisicamente a fare sesso, non voleva deluderlo o condizionarlo in qualche modo, però non si sentiva nemmeno ancora molto sicura su quel punto di vista.
Il ragazzo la guardò comprensivo e accennò un sorriso.
L’amava più di qualsiasi cosa al mondo.
Si sporse, dandole un bacio lento e passionale, contemporaneamente le dischiuse una gamba con una mano e con l’altra le prese un seno, e di nuovo con molta delicatezza, come se lo stessero facendo di nuovo per la prima volta, entrò dentro di lei, lasciandola senza fiato.
 
 
 
 
***
25
 
 
La villa dei Trisher agli Hamptons era come una di quelle ville da sogno che passavano in televisione e che ti facevano sentire povero fin dentro l’anima. Era immersa in un perfetto giardino inglese, curato nei minimi particolari in tutte le sue siepi, pieno di fontane, luci e giochi d’acqua, e Sarah rimase sbalordita quando improvvisamente si ritrovò davanti l’immensa villa neoclassica, con un grande porticato colonnato, pieno di fiori e addobbi per l’occasione.
-Perché i tuoi genitori hanno dato questa festa?- chiese Sarah, guardandosi attorno e notando di come tutto il viale della villa fosse pieno di macchine lussuose.
-E’ una raccolta fondi di beneficenza- rispose il ragazzo, che si era ripreso a fatica dal momento intimo precedente –Sai, ogni tanto abbiamo un cuore anche noi…- commentò sarcastico, lanciando un’occhiata alla ragazza che rispose con un’alzata di occhi.
-Non ho mai pensato che la tua famiglia non avesse un cuore- ribatté Sarah, sentendosi chiamata in causa. In realtà l’aveva pensato eccome, soprattutto quando nessuno di loro si era degnato di andare a trovare il figlio in ospedale, ma quello era solo un suo pensiero. L’ansia di incontrare i Trisher sparita precedentemente, sembrava essere ritornata e non riusciva a smettere di torturarsi le mani. Abbassò lo specchietto di fronte a lei e iniziò a guardarsi.
Quel momento bollente era stato decisamente un errore: i capelli erano un po’ in disordine e c’era bisogno di riprendere il trucco, per non parlare del fatto che aveva bisogno di aggiustarsi le calze e la gonna. Allora che ci pensava avevano appena finito di fare sesso  in macchina e come se nulla fosse si stavano dirigendo a quella festa…
Si guardò meglio la camicia per vedere se l’avesse abbottonata bene e quando Michael se ne accorse, represse a fatica una risata.
-Ehi, stai benissimo così, smettila di guardarti- fece il ragazzo, imboccando un viale secondario che conduceva al garage.
-Stavo controllando se mi fossi abbottonata bene la camicia…- rispose la ragazza con un minimo di malizia nella voce, incrociando lo sguardo turchese del ragazzo.
Michael sorrise beffardo, compiaciuto di quello che le aveva fatto in macchina e commentò sfacciato come sempre –E le calze? Sono sane? O te le ho rotte in qualche punto?-
Sarah nel sentire quella frase arrossì violentemente, ripensando nuovamente al momento in cui il ragazzo gliele aveva sfilate dalle gambe, o di come l’aveva toccata e baciata.
-Credo…siano integre- rispose imbarazzata, abbassando lo sguardo e arrossendo.
Michael la guardò divertito: era facilissimo farla arrossire e lui non riusciva a non prenderci gusto.
-In ogni caso, avrai un’intera camera per sistemarti e fare le tue cose- iniziò a dire il ragazzo, spegnendo il motore e lasciando la macchina nel garage già pieno di auto della sua famiglia.
Scese dalla macchina e Sarah fece lo stesso. Indossò il cappotto e solo quando si rimise in piedi si accorse che aveva bisogno di aggiustarsi le calze il cui cavallo le era arrivato praticamente a mezza coscia.
Fece un sospiro e vide Michael prendere il suo borsone e avvicinarsi a lei.
-Un’ultima cosa…- fece il ragazzo, avvicinando il viso al suo e trovandoselo a pochi centimetri di distanza. Si allungò e la baciò lentamente, come quasi a voler ritardare l’ingresso nella sua villa.
Sarah si fece trasportare da quel movimento lento e dolce, sentendo le labbra del ragazzo toccare delicatamente le sue e chiuse gli occhi, abbandonandosi di nuovo a lui. In quel momento riusciva a sentire solo il battito del suo cuore.
-Andrà tutto bene- fece il ragazzo, prendendola dai fianchi e lasciandole di nuovo un bacio sulle labbra –Fidati di me- le disse, prima di prenderla per mano e salire dalla scala secondaria per il retro della villa.
Qualche minuto più tardi, dopo essere passati dalle cucine piene di personale del catering e di cuochi che avevano il compito di sfamare tutti i borghesi partecipanti all’evento, Michael salì al piano di sopra in cui si trovava la zona notte.
Mentre procedevano, Sarah si guardava attorno totalmente sopraffatta dall’arredamento classico e chiaro della villa. Se casa di Michael a New York sembrava una galleria di arte moderna, unita però a pezzi di storia e di antiquariato, quella tenuta sembrava un museo di opere neoclassiche e settecentesche, piena di mobili in legno chiari, pieni di intarsi e cesellature, illuminata da candelabri a più bracci con cristalli pendenti che rifrangevano fasci luminosi, proiettando i colori dell’arcobaleno sulle pareti.
-Qui c’è la camera di mia madre, quella di mia sorella e la mia…- fece il ragazzo, aprendo la porta e lasciando il cappotto sul suo letto.
Sarah si guardò attorno imbarazzata e chiese al ragazzo –Dove posso lasciare le cose?-
Sentiva sempre di più crescere la tensione dentro di sé, e non voleva sbagliarsi, ma il sesso in macchina probabilmente le aveva causato un lieve mal di pancia, e non sapeva come dire a Michael che non se la sentiva di dormire nella sua stessa stanza, mentre i genitori avrebbero dormito dall’altro lato del corridoio.
-Tranquilla, ti ho fatto preparare una delle stanze degli ospiti…- disse il ragazzo, riuscendo a leggere l’espressione titubante e imbarazzata di Sarah.
-Non sono così invadente da volerti sempre con me- le disse facendole l’occhiolino, prendendo il borsone dalla ragazza e uscendo dalla sua stanza.
Sarah lo guardò accennandogli un sorriso: non poteva farci nulla, Michael riusciva ad essere sempre un passo d’avanti a lei.
 

-Amanda, sei meravigliosa stasera!- esclamò la signora Ebbott quando si ritrovò di fronte la figura longilinea e perfetta della signora Trisher.
Amanda si era messa in tiro più del solito per quell’occasione: il suo tailleur classico era stato sostituito da un lungo abito da sera a maniche a tre quarti color grigio cielo e con un meraviglioso inserto dorato su un lato che imitava tante foglie d’ulivo.
Era magnifica ed era così bella, con i suoi capelli biondi e luminosi, un po’ ondulati immediatamente prima delle spalle, che sembrava riflettere di luce propria.
-Ti ringrazio, cara- rispose la donna, riservando a quella conoscente un grande sorriso.
–Anche tu non sei da meno- replicò, benchè la signora Ebbott apparisse molto meno in forma di lei.
Le due parlarono del più e del meno per qualche altro minuto poi la bionda vide una figura a lei familiare entrare nel grande salone addobbato per l’occasione e si congedò dalla donna.
Si diresse verso suo figlio appena entrato nella sala, e avrebbe fatto sicuramente uno dei suoi soliti commenti acidi, se non si fosse accorta della ragazza che si trovava al suo fianco.
-Michael! Dove diavolo eri finito?!- esclamò la donna, riuscendo a mantenere comunque la sua aura composta ed elegante.
-C’era traffico per strada…- mentì il ragazzo  lanciando un’occhiata maliziosa a Sarah che distolse lo sguardo imbarazzata.
Si stava già pregustando la scena in cui sua madre l’avrebbe rimproverato per non essersi rasato.
-E comunque non siamo in ritardo- aggiunse sornione.
-Sì, invece!- replicò Amanda, ancora a qualche metro di distanza da lui.
La donna sembrò quasi sfilare e poi arrivò dritto di fronte i due ragazzi.
Sarah la guardò dalla testa ai piedi, e forse si sentì piccola e misera quasi quanto quando aveva incontrato Blake e Martha per la prima volta.
Non era la prima occasione in cui vedeva Amanda, ma non le era stata nemmeno così tanto vicino: la donna aveva un profilo severo, ma i suoi lineamenti erano disegnati quanto quelli del figlio, per non parlare del fatto che era alta e snella, anche più di lei.
-Mamma, puoi evitare di fare sempre il generale della situazione? C’è una persona che voglio farti conoscere- disse Michael, stringendo di più la mano a Sarah, che non riusciva a staccare gli occhi dal volto di Amanda e dai suoi occhi chiari e blu.
Amanda sembrò quasi ridestarsi. Aveva dimenticato per qualche secondo che accanto a Michael ci fosse una ragazza dall’aspetto quasi familiare e nel momento in cui Michael pronunciò quella frase, lei si girò a guardare quella ragazza bruna al suo fianco, che appariva un po’ rossa in viso e con un’espressione molto tesa.
La bionda incontrò gli occhi scuri di Sarah e per un nano secondo Sarah riuscì a percepire quasi un’ombra nel suo sguardo.
Amanda arricciò le labbra in quello che doveva sembrare ai più un sorriso, ma a Sarah sembrò più una smorfia.
Michael si sentì il cuore battere più forte nel petto: non era più abituato a quel genere di situazioni e non riusciva nemmeno a ricordare quand’era stata l’ultima volta che si sentiva così agitato alla vista di sua madre con una delle sue tante ragazze.
-Lei è Sarah- fece il ragazzo con voce sicura, mascherando il tremore alle ginocchia e il fiato corto.
Sarah protese una mano verso la signora Trisher: avrebbe voluto cercare di sciogliersi, ma era rigida quasi quanto un cubetto di ghiaccio.
-Salve signora Trisher, è…è un piacere conoscerla- disse Sarah, sentendo di come Amanda le stesse stringendo la mano.
-Finalmente conosco questa fantomatica ragazza- fece la donna con un tono a metà tra il freddo e il divertito, spostando lo sguardo da Sarah a Michael.
Poteva una frase risultare tale? Beh, Amanda sicuramente ci riusciva.  E poi cosa significava? Che Michael aveva parlato di lei ai suoi genitori?
Michael al sentire quelle parole alzò gli occhi al cielo e scosse la testa.
-Non preoccuparti- disse rivolto a Sarah –Non è così terribile come sembra, vuole solo farti credere di essere una despota, in realtà sotto tutto quel ghiaccio, c’è ancora un cuore che ogni tanto batte…- continuò divertito, leggendo nello sguardo di sua madre un accenno di rimprovero, ma anche di divertimento.
-Devo farlo, no? Altrimenti questa famiglia ora sarebbe a pezzi…- commentò la donna, ritornando a guardare Sarah con uno sguardo diverso, quasi comprensivo.
Sarah notò come la stesse squadrando e in quel momento pensò che forse avrebbe dovuto indossare un vestito piuttosto che quella gonna e quella camicia.
-E’ per te che Michael ha fatto allestire la stanza degli ospiti?- chiese la donna, rivolgendosi a Sarah.
La ragazza si sentì infuocare e Michael guardò tutta la scena quasi divertito.
Era diverso da come quando era stata con Martha, Amanda non la stava guardando con odio o con altezzosità, forse solo con un po’ di sospetto.
-Ehm…sì, in realtà non volevo disturbare, ma lui ha insistito a farmi rimanere. Mi ha detto che ci sono tante cose da fare negli Hamptons- rispose Sarah, cercando di articolare una frase di senso compiuto.
-Ha fatto bene, questa villa ha così tante stanze che non usiamo mai…Almeno le sfruttiamo- replicò Amanda, sempre con quel suo fare severo, ma meno duro del solito.
Sarah stentò quasi a crederci a quello che aveva sentito: com’è che aveva detto? Che aveva fatto bene ad invitarla?
-Michael mi ha detto che dipingi e che ti occupi di gallerie d’arte. Ti piace l’arredamento?- disse la signora Trisher, sforzandosi di dialogare con quella ragazza, giusto per far contento il figlio e per non darle un’impressione troppo dura di se stessa.
-Sì, Michael mi ha parlato tanto di lei e della sua passione. E’ tutto bellissimo, sembra una villa settecentesca- iniziò a dire la ragazza, cercando di sciogliersi un po’. Solo allora si accorse che Michael la stava tenendo ancora per mano –Anche la vostra casa di New York è meravigliosa, sembra una galleria d’arte- aggiunse la ragazza.
Amanda, allora che Sarah stava parlando, si accorse meglio dei suoi lineamenti particolari e armonici, delle labbra carnose e del naso un po’ all’insù, dei suoi capelli scuri con dei riflessi mogano e dei suoi occhi castani, luminosi e cangianti: era una bella ragazza dopo tutto, anche se era di Brooklyn.
-Ah, quindi sei venuta a casa?- chiese la donna con fare quasi risentito, cogliendo subito la palla al balzo per mettere i ragazzi in imbarazzo.
Sarah deglutì, sentendo lo stomaco fare una capriola.
-Ehm…sì, qualche volta- disse arrossendo, cercando quasi aiuto in Michael che invece stava studiando il comportamento della madre.
Si stava comportando meglio di quello che credeva: non aveva accennato al fatto che Sarah fosse di Brooklyn, o che facesse la cassiera in un supermercato, e poi poteva anche sbagliarsi, ma gli sembrava quasi che la mamma si stesse sforzando di essere gentile con Sarah.
-L’ho fatta venire per farle vedere l’arredamento, ovviamente…- commentò ironico Michael, guardando sua madre divertito ma con la sua solita faccia da schiaffi.
Amanda alzò il suo famoso sopracciglio e rispose sarcastica.
-Certo, per vedere l’arredamento…- ripetè, trattenendo quasi un sorriso.
Michael ghignò come di suo solito e Sarah si sentì arrossire. Amanda aveva decisamente frainteso le cose.
-Comunque, Sarah- fece la donna, enfatizzando il nome della ragazza –Spero che tu stia bene questi giorni…- si sforzò di dire –…Ora devo andare a controllare le ultime cose, ma ci rivedremo sicuramente- fece la donna, mandando uno sguardo eloquente a Michael.
-Ah, Michael e comunque…- fece la donna prima di andarsene con uno sguardo che avrebbe fatto scappare chiunque –Passi stasera dato che gli ospiti sono già qui, ma domani fatti la barba. Sei inguardabile-  
Michael rise sotto i baffi e Sarah accennò un sorriso.
Dopo qualche secondo la donna si allontanò dai due ragazzi e iniziò quasi a sbraitare con dei camerieri del catering per aver macchiato un angolo della tovaglia color crema che addobbava un tavolo.
Sarah la guardò quasi impaurita: il suo cambio di tono, ma anche di comportamento era stato fin troppo repentino, e rispetto a come stava trattando quei camerieri Amanda con lei sembrava essere stata quasi affettuosa.  Sentì la tensione allontanarsi sempre più, ogni volta che Amanda si distanziava da lei e iniziò nuovamente a rilassarsi, quasi come se si trovasse in un posto normale, piuttosto che in una villa da milioni di dollari.
-Non è andata per nulla male…- commentò Michael qualche secondo dopo, soddisfatto e felice come una Pasqua. Anche lui ora si sentiva decisamente molto meno teso e glielo si leggeva quasi in faccia: non faceva altro che sorridere come un ebete.
-Certo…- commentò la ragazza sospirando –A parte il fatto che crede che chissà cosa abbiamo fatto a casa tua…- concluse scuotendo la testa.
Michael trattenne una risata e la prese dai fianchi dandole un bacio sulla guancia.
-Nah…Ha voluto solo intimorirti…- disse, stringendola ancora a sé –E poi è abituata…- disse facendole l’occhiolino.
Sarah gli diede uno spintone.
-Sei sempre il solito- commentò.
Michael rise e dopo qualche minuto fu chiamato da un amico di suo padre in disparte.
-Cerca di resistere cinque minuti senza di me- fece, rivolgendosi alla ragazza e sparendo chissà dove.
Sarah lo guardò di sbieco e ancora scuotendo la testa per il disappunto si diresse verso il giardino.
Benchè fosse la fine di Gennaio e le temperature erano pochi gradi sopra lo zero, sul grande porticato che si affacciava sul giardino non si stava per nulla male: tutto era stato sapientemente studiato e il personale della villa aveva posto in punti strategici dei funghi alogeni da esterno che riscaldavano i tavolini e le poltrone sottostanti.
Sarah si guardò attorno studiando attentamente tutte le decorazioni floreali e illuminotecniche che erano state allestite per l’occasione e rimase piacevolmente sorpresa di quanto potessero essere affascinanti tutte quelle candele e quei led montati tra le siepi di sempreverdi.
-Oh! Cosa vedono i miei occhi! Un fulgido fiore da raccogliere al chiaro di luna!- esclamò improvvisamente un ragazzo, uscendo dalla penombra da un angolino.
Sarah non lo aveva ancora visto in faccia, ma sapeva di chi si trattava e non riuscì a trattenere un grande sorriso.
-Stiamo di citazioni letterarie stasera? E’ così che cerchi di fare colpo sulle ragazze?- chiese Sarah, ritrovandosi Sam davanti.
-Fino ad ora non si è mai lamentata nessuna- replicò Sam sorridendo e lasciando un bacio sulla guancia della ragazza.
Sarah alzò lo sguardo e se lo ritrovò più vicino del previsto: portava i capelli alzati sulla fronte, anche se apparivano un po’ scompigliati, la barba era perfettamente rasata e stava indossando anche lui un completo simile a quello di Michael.
-Ti sei ripreso dai baccanali di Miami?- chiese la ragazza, che non vedeva Sam da più di un mese.
Il ragazzo non potè non sorriderle riportando alla mente i ricordi di quel grandioso capodanno in Florida –Sono vivo e vegeto di fronte a te, mi sono ripreso alla grande!- esclamò il ragazzo.
Sarah sorrise e scosse la testa –Credo di aver fatto più che bene a non chiedere a Michael i dettagli sulla vostra gita romantica- disse.
-Mmm…suvvia, Sarah. Non fare la gelosa…- iniziò a scherzare Sam lasciandole un pizzicotto sulla guancia –Sai bene che se solo tu volessi…potresti averci entrambi- continuò ammiccando il ragazzo, ovviamente prendendola in giro e facendole l’occhiolino.
Sarah rise di gusto per quella cosa, ritrovando in Sam la sua solita malizia e ironia.
-Da dove sei sbucato? E da quando sei qui?- chiese la ragazza curiosa. Le era sfuggito il fatto che con molta probabilità ci sarebbe stato anche Sam a quella festa e per qualche strana ragione non ci aveva nemmeno pensato.
-Ehm…cosa?- richiese il ragazzo, che in quel momento stava apparendo un po’ strano.
Sarah lo guardò confusa. Non era molto difficile rispondere alla sua domanda.
-Sei uscito praticamente dal nulla, dov’eri?- chiese la ragazza tanto per fare conversazione.
-Aaah!- esclamò Sam, che tutto d’un tratto si era un po’ agitato –C’è una porta di servizio alla punta del porticato- replicò, mantenendosi vago e lanciando a Sarah uno strano sguardo.
La ragazza si incuriosì: Sam non gliela contava giusta, c’era sicuramente qualcosa sotto. Allora che lo guardava bene il ragazzo, seppur splendido e fascinoso, appariva un po’ scosso.
Il nodo alla cravatta sembrava essere stato fatto in fretta e furia, la camicia era un po’ sgualcita con un lembo che usciva fuori dai pantaloni, e i suoi capelli sembravano essere stati scompigliati da qualcuno.
-Va tutto bene?- chiese Sarah, guardandolo per qualche altro secondo e notando qualcosa di sempre più strano nel suo comportamento.
-Alla grande- fece Sam, rivolgendole un sorriso sornione.
-Mmm…- mugolò Sarah aggrottando la fronte. Lo guardò meglio in volto e poi fu attratta da qualcosa sulla sua camicia.
-Hai la camicia un po’ sporca, qui sul colletto- disse la ragazza, avvicinandosi e appoggiando una mano sul petto di Sam per vedere meglio.
-Cosa?!- esclamò Sam spalancando i suoi occhi cervone –Cazzo- aggiunse, come se gli fosse appena venuto in mente qualcosa.
-Aspetta un attimo…- fece Sarah, allontanandosi con la testa e fissandolo dritto negli occhi.
-Questo è rossetto- disse, riferendosi alla macchia cremosa rosso scarlatto che aveva sul colletto.
Sentì Sam deglutire e lo vide irrigidire la mascella.
-E’…è impossibile- fece il ragazzo agitato, prendendola dalle braccia e allontanandola delicatamente.
Sarah trattenne una risata e si portò una mano sulle labbra per non farsi vedere da Sam, non riusciva a smettere di ridere.
-Sarah, smettila- iniziò a fare Sam, agitato e nervoso –Piuttosto, aiutami a toglierlo- aggiunse –Non ho un’altra camicia di ricambio-
-Non puoi fartene prestare una da Michael?- chiese la ragazza, cercando di capire quanto fresco fosse il rossetto sulla camicia, ridendo ancora.
-Cosa dovresti farti avere da Michael?- chiese una voce alle loro spalle.
Sam si girò di scatto e Sarah ebbe quasi un sussulto: era una voce che conosceva fin troppo bene.
-Martha- esclamò il ragazzo colto di sorpresa –Che ci fai qui?-
-Sai com’è, è casa mia- rispose la bionda, cambiando totalmente espressione quando vide Sarah molto vicino a Sam, con ancora una mano sul suo petto.
-Intendevo qui, nel giardino- replicò il ragazzo alzando gli occhi al cielo, guardando Sarah attaccata a lui e facendo un passo indietro.
Perché doveva fare sempre la stronza?
Martha non rispose ma iniziò a fissare insistentemente Sarah affianco a lui.
Che diavolo stava facendo con Sam? Prima suo fratello e poi anche lui?
-Ci sei anche tu- commentò in tono glaciale la bionda, alzando un sopracciglio.
Sarah aspettò un secondo prima di risponderle, ripensando a tutte le cose che erano successe qualche tempo prima a cena.
-Sì…Michael mi ha invitato per il fine settimana…- rispose la ragazza che avvertì di nuovo una forte tensione: lo stomaco le stava facendo malissimo e le mani le tremavano quasi. Perché Martha poteva farla sentire così piccola?
Forse era quel fantastico abito da cocktail rosso acceso, o forse era colpa dei suoi lunghi e fluenti capelli dorati, o del suo bellissimo viso impreziosito da gioielli e sapientemente truccato con ombretto marrone e rossetto rosso fuoco.
Sarah abbassò lo sguardo, ma poi lo alzò subito dopo: rossetto rosso fuoco?
Le guardò più attentamente le labbra colorate e poi, mentre Sam le stava dicendo qualcosa, spostò lo sguardo sulla macchia di rossetto che il ragazzo aveva sul colletto.
Fu un flash e ricollegò ogni cosa: il rossetto, la camicia fuori posto e sgualcita, Sam che sbucava improvvisamente da chissà dove…Martha. Oddio, Martha…Martha e Sam.
Rimase qualche secondo scossa da quella cosa e cercò di fare l’indifferente, ma forse la sua espressione la stava sicuramente tradendo perché la coppia di fronte a lei la stava guardando con un fare piuttosto curioso, o quanto meno, Sam la stava guardando curioso, Martha aveva la sua solita espressione di disappunto.
-Voi due vi conoscete quindi?- fece la bionda spostando lo sguardo da Sam alla mora.
-Ovvio- rispose sicuro Sam, che in quel momento stava penetrando Martha con occhi quasi semichiusi –Ti pare che cono conosca le persone con cui si frequenta Mike?-
La bionda scosse la testa infastidita e alzò un sopracciglio.
-Dov’è Michael?- chiese Martha a Sarah, che stava ancora in silenzio a spostare lo sguardo da uno all’altra.
-Ehm…stava parlando con qualcuno dentro…- rispose la ragazza.
Martha la guardò di sbieco –Rimani a dormire qui, stanotte?-
-Sì- le fece Sarah che in quel momento non riusciva a staccare gli occhi da Sam e a pensare a quei due insieme.
Sam trattenne un sorriso –Michael sarà contentissimo…- commentò malizioso.
Sarah lo guardò male. Martha era l’ultima persona davanti a cui voleva scherzare.
-Goditi la vacanza allora- commentò la bionda in maniera non poco acida, portandosi i capelli all’indietro ed entrando dentro.
-E’ sempre la solita…- commentò il ragazzo, risentito dal fatto che Martha non gli aveva rivolto nemmeno un po’ di attenzioni benché avessero passato del tempo insieme e non erano passati nemmeno venti minuti.
Sarah la seguì con lo sguardo e poi guardò Sam, studiandone l’espressione assorta e forse anche un po’ afflitta.
-Che c’è?- le fece il ragazzo, consapevole che probabilmente Sarah avesse capito tutto. Era una ragazza intelligente dopo tutto.
-Michael lo sa?- gli chiese, rimanendo ancora sconvolta dalla cosa.
-Sa cosa?- fece Sam rimanendo vago, percependo lui stesso del nervosismo nella sua voce.
-Non lo sa…- si rispose da sola la ragazza che solo allora riuscì a sorridergli.
-Non so di cosa tu stia parlando…- le fece il ragazzo allentandosi il nodo alla cravatta e  iniziando a dirigersi verso l’interno.
Sarah lo prese per un polso per fermarlo e ridendo gli disse –Oh, andiamo! Puoi anche ammetterlo! Altrimenti quel rossetto è molto difficile da spiegare!-
Sam si fermò un attimo a guardarla e solo allora notò gli occhi particolari della ragazza: erano di un castano chiaro, con dei riflessi verdi e con delle pagliuzze che sembravano quasi dei piccoli nei.
Scosse la testa, quasi divertito dalla situazione. Si sentiva quasi conteso tra due donne.
-Mi è caduto del succo di mirtillo addosso…Certe volte posso essere così sbadato!- replicò Sam, che non aveva ammesso nulla, ma che non lo stava nemmeno nascondendo.
Sarah scoppiò a ridere e iniziò a scherzare con lui. Allora che ci pensava Sam era l’unico ragazzo che non la metteva molto in soggezione.
-Certo, e casualmente ti è caduto proprio al lato del collo, dove di solito le ragazze lasciano i baci…- argomentò Sarah.
-Ah, piccola ficcanaso! Quante ne vuoi sapere!- esclamò Sam, passandosi una mano tra i capelli e aggiustandoseli alla meglio.
-Io non sono una ficcanaso! Sei tu che lasci prove in giro delle tue scappatelle!- esclamò la ragazza, avvicinandosi di nuovo a lui e aiutandolo ad aggiustarsi i capelli.
Erano di un bel bronzo dorato.
-Pff…Scappatelle!- fece Sam pavoneggiandosi –Io non elargisco scappatelle, solo performance da numero uno!-
Sarah a quelle parole spalancò gli occhi trattenendo una risata–Ok, ok! Non voglio conoscere i dettagli delle tue performance! Non sono pronta per queste cose- disse, figurandosi in quello stesso momento Sam e Martha che ci davano dentro chissà dove.
-Non fare la santarellina- replicò il ragazzo. Aggiustandosi anche il nodo alla cravatta.
Sarah alzò gli occhi al cielo: proprio dopo quello che era successo poche ore prima, non si sentiva santarellina per nulla.
-Non faccio affatto la santarellina!- esclamò.
-Ah, quindi lo ammetti? Mi sa tanto che Mike mi deve raccontare un po’ di cose!-fece Sam malizioso.
-Michael non deve raccontarti proprio niente!- rispose Sarah dandogli un colpetto sul petto, cosa che tra l’altro divertì molto Sam.
-Quindi mi aiuti a pulire la camicia o vuoi rimanere a gongolare qui fuori?- replicò il ragazzo, sorridendo come solo lui sapeva fare.
Sarah trattenne un sorriso e alzò gli occhi.
-Mi immolerò per la causa…- fece.
-Bene- commentò Sam –Allora dovresti andare da Michael e chiedergli una camicia pulita-
-Non puoi chiederglielo tu?- chiese la ragazza, che si era messa con le braccia conserte fissa a guardarlo.
Sam inchinò il capo e assunse un’espressione dubbiosa, cercando di capire se la ragazza lo stesse facendo a posta o meno.
-No che non posso chiederglielo. Se mi chiede di cosa me la sono sporcata, cosa gli rispondo?!- esclamò il ragazzo alzando un sopracciglio.
-Beh, se lo chiede a me io cosa dovrei rispondergli?- fece Sarah con tono ovvio –Non è che se glielo chiedo io, non farà domande. Digli che si è sporcata e basta. Al massimo se chiede cosa è successo gli dici che sei stato con una delle tue tante ragazze…- ammiccò Sarah sorridendo.
Sam arricciò le labbra e la guardò di sbieco. In fondo non aveva tutti i torti.
-Posso farti una domanda?- chiese Sarah qualche secondo dopo. Il ragazzo annuì.
-Perché non vuoi dirlo a Michael? Di te e Martha, intendo- fece la mora.
In fondo non ci trovava nulla di male, anche se probabilmente Martha era l’ultima persona con cui avrebbe voluto vedere Sam insieme.
Il ragazzo sospirò e si portò una mano in tasca.
-Non è per Michael…- fece –Anzi, un po’ sì in realtà. Lui sa come mi comporto con le ragazze, come parlo di loro e cosa penso in generale sulle relazioni…-
-E allora?- chiese Sarah esortandolo a continuare. Sbagliava o percepiva quasi un tono affranto e imbarazzato?
-E allora io non voglio che Mike creda che pensi queste cose anche su sua sorella- disse il ragazzo –Martha è una stronza, fino al midollo, ma…-
-Ma è bellissima- concluse Sarah sorridendo.  Conosceva fin troppo bene quella sensazione.
-Già- annuì Sam -Ah, ovviamente anche tu sei bellissima, ma sei già occupata- aggiunse, smorzando i toni un po’ troppo personali che quella conversazione aveva assunto.
Sarah rise e alzò gli occhi al cielo. Lui e Michael erano quasi uguali, maliziosi e piacioni alla stessa maniera, assumevano anche le stesse espressioni.
Si avvicinò a lui e gli prese il colletto tra le mani per constatare il danno della macchia e quando le punta delle sue dita sfiorarono il collo del ragazzo, lo sentì irrigidirsi e lui le lanciò un’occhiata strana.
-Se fossi stato in un’altra situazione probabilmente adesso mi sarei un po’ arrabbiato…- esclamò Michael entrando improvvisamente nel portico del giardino e trovando Sarah e Sam in atteggiamento piuttosto strano.
–Sam, che diavolo stai facendo?- chiese il ragazzo con un tono strano, tra l’ironico e il sospettoso.
-Ohi, Mike…- esclamò il ragazzo, facendo un passo indietro e allontanandosi da Sarah, che non appena sentì la voce di Michael ritrasse la mano dal collo del ragazzo.
-Sarah mi stava accarezzando il collo e se tu non ci avessi interrotti saremmo finiti a fare sesso su una panca del tuo giardino…- commentò Sam, dirigendosi verso Mike e dandogli un colpo sulla spalla. Michael lo guardò male e poi spostò gli occhi su Sarah.
-Serve così poco per farti dimenticare di me?- chiese il ragazzo guardandola e notando un certo rossore.
Sarah alzò gli occhi al cielo e chiarì subito la questione tra loro due. Sam era uno scemo e anche Michael era uno scemo.
 –Sam si è sporcato la camicia e stavo controllando l’entità del danno- commentò spicciola, avvicinandosi a lui e cercando di comportarsi normalmente. In fondo non era successo nulla e non stava facendo niente di male.
-Ti sei sporcato la camicia?- gli chiese Michael dubbioso, guardando l’amico con fare sospetto.
Sapeva che lui e Sarah non stavano facendo nulla di sbagliato, ma non poteva non nascondere che in quel momento era travolto da un leggero attacco di possessione.
Sam guardò Sarah di sbieco, assumendo un’espressione di disappunto. Meno male che non dovevano dire nulla a Michael.
-Sì, ne hai una di ricambio?- chiese il ragazzo all’amico, girando il collo e facendo vedere a Michael la macchia sul colletto.
Il biondo lo guardò e prese atto che effettivamente Sam e Sarah stessero dicendo la verità e sembrò tornare in uno stato di quiete.
-Come ti sei sporcato?- chiese il ragazzo, notando di come il punto su cui c’era sopra la macchia rossa fosse piuttosto inusuale.
Sarah lo guardò preoccupata e dubbiosa sulla risposta che Sam gli avrebbe dato: meno male che voleva tenerglielo nascosto.
Sam mascherò tutto con grande facilità e nel momento esatto in cui rispose, Sarah pensò che fosse davvero un grande attore.
-Ovviamente prima di venire qui ho fatto sesso in macchina…- disse, inventando la prima scusa che gli era passata in mente e non accennando nemmeno ad un po’ di vergogna.
–Evidentemente non sono stato molto attento…-
Michael al sentire la sua risposta sorrise, ignaro di come fossero andate realmente le cose.
-Sei sempre il solito- commentò il biondo, guardando Sarah e accennando anche lui un sorriso malizioso –E non sei nemmeno l’unico- aggiunse, come se Sarah non ci fosse e potessero parlare liberamente di tutto quello a cui pensavano.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo quasi incredula.
 Quei due erano ingestibili quando si trovavano insieme.
-Michael!- esclamò, guardandolo in malo modo e dandogli un colpetto nella pancia.
Sam scoppiò a ridere e guardò prima Michael e poi Sarah che era fatta rossa con un peperone.
-Altro che santarellina…- ripetè Sam, guardando la ragazza e capendo che non era stato l’unico a darci dentro durante il pomeriggio.
-Smettetela!- esclamò imbarazzata la ragazza. Ma le pareva che quell’idiota di Michael andasse spifferando ai quattro venti quello che facevano e non facevano?
-Oh, dai, a Sam racconto tutto!- fece Michael divertendosi da morire.
-Racconti tutto?!- le fece eco Sarah, questa volta un po’ infastidita. Che cosa significava? Che gli aveva detto anche che prima che si incontrassero lei era vergine?
-Mmm…Non te la prendere- fece Michael avvicinandosi e stringendola da dietro. Iniziò a lasciarle tanti baci sul collo, mentre la manteneva saldamente a sé con le mani sulla pancia.
-Finiscila- continuava a ripetergli Sarah, cercando di districarsi dalla sua presa, senza però molto successo.
-Oh, come siete teneri…- esclamò Sam, guardando Michael fare lo scemo con la mora.
-Tu non parlare!- esclamò Sarah, lanciandogli uno sguardo più che eloquente.
“Guarda che ti posso ricattare”
Era questo in realtà che Sarah gli stava dicendo con lo sguardo.
Sam rise di gusto e sembrò capire al volo quello che la ragazza avesse inteso con quell'occhiataccia, così, ancora preso dai pensieri su Martha, esclamò –Allora, questa camicia? Anche se, ora che ci penso, potrei sempre andare girando nudo…-
Michael prese Sarah per mano e rise, avviandosi assieme all’amico verso il salone che non accennava a voler smettere di parlare.
-Potrei organizzare uno spogliarello e farmi pagare da tutte le zitelle straricche che ci saranno questa sera. Credo che racimolerei un bel po’ di soldoni- continuò Sam suscitando le risate di Sarah e di Michael.
-Certo, chissà Martha come la prenderà- commentò Sarah a bassa voce, procedendo in mezzo a Sam e Michael.
Sam alzò gli occhi al cielo e rise compiaciuto. Si chinò e senza farsi vedere da Michael rispose sornione –Tu ed io d’ora in avanti condividiamo un segreto…-
Sarah rise, lanciando un’occhiata fugace a Michael, distratto dall’ingresso di alcune ragazze nel salone tra cui Blake e sua sorella.
-Sai cosa diceva Benjamin Franklin…- iniziò a dire Sarah, non accorgendosi di chi stava entrando nella sala.
-No, non lo so. Illuminami- rispose Sam divertito dalla cosa.
–“Tre persone possono mantenere un segreto…se due di loro sono morte”- 


 
***
Finalmente dopo il lunghissimo capitolo siete arrivati alla fine! 
Sapete già perchè ho deciso di strutturare in questo modo questo capitolo, quindi spero che l'idea vi sia piaciuta e che soprattutto vi siano piaciuti i due capitoli! 
Non posso dilungarmi molto perchè devo correre a studiare, sappiate solo che ho adorato la scena in macchina! 
E poi Sam?! Ne vogliamo parlare? Io ho sempre detto che se non ci fosse stato Michael, probabilmente Sam e Sarah sarebbero stati perfetti, c'è parecchia chimica tra di loro! 
Come avete visto i toni di questi due capitoli sono piuttosto leggeri e frettolosi ed è stato intenzionale, come ho ripetuto più volte tra un po' si ritornerà ai toni pacati e introspettivi della prima parte della storia. 
Non posso fare altro che ringraziarvi per tutto il supporto che mi avete dimostrato! 118 recensioni,70 preferiti e 106 seguiti! Siete l'ammoreee <3
P.s. Ora non so quando potrò aggiornare di nuovo, il 20 e il 24 giugno ho gli ultimi esami e devo partecipare ad una conferenza di 4 giorni con il mio relatore! Ahhhh ansia!!! Però cercherò di ritagliare sempre uno spazietto per la scrittura!
Fatemi sapere cosa ne pensate dei capitoli e lasciatemi una recensione! Ciao stelle! 
Vi adoro!

 

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Capitolo 25
*** 26 ***


26
 
Il vociare nel grande salone di casa Trisher era salito di livello proporzionalmente alle bottiglie di champagne distribuite di volta in volta dal personale del catering.
La grande sala ricevimenti, allestita con estrema cura da Amanda, si era riempita di famiglie super ricche, di scapoli con ruoli di punta nelle aziende in cui lavoravano e di grandi imprenditori di New York, tutti a quanto pareva novelli filantropi e attenti alle esigenze dei più bisognosi.
Sarah era seduta ad un tavolo rotondo, addobbato con una splendida tovaglia color panna in seta, impreziosita da ricami dorati e abbinata a bellissime decorazioni floreali dai colori tenui. Stava guardando un po’ annoiata gli ospiti di quella serata, incuriosita e attenta a notare tutti i dettagli del loro abbigliamento. Michael stava parlando chissà dove con alcuni colleghi del padre e l’aveva lasciata lì da sola ad aspettare. In realtà era stata una serata abbastanza frenetica e carica di emozioni, a partire dal momento bollente in macchina, fino alla sua presentazione ufficiale ad Amanda, quindi quella momentanea calma non le dispiaceva affatto, anche perché, come le succedeva sempre quando Sam le ronzava attorno, aveva decisamente superato la quantità di alcool che era solita bere.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, scrutando da lontano un bellissimo abito in pizzo Sangallo indossato da una signora che poteva avere l’età di sua madre, uno dei camerieri le porse un vassoio e la invitò a prendere  un raffinatissimo antipasto di polipo arrosto, che però lei declinò con un po’ troppa foga: già la testa le girava a causa del troppo champagne, se poi avesse mangiato anche del pesce, crudo o cotto che fosse, si sarebbe ritrovata a vomitare in uno dei lussuosissimi bagni di Amanda.
Mentre continuava a guardarsi attorno alla ricerca di Michael, che sembrava essersi volatilizzato, si accorse che qualcuno di indefinito le si sedette accanto, offrendole l’ennesimo bicchiere di vino.
-Posso offriti da bere?- le fece una voce profonda e rauca che aveva già sentito in precedenza.
Sarah si girò di lato per vedere chi le avesse fatto mai quella offerta dato che Sam era sparito con Martha, Michael non c’era e non aveva incontrato nel corso della serata nessun altro amico dei due con cui potesse avere una maggior confidenza.
Si ritrovò davanti un ragazzo con dei capelli neri, lisci e tirati un po’ all’indietro, degli occhi celeste chiaro e delle labbra sottili e serrate.
Nolan la stava guardando con degli occhi strani, con la sua solita espressione a metà tra un sorriso e un ghigno malefico.
Anche se i riflessi di Sarah erano un po’ rallentati per via del vino, la ragazza non ci mise comunque molto a riconoscere il giovane: la prima ed ultima volta che l’ebbe visto era stato a casa di Michael, durante la prima festa a cui lei aveva partecipato subito dopo aver conosciuto il ragazzo. Ricordava molto bene il comportamento di Michael nei suoi confronti e data l’antipatia che il suo ragazzo gli aveva mostrato in sua presenza, rimase un po’ stupita dal fatto che lui le si fosse avvicinato.
-Ciao…- disse lei titubante guardandolo confusa, cercando di mettere a fuoco il loro primo incontro.
Nolan, per quanto poco ne sapeva, era stato l’amante di Blake mentre era fidanzata con Michael l’anno prima, e il biondo, sempre durante un evento mondano, gli aveva sorpresi assieme in una delle stanze della casa, decidendo così di tranciare definitivamente tutti i ponti con loro.
-…no meglio di no…- continuò Sarah, dopo che Nolan continuava a guardarla in maniera strana –Ne ho già bevuti troppi- aggiunse, non riuscendo a tenere a freno l’improvvisa parlantina che le era sopravvenuta.
Nolan fece un sorriso tirato e insistette.
-Che sarà mai un altro bicchiere. Per di più è un ottimo champagne…- commentò, mettendole il bicchiere davanti e sorseggiando amabilmente il suo.
Sarah sospirò e si avvicinò il bicchiere senza però bere.
-Hai bisogno di qualcosa?- gli chiese lei, non capendo a cosa era dovuta la presenza di Nolan lì, dato che non avevano mai intrapreso un discorso.
-Mmm, no. Mi ha solamente incuriosito vederti qui tutta sola. Michael ti lascia già tra gli sciacalli dell’East Side?- replicò Nolan sorseggiando il suo champagne. Si spallò sulla sedia e una ventata del suo dopobarba arrivò alle narici di Sarah.
La ragazza inspirò il suo profumo trovandolo piuttosto penetrante e aguzzo, e si girò a guardarlo. Non avrebbe saputo definire l’aspetto di Nolan nemmeno se fosse stata sobria, di certo non era di brutta presenza, ma allo stesso tempo i suoi lineamenti non le piacevano particolarmente.
Per qualche strana ragione, quella semplice domanda a Sarah risultò un’insinuazione, ma complice l’alcool, lasciò correre.
-Non possiamo di certo passare le nostre giornate sempre appiccicati…- commentò la mora iniziando a toccarsi i capelli e a scostarseli su un lato.
-Fossi in te, io lo terrei d’occhio. A qualsiasi tipo di evento Michael tende a farsi distrarre piuttosto facilmente…- disse Nolan, guardandola a lungo, con degli occhi strani.
Sarah scostò lo sguardo dai suoi occhi chiari, si sentiva quasi in imbarazzo a stargli così vicino e a parlargli, soprattutto perché Nolan la stava squadrando, indugiando su di lei più del dovuto.
-Per farsi distratte intendi quello che di solito fai anche tu con le ragazze degli altri?- rispose Sarah, con un pizzico di acidità nella voce, alludendo al trascorso con Blake e alla lite con Michael.
La prossima volta che avrebbe fatto un colloquio di lavoro, si sarebbe prima scolata una bottiglia di champagne: l’aiutava palesemente ad aprirsi e a farsi meno problemi su cosa dire o fare.
Nolan serrò le labbra in un ghigno, prendendo atto che quella ragazza era un tipetto piuttosto combattivo.
-Se loro non si fanno problemi a stare con me mentre sono fidanzate, figuriamoci io…- commentò il ragazzo nel momento esatto in cui Blake gli  sfilò davanti accompagnata da una schiera di ragazze vestite in serie.
Sarah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, come faceva di solito quando qualcosa non le andava molto a genio.
-Questo è anche vero…- disse Sarah. Effettivamente il suo ragionamento non era proprio così sbagliato.
-E comunque, non essere così dura nei miei confronti. Michael ha fatto anche di peggio e non solo con le fidanzate di altri- disse il ragazzo, cercando di ferirla o quanto meno di insinuarle qualche dubbio.
-Quello che Michael ha fatto prima di conoscermi non mi interessa- replicò decisa Sarah intenta a terminare quella insensata conversazione, cercando di tranciare su nascere quel pizzico di gelosia che quell’affermazione le aveva causato.
Si stava innervosendo, ma non si sarebbe rovinata la serata per un idiota del genere e poi se Michael l’avesse vista con Nolan, sicuramente il suo umore non sarebbe stato dei migliori e lei non voleva assolutamente fare innervosire anche lui.  
Lasciò il bicchiere di champagne sul tavolo e si alzò di scatto.  Fece qualche respiro profondo prima di riprendere parola: la testa le stava girando un po’ più forte in quel momento e aveva bisogno di aria pulita.
-Non hai qualche moglie o figlia super ricca da sedurre, piuttosto che perdere tempo con me?- chiese senza farsi troppi scrupoli, vincendo la sua naturale timidezza.
-E’ quello che sto facendo…- replicò Nolan alzandosi e guardando Sarah negli occhi con i suoi celestissimi. Era più basso di Michael ma comunque più alto di Sarah, quindi dovette piegarsi un po’ per avvicinarsi a lei.
Sarah afferrò il senso di quella frase qualche secondo dopo e rimase a dir poco indignata della sfacciataggine di Nolan, ma soprattutto del suo pensiero perverso.
-Cosa?!- chiese quasi scioccata Sarah, facendo un passo indietro. Per fortuna nessuno gli stava guardando.
Nolan sogghignò e la sua smorfia la innervosì così tanto che non seppe tenere a freno la lingua.
-Devi essere piuttosto disperato se hai pensato anche solo per un momento che io potessi tradire Michael- aggiunse con foga la ragazza.
“Soprattutto con te” evitò di dire.
Nolan la guardò senza battere ciglio e quando stava per aprire bocca per replicare, Sarah glielo impedì continuando a parlare.
Sentiva dentro di lei crescere la rabbia, ma anche la sensazione di stordimento dovuta ai troppi calici di spumante.
-E credo anche che tu sia solo geloso di lui, perché altrimenti non ti abbasseresti a tanto- concluse, girandosi e andandosene per non sentire quello che il ragazzo avrebbe risposto alla sua affermazione.
La testa le girava tantissimo e prese la strada per il grandissimo bagno in marmo bianco e avorio che un cameriere le aveva indicato in precedenza.
Non sapeva nemmeno lei come ce la stava facendo a camminare così in equilibrio su quei tacchi e quando ad un certo punto si sentì strattonare, quasi vacillò. Fortunatamente si ritrovò tra le braccia del suo biondo preferito.
-Sarah!- esclamò Michael con foga, prendendola dai polsi e facendola scontrare contro il suo petto.
Sarah alzò la testa, frastornata sia dal giramento di testa sia dall’ondata di profumo che l’avvolse, penetrandola fin dentro ai polmoni.
-Dove stai correndo? Ti ho visto letteralmente scattare e dirigerti in bagno- fece il ragazzo, guardando attentamente la sua fidanzata: la mora aveva le guance un po’ rosse, il viso teso in un’espressione indefinita e gli occhi un po’ persi e vaganti nel vuoto.
-Ehi!- replicò Sarah, rimanendo ancora tra le braccia di Michael ma scostandosi un po’ per poterlo guardare meglio –Stavo andando in bagno…- aggiunse abbassando lo sguardo.
-Ti senti bene?- chiese Michael corrucciando un po’ la fronte. Gli sembrava un po’ spaesata.
-Ehm…sì- balbetto la mora, cercando di capire se Michael avesse assistito alla conversazione con Nolan. Si girò verso il punto in cui era seduta fino a qualche minuto prima e non trovandoci nessuno, si tranquillizzò –E’ che…credo di aver bevuto un po’ troppo. Mi gira un po’ la testa- ammise senza pensarci più di tanto.
-Cosa?!- esclamò sorpreso Michael –Ma se ti ho lasciato che stavi bene…-
-Sì, è che durante la tua assenza un po’ Sam, un po’ i camerieri…- iniziò a dire Sarah.
-E’ un deficiente. Dove diavolo è finito?- commentò Michael senza farle terminare la frase. Ovviamente quel commento era rivolto a Sam e il ragazzo alzò gli occhi al cielo infastidito. Non appena l’avrebbe trovato, gliene avrebbe dette quattro.
-Vieni- le ordinò prendendola per un polso e trascinandola in bagno.
-Michael, sto bene, non sono ubriaca. Ho detto che mi gira solo un po’ la testa- cercò di dire con sicurezza la ragazza, evitando di rispondere alla domanda su dove fosse Sam.
-Non possiamo entrare entrambi nello stesso bagno. Se qualcuno ci vede, penserà chissà cosa…- aggiunse risoluta, mettendosi a braccia conserte di fronte la porta in legno di noce scuro del bagno.
-Ah, muoviti. Che pensino quello che vogliono!- replicò Michael trascinandola letteralmente in bagno e chiudendo la porta a chiave.
Sarah lo guardò perplessa. Cos’è che avrebbe dovuto fare esattamente con lui in bagno?
-Cosa dovrei fare ora? La pipì davanti a te per caso?- chiese senza pensarci, sinceramente confusa dall’autorità improvvisa del biondo. Non stava né peggio né meglio di qualche altra sera passata in compagnia degli amici di Michael e non capiva tutta questa sua apprensione nei suoi confronti.
-Se è quello che eri venuta a fare, fai pure. Di certo non mi faccio problemi a guardarti mentre ti abbassi le calze- replicò il ragazzo con un misto di fastidio e di divertimento allo stesso tempo. Doveva ammettere che quella situazione non era poi così male, e Sarah sembrava essere molto più spigliata ed estroversa di come era di solito.
La mora alzò gli occhi al cielo di fronte a quell’affermazione piuttosto maliziosa e si girò verso il lavabo.
-In realtà ero venuta solo a sciacquarmi un po’ la faccia…- ammise. L’aria fresca del bagno stava contribuendo a farle schiarire un po’ la mente e si stava sentendo decisamente meglio.
Si avvicinò al lavandino per bagnarsi un po’ ma Michael fu più veloce: prese un morbido asciugamano di spugna, lo passò sotto l’acqua fresca e iniziò a tamponare il collo, le guance e la fronte di Sarah con delicatezza.
-Guarda che potevo farlo benissimo io- disse lei con un mezzo sorriso sulle labbra, traendo palesemente sollievo dal tocco fresco e delicato di Michael.
-Ah, non lo metto in dubbio…- fece il biondo sorridendole e continuando ad inumidirle la faccia. Le passò un pollice sul labbro inferiore e poi quando ebbe finito, si chinò a darle un bacio.
Sarah rimase rilassata sotto il suo tocco e rispose con celerità al suo contatto cingendogli i fianchi e assaporando le sue labbra.
Michael si allontanò un po’ da lei e la guardò stranito e leggermente agitato. Non ricordava lei gli avesse mai un bacio così…intenso.
-Che c’è?- fece la ragazza, un po’ frastornata, ma lucida abbastanza da notare lo spaesamento di Michael.
Lui rimase qualche secondo senza dire niente, poi incurvò leggermente il labbro in un sorriso e si chinò di nuovo su di lei, facendo nuovamente incontrare le loro labbra.
Un familiare brivido di piacere gli pervase la schiena e dopo aver fatto scorrere le mani lungo il busto della ragazza, le prese il viso, incontrando i suoi occhi cangianti.
-Vieni- disse solo tirandola verso di sé e facendola uscire dal bagno.
Intrecciò le sue dita con le sue e la portò verso il corridoio.
Sarah si sarebbe aspettata che la portasse di nuovo nel grande salone di ricevimento, invece il ragazzo deviò, portandola verso un’altra stanza.
-Vuoi appartarti proprio adesso?- chiese la ragazza confusa, ritrovandosi di fronte un’altra porta in legno scuro.
Michael soffocò una risata, apprezzando la sua parlantina in quell’occasione. Avrebbe dovuto essere brilla un po’ più spesso.
-Se vuoi provare a farlo su un pianoforte…- rispose il ragazzo con il suo solito ghigno, spalancando la porta di fronte a sé e rivelando un’altra grandissima stanza piena di libri e con finestre enormi coperte da tende scure.
Sarah rimase sbalordita per qualche secondo e si guardò esterrefatta attorno.
-E’ una biblioteca?!- chiese, notando i fitti scaffali di legno scuro contenenti centinaia di libri.
-Già…- fece Michael chiudendo la porta e accompagnando Sarah al centro della stanza.
Era arredata con mobili classici di legno massello scuro, ornata con un grande tappeto persiano e delle tende in seta.
Sarah si guardò ancora attorno, totalmente rapita dalla solennità che quella stanza le trasmetteva. Era un peccato che fosse un po’ frastornata per via dell’alcool, le avrebbe fatto piacere spulciare tra tutti quei volumi.
-Perché mi hai portato qui?- chiese la ragazza in preda ad una strana sensazione, notando il grande pianoforte nero al centro della stanza. C’era qualcosa di terribilmente familiare in quel posto, e non si trattava dell’arredamento o della tappezzeria, ma della situazione.
Era qualcosa che aveva già vissuto, o quasi.
-Volevo un po’ allontanarmi dalla confusione. Ti piace?- le fece il ragazzo, dirigendosi verso un punto indefinito del salone.
Sarah deglutì, rimanendo totalmente pietrificata di fronte a quello che Michael stava facendo: stava accendendo lo stereo.
-Allora?- le fece il ragazzo, lanciandole un’occhiata. Sarah se ne stava immobile al centro della stanza e sembrava avesse visto un fantasma.
-Sì…- rispose a bassa voce la mora, provando un misto di sensazioni. Era quasi certa che le gambe non le avrebbero retto a lungo per la tensione, soprattutto su quei tacchi.
Chiuse per un attimo gli occhi e per qualche istante riportò alla mente tutte le immagini di un sogno fatto mesi prima quando il ragazzo era ancora in coma, in cui lei e Michael si trovavano nella sua biblioteca di famiglia e in cui lei aveva sognato di baciarlo per la prima volta.
-Spero ti piaccia la musica classica, a me rilassa tantissimo…- aggiunse Michael dopo aver inserito il cd nello stereo e aver raggiunto Sarah al centro della sala. La prese per le braccia e se la avvicinò a sé. Notava un certo irrigidimento da parte sua e non capiva il perché, perciò le mise una mano dietro al collo e cercò di farla rilassare iniziandole a massaggiare delicatamente la nuca.
Sarah inspirò il suo profumo e sentì risuonare nella stanza le prime note del brano scelto da Michael.
Quando lo riconobbe, ripensando al sogno, le si riempirono gli occhi di lacrime.
Non poteva essere vero.
La melodia dell’Imperatore riempì la stanza e lei, per non farsi vedere da Michael e per non dargli delle spiegazioni riguardo le emozioni che stava provando in quel momento, affondò il viso nell’incavo del suo collo e si strinse a lui cingendogli i fianchi.
-Io non so ballare- disse quando lui le portò le mani dietro la schiena e iniziò a dondolarsi lentamente.
Lo vide sorridere con la coda degli occhi e il suo profilo perfetto le riportò alla mente il bacio appassionato che si erano scambiati nel suo sogno, quando Michael era ancora lo sconosciuto  per cui aveva iniziato a provare qualcosa. Le ritornarono alla mente tutti i loro incontri pomeridiani nell’ospedale, le letture di Gente di Dublino, o i suoi racconti sconclusionati sulla sua vita. Ricordò l’emozione fortissima provata quando se l’era ritrovato all’improvviso di fronte alla cassa al supermercato, o quando le aveva parlato per la prima volta alla mostra d’arte a New York. I ricordi le scorrevano davanti agli occhi come immagini proiettate su un muro, accompagnate dolcemente dalle delicate note dell’opera per pianoforte n°5 di Beethoven.
Si ritrovò a pensare a quegli ultimi mesi della sua vita, al vuoto che aveva provato per la maggior parte dell’esistenza e a come Michael l’avesse colmato dal primo giorno in cui l’ebbe visto.
-Ti amo- disse a bassa voce, quasi a non voler rovinare quella dolce atmosfera che si era creata tra loro. Aveva paura di svegliarsi da un momento all’altro e di scoprire che era tutto frutto della sua immaginazione.
Non aveva mai detto quelle parole a nessuno, sotto quel punto di vista Michael era la sua prima volta in tutto.
Non sapeva cosa significasse amare una persona fino a quel momento, probabilmente non lo sapeva nemmeno allora, ma Michael era stato l’unico che le aveva fatto provare qualcosa di vivo e di sincero.
Appoggiò meglio la testa sul suo petto e rimase a sentire i battiti del suo cuore per qualche istante, cullata dai suoi respiri.
La sua testa si abbassava e si alzava a ritmo della respirazione del ragazzo e lui le baciò i capelli prima di parlare.
-Ti amo anche io- rispose, alzandole il viso con il mento e costringendola a guardarlo negli occhi.
Era la prima volta che Sarah accennava apertamente a cosa provava per lui, malgrado per più volte, lui le avesse detto di amarla, e per un attimo sentì cedere le ginocchia sotto il peso di quella confessione.
Il blu oceano delle sue iridi s’incontrò con gli occhi verde dorato della ragazza e quando la trovò con gli occhi lucidi e le guance arrossate, il suo cuore ebbe un sussulto. Le accarezzò una guancia e poi la baciò sulla fronte, chinando la testa per poterla di nuovo guardare negli occhi e per capire cosa le stesse passando per la testa.
A Sarah pareva di essere nuda davanti a lui. Dopo avergli detto che lo amava e dopo che anche lui gliel’aveva ripetuto, si sentiva svuotata di qualsiasi segreto e di qualsiasi pensiero.
Il giorno in cui l’ebbe visto per la prima volta in ospedale, non avrebbe mai immaginato che piega avrebbero preso gli eventi.
Michael le rivolse il sorriso può sincero che potesse fare e poi le baciò lentamente il collo, una guancia e le labbra.
-Se non ci fosse stato quello stupido discorso di famiglia da qui a poco, avremmo concluso questa serata nel migliore dei modi…- le sussurrò Michael nell’orecchio, soffiandole dietro al collo e facendola rabbrividire.
Sarah si allontanò un po’ da lui per evitare di amplificare la sua improvvisa voglia di stare con il biondo, ma Michael glielo impedì trattenendola per le braccia.
-Non scappare…- fece lui con voce bassa e baritonale, stringendola al suo petto e prendendole il mento –Lo fai ogni volta che mi confessi qualcosa che non hai mai detto a nessuno- aggiunse, continuandosi a dondolare a ritmo di musica -Non è una cosa brutta esternare le proprie emozioni- fece il ragazzo comprensivo.
-In realtà non stavo scappando. Mi stavo solo allontanando per evitare di saltarti addosso- replicò Sarah senza scrupoli e senza ripensamenti. Non si era affatto pentita di aver detto a Michael di amarlo e di certo non si era allontanata da lui per la ragione che lui le aveva detto. Tra le cose da non rifare ad una serata di gala, c’era sicuramente quella di non bere gli intrugli offertele da Sam.
Michael al sentire quelle parole rimase sconcertato, soprattutto perché non se l’aspettava affatto. La guardò con gli occhi sgranati e il fiato improvvisamente corto.
-Come scusa?- fece lui che sembrava non aver capito. Le lanciò un’occhiata veloce e notò come Sarah apparisse piuttosto rilassata e forse anche un po’ non curante della cosa.
-Andiamo. Hai capito- tagliò corto la ragazza per non dover ripetere quello che aveva appena detto. Sapeva quanto fosse grande l’ego di Michael da quel punto di vista, e sapeva anche che se avesse davvero dato voce ai suoi pensieri e ai suoi desideri, Michael l’avrebbe presa in giro a vita.
-No, non ho capito- fece il ragazzo, assumendo la sua solita faccia da schiaffi, accompagnata dal suo ghigno malizioso.
Sarah mantenne la sua posizione e non gli rispose, cercando di non fomentare l’amore del ragazzo verso se stesso, ma Michael sembrava di non essere della stessa idea.
La prese per le braccia e se l’avvicinò con un po’ troppa foga.
Le sfiorò il naso con il suo e fece scendere lentamente le mani sui suoi fianchi. Sarah chiuse gli occhi e inspirò il suo profumo, passandogli una mano tra i capelli e facendone scorrere una lungo la sua schiena. Gli sfiorò le labbra con le dita seguendo il loro contorno e iniziò a baciarlo lentamente, come se non l’avesse mai fatto prima di allora e volesse esplorare piano piano un territorio sconosciuto.
Michael la lasciò fare, facendosi trasportare completamente in un’altra dimensione dai suoi baci e dalle sue carezze. Fino a qualche mese prima avrebbe approfittato di un momento del genere per chiudersi in qualche stanza con la ragazza, ma in quel momento la gioia e il piacere di stare con Sarah superava di gran lunga la sua voglia di sesso e scacciò a fatica quei pensieri, tuttavia, quello che Sarah fece qualche secondo dopo, lo lasciò interdetto.
La mora fece scendere le mani lentamente lungo il suo petto e gli tirò la camicia fuori dai pantaloni, qualche secondo dopo gli sfiorò la cintura, cercando di sbottonargli i pantaloni.
Sarah si muoveva con molta delicatezza, quasi per voler vedere fino a che punto riusciva a spingersi su quel fronte, i suoi respiri erano lunghi e lenti, e la testa le continuava un po’ a girare, ma doveva ammettere che in fondo non le dispiaceva essere così intraprendente.
Quando Michael sentì le punte delle dita della ragazza sotto la pancia ebbe un sussulto e non riuscì a trattenere un gemito. Al diavolo le buone maniere e quella dannata serata di beneficenza, avrebbe voluto solamente stare da solo con lei.
Le portò le mani sui glutei e la strinse forte a sé, lasciandola senza fiato per qualche secondo mentre iniziò a baciarle con foga il collo e poi le labbra.
Sarah rispose a quel gesto senza troppe esitazioni e in pochi secondi si ritrovò contro un muro, con Michael contro di lei che le sbottonava la camicia.
-Aspetta…- mugolò, cercando di fermare inutilmente le mani del ragazzo che vagavano dappertutto –Michael, aspetta- continuò, cercando di risultare più risoluta anche a se stessa.
Che diavolo stava facendo? Non poteva stare lì con Michael quando nella stanza accanto c’erano un centinaio di persone a bere e a divertirsi. E se fosse entrato qualcuno?
-Che c’è?- chiese Michael abbassando lo sguardo sulla sua scollatura e sospirando.
-Forse è meglio di no…- disse Sarah, cercando di strisciare via da lui e iniziando a riabbottonarsi la camicia.
-Cosa?! Ma se hai appena detto…- iniziò a dire Michael incredulo. Non poteva comportarsi così: un attimo prima si concedeva a lui e quello più tardi si tirava indietro.
-Sì, lo so…- ribatté Sarah, cercando di non farsi distrarre dalla sagoma del biondo e dal fatto che avesse la camicia e i pantaloni sbottonati.
Michael scosse la testa in segno di fastidio e si aggiustò la camicia nei pantaloni. Certe volte non riusciva a stare al passo dei suoi cambiamenti d’umore.
-Dai, andiamo…- fece Sarah –Non fare così- prendendolo per mano e cercando di farsi perdonare. Il cuore le continuava a battere all’impazzata nel petto e doveva ammettere di sentirsi piuttosto accaldata, ma non voleva stare lì.
-Potrebbe entrare qualcuno da un momento all’altro…- cercò di giustificarsi.
-Posso sempre chiudere la porta a chiave…- le rispose lui spicciolo, portandosi le mani sui fianchi e guardando un punto indistinto fuori la finestra per cercare di distrarsi. Inspirò profondamente cercando di non pensare a nulla che potesse peggiorare il suo stato psicofisico di quel momento, ma non ci riuscì.
-Già, così poi ti avrebbero dato per disperso- commentò la ragazza abbozzando un sorriso.
Michael si diresse verso lo stereo e lo spense, la musica cessò e loro si ritrovarono nella penombra nella grande sala, avvolti da una lontana eco del vociare nella stanza affianco.
-Ti sei arrabbiato?- gli chiese Sarah seguendolo con gli occhi e notando un’espressione strana sul suo viso.
Quella sua espressione per qualche ragione la ferì, di solito Michael era sempre molto comprensivo con lei sotto quel punto di vista e non riusciva a capire che problema ci fosse in quel momento.
-No, non sono arrabbiato- replicò il ragazzo con un tono che forse risultò più duro del previsto –Hai ragione, è meglio andare- aggiunse, dandosi una controllata veloce allo specchio appeso alla parete, aggiustandosi la giacca e la cravatta.
Sarah lo guardò interdetta per qualche secondo, poi cercò di avvicinarsi a lui.
-Aspetta, hai i capelli in disordine- disse allungando una mano per cercare di mettergli a posto i capelli dietro la nuca, ma il ragazzo si ritrasse e fece da solo.
In pochi secondi Michael si sistemò ed uscì dalla stanza, lasciando Sarah da sola.
Si diresse a grandi falcate nel salone accanto, cercando di non pensare a quello che era appena successo e a come lui si era comportato. Si sentiva addosso il profumo di Sarah e non riusciva a togliersi dalla testa il suono dei suoi gemiti o la sensazione del suo corpo contro il suo.
Forse era stato un po’ troppo brusco e severo con lei, ma in quel momento aveva solo bisogno di una boccata di aria fresca.
Prese al volo un bicchiere di Whiskey dal bancone degli alcolici e si diresse dritto verso il grande porticato allestito per l’occorrenza.
Sarebbe dovuto tornare indietro e scusarsi con lei, in fondo non poteva costringerla a fare nulla che lei non volesse, inoltre lei gli aveva appena detto di amarlo e non poteva di certo rovinare tutto in quel modo.  
Per un attimo gli era sembrato come se Sarah avesse deciso finalmente di lasciarsi andare, di vivere per una serata quella che un tempo era la sua vita, e forse il problema era proprio quello.
Il problema non erano tanto lei e i suoi cambiamenti di umore, quanto il fatto che quello era ciò che lui un tempo era solito fare alle feste, tralasciando il fatto che ogni qual volta che Sarah lo sfiorava o semplicemente alludeva a qualcosa di più, lui perdeva completamente la testa.
Diede un sorso al bicchiere, trattenendo in bocca il sapore amaro e speziato del liquore. Era Blake quella che di solito amava appartarsi nei posti più impensabili alle feste e per un attimo aveva dato per scontato che anche a Sarah sarebbe piaciuto e si diede dell’idiota per quello.
Era ovvio che Sarah non si sarebbe mai comportata come lei, come sua sorella, o come qualsiasi altra ragazza con cui era stato in quegli anni.
Si alzò per ritornare indietro a cercare Sarah, probabilmente l’aveva ferita comportandosi da perfetto idiota con gli ormoni in subbuglio e sicuramente in quel momento, conoscendola, si stava maledicendo per essere stata così poco accondiscendente.
-Eccoti qua- gli disse una ragazza, parandosi davanti a lui e rivolgendogli un sorriso ammiccante ed eloquente.
-Blake- commentò Michael, continuando a sorseggiare il suo Whiskey e cercando di guardare oltre la ragazza per cercare Sarah. Quella era decisamente l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento.
-Ti stavo cercando da un pezzo, dove eri finito?- chiese la ragazza, facendo un passo in avanti e avvicinandosi di più a lui. In realtà Michael aveva cercato di evitarla per tutta la sera.
-Cosa vuoi?- le chiese brusco Michael non soffermandosi nemmeno a guardarla. Blake era una delle poche persone in tutto il pianeta che lo infastidiva in una maniera piuttosto malsana –Ho intravisto Nolan da queste parti, perché non ti rinchiudi con lui da qualche parte come i bei vecchi tempi?-
La ragazza fece finta di non sentire e distolse lo sguardo cercando di intercettare il suo.
-Volevo solo salutarti. L’ultima volta che ci siamo visti non ci siamo lasciati nel migliore dei modi…- disse lei, squadrandolo dalla testa ai piedi.
Benché la loro storia fosse finita da un pezzo Blake non riusciva a non provare attrazione per quel ragazzo: era uno degli uomini più belli che avesse mai visto.
Michael sospirò, di sua natura non era scortese e purtroppo non riusciva a vedere Sarah da nessuna parte.  Incontrò con gli occhi quelli della bionda e mandando giù un altro sorso di liquore disse –Beh, ciao allora…-
Cercò di superarla con uno strattone, ma la ragazza lo bloccò prendendolo per un braccio.
-Ma si può sapere perché ce l’hai tanto con me?- gli chiese Blake alla fine, ritrovandosi Michael molto vicino. Gli prese il bicchiere dalle mani senza troppi complimenti e buttò giù il resto del suo Whiskey.
-Perché ce l’ho tanto con te?- ripetè stizzoso Michael. Era seria? –Blake, tu mi hai preso in giro per mesi e mi hai tradito. E quando sono stato in ospedale non ti sei degnata nemmeno di venire a vedere come stessi. Credo che questo basti come motivazione…- le disse il ragazzo, facendo un altro passo avanti per superarla.
Blake gli si mise davanti e lo fermò, contribuendo a fare aumentare il suo nervosismo.
-Sei davvero arrabbiato per la storia di Nolan?- replicò incredula lei, avvicinandosi di più al ragazzo per non farsi sentire e per non dare spettacolo. Qualcuno nel portico aveva già iniziato a guardarli incuriositi.
Michael la fulminò con lo sguardo, soprattutto perché si era avvicinata pericolosamente a lui. Riusciva quasi a guardarla negli occhi alla sua stessa altezza.
-Credi che non sappia di tutte le ragazze che ti sei scopato mentre eri al college e stavi con me? O dei festini che tu e quell’idiota di Sam avete organizzato solo per accalappiare qualche stupida ragazza intrigata dal vostro conto in banca? Io mi sono comportata esattamente come ti sei comportato tu ogni qual volta sentivi il bisogno di cambiare persona nel letto- gli disse la ragazza, guardandolo dritto negli occhi. Blake gli sbattette il bicchiere contro il petto e cercò di andarsene, arrabbiata e infastidita dall’atteggiamento fin troppo moralista del ragazzo.
Michael incassò il colpo, ma quando Blake stava per superarlo, la prese per un polso e la strattonò vicino a sé.
-Io non ti ho mai tenuto nascosto nulla e tu hai sempre saputo quello che facevo quando non stavo con te- replicò Michael a denti stretti. Sentiva la rabbia crescergli nel petto e il sangue iniziò a pulsargli alle tempie.
-Ah, quindi il problema è che tu non sapevi che oltre a te facevo sesso con Nolan? E’ questo che stai cercando di dirmi?- iniziò ad inveire Blake scrollandosi Michael di dosso–E secondo te il fatto che io sapessi e che accettassi che tu andassi a letto con mezzo campus, lo rende più giusto? A te non è mai importato nulla di quello che facevo, ti ha solo dato fastidio il fatto che per la prima volta nella tua vita, qualcuno ha osato tradire e mancare di rispetto l’aitante miliardario Michael Trisher- continuò a dire.
Michael a quelle parole si sentì ferito nell’orgoglio e le rivolse un’occhiataccia che aveva riservato a poche persone fino a quel momento.
 –E sai una cosa? Ora fai tanto il moralista e il bravo ragazzo perché pensi di aver trovato l’amore della tua vita in quella ragazza santarellina, timida e squattrinata, ma fatti dire una cosa, Michael…- e a quel punto Blake si sporse di più, prendendogli il viso e avvicinandosi in modo che potesse sentire bene anche senza alzare la voce, puntando i suoi occhi verdi in quelli azzurri del ragazzo.
Michael si irrigidì, indurendo la mascella com’era solito fare quando stava davvero perdendo il controllo.
 –Prima o poi ti stancherai anche di lei e del sesso monotono, così come ti sei stancato di me e di tutte le altre e a quel punto tornerai ad essere il solito bastardo di sempre- concluse arrabbiata Blake e con un tono pieno di rabbia.
Spinse via Michael dandogli una spallata e si diresse altezzosa verso il salone, non prima però di aver lanciato uno sguardo vittorioso alla mora alle spalle di Michael.
Il ragazzo si girò arrabbiato cercando di seguire Blake con lo sguardo, ma quando si girò dietro di lui trovò Sarah.
I suoi occhi azzurri incontrarono quelli tristi e cangianti della ragazza la quale distolse subito lo sguardo da lui.
Michael si sentì mancare, completamente mortificato dal suo comportamento.
-Sarah, io…- iniziò a dire, cercando di scusarsi in qualche modo sia per quanto accaduto precedentemente che per le cose cattive che lei aveva dovuto sentire.
La mora abbassò lo sguardo e indietreggiò, cercando di non guardarlo in faccia e di non farsi prendere troppo dalle emozioni.
-Vado a prendermi qualcosa da bere- fece lei, girandosi e scomparendo nella folla.
In quel momento avrebbe voluto essere ovunque, tranne che con Michael. 


 
***
Lo so, lo so , non ci sono scuse o giustificazioni quindi non dirò nulla, solo che mi dispiace di aver fatto passare tutto questo tempo, ma è stato un anno lungo e difficile. 
Spero di farmi perdonare! 
xoxo
M. 

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Capitolo 26
*** 27 ***


27
 
-Vado a prendermi qualcosa da bere…- fece Sarah, cercando di allontanarsi da Michael il più velocemente possibile.
Si divincolò tra la gente cercando di non cadere e di non perdere l’equilibrio sui tacchi. Improvvisamente aveva iniziato a sentire caldo e la sensazione di capogiro le era ritornata.
Aveva ancora impressa davanti agli occhi la scena piuttosto equivoca a cui aveva assistito. Le parole di Blake le rimbombavano ancora nella testa e non riusciva a non pensare al fatto che, in fondo, potessero essere vere.
Stava provando un misto di emozioni contrastanti: era arrabbiata con Blake per la sua continua intromissione tra lei e il suo ragazzo, era persino gelosa di lei, delle sue movenze e del suo comportamento da predatrice ed era arrabbiata per la prima volta con Michael, a partire dal suo lunatico comportamento in biblioteca.
Fino a quel momento non aveva mai visto Michael sotto quella veste e la cosa era dovuta al fatto che lei l’aveva conosciuto in un momento della sua vita in cui Michael era tutto fuorché se stesso e lei si era convinta che il ragazzo fosse davvero in quel modo.
Allora che ci pensava non aveva mai chiesto nulla di specifico sul suo passato e non si era mai soffermata molto a pensarci. Aveva cercato sempre di giustificare ogni suo comportamento o di comprenderlo, ripetendosi che l’unica motivazione per cui aveva agito in un modo piuttosto che in un altro era che aveva fatto la cosa che gli sembrava più giusta.
Traballando sui tacchi e cercando di andare spedita come un treno, si allungò verso il tavolo degli champagne, ma proprio quando stava per prendere un calice, venne fermata all’improvviso da qualcuno che la strattonò.
-Ehi, credo tu stia un po’ esagerando! - esclamò Sam prendendola per il braccio e tirandola verso di sé, facendo risultare il tutto agli occhi dei curiosoni come un maldestro tentativo di approccio.
-Sam, lasciami stare- replicò Sarah piccata, cercando di divincolarsi dalla sua presa, che le parve più salda di quello che si aspettava –Lasciami- ripeté a denti stretti, guardando Sam dritto negli occhi e fulminandolo con lo sguardo.
Il ragazzo aggrottò la fronte, sorpreso dal tono e dall’espressione rabbiosa sul volto della mora. Da quando l’aveva conosciuta era la prima volta che la trovava visibilmente scossa e arrabbiata.
Sam allentò la presa e Sarah scappò via da lui, ma in men che non si dica la raggiunse e la girò verso di sé.
-Sarah è successo qualcosa? Stai bene? - chiese serio.
Sarah deglutì, espirando e chiudendo per un attimo gli occhi.
-Sì, sto benissimo- disse. Ma le sue parole risultarono finte anche a lei.
Sam la guardò per qualche secondo cercando di capire dove potesse essere il problema, ma a parte il fatto che la ragazza gli sembrava solo un po’ ubriaca, non trovò nulla di diverso, forse aveva solo i capelli un po’ scompigliati e la camicetta un po’ più aperta del solito.
-Dov’è Michael?- chiese allora, guardandosi lentamente attorno alla ricerca dell’amico.
-Non lo so e non mi interessa. Magari è con Blake o con qualsiasi altra persona che non sia io- rispose Sarah, serrando i denti e mettendosi a braccia conserte. Non voleva fare una scenata, né tanto meno fare la parte della gelosa davanti a Sam, ma non riusciva ancora a sbollire la rabbia. In quel momento avrebbe voluto solo chiudersi nella sua stanza, togliersi quelle maledettissime scarpe con i tacchi e non pensare più a niente.
Sam a quelle parole assunse la sua solita espressione da schiaffi. Durante gli anni aveva incontrato abbastanza ragazze da capire come e perché erano arrabbiate.
-Ti sei ingelosita? - disse Sam sorridendo, mostrando le fossette che Sarah adorava, ma che in quel momento non facevano altro che innervosirla maggiormente.
-Che cosa?- chiese incredula, cercando di non innervosirsi ulteriormente davanti a quella domanda. Dopo tutto quello a cui aveva dovuto assistere in quei pochi minuti, la sfacciataggine e il giudizio di Sam non le interessavano proprio.
-Si vede da lontano un miglio- disse continuando a sorridere e togliendo il bicchiere dalle mani di Sarah –Hai litigato con Michael per Blake?-
-Sam, non ne voglio parlare. E comunque il tuo amico si è comportato da vero idiota- rispose di botto Sarah, che avrebbe voluto solo andarsene da lì.
-Ah, suvvia, che cosa potrà aver fatto mai…- iniziò a dire Sam, portandole un braccio dietro la schiena e facendola spostare da vicino al tavolo.
La mora scosse la testa e se avesse potuto avrebbe iniziato ad urlare. Era quello l’effetto che le faceva la gelosia? Perché era davvero contenta di non averla mai provata fino ad allora.
Fece finta di non sentire e si fece guidare da Sam da qualche parte in attesa di sbollire la rabbia.
-Allora qual è il problema?- richiese il ragazzo, sedendosi su una dormosa in un angolo. Sarah rimase in piedi.
-Sam, ti ho detto che non ne voglio parlare. Voglio solo andarmene in stanza, mi sono stufata di questa serata- ribatté piccata Sarah.
Il ragazzo la scrutò silenzioso, facendo vagare velocemente i suoi occhi cervone lungo il suo profilo. Continuava ad essere visibilmente scossa, ma non accennava a raccontargli nulla, quindi pensò bene di non immischiarsi. In fondo Michael non avrebbe potuto fare nulla di così grave dal non essere perdonato di lì a qualche ora.
-Va bene, come vuoi…- iniziò a dire lui con aria piuttosto scettica –Ma se posso darti un consiglio, cerca di prendere più alla leggera queste serate…Sono fatte per divertirsi…-
Sarah lo guardò quasi allibita da quelle parole. Che diavolo significava? Che solo perché erano serate dove ci si ubriacava o si stava in compagnia, uno era giustificato a far tutto? Anche ad assumere comportamenti discutibili?
Nel momento in cui stava aprendo la bocca per rispondere, fu interrotta da una voce decisa e seria alle sue spalle.
-Sarah, dobbiamo parlare- fece Michael risoluto, raggiungendola con pochi passi e posizionandosi di fronte a lei.
Il biondo non prestò minima attenzione a Sam, che ancora era seduto di fronte la ragazza e stava spostando lentamente lo sguardo da uno all’altra.
Sarah girandosi gli rivolse uno sguardo arrabbiato e poi corrucciando le labbra iniziò a guardare un punto indistinto di fronte a sé.
Sam percepì che la situazione era più seria di quanto pensasse, perciò pensò bene di allontanarsi e di dare ai ragazzi un minimo di privacy.
Lui e Michael si guardarono qualche secondo senza dirsi nulla, poi il biondo tornò a guardare Sarah, che per la prima volta gli appariva con i lineamenti induriti e tesi.
La ragazza non disse nulla e continuò a guardare altrove. A differenza delle altre volte si sentiva quasi offesa dal suo comportamento, e in tutto quel turbinio di emozioni che stava provando, gli occhi di ghiaccio di Michael erano l’ultima cosa che le servivano.
-Che cosa vuoi? Non hai altre ospiti miliardarie da intrattenere?- rispose tagliente la mora, mantenendosi ad una distanza di sicurezza da lui.
Michael a quelle parole incassò il colpo ma non si fece intimidire più di tanto.
-Senti, mi dispiace per quello che hai dovuto sentire…- iniziò a dire forse con un tono che sembrava tutto fuorché dispiaciuto.
Sarah scosse la testa e alzò gli occhi al cielo, di certo non stava iniziando con il piede giusto.
-Non devi dare peso a quello che dice Blake, lo sai com’è fatta…- continuò a dire.
In realtà in quel momento Sarah capì che Blake era solo quella che le aveva fatto saltare i nervi e che in realtà quello che aveva assunto un comportamento sbagliato era stato Michael.
-Ma almeno guardami quando ti parlo! - esclamò Michael arrabbiato, forse un po’ troppo, di fronte all’indifferenza della ragazza.
Al sentire quelle parole dette con un tono piuttosto aggressivo, Sarah girò la testa e rivolse a Michael uno sguardo a dir poco omicida, sia perché era la prima volta che il ragazzo alzava la voce con lei e sia perché lui non aveva proprio nulla per cui arrabbiarsi dato quello che lei era stata costretta a subire.
Prima che Sarah potesse rispondergli, Michael si scusò, quasi mortificato. Odiava perdere il controllo e soprattutto odiava perdere il controllo con lei. Era andato lì per scusarsi e non per darle addosso.
-Dio, mi dispiace, scusami- fece passandosi una mano tra i capelli e facendo un passo in avanti –Non volevo alzare la voce…- continuò –Sono un idiota-
-Sì, sei un idiota- gli rispose all’improvviso Sarah guardandolo e pensava di esserlo anche lei dato che in quel momento, anche se avrebbe voluto prenderlo a schiaffi, lo trovava persino attraente.
Michael rimase sorpreso da quella sua risposta repentina e la guardò serio. Doveva proprio averla fatta arrabbiare.
-Sarah…- iniziò a dire lui poggiando le mani sulle sue spalle.
-No, Michael nessun Sarah…- fece lei allontanandosi –Te la sei presa solo perché ti ho detto di no! Scusami tanto se ho pensato che forse non era il caso di fare sesso in un salone dato che poteva entrare qualcuno da un momento all’altro e dato che nella stanza accanto c’erano più di cento persone!- iniziò a dire la ragazza arrabbiata.
Michael l’ascoltò in silenzio e non poté fare a meno di darle ragione.
-Non so…magari a te piacciono questo genere di situazioni, ma a me no. E poi…- continuò a dire con un po’ più di difficoltà –Dio, ti ho detto anche che…- continuò senza finire, cercando di non apparire scossa e dispiaciuta.
“Ti ho anche detto che ti amo” voleva dirgli “avresti potuto essere un po’ più comprensivo”.
Michael a quelle parole cercò di avvicinarsi di più. Era davvero dispiaciuto per tutto, ma soprattutto per quello. Sapeva quanto fosse difficile per Sarah esternare i propri sentimenti e lui si era comportato come se non avesse dato minimamente peso alla cosa, quando non era affatto così.
-Sarah, io…- iniziò a dire il ragazzo. Cercò di prenderle la mano ma lei si ritrasse.
-Michael- disse improvvisamente una voce alle loro spalle. Era una voce baritonale e molto matura che Sarah aveva sentito solo una volta. Proveniva da un uomo alto e con i capelli castano scuro e vestito di tutto punto: Miles Trisher, il padre di Michael.
Il ragazzo si girò quasi spaventato da quella voce. Era l’ultima persona che si immaginava avesse potuto interromperlo in quel momento.
-Papà- disse Michael a denti stretti, irrigidendo la mascella e allontanandosi da Sarah.
Alla ragazza non sfuggì quel dettaglio ma rimase in silenzio. Quella era una di quelle situazioni in cui odiava trovarsi. Non sapeva né cosa dire e né cosa fare. Era molto imbarazzata e non riuscì nemmeno ad alzare la testa. Sentiva su di sé gli occhi indagatori del signor Trisher che chissà cosa stava pensando in quel momento.
-Dobbiamo aprire lo champagne per il brindisi finale. Vieni- fece l’uomo al figlio non rivolgendole la minima attenzione, spostando lentamente i suoi occhi da Michael alla ragazza mora con lui.
-Sì- rispose Michael senza battere ciglio. Lanciò un ultimo sguardo a Sarah, quasi a volerle dire con gli occhi di seguirlo, e poi iniziò a camminare dietro il padre, che aveva già iniziato ad avviarsi verso il salone.
Sarah rimase impietrita nell’angolo vicino la parete. Il padre di Michael non poteva palesarsi in un momento peggiore. Non sapeva se aveva assistito al loro litigio, se avesse intuito qualcosa o altro, ma di certo quello era stato il modo peggiore di presentarsi, anzi non si era presentata affatto.
Chiuse un attimo gli occhi e inspirò profondamente. Non aveva nessuna intenzione di ritornare al ricevimento e di mettersi seduta in un angolo ad aspettare che Michael finisse di fare le sue cose da ricco ereditiere. Per quanto le riguardava se ne sarebbe ritornata volentieri a casa, e per casa intendeva il suo appartamento a New York.
Il leggero mal di testa che aveva si era trasformato in un martello pneumatico, perciò decise di dileguarsi e di andarsene nella sua stanza, tanto la sua assenza sarebbe passata sicuramente inosservata.
Risalì la grande scalinata che portava ai pieni superiori e dopo aver proceduto un po’ a tentoni, riconobbe la porta della camera che le era stata riservata ed entrò dentro.
Non appena si chiuse la porta alle spalle, le sembrò quasi di essersi lasciata tutta quella serata alle spalle. Chiuse fuori le voci degli invitati e improvvisamente fu catapultata nel silenzio della sua grande camera da letto, che non aveva nulla di dissimile da una suite di un albergo a cinque stelle. Si guardò attorno, indecisa sul da farsi, poi notando che la stanza era dotata anche di un bagno con una vasca, decise di farsi un bagno caldo. Magari si sarebbe rilassata e il mal di testa si sarebbe attenuato.
Preparò l’acqua calda e si spogliò. Piegò ordinatamente i suoi vestiti su una poltroncina vicino il letto e si immerse nella vasca.
Non ricordava quand’era stata l’ultima volta che si era fatta un bagno caldo. Avere la vasca lo considerava un lusso, soprattutto considerando che il bagno del suo appartamento era sì e no due metri per due. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa allo schienale. Era una situazione surreale. Al piano di sotto si stava svolgendo un ricevimento a cui aveva preso parte tutta la New York per bene, lei aveva litigato con Michael, lui aveva assunto un atteggiamento per lei quasi incomprensibile e in quel momento il ragazzo avrebbe potuto essere tra le grinfie di chissà quale ragazza, se non proprio Blake, e per non considerare il fatto che Miles li aveva colti mentre erano intenti a litigare. Le immagini dei momenti trascorsi fino ad allora le scorsero davanti agli occhi: era andato tutto a rotoli, eppure era iniziato tutto bene. Si stava divertendo, lei e Michael stavano bene e in biblioteca era stato tutto così dolce ed emozionante fino a quando Michael non si era infastidito.
Le parole che Blake aveva rivolto al suo ragazzo le rimbombavano ancora nella testa, così come l’immagine di lui che se l’era avvicinata strattonandola e prendendola da un braccio che le avevano dato l’impressione di un non so che di carnale.
Non voleva credere a quello che la bionda gli aveva detto, ma una parte di lei sapeva che quelle parole avrebbero potuto essere vere.
Se solo le cose non fossero andate in quel modo, avrebbe tanto voluto che in quel momento Michael fosse stato lì nella vasca con lei.
Ripensò al momento in cui si era abbandonata tra le sue braccia, a quando gli aveva detto di amarlo. Non aveva mai detto niente del genere a nessuno prima di allora e lui lo sapeva. Michael sapeva in generale che lui era la sua prima volta in ogni cosa e quella sera si era comportato da perfetto maschio il cui unico scopo è quello di andare a letto con qualcuna.
Si ridestò infastidita da quel momento di trance e si alzò dalla vasca. Si era fatta quel bagno per cercare di lasciarsi la cosa alle spalle, non per pensarci ancora.
Si diresse al centro della stanza e si avvolse nell’accappatoio, era morbidissimo e il contatto della stoffa con la sua pelle le causò una sensazione piacevole.
Si diresse nella stanza da letto e accese la tv sul primo canale che le capitò, giusto per non rimanere nel silenzio più assoluto, prese il suo borsone e tirò fuori quello che doveva essere un pigiama: ovvero un pantalone comodo e una felpa larga.
Proprio nel momento in cui si stava per spogliare sentì bussare alla porta. In un primo momento rimase interdetta, pensò quasi di esserselo immaginato, poi però quando sentì di nuovo lo stesso rumore, si diresse verso la porta.
Michael sentì i passi della ragazza farsi sempre più vicini e quando lei si fu avvicinata abbastanza da poter sentire, parlò.
-Posso entrare?- fece, allentandosi la cravatta e passandosi una mano tra i capelli. Quella serata era stata fin troppo lunga per i suoi gusti.
Al sentire la voce di Michael, Sarah tentennò un po’. Se fosse stata una ragazza capricciosa probabilmente l’avrebbe lasciato fuori, ma dal momento che era fin troppo morigerata e gentile, aprì semplicemente la porta e gli fece cenno di entrare.
Michael fu investito da un piacevole calore e rimase sorpreso di trovarla in accappatoio.  Per qualche indefinita ragione l’immagine della ragazza in quello stato, con i capelli raccolti, avvolta nell’accappatoio e nella sua solita semplicità gli suscitò un sorriso.
Si chiuse la porta alle spalle e si mise al centro della stanza, con le mani sui fianchi in segno di attesa.
Sarah gli rivolse lo sguardo, ma era ben intenzionata a non rivolgergli la parola. Fino a prova contraria era lui che l’era venuta a cercare.
-Sapevo che ti avrei trovata qui- iniziò a dire il ragazzo tanto per rompere il ghiaccio, ma di fronte allo stato glaciale di Sarah, che stava facendo finta di controllare delle cose nel borsone rincarò la dose.
-Hai intenzione di fare così per tutta la sera?-
Sarah a quelle parole alzò la testa e lo fulminò con lo sguardo. Lo stava facendo di nuovo, si stava scrollando di dosso le sue responsabilità e stava facendo passare lei per quella che aveva la colpa.
Scosse la testa e si posizionò davanti a lui con le braccia conserte in segno di attesa.
-Hai finito di fare le tue cose?- disse lei, cercando di usare un tono consono,  alludendo ai suoi impegni di rampollo della famiglia Trisher.
Michael fece scorrere i suoi occhi celesti veloci su di lei, indugiando più del dovuto sulle parti di pelle scoperte e abbozzò un sorrisetto sghembo.
-Sono qui davanti a te…- disse con fare ovvio, continuando a tenere le mani sui fianchi.
Sarah lo guardò e alzò gli occhi al cielo. Faceva anche lo spiritoso…
-Senti, mi dispiace per come mi sono comportato…Non so che mi è preso- aggiunse poi il ragazzo, tornando serio. Allora che ci pensava non erano tante le occasioni in cui si era scusato con qualcuno in generale, soprattutto per quel motivo. Fino a quel momento nessuna ragazza l’aveva rifiutato e lui aveva reagito come un vero cazzone.
-Io…penso di essermi fatto prendere un po’ troppo dal momento…- aggiunse, incatenando gli occhi a quelli di Sarah.
La ragazza sospirò e cercò di reggere lo sguardo di ghiaccio del biondo. Dopo quanto era successo le sembrava che Michael avesse un’aria più matura e meno innocente del solito, ma forse era solo la barba incolta a darle quella impressione.
-E’ tutto qui?- aggiunse lei stringendosi maggiormente nell’accappatoio –E’ solo questo quello che hai da dire? Che ti sei fatto prendere un po’ troppo dal momento?- ripeté sarcastica.
-Cos’altro dovrei dirti?- fece lui sinceramente confuso.
Sarah a quelle parole iniziò davvero ad innervosirsi, ed erano poche le occasioni in cui lo faceva. Respirò profondamente giusto per organizzare le idee e per non apparire troppo presa dalla cosa e poi parlò.
-Cos’altro dovresti dirmi? - ripeté a denti stretti scuotendo la testa.
-Vuoi ripetere tutto quello che ti dico o hai anche una mezza intenzione di parlare? - fece Michael spazientito, sfilandosi la cravatta e gettando la giacca sul letto.
Sarah lo guardò allibita. Ma che diavolo gli stava prendendo quella sera?
-Non lo so, magari perché non inizi dicendomi perché non hai battuto ciglio alle parole di Blake? O perché permetti che lei ti giri sempre attorno senza fare niente, quando si vede da lontano un miglio che fa di tutto per elemosinare le tue attenzioni…- iniziò a dire piccata –O magari mi dici anche perché ti sei comportato da vero stronzo quando avresti potuto aspettare due ore e avresti comunque ottenuto quello che volevi! - concluse arrabbiata.
Michael a quelle parole si irrigidì e serrò la mascella come era solito fare quando iniziava ad agitarsi –Ti ho già chiesto scusa per questa cosa- disse con lo sguardo basso, sinceramente dispiaciuto –E non capisco perché continui a dare peso alle parole che dicono gli altri…- aggiunse.
-Perché tutti quanti non fanno altro che ripetermi come tu sia diverso da come ti comporti con me!- esclamò Sarah, centrando il punto della situazione –E questa sera ti sei comportato esattamente come dici di non essere più- concluse, quasi rattristata nel dirgli quelle parole.
-Sarah, lo vuoi capire che per me è difficile?- sbottò Michael all’improvviso. La ragazza a quel punto alzò lo sguardo e cercò di intercettare il suo: in quel momento era lui che non la stava guardando.
-Io…- iniziò a dire con difficoltà. Sarah lo guardò meglio, sbagliava o era…imbarazzato? –E’ difficile per me controllarmi…- continuò a denti stretti –Ogni volta che tu ti spingi oltre…-
Sarah lo stava guardando incredula. Che diavolo stava dicendo?
-Noi non stiamo molto insieme e io vorrei…-
-Ah, quindi adesso la colpa è mia? - lo interruppe Sarah immaginandosi quello che lui le stava per dire –Non facciamo abbastanza sesso per come sei abituato? E’ questo il tuo problema? - chiese la ragazza, sinceramente sconvolta.
-Non sto dicendo questo- disse Michael guardandola fisso negli occhi.
-O forse il problema è che…aspetta com’è che ha detto Blake…E’ un sesso troppo monotono per i tuoi gusti? - continuò la ragazza rincarando la dose –E’ per questo che prima lo volevi fare nel salone, lo trovi più eccitante? -
-Sarah, smettila- le fece Michael serio. Stava degenerando, e odiava il fatto che lei pensasse quelle cose di lui. Non l’aveva mai forzata a fare nulla, era sempre stato molto rispettoso nei suoi confronti e aveva cercato sempre di reprimere le sue voglie proprio per darle tempo, perciò sentire quelle cattiverie gratuite lo stavano davvero ferendo.
La mora rimase in silenzio di fronte a quella richiesta e si soffermò a guardare meglio il ragazzo. Il biondo le sembrava piuttosto dispiaciuto e aveva assunto un’espressione indefinita, con le labbra tese e la mascella serrata.
-Ma perché pensi queste cose? -le fece lui quasi disperato, passandosi una mano sul volto e poi tra i capelli. La sua voce era quasi ridotta ad un sussurro.
Sarah al sentire quelle parole alzò lo sguardo e lo fissò. Sentì un forte fastidio allo stomaco nel momento in cui si rese conto di averlo ferito profondamente e sentì il naso pizzicarle. Cercò di cacciare indietro le lacrime.
Michael scosse la testa e si sporse sul letto per riprendersi la giacca e la cravatta.
-Io non so perché sei così insicura di me, ma non credo che fino ad ora io abbia fatto qualcosa per farti pensare questo- fece lui, infilandosi la giacca del completo e mettendosi la cravatta in tasca. Stava per andarsene.
-Io non sono insicura di te- rispose Sarah –Altrimenti non ti avrei mai detto che ti amo- aggiunse, cercando di rimediare –E’ solo che stasera mi sei sembrato un’altra persona e non penso che il problema sia la nostra vita sessuale- concluse stringendosi maggiormente nell’accappatoio. Stava iniziando a sentire freddo e non aveva intenzione di cambiarsi lì di fronte a lui.
-Io ti voglio così come sei, l’importante è che tu sia te stesso…- concluse.
Michael rimase in piedi al centro della stanza, in silenzio.
Era costantemente diviso tra la sua vita passata, quella presente, Sarah, il suo lavoro alla banca, la sua famiglia…Lui era così, così come si comportava con Sarah, ma era anche come si comportava con Sam o con il resto delle persone che interagivano con lui. Mentre stava raccogliendo le idee su quello che la ragazza le aveva appena detto, lei prese degli indumenti da sopra il letto e si diresse in bagno, lasciando la porta leggermente dischiusa. Anche lui avrebbe voluto dirle che avrebbe tanto voluto che Sarah non si vergognasse a spogliarsi o a vestirsi davanti a lui, che per lui era normale e che non ci trovava nulla di strano, ma sapeva anche che Sarah era fatta così, che aveva bisogno della sua privacy e a lui stava bene, perché era quello che la caratterizzava.
-Posso rimanere qui? - chiese il ragazzo quando Sarah uscì dal bagno con la felpa in dosso.
La mora lo guardò e per la prima volta nelle ultime ore, lo riconobbe.
-Come preferisci- gli fece girandogli attorno e sistemando il borsone su una sedia. Quando passò da vicino a Michael il ragazzo la prese per un polso e la avvicinò a sé, cercando di sentirla di nuovo vicina, così come in biblioteca. Appoggiò le labbra sulla sua fronte inumidendogliela leggermente e poi le sibilò in un orecchio –Lo sai che ti amo…- Il suo tono era quasi disperato, quasi se Sarah se ne sarebbe andata dalla sua vita da un momento all’altro sembrandogli sempre più distante.
Intrecciò le sue mani fra le sue e poi le prese il viso, alzandoglielo e costringendola a guardarlo negli occhi.
-Sì…lo so- gli rispose Sarah, piegando le labbra in una specie di sorriso. Gli portò le mani sulle braccia e si appoggiò di più a lui, abbracciandolo leggermente.
Si sentiva strana, stanca e svuotata, come se quel litigio le avesse succhiato tutte le energie.
Si staccò da lui e si diresse verso il letto, aprendo le coperte e infilandosi dentro. Michael la guardò silenzioso e dopo essersi tolto la giacca e dopo aver sbottonato la camicia, iniziò ad aprire i cassetti alla ricerca di qualcosa da mettersi. Trovò il pantalone di un pigiama e senza farsi troppi problemi si spogliò e se lo infilò, mettendosi a petto nudo sotto le coperte.
Spense la luce e dopo qualche secondo cercò Sarah con il suo corpo, abbracciandola da dietro e appoggiando la testa nell’incavo del suo collo.
La ragazza fu investita di nuovo dal suo profumo, che inspirò lentamente. L’odore di Michael le penetrò fin dentro i polmoni e ne rimase quasi assuefatta. Le sue labbra vagarono sul suo collo, lasciandole tanti piccoli baci che seguivano prima la sua spalla e poi il suo profilo. Michael la strinse di più a sé, cercando in lei un minimo di reazione. Inspirò il suo profumo, affondò il naso tra i suoi capelli e dopo aver intrecciato le gambe con le sue, con un gesto deciso la girò, posizionandosi in parte sopra di lei.
-Posso darti un bacio?- le sussurrò chiedendoglielo quasi disperatamente e sfiorandole il viso prima con la punta del naso e poi con il mento. La sua barba le accarezzò la pelle e le causò un piacevole brivido che le partì dal centro dello stomaco.
Non rispose, allungò solo le braccia per passargli una mano tra i capelli e si sporse, facendo scontrare le loro labbra. Fu un bacio grezzo, quasi violento, carico di emozioni represse e parole non dette. Michael si spinse un po’ più vicino a lei, giusto quel tanto che serviva a sentire le sue forme premere sul suo corpo e poi, così come si era insinuato veloce nella sua bocca, si staccò all’improvviso.
-Buona notte- fece con voce roca, passandole un pollice sulle labbra e abbandonandosi sul cuscino.
Sarah rimase interdetta, ancora con il fiatone per il bacio letteralmente mozzafiato che il ragazzo le aveva dato. Riconobbe i suoi lineamenti nella penombra, compresi i suoi occhi azzurri.
-Buona notte- ripeté rimanendo a fissare il soffitto intarsiato, con ancora il cuore che le batteva forte.


 
***
Ciao a tutti e ben ritrovati!
Lo so, non ci sono spiegazioni, non so nemmeno io da quand'è che non aggiorno, forse saranno più di un anno. 
In questo periodo la mia vita è cambiata, mi sono laureata, ho iniziato una nuova avventura e ho iniziato a lavorare, ma il mio pensiero a questa storia, al fatto che la dovessi per forza finire, non mi ha mai abbandonato ed è per questo che ho deciso di prenderla di nuovo in mano e di continuare a scriverla, questa volta per concluderla. 
So che è da tanto che non scrivo, quindi magari ci potrebbero essere delle imperfezioni, ma siate clementi con me, vi prego! 
Voglio troppo sapere cosa ne pensate di questo capitolo, del comportamento di Michael e di quello di Sarah, quindi esprimetevi! 
Non so a quando sarà il prossimo aggiornamento, spero per la settimana prossima, ma vi prometto che non farò passare un altro anno!
Vi adoro! 
xoxo
Mariah 

 

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